Gennaio 2020 n. 1 Anno L MINIMONDO Periodico mensile per i giovani Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registrazione 25-11-1971 n. 202 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Pietro Piscitelli Massimiliano Cattani Luigia Ricciardone Copia in omaggio Rivista realizzata anche grazie al contributo annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del MiBACT. Indice 14� Edizione del premio di lettura "Louis Braille" Berlino: senza Muro Felicit� vo' cercando Chi ha inventato gli occhiali da vista? Nel nome del grana Alla scoperta di San Francisco Nino Frassica e i suoi "nanetti" 14� Edizione del premio di lettura "Louis Braille" (di Pietro Piscitelli) Il 9 novembre scorso si � tenuta a Tirrenia (Pisa) la Finale del Concorso nazionale di lettura "Louis Braille", giunto alla sua 14� Edizione. Il Concorso, organizzato dalla Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita", ha una valenza nazionale in quanto coinvolge tutte le sezioni territoriali e i Consigli Regionali dell'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti. A tal fine l'iniziativa rappresenta da lungo tempo un'ulteriore testimonianza della solida collaborazione tra i due Enti, che per mesi hanno lavorato anche per questa edizione in sinergia. Le Fasi del Concorso sono state infatti le seguenti: da gennaio a marzo si � tenuta la Prima Fase, quella Provinciale, durante la quale i partecipanti di tutta Italia potevano competere con altri partecipanti dello stesso territorio nella lettura in Braille di un brano non scolastico e sconosciuto al lettore. Fin dalla prima fase i concorrenti sono stati divisi in 6 categorie: 1) Scuola primaria - 1� ciclo; 2) Scuola primaria - 2� ciclo; 3) Scuola secondaria di primo grado; 4) Scuola secondaria di secondo grado - biennio; 5) Scuola secondaria di secondo grado - triennio; 6) Universit� e adulti. Con tutta evidenza, la divisione in categorie ha consentito il confronto tra persone che potessero essere quanto pi� possibile vicine come et� e quindi anche come esperienza e bagaglio culturale. Nella seconda Fase, ovvero quella Regionale svoltasi da aprile a giugno, coloro che si sono qualificati a livello provinciale sono stati valutati dai Consigli Regionali UICI, che hanno poi scelto le persone che avrebbero rappresentato la rispettiva Regione a livello nazionale. Una volta selezionati i 30 finalisti per la Fase Nazionale, numero che si � ridotto per cause di forza maggiore a 21 candidati, essi hanno partecipato alla Finale presso il Centro Le Torri - Olympic Beach di Tirrenia (Pisa), e questi si sono esibiti di fronte ad una Commissione giudicatrice cos� composta: 1) Pietro Piscitelli: Presidente della Biblioteca Italiana per i Ciechi; 2) Nicola Stilla: Presidente del Club Italiano del Braille; 3) Armando Giampieri: insegnante; 4) Raffaele Rosa: Presidente della sezione provinciale UICI di Salerno. I lavori sono iniziati alle 9,00, con un solo intermezzo tenutosi alle 11,30 per l'intervento del Dr. Mario Barbuto, Presidente Nazionale UICI, che tra l'altro ha dichiarato: "Sarei stato felice di poter presenziare, ma impegni presi molto tempo fa non me lo hanno consentito. Avevo per� il desiderio di sottolineare, una volta di pi�, l'importanza del Concorso, che si rivolge ad una platea vastissima che comprende tutte le Regioni Italiane. � grazie ad occasioni come questa che si pu� ribadire l'importanza del metodo Braille, ed evidenziare quanto esso sia uno strumento efficace per tutti i non vedenti che lo hanno utilizzato in passato, nel presente e certamente anche in futuro". La valutazione dei partecipanti ha tenuto conto, come da bando di Concorso, della precisione nella lettura, della fluidit�, della correttezza, della postura e della espressivit� dimostrate. Terminate le esibizioni di tutti i lettori, la Commissione ha espresso un voto in quarantesimi che ha decretato i posizionamenti finali. Il punteggio minimo da ottenere per risultare vincitori era stato fissato dalla Commissione in 32/40, e solo nel caso di una categoria (Scuola secondaria di secondo grado - biennio) tale soglia non � stata superata: pertanto, nessuno dei finalisti ha ottenuto il premio. Per quanto riguarda le altre categorie i vincitori sono stati: Ficetola Gioia (Marche): Scuola primaria - primo ciclo; De Austria Hernandez Mark Aaron (Sardegna): Scuola primaria - secondo ciclo; Lincetto Benedetta (Veneto): Scuola secondaria di primo grado; Papaccio Raffaella (Campania): Scuola secondaria di secondo grado - triennio; Cicciarella Giuseppe (Toscana): Universit� e Adulti. Un premio speciale � stato inoltre assegnato alla Classe 5-A della Scuola primaria "Aurelio Saffi" di Carrara, facente parte dell'Istituto Comprensivo di Carrara e Paesi a Monte. Tra le classi che hanno imparato il sistema Braille, infatti, la 5-A si � particolarmente distinta per il proprio impegno e dedizione, portando a termine un progetto a tutto tondo sulla disabilit� visiva che ha visto coinvolta anche la UICI di Massa Carrara. A ritirare il premio erano presenti gli insegnanti della Classe, l'alunna non vedente Martina Sironi, il Presidente del Consiglio regionale UICI Toscana, nonch� consigliere della Biblioteca Antonio Quatraro e il delegato della UICI di Massa Carrara Fabrizio Alberti. Vale la pena di sottolineare come certamente il Concorso nazionale di lettura "Louis Braille" sia nato per mettere a confronto i non vedenti di tutta Italia riguardo alla padronanza che essi hanno del sistema, ma anche per sensibilizzare la cittadinanza su ci� che l'invenzione di Braille ha rappresentato e rappresenta tuttora per i non vedenti di tutto il mondo. Per questo l'auspicio � che sempre pi� classi scelgano di cimentarsi nell'apprendimento del sistema, anche per via della manualit� e velocit� di pensiero che esso richiede per poter essere padroneggiato a un livello quantomeno accettabile. La partecipazione ad iniziative di questo tipo non � mai troppa, e per la prossima edizione del Concorso � lecito attendersi un numero di partecipanti superiore a quello della 14� Edizione gi� ormai archiviata. Berlino: senza Muro (di Filippo Nassetti, "Ulisse" n. 420/19) - Il 9 novembre 1989 chiuse la Guerra fredda e apr� una nuova epoca, ma non fu "la fine della Storia". Anzi... - "Da subito". Fu questa incauta risposta di G�nter Schabowski, a sgretolare trent'anni fa quel Muro di Berlino che aveva diviso in due per ventotto anni non solo una citt� e un popolo, ma un continente e un mondo intero. Il portavoce della Ddr, preso alla sprovvista, rispose cos� al corrispondente dell'Ansa sull'entrata in vigore delle nuove disposizioni sulla libert� di viaggiare da Berlino est a Berlino ovest. Mancava la consapevolezza di essere sulla cresta dell'onda della Storia. Si trovava a Berlino est anche Carlo Azeglio Ciampi, all'epoca governatore della Banca d'Italia, che quella stessa sera fu portato al Teatro dell'Opera come se nulla fosse accaduto. Il suo omologo della Staatsbank, Horst Kaminsky, liquid� la confusione fuori dal teatro come un problema passeggero. Indomabile quel vento di libert� che, forse, anche da parte occidentale si fatic� ad assecondare con accortezza. Lo stesso Ciampi comment�, amaramente, come il crollo del Muro mise fine al sogno degli Stati Uniti d'Europa. Eppure quel 9 novembre 1989, che qualche commentatore ha comparato al 14 luglio 1789 di due secoli prima per la strambata al corso degli eventi, evoca un momento di grande euforia nella storia dell'Europa. Istantanee indelebili restano i ragazzi a cavalcioni, i murales graffiati dalle picconate e le colonne di Trabant in coda verso l'occidente. Il Muro rappresentava un'icona di negazione di libert�, come sottolinearono, durante le loro visite di stato nella citt� divisa, i presidenti Usa John Fitzgerald Kennedy ("Ich bin ein Berliner") e Ronald Reagan ("Mr. Gorbaciov, tear down this wall"). In occasione del venticinquesimo della caduta lo scrittore giapponese Haruki Murakami, scrisse: "Per me i muri sono un simbolo di ci� che separa gli uomini dai sistemi valoriali. Limitano, schermano, isolano". "La caduta del Muro rappresent� per� anche una occasione mancata", ammonisce Sergio Romano, gi� ambasciatore italiano a Mosca. "I leader europei perseguirono in maniera precipitosa l'allargamento a est dell'allora Comunit� economica europea, nonostante il presidente della Commissione, Jacques Delors, avesse invitato le cancellerie a dare priorit� all'integrazione tra i paesi fondatori. Mancava a oriente la consapevolezza che furono i nazionalismi a provocare la Seconda Guerra Mondiale e l'uscita dall'orbita sovietica risvegli� in quegli ex paesi satelliti un sentimento di orgoglio nazionale che si � negli anni rivelato ostile alla costruzione di una Europa unita". Per Massimo Cacciari, filosofo e profondo conoscitore della cultura tedesca, c'� un momento storico preciso a cui l'Europa � venuta meno. "Tra la caduta del Muro e l'entrata in vigore dell'euro si sarebbe dovuto avviare un progetto federalista", sottolinea lo studioso che nel 1997 dedic� anche il saggio "Arcipelago" a questa prospettiva politica. "L'arcipelago rappresenta una metafora positiva, di una terra unita dal mare. Inseparabili-mai-uniti". Vladimiro Giacch�, economista e presidente del Centro Europa Ricerche, evidenzia inoltre come al successo politico della riunificazione tra le due Germanie, avvenuto l'anno successivo, fece da contraltare un insuccesso economico e sociale nel tessuto produttivo della ex Ddr. "La scelta di un tasso di cambio paritario tra il marco della Repubblica Federale e l'Ostmark della Repubblica Democratica fece felici i consumatori dell'est, che si recarono in massa nei grandi magazzini occidentali a fare acquisti, ma desertific� industrialmente le province orientali. Un disastro che ha tra l'altro causato l'emigrazione di milioni di cittadini dell'est verso i L�nder occidentali". Ferite sociali che hanno portato alla nascita di un sentimento malinconico. "L'Ostalgia, ovvero la nostalgia di quel che fu l'est, � una vena profonda pi� di un superficiale frisson del gusto e dello stile - commenta lo scrittore Pietrangelo Buttafuoco -. Racconta, infatti, l'irriducibile identit� di un popolo che da troppo tempo si vede negato l'approdo a un destino. La vicenda del Muro sar� raccontata come l'avventura di un esperimento. Quello di un manipolo di riformisti sovietici decisi a togliere la ruggine dallo scheletro del sistema per scoprire, alla fine, che non c'� neppure lo scheletro". Nessuna "fine della storia", quindi, ha rappresentato la caduta del Muro, come aveva sentenziato il politologo americano Francis Fukuyama. "La sua fu una preconizzazione infelice. L'idea che potesse dirsi concluso il lungo cammino della Storia verso la democrazia universale non si � dimostrata veritiera. Purtroppo", chiosa Sergio Romano. Felicit� vo' cercando (di Raffaella Procenzano, "Focus" n. 326/19) - Va e viene, non si capisce bene cosa sia, ma l'evoluzione ha voluto che la inseguissimo. Perch�? - E vissero per sempre felici e contenti... Quando un film o un libro si chiude con il trionfo del protagonista, ci aspettiamo che sia proprio cos�, cio� che sia "per sempre". Eppure, ci dicono le ricerche, non accade: perfino dopo la vincita di una enorme somma di denaro oppure dopo la promozione o l'incarico attesi da una vita, si torna, nel giro di pochi mesi, al livello di soddifazione generale che si provava prima dell'evvento fortunato. Alcune ricerche condotte negli Usa sulle persone che avevano beneficiato di forti vincite o di grosse eredit� lo dimostrano: a distanza di due anni i neomilionari non erano pi� felici di quando non avevano grosse disponibilit� finanziarie. Anzi, qualche volta lo erano meno, impegnati a gestire le continue richieste di soldi da parte di parenti e amici. Bisogna rassegnarsi, dunque: la felicit� non ci viene "naturale", e soprattutto non siamo fatti perch� duri a lungo. L'evouzione, insomma, non ci ha disegnati per la gioia continua ma per renderci abbastanza efficienti da ricavare dal nostro ambiente tutte le possibili risorse e quindi riprodurci. La capacit� di trovare soddisfazione per ci� che facciamo o per gli obiettivi che riusciamo a raggiungere � un mezzo, non un fine. Il che significa che l'evoluzione usa la felicit� (o meglio la ricerca della felicit�) per spingerci a compiere azioni utili a tramandare i nostri geni. E avere successo serve ad attrarre l'interesse dei possibili partner, e quindi a perpetuare la specie. In uno studio condotto negli Usa da Shigehiro Oishi, dell'Universit� della Virginia, sono stati esaminati i livelli di felicit� riportati da un vasto campione di individui negli anni Ottanta, quando erano studenti. I ricercatori sono poi andati a cercare le stesse persone oltre 20 anni dopo e hanno scoperto che gli individui che nella vecchia indagine si ritenevano moderatamente felici, a distanza di tempo erano quelli che guadagnavano di pi�, mentre chi si considerava molto felice guadagnava pi� o meno come chi aveva detto di sentirsi infelice. Insomma, chi � troppo soddisfatto della propria vita di solito non � molto ambizioso e non fa grandi passi avanti. Le persone che si pongono come obiettivo quello di scalare la gerarchia sociale, per esempio, spesso sono anche quelle che hanno la sensazione che "manchi" loro qualcosa. Ecco perch� l'evoluzione ci ha forgiati come individui mediamente felici, con la possibilit� di avere momenti di grande contentezza durante la propria vita, certo, ma con la tendenza a tornare sempre inevitabilmente al proprio livello di soddisfazione base. Ma il punto �: che cos'� la felicit�? Quando si cerca di rappresentarla si usa un sorrisone stilizzato, una risata, o immagini che raffigurano momenti di euforia. Ma in realt� quella � gioia, non felicit�. "La gioia � un'emozione, e come tutte le emozioni dura poco, raramente pi� di un minuto. La contentezza � invece un umore e pu� durare molti minuti o anche molte ore", fa notare Dylan Evans, autore di diversi saggi sulle emozioni. "Quando le persone usano la parola felicit� intendono la soddisfazione nella vita reale, qualcosa che � pi� vicino alla contentezza che alla gioia". Insomma, non � un'emozione, ma pi� un "umore di fondo" che per�, � vero, ci rende pi� o meno sensibili alle emozioni momentanee. Insomma, se siamo fondamentalmente soddisfatti, ci� che ci accade di positivo ci d� pi� gioia. Che per ognuno di noi esista un livello base di felicit� e che quest'ultimo sia abbastanza costante lo prova anche uno studio pubblicato nel marzo scorso dai ricercatori dell'Universit� dell'Iowa (Usa): hanno preso in esame le frasi usate dagli utenti di Twitter per esprimere il grado di soddisfazione per la propria vita nel corso di due anni per vedere se esistevano circostanze in cui la contentezza migliorava o peggiorava. Hanno cos� scoperto che la felicit�, sia individuale sia collettiva, resta stabile nel tempo e che l'umore "di fondo" non viene influenzato pi� di tanto n� dall'esito di elezioni politiche, n� da eventi sportivi e nemmeno dalle catastrofi naturali (se non colpiscono direttamente l'individuo o la sua famiglia, ovviamente). Allora, che cosa bisognerebbe fare per essere felici, o perlomeno esserlo il pi� possibile? L'unica strategia � accrescere proprio quella "soddisfazione di fondo" che ci permette poi di godere di pi� delle grandi o piccole gioie della vita. In parte si tratta di una qualit� innata, legata al temperamento allegro e alla tendenza all'ottimismo: i ricercatori dell'Universit� Vrije di Amsterdam hanno verificato, nel 2017, che le persone che dichiarano di essere molto soddisfatte della vita hanno un ippocampo (una piccola zona del cervello legata alla conservazione delle memorie) un po' pi� grande della media, mentre Wataru Sato, dell'Universit� di Kyoto, in un'analoga indagine ha trovato pi� materia grigia nel precuneo, una zona cerebrale coinvolta nella riflessione su se stessi. Con quali meccanismi queste caratteristiche rendano tendenzialmente un po' pi� felici non � noto, ma una cosa � certa: con il sorriso facile un po' ci si nasce. E molto si decide durante l'infanzia. Uno studio condotto da John Coffey, psicologo dell'Universit� del Tennessee, ha verificato che pi� i bambini provano emozioni positive, pi� restano soddisfatti anche da adulti, ma soprattutto raggiungono buoni risultati negli studi e sul lavoro. Analizzando i dati di un maxistudio psicologico che � durato quasi trent'anni (il Fullerton Longitudinal Study, partito nel 1978), Coffey ha trovato un'alta correlazione tra l'aver avuto molti momenti in cui le relazioni con genitori e amici erano piene di allegria durante l'infanzia e l'essersi poi diplomati all'universit�, trovando quindi un buon impiego. Insomma, di sicuro i successi nella vita danno grandi soddisfazioni, ma � anche vero che i momenti di gioia portano pi� facilmente al successo. "Le emozioni positive aiutano i bambini a partecipare a giochi sociali, a impegnarsi e a esplorare. Tutte queste azioni provocano la costruzione di abilit� personali (per esempio la resilienza) e sociali (per esempio l'arte della mediazione) che li rendono pi� portati al successo e a superare le avversit�", spiega lo studioso. Di pi�: secondo Michael Cohn, neuropsicologo dell'Universit� della California a San Francisco, le emozioni positive sono proprio alla base di quella "soddisfazione di fondo" che tutti noi misuriamo mentalmente quando ci chiedono di valutare quanto siamo felici. "Le ricerche ci dimostrano che aumentano il nostro livello di felicit� molto di pi� di una promozione sul lavoro o di una vincita di denaro. Avere occasioni di provare gratitudine, speranza, divertimento e altre emozioni positive (di solito in compagnia di amici o persone care) � il vero fattore che costruisce il nostro benessere di base", afferma Cohn. Per aumentarle, possiamo in ogni caso fare molto. Per esempio, essere generosi: in un esperimento condotto all'Universit� di Chicago, 96 studenti universitari hanno ricevuto 5 dollari al giorno. A una met� di loro � stato detto che potevano spenderli per se stessi, all'altra met� che dovevano spenderli per gli altri. Gli psicologi hanno misurato la soddisfazione dei due gruppi ogni giorno, per una settimana di seguito. Ma mentre la soddisfazione di chi spendeva per s� diminuiva, quella di chi era generoso con gli altri no. Studi differenti hanno dimostrato che gli atti di gratitudine e gentilezza (dati e ricevuti) sono in assoluto quelli che aumentano di pi� il benessere individuale. Anche mentalmente, la semplice ricerca di qualcosa di cui dovremmo essere grati (affetti, successi ecc.) ha un effetto benefico: attiva la regione del tronco encefalico che produce dopamina e aumenta la quantit� di serotonina in un'altra zona del cervello, la corteccia cingolata anteriore. Si tratta di due neurotrasmettitori collegati proprio alle sensazioni di benessere. Naturalmente non c'� bisogno di essere ricchi per essere generosi. Per�, inutile negarlo, l'assenza di grandi necessit� economiche � uno dei prerequisiti pi� importanti per riuscire a essere felici. Anche perch� con un po' di soldi si possono comprare per esempio nuove esperienze, uno dei fattori che incrementano di pi� il benessere di base: le ricerche mostrano che un viaggio (meglio se insieme a qualcun altro con cui condividerne il ricordo) � preferibile a comprare un gioiello o una macchina di grossa cilindrata. Chi ha inventato gli occhiali da vista? (di Matteo Liberti, "Focus Storia" n. 157/19) - Dai monocoli al pince-nez, ecco che cosa ci siamo inventati nei secoli per vederci meglio - Due lenti fissate su una montatura con stanghette laterali, in grado di tenerle ferme davanti ai nostri occhi permettendoci di vedere meglio. � questa la descrizione dei moderni occhiali da vista, la cui attuale foggia risale al 1730, quando l'oculista inglese Edward Scarlett ide� il primo modello "da tempia" dotato appunto di stanghette. Prima di allora, questi strumenti venivano tenuti in mano o incastrati sul naso. Quanto alla loro origine, si sa che i primi modelli nacquero nel XIII secolo a Venezia, mentre la loro evoluzione fu figlia di graduali sperimentazioni, tra cui anche quelle del celebre politico inventore statunitense Benjamin Franklin, che nel 1784 ide� le prime lenti bifocali. A partire dal XIX secolo, gli occhiali da vista spopolarono in tutto il mondo, diventando uno strumento indispensabile. Prima degli occhiali vennero le lenti. Sono state trovate raffigurazioni di "menischi"; lenti convesse da una parte e concave dall'altra (di forma simile a una parentesi tonda), in testi egizi risalenti a quasi 3-mila anni fa. In epoca antica, anche Greci e Romani studiarono la possibilit� di creare lenti per migliorare la vista. Si narra che nel I secolo d.C. il filosofo Seneca facesse uso di sfere di vetro piene d'acqua, guardando attraverso le quali gli oggetti apparivano ingranditi. L'imperatore Nerone, come racconta Plinio il Vecchio, usava invece assistere alle sfide tra gladiatori utilizzando una lente di smeraldo, che oltre a rilassare gli occhi, aveva forse blandi effetti correttivi. Ma � solo nel Medioevo che si gettarono le basi per la realizzazione di occhiali degni di tal nome. Un apprezzabile contributo venne dallo scienziato arabo Alhazen (965-1039), i cui studi di ottica furono ripresi in Europa dalle comunit� monastiche che ne tradussero gli scritti. Abituati a leggere, scrivere e miniare libri a lume di candela, ai monaci si deteriorava la vista pi� rapidamente rispetto alle altre persone. Talvolta si aiutavano con pezzi di vetro che, appoggiati su una pagina, la ingrandivano, pur deformandola un po'. Proprio un frate inglese, filosofo e teologo, Roger Bacon (1214-1294), divenne celebre anche per i suoi esperimenti di ottica, in particolare per lo studio sulle capacit� d'ingrandimento delle lenti convesse. Sul finire del XIII secolo iniziarono a prendere forma le prime lenti paragonabili a quelle odierne, che unite da un ponticello diedero vita a rudimentali occhiali. Secondo alcune fonti sarebbero nati attorno al 1280 grazie al pisano Alessandro della Spina, un frate domenicano, mentre altri ne attribuiscono la paternit� a Salvino degli Armati. In verit�, � probabile che gli occhiali siano nati dagli artigiani veneziani, concentrati nell'isola di Murano, specializzati nella lavorazione di vetri e cristalli. Furono infatti loro a creare le prime lenti realmente efficaci per la lettura. Nello specifico, i primissimi occhiali, detti roidi da ogli ("dischi da occhi"), avevano lenti convesse, risultando quindi utili per la presbiopia (la difficolt� a vedere da vicino). In principio, queste erano poste su montature in legno o in ferro, poi si pass� all'avorio delle zanne d'elefante e a corna di altri animali. I modelli base erano progettati per incastrarsi direttamente sopra al naso, come nel paio che indossa il cardinale Ugo di Provenza in un famoso affresco realizzato, nel 1352, dal pittore Tomaso da Modena nel convento di San Nicol� a Treviso, tra le prime rappresentazioni pittoriche degli occhiali. Inizialmente apprezzati dalle classi sociali pi� elevate (e realizzati talvolta in oro), gli occhiali conobbero la loro prima grande diffusione a seguito dell'invenzione della stampa a caratteri mobili, alla met� del XV secolo. Con l'aumento del numero dei libri aument� infatti quello dei lettori, e di conseguenza crebbe la domanda di occhiali, dotati ora anche di lenti concave, utili per la miopia. Al boom cinquecentesco seguirono importanti novit� nel Settecento, grazie alle lenti bifocali di Franklin (ognuna composta da due mezze lenti), per correggere contemporaneamente miopia e presbiopia. Poco prima, tra il 1727 e il 1730, erano nate le stanghette laterali, ma ancora per tutto l'Ottocento spopolarono modelli che ne erano privi. Come i lorgnette, occhialini dotati di manico e con lenti ripiegabili, detti anche "fassamano"; oppure i pince-nez, o "stringinaso", con montature autoreggenti realizzate in metallo e dotate di piccole molle e pinze; o ancora i monocoli, consistenti in una sola lente fissata a un cinturino. Tra Ottocento e Novecento s'imposero nuovi materiali per le montature, come la celluloide e la bachelite, e si registrarono miglioramenti nella lavorazione delle lenti, rese sempre pi� efficaci. Nel frattempo erano nate le prime lenti a contatto, realizzate nel 1887 dall'oculista tedesco Adolf Gaston Eugen Fick. All'inizio risultavano scomode, perch� troppo grandi e rigide, ma nel corso del XX secolo l'utilizzo di materiali come plastica, silicone e idrogel ne favorir� il successo. Prodotti in ogni foggia e per tutte le tasche, dal secondo dopoguerra gli occhiali si sono quindi imposti non solo come strumento oftalmico, ma al pari dei modelli da sole come accessorio di stile, il cui successo � stato spesso rilanciato dal mondo del cinema e della cultura. Tanto che molti personaggi celebri - da John Lennon a Audrey Hepburn a Yves St. Laurent - saranno per sempre associati alla silhouette dei loro occhiali. Salvino degli Armati Chi invent� gli occhiali resta un mistero, ma il merito se lo prese per secoli un italiano. L'attribuzione a Salvino degli Armati risale al 1684. Ferdinando Del Migliore ne scrisse nel suo libro Firenze citt� nobilissima illustrata. L'erudito fiorentino sosteneva che l'inventore fosse il suo concittadino, morto nel 1317, e che nella chiesa di Santa Maria Maggiore a Firenze fosse esistito un monumento (in seguito distrutto) che lo ricordava. L'affermazione non fu dimostrata, ma nel 1841 a Firenze fu eretto un monumento a Salvino, "inventore degli occhiali". Del Migliore si era inventato tutto per alimentare il campanilismo contro Pisa che rivendicava, a sua volta, la paternit� dell'invenzione. Nel nome del grana (di Massimo Manzo, "Focus Storia" n. 157/19) - Nel Medioevo i monaci dell'Abbazia di Chiaravalle inventarono il primo formaggio stagionato che rivoluzion� dieta e abitudini di ricchi e poveri - � uno dei formaggi italiani pi� conosciuti e venduti al mondo, immancabile sulle nostre tavole e oggetto, purtroppo, di maldestre imitazioni all'estero. Gi� nel Medioevo la sua fama non era da meno, sia nelle dispense dei ricchi signori sia in quelle del popolo. Parliamo del Grana Padano, vero must di molte ricette della tradizione gastronomica del Belpaese. Ma quando � nato? Per rispondere dobbiamo fare un salto indietro di quasi 1.000 anni, all'epoca delle grandi abbazie sparse nel Nord Italia. Secondo la tradizione tutto inizi� nel 1135, anno in cui il monaco cistercense Bernardo di Clairvaux (futuro santo) fond� l'Abbazia di Chiaravalle, in una zona piena di acquitrini e paludi a pochi chilometri di distanza da Milano. Fedeli al motto "ora et labora" (prega e lavora), i monaci avviarono una poderosa opera di bonifica delle campagne circostanti, che coinvolse presto ampie zone della Pianura padana, sfruttate per l'agricoltura e l'allevamento. Attorno alle numerose abbazie cistercensi e benedettine sorsero cos� varie aziende agricole dette "grange" (antenate delle odierne cascine lombarde) e dipendenti dai vari monasteri. Oltre a rifornire i monaci, queste contribuirono al fiorire dei commerci alimentari, giocando un ruolo fondamentale nella rinascita del territorio. La maggiore diffusione dell'allevamento port� al bisogno di conservare le quantit� in eccesso di latte bovino, la cui produzione stava crescendo a dismisura. Come? Ideando un nuovo formaggio in grado di conservarsi per lunghi periodi. Per trovare la "formula perfetta", gli storici ritengono che gli ingegnosi frati abbiano affinato probabilmente tecniche casearie gi� note in passato. Nel dettaglio, sottoposero il latte delle due mungiture giornaliere a una lunga cottura, aggiungendovi caglio e sale per creare poi forme cilindriche di grandi dimensioni, pi� adatte a una lenta stagionatura. Al termine dell'invecchiamento, che in genere durava pi� di un anno, il risultato era un saporito formaggio dal colore dorato e dalla consistenza granulosa, conferitagli dai cristalli di tirosina, un amminoacido rilasciato nel corso della maturazione. I monaci lo battezzarono "caseus vetus" (formaggio vecchio), nome presto rimpiazzato dal pi� popolare "formaggio grana" o "grana", in ragione della sua consistenza. L'intuizione dei frati riscosse un immediato successo: in men che non si dica, attraverso le abbazie e i caseifici a loro collegati, il grana si guadagn� la fama di "prodotto tipico" di numerosi centri del Nord della Penisola, in particolare in Lombardia e in Emilia-Romagna, venendo utilizzato anche come preziosa merce di scambio nelle transazioni commerciali. Nel novero dei caseifici pi� attivi spiccavano quelli di Lodi, Codogno, Mantova, Piacenza, Milano, Reggio Emilia e Parma, dove a seconda della sua provenienza il caseus vetus venne identificato come "Lodesano", "Mantoano", "Piacentino", "Bressano" o "Parmeano". Proprio la denominazione di "parmigiano" (definito anche "caseus parmensis"), trov� nel 1353 uno sponsor d'eccezione nel poeta fiorentino Boccaccio, che nel Decamerone descrisse il leggendario Paese di Bengodi evocando "una montagna tutta di formaggio Parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan, che fare maccheroni e ravioli". Le parole di Boccaccio segnarono l'inizio di epiche rivalit�: da allora, infatti, su entrambe le sponde del Po varie citt� si vantano di aver dato i natali al blasonato formaggio, tra i cui progenitori spuntano anche il Granone lodigiano e il formaggio piacentino. Ancora nel 1662, il cuoco bolognese Bartolomeo Stefani ricordava tale disputa nel trattato L'Arte di Ben Cucinare, scrivendo che "per la precedenza nella bont� dei formaggi, fra loro contendono Piacenza e Lodi". Non sapendo a chi dare la preferenza, il cuoco esprimeva un giudizio "salomonico": "il formaggio di Lodi non si pu� nominar che non si lodi; n� quello di Piacenza si pu� gustare, che non piaccia". A rincarare la dose di campanilismi, stavolta tra Lodi e Parma, ci pens� in seguito persino Giacomo Casanova, citando nel 1736 un "eccellente formaggio che tutta l'Europa chiama Parmigiano, ma che in realt� non � di Parma ma di Lodi". Antagonismi a parte, gi� nel Rinascimento il grana era ormai entrato a pieno titolo nell'Olimpo dei pi� famosi formaggi italiani, tanto da essere menzionato nel 1477 dall'umanista vercellese Pantaleone da Confienza nella Summa Lacticinorum, noto trattato sui latticini. Il proverbiale "cacio sui maccheroni" si guadagn� inoltre un posto d'onore nelle ricette dell'intera Penisola, divenendo condimento indispensabile di paste e tortelli d'ogni genere. Apprezzato dal popolo per le sue propriet� nutritive e di "lunga conservazione", non manc� di stregare i signori delle grandi dinastie, tanto da fare capolino in una lettera di Isabella d'Este, datata 1504, nella quale la nobildonna inviava a Ferrara al padre "meza forma de formazo per uno, perch� il facto loro consiste pi� in bont� che in quantit�". Nei secoli successivi, la reputazione del formaggio conteso si estese a livello mondiale e a partire dal XIX secolo, con l'evolversi delle tecnologie agricole e di allevamento, nacque la necessit� di disciplinare le sue caratteristiche, uniformando le tecniche di produzione. Si arriv� cos�, nel 1951, alla Convenzione di Stresa, con cui i produttori europei chiarirono finalmente la normativa sui formaggi a Denominazione d'Origine, poi aggiornate nei decenni seguenti. Oggi i due formaggi sono tutelati da distinti consorzi. Nel dettaglio, il Grana Padano � prodotto in ben 34 province sparse tra Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna e Trentino Alto Adige, mentre il Parmigiano nasce in quattro province emiliane e in una parte della provincia di Mantova. Alla scoperta di San Francisco (di Enrico Deaglio, "Ulisse" n. 421/19) - Un viaggio nella citt� pi� spavalda e libera d'America - Da quanto mancate da San Francisco? Ci sono ancora la nebbia, le case di legno, il freddo ad agosto, i gay che sfilano nel quartiere Castro, i vecchi italiani che prendono il sole davanti al Caff� Trieste a North Beach, le ragazze con i fiori nei capelli, i predicatori messicani nella Mission, i giovani inventori degli oggetti che hanno cambiato il mondo? S�, c'� ancora tutto; e quei ragazzi di allora sono diventati i padroni del mondo. S�, c'� ancora tutto, ma si comincia ad intuire che non sar� eterno: la natura e la tecnologia, una volta alleate, stanno cominciando a dividersi: troppi incendi intorno alla baia. San Francisco � una citt� unica al mondo; puntino sulla costa americana del Pacifico, affacciato su un'enorme baia, sperduto presidio militare dell'Occidente, missione cattolica cui venne dato il nome del santo di Assisi. L� nel 1848 arrivarono, richiamati da un articolo di giornale che parlava di una pepita d'oro, trecentomila giovani maschi assetati di avventura e di rischio. Oceano, lontananza, oro (e un devastante terremoto nel 1906) fecero s� che quel "materiale umano" cos� originale - americani, cinesi, messicani, italiani - costruisse una magia urbana. Una citt� di legno bianco, fatta con le sequoie dei boschi del nord; un grande porto animato dagli immigrati liguri e siciliani, due grandi universit� - Stanford e Berkeley -, che sorsero prima ancora dei teatri e dei night club pi� trasgressivi. E poi le ripide colline, dove morivano di fatica i cavalli che trainavano le carrozze, fino a quando un ingegnere scozzese invent� un sistema di rotaie e carrucole che rese la citt� magica anche per i suoi tram. Negli anni Trenta fu costruito il maestoso Golden Gate e il primo Clipper vol� verso la Cina; poi arriv� l'attacco di Pearl Harbor e la baia di San Francisco si trasform� nel famoso "arsenale della democrazia", che sfornava una nave al giorno. Arrivarono gli operai afroamericani, che portarono il jazz, arrivarono le donne indipendenti che sapevano di meccanica pi� dei maschi. Ognuno portando qualcosa, San Francisco, dalla fine della guerra in poi, divenne centro vivo della poesia beat, della marijuana, della musica, dei movimenti studenteschi, del movimento gay, del femminismo, dell'ambientalismo e poi... della grande rivoluzione digitale che ha cambiato il mondo. Qui - e dove poteva succedere, se no? - sono nati i Mac, l'iPod e l'iPhone, il Wi-fi e le App; qui Steve Jobs � stato salutato da migliaia di ragazzi commossi come il nuovo Leonardo da Vinci. Sono passati meno di dieci anni e quei ragazzi che trafficavano con cavi nei garage, sono oggi la maggiore potenza finanziaria del pianeta. "E quello, cos'�?" dicono stupiti coloro che mancano da cinque anni. � il grattacielo che ha cambiato il volto di San Francisco, i 326 metri della "Salesforce", azienda (anche lei venuta su dal niente) di software industriale. Sorto in mezzo al Financial District, che � ormai completamente "manhattizzato", il colosso dalle forme arrotondate � il pi� alto edificio ad ovest del Mississippi, primo simbolo imperiale della California. Sotto di lui, decine di nuovi altri grattacieli, in genere istituti di ricerca sulle frontiere della medicina: se vivremo di pi�, lo dovremo a loro. Sono posti dove, con investimenti miliardari, si lavora a battere malattie che una volta erano incurabili. L'eredit� di Steve Jobs � invece fuori citt�, l'Apple Park di Cupertino, un'astronave di un chilometro di diametro per ventimila techies. Facebook, Google, Oracle sono a un tiro di schioppo, Uber, Lyft (San Francisco ha rivoluzionato il trasporto mondiale in soli cinque anni) e Twitter sono invece nel centro della citt�. Il boom della tecnologia ha portato centomila abitanti in pi� negli ultimi anni: oggi siamo quasi 900.000 e i nuovi arrivati sono giovani ingegneri informatici che le varie aziende si strappano a vicenda a suon di stipendi, stock options e benefits. Se una volta erano poeti, artisti e musicisti a dare il tono della citt�, oggi sono loro, responsabili dell'aumento vertiginoso dei prezzi delle case e della "gentrificazione" del grande quartiere La Mission, che fu prima italiano, poi messicano e poi salvadoregno. Il quartiere � oggi un misto di negozi per techies e di merchandising di Frida Kahlo. Il quartiere Castro - simbolo del movimento gay, che ha affrontato vittoriosamente l'epidemia di Aids (la citt� ha avuto 5.000 morti) - si gode la nuova rispettabilit�; � diventato un po' museale, con monumenti ai suoi martiri, ma continua ad accogliere i ragazzi e le ragazze che qui arrivano, senza un quattrino, da ogni parte d'America cercando amore e libert�. Pochi isolati sotto Castro, sulla Market street, l'arteria della citt�, almeno diecimila homeless dormono per strada in mezzo ai negozi di abbigliamento e alle grandi banche. Sessanta organizzazioni caritatevoli si occupano di loro, ma loro aumentano; tutti capiscono che c'� qualcosa che non va in questo spettacolo di povert� ostentata nella citt� pi� ricca del mondo. E poi, le antiche meraviglie: i due ponti, il Ferry Building diventato uno splendido mercato coperto, la misteriosa ed enorme Chinatown, il Teatro dell'Opera, la Legion of Honor, il giardino dei fiori del Golden Gate Park, il nuovo Jazz Center, il nuovo Moma, le enormi sale dove si balla la salsa, l'aria di spavalda libert� che si respira. E poi la nebbia, che vi accoglier� ogni sera, come poetava cent'anni fa Carl Sandburg: "The fog comes/ on little cat feet./ It sits looking/ over harbor and city/ on silent haunches/ and then moves on". Nino Frassica e i suoi "nanetti" (di Davide Turrini, "Millennium" n. 28/19) "Ciao signor Arbore, sono un mio ammiratore. Al mio tre stacco. Tre". Meglio non lasciare Nino Frassica davanti ad una segreteria telefonica. Potrebbe ribaltarla, contorcerla, distruggerla. Chiedete a Renzo Arbore, se volete conoscere la storia nei dettagli. Correva l'anno 1978. Antonino Frassica da Galati Marina, prima villaggio poi periferia di Messina, contatta il maestro e lo stalkerizza per anni. Nascono Frate Antonino da Scasazza di Quelli della notte e il "bravo presentatore" di Indietro tutta. Ed � subito storia della televisione e della comicit� italiana. Trentacinque anni di surreale nonsense che si incunea felice e leggero in ogni angolo del Paese. I "nanetti", "� uguaglio", "non � bello ci� che � bello, ma che bello, che bello, che bello". "Enzo Jannacci diceva che l'importante � esagerare", spiega il comico sessantottenne attorniato da delizie culinarie sicule in un ristorante romano. Con un'avvertenza: impossibile non trattenere le risate ricordando la sua lunga carriera. - Prima di tutto: come va definita la tua comicit�? "Surreale. Sembra tutto vero e invece � tutto falso. Non faccio ridere per un semplice effetto comico ma perch� costruisco uno scherzo, prendo in giro. Poi accanto ho spesso persone, oggetti. Creo un piccolo mondo. La mia non � comicit� da monologo". - Una volta si parlava di "improvvisazione"... "� l'effetto Indietro tutta. In una puntata di un'ora succedevano cose che sapevamo e non sapevamo. Costruivamo tutto davanti alla gente. Registravamo alle 18, per Renzo (Arbore, ndr) era l'orario in cui eravamo pi� freschi, e il programma andava in differita di qualche ora senza che nessuno mai tagliasse nulla". - Torniamo agli esordi. "Questa � la segreteria telefonica di Renzo Arbore. Lasciate un messaggio dopo il bip". "Sul Radio Corriere Tv lessi che Andy Luotto aveva fatto la stessa cosa. Cercai il numero di Renzo sull'elenco. Era sotto Lorenzo. Provai e riprovai. Pensai: se mostro di essere bravo non gliene frega nulla, devo meravigliarlo. Cos� ogni tanto lasciavo un messaggino per incuriosirlo, ma non lasciai i miei recapiti". - Ti sei fatto desiderare... "Renzo ha sempre detto che quando sent� il primo messaggio stava mangiando una mela e quasi si strangol�. Mandavo cose tipo: Ah lei non � in casa? La richiamo stanotte alle quattro. Grazie". - Infine l'aggancio... "Lasciai finalmente numero e recapito. L'indomani non ero in casa, rispose mia mamma all'oscuro di tutto. Non ci credeva, disse che aveva chiamato quello della birra (Arbore faceva pubblicit� ai Produttori Italiani Birra, ndr). Lo richiamai subito. Mi disse: "Quando passi da Roma vienimi a trovare". Il giorno dopo, per caso, ero a Roma. Arrivai in via Teulada. E mi apparve questa immagine vip. Arbore con Luciano De Crescenzo, Gianni Boncompagni e Isabella Ferrari. Era il 1979. "Antonino", Arbore mi chiamava cos�, "non so come e quando ma presto facciamo qualcosa insieme". - Un ragioniere che voleva fare l'attore come campava negli anni settanta? "Facevo di tutto: l'animatore, il presentatore di sagre, il dj, suonavo i campanacci. Cos� riuscivo ad avere uno stipendio. Tutto cambi� con l'avvento delle radio private. Per una di queste conducevo un programma dove facevo fotoromanzi radiofonici. Che bela novela. Una storia strappalacrime dove recitavano miei amici. Per questo tra l'81 e l'82 venni chiamato da Arbore per scrivere i testi di Radio anghe noi. Tenevo una rubrica sulle feste patronali, un quiz simile a Indietro tutta, la posta e le pubblicit�. Poi arriv� la particina nel film FF.SS". - E Frate Antonino da Scasazza... "L'idea del frate la ebbe uno degli autori di Quelli della notte, Ugo Porcelli. Una volta arrivai alla riunione con un maglione marrone a collo alto. I baffi pi� grossi come si portavano all'epoca li avevo gi�. Dovevano formare il divano. C'era il comunista, il lapalissiano, la cugina, il professore. Porcelli mi fa: lo sai che sembri? Un fratacchione di campagna. E nei salotti gi� allora sbucava qualche Don Mazzi. Avrei detto s� anche se mi avessero chiesto di fare il gondoliere". - Le battute erano comunque tue? "Non avevo repertorio. Svenandomi comprai un treppiedi. Misi su una cassetta da 90 minuti e schiacciai Rec. E cos� nacque il concorso del "cuore toro", Scasazza, le storpiature, il delirio di parole". - "Era una notte di luna ripiena..." "Il bello del frate � che non si perdeva mai d'animo. Non sapeva dove andare, ma andava". - "Il Bi e il Ba", tuo esordio cinematografico da protagonista assoluto nel 1984 - regia di Maurizio Nichetti - fu un flop... "Mi telefonavano tutti i produttori. Tanti comici dalla tv erano finiti al cinema facendo grandi incassi. Con quel film non accadde, era troppo astratto". - La tv che facevi negli anni ottanta rispecchiava la leggerezza di quel periodo: una risata diversa, frutto di un'idea di presente e futuro visti con pi� serenit�... "� vero. Oggi � tutto controllato, studiato, stancante. Troppi professori ti dicono cosa devi fare. Eravamo pi� liberi. L'unico libero oggi � Maccio Capatonda". - Capatonda epigono di Frassica? "Vidi subito che era diverso. Soprattutto sul web, dove i comici potrebbero sperimentare ma sono tutti uguali. E poi Maccio ha talento. Omicidio all'italiana meritava un David di Donatello". - En passant: citiamo nomi di comici e sono tutti del sud Italia... "Pi� che del Sud direi della provincia. Nella provincia c'� il tempo di stare soli e di inventarsi mondi". - Nelle tappe della tua carriera tv siamo rimasti a "Indietro tutta"... "Renzo voleva tornare in tv. Mi chiam� e mi disse: "Lo voglio fare con te". Ci vedevamo, pensavamo qualcosa, ridevamo. Il giorno dopo tutto tornava in discussione. Poi sbuc� l'idea del quiz per prendere per il culo tutta la tv. Nel 1987 fui il primo ad entrare in studio ballando". - Ai concorrenti dicevi: "placcatevi"! "I tormentoni li studiavo nei particolari". - Tutta l'Italia in coro: "non � bello ci� che � bello, ma che bello che bello che bello". "Il tormentone deve avere un motivo musicale. Quando dicevo "Veeeroo", allungavo le E e le O con un suono prolungato in modo che fosse pi� facile da ricordare. Anche l'"Allegria" di Mike o il "Capitooo" dei Gatti di Vicolo Miracoli avevano musicalit�". - Ti hanno mai detto che non fai ridere?" "Su Youtube c'� chi si lamenta, ma sono pochi. Mi chiedo sempre: ma che motivo c'� di scrivere tutto quello che non ti piace sul web? Sai quante cose non ti piacciono nella vita? Ma sono cretini proprio. Sai quante cose non piacciono a me? Devo fare la lista?" - Altroch�! cosa non piace a Frassica? "I peperoni. � come se io entrassi in questo ristorante e dicessi: "Non mi piacciono i peperoni". I proprietari direbbero: ma che cazzo vuole questo? I peperoni stessi si offenderebbero". - Proposte indecenti dalla tv? "Mi hanno chiesto di tutto, anche i reality, perfino di andare all'Isola dei Famosi". - E cos'hai risposto? "Andiamo a Taormina. Scelgo l'albergo io. L'isola � pericolosa soprattutto per uno della mia et�. Nei reality si ride, spesso alle spalle dei fessi. Lo facciano pure, mica ho dei pregiudizi". - All'inizio degli anni novanta hai interpretato parecchi cinepanettoni. "Con la mia purezza e gusto i cinepanettoni mi facevano cagare. Aspettavo il grande "cinema". Nanni Moretti una volta mi chiam�, ma era per farmi i complimenti per Frate Antonino. Poi dissi di no a De Laurentiis per Yuppies. Mi chiam� Sergio Citti per Mortacci e lo feci. Il suo aiuto era Ferzan Ozpetek. Lo trattavo malissimo, gli chiedevo sempre di andarmi a prendere l'acqua minerale. A saperlo... Poi Vacanze di Natale '90 va a farlo Diego Abatantuono che ho sempre ammirato. Mi chiama Enrico Oldoini, un signore, a cui voglio bene, e mi dice: guarda, c'� pure Alberto Sordi. Allora vengo di corsa". - Nel film "Anni 90" eri un siciliano leghista... "All'epoca era comicit� surreale, oggi � realismo. Mia moglie nel film diceva: "Ma come sei antiquato". E io rispondevo: "Ma che dici. Ho votato Lega"". - Sei stupito delle percentuali a due cifre della Lega in Sicilia? "La mia spiegazione � questa. Vi ricordate Mamma Ebe? Era finita in carcere, poi usc� e un sacco di gente continu� ad andare da lei". - Il successo di "Don Matteo" te lo saresti mai aspettato? "La Rai per prima non ci credeva. Lo volevano mandare su Rai2. La prima puntata invece fece il botto. Don Matteo � il prodotto perfetto per il primo canale: semplice, facile. Dentro c'� molta umanit�. Fa respirare le persone dopo il telegiornale. � rasserenante". - Chi ti arruol�? "Sempre Oldoini. Ero candidato anche per Montalbano. Ma i cervelloni della Rai pensavano andassi l� sul set e dicessi Montalbano e Romina. Io ho fatto la gavetta anche nella prosa e Oldoini lo sapeva. A un certo punto al telefono mi passa Terence Hill. Pensavo che vivesse solo nei manifesti dei film, e invece � un gran signore. Una persona umile e modesta. Lui ci crede in Don Matteo. Don Matteo � lui. Mentre io sono un po' pi� intelligente di Cecchini". - Da carabiniere a carabiniere in "The Tourist" finisci nelle acque di Venezia spinto da Johnny Depp. "Il regista Von Donnersmarck chiese di me. Voglio quell'attore che recita in Don Matteo, disse. Sua mamma in Germania non se ne perdeva una puntata. Io e Depp girammo insieme, ma in acqua ci fin� una controfigura. La laguna di Venezia era marrone. Non sarei qui a parlare, ora". - Il momento pi� difficile della tua carriera. "Quando ebbi per la prima volta paura di ripetermi. Il frate, ad esempio, ebbe grande successo ma non l'ho mai pi� fatto. Un altro ci avrebbe campato anni". - Chi o cosa fa ridere Frassica? "Carlo Verdone come attore. Poi il Mago Forest e Maurizio Milani. Il primo Milani era fantastico. Ora si � un po' troppo politicizzato". - Tra Teocoli, Ambra Angiolini e Michelle Hunziker sei l'unico sopravvissuto di "Aspettando Adrian", l'ultimo non programma di Celentano... "Molti non hanno avuto il coraggio di lavorare senza copione. E hanno sbagliato. Un insuccesso non � niente di male nella vita. Perch�, la Hunziker aveva paura che non la chiamassero pi� a fare Striscia? Io ho un debole per Adriano. Se mi avesse chiesto di raccontare una barzelletta su Pierino l'avrei fatto. Il programma torner� in onda ma io ho gi� altri impegni. Il mio problema � quello di essere uno solo. Come diceva Maurizio Milani: sto sostituendo mio cognato".