Febbraio 2017 n. 2 Anno XLVII MINIMONDO Periodico mensile per i giovani Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registrazione 25-11-1971 n. 202 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Massimiliano Cattani Antonietta Fiore Luigia Ricciardone Copia in omaggio Indice Cuba: da Colombo a Castro Viva la curiosit� Cereali e barrette di casa nostra Dammi la gomma Girolimoni: Presunto mostro Nella splendida Trento Arianna Fontana: sulle lame della velocit� Alessandro Borghese: Musica e cucina Cuba: da Colombo a Castro (di Paolo Manzo, "Focus Storia" n. 124/17) - Fatti e personaggi che hanno fatto la storia di un'isola da cinque secoli protagonista della geopolitica - Anche se pu� sembrare incredibile, dopo quasi 60 anni di dittatura che ha concentrato la sua ricerca storica sulla revolucion, esiste anche una Cuba pre Fidel Castro che vale la pena raccontare. Ad avvistare per primo le coste dell'isola caraibica fu Cristoforo Colombo, nella notte del 27 ottobre 1492. Battezz� l'isola Juana in omaggio al principe Juan di Aragona, primogenito del re di Spagna che aveva finanziato la spedizione ma, alla fine, a imporsi � stato il nome Cuba, sulle cui radici etimologiche ci sono almeno quattro interpretazioni, tutte legate all'et� precolombiana. La prima ipotesi si ricollega alla parola ciba, che tra i Taino - l'etnia predominante alla fine del XV secolo - significava "pietra" o "montagna". La seconda � che Cuba derivi da Cohiba: nulla a che vedere con gli omonimi sigari resi celebri da Fidel Castro, visto che era il modo in cui gli stessi Taino chiamavano l'isola. Una terza ipotesi � che Cuba discenda dall'arabo coba, che indica la cupola della moschea, per la forma delle montagne che si vedono ancora oggi dalla baia di Bariay, dove Colombo quasi certamente sbarc�. Secondo l'Oxford Dictionary, tuttavia, il nome di Cuba trarrebbe la sua origine da cubanacan, che in lingua taino significa "luogo centrale": � questa infatti la posizione dell'isola, nel bel mezzo dei Caraibi. Oltre al navigatore genovese che nei suoi diari la defin� "la terra pi� bella mai vista prima da occhi umani", le informazioni scritte su quella che sarebbe stata ribattezzata in seguito dagli spagnoli la "perla dei Caraibi" cominciarono ad arrivare a partire dal XVI secolo. Tra le popolazioni indigene presenti a Cuba all'inizio della colonizzazione che, nei cinquant'anni seguenti, furono sterminate dalle epidemie di vaiolo, morbillo e altre malattie portate dagli spagnoli non c'erano solo i Taino, ma pure i Ciboney e i Guanajatabey. Erano tutti arrivati a Cuba, molti anni prima, dalle vicine coste del Nord America, del Centro e Sud America e da altre isole dei Caraibi. Fino al 1450, spiegano gli antropologi, il gruppo pi� popoloso sull'isola era quello dei Ciboney. Secondo il domenicano Bartolom� de las Casas, che visse con loro all'inizio del XV secolo, dialetto e cultura erano simili a quelli degli indigeni delle Bahamas, ma l'unica certezza � che, quando nel 1510 Diego Vel�zquez de Cu�llar inizi� la conquista manu militari, morirono quasi subito circa 100-mila indigeni. Un vero genocidio. Taino, Ciboney e Guanajatabey furono dichiarati estinti di l� a poco. Nel frattempo sotto il governo di de Cu�llar erano nate le prime sette citt� dell'isola, compresa l'attuale capitale, l'Avana. La scarsit� di manodopera costrinse gli spagnoli ad avvalersi di un gran numero di schiavi neri, quasi tutti comprati dal Portogallo. Era l'inizio della tratta atlantica, che prosper� sino alla fine del XIX secolo e mantenne sempre Cuba come tappa cruciale. Nel Seicento l'isola divenne il centro anche di altri traffici: a inizio secolo si registrarono sull'isola le prime incursioni dei celeberrimi pirati di Antille e Caraibi. I nomi che lasciarono il segno a Cuba sono molti. Come il feroce bucaniere francese Fran�ois l'Olonese, che dalla sua base nell'isola di Tortuga arriv� a comandare una flotta di 50 imbarcazioni e che a Villa Clara, sull'isola, trucid� un intero equipaggio spagnolo nel 1667. O il gallese Henry Morgan che, con 700 pirati, l'anno seguente mise a ferro e fuoco Camag�ey, facendo morire di fame donne e bambini che aveva imprigionato nella chiesa locale. Ma quali erano le ricchezze di Cuba, che tanto facevano gola? Esaurite rapidamente le miniere d'oro, sull'isola gli spagnoli puntarono su tabacco e allevamento. Ma perch� Madrid comprendesse davvero l'importanza economica della colonia ci volle l'occupazione britannica dell'Avana. Dur� 11 mesi, dall'agosto del 1762 al luglio seguente, durante la Guerra dei Sette anni. Soltanto dopo quello smacco, Carlo III di Spagna impose a Cuba una serie di innovazioni, dalla costruzione di nuove citt� strategiche per il commercio come Pinar del R�o, alla fortificazione dell'Avana, dal miglioramento delle infrastrutture interne alla riforma amministrativa. Nel 1774 il primo censimento cont� 171.620 cubani, destinati a crescere rapidamente tra il 1803 e il 1804, quando arrivarono migliaia di spagnoli in fuga dalla Louisiana, venduta agli Stati Uniti dalla Francia. La prima rivolta contro la corona spagnola per abolire la schiavit� dei neri sul modello haitiano fu repressa nel sangue nel 1812 e il suo leader, Antonio Aponte, giustiziato. A differenza delle altre colonie dell'America Latina - che proprio in quegli anni conquistavano l'indipendenza - Cuba non diede molti grattacapi a Madrid, anche perch� dal 1818 il governo dell'Avana ottenne il permesso di commerciare liberamente con tutti i Paesi del mondo. Inoltre allevamento, tabacco e canna da zucchero garantirono, dal 1823 in poi, una possibilit� di arricchirsi. Proprio quello stesso anno per� gli Stati Uniti lanciarono la "dottrina Monroe" con cui per la prima volta l'omonimo presidente Usa chiar� che per Washington "l'America doveva appartenere agli americani", intendendo per "americani" gli statunitensi ed escludendo le potenze europee, che finora avevano dominato a quelle latitudini. Da allora gli Stati Uniti cercarono - pi� volte e inutilmente - di comprare dalla Spagna Cuba, la cui importanza geopolitica era dovuta soprattutto alla poca distanza che la separa dalla Florida, appena 90 miglia di mare (neanche 150 chilometri). Ma l'isola che per quattro secoli fu una colonia spagnola era destinata a cambiare padrone, seppure a sua insaputa, di l� a poco. Nel 1868 scoppi� la Prima guerra d'indipendenza, detta dei "Dieci anni", che si concluse nel 1878 con un bilancio di 150-mila morti. Eppure sostanzialmente fu un nulla di fatto. Nel 1895, Jos� Mart�, il Garibaldi cubano, dichiar� la "Guerra necessaria". L'eroe venne ucciso quasi subito e, quando la lotta per l'indipendenza sembrava ormai vittoriosa, una nave statunitense esplose, il Maine, nel porto dell'Avana. Era il 1898 e Washington us� l'incidente per dichiarare guerra a una Madrid ormai quasi gi� sconfitta dagli indipendentisti. I marines ebbero vittoria facile, Cuba divent� formalmente indipendente nel 1902 ma, di fatto, si trasform� in un protettorato Usa. Soprattutto, quella guerra ebbe due conseguenze. La prima fu l'inizio dell'espansionismo statunitense in America Latina, destinata a diventare il "giardino di casa" di Washington. La seconda fu l'antiamericanismo che si diffuse sull'isola caraibica. Quel sentimento antiamericano fu uno degli ingredienti della rivoluzione castrista. L'obiettivo dei rivoluzionari guidati da Fidel Castro e Che Guevara era liberare l'isola dal dittatore Fulgencio Batista, gradito alla Casa Bianca e alla mafia che gestiva casin� e prostituzione. Il 1� gennaio 1959 i rivoluzionari entrarono vittoriosi all'Avana. Era l'inizio della Guerra fredda e l'escalation della tensione attorno a Cuba fu immediata. Il culmine fu la "crisi dei missili", i 13 giorni che fecero tremare il mondo, nell'ottobre del 1962: un braccio di ferro che rischiava di trasformarsi in conflitto nucleare tra le superpotenze, scongiurato per un soffio. Da allora, Cuba � rimasta una roccaforte delle rivoluzioni di ispirazione comunista: per cinquant'anni ha ospitato migliaia di guerriglieri latinoamericani per "allenarli a diffondere a livello globale la rivoluzione". Oggi sia il presidente ecuadoriano Correa sia quello venezuelano Maduro, passando per il boliviano Morales e l'uruguayano Mujica, possono tutti considerarsi "figli di Fidel", chi pi� chi meno. Ma gli ultimi anni hanno segnato una nuova svolta, dopo 60 anni di repressione interna e di embargo che hanno reso la vita dei cubani un percorso a ostacoli. Nel 2014 Cuba � stata riammessa nell'Organizzazione degli Stati americani, grazie alla storica apertura di Barack Obama. Il presidente statunitense ha concentrato i suoi sforzi proprio nel tentativo di attenuare quell'antiamericanismo iniziato con la guerra del 1898 e poi rafforzatosi negli anni Sessanta e Settanta. Cio� nei decenni in cui, per contrastare il socialismo in America Latina, Washington appoggi� dittature quasi ovunque. E adesso? Cuba torner� certamente di attualit�. Dopo la morte di Fidel Castro e, soprattutto, con la presidenza di Donald Trump che promette di rivedere i rapporti tra i due Stati, i destini di Cuba e Stati Uniti sono ancora destinati, nel bene e nel male, a rimanere legati a doppio filo. Viva la curiosit� (di Alessandra Fasola, "Focus" n. 272/15) - Parente dell'intelligenza e motore delle scoperte scientifiche, la curiosit� � una dote preziosa. Anche quando ci rende un po' ficcanasi - Ci incolla davanti a un puzzle, quando mancano pochi tasselli all'immagine completa. Ci tiene svegli finch� non scopriamo come finisce il libro che stiamo leggendo o il film giallo che stiamo guardando. � la forza che ci spinge a viaggiare, a interrogarci su come funziona un oggetto d'uso quotidiano o, forse meno nobilmente, che ci fa bruciare dalla voglia di sapere i dettagli di un gustoso pettegolezzo. Curiosi? Ecco, appunto. Stiamo parlando della curiosit�, dote prevalentemente umana(fatta eccezione per poche altre specie animali) e variamente definita dagli addetti ai lavori come impulso, istinto, passione, emozione, desiderio di conoscenza. A cosa serve, lo scopriamo subito. "La curiosit�", spiega Alberto Zatti, docente di Psicologia sociale all'Univerisit� di Bergamo, "conduce a una maggiore conoscenza degli altri individui e dell'ambiente in cui si vive. � pi� sviluppata negli animali predatori (e noi lo siamo) che per sopravvivere devono conquistare nuovi ambienti". In termini evolutivi tutto ci� ha un chiaro significto: salvarci la pelle. Immaginiamo la vita di un uomo preistorico, immerso in un ambiente ostile e in un gruppo sociale costantemente in lotta per la sopravvivenza. Chi, in queste condizioni, resiste di pi�: un individuo apatico, pigro, disinteressato o uno curioso, desideroso di scoprire ambienti nuovi, provare armi pi� affinate e sempre vigile su quanto accade all'interno del gruppo? Lo stesso scambio di pettegolezzi, effetto collaterale pi� popolare della curiosit�, ha in realt� funzioni precise: non solo il gossip fa (e faceva) girare le informazioni sugli altri membri del gruppo, ma aumenta la coesione sociale fra gli individui della propria comunit�. Ma quando scatta la curiosit�? Qual � la molla? A stuzzicarla � la percezione di una sorta di buco nelle informazioni a disposizione: diventiamo curiosi quando ci rendiamo conto che c'� una tessera mancante tra quello che sappiamo e quello che vorremmo sapere. Questa consapevolezza agisce a livello emotivo e provoca una sorta di "prurito mentale" (per usare le parole di George Loewenstein della Carnegie Mellon University, che ha studiato a lungo l'argomento) che trova sollievo solo attraverso la ricerca di nuove informazioni. Del resto, � proprio alla curiosit� che dobbiamo parte delle scoperte e delle invenzioni tecnologiche che hanno innalzato lo standard di vita degli esseri umani, dalla preistoria in poi. Se l'Homo erectus non si fosse interessato al fuoco forse ancora oggi mangeremmo cibi crudi e disporremmo di un cervello meno efficiente; se Alessandro Volta non avesse indagato i motivi che spingono le zampe della rana a flettersi a contatto con il metallo, forse oggi non avremmo l'elettricit�. Albert Einstein diceva di s�: "Non ho particolari talenti, sono solo appassionatamente curioso". A modo suo, e dall'alto della sua indiscussa intelligenza, Einstein intuiva la preziosa relazione che lega l'ingegno alla curiosit�. "L'intelligenza, intesa in senso ampio come capacit� di risolvere problemi di diverso tipo - relazionali, logici, matematici - comprende la curiosit�, che � appunto la spinta a individuare nuove opportunit�, rielaborando situazioni e oggetti. In questo senso, tra le due facolt� c'� un rapporto di tipo circolare, l'una alimenta l'altra", spiega Zatti. Eppure non tutte le persone curiose sono cervelloni, perch� non tutti sono curiosi allo stesso modo. Nel suo ultimo libro: Curious - The desire to Know (Basic Books), lo scrittore Ian Leslie identifica almeno due filoni. "Esiste una forma di curiosit� vacua, superficiale, e una pi� profonda: le potremmo chiamare, rispettivamente, "diversiva" ed "epistemica". Il primo tipo � l'attrazione generica verso il nuovo, l'insolito, lo sconosciuto. � un punto di partenza: se le informazioni raccolte non vengono approfondite, pu� tradursi in una perdita di tempo ed energie. Diverso � invece il caso di chi si concentra su un unico tema, con determinazione e investimento di energie fisiche, psichiche e cognitive. A trascinarlo � la voglia inesauribile di saperne di pi�, e di pi� ancora". Ci� che fa la differenza non � perci� l'argomento su cui ci si interroga, ma il modo in cui lo si fa. Entrambe le modalit� sono utili, ma la seconda, quella epistemica, porta maggiori vantaggi. "Chi si appassiona a un argomento non si annoia mai, perch� ci sono sempre cose nuove da scoprire e imparare. Queste persone sono pi� flessibili, facilmente adattabili ai cambiamenti, pi� piacevoli per s� e per gli altri", scrive Leslie. Una componente importante della curiosit� epistemica � lo sforzo che si compie durante la ricerca. In questo senso, strumenti come Google o Wikipedia possono rivelarsi armi a doppio taglio: da una parte rendono fin troppo agevole recuperare le informazioni, dall'altra spengono il desiderio di approfondire e rendono mentalmente pigri. C'� invece un tipo di curiosit� che non gode certo di buona reputazione. Si tratta di quella che gi� il filosofo David Hume nel '700 descriveva come "l'insaziabile desiderio di conoscere le azioni e le vicende dei vicini di casa": una curiosit� "spiccia", che si orienta verso i fatti privati degli altri o si attiva in situazioni emotivamente salienti, come episodi di violenza o cronaca nera, incidenti, relazioni proibite d'amore o di sesso. Questo tipo di interesse suscita sensazioni ambivalenti: da una parte c'� l'impulso a volerne sapere di pi�, dall'altra un vago senso di colpa, legato all'educazione e al principio secondo cui sarebbe sempre meglio farsi i fatti propri. Ma perch� capita di provare il desiderio di "ficcare il naso" nella vita di chi ci circonda? E perch� � quasi irresistibile la tentazione di fermarsi sul luogo di un incidente stradale e guardare la scena che si presenta, per spiacevole che essa sia? Di fatto si tratta di due atteggiamenti diversi: "Se la curiosit� � la pulsione a esplorare un ambiente, allora farci i fatti degli altri o sfogliare una rivista di gossip serve ad approfondire la conoscenza del mondo relazionale. Si impara il funzionamento delle reti sociali, si apprende cosa � socialmente premiato o condannato, ci si posiziona rispetto a un gruppo: funzioni fondamentali per la vita sociale dell'individuo", chiarisce Zatti. Diverso � il caso della curiosit� verso i fatti di cronaca nera o la tentazione irresistibile di fermarsi a guardare il luogo dove � avvenuto un incidente. In questi casi si ha a che fare con impulsi istintivi. Osservare la scena di una disgrazia, per esempio, ci consente di verificare se esiste un pericolo anche per noi; inoltre, preso atto della situazione, ci permette di capire se � il caso di intervenire o meno. "L'attrazione per i fatti di cronaca, invece, ci mette in contatto con gli eventi fondamentali dell'esistenza umana, come la morte. Osservare il corpo di un defunto o il luogo di un delitto pu� avere un valore rituale e funziona da memento mori", spiega Zatti. La curiosit� non solo � utile: fa anche bene. Lo conferma, ad esempio, lo studio condotto nel 2013 da Robert Wilson al Rush University Medical Centre di Chicago su 300 pazienti anziani. I soggetti con maggior curiosit� e desiderio di conoscenza hanno mostrato un declino mentale pi� lento e una minor incidenza di demenza senile. All'Universit� della California hanno inoltre osservato cosa succede nel cervello quando insorge la curiosit�. Secondo il neuropsicologo Charan Ranganath: "C'� una specie di circuito che si illumina quando riceviamo dei soldi o delle caramelle: questi centri cerebrali, detti della ricompensa, si attivano anche quando diventiamo curiosi. L'interazione tra i sistemi di ricompensa, quelli legati alla memoria e la produzione di dopamina, il neurotrasmettitore del benessere, paiono metterci in uno stato in cui � pi� facile apprendere e conservare un'informazione". Sar� anche per questo intrinseco legame tra desiderio di conoscenza e piacere, che le persone curiose sembrano avere una marcia in pi�. Secondo la psicologa inglese Sophie Von Stumm, la curiosit� sarebbe addirittura, insieme al quoziente intellettivo e alla consapevolezza, il terzo pilastro del successo. Einstein sembrava averlo capito: il futuro appartiene ai curiosi. Cereali e barrette di casa nostra ("RivistAmica" n. 7/16) - Riso e mais da mettere nel latte e snack per allietare la giornata: da una filiera controllata tutta italiana, arrivano prodotti che fanno bene alla salute e alla natura. Grazie a un procedimento che permette di conservare le propriet� originarie dei chicchi - Una prima colazione 100% naturale, con materie prime provenienti da coltivazioni biologiche, a due passi da casa. Una missione impossibile? No, se si decide di iniziare bene la giornata con i cereali biologici. E se si prosegue ancora meglio ricorrendo, per gli spuntini, alle barrette a base di riso e frutta secca, anch'esse rigorosamente biologiche di produzione nostrana. Cominciamo dai cereali biologici per la prima colazione, molto simili ai tradizionali "fiocchi" inventati nel 1894 dal medico americano John Harvey Kellogg. Il dottore era un membro della Chiesa avventista del settimo giorno, che riteneva "peccaminosi" la carne e i cibi piccanti. Schiacciando i cereali con un rullo, tostandoli e abbinandoli al latte, trov� cos� il modo di sostituire la colazione americana a base di uova e pancetta con una pietanza leggera e altamente energetica. Questi cereali biologici, per�, sono molto diversi, e per due motivi: le materie prime e il procedimento. Le materie prime sono mais e cereali biologici, provenienti esclusivamente da coltivazioni lombarde e piemontesi, parti di una filiera qualificata e sottoposta a severi controlli di qualit�. Nelle coltivazioni biologiche, infatti, l'uso di pesticidi e fertilizzanti chimici � bandito: al loro posto, diversi accorgimenti naturali, comuni anche alla produzione del riso. Come, ad esempio, la scelta di variet� rustiche, naturalmente resistenti alle malattie grazie a un ciclo di vita pi� breve; la rotazione delle colture, fondamentale per il controllo delle erbe infestanti; e la loro asportazione prima della semina, spesso avvalendosi dell'antico trucco della "falsa semina" (ossia la lavorazione e l'irrigazione del terreno al solo scopo di far crescere le erbacce). Per quanto riguarda i concimi, si ricorre invece esclusivamente ai tradizionali concimi di produzione animale, come ad esempio la pollina. Mentre la difesa viene effettuata ricorrendo anche alle trappole a feromoni (sostanze emesse dagli insetti per richiamare altri esemplari della loro specie), che attirano i piccoli insetti debellandoli senza intaccare la "naturalit�" delle piante di mais. Ma anche il metodo di produzione � fondamentale per ottenere cereali per la prima colazione capaci di conservare intatte tutte le caratteristiche nutrizionali del mais e del riso: ricchezza di ferro, fibre e acido folico per il primo; digeribilit�, propriet� astringenti, potassio e poco sodio per il secondo. Per farlo, � fondamentale che venga utilizzato il metodo della cottura in autoclave: i chicchi di mais e riso, una volta spezzati, vengono cotti ad acqua e vapore a 300-400�C tramite vapore e poi schiacciati per far loro assumere la tipica forma del fiocco. Altri prodotti utilizzano invece il metodo dell'estrusione: si parte non dal chicco ma dalla farina. I tempi di produzione si accorciano, ma molte delle propriet� di mais e riso si perdono per strada. Con questa filosofia, i cereali diventano un ottimo spuntino anche durante il resto della giornata, ricorrendo alle barrette di riso e frutta secca, che alle propriet� dei fiocchi di riso uniscono i vantaggi degli omega 3. Prodotti formati al 50% da riso biologico di produzione italiana e al 50% da albicocche secche, uvetta, mandorle e arachidi biologiche coltivate quasi completamente in Italia. A tenere insieme il tutto, sciroppo di glucosio e miele, naturalmente di produzione italiana. E niente olio di palma. Solo olio di semi di girasole. Naturalmente biologico e tricolore. Dammi la gomma (di Marco Ferrari, "Focus" n. 283/16) - E ti cambier� il mondo. L'evoluzione del caucci� si presta a sempre nuove applicazioni, "su misura" - Charles Goodyear era disperato. Stava lavorando da cinque anni a quello che riteneva fosse un processo chimico rivoluzionario: se solo fosse riuscito a portarlo a termine. Goodyear era un chimico e ingegnere statunitense che, nei primi decenni del XIX secolo, si era dato molto da fare per inventare e produrre strumenti agricoli capaci di dare una spinta all'industria americana. La fortuna non era stata dalla sua parte, per�, e gli affari erano andati male. Malato e affranto, decise di dedicarsi a un nuovo prodotto, la gomma, il lattice della pianta sudamericana Hevea brasiliensis. Che per� aveva il difetto di sciogliersi al caldo estivo e sgretolarsi nel freddo invernale. Goodyear si mise di buzzo buono, ma per cinque anni non riusc� a rendere la gomma stabile, e quindi utilizzabile. Finch�, un giorno, nel 1839, un'inusuale combinazione di gomma, calore e zolfo, venuti in contatto quasi casualmente sulla sua stufa (cos� vuole la leggenda), port� a un prodotto allo stesso tempo elastico, resistente e che sopportava le variazioni ambientali. L'invenzione del processo - chiamato vulcanizzazione dal nome del dio romano del fuoco Vulcano - rappresenta l'ingresso della scienza nella storia della gomma, la fine degli esperimenti artigianali e l'inizio della diffusione mondiale di un prodotto oggi indispensabile. Un vero vaso di Pandora, i cui doni sono ormai divenuti onnipresenti. La gomma ha una lunghissima storia e quello che sappiamo oggi � che la molecola su cui si basa quella naturale si chiama isoprene. Relativamente piccola, � composta da soli cinque atomi di carbonio unita ad altre molecole simili forma lunghissime catene, il poliisoprene. Le catene stesse nella gomma hanno una struttura casuale, come un mucchio di elastici gettati sulla scrivania. Quando per� sono afferrate alle estremit�, si dispongono in maniera pi� regolare e possono allungarsi e accorciarsi secondo le forze che si applicano loro. Purtroppo allo stato naturale il lattice, a temperature elevate, tende a perdere l'elasticit� e a diventare appiccicoso. La vulcanizzazione ha proprio lo scopo di creare legami chimici tra le catene, rendendo stabile in questo modo l'intera struttura. Dall'invenzione del processo da parte di Goodyear, la gomma ebbe sempre pi� successo, aiutata anche dalla produzione che si faceva pi� ampia, grazie alla coltivazione dell'Hevea anche fuori dal Sud America. Le sue propriet� e la facilit� di modificarle con processi chimici suggerirono agli inventori una serie di idee che rivoluzionarono l'industria. Tanto che viene spontaneo chiedersi, ai giorni nostri, come abbiamo fatto quando il mondo era privo di gomma. Come facevano, per esempio, a muoversi le automobili? Gli pneumatici, che oggi assorbono il 70 per cento della produzione di gomma naturale, sono stati inventati (meglio, reinventati) da John Boyd Dunlop nel 1888, e si dimostrarono essenziali per la nascente industria automobilistica. Che da allora non ha pi� potuto fare a meno di questo materiale: ogni vettura, oltre agli pneumatici, ancora oggi ha circa 70 kg di componenti in gomma. Dall'industria dell'auto si � poi passati a produzioni particolari, come tubi speciali, rivestimenti per cavi e molto altro. "Senza contare la miriade di componenti "nascosti" che fanno funzionare interi sistemi", racconta Marta Spinelli, presidentessa di Assogomma. "La variet� dei prodotti in gomma intorno a noi � talmente vasta che quasi non ce ne accorgiamo pi�". Sono di gomma anche prodotti assolutamente speciali; come i tubi usati dai ricercatori della base antartica Scott-Amundsen per costruire IceCube, il pi� potente "telescopio" al mondo per l'osservazione dei misteriosi neutrini, leggerissime particelle che dallo spazio cosmico arrivano sulla Terra. I tubi, progettati e realizzati dalla Ivg Colbachini di Padova, hanno permesso di convogliare un getto d'acqua bollente, che ha forato il ghiaccio dell'Antartide fino alla profondit� di 2.500 metri, dove sono stati posti i sensori capaci di rilevare le particelle. La gomma naturale, per�, � un bene relativamente raro e prezioso. I circa 12 milioni di tonnellate che si producono ogni anno in tutto il mondo sono usati preferibilmente per scopi precisi e delicati. Come le tettarelle per bambini (che possono essere anche di silicone, un materiale di natura diversa), che devono essere elastiche, facili da lavare, resistenti ai morsi, morbide ma non troppo. Se poi i bambini, pi� grandicelli, si sbucciano le ginocchia, si possono usare i cerotti elastici. E sono di gomma anche gli strumenti per... evitare l'acquisto di tettarelle e cerotti da parte di mamma e pap�, cio� i profilattici. Quelli moderni furono inventati nel 1855, non molto dopo il brevetto di Goodyear. Ma la gomma pu� trovarsi anche ai nostri piedi. Come le suole Vibram, che nacquero quando alcuni amici dell'industriale Vitale Bramani (il nome deriva infatti dalle sue iniziali) morirono in montagna per colpa delle scarpe inadatte. Con l'aiuto del gigante della gomma Leopoldo Pirelli, Bramani negli Anni '30 costru� le prime suole al mondo di gomma vulcanizzata, chiamandole "carrarmato". Anche la Technisub nacque dalle idee di un italiano: Luigi Ferraro, ex ufficiale di Marina, cre� le pinne Rondine, le prime con le scarpette che formano un tutt'uno con il piede, e la maschera Pinocchio, la prima con il naso sagomato in gomma. Questo materiale � cos� interessante che la ricerca scientifica ha inseguito per anni due obiettivi solo in apparenza contrastanti: sostituire la gomma naturale con quella sintetica, e trovare nel mondo vegetale altre sostanze che potessero prendere il posto del lattice della Hevea brasiliensis. Quando, a partire dai primi decenni del secolo scorso, per varie ragioni (tra cui la guerra) la disponibilit� della gomma naturale diminu�, i chimici cercarono di riprodurne la molecola. I primi a realizzare una gomma sintetica su scala industriale furono gli americani e, ancora una volta, la scoperta fu casuale: il neoprene fu inventato infatti nel 1930 dai chimici della DuPont Arnold Collins e Wallace Carother mentre lavoravano su un'altra sostanza. Oggi la gomma sintetica ha sostituito in gran parte quella prodotta dalle coltivazioni; la svolta � arrivata negli anni Sessanta del secolo scorso, quando la produzione della resina artificiale super� quella naturale. La maggior parte dei prodotti elastici e morbidi, ma anche di quelli robusti e resistenti attorno a noi sono infatti costituiti da gomme sintetiche. Che provengono da una costellazione di processi e di molecole di base, dallo stirene all'etilene, dal cloroprene all'isoprene. Questi mattoncini sono uniti per formare lunghe molecole con propriet� simili, anche se non identiche, a quelle del caucci�. Se l'albero della gomma produce un lattice, per�, perch� non cercare in natura i sostituti? A parte gomme particolari, come la guttaperca, che si usa anche in odontoiatria, o la gomma da masticare, sono stati trovati lattici interessanti in due specie del tutto diverse dall'Hevea. Una � il tarassaco russo (Taraxacum koksaghyz), parente del comune dente di leone. Coltivato gi� in Unione Sovietica dal 1931 al 1950 (poi torn� la disponibilt� di Hevea), � oggi utilizzato per i guanti chirurgici, inventati nel 1899 quando un medico cerc� di evitare che il personale sviluppasse la dermatite da prodotti chimici: la sua resina infatti non produce allergia come quella del lattice classico. Un'altra specie con un possibile futuro "gommoso" � il guayule (Parthenium argentatum), un arbusto che cresce a cavallo tra Messico e Stati Uniti. Ha il vantaggio di poter essere coltivato in zone aride ed � stato scelto da Bridgestone, il pi� grande produttore di pneumatici del mondo, per le sue ricerche. "La gomma del guayule, presente nella corteccia e nelle radici, ha caratteristiche molto simili a quelle dell'Hevea brasiliensis, e riteniamo possa diventare un suo ottimo sostituto", spiega Barbara Secchi, direttrice dell'area ricerca materiali del Bridgestone Technical Center. Le applicazioni della gomma, naturale e sintetica, si ampliano di giorno in giorno. Ne ha fatta di strada, insomma, da quando i Maya ne facevano la palla del loro gioco tradizionale. Girolimoni: Presunto mostro (di Piero Pasini, "Focus Storia" n. 123/17) - Nell'Italia degli anni Venti quel nome divenne ingiustamente sinonimo di pedofilia - "Guardatemi bene e, se avete una coscienza, non emettete falsi giudizi". Furono queste le parole che, al commissariato, Gino Girolimoni rivolse alla sua ultima accusatrice, che lo aveva riconosciuto come "il mostro di Roma". Ma era davvero lui l'uomo con il cappello marrone, i baffi e una cicatrice sul collo su cui si erano concentrati tutti i sospetti degli investigatori? Gino Girolimoni era stato fermato il 10 maggio 1927 dal brigadiere Giampaoli, suo commilitone durante la Prima guerra mondiale. L'agente era riuscito a portarlo in commissariato con un pretesto, per poi metterlo sotto torchio nella vana ricerca di una confessione. Si pensava cos� di mettere fine alla lunga catena di delitti che avevano tormentato la capitale fra il 1924 e il 1927: vittime, sette bambine, quasi sempre molto piccole, seviziate e in cinque casi uccise, strangolate con un fazzoletto rosso. Fin dal primo ritrovamento, il 31 marzo 1924, tutta l'Italia si indign� per la brutale aggressione subita da quella bambina di appena quattro anni, Emma Giacomini, ritrovata in fin di vita nel quartiere Monte Mario. Nelle zone popolari di Roma inizi� una caccia all'uomo che si trasform� in una "caccia al mostro" dopo il cosiddetto delitto della Biocchetta. Nel giugno del 1924 fu trovato il corpo di un'altra bambina: Bianca, detta Biocchetta, di 3 anni, morta per le conseguenze di una violenza carnale. Un ignaro vetturino, sulle prime preso per il colpevole, fu quasi linciato dalla folla e in seguito mor� avvelenato, probabilmente suicida, per la vergogna di quell'accusa. Fu lui la prima "vittima collaterale" di quell'incubo romano. Erano i primi anni del fascismo e Mussolini aveva ordinato di usare ogni mezzo per catturare il mostro: in gioco c'era la credibilit� dello Stato. Per ottenere qualche risultato la polizia, che brancolava nel buio, arriv� al punto di utilizzare bambine degli orfanotrofi come "esche": venivano lasciate nelle piazze a giocare da sole, osservate da lontano da agenti di pubblica sicurezza. Ma il mostro non agiva cos�: prelevava le bambine direttamente dalle loro abitazioni e proprio il fatto che agisse sempre in situazioni protette aliment� una paura irrazionale verso il "vicino di casa", facendo dilagare sospetti, delazioni e calunnie. Quando fu messa una taglia sulla testa dell'assassino furono molti i cittadini che iniziarono a collaborare attivamente, fornendo per� anche false testimonianze e accuse immotivate, senza troppi scrupoli. Venne proposta una promozione per i funzionari di polizia che avessero scovato l'assassino, il che port� molti agenti a conclusioni per lo meno affrettate. Fu proprio la speranza di ricevere una promozione a convincere il brigadiere Giampaoli ad accusare Gino Girolimoni, procacciatore di casi per gli avvocati del foro di Roma e perci� sempre in mezzo a brutte storie di reati. Girolimoni, per di pi�, aveva fama di libertino. Scapolo incallito, relativamente benestante, aveva una passione particolare: parte della sua abitazione era adibita a studio fotografico, dove accoglieva belle donne e famiglie con bambini a cui scattava ritratti su commissione. Come vedremo, l'interesse per la fotografia si riveler� fatale. Agli inizi di maggio del 1927 un'ennesima giovane vittima fu trovata vicino a un'osteria dove era da poco entrato un signore con un cappello, i baffi e una ferita al collo, accompagnato da una bambina. L'oste fece due pi� due e concluse che il cliente con la bambina doveva essere il mostro che tutti cercavano. La polizia inizi� a rastrellare il quartiere portando testimoni e sospetti in commissariato. Girolimoni gironzolava proprio intorno al commissariato a caccia di clienti in cerca di difesa legale, quando il brigadiere Giampaoli not� la cicatrice che il suo ex commilitone si era procurato in guerra. Tanto bast� a far finire Girolimoni in un confronto faccia a faccia con l'oste e con altri sedicenti testimoni del delitto. Gli eventi precipitarono: fu riconosciuto dall'oste e da una signora. Ma, soprattutto, in casa sua vennero rinvenute foto di bambine: le aveva scattate durante il suo secondo lavoro di fotografo, ma furono usate come una prova schiacciante. Girolimoni fu descritto dai giornali come un degenerato, un pazzo, un malato nella migliore delle ipotesi. Girolimoni, per di pi�, ci metteva del suo. Non abbandon� mai l'atteggiamento sprezzante nei confronti del suo accusatore, Giampaoli, l'ex amico. E questo gli procur� un trattamento molto duro da parte della polizia: pestaggi e torture. Ma Gino non confess� mai. A incastrarlo arriv� la testimonianza di una ragazzina. Era una domestica che lavorava per una delle amanti di Gino. La ragazza, pare costretta dai suoi datori di lavoro, accus� Girolimoni di averci provato con lei. Il libertino-fotografo fu arrestato e la notizia si diffuse rapidamente, facendo tirare un sospiro di sollievo ai romani e segnando un punto a favore della polizia. Ma i colpi di scena non erano finiti. I dettagli dell'indagine pubblicati sui giornali, in particolare quelli relativi alle circostanze che avevano portato al riconoscimento di Girolimoni, condussero a una svolta: l'uomo che si era recato in osteria con la bimba poco prima del delitto si riconobbe nella descrizione dei giornalisti e decise di chiarire la propria posizione e and� alla polizia per scagionare Girolimoni. A corroborare la sua versione dei fatti c'era la bimba stessa, viva e vegeta. Era l'8 marzo del 1928 e Girolimoni era in carcere da quasi un anno. Ormai, per�, l'opinione pubblica aveva avuto il suo capro espiatorio e il regime un successo della repressione che non voleva perdere. Un nuovo processo non si doveva celebrare, perch� l'assoluzione avrebbe vanificato tutto. Che fare? L'uomo dell'osteria venne trattenuto in commissariato e intimidito affinch� non parlasse dell'errore giudiziario. Girolimoni, che si era sempre dichiarato innocente, fu scarcerato senza clamore: per ordine del duce i giornali non diedero la notizia. Girolimoni si era fatto 11 mesi di galera. Un periodo relativamente breve nel quale per� il suo nome (specie senza la notizia della riabilitazione) era ormai diventato sinonimo di pervertito, pedofilo e quindi, secondo la mentalit� del tempo, di omosessuale. Gino tent� una battaglia per la propria riabilitazione. Battaglia persa in partenza, perch� il fascismo non voleva riconoscere il suo errore e Girolimoni era ormai sinonimo di mostro. Decise di cambiare identit�, ma veniva riconosciuto per strada e l'opinione pubblica continuava a ritenerlo colpevole. Girolimoni allora fece qualcosa che certo non lo aiut�: sequestr� la figlia del commissario, presentandosi come un parente all'uscita di scuola. Per il rilascio pretendeva una riabilitazione a mezzo stampa. Ma era un uomo di buon cuore e, di fronte al rifiuto del commissario, rilasci� la bambina. Scrisse anche, senza successo, una supplica a Mussolini. Poi iniziarono anni bui di alcolismo e sofferenza. Dopo, con il ritorno della democrazia e della libert� di stampa, la riabilitazione di Girolimoni sembr� a portata di mano. Ma lui, ormai vecchio e provato, non ebbe le forze di farsi ascoltare. Era passata troppa acqua sotto i ponti e Girolimoni era ormai diventato sinonimo di mostro. L'unico tardivo riconoscimento giunse dopo la morte, nel 1961. La questione venne risollevata e la citt� di Roma gli dedic� una strada: "via Gino Girolimoni, innocente". Nella splendida Trento (di Mattia Scarsi, "Bene Insieme" n. 12/16) - Una gita nel capoluogo trentino tra storia, arte e tradizioni - Circondata com'� dai colori dirompenti della natura, Trento sembra quasi avvinghiata al maestoso arco alpino che la incornicia, che ne protegge i tanti tesori storici. Diciamo subito che, pur essendo capoluogo di provincia, Trento non � una citt� di grandi dimensioni: le sue strade e vie mai troppo trafficate n� affollate, i servizi presenti e puntuali, le distanze a misura d'uomo - tanto che tutto il centro � facilmente visitabile a piedi - la rendono uno dei posti ideali dove vivere o anche solo dove passare un fine settimana diverso. Per iniziare a visitarla conviene partire dal centro storico: sbucando in piazza del Duomo rimarrete subito a bocca aperta. Davanti a voi un corteo di edifici monumentali si "sporgono" nella luminosa cornice dei monti. L'edilizia fantasiosa e i vari stili, ci raccontano la lunga storia della citt� e dei suoi personaggi. Inoltre � qui che troverete osterie, bar e ristoranti; qui si danno appuntamento gli abitanti per fare quattro chiacchiere e due passi lungo le vie principali. Al centro sorge la Fontana del Nettuno, con piccole sculture di tritoni e ninfee, uno dei monumenti chiave della citt�. Guardatevi intorno: il perimetro della piazza � un caleidoscopio di colori. A sud il Duomo ossia la cattedrale di San Vigilio, patrono della citt�, la cui facciata settentrionale si allunga, in tutto il suo candore, fino alla cupola a cipolla del campanile. A nord fanno bella mostra di s� gli affreschi cinquecenteschi delle case Cazuffi Rella, con fregi e facciate di gran pregio. La cattedrale, di cui consigliamo una visita interna, risale al basso Medioevo ma cela tra le sue mura, una storia molto pi� antica: per scoprirla dovrete inoltrarvi nella cripta sotterranea dove troverete una chiesa paleocristiana, sorta proprio sul luogo di sepoltura di San Vigilio, primo vescovo di Trento nel 405 d.C.. A proposito di vescovo, avete gi� notato la Porta del Vescovo? Impossibile che passi inosservata: dovete sapere che proprio da l� passarono le pi� alte maestranze ecclesiastiche ai tempi del Concilio di Trento (XVI sec'). A due passi dal Duomo, che ne dite di dare uno sguardo al duecentesco palazzo Pretorio? Fra le merlature e la possente Torre Civica sembra proprio di trovarsi ai piedi di un castello. Di origini medievali, � stato modificato e ampliato nel corso dei secoli. Percorrete le sontuose scalinate, ammirate gli affreschi di varie epoche e i tanti capolavori esposti. Fra le tante chicche, una mostra permanente sull'antico Egitto, che impreziosisce ancor pi� il Palazzo pi� ammirato e visitato di Trento. Da antica residenza dei Principi Vescovi, divenne in seguito sede della Corte di Giustizia e del Pretore (da cui il nome): oggi ospita anche il Museo Diocesano Tridentino (Tridentum, antico nome di Trento). Riprendete a camminare: passeggiare per le strade � il modo migliore per apprezzare i monumenti storici e architettonici della citt�, in particolare i palazzi di via Belenzani, una strada ampia ed elegante, tra le pi� belle della citt�. � fiancheggiata da palazzi rinascimentali di tipo veneto, taluni con facciate affrescate, come il cinquecentesco palazzo Geremia. I portici pullulano di caffetterie e osterie dove potrete fermarvi per il pranzo. Le antiche mura di Trento sono ben visibili da piazza Fiera, sede di eventi e mostre come i sempre molto attesi "mercatini di Natale" che qui, come in tutto il Trentino, hanno un'atmosfera tutta loro. Fino al 6 gennaio Trento ospita il sempre pi� atteso mercatino natalizio tra le mura della suggestiva Piazza Fiera. Capace di attrarre ogni anno circa 500-mila visitatori, l'evento prevede una settantina di casette in legno con stand provenienti da tutto il Trentino, e da diverse regioni del nord Italia, a conferma della caratura e dell'importanza che il mercatino ha assunto nel corso degli anni. L'offerta � grande e variegata: da una vasta gamma di prodotti artigianali, quali addobbi, candele, cornici, presepi, fiori pressati, al vero polo di attrazione rappresentato dalle "Casette dei Sapori". Qui potrete degustare specialit� dolci e salate sia trentine che tirolesi, come il Tortel de patate, i Cevap della Valle dei Mocheni, i canederli e la piccola pasticceria, da accompagnare con una buona cioccolata calda e con del vin brul�. Insieme a tanta tradizione, il mercatino si evolve col proprio pubblico: fra le novit�, da segnalare una casetta con prodotti senza glutine e un Punto Bimbi per la pulizia e l'allattamento dei piccoli. Per il secondo giorno vi esortiamo a cambiare prospettiva per andare alla scoperta della "Trento underground". Nel sottosuolo di questo sorprendente capoluogo infatti, vive l'antica Tridentum romana, lo "splendidum municipium", come lo defin� l'imperatore Claudio. Attraverso i lunghi secoli della sua vita la Trento romana, fondata per presidiare la valle dell'Adige, sub� interventi e modifiche fino a essere inglobata nella citt� medievale e moderna. Passeggiando nel centro storico � possibile scoprire alcuni tra i siti pi� suggestivi di Tridentum, fino ad accedervi attraverso la sua porta principale, a camminare sulle strade e a entrare nelle case dei suoi antichi abitanti. "Riemersi" potete come si dice qui "far en giro al sas", ossia fare un giro in centro e zone adiacenti, per dare un'occhiata alle vetrine oppure, se preferite dedicarvi alla cultura, scegliendo la visita del museo delle Scienze Naturali, il Muse, progettato dall'Archistar genovese Renzo Piano. Fra l'altro, tra il museo e il fiume Adige � stata creata una bella area verde che, temperature permettendo, diventa un luogo ideale per un po' di relax all'aperto. Dopo un bel pranzo (entrate fiduciosi nelle antiche birrerie, troverete tante pietanze locali), che ne dite di un po' di trekking? Tranquilli, non c'� bisogno di particolare attrezzatura: per camminare non bisogna per forza puntare cime innevate e sentieri impervi. Potete scegliere fra decine di percorsi diversi per sperimentare un punto di vista inedito sulla citt� e sui sobborghi. � un fenomeno che potremmo chiamare "trekking urbano" e che fra palazzi, monumenti, vigneti e antichi masi vi porter� a spasso nella storia di Trento e nella natura che la circonda. I percorsi sono alla portata di tutti, con indicazioni lungo il percorso, punti di sosta e dislivelli, proprio come in montagna. Uno dei pi� "impegnativi" (ma anche dei pi� belli) vi condurr� sulla Maranza, la montagna che sovrasta la citt� sul lato destro della valle dell'Adige. Inoltratevi in questo ambiente rimasto praticamente intatto, tra meravigliosi boschi di latifoglie e rododendri. Trento a Tavola Fra i secondi si pu� scegliere fra bolliti, brasati, selvaggina, cacciagione, pesce, specialmente trote. Non mancano le specialit� ereditate dal pasato asburgico come il gulash e lo speck. Fra i primi piatti spiccano i canederli in brodo, uno dei piatti pi� famosi della cucina trentina, tanto da venir citati in una nota canzone popolare. Sebbene imparentati con i Kn�deln altoatesini, differiscono da questi ultimi per dimensioni e spesso anche per gusto. Per esempio tra gli ingredienti della versione trentina � immancabile, oltre allo speck, la luganiga, ovvero la salamella di maiale fresca e speziata tipica del Trentino. I canederli sono un piatto povero, fatto sostanzialmente con materiale di recupero (pane raffermo, briciole di formaggio a pasta dura, un po' di luganiga) e con tanta fantasia nel mixare e dosare gli ingredienti a disposizione: eppure questa pietanza � amatissima dai locali, � una squisitezza e dona un ottimo apporto energetico per le nostre passeggiate. Arianna Fontana: sulle lame della velocit� (di Pierluigi Pardo, "The magazine" n. 4/16) - Campionessa di short track gi� prima di compiere 16 anni, nel suo ricchissimo palmar�s, che conta oltre 120 medaglie tra Campionati italiani, Europei, Mondiali e Giochi Olimpici, ne manca solo una: quella d'oro delle Olimpiadi. E Arianna � certa che la prossima volta sar� sua - L'ossessione della velocit� e il rumore della lama nel ghiaccio, la voglia di vincere fin da piccola e i pizzoccheri con il burro caldo sopra. Arianna Fontana ha gli occhi gentili e lo spirito feroce e combattente dei grandi sportivi, che la sua "baby-face" pu� solo vagamente dissimulare. � diventata donna da giovane, atleta ancor prima, Cavaliere al merito della Repubblica mentre le sue coetanee pensavano (legittimamente) soprattutto a flirt e discoteche. � bella e brava, abituata da sempre a correre su un filo, quello della fama dei suoi pattini: un confine sottile, a volte impercettibile, che separa le vittorie dalle sconfitte, la felicit� dal rimpianto. Ma la sua � soprattutto, come per molti altri atleti, una storia di passione, di sensazioni irrinunciabili che il corpo trasmette alla mente diventando puro piacere. Il vento, prima di tutto: "La cosa pi� bella � quando aumento l'andatura, inclino il corpo, la lama disegna rapida sul ghiaccio e ogni cosa � perfetta. C'� il rumore dell'aria tutto attorno e, forse, l� fuori far� pure freddo ma io non ci penso, non ho il tempo di poterlo fare, so solo che devo andare pi� veloce che posso". Arianna stima le colleghe del pattinaggio artistico, ma la sua � una diversa forma d'arte: la musica � dentro, non c'� bisogno di quella degli altoparlanti, tutto � scandito dalla velocit�, dalle traiettorie ardite a pochi centimetri dal ghiaccio, dalla sfida anche psicologica con le avversarie che inizia gi� prima di partire. Arianna ha cominciato da giovanissima, questione di famiglia, DNA "logico" se nasci sotto il cielo della Valtellina e conosci neve e ghiaccio fin da piccolissima. "Il mio primo avversario � stato mio fratello Alessandro, di due anni pi� grande. Sfidarlo e provare a batterlo era la cosa pi� naturale del mondo. Gareggiavamo per ogni cosa e in qualsiasi gioco o sport, sul ghiaccio o con i pattini a rotelle". Poi il salto all'agonismo. Arianna � forte, fortissima, precoce. Entra in Nazionale da adolescente, ad appena quindici anni, e subito conquista la medaglia d'argento ai Campionati Europei. Si prepara cos� per Torino: le Olimpiadi Invernali del 2006 sono la prima grande impresa della sua carriera. "Ci sono tante gare importanti, ma per noi dello short track, e per molte altre discipline cosiddette "minori", le Olimpiadi rappresentano un'occasione unica. � in quel momento che tutto il mondo, anche quello dei non appassionati, scopre il nostro sport. Nel 2006, poi, l'attenzione della gente era ancora superiore, visto che si gareggiava in Italia". Al resto pensa lei: a 15 anni e 314 giorni diventa l'atleta italiana pi� giovane a portarsi a casa una medaglia olimpica, ottiene il bronzo nella staffetta assieme a Marta Capurso, Mara Zini, Katia Zini e Cecilia Maffei, grazie anche alla squalifica delle cinesi. I ricordi sono confusi ma bellissimi: "L� per l� non avevo capito, non mi ero resa conto del valore di quell'impresa. Solo quando sono tornata a casa, nel mio paese, vedendo la reazione della gente ho realizzato che cosa avessi fatto. Ricevere il titolo di Cavaliere al merito della Repubblica a quindici anni � stato poi un ulteriore orgoglio, l'idea di aver fatto qualcosa di bello, di grande, non solo per me, ma per l'Italia tutta, mi ha riempito di gioia". Quella delle sue Olimpiadi torinesi � una storia fatta di curiosit� e selfies, di avventure da vivere e gente da conoscere. Un mix magico composto dall'adrenalina delle gare, dai colori, dalle storie di atleti che arrivano da tutto il mondo e si ritrovano nel Villaggio Olimpico e che finiscono per scandire la vita in quei giorni pazzi e indimenticabili. "Ogni tanto mi capita di riguardare le fotografie e di scoprire come tutto, in questi pochi anni, sia cambiato. A Torino facevo migliaia di scatti, ero come in gita, fotografavo ogni piccolo dettaglio perch� volevo restasse con me: ero emozionata e curiosa. A Vancouver, quattro anni dopo, le foto erano gi� di meno. A Sochi, nel 2014, pochissime. La componente del viaggio, dell'"esperienza olimpica" aveva lasciato spazio alla concentrazione totale in vista della gara". Rimangono i ricordi, comunque. E valgono molto di pi� di un album di foto su Facebook o Instagram. "Bastano e avanzano. E so di essere proprio fortunata. Ho avuto tanti privilegi, soprattutto quello di partecipare a un'Olimpiade nel mio Paese e di averlo fatto quando ero ancora un'adolescente. � stata un'emozione incredibile. Mi spiace che la candidatura di Roma 2024 sia tramontata, anche se non ho le competenze per poter giudicare la scelta del sindaco che ha deciso di rinunciare. Rispetto la decisione, per�, certamente, da sportiva, da atleta e da italiana, posso dire che mi dispiace". Non c'� solo il vento sulla pelle o l'adrenalina delle vittorie e dei momenti olimpici nella vita di Arianna. La sua quotidianit� prevede dalle sei alle otto ore di allenamento al giorno. "D'estate carichiamo i muscoli con palestra e bici, poi, quando si avvicina l'inizio della stagione, andiamo sul ghiaccio". � proprio nella routine degli allenamenti e dei ritiri che conosce l'uomo della sua vita, Anthony Lobello; anche questa � una bella storia, di scelte e fedelt�, colpi di scena e dichiarazioni mozzafiato. "Nel mondo dello short track non siamo in molti. Mi capitava di incontrare Anthony alle gare e sapevamo di piacerci da tempo ma non era mai accaduto nulla, finch� un giorno, all'improvviso, me lo ritrovo, a sorpresa, aggregato alla squadra in uno stage della Nazionale italiana. Avendo genitori italoamericani, aveva scelto di abbandonare la bandiera statunitense e di pattinare con la maglia azzurra; ma la sorpresa pi� grande doveva ancora arrivare: mi ferma e mi dice che l'aveva fatto solo per me". E cos�, otto anni dopo aver pattinato con i colori a stelle e strisce a Torino, Anthony Lobello scende sul ghiaccio di Sochi con la tuta azzurra dell'Italia. Poche settimane dopo, il 31 maggio del 2014, davanti al lago di Como, i due si dicono di s�; le cronache parlano di una cerimonia all'americana, con sei damigelle e altrettanti testimoni. Un giorno bellissimo che arriva, per�, dopo la pi� grande delusione per Arianna: "Il mio maggior rimpianto di atleta rimane l'oro mancato ai Giochi Olimpici. A Sochi ero certa di potercela fare nei 500 metri". La cinese Fan Kexin, grande favorita della gara, tra l'altro era uscita per una caduta in semifinale. La pattinatrice italiana si trovava di fronte la sudcoreana Park Seung-hi, la britannica Elise Christie e l'outsider cinese Li Jianrou. Il "piano" fu rovinato da un'entrata scorretta su Arianna dell'inglese, che verr� subito giustamente squalificata: "Un grande argento, per me, ma anche un ricordo doloroso. Sapevo di poter arrivare alla medaglia d'oro. Il contatto nel nostro sport esiste ed, entro certi limiti, viene tollerato; ma quello della Christie fu veramente irregolare. Tornai a casa con sentimenti opposti. Da un lato l'orgoglio di essere andata a medaglia nella terza Olimpiade consecutiva (a Vancouver, nel 2010, avevo conquistato il bronzo nei 500 metri), dall'altro la profonda delusione per non essere riuscita a vincere l'oro". Per lei, per�, � uno stimolo in pi�, quello delle rare amarezze, che la spinge a non mollare: "Le sconfitte sono importantissime, hanno un grande valore, aiutano a crescere. Se proprio devo essere sincera, posso dire che "da incazzata" pattino nettamente meglio...". Oggi come agli esordi, Arianna � a caccia di nuovi trionfi con la passione e la determinazione di sempre e l'esperienza, per�, di un'atleta compiuta, matura: "La passione � sempre l�, altrimenti non potrei allenarmi tutti i giorni con l'entusiasmo necessario. Adoro soprattutto la breve distanza dei 500 metri e le staffette. Con il tempo ovviamente sono maturata, sia nella gestione delle energie sia nella condotta di gara. Deve esistere sempre una strategia precisa. Anche nella distanza breve non puoi pensare di pattinare a tutta forza dall'inizio alla fine. Le energie risparmiate per lo sprint fanno quasi sempre la differenza". Una maturazione evidente anche al volante: "La velocit� � una droga e mi piace sempre, anche quando guido. All'inizio in auto ero un po' spericolata, poi mi sono calmata, sono diventata pi� prudente e riflessiva". Nella quotidianit� di Arianna ci sono le certezze rassicuranti di sempre. Gli allenamenti, i ritiri e, da due anni a questa parte, la vita familiare, serena, fatta di cose semplici: "Mi piace guardare lo sport in TV, soprattutto quelli di contatto, come il football americano. Seguo, infatti, la National Football League: mi sono appassionata grazie ad Anthony, che mi spiega le tattiche e le sfumature del gioco. Amo anche molto cucinare. La ricetta del cuore, da vera valtellinese, rimane quella dei pizzoccheri: verza, patate e tanto burro. Fra dieci anni mi vedo cos�: con due figli e magari con una medaglia d'oro olimpica al collo". L'oro rimane il colore che racchiude ogni suo pensiero. Il desiderio pi� grande, l'obiettivo che la mente d� al corpo per continuare e non fermarsi. Il resto � nell'allegria di questa giovane donna, nel suo impegno, nella luce dei suoi limpidi occhi chiari e nel colore del ghiaccio bianco e lucente appena pi� sotto. Con la stessa idea dentro al cuore: pattinare nelle gare e nella vita ancora pi� veloce, senza fermarsi mai, con il vento che soffia forte sulla tuta, il ghiaccio sotto la lamina e nessuna avversaria davanti. Alessandro Borghese: Musica e cucina (di Andrea Di Quarto, "Tv Sorrisi e Canzoni" n. 7/17) - Con lo chef pi� rockettaro della tv sul set di "Kitchen sound" - Finito il giro d'Italia con il suo "4 ristoranti", Alessandro Borghese � tornato ai fornelli. Lo incontriamo sul set della nuova edizione di "Kitchen sound", la sua pillola quotidiana di ricette a ritmo di musica. "Quest'anno avremo varie declinazioni gastronomiche" ci spiega. "Cominciamo con "Movie": una sessantina di ricette prese dai film. Dallo spaghetto al pomodoro di "Miseria e nobilt�" alle lumache alla bourguignonne di "Pretty woman". Io, naturalmente, le rifaccio alla mia maniera". - A "Kitchen sound" la musica ha un ruolo importante. Dica la verit�, lei voleva fare la rockstar. "Verissimo. Sognavo di essere il frontman dei Guns N' Roses o dei Led Zeppelin, mi vedevo sul palco. La musica mi � sempre piaciuta, dal rock al blues, dal jazz alla classica. Muove il mondo, un po' come la cucina. Entrambe hanno un potere evocativo incredibile". - Perch� ha fatto il cuoco? "Cucinando per gli amici nei fine settimana scoprii che creare qualcosa e farlo mangiare � un atto d'amore, dedichi il tuo tempo agli altri. Non ero tanto studioso e cos� dopo la Maturit� sono andato sulle navi da crociera". - E ha scoperto che anche la cucina richiede studio. "Esatto, uno studio continuo e perenne. Non c'� mai fine a ci� che si pu� imparare sulle materie prime e sulla loro manipolazione. A un certo punto � diventata la mia vita, mi piace farlo e non mi pesa. All'inizio non avevo certo velleit� da star, non pensavo al successo". - Che per� non � casuale. "Il nostro � un lavoro serio, uno chef ha bisogno di essere imprenditore di se stesso. Io sono stato un precursore dei siti web di oggi, pi� di 10 anni fa cucinavo in diretta su Internet, trasmettevo tutto dal computer di casa. Poi ho creato la mia "AB Normal" che cura il mio marchio, il catering, gli eventi e anche un negozio di pasta fresca a Milano". - La tv come � arrivata? "Una classica situazione alla "Sliding doors": dovevo andare in Cina per tre anni a lavorare per i ristoranti di uno stilista milanese. Intanto a Real Time cercavano cuochi per un reality. Mia madre (l'attrice Barbara Bouchet, ndr) mand� una mia foto, feci il provino e mentre stavo per mettere piede sull'aereo dissi: "Proviamoci", pur con molti dubbi. � andata bene: feci "Cortesie per gli ospiti" e "L'Ost"". - Nel 2008 reclamizz� un prodotto surgelato e gli chef insorsero. "Mi criticavano perch� il cuoco deve stare pi� tempo in cucina. Non � sbagliato, ma io dicevo anche: "Se ce ne stiamo sempre chiusi come facciamo a comunicare quello che facciamo, le tendenze e tutto il resto?". Jamie Oliver non sa cucinare e Gordon Ramsay fa dei pastrocchi, eppure hanno 30 ristoranti e 10 programmi!". - Poi in tanti hanno seguito le sue orme... "Li ho aspettati al varco e sono arrivati tutti. Vissani ha pubblicizzato i surgelati, Cracco le patatine, Marchesi l'hamburger di McDonald's. I ristoranti stellati hanno costi stellari, servono introiti extra che aiutino a mantenere questi standard cos� alti". - Alessandro, ma lei cosa cucina a casa sua? "Cucino poco, "schiavizzo" mia suocera. Le faccio la spesa e lei fa quello che vuole. Mangio di tutto, ma sono un pastasciuttaro. Devo stare attento, per�, perch� ingrasso facilmente. Ora sono a dieta perch� "4 ristoranti" mi ha distrutto".