Febbraio 2019 n. 2 Anno XLIX MINIMONDO Periodico mensile per i giovani Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registrazione 25-11-1971 n. 202 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Massimiliano Cattani Antonietta Fiore Luigia Ricciardone Copia in omaggio Rivista realizzata anche grazie al contributo annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri per un importo pari ad euro 23.084,48 e del MiBACT per un importo pari ad euro 4.522.099. Indice La vocazione della Biblioteca "Regina Margherita": il Braille Perdonare � meglio I malati immaginari Cari, vecchi fumetti Pizza, passione italiana imitata in tutto il mondo Le delizie di Buenos Aires Luciana Littizzetto: "Ogni cosa � fulminata" La vocazione della Biblioteca "Regina Margherita": il Braille (di Pietro Piscitelli) Da due secoli il Braille rappresenta il veicolo che ha consentito ai non vedenti di leggere autonomamente e di conquistare l'emancipazione culturale e sociale. Man mano che la geniale intuizione di Louis Braille conquistava e convinceva anche i pi� scettici nascevano in tutta Europa iniziative filantropiche finalizzate alla produzione di testi in Braille sia per lo studio che per la lettura di svago. A partire dalla seconda met� dell'Ottocento volenterosi copisti si cimentavano nella trascrizione manuale di testi in sistema Braille e pian piano prendevano forma le prime biblioteche circolanti. Nel 1928 la geniale intuizione di Aurelio Nicolodi, presidente dell'Unione Italiana dei Ciechi portava alla fondazione a Genova della Biblioteca "Regina Margherita" che fino alla fine degli anni '50, continuava nel solco del passato ed era impegnata a produrre, con le tecniche allora in auge, i libri che la fame di cultura e di conoscenza dei ciechi italiani richiedevano. Da subito sparsi su tutto il territorio nazionale tanti trascrittori, spesso volontari, copiavano in Braille - usando prima le famose "tavolette" poi le prime dattilobraille - testi di ogni tipo che venivano raccolti presso la Biblioteca e da questa spediti per posta in ogni angolo d'Italia. Negli stessi anni lo sviluppo delle scuole speciali annesse agli Istituti per ciechi che erano nati nelle principali citt� italiane moltiplicava la richiesta di testi di studio favorendo una crescita esponenziale della richiesta di stampa Braille. Risalgono al secondo dopoguerra anche le prime innovazioni che la scienza e la tecnica hanno introdotto nella produzione e nella stampa in sistema Braille con la commercializzazione delle prime rotative che hanno consentito la produzione in multicopia e introdotto la possibilit� di conservazione delle matrici ai fini della ristampa. La vera modernizzazione � figlia della rivoluzione elettronica e informatica che ha portato i files, le stampanti Braille, il sintetizzatore vocale, il display Braille. Questa tumultuosa e disordinata crescita e l'apparizione sul mercato di mirabolanti prodotti ha dato fiato ad una minoranza fautrice del rifiuto del sistema di lettura e scrittura Braille. "� finito!" hanno urlato in molti quando a met� degli anni '70 � stato commercializzato dalla Texas Instruments l'optacon - un complicato aggeggio che, attraverso impulsi elettrici, riproduceva sul polpastrello la forma della lettera stampata in caratteri comuni - cavalcando una moda che si � poi rivelata tanto costosa quanto illusoria finendo presto nel dimenticatoio. "Non serve pi�!" hanno sentenziato i soliti sapientoni quando hanno cominciato a circolare in Italia i primi sintetizzatori vocali facendo finta di non sapere che la modalit� di lettura di un testo con il sintetizzatore vocale altro non era che la versione modernizzata di quanto era possibile fare da oltre mezzo secolo attraverso il registratore su nastro magnetico. "Il libro Braille va in soffitta!" titolavano alcune testate quando sono stati commercializzati i primi e-book e le versioni digitali dei primi libri. Invece, a dispetto dei suoi detrattori, ancora oggi il sistema di lettura e scrittura Braille mantiene tutta la sua validit� pedagogica e continua ad essere l'unico strumento in grado di dare una vera autonomia nella lettura e quindi nell'accesso alla cultura ai ciechi italiani e di tutto il mondo. Come si � posta la Biblioteca nei confronti del sistema Braille in questi novant'anni percorsi da cos� contrastanti fermenti? Nell'unico modo possibile: non partecipando se non marginalmente allo stucchevole dibattito "Braille no, Braille s�" e sforzandosi di cogliere quanto di buono la tecnologia ha negli anni messo a disposizione per migliorare i processi produttivi e rispondere al meglio alle richieste degli utenti. Pare utile a questo punto anche un fugace accenno all'evoluzione negli anni del "costume" dei lettori utenti della Biblioteca. Fino a qualche decennio fa una "Commissione" di esperti sceglieva tra le novit� culturali e tra i classici i testi da produrre in sistema Braille e, quando pronti, questi venivano resi disponibili alla lettura e, se richiesti, inviati per posta al domicilio dell'utente richiedente. Pur senza volerlo per� si andavano cos� condizionando i gusti e le scelte del lettore. Pian piano per� i bisogni culturali degli utenti si sono evoluti e le richieste si sono sempre pi� diversificate. Non pi� e non solo la novit� editoriale, l'ultimo romanzo pubblicato ma, anche - e, in questi ultimi anni sempre di pi� - testi vari, dalla saggistica al libro di preghiere, dai manuali d'uso di personal computer e di apparecchi vari, ai ricettari ed ai testi di legge - insomma quanto serve al proprio quotidiano e personale - richieste che la Biblioteca soddisfa attraverso il servizio di "book on demand". Alla produzione tradizionale di testi di lettura amena si � quindi aggiunta la richiesta personalizzata, la produzione di spartiti musicali e testi musicologici, la diffusione di pubblicazioni periodiche, la distribuzione della versione Braille di libri di testo in adozione nelle classi della scuola di tutti. La Biblioteca "Regina Margherita" � oggi divenuta una realt� multiforme e complessa presente e articolata su tutto il territorio nazionale impegnata non solo a "produrre" 5-6 milioni di pagine Braille ogni anno ma anche a tutelare e garantire la qualit� delle pubblicazioni in Braille attraverso un "Consorzio Qualit�" appositamente costituito, l'elaborazione di un "Codice Braille" condiviso, di "manuali di trascrizione" e di processi di lavoro comuni a quanti insieme alla Biblioteca, producono e stampano il Braille. Ma il Braille oggi non � pi� solo un foglio di carta pieno di puntini, perch� l'uso del personal computer e del Web, divenuto ormai uno strumento presente in tutte le case e in tutte le Scuole, impone un sistema di lettura immediato come il Braille su carta non potr� mai essere. L'informatica e la tecnologia hanno messo a disposizione dei ciechi quale periferica del personal computer, uno strumento: il display Braille in grado di riportare immediatamente nella classica struttura a 6 o 8 puntini in rilievo, quanto � presente sul video del pc. � una splendida opportunit� offerta ai non vedenti non solo per evitare l'accumulo di carta e annullare i problemi di peso e di ingombro purtroppo propri dell'edizione cartacea, ma anche e soprattutto per rispondere alle esigenze di immediatezza che l'era di internet e dei social rende irrinunciabile. Molti sono ancora i problemi tecnici da risolvere per rendere pienamente accessibile e fruibile anche con questo strumento, quanto presente sul Web e i prodotti editoriali: la compatibilit� delle piattaforme utilizzate dai singoli Editori, la "leggibilit�" di file con estensione PDF contenenti notazioni matematico-scientifiche, le parti iconografiche, le elaborazioni grafiche particolari, ecc.. Proprio quanto appena detto fa intuire che non bastano software pi� o meno evoluti per "automatizzare" la produzione di testi in Braille evitando l'intervento umano. Per fortuna si fa sempre pi� strada la convinzione che occorre intervenire a monte - al momento della preparazione del testo da inviare alla stampa comune o da inserire nella pagina del sito Web - per ridurre l'intervento degli specialisti che devono trasformare il testo comune in un testo Braille. La Biblioteca sta impegnando in questa attivit� di studio e di ricerca le sue risorse migliori. Insieme agli Editori - con i quali la collaborazione � ogni giorno pi� evidente e vincente - la Biblioteca � oggi impegnata per avviare a soluzione alcune problematiche tecniche per rendere possibile ai non vedenti la lettura autonoma non solo attraverso il sintetizzatore vocale ma anche con il display Braille. Una voce narrante e le "parole sotto le dita" perch� nel mondo di domani i ciechi possano sentirsi veramente autonomi e inclusi. Questa � la sfida di oggi e per il domani che attende la Biblioteca "Regina Margherita". Questa � la sfida da vincere: poter affiancare al tradizionale sistema di lettura Braille su carta altri moderni strumenti ed altre nuove opportunit� di lettura di testi digitali per offrire ai non vedenti altre modalit� di accesso al mondo dello studio, dell'informazione e della comunicazione che oggi viaggia in rete. Perdonare � meglio (di Marta Erba, "Focus" n. 315/19) - La vendetta non � la soluzione giusta per ristabilire la pace dopo un tradimento o un torto sub�to. � preferibile passarci sopra. Lo dice la scienza - Chi la fa l'aspetti. Sangue chiama sangue. Occhio per occhio, dente per dente. Quante volte abbiamo sentito (o applicato) queste frasi? Quando subiamo un torto, infatti, la percezione immediata � che abbiamo diritto a un risarcimento. Che l'unico modo per ristabilire l'equilibrio e ritrovare la pace sia la vendetta. � solo negli ultimi decenni che la ricerca scientifica si � soffermata sul tema, scoprendo quello che la maggior parte delle religioni suggeriscono da tempo: la strategia pi� efficace per reagire a un'offesa, per proteggere la nostra salute fisica e mentale, � esattamente quella opposta. � perdonare. Gi� gli antichi Greci sembravano consapevoli che ristabilire l'ordine e la giustizia non fosse cos� semplice, anche se non vedevano un'alternativa possibile alla punizione del colpevole. Emblematica � la tragedia di Edipo che, pur agendo inconsapevolmente (uccide il proprio padre credendolo un malvivente, sposa la propria madre senza sapere di esserne il figlio), viene punito dagli d�i e dagli uomini con la cecit� e la dannazione. Altro esempio estremo � nell'Iliade: il rapimento di Elena da parte di Paride d� origine a una spirale di violenza che arriva alla distruzione dell'intera citt� di Troia. Ancora oggi la vendetta continua a essere un espediente narrativo molto efficace. La letteratura pullula di comportamenti vendicativi (Il conte di Montecristo, Amleto) e lo stesso vale per il cinema (Zorro, Kill Bill, la maggior parte dei film western). Esiste perfino un genere cinematografico, i "revenge movies", basato proprio sulla vendetta. La vendetta continua ad avere successo perch� corrisponde a un istinto primordiale, presente nell'essere umano (� la prima reazione di ogni bambino a un sopruso) cos� come negli scimpanz�, come ha dimostrato Michael McCullough, psicologo all'Universit� di Miami. Eppure, contrariamente al sentire comune, la vendetta non ristabilisce mai l'equilibrio. Il risultato pi� frequente � un'escalation di violenze che ricadono anche su varie "vittime collaterali". Questo perch� la vendetta � raramente proporzionata al torto, poich� le vittime in genere tendono a ingigantirne l'entit� o la volontariet�, favorendo cos� una progressione di ritorsioni. Non per niente Confucio diceva: "Prima di imbarcarti per un viaggio di vendetta, scava due tombe". La vendetta ha quasi sempre un effetto boomerang. C'� di pi�: non � vero che la vendetta permette di placare il risentimento, � vero il contrario. Alcuni studi, come quelli dello psicologo Brad Bushman, hanno dimostrato che sfogare la rabbia in realt� la alimenta. Mentre Kevin Carlsmith, psicologo sociale della Colgate University di Hamilton, New York, nel 2008 ha descritto il "paradosso della vendetta": vendicarsi non d� affatto sollievo, ma anzi amplifica i sentimenti negativi, favorendo alla lunga disturbi ansiosi e depressivi. Eppure un'alternativa alla vendetta c'� e c'� sempre stata. L'hanno vista e sottolineata pi� o meno tutte le religioni. Nell'induismo la legge del karma sprona alla tolleranza, cio� all'accettazione di ogni forma di sofferenza, inclusa quella causata dai torti altrui. Il buddhismo esalta la compassione, invitando ad astenersi dal reagire alle offese e a vedere l'aggressore come una persona che ha bisogno di aiuto, esposto all'ignoranza spirituale. Ma � soprattutto il cristianesimo ad aver basato la propria dottrina sulla cultura del perdono. In particolare � nell'invito a "porgere l'altra guancia", rivolto a chi viene schiaffeggiato, che Cristo dimostra di aver colto una questione fondamentale: il perdono non ha nulla a che fare con la sottomissione o la resa; non � un atteggiamento passivo, da persona debole o fragile, bens� attivo, proprio di chi � consapevole e "forte". Certo � che il legame stretto con la religione complic� e ritard� l'indagine scientifica sul perdono. Il primo a occuparsene fu Robert Enright, psicologo all'Universit� del Wisconsin-Madison, che nel 1985 cre� un gruppo di lavoro sul tema, cui seguirono varie pubblicazioni. "Oggi sappiamo che a essere pericolosa per la salute � soprattutto la "ruminazione rabbiosa", la continua rievocazione del torto sub�to, che favorisce depressione, ansia ma anche malattie fisiche, come i disturbi cardiovascolari", spiega Barbara Barcaccia, docente di Psicologia clinica e gestione dello stress presso l'Universit� degli Studi Roma Tre e curatrice del volume Teoria e Clinica del perdono (Raffaello Cortina Editore). "Al contrario, perdonare migliora la qualit� del sonno, contribuisce ad abbassare la pressione arteriosa, diminuisce il rischio di abuso di alcol o di droghe, consente di avere relazioni pi� soddisfacenti. In poche parole, migliora la qualit� della vita". Il perdono avrebbe anche una spiegazione evolutiva. "Se � vero che siamo biologicamente programmati a reagire alle offese con aggressivit�, � anche vero che � innata nell'uomo, cos� come nelle scimmie, una propensione alla riconciliazione e alla cooperazione", osserva Barcaccia. "Se si guarda alla storia dell'umanit�, i gruppi che al loro interno si perdonavano avevano pi� successo da un punto di vista riproduttivo, proprio per la capacit� di riparare le rotture dei legami". Ma in che cosa consiste il perdono? "Nella rinuncia all'odio, alla rabbia, al risentimento, pur avendo tutti i diritti a provare queste emozioni", spiega Barbara Barcaccia. "Non si tratta di sopprimere il ricordo di ci� che � accaduto, n� di fare sconti a chi ci ha offeso, ma di smettere di provocarsi un'inutile sofferenza ripercorrendo continuamente nella propria mente ogni dettaglio del male sub�to". Il termine stesso di perdono deriva dal latino "donum", ed � un dono a tutti gli effetti, poich� viene offerto a chi ci ha offeso senza che quest'ultimo lo meriti. "Gli studiosi sono concordi nel ritenere che il percorso del perdono comporti due aspetti", avverte la psicologa. "Non solo abbandonare rancore e desiderio di vendetta, ma anche coltivare sentimenti di benevolenza e compassione nei confronti di chi ci ha fatto un danno, se non altro come essere umano fallibile". Ma perch� fare questo dono immeritato? In realt� il perdono � in primo luogo un dono che si fa a se stessi. Fintanto che non si perdona, infatti, si resta incatenati all'autore del danno, prigionieri di emozioni logoranti e pervasive. Perdonare, invece, rende liberi: non solo perch� si smette di coltivare emozioni tossiche, ma anche perch� ci si accorge di essere stati a propria volta responsabili di danni e offese nei confronti di altri, quindi si diventa pi� inclini a perdonare se stessi. Il perdono, insomma, � rigenerante soprattutto per chi perdona. Va detto per� che il perdono � un percorso molto faticoso e difficile che attraversa diverse fasi e supera determinati ostacoli. La sua complessit� � stata rilevata anche dalla risonanza magnetica applicata al cervello: una ricerca dell'Universit� di Pisa, guidata da Pietro Pietrini e pubblicata su Frontiers in Human Neuroscience, ha dimostrato il coinvolgimento di varie aree cerebrali, quali la corteccia prefrontale dorsolaterale (associata alle decisioni), la corteccia del cingolo, il precuneo e la corteccia parietale inferiore (associati all'empatia). Perdonare resta comunque una scelta personale, non un dovere. E non implica la riconciliazione con chi ci ha offeso. "� anzi sconsigliato riconciliarsi con qualcuno che non si � pentito del male fatto, non ha chiesto scusa, non ha offerto atti di riparazione, non si � impegnato seriamente a non compiere pi� quei torti", avverte Barbara Barcaccia. "Il perdono � un processo intrapsichico, che non richiede la presenza del trasgressore. Tant'� che si pu� perdonare qualcuno che non c'� pi�. Ed � sempre benefico per chi lo concede". I malati immaginari (di Claudia Giammatteo, "Focus Storia" n. 147/19) - Sono sempre esistiti. Ma la medicina ha affrontato l'ipocondria nei modi pi� astrusi - "L'idea di essere malati � mille volte pi� violenta di tutti i microbi", sospirava lo scrittore francese Marcel Proust, che di ipocondria se ne intendeva. Non aveva torto, perch� la paura e la convinzione di essere malati � invalidante almeno quanto una patologia dichiarata. Una sindrome che ha vagato nei secoli come una pestilenza, sfidando tutti i progressi della medicina. Oggi, infatti, i malati immaginari godono ancora... di ottima salute! Nel mondo greco, dove pi� di 2.500 anni fa il termine "ipocondria" ha avuto origine, il significato era molto diverso da quello attuale. "Nella dottrina di Ippocrate di Coo (V-IV secolo a.C.) e nell'opera Corpus Hippocraticum non esisteva una classificazione delle malattie", spiega lo storico della medicina Gilberto Corbellini. "Il corpo era un contenitore di quattro umori: sangue, flegma, bile gialla e bile nera (o atrabile), rispettivamente localizzati nel cuore, nel cervello, nel fegato e nella milza. Il loro squilibrio era indice di malattia. L'ipocondriasi equivaleva alla melanconia prodotta da un eccesso di un'ipotetica bile nera nella parte alta dell'addome, l'ipocondrio, ritenuta la sede dei sentimenti e delle passioni umane". Le uniche terapie disponibili all'epoca erano digiuni e purghe che, visti con occhi moderni, certamente non erano i rimedi pi� adatti a rinfrancare lo spirito. Questa concezione "umorale" fu ripresa dal medico romano Galeno di Pergamo (II secolo d.C.), che chiam� Hypochondria il disagio prodotto da "vapori tossici" nel cervello, provocati dall'accumulo di bile nello stomaco. Poi la teoria "bilecentrica" attravers� indenne Medioevo e Rinascimento, arricchendosi dei nessi tra medicina e astrologia, grazie ai quali l'alchimista tedesco Cornelio Agrippa di Nettesheim (1486-1535) etichett� come saturnofobia lo "sconcerto ipocondriaco della bile nera prodotta dalla milza soggiacente a Saturno". Agli sventurati che soffrivano di questi disturbi per secoli la medicina ha dato pessime risposte, e la situazione non miglior� nel Seicento. Le ragioni sono almeno tre, come spiega Corbellini: "La mancanza di trattamenti medici alternativi a purghe e salassi (questi ultimi molto invasivi); i ritardi della medicina ufficiale, inchiodata alle astrazioni galeniche: solo nel 1628 il medico inglese William Harvey studi� con approccio scientifico la circolazione sanguigna; e, infine, la spregiudicatezza dei medici dell'epoca, ossequiosi verso i pazienti ricchi, negligenti verso quelli poveri". Un contesto molto ben rappresentato nell'opera teatrale di Moli�re Il malato immaginario del 1673. Nonostante la comicit� delle caricature del dottor Purgone, Diarroicus e del farmacista Olezzanti, "� una feroce satira che prende di mira sia gli ipocondriaci, ridicoli e molesti, sia la ciarlataneria dei medici, ipocriti e saccenti", sottolinea Corbellini. La dice lunga la descrizione del giovane figlio del dottor Diarroicus: "Un giuggiolone che ha appena terminato gli studi e che fa ogni cosa senza grazia e nel momento sbagliato". Con i passi da gigante effettuati in anatomia, fisica e chimica, nel Settecento, le conoscenze mediche migliorarono. I sintomi ipocondriaci, attribuiti fino a quel momento all'eccesso di un'ipotetica (e mai dimostrata scientificamente) bile nera, iniziarono a essere associati alle funzioni nervose e al cervello. Cos� il linguista Johann Christoph Adelung defin� nel 1796 il grave malum ipochondriacum: "Un'accoratezza irritante che agisce sui nervi, colpisce soprattutto persone che stanno molto sedute e spesso degenera in tristezza e malinconia. Nel sesso femminile questa malattia prende il nome di isteria". Altre teorie guadagnarono maggiore popolarit�. "� un disturbo della sfera emozionale dell'uomo che lascia impregiudicate le capacit� raziocinanti", scrisse in quegli stessi anni il filosofo Immanuel Kant (1724-1804). "E quando un tal paziente [...] s'appiglia per consiglio ai libri di medicina, allora diventa insopportabile, perch� crede di sentire nel proprio corpo tutti i mali che legge sul libro". In un totale capovolgimento di prospettiva, alla fine del Settecento l'ipocondria si trasform� in malattia "per dotti", troppo "affaticati di spirito", indice di animi sensibili e raffinati. E forse nullafacenti. "Se noiosa ipocondria t'opprime", scriveva ironicamente il poeta Giuseppe Parini nel componimento Il Giorno (1763), sbeffeggiando cos� la pigra nobilt� milanese dell'epoca. "Tu, gelosa ipocondria, che m'inchiodi a casa mia, escimi dal fegato", verseggi� anni dopo Giuseppe Giusti negli Umanitari del 1840. Anzich� vergognarsene, molti geni malinconici scrissero del loro male. "L'ipocondria � tormentosa non soltanto per l'uggia e la stizza senza motivo circa cose presenti [...] ma altres� per gli autorimproveri non meritati riguardanti nostre azioni passate", confess�, in termini ancora attuali, il filosofo Arthur Schopenhauer nella raccolta di scritti Parerga e paralipomena (1851), rivelando "una stizza interna, morbosa, con l'aggiunta di un'irrequietezza interna che deriva dal temperamento: quando le due cause raggiungono il grado pi� alto, esse conducono al suicidio". Tra le file degli ipocondriaci figur� lo stesso Sigmund Freud, pioniere della psicoanalisi, che nel 1914 scrisse nell'Introduzione al narcisismo: "Sono incline a considerare l'ipocondria, con la nevrastenia e con la nevrosi d'angoscia, come una terza nevrosi attuale". Ma pu� una malattia immaginaria essere considerata una malattia? Su questo interrogativo medici e psichiatri del secolo scorso inaugurarono un dibattito arrivato fino a noi. In Francia i pionieri della psichiatria coniarono varie definizioni: "delirio ipocondriaco sistematizzato", "delirio di pregiudizio ipocondriaco", "paranoia ipocondriaca", "paranoia litigiosa", "cenestesiopatia". A Vienna, lo stesso Freud, che descriveva magistralmente "l'attesa angosciosa verso il corpo", ebbe difficolt� a classificarla e la associ� a disturbi meglio conosciuti. "Nel tempo Freud accost� l'ipocondria alla malinconia, all'isteria, alla nevrastenia, alle nevrosi ossessive e alle reazioni paranoidee. E sempre nell'Introduzione al narcisismo, la inser� nelle nevrosi narcisistiche, apparentandola alla psicosi", scrivono gli studiosi Valeria Egidi Morpurgo e Giuseppe Civitarese in L'ipocondria e il dubbio. L'approccio psicoanalitico (Franco Angeli). A rendere pi� complessa la messa a fuoco dell'ipocondria contribu� l'emergere di casi clinici a dir poco curiosi, come il cosiddetto "Caso Schreber", riferito a uno dei pazienti psichiatrici pi� famosi al mondo. Il giurista tedesco Daniel Paul Schreber (1842-1911), che raccont� la sua storia nel libro Memorie di un malato di nervi, soffriva di una psicosi ipocondriaca che lo portava a immaginare la scomparsa dei suoi organi vitali. E pi� di una volta avvert� i suoi familiari che avrebbe saltato la cena perch� il suo stomaco era... svanito. Nonostante la nuova lettura suggerita dalla psichiatria, per i medici gli ipocondriaci erano e sono una brutta gatta da pelare. Ma oggi almeno possiamo contare sul conforto di una diagnosi, spiega lo psicoterapeuta Giorgio Nardone in La paura delle malattie (Ponte alle Grazie). "A partire dal Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (dell'American Psychiatric Association) del 1968, l'ipocondria ha finalmente ottenuto una collocazione. N� di disturbo digestivo, n� di malattia dei dotti, n� di pazzia si tratta, bens� di "disordine compulsivo", o "ansia di malattia" che provoca disturbi fisici reali e che persiste nonostante le rassicurazioni e in assenza di perdita o alterazioni delle funzioni. C'� voluto molto tempo, ma la medicina ha finalmente capito che l'ipocondriaco non � un malato immaginario e che la sua sofferenza � autentica. Moli�re ne sarebbe orgoglioso. Cari, vecchi fumetti (di Maria Leonarda Leone, "Focus" n. 315/19) - Altro che "giornalini": sono passati da passatempo popolare a... Nona Arte. Ispirando il cinema e rispecchiando la storia sociale di pi� di un secolo - I fumetti sono le favole per adulti. La definizione � del pap� dell'Uomo Ragno, dei Fantastici Quattro, di Iron Man, di Hulk, degli X-Men e di una nutrita pattuglia di supereroi: Stan Lee. Il creatore, da poco scomparso, di molti personaggi nati sulla carta dei "giornalini" ma passati nel nostro immaginario. Come i vecchi protagonisti delle fiabe, appunto. Del resto, il fumetto da tempo non � pi� roba da bambini: nei circa 120 anni della sua storia si � evoluto da passatempo popolare sui quotidiani a vera industria culturale, sdoganato come letteratura (con le vignette si � raccontato l'Olocausto o la guerra in Siria) e diventato ricca fonte di storie per il cinema. Basti pensare che il film che ha incassato di pi� nel 2018 nel mondo � Avengers: Infinity War, basato sui Vendicatori, supereroi riuniti in team sempre da Stan Lee. Alla base di tale evoluzione, c'� stata la capacit� dei fumetti di adattarsi a un pubblico di ogni et� e di parlare del proprio tempo. "Anche nei casi in cui le narrazioni sembrano muoversi in lontane sfere del fantastico, il fumetto � costantemente alle prese con la societ�. E ne restituisce al pubblico processi profondi, conflitti, emozioni", conferma Sergio Brancato, docente di Sociologia dell'industria culturale e di Sociologia e storia dei media all'Universit� Federico II di Napoli. Ne � la dimostrazione la serie di Yellow Kid, definito per convenzione il primo fumetto moderno: il suo autore, Richard Felton Outcault, per i dialoghi inizia infatti a usare i balloon, le nuvolette simili a sbuffi - fumetti, appunto - che sono diventate il segno tipico di questa arte. Il personaggio di Yellow Kid compare dal 1895 sul supplemento domenicale del New York World, per aumentarne le vendite. Ed � un successo, tanto che diventa uno dei primi esempi di merchandising, finendo con la sua immagine su oggetti di ogni tipo. Perch� questo monello di strada - con i capelli rasati per scongiurare i pidocchi e una maglietta gialla troppo grande - rappresenta uno spaccato degli Stati Uniti di quegli anni e rende protagonista l'umanit� dei quartieri di immigrati di New York. Cos� come immigrati tedeschi si trovano nelle strisce dei discoli Katzenjammer Kids: in Italia Bib� e Bib�, creati nel 1897 da Rudolph Dirks. "I primi fumetti commerciali, da Yellow Kid in poi, sono letture umoristiche, spesso con intenti satirici, e pubblicate in prevalenza su quotidiani. Il che non vuol dire che non ci siano opere meravigliose, come Little Nemo", precisa Luigi Bona, direttore di Wow, il Museo del fumetto, dell'illustrazione e dell'immagine animata di Milano. Little Nemo, creato da Winsor McCay e pubblicato sul New York Herald dal 1905, � un bimbo di buona famiglia, che nel sonno vive favolose avventure. "La figura del monello cencioso o comunque non benestante riemerge spesso. Ma da Nemo in poi in alcuni fumetti c'� un cambio nel modo di rappresentare l'infanzia: il momento coincide con la piena affermazione della societ� dei consumi", dice Brancato. E il fumetto arriva anche in Italia: il progenitore nostrano � Bilbolbul, bimbo africano disegnato nel 1908 da Attilio Mussino per il Corriere dei piccoli, supplemento del Corriere della Sera. "Dalla fine degli Anni Venti, la nascita dei generi d'avventura e della fantascienza cambia letteratura, cinema e fumetto. Le avventure a puntate di personaggi come Buck Rogers, Flash Gordon e Mandrake vengono seguite per mesi sui quotidiani, in strisce giornaliere o in tavole domenicali a colori: occorrevano mesi per arrivare alla fine, ma non importava", prosegue Bona. Negli anni Trenta, � boom di fumetti in tutto l'Occidente. E quando i venti di guerra cominciano a soffiare, le "nuvole parlanti" riflettono il periodo di militarismo e mobilitazione. "Non sorprende che il genere dei supereroi nasca a ridosso della Seconda guerra mondiale e che, nei fatti, ce la racconti. Seppur trasfigurata nel fantastico", afferma Brancato. Nel 1938 compare il supereroe per antonomasia: Superman. Ancora non vola (inizier� dopo due anni), ma lotta per il bene con la sua forza. Il successo � enorme. "Il segreto di Superman non � nella qualit� narrativa o grafica, ma nella natura del personaggio e delle sue imprese", nota il semiologo Daniele Barbieri, autore del saggio Breve storia della letteratura a fumetti (Carocci Editore). "Questo superuomo d� voce al bisogno di certezza e di potere di un'America stremata da una recessione superata da poco, mentre l'Europa � sull'orlo della guerra". La casa editrice di Superman, DC Comics, riempie cos� le edicole di maschere e calzamaglie colorate: nascono l'irreprensibile Batman, che combatte i cattivi fra le strade di Gotham City, The Flash, l'uomo pi� veloce del mondo, Lanterna Verde, col suo misterioso anello dal raggio verde, e Wonder Woman, amazzone uscita dalla mitologia greca. In competizione con la prolifica rivale, la Timely Comics - che qualche anno dopo diventer� famosa con il nome di Marvel Comics - pubblic� nel 1941 le avventure del patriottico supersoldato Capitan America. "In un periodo in cui tutti i fumetti alludono al pericolo tedesco ma nessuno lo mette direttamente in scena, nel primo numero della sua serie Capitan America prende a cazzotti Hitler. � il primo supereroe di guerra, nato per combattere il male non genericamente, ma nella forma specifica del nemico nazionale", spiega Barbieri. Un eroe diverso da quelli che arriveranno 20 anni dopo, in un'America pi� complicata, divisa fra guerra in Vietnam e pacifismo, consumismo e povert�. Sar� ancora la Marvel a innescare una nuova rivoluzione: merito del genio di Stan Lee, che spesso in coppia con il disegnatore Jack Kirby d� inizio all'et� d'oro dei "supereroi con superproblemi". Ecco spuntare allora persone comuni che ricevono "grandi poteri" e conseguenti "grandi responsabilit�" come SpiderMan. Che � un adolescente, mentre prima i ragazzi erano al massimo "assistenti" come Robin con Batman. I teenager entrano quindi nel fumetto come protagonisti, oltre che come lettori. "Dal timido e complessato Uomo Ragno all'iracondo Hulk, fino ai super-emarginati X-Men, i fumetti Marvel nascono gi� pronti a un'America multiculturale e multirazziale, in cui isolamento ed esclusione sono problemi sentiti sin dall'infanzia. Saranno quindi, nei decenni successivi, molto pi� adeguati di quelli della DC Comics ad affrontare il cambiamento sociale", nota Barbieri. In Italia, sull'onda del successo dei film western, nel 1948 era nato Tex: tuttora uno dei protagonisti del fumetto italiano. Ma, dagli anni '60, dal classico eroe tutto d'un pezzo si passa agli antieroi: come Diabolik, il criminale delle sorelle Angela (che lo ha creato nel 1962) e Luciana Giussani. Fisico atletico, sguardo ammaliatore, calzamaglia nera attillata, era un criminale che uccideva e rapinava personaggi immorali e disonesti. In pi� conviveva con la sua collega Eva Kant... E lo spirito degli anni del pacifismo e della contestazione si "travasa" come sempre dalla societ� al fumetto. Nel 1968 arriva la satira antimilitarista di Bonvi (nome d'arte di Franco Bonvicini), con le sue Sturmtruppen. Ha compiuto 50 anni a ottobre questo plotone di "soldaten" dall'improbabile accento italo-crucco, schiavi di una guerra senza fine contro un nemico che non si vede mai. Pacifista anche Mafalda, la bambina nata nel 1964 dalla matita di Joaqu�n Salvador Lavado (in arte Quino). I furori di Mafalda rappresentano la voglia di cambiamento che circolava all'epoca, anche nel fumetto. "Nel 1965 il fumetto � in piena rivoluzione, con l'Italia grande motrice: nasce la rivista Linus e viene lanciato il Salone Internazionale dei Comics, che si trasferisce l'anno dopo a Lucca (oggi � Lucca Comics & Games, il maggiore festival dei fumetti d'Europa, ndr). Il fumetto non � pi� considerato di serie B, ma � la Nona Arte", conferma Bona. Segue cio� la Settima, il cinema, e l'Ottava, la radiotelevisione. Proliferano stampe di qualit�. Esplode la fama di Hugo Pratt e delle storie del suo viaggiatore Corto Maltese. Poi si moltiplicano anche i fenomeni "underground", mentre le matite di artisti alternativi come Paz (Andrea Pazienza) esprimono il dissenso culturale e politico tipico di fine anni '70. Ma vede la luce anche il "romanzo disegnato" o graphic novel, che con Maus, l'opera di Art Spiegelman sull'Olocausto, arriva a vincere persino il premio Pulitzer (1992). E che oggi si fonde con l'attualit�: come in Kobane Calling, il reportage dal confine fra Siria e Turchia realizzato da Zerocalcare (all'anagrafe Michele Rech). "Il fumetto � diventato davvero un mezzo di comunicazione a 360 gradi, utilizzabile in tutte le forme e gli ambiti", conclude Bona. Basti vedere il rapporto stretto che lo lega al cinema e alla Tv, nello scambio continuo di personaggi e storie. Per esempio, pochi mesi fa l'italiana Sergio Bonelli Editore ha creato la Bonelli Entertainment per sviluppare progetti per cinema e tv legati ai personaggi delle sue serie (sta lavorando a una serie tv su Dylan Dog, su cui erano gi� stati fatti film). E negli Usa sono passati al grande schermo i supereroi della DC e della Marvel: i personaggi usciti dai fumetti riempiono le sale e garantiscono super incassi al botteghino. Finora, i film ispirati all'universo Marvel avevano per� avuto anche un protagonista in pi�: "pap�" Stan Lee, che compariva in brevi camei. Lui, purtroppo, ci mancher�. Pizza, passione italiana imitata in tutto il mondo ("RivistAmica" n. 6/17) - Da forno, tonda, romana, napoletana o in teglia. Tante tipologie e un solo imperativo: ingredienti di qualit� - Buona, fumante, esce dal forno e si esprime in tutta la sua bont�. Si tratta della pizza, uno dei piatti pi� conosciuti e amati della cultura gastronomica italiana. Ce ne sono di tanti tipi, cambiano per lievitazione, impasto e farcitura a seconda della citt� in cui ci si trova. Pizza da forno, tonda, romana, in teglia... ma la madre indiscussa di tutte � ovviamente quella Margherita, nata grazie al pizzaiolo Raffaele Esposito a Napoli, nel 1889, in omaggio alla Regina. Quella preparata per la Regina Margherita era ovviamente la prima pizza napoletana della storia. Ma cosa distingue questa tipologia dalle altre? Senza dubbio il tempo di lievitazione, che � molto pi� lungo rispetto alle altre (almeno 12 ore) e deve avvenire a temperatura ambiente. La cottura poi va fatta in forno a legna a 450-500 gradi e per meno di un minuto, cos� da rimanere sempre soffice. Diversissima dalla "mamma" napoletana, ma molto apprezzata, � la pizza da forno che si distingue in due specialit�: quella alta e morbida e quella bassa e leggermente croccante. Elementi importanti per la sua riuscita sono lo zucchero e il malto d'orzo, aggiunti all'impasto per dare il colore ambrato alla pizza e renderla dolciastra. Inoltre, la parte grassa (ossia l'olio e lo strutto) � imprescindibile perch� rende la pasta soffice. Questa tipologia di pizza viene condita con pomodoro e ingredienti a piacere o tratata come fosse una focaccia e quindi tagliata, farcita e riscaldata al momento del consumo. La pizza tonda � la tipologia di pizza maggiormente consumata, quella che viene servita in quasi tutte le pizzerie della Penisola. Si tratta di un disco di pasta lievitata e farcita con ingredienti sempre diversi e gustosi. Per il suo impasto non si utilizza solo la farina di grano tenero, che spesso viene sostituita da farine alternative, come quella di farro, di canapa, di kamut o con carbone vegetale. A seconda delle zone d'Italia, la modalit� di produzione cambia. Nella zona settentrionale, solitamente l'alveolatura della pasta (i buchini che si formano durante la lievitazione) � piccola e non eccessivamente sviluppata. I cornicioni sono morbidi e soffici. Tipica invece della zona centrale � una pizza simile a quella in teglia e da forno, pi� bassa e fragrante (viene infatti chiamata "scrocchiarella"). Al sud il cornicione della pizza si allarga e diventa croccante, una croccantezza che per� non � caratteristica della base, quasi sempre soffice e sottile. Bassa e molto simile a una sfoglia, la pizza romana sembra derivare dall'antica Pinsa, una focaccia di origine laziale farcita con formaggio ed erbe. Gli ingredienti per condirla sono molteplici e sempre diversi. Il suo cornicione � quasi inesistente. Molto comoda da mangiare per una pausa pranzo veloce � invece quella in teglia, divisa in tranci e venduta a peso. Viene cotta in forno elettrico e per questo il suo impasto risulta con base croccante, ma mollica molto soffice e alveolata. La farina utilizzata � spesso di grano tenero mescolata a quella di farro e cereali integrali. La produzione della pizza sta diventando una cosa sempre pi� seria. Il primo punto su cui focalizzare l'attenzione � la scelta del lievito. Oggi, molti pizzaioli utilizzano pasta madre e altri adoperano invece la tecnica di idrolisi dell'amido. In pratica grano e acqua uniti in determinate condizioni ambientali e di temperatura azionano lieviti naturali che riposano all'interno delle farine. Ad acquistare importanza non � solo l'impasto, ma anche gli ingredienti. La pasta della pizza si trasforma cos� in un piatto, su cui posizionare condimenti prelibati e ricercati. Da qui la denominazione di "gourmet", i cui maestri pizzaioli di maggiore spicco si trovano tra la Lombardia e il Veneto. Le delizie di Buenos Aires (di Ilaria Simeone, "Ulisse" n. 411/19) - Nella capitale gourmet del Sud America tornano i grandi mercati alimentari. Icone della nuova passione porte�a - Sar� il Borough Market di Buenos Aires. Avr� frutta, verdura, carne, pesce e pane freschissimi, orti ornamentali e giardini verticali, caff� e chioschi gourmet dove il menu sar� firmato da chef di grido. Il nuovo Mercado de los Carruajes, che aprir� i battenti la prossima primavera nel quartiere di Retiro, � stato progettato per diventare l'icona della nuova passione porte�a, l'ultima tendenza di questa citt� che da qualche anno � considerata la capitale gourmet del Sud America: il ritorno dei grandi mercati alimentari. Uno spazio di 4.200 metri quadrati, recuperato all'interno di un edificio dichiarato patrimonio storico, ex rimessa per le carrozze presidenziali, che accoglier�, tra le antiche pareti coperte di azulejos e sotto la grande cupola d'epoca, una trentina di banchi con il meglio dei prodotti made in Argentina, ma anche alcune delikatessen d'oltre oceano. E poi gelaterie, birrerie, bar a tapas, caff� e griglierie. Qualche isolato pi� in l�, sempre in primavera, sar� inaugurato Barrio 31, mercato che, come la Boqueria di Barcellona, vuole essere un inno ai prodotti locali e ospiter� una sua scuola di cucina. Non lontano da los Carruajes, disteso lungo il rio de la Plata, il quartiere di Puerto Madero � la faccia moderna ed elegante di Buenos Aires, frutto della ristrutturazione di vecchi dock e silos cerealicoli. Dietro le vetuste facciate in mattoni rossi degli ex magazzini ci sono negozi e locali alla moda, alle loro spalle i grattacieli in vetro e acciaio firmati da Philippe Starck e Norman Foster, sul fiume il ponte pedonale de la Mujer disegnato da Santiago Calatrava. Qui ci sono alcuni dei ristoranti pi� innovativi di Baires (cos� i suoi abitanti chiamano la capitale) come Chila, dove lo chef Pedro Bargero propone un menu preparato con materia prima autoctona (in parte proveniente dal suo allevamento-fattoria, in parte dal mercato): spezzatini di nand�, merlu topinambur con merluzzo nero, porri e papaya selvatici. Anche i tradizionali mercati cittadini stanno tornando a nuova vita. Cos�, dopo un periodo di abbandono e un'attenta ristrutturazione, un anno fa il Mercado de Belgrano ha riaperto le porte: ci sono sempre i banchi di un tempo come Granja Don Pablo e Pescaderia Carlitos, affiancati da altri che vendono prodotti provenienti da ogni angolo del Paese, dall'aceto di cassis di Bariloche all'olio di noce di C�rdoba, o propongono cibi dell'altro mondo. E non mancano i chioschi gourmand: Tienda Ohno dello chef giapponese Takehiro Ohno e Mercato Paradiso dell'italiano Donato De Santis, trionfo di orecchiette, pasta fresca e cannoli siciliani. Pi� classica l'offerta del Mercado San Telmo che ai banchi di frutta, verdura e carne accompagna negozi d'antiquariato, hamburgherie e ristoranti di cucina vietnamita. San Telmo, vecchio quartiere bohemienne, pieno di case coloniali, curiosi musei (il Museo della Caricatura, il Museo del Traje, omaggio alla moda argentina dal 1850 a oggi), negozi antiquari e di design, ospita locali che sono diventati cult, come Doppelg�nger, cockteleria dagli arredi barocchi e bancone scuro dove si assaggiano aperitivi classici. Da provare il Gibson, il preferito del proprietario Guillermo Blumenkamp che lo prepara in versione secca con poco vermuth e tre cipolline. � negli eleganti quartieri residenziali della borghesia porte�a, Recoleta e Palermo, o nel barrio emergente della Chacarita, per�, che si trovano gli indirizzi pi� amati dai foodie. A Palermo, tra boutique di moda, gallerie d'arte, case di produzione cinematografica e studi televisivi, c'� il primo dei locali aperto da Donato De Santis (il secondo � a Belgrano): trionfo della cucina italiana, omaggio alla gastronomia d'origine di buona parte degli abitanti della capitale. Recoleta, famoso per il suo cimitero monumentale, abbonda di bar e ristoranti dove ai fornelli si esibiscono chef emergenti. Tappe imperdibili per l'aperitivo sono Presidente Bar, dall'ambiente eccentrico con candelieri e una sala privata arredata come una biblioteca, e Floreria Atlantico dove i cocktail si declinano in base ai Paesi di provenienza degli ingredienti (Spagna per lo sherry, Polonia per la vodka, Gran Bretagna per gin e scotch), sono arricchiti da un tocco salino dovuto all'uso di acqua dell'Atlantico e il pezzo forte � il gin Principe de los Ap�stoles, creazione del patron Tato Giovannoni: distillato in Argentina � aromatizzato con yerba mate ed eucalipto. Per un souvenir gourmand fate tappa da Amics: qui il proprietario, Ariel Argomanitz, punta sulla passione per la carne propria degli argentini, per tutta la carne, comprese parti di solito poco usate. Da lui si pu� acquistare una cotoletta fatta con la lingua o le salsicce a base di prosciutto e guanciale. Spuntino tradizionale, a base di empanadas (classiche di carne o formaggio e innovative al roquefort o con caprese) da El Sanjuanino. Tutto vegetale il menu di Manu Donnet, creativa chef vegetariana che, nel suo locale arredato con mobili di recupero a Cacharita, serve pizza e pane di farina di ceci biologica, empanadas di funghi, e zuppe di verdura di produttori locali. Luciana Littizzetto: "Ogni cosa � fulminata" (di Giusy Cascio, "Tv sorrisi e canzoni" n. 47/18) - La celebre star della tv parla del suo nuovo libro e di tanto altro "Luciana, sa chi la saluta? La mia vicina di casa, che di mestiere fa la merciaia". "Uh, che il Signore la preservi a lungo: ormai le merciaie si stanno estinguendo". Attaccare bottone con Luciana Littizzetto � diventato complicato. E non perch� alla protagonista di tante schermaglie con Fabio Fazio a "Che tempo che fa" manchino gli argomenti. � proprio una questione pratica: "Non ci sono pi� le mercerie e per comprare un bottone non sai pi� come fare. Figuriamoci se devi attaccarlo" spiega lei. "Io per l'orlo dei pantaloni uso la pinzatrice oppure il biadesivo. Ma era cos� bello entrare in quei negozi pieni di scatole, con quel rassicurante odore di naftalina...". Era una delle "piccole cose certe", dette anche "picic�" (o "pcc") a cui "Lucianina" dedica il suo nuovo libro: "Ogni cosa � fulminata" (Mondadori). - "Pcc" sembra il nome di un partito. Il suo � un appello ai politici? "I politici hanno cose pi� importanti a cui pensare. Io in questo libro volevo far parlare i particolari, le sfumature della nostra vita, i dettagli. Le piccole incongruenze che, concretamente, ci creano un immenso fastidio". - Le rognette, insomma. "Esatto. Minuzie che mi stanno davvero a cuore, per cui vorrei chiedere una "Grande Riforma". - Per esempio? "Il bugiardino dei farmaci. Gi� elenca tutti gli effetti collaterali possibili e immaginabili, dalla licantropia all'attrazione per Gigi Marzullo. Ma non solo: lo leggi una volta, poi provi a ripiegarlo e lui si espande come una mappa topografica. E non c'� verso di rimetterlo dentro come prima: la scatola si deforma come Quasimodo, il gobbo di Notre-Dame. Ma io dico, care le mie case farmaceutiche, non potreste fare un riassunto nella confezione? Un bigino e bon?". - Altre mini battaglie di enorme importanza? "Il montante del vetro posteriore in macchina. Ha presente?". - Non guido. "Beata lei, io invece s�. Ho scritto persino a Fabrizio Giugiaro per protestare. Com'� possibile che si producano auto sempre pi� tecnologiche, con cruscotti che sembrano cloche di aerei, e poi continuiamo ad avere il montante del lunotto cos� ingombrante? Quando parcheggiamo non siamo alla Nasa, ma nei marciapiedi di Pinerolo: allunghiamo la coda dell'occhio e giriamo il collo all'inverosimile, ma in quell'angolo l� dietro non si vede mai una m...". - Ahiahi Luciana, niente parolacce. "Sto invecchiando, non le dico quasi pi�, neanche in tv. Col tempo miglioro, stagiono come il formaggio. Ormai dico solo "culo", perch� mi piace il suono. E Fabio si scandalizza". - La "Piccola cosa certa" di Fazio? "Un difetto sostanziale: la manovra espansiva sul davanti". - Lucianina! "Calma, le spiego: Fazio ha la "merlite": con l'et� succede a molti uomini. Viene la pancia, le gambe diventano secche secche e in sostanza si sgonfia il didietro. Come i merli, per l'appunto. E poi si agita perch� ha paura di quello che dir� in diretta. Si agita anche se parlo di economia domestica, come il dramma del copripiumone". - Per infilarci il piumone serve la laurea in ingegneria. E c'� chi desiste. Lei che metodo ha scelto? "Mi ci infilo dentro, tipo tenda da campeggio: faccio lo speleologo, ispeziono, spunzono gli angoli a destra e a sinistra. E sudo, sudo da morire per la fatica". - E se riesce nell'impresa, la sera, prima di dormire a che cosa pensa? "Meno male che anche oggi la giornata � durata solo 24 ore". - Anche la lampadina dell'abat-jour sul suo comodino, come ogni altra cosa del titolo, � fulminata? "Ovvio: uno di quei rari momenti in cui a casa servirebbe un uomo. Una volta, se ti si fulminava la lampadina, bastava decidere se la volevi da 40, 60 o 120 watt. Era facile. Andavi dal ferramenta, dicevi: "Mi dia una lampadina, che mi si � bruciata quella del paralume" e fine. Ora iniziano a chiederti o: "La vuole alogena? A basso consumo? Luce calda o fredda?". Ma io che ne so, mica sono un direttore della fotografia!". - Tra le "picic�" della sua vita c'� anche la fisicit�. "Io nel mio curriculum sul libro scrivo che sono alta 1.85 in yard, per guadagnare quei 15 centimetri". - La sua statura mignon � mai stata un complesso? Oppure � da sempre una piccolezza su cui fare ironia? "No, non � mai stata un complesso. Forse durante l'adolescenza certe battute non erano proprio un piacere, certo. Ma ho capito subito che essere spiritosa poteva essere un'arma vincente". - E oggi come reagisce di fronte alla violenza verbale? A certi commenti aggressivi sui suoi social, dal "Non fai pi� ridere nessuno" in gi�? "Se sono seriamente violenti li denuncio. Agli altri non faccio caso. Non cerco di piacere a tutti: io sono libera, dico sempre quello che mi pare. E sui social network mi piace iniziare le giornate con leggerezza: ne abbiamo tutti un gran bisogno. Per questo su Instagram ogni mattina pubblico un breve video divertente. Credo che sia un gesto di generosit�, un distillato di buonumore in dosi omeopatiche". - Accanto ai tanti argomenti divertenti ha dedicato un capitolo al tema delicato dell'adozione. Perch�? "L'attesa media per un'adozione internazionale � di circa due anni e mezzo. Il tempo che la sonda Voyager ci ha messo per raggiungere Saturno. Per questo ho scritto dei bambini e ragazzi in affido o adottati, che sono figli non della pancia ma del cuore. L'ho scritta a nome di tutte le mamme adottive o affidatarie e di tutti i pap�. S'intitola "Lettera a un bambino rinato"". - I suoi figli "rinati" sono ormai diventati grandi: Vanessa ha 19 anni, Jordan 21. Hanno gi� letto il libro? "No, ma ne stanno aspettando un altro da leggere". - Quale? "Un giorno ho detto che vorrei scrivere un romanzo su di loro. Quando hanno visto questo, mi hanno chiesto: "Mamma, � il nostro?". Capito che non lo era, per loro la faccenda � finita l� (ride). Quindi per il momento possiamo tornare a noi: vuole che le racconti un'altra picic�?". - Certo. "La tragedia del mio deodorante preferito che all'improvviso � sparito dagli scaffali. Lo cercavo da una parte, con una certa confezione e la commessa mi ha detto: "No, guardi, � qui: l'hanno cambiato, non ha pi� i sali di alluminio". Io manco sapevo che ci fossero, 'sti sali di alluminio. Ma evidentemente a qualcosa servivano, perch� dopo che l'ho spruzzato nel giro di tre minuti avevo gi� l'ascella come una bestia di Satana!". Fabio Fazio: "Tre cose che so di lei" Abbiamo chiesto a Fabio Fazio, la persona che meglio conosce Luciana, di raccontarci tre "Pcc", piccole cose certe, su Luciana. Ecco che cosa ci ha risposto. Non stiamo insieme - "� la domanda pi� frequente che la gente mi fa per strada: "E Lucianina dove l'ha messa?". Una volta per tutte: io e lei non stiamo insieme. Anche se ci conosciamo da 27 anni e artisticamente abbiamo gi� festeggiato le nozze d'argento. Anche se per via dello spread ora sono nozze di bronzo". Lei � un'aliena - "Non si sa esattamente da dove arrivi Lucianina, ma di certo � un'aliena: � l'unica che, con due mani, due braccia e due gambe, riesca nello stesso momento a scrivere un libro, stirare, suonare il pianoforte, lavarsi i capelli, fare i compiti con i figli (eventualmente sgridandoli) e sbrinare il frigo". Non l'ho scoperta io ma... - "Il primo a notarla sono stato io: le ho consegnato un premio ad Aosta nel 1991, a un festival di cabaret che presentavo insieme con Moana Pozzi. Vorrei poter dire: "Ti ho scoperta io!"; come Pippo Baudo. Ma in fondo l'ho scoperta come Colombo ha scoperto l'America: sono solo incappato con grande fortuna in qualcosa che esisteva gi�: il suo enorme talento". Un'ultima cosa certa (che vale soltanto per noi) - "Siamo sinceramente amici e possiamo sempre contare l'uno sull'altra. Sempre".