Febbraio 2020 n. 2 Anno L MINIMONDO Periodico mensile per i giovani Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registrazione 25-11-1971 n. 202 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Pietro Piscitelli Massimiliano Cattani Luigia Ricciardone Copia in omaggio Rivista realizzata anche grazie al contributo annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del MiBACT. Indice Ebrei da odiare? Indispensabile acciaio Colazione: tanti modi per godersela in salute Le prescelte dell'assassino Lisbona, irresistibile fascino malinconico L'equilibrio del Tatami Mina-Fossati: ritorno per due stelle Ebrei da odiare? (di Riccardo Michelucci, "Focus Storia" n. 160/20) - Ciclicamente l'antisemitismo torna ad alzare la testa. Perch�? Storia e origini del "male oscuro" dell'Occidente - � stata definita la forma d'odio pi� antica della Storia. Un'ostilit� costante e duratura basata sulla persistenza di alcuni stereotipi. Su accuse false e irrazionali che hanno attraversato i secoli innescando drammatiche persecuzioni. Fin dall'antichit� gli ebrei sono stati accusati di essere barbari e sanguinari perch� non partecipavano ai culti pagani delle altre popolazioni, di non riconoscersi nelle divinit� degli Stati in cui vivevano. In seguito � arrivata l'accusa di "deicidio", ovvero dell'uccisione di Cristo - anche se la crocifissione era una condanna romana -, di praticare omicidi rituali di bambini cristiani, di avvelenare i pozzi, di diffondere la peste nera, di praticare la stregoneria e di cospirare per distruggere il mondo cristiano. In epoca moderna � stata infine teorizzata l'esistenza di un "complotto ebraico" per conquistare il dominio del mondo attraverso il controllo del sistema finanziario internazionale. Il termine "antisemitismo" venne coniato solo nel 1879 dall'agitatore tedesco Wilhelm Marr, ma le basi di quest'ideologia di odio risalgono a tempi assai pi� remoti. Il primo episodio di ostilit� storicamente documentato si verific� per motivi religiosi intorno al 400 a.C., nell'Egitto dei faraoni, con la distruzione del tempio ebraico di Elefantina (l'odierna citt� di Assuan). Furono di natura religiosa anche le successive persecuzioni nel regno di Siria, perch� gli ebrei si opponevano all'ellenizzazione del loro culto. E alcuni studiosi hanno individuato un sentimento anti-ebraico tra gli antichi Greci e Romani sempre a causa della loro fede monoteista. Episodi di odio sono in effetti citati nelle fonti classiche da Cicerone, da Tacito e da Giovenale. Una svolta decisiva avvenne dopo l'Editto di Tessalonica del 380 d.C.: l'imperatore Teodosio I rese il cristianesimo la religione ufficiale dell'Impero romano, mettendo fuori legge gli altri culti. Gli ebrei vennero progressivamente privati dei diritti di cui avevano goduto sotto gli imperatori pagani e iniziarono a essere perseguitati. "Al tempo dei Romani le violenze furono tutte di natura politica, perch� gli ebrei non si erano conformati alla religione di Stato e all'obbedienza nei confronti dell'imperatore", spiega Marina Caffiero, docente di Storia moderna all'Universit� La Sapienza di Roma. "Il cristianesimo concettualizz� l'antigiudaismo sul piano teologico. Fu sant'Agostino il primo a codificare l'ostilit� verso di loro, accusandoli di deicidio. Al tempo stesso si impose quella che sar� per lungo tempo la politica della Chiesa nei confronti degli ebrei, ovvero da un lato la repressione, dall'altro la tolleranza e la persistenza all'interno della societ� cristiana", prosegue Caffiero. "Gli ebrei dovevano essere i testimoni della verit� del cristianesimo e su questa ambivalenza si rifletter� in seguito anche la nascita del ghetto". Nel V secolo gli editti di Teodosio e Valentiniano esclusero i fedeli di Jehovah da ogni carica pubblica e dall'accesso alle universit�. Ma i primi grandi massacri si verificarono nell'Europa Centrale nel 1096, ai tempi della Prima crociata: le comunit� ebraiche insediate lungo il Reno e il Danubio furono quasi del tutto cancellate dai cavalieri cristiani in marcia verso la Terra santa. Gi� ad Alessandria d'Egitto, nei primi anni del cristianesimo, gli ebrei cominciarono a essere accusati, senza prove, dell'omicidio rituale di bambini cristiani. Alla met� del XIII secolo questo sospetto si trasform� nella cosiddetta "accusa del sangue", ovvero il presunto utilizzo del sangue dei bimbi per i riti della Settimana santa. Un'accusa che nel 1475 sfoci� nel drammatico caso di Simonino, un bimbo trovato morto a Trento, per il quale quindici ebrei furono accusati di omicidio e costretti a confessare sotto tortura, prima di essere uccisi. Una combinazione di pregiudizio popolare e interessi politici ed economici innesc� nel Medioevo nuove ondate di odio antiebraico. Siccome la Chiesa condannava l'usura e vietava ai cristiani di prestare denaro (lo "sterco del diavolo") su pegno, questa attivit� divent� prerogativa degli ebrei e presto si diffuse il luogo comune del giudeo usuraio. Nel XIV secolo si sparse la voce che avessero causato loro la diffusione della Peste nera, avvelenando i pozzi. Papa Clemente VI cerc� di proteggerli ma non riusc� ad arginare la violenza che travolse centinaia di comunit�. Oltre agli eccidi, sono tristemente famose le migrazioni forzate all'origine della diaspora ebraica. Il primo esodo dalla Palestina (dopo la deportazione in Babilonia del VI secolo a.C., narrata dalla Bibbia) segu� le guerre giudaiche e la distruzione del Tempio di Gerusalemme da parte dell'imperatore Tito, nel 70 d.C. Tra il XIII e il XV secolo gli ebrei vennero invece espulsi in rapida successione dall'Inghilterra, dalla Francia, dalla Germania e dalla Spagna. Con il decreto di Granada del 31 marzo 1492, re Ferdinando II d'Aragona impose a tutti gli ebrei spagnoli di scegliere tra la conversione al cattolicesimo e l'espulsione o la morte. Decine di migliaia di profughi si diressero verso il Portogallo - da dove sarebbero stati espulsi successivamente -, altrettanti raggiunsero i Paesi Bassi, l'Italia e la Grecia. Anche Martin Lutero si scagli� contro di loro quando rigettarono il suo appello a convertirsi, trasmettendo quell'odio in eredit� al luteranesimo. Nel XVI secolo, in piena Controriforma, nacquero i primi "ghetti", i quartieri dove gli ebrei furono costretti a risiedere. Erano circondati da mura, con portoni che venivano chiusi al tramonto e riaperti all'alba. Il primo, nel 1516, fu quello di Venezia. Quello di Roma fu istituito quattro decenni pi� tardi dalla bolla Cum nimis absurdum di papa Paolo IV, che impose una serie di dure restrizioni alle comunit� ebraiche di tutta Europa. I ghetti vennero progressivamente aperti nel XIX secolo, ma furono poi ricostituiti dai nazisti come tappa verso la "Soluzione finale". Le origini dell'antisemitismo moderno risalgono all'Ottocento, il secolo delle persecuzioni antiebraiche in Germania, in Ungheria e soprattutto in Russia. I "pogrom" (dal russo "devastazione") dell'epoca zarista causarono massacri anche prima che i Protocolli dei Savi Anziani di Sion (un falso messo insieme in Russia) diffondessero l'idea delirante di un complotto ebraico per il dominio sul mondo. Ma esiste una connessione tra l'antisemitismo moderno e l'antigiudaismo antico? Secondo Marina Caffiero � semplicistico considerarli fenomeni disgiunti e incomparabili. "Esiste un nesso ben preciso, poich� le radici storiche dell'antisemitismo affondano nell'ostilit� della cultura cristiana antica che ha fornito elementi culturali e intellettuali durevoli nel tempo. Negarlo equivarrebbe a compiere un'operazione mistificatoria per assolvere la cultura cattolica". Su questo appare invece pi� cauto lo storico dell'antisemitismo Gadi Luzzatto Voghera, direttore del Centro di documentazione ebraica contemporanea (Cdec) di Milano. "Esistono senz'altro alcuni elementi che sono stati riciclati nel dibattito pubblico contemporaneo. In primo luogo la tendenza ad associare gli ebrei a una particolare attitudine nell'uso del denaro, retaggio di quando in Europa furono costretti per legge a esercitare il prestito di denaro su pegno. "Il linguaggio si � sviluppato in altro modo e andare troppo indietro nel tempo non serve a spiegare le dinamiche del presente. Le attuali origini dell'ostilit� antiebraica si delineano a partire dalla seconda met� del XIX secolo intorno a un linguaggio che ha una forte efficacia politica". � proprio allora, alla fine dell'Ottocento, che l'antisemitismo si manifesta infatti come movimento politico. Il passaggio decisivo, secondo gran parte della storiografia recente, � il cosiddetto "Affaire Dreyfus", che sconvolse l'opinione pubblica francese negli anni fra il conflitto franco-prussiano e la Grande guerra. Nel 1894 l'ufficiale ebreo francese Alfred Dreyfus fu accusato di spionaggio a favore della Germania, processato in tutta fretta e condannato da una corte marziale militare con prove false e manipolazioni. Quella vicenda di fine '800 � considerata da molti il prodromo della Shoah, perch� port� alla superficie quei rigurgiti razzisti e antisemiti di cui tutta l'Europa, e non soltanto la Germania, era inquinata. Di l� a poco l'antisemitismo sarebbe diventato un pilastro dell'ideologia nazista di Hitler, causando una delle pi� grandi tragedie della storia dell'umanit�. Il razzismo antiebraico contemporaneo � alimentato dall'onda lunga dell'odio degli ultimi 150 anni e dalle argomentazioni dell'antisionismo, il movimento che vorrebbe cancellare lo Stato d'Israele ed � entrato a pieno titolo nella sfera della politica antisemita. "Neanche l'orrore della Shoah � riuscito ad attenuare il fenomeno perch� non ha toccato le basi ideologiche dell'antisemitismo, che si � anzi alimentato di alcuni elementi tratti dall'Olocausto", sostiene Luzzatto Voghera. "L'antisemitismo non ha bisogno degli ebrei ma soltanto di un'immagine negativa costruita intorno a un linguaggio antisemita. Possiamo definire la stessa Shoah un "cortocircuito dell'antisemitismo", poich� ha identificato l'immagine pubblica negativa degli ebrei con persone in carne e ossa. Ecco perch�, gi� nell'immediato Dopoguerra, si assiste senza stupore ad esempio al riemergere dell'accusa di omicidio rituale rivolta ai superstiti di una comunit� polacca nel 1946, oppure all'identificazione della nascita dello Stato di Israele come il prodotto di un complotto ebraico per la conquista del mondo. Si utilizzano cio� alcuni simboli emersi dalla storia della Shoah per alimentare la retorica antisemita". Ma molti storici - tra cui lo stesso Luzzatto Voghera - non condividono la cosiddetta "interpretazione lacrimosa della storia ebraica", secondo la quale gli ebrei avrebbero vissuto in ogni epoca un'incessante serie di persecuzioni. "Ci sono stati anche secoli di convivenza pacifica con il mondo cristiano che troppo spesso passano in secondo piano", spiega il direttore del Cdec. "E negli ultimi sessant'anni sia la Chiesa cattolica sia quella protestante hanno compiuto una svolta decisiva sul piano teologico e interpretativo del rapporto tra comunit� cristiane ed ebraismo. Ma � chiaro che quasi due millenni di predicazione antiebraica non possono essere cancellati in poco tempo". Indispensabile acciaio (di Riccardo Oldani, "Focus" n. 327/20) - Ha caratteristiche ancora insostituibili e quello italiano � di qualit� superiore. Breve decalogo per capire la guerra in atto a Taranto e nel mondo - Sono passati probabilmente pi� di 4.000 anni da quando un fortunato fabbro trov� il modo di ottenere l'acciaio. Si era accorto che se lasciava il primo prodotto della fusione dei minerali di ferro, quella che oggi chiamiamo ghisa, a contatto per un certo tempo con il fuoco del carbone di legna, otteneva un metallo pi� duro e resistente. In maniera empirica aveva scoperto il modo per ridurre il tenore di carbonio nella lega di ferro ed eliminare cos� la principale causa della sua fragilit�. Quell'artigiano probabilmente viveva in Anatolia, in Asia Minore, perch� da l� provengono i pi� antichi manufatti in acciaio, ed � uno dei tanti, sconosciuti pioneri del passato che hanno avuto il merito di cambiare la Storia. S� perch� il metallo che "invent�" nel suo antico forno ha avuto un peso decisivo nel portare l'umanit� al livello di sviluppo odierno. Oggi � impiegato ovunque, spesso senza che ce ne rendiamo conto, nelle navi come nelle automobili, nel cemento armato, e quindi nelle case in cui viviamo, come nelle pentole in cui cuciniamo. In Italia ne parliamo soprattutto per le vicende legate all'impianto siderurgico di Taranto, il pi� grande d'Europa e di importanza strategica per il Paese, capace teoricamente di produrre fino a 9.2 milioni di tonnellate di acciaio l'anno, ma sfruttato ora pi� o meno a met� del suo potenziale. L'annuncio del gruppo indiano ArcelorMittal, che lo controlla da novembre 2018, di portarlo a progressivo spegnimento e le complicate traversie della citt� pugliese e dei suoi cittadini potrebbero far pensare che l'acciaio sia ormai un materiale superato, legato a un vecchio modo di concepire l'industria, con tante controindicazioni e pochi vantaggi. Ma le cose non stanno cos�. Oggi, nel mondo, secondo le stime di Worldsteel (l'associazione mondiale dell'industria di settore) e degli istituti di ricerca che si occupano di siderurgia, si producono oltre 1.800 milioni di tonnellate di acciaio l'anno, di cui la met� in Cina, di gran lunga il maggiore produttore e anche il principale responsabile del surplus alla base della crisi del mercato che si riflette anche su Taranto. L'Italia � al decimo posto nella graduatoria mondiale, con 24,5 milioni di tonnellate prodotte nel 2018 (in calo per� nel 2019), e si distingue per l'alta qualit� del prodotto. Secondo Carlo Mapelli, docente del Politecnico di Milano e responsabile del gruppo di ricerca Steelmaking and Metallurgical Processes (Produzione dell'acciaio e Processi Metallurgici), "il nostro settore siderurgico � particolarmente efficiente, per quanto non possa contare su fonti di energia proprie, ed � in grado di offrire a prezzi competitivi la materia prima ai propri clienti, che sono essenzialmente le aziende delle costruzioni, le industrie metalmeccaniche, come quelle che producono autoveicoli, elettrodomestici o macchine utensili, e i cantieri navali". Ma se c'� tanta sovraproduzione di acciaio nel mondo, perch� diventa cos� importante mantenere attivo il sito di Taranto? Non potremmo semplicemente importarlo? "Abbandonare una nostra produzione di acciaio di alta qualit�", osserva l'esperto, "potrebbe essere dannoso per molti settori industriali su cui si regge la nostra economia, che finirebbero per perdere la loro competitivit�, con effetti negativi sulle esportazioni, la voce commerciale su cui vive tutta l'Italia e vitale per controbilanciare il peso del nostro debito pubblico". Insomma, siamo bravi nel mondo a fare l'acciaio e non possiamo rinunciarvi. Ma al problema macroeconomico si affianca quello dell'occupazione. Sempre secondo Worldsteel, sono pi� di 6 milioni nel mondo le persone direttamente impiegate nella produzione dell'acciaio, che salgono a 40,5 milioni se si considera l'indotto: in altre parole, per ogni due posti di lavoro nel settore siderurgico se ne creano altri 13 nella filiera. Altri 49,3 milioni di addetti lavorano nelle aziende che trasformano l'acciaio in prodotti destinati al mercato. Insomma, 90 milioni di persone nel mondo, pi� della popolazione dell'intera Germania, hanno un lavoro grazie all'acciaio. In Italia, secondo i dati dell'associazione di settore, Federacciai, sono 70.000 gli addetti direttamente impiegati, di cui oltre 10.700 soltanto a Taranto. E a livello di tecnologie come siamo messi? Anche in questo ambito l'Italia � tra i leader mondiali. Abbiamo diversi impianti che sono veri e propri gioielli tecnologici, come quello di Cremona, del gruppo Arvedi, un modello di "miniacciaieria" integrata unico al mondo, in grado di produrre acciaio e di trasformarlo in rotoli di lamina sottile, a costi competitivi, con un processo, coperto da molti brevetti, che dura appena 15 minuti e si sviluppa su una linea lunga solo 180 metri. Passer� da una capacit� di 3 milioni di tonnellate l'anno a 4 milioni di tonnellate nel 2020. Il processo produttivo pi� usato nel mondo � quello basato sull'altoforno, da cui si ricava la ghisa, e sul convertitore, che la trasforma in acciaio. � quello adottato anche a Taranto, "un impianto", spiega Mapelli, "comparabile per livello tecnologico a quello dei concorrenti. La sua particolarit�, per�, sono le dimensioni. I siti produttivi pi� grandi in genere non vanno oltre una capacit� massima di 5,5-6 milioni di tonnellate. Quello di Taranto � molto pi� grande, ed � soprattutto per questo che ha un maggiore impatto ambientale". Mapelli fornisce alcuni numeri: "Per produrre una tonnellata di acciaio occorrono 500 kg di carbon coke, di cui almeno 310-320 kg devono essere di buona qualit�. In un impianto dimensionato per produrre fino a 8,5 milioni di tonnellate di acciaio si pone quindi anche il problema di stoccare una grande quantit� di carbone e poi distillarla nei forni di cokefazione". Un altro punto critico sono gli agglomeratori, dove il minerale viene compattato in pellet o in piccole sfere, in un processo che genera polveri sottili e inquinanti. "� fondamentale quindi", aggiunge Mapelli, "che questi stadi della produzione siano tenuti sotto controllo con le tecnologie pi� moderne. E farlo su un impianto di questa scala � ancora pi� complesso". Del resto, gli altiforni di oggi sono autentici mostri, alti pi� di 40 metri e con un diametro che pu� raggiungere i 12-14 metri nella parte pi� bassa, quella del crogiolo. "Il loro sviluppo nella forma in cui li conosciamo", spiega Mapelli, "� cominciato a partire dal Rinascimento, proprio in Italia". All'epoca, furono soprattutto i Medici a ridare impulso all'attivit� siderurgica, alimentata dalle miniere dell'Elba, e a spingere l'innovazione. Ma il salto dimensionale vero e proprio avvenne in Inghilterra durante la Rivoluzione industriale, quando l'introduzione della macchina a vapore rese possibile insufflare nell'altoforno elevate portate d'aria. In precedenza si ricorreva a grandi mantici, azionati da ruote idrauliche. La colata di ghisa prodotta nell'altoforno viene poi trasformata in acciaio nel convertitore, un'invenzione che risale al 1856 ed � merito dell'ingegnere inglese Henry Bessemer. Al suo interno veniva pompata aria calda, favorendo la reazione tra l'ossigeno e il carbonio presente nella lega di ferro, con la conseguente produzione di anidride carbonica e acciaio. Oggi nelle acciaierie si usano convertitori LD, derivati dai Bessemer ma differenti, perch� invece di pompare aria dal basso insufflano ossigeno puro dall'alto sul metallo fuso. Furono sviluppati nel secondo dopoguerra in Austria, dall'azienda Voest Alpine. "Il processo basato su altoforno e convertitore LD", dice Mapelli, "� ancora oggi quello pi� economico e pi� utilizzato nella produzione dell'acciaio dal minerale. Gli si affianca il metodo con forno elettrico ad arco, impiegato soprattutto per il riciclo di rottami di ferro oppure per la fusione del cosiddetto preridotto, materiale ferroso ottenuto con un processo di trasformazione del minerale mediante gas naturale. L'acciaio cos� ottenuto ha qualit� identiche a quello prodotto con il ciclo altoforno-convertitore, ma con emissioni assai pi� basse di anidride carbonica e un impatto ambientale inferiore, perch� non impiega carbone". La ricerca, oggi, � concentrata proprio a ottimizzare i processi sia dal punto di vista produttivo sia da quello ambientale, in particolare attraverso un utilizzo pi� efficiente dell'energia. "In futuro", conclude Mapelli, "l'obiettivo � arrivare a estrarre il ferro dal minerale utilizzando l'idrogeno o attraverso processi elettrochimici. In Corea del Sud e in Giappone sono state tentate produzioni con l'idrogeno, ma con costi estremamente elevati. E del resto questo elemento oggi viene ricavato soprattutto dal gas naturale, quindi � pi� logico, al momento, utilizzare quest'ultimo". Colazione: tanti modi per godersela in salute ("RivistAmica" n. 9/19) - primo pasto del mattino � un momento importante della giornata. Ecco una serie di idee per soluzioni variegate, alleate del benessere e adatte alle pi� diverse esigenze - La colazione � un "rito" per molti italiani, spesso con ingredienti immutabili. Ma se si vuole inserire in questo momento della giornata una variet� amica della salute, � possibile puntare anche su opzioni diverse. Ecco 7 idee, da provare per poi scegliere le proprie preferite, consigliate dalla dottoressa Maria Cristina Varotto (www.ladottoressacri.it), dietista libero professionista che collabora con il Centro Medico Santagostino e altri studi medici polispecialistici di Milano, oltre che con la LILT (Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori). Un t� o una tisana, fette biscottate, gallette o pane tostato (in modo che diventi pi� digeribile) ed eventualmente un velo di marmellata sono una colazione ideale per chi sta seguendo un regime ipocalorico, per persone con problematiche gastrointestinali o digestive o per chi al mattino spesso non ha fame. "Questo tipo di pasto potrebbe essere particolarmente apprezzato dalle donne in menopausa - sottolinea la dottoressa Varotto - alle quali per� consiglio di aggiungere anche un bicchiere di latte parzialmente scremato. Cos� si tengono comunque sotto controllo le calorie, ma allo stesso tempo si introduce una fonte di calcio, importante per la salute delle ossa in questo periodo della vita femminile". C'� chi al mattino predilige i sapori salati, e anche in questa gamma di possibilit� � importante puntare su scelte che uniscono benessere e gusto: "Ad esempio pane integrale o a base di diversi cereali tostato con affettati magri o latticini leggeri e poi magari della verdura, come degli spinaci o dei funghi", consiglia la nutrizionista. Potremmo definire questa soluzione "rinforzata" dal punto di vista nutrizionale, perch� adatta sia ai bambini in crescita che alle esigenze delle persone pi� anziane. "Per loro, del latte intero o addirittura di capra o pecora - che sono ancora pi� nutrienti - e dei biscotti (magari fatti in casa) possono essere una valida alternativa. L'ideale sarebbe optare per un semplice frollino, cercando un prodotto preparato con meno ingredienti possibili". Chi � abituato a fare attivit� fisica al mattino, necessita di alimenti facilmente assorbibili, che vengano digeriti rapidamente. "La combinazione migliore � quella tra zuccheri e proteine. Si pu� quindi ricorrere alla frutta, consumata al naturale o usata per spremute o centrifughe, e a uno yogurt. Invece, sebbene le fibre siano importanti, sconsiglio di inserirle nella colazione di chi si appresta a fare sport. L'energia deve essere infatti subito disponibile, mentre le fibre ne rallenterebbero l'assorbimento e di conseguenza l'utilizzo". Quando si parla di "English Breakfast" il pensiero corre subito a bacon e uova. Ma c'� anche la possibilit� di sperimentare i sapori anglosassoni in altro modo: "Il porridge o pappa d'avena � una sorta di budino preparato con fiocchi di avena fatti cuocere con latte vaccino o vegetale o acqua e poi arricchito da frutta fresca e secca, magari del cacao e un po' di miele". Si ottiene cos� un gustoso mix di fibre, carboidrati complessi, grassi buoni e proteine. Per iniziare la giornata senza derivati animali si pu� optare per una colazione a base di muesli con una bevanda vegetale. Il muesli � fonte di carboidrati, grazie ai cereali, e di proteine, contenute nella frutta secca con cui viene spesso arricchito. Per quanto riguarda la bevanda vegetale, come ad esempio il latte di soia o di avena, "il consiglio � di prediligere prodotti senza zuccheri aggiunti e arricchiti di calcio e vitamina D". Ovviamente ogni tanto � concesso permettersi uno "sgarro" con le soluzioni pi� classiche e golose: "Un cappuccino e una brioche o una fetta di torta fanno parte della nostra tradizione. Uno stile di vita sano ed equilibrato non prescinde dal piacere della convivialit�, ad esempio con la colazione lenta e al bar. Magari meglio lasciarla per le occasioni speciali, scegliendo comunque prodotti di qualit�", conclude la dottoressa Varotto. Le prescelte dell'assassino (di Fabio Dalmasso, "Focus Storia" n. 157/19) - i erano le vittime di Jack lo Squartatore? Che cosa avevano in comune? Ecco quello che sappiamo sulle donne trucidate dal pi� celebre serial killer di sempre - Mary Ann Nichols, Annie Eliza Smith Chapman, Elizabeth Gustafsdotter Stride, Catherine Eddowes e Mary Jane Kelly: i nomi delle cinque vittime di Jack lo Squartatore sono entrati nella Storia sempre accompagnati da una parola: prostitute. "Ma non ci sono prove per convalidare questa tesi per tre delle vittime", scrive la storica Hallie Rubenhold in The Five: The Untold Lives of the Women Killed by Jack the Ripper (Doubleday). "Poich� i corpi furono ritrovati in cortili bui o nelle strade, la polizia diede per scontato che le donne esercitassero il mestiere e che fossero state uccise da un maniaco che le aveva adescate in quei luoghi per fare sesso. Ma non c'� e non c'� mai stata alcuna prova nemmeno di questo". L'unica certezza � che le vittime di Jack lo Squartatore erano povere e in difficolt�, spesso prigioniere di un alcolismo che le "aiutava" ad affrontare le asprezze di un'esistenza durissima. "Sin dall'inizio la loro vita � stata difficile: non solo perch� erano nate in famiglie della classe lavoratrice, ma perch� erano nate femmine", spiega la storica. Abbandonare il marito, i figli, avere problemi con l'alcol, convivere con uomini senza essere sposate o avere avuto figli al di fuori del matrimonio: all'epoca tutto questo bastava per essere bollate come poco di buono. Ma se Elizabeth Stride e Mary Jane Kelly furono costrette dagli eventi a prostituirsi, per Mary Ann Nichols, Annie Chapmao e Catherine Eddowes non esistono evidenze storiche che facessero "la vita". Vediamo allora chi erano queste donne e come sono finite fra le mani del serial killer pi� famoso di tutti i tempi. Mary Ann Nichols la prima vittima - Nata a Londra il 26 agosto 1845, Polly - cos� era soprannominata - visse un'infanzia normale e, cosa assolutamente inusuale per l'epoca, riusc� anche a studiare, nonostante le difficolt� economiche della famiglia. Rimasta orfana di madre a 17 anni, nel 1864 convol� a nozze con William Nichols, giovane tipografo con il quale mise al mondo cinque figli. Una vita in apparenza tranquilla e dignitosa, che per� celava tensioni e gelosie: lui la accusava di bere troppo, mentre lei era sicura che il marito la tradisse. Litigi e accuse reciproche durarono fino al 1880, quando Mary Ann decise di andarsene. Come scrive Rubenhold, per la societ� vittoriana una donna sola faceva scandalo e ottenere la separazione era un lusso che solo le classi pi� abbienti potevano permettersi. Polly inizi� cos� a entrare e uscire dalle miserabili workhouses, ostelli dove venivano offerti alloggio e occupazione ai poveri, arrivando anche a dormire per strada. Nel maggio 1888 fu assunta come domestica, ma i problemi con l'alcol o forse un furto in casa le fecero perdere il lavoro. L'ultima persona che incontr� la sera dell'omicidio, il 31 agosto 1888, fu un'amica a cui confess� che non aveva un posto dove dormire. Dopodich� scomparve per sempre nelle vie buie e malfamate di Whitechapel, dove Jack the Ripper massacr� tutte le sue vittime. Annie Eliza Smith Chapman dal divorzio all'alcol - Della seconda vittima si conoscono solo il mese e l'anno di nascita: Annie Eliza Smith venne al mondo a Londra nel settembre del 1841, figlia di un soldato di Sua Maest� e di Ruth Chapman. Il basso salario del padre era appena sufficiente per mantenere moglie e figli e i continui spostamenti ("tra gli Anni '40 e i primi Anni '60 cambiarono almeno dodici indirizzi", nota la Rubenhold) li portavano spesso in case in cui la convivenza forzata con altre famiglie era la normalit� e le condizioni igieniche molto precarie. Infatti la scarlattina e il tifo, nel giro di tre settimane, uccisero quattro dei sei figli della coppia. Ben presto Annie venne mandata a lavorare come domestica e, dopo essere rimasta orfana del padre, il 1o maggio 1869 spos� John Chapman, cocchiere al servizio di un ricco gentleman. La coppia si trasfer� nel Berkshire, nella tenuta del datore di lavoro, ma la lontananza dalla madre e le numerose gravidanze mai andate a buon fine si rivelarono una prova troppo dura per Annie: l'alcol divenne quindi il suo pericoloso e letale conforto. Nel 1882, in seguito a un arresto per ubriachezza in pubblico, entr� in una casa di cura per alcolisti, ma senza risultati. Dopo la separazione consensuale dal marito, che le assicur� comunque un minimo sostegno economico, Annie and� a vivere con un certo Jack Sievey a Whitechapel, in Dorset Street, descritta come "la peggior strada di Londra per quanto riguarda la povert� e la miseria". Alla morte dell'ex marito e alla fine della nuova relazione si aggiunsero i primi segni di tubercolosi. Annie fece di tutto per cercare un lavoro, ma la sua salute peggiorava di giorno in giorno e, senza pi� soldi, fin� anche lei a dormire per strada. Quella stessa strada dove la notte dell'8 settembre 1888 incontr� il suo carnefice. Elizabeth Gustafsdotter Stride la svedese - Elizabeth Gustafsdotter nacque in Svezia, il 27 novembre 1843. Figlia di una famiglia di agricoltori, lavor� per quattro anni come domestica e poi si trasfer� a G�teborg, dove probabilmente fu vittima di una violenza. Ammalatasi di sifilide, Elizabeth trov� inizialmente aiuto da una cugina e poi decise di partire per Londra. Nella citt� inglese giunse nel febbraio del 1866 e inizialmente la vita sembr� sorriderle: trov� di nuovo lavoro come domestica e il 7 marzo 1869 si spos� con John Stride. Insieme aprirono una coffee house e per un periodo riuscirono ad avere un'esistenza felice. Poi gli affari iniziarono ad andare male e tutto si sfald�. Davanti alle difficolt� l'amore mostr� le prime crepe e il fatto che lei non potesse avere figli non fece che peggiorare la situazione. Dopo otto anni, nel marzo 1877, Elizabeth decise di lasciare suo marito e per lei inizi� un'esistenza dura, fatta di piccoli lavori saltuari, sistemazioni precarie in camere di fortuna e la compagnia costante dell'alcol. Con la sifilide che le rendeva sempre pi� difficile lavorare, Elizabeth conobbe il suo nuovo compagno, Michael Kidney, ma la relazione si rivel� presto un incubo: anche lui era alcolista e per di pi� violento. L'ultima parte della vita della svedese fu un susseguirsi di piccoli incarichi come donna delle pulizie alternati, probabilmente, a incontri di sesso a pagamento che le permisero solo di poter placare la sete di alcolici: il poco che guadagnava lo spendeva in bottiglie e il suo nome divenne noto alla polizia per ubriachezza in pubblico. Le notizie sulle sue ultime ore sono molto scarne: Jack la uccise il 30 settembre 1888, senza infierire sul suo cadavere, forse perch� venne disturbato. Catherine Eddowes verso l'abisso - Il serial killer si rifece un'ora pi� tardi con Catherine Eddowes: sul suo corpo Jack si sfog� facendone scempio. Nata a Wolverhampton il 14 aprile 1842, Chick o Kate, come veniva chiamata, arriv� giovanissima a Londra con la famiglia, che sognava per lei e per gli altri figli un futuro migliore. Per questo padre e madre decisero di mandarli a scuola, ma il sogno non aveva fatto i conti con il destino: nel giro di pochi anni il padre perse il lavoro e la madre, malata, mor�. A Elizabeth non rest� che tornare a Wolverhampton, dove visse a casa degli zii e trov� alcuni lavori, ma venne sospettata di furto e fu costretta ad andarsene. Nel suo girovagare conobbe Thomas Conway, irlandese giramondo, che si manteneva vendendo libri come ambulante. Dopo aver viaggiato a lungo per l'Inghilterra e aver avuto una figlia, nel 1864 si stabilirono a Londra. Ma gli affari iniziarono ad andare male, Thomas fu costretto a lunghi viaggi alla ricerca di un lavoro, mentre Kate, da sola, dovette assistere alla morte per malnutrizione del secondo figlio. Una situazione che port� anche lei all'alcolismo. Nella lenta discesa verso l'inferno, Kate inizi� a passare da una workhouse all'altra, alternando arresti per ubriachezza a piccoli lavori per sopravvivere. E la fine del matrimonio la sprofond� nell'abisso. L'incontro con un nuovo compagno, John Kelly, non fu altro che l'ennesimo schiaffo del destino: ubriacone e violento, Kelly girava l'Inghilterra per lavorare nei campi, ma quel che guadagnava bastava a malapena a pagare le amate bottiglie. Senza soldi e senza un tetto, i due si divisero: Kate pass� gli ultimi giorni della sua esistenza a vagare per Londra e a dormire in strada, prima di incrociare la furia assassina di Jack. Mary Jane Kelly, l'ultima vittima - La vita di Mary Jane Kelly, l'ultima vittima, � un mistero: di lei si conosce poco o nulla, e anche le scarse notizie che si hanno non sempre sono cos� attendibili. Sembra che fosse nata a Limerick, in Irlanda, nel 1863, e che poi si fosse trasferita con i genitori e gli 8 fratelli e sorelle in Galles. A 16 anni spos� un minatore che per� mor� in un'esplosione due anni dopo. Vedova ad appena 18 anni, Mary Jane and� a Cardiff dove, sembra, inizi� a fare la prostituta. Nel 1884 arriv� a Londra e, secondo alcuni, fin� a lavorare in una casa di appuntamenti. A chi la incontrava, Mary Jane raccontava versioni sempre diverse della propria vita, ma tutti coloro che la conobbero la trovarono una donna con una certa cultura e un discreto talento artistico. Un giorno un uomo la port� con s� a Parigi, ma le promesse di una vita migliore non vennero mantenute e a Mary Jane non rest� che tornare a Londra, dove riprese a prostituirsi. La sua passione per l'alcol crebbe a dismisura e gli uomini che le furono accanto non la aiutarono sicuramente a smettere: brevi storie d'amore che finivano presto, lasciandola sola e senza soldi. Cos� il 9 novembre 1888 Mary Jane divenne la vittima numero cinque di Jack lo Squartatore. L'ultima. Lisbona, irresistibile fascino malinconico ("RivistAmica" n. 9/19) - La capitale portoghese � una meta perfetta da visitare a bordo di un tram o a piedi attraverso i vicoli in cui si diffondono lente le note del Fado - Meravigliosi edifici tempestati di azulejos, squisiti piatti tipici dall'inconfondibile aroma di "bacalhau", vicoli stretti in cui � facile venire raggiunti dalla malinconica melodia del Fado, il canto nostalgico che ha reso la musica portoghese celebre in tutto il mondo. Benvenuti a Lisbona, che con la sua bellezza struggente � pronta ad accogliere i visitatori che vogliono immergersi nel suo mix unico di culture, suoni, profumi e luci. A Lisbona una meta imperdibile � innanzitutto il quartiere di Belem, sulle sponde del Tago, il fiume che attraversa la citt�. Qui non si pu� non restare stupefatti dalle spettacolari decorazioni del Mosteiro dos Jer�nimos (dove si trova la tomba di uno dei portoghesi pi� famosi di tutti i tempi, l'esploratore Vasco da Gama), veri e propri merletti di pietra, e dalla bianca Torre di Belem che si protende verso il Nuovo Mondo, a memoria di un Paese che in passato comandava un enorme impero coloniale. Inoltre in questo quartiere si possono gustare gli irresistibili Pasteis de Belem direttamente nell'omonima pasticceria depositaria dell'originaria ricetta di questi dolci di pasta sfoglia con un ripieno alla crema, cotti in forno e serviti tiepidi o freddi spolverati di cannella o zucchero a velo. Il locale � uno spettacolo non solo per il palato, ma anche per gli occhi, con le pareti decorate da splendidi azulejos, le preziose piastrelle tipiche di Lisbona. Se come fine pasto o merenda i pasteis sono perfetti, a pranzo o a cena � d'obbligo assaggiare il bacalhau (merluzzo), pesce tradizionale della cucina portoghese, di cui si dice esistano 366 varianti da preparare, una per ogni giorno dell'anno. Per provarlo scegliete un locale storico della capitale lusitana: il caff� "A Brasileira", situato nel quartiere Chiado, in Rue Garret; qui una statua in bronzo del poeta Fernando Pessoa, il cantore dell'inquietudine, seduto a uno dei tavoli ricorda la predilezione del grande intellettuale per questo luogo. Lisbona sorge su sette colli, quindi per poterla ammirare tutta stando comodamente seduti � perfetto un giro sui pittoreschi tram e funicolari cittadini: i pi� suggestivi sono quelli che collegano la Baixa (la parte bassa della citt�) con il Barrio Alto, un tempo residenza delle famiglie ricche e ora quartiere degli artisti; il pi� famoso � il tram 28 grazie al suo percorso che attraversa l'Alfama, il quartiere pi� antico e probabilmente pi� suggestivo di Lisbona. Visitare Lisbona a novembre, soprattutto nei giorni attorno all'11 del mese, pu� donare una finestra di bel tempo inaspettato grazie alla cosiddetta "Estate di San Martino". Anche in Portogallo, infatti, le condizioni climatiche di relativo tepore che si verificano dopo i primi freddi rimandano alla tradizione religiosa legata al santo. Ma col Portogallo l'Italia non condivide solo il soprannome attribuito a questo periodo dell'anno. Un tipico detto portoghese infatti recita "No dia de So Martinho, vai � adega e prova o vinho" ossia "Il giorno di San Martino, vai in cantina e assaggia il vino", e per non contraddire le usanze popolari a Lisbona si continua a celebrare il santo con castagnate e l'apertura delle botti di vino novello. Tradizioni comuni a quelle italiane con l'aggiunta di due bevande alcoliche del luogo che si accompagnano alle caldarroste: l'�gua-p� e la jeropiga, due "cocktail" ottenuti a partire dal vino (o dal mosto), a cui si unisce un distillato ad alta gradazione alcolica. Il mondo fantastico della sardina In citt� si trovano statuette, calamite, portachiavi e molti altri gadget a forma di sardina, tanto da far pensare che sia il simbolo di Lisbona. In realt� � "solo" l'emblema culinario di alcune feste popolari ed � alla base di molti piatti della tradizione. Tappa obbligatoria per celebrarla � il "Mundo fant�stico da sardinha portuguesa", un negozio nel centro di Lisbona, in Piazza del Rossio, una sorta di "paese dei balocchi" fatto di latte di sardine sott'olio. Azulejos, il colore della citt� Gli azulejos sono il tocco colorato di Lisbona. Il nome deriva dall'espressione araba "al zuleiq", che significa piccola pietra levigata, e indica le piastrelle di ceramica smaltata e decorata che impreziosiscono edifici civili e religiosi della citt�. Si pu� vagare per la strade in una sorta di caccia al tesoro alla ricerca dell'azulejo pi� bello e, se si � dei veri appassionati, ammirarne alcuni tra i pi� ricercati concedendosi una visita al Museo Nacional do Azulejo. L'equilibrio del Tatami (di Giorgio Terruzzi, "Focus" n. 326/19) - Il judo � uno sport di efficienza cinetica. Manuel Lombardo non � pi� soltanto una promessa, � gi� un campione con un obiettivo: andare a Tokyo e vincere - � giovane, � tosto, � forte, � ambizioso. Manuel Lombardo ha soltanto ventuno anni (� nato a Torino il 4 dicembre 1998), ma � qualcosa di pi� di una promessa del judo italiano in vista dei Giochi di Tokyo 2020. Campione del mondo juniores lo scorso anno, ha esordito tra i senior battendo subito i protagonisti della scena internazionale, vincendo l'oro nel Grand Prix di Tel Aviv e confermandosi ai vertici del ranking ai Mondiali 2019 dopo la prova iridata. Un enfant prodige che sorride e diventa tenero quando ricorda l'inizio del suo "viaggio", nella sua Torino: "Ho cominciato a 3 anni grazie a mio fratello Daniel che ha 6 anni pi� di me", ci racconta. "� stato il mio mentore, anche se ha smesso per avviare il suo studio di osteopatia e fare il pap�. A lui devo la passione per il judo. A mio padre Salvatore e a mia mamma Giusi devo proprio tutto. Gestiscono insieme un'impresa di pulizie, hanno fatto molti sacrifici per aiutarmi. E, non appena ho vinto il Grand Prix, tutti i miei risparmi li ho usati per regalare loro una nuova automobile. Un piccolo gesto che spero di ripetere molte altre volte in futuro". Origini siciliane, una vita sul tatami, continue trasferte tra il Piemonte e il Centro federale di Ostia dove Raffaele Toniolo e Francesco Bruyere lo allenano, lo guidano, lo consigliano come due genitori supplementari: "Io sono innamorato di questo sport. Ogni rinuncia, la disciplina ferrea, gli allenamenti fanno parte del percorso che ho scelto e che accetto. Anche se talvolta faccio fatica, soprattutto sul fronte dell'alimentazione, perch� devo stare nel peso, visto che gareggio nella categoria 66 kg". Ha due orecchie accartocciate, al pari di un rugbista di prima linea, una faccia da teppa, una convinzione quasi impressionante: "In questo sport conta la testa, nel bene e nel male. Penso sia il mio punto di forza. Combatto contro atleti preparati e determinati quanto me. La differenza la fa la voglia, che nel mio caso � fortissima. Come se facesse parte della mia natura". Per lo stesso motivo � sempre dalla testa che possono arrivare i guai. "La vita di un atleta � come una strada stretta e dritta: bisogna fare attenzione a non sgarrare. Ci vuole rigore e disciplina. Non c'� spazio per le concessioni, nemmeno quando una piccola deviazione dal programma sembra una cosa da nulla, una piccola eccezione meritata". Non fa una piega Manuel, nemmeno quando pensa ai suoi amici, a chi, alla sua stessa et�, di "deviazioni" ne fa tante, pi� volte al giorno: "Non mi pesa affatto rinunciare al divertimento, forse perch� faccio questa vita da molto tempo. Oppure perch� i miei amici alla fine sono tutti compagni di allenamento". Un'amicizia che travalica l'agonismo: "Mi dispiace per molti di loro che si sono dedicati generosamente a questo sport per anni senza per� riuscire a ottenere i risultati che sto ottenendo io". Non pensiate per� che Lombardo non abbia spirito competitivo. Ne ha da vendere. La sua grinta traspare in ogni frase, ma diventa tangibile quando parla di ci� che sogna in questi mesi: la sua prima Olimpiade. "Sono convinto che non abbia senso partecipare e basta. Mi piace fare ci� che faccio e lo faccio per vincere. Ma il mio obiettivo, a essere sincero, � un altro: lasciare un segno nel judo ed essere guardato, un giorno, come quei campioni che ammiravo quando ero un ragazzino". Analisi e tecnica "Il lavoro quotidiano di Manuel Lombardo si sviluppa sia sul piano tecnico sia su quello atletico. Ovviamente, trattandosi di una specialit� divisa per pesi degli atleti, l'attivit� in palestra � molto accurata perch� deve seguire un modello di prestazione compreso tra aerobico-anaerobico e lattacido. La potenza deve crescere senza aumentare troppo la massa. Quindi, il tema centrale riguarda la forza abbinata alla resistenza". Francesco Burriere ha 39 anni, � un ex judoka di primissimo ordine (due medaglie d'argento ai Mondiali 2005 e 2010). Atleta delle Fiamme Azzurre, allena Lombardo nel Centro federale di Ostia in collaborazione con il preparatore atletico Romano Felice. La preparazione si sviluppa su sei giorni su sette con una pausa di mezza giornata il gioved� e riposo la domenica. Due ore e mezza al mattino sul tatami, due ore e mezza al pomeriggio in palestra. Anche se il programma varia: "Prepariamo uno schema di lavoro all'inizio di ogni mese, fissiamo obiettivi progressivi e vediamo come gestire ogni fase. Stiamo parlando di uno sport di combattimento basato sull'automazione di ogni movimento. In buona sostanza, si deve arrivare a un livello in cui l'atleta compie ogni gesto senza pensare. Il motivo � semplice: non c'� tempo. Trovarsi di fronte a un avversario significa approfittare di ogni secondo e in ogni secondo prendere una decisione. Dunque c'� la necessit� di cogliere l'attimo, di sfruttare istantaneamente un'opportunit�, muovendoti di conseguenza. Altrimenti un'occasione offerta si trasforma in un'opportunit� non solo persa, ma che va a vantaggio dell'altro". Un judoka vive tra azione e reazione. Crea per ricevere una reazione e quindi utilizzarla a proprio vantaggio: "Pi� si � bravi, pi� si � efficaci in questa lettura e nell'indurre l'avversario a leggere un segno prodotto appositamente per portarlo fuori strada. Basta un piccolo accenno di movimento del polso per generare una fase che va gestita. Quando mi riferivo all'automazione, intendevo dire che un atleta deve avere in testa, perfettamente memorizzato, una sorta di catalogo completo di gesti tra i quali scegliere e poi applicare generando, se possibile, una sorpresa anche attraverso una finta. Cercando, in aggiunta, di leggere la strategia che l'avversario sta proponendo. Il tutto considerando che ogni incontro dura 4 minuti e che un torneo significa affrontare mediamente 5 incontri in sequenza". Ci sono atleti che dopo anni di preparazione per una Olimpiade, sono stati eliminati in un minuto per aver sbagliato un passo. Un semplice passo ed � fatta, sei fuori: "La tecnica, come si pu� capire, non basta per vincere a livello internazionale. Serve una tenuta mentale straordinaria per mantenere un livello assoluto di concentrazione, per gestire lo stress, per indirizzare e dosare le energie disponibili. Quindi, un allenamento deve tener conto della forza, della potenza, dell'agilit� al pari della tecnica, anche se alla fine, � l'atleta a fare la differenza, a far emergere una componente agonistica decisiva". Il tutto di fronte a giudici che assegnano vittoria e sconfitta. Oggi, con l'uso della prova televisiva, una sorta di Var dedicato al judo: "Meglio, certo, anche se, come nel calcio, le discussioni non finiscono mai. Basta un centimetro, un braccio che sfiora il tatami o meno per determinare l'esito di un incontro e, talvolta, un destino". Mina-Fossati: ritorno per due stelle (di Filippo Nassetti, "Ulisse" n. 421/19) - In modalit� diverse, avevano dato l'addio alla vita pubblica. Oggi, le due icone della musica italiana cantano insieme in un disco che ne esalta il carisma - Un doppio inatteso ritorno. L'album Mina Fossati, uscito il 22 novembre, � stata la sorpresa di fine anno dal mondo della musica italiana. Due artisti che, in tempi diversi, hanno condiviso la scelta di uscire dalla luce dei riflettori, anche se con modalit� differenti. Mina, la pi� famosa cantante italiana, non appare pi� in pubblico dal 1978, ma continua a registrare, anche ora che si avvicina agli 80 anni (li compir� nella prossima primavera). Fossati invece aveva annunciato otto anni fa la scelta di non incidere pi�, n� esibirsi dal vivo e cos� ha commentato il suo (momentaneo) ritorno: "La mia decisione non cambia: non torno a fare dischi n� concerti, nessun musicista sano di mente direbbe no a Mina". Una collaborazione che poteva nascere anche parecchi anni fa quando, nel 1982, Fossati propose a Mina un brano (E non finisce mica il cielo) che poi port� al successo Mia Martini in un Festival di Sanremo. Mina da sempre ama duettare con altri protagonisti della canzone, dando vita a confronti artistici mai banali, come sono state le collaborazioni negli anni con Adriano Celentano, Riccardo Cocciante, Paolo Conte, Lucio Battisti, Piero Pel�, Giorgio Gaber, Fabrizio De Andr�, Tiziano Ferro, Afterhours, Mondo Marcio e tanti altri. Mina Fossati � un disco di undici brani interamente composto da Ivano Fossati e prodotto da Massimiliano Pani, il figlio di Mina. Un album dove si coniugano ballad (La guerra fredda) con blues (Ladro) e giri di pianoforte (L'infinito delle stelle) e pezzi acustici e ironici (Farfalle), fino al folk rock di Tex Mex, il singolo che ha anticipato l'album, dove le voci dei due artisti si confrontano in un duetto afrodisiaco. Particolarmente suggestiva Luna Diamante, dove la voce di Mina appare quasi inedita per la sua potenza cruda e sincera. Un brano scelto dal regista Ferzan Ozpetek per la colonna sonora della sua ultima pellicola, La Dea Fortuna. In qualit� di autore, Fossati ci tiene a precisare l'amalgama con Mina: "� vero, io ho scritto parole e musiche, ma � sbagliata l'idea di considerare Mina solo come una cantante. � una grande musicista, dietro ogni verso che canta c'� un pensiero. Come John Coltrane, che ascoltandolo suonare ne comprendevi i pensieri. Non ho mai pensato di scrivere canzoni per metterla alla prova tecnicamente, semmai il mio obiettivo era quello di amalgamare le nostre voci. Io ho bisogno di parole e frasi corte, la sua di note lunghe".