Marzo 2019 n. 3 Anno XLIX MINIMONDO Periodico mensile per i giovani Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registrazione 25-11-1971 n. 202 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Massimiliano Cattani Luigia Ricciardone Copia in omaggio Rivista realizzata anche grazie al contributo annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri per un importo pari ad euro 23.084,48 e del MiBACT per un importo pari ad euro 4.522.099. Indice Folla da paura Smetto di rimandare... da oggi! I Topf: gli affari sono affari Arengario di Monza, storia e cuore pulsante della citt� Lasagne, il piatto goloso che unisce l'Italia E l'uomo invent� la neve Antonacci & Pausini: tutti allo stadio a cantare con noi Sulla Spiaggia di Velluto in compagnia dell'esperanto Folla da paura (di Riccardo Oldani, "Focus" n. 317/19) - Concerti, parate, raduni religiosi. In alcuni casi la ressa si trasforma in un incubo - Nel tardo pomeriggio del 3 giugno 2017 ero in piazza San Carlo a Torino. C'era gi� folla, in attesa di vedere su un maxischermo la finale di Champions League tra Real Madrid e Juventus, e il selciato era cosparso di bottiglie di vetro. L'impressione fu che la situazione era poco sicura, e decisi che la partita sarebbe stato meglio vederla altrove. Ma non potevo immaginare quello che sarebbe successo poco dopo, durante la proiezione. Lo spray al peperoncino spruzzato da alcuni ladruncoli caus� un fuggi fuggi generale nel quale oltre 1.500 persone rimasero ferite e due, purtroppo, persero la vita, l'ultima il 25 gennaio scorso, dopo un anno e mezzo di calvario. Gli incidenti dovuti alla folla impazzita accadono anche durante gli eventi pi� pacifici. L'ultimo in ordine di tempo, in Italia, � avvenuto lo scorso 7 dicembre in una discoteca di Corinaldo, in provincia di Ancona, sul quale ancora si sta indagando. Non � un fenomeno italiano, ma globale, su cui gli scienziati stanno lavorando; anche se ancora non esistono sistemi efficaci di previsione del rischio. Ma come si possono studiare i movimenti delle folle, soprattutto in situazioni di panico? Un filone � quello dell'analisi dei video relativi a situazioni reali: concerti, manifestazioni religiose, raduni politici. Un altro, quello che studia il comportamento degli animali gregari, cio� quelli che si muovono in grandi gruppi, in terra e in cielo. E ancora, ci sono i modelli al computer, che consentono di studiare i flussi delle folle assimilando le persone a biglie, granelli di sabbia, fluidi; oppure sfruttando avatar in un ambiente virtuale. Molto difficile invece, � condurre esperimenti "sul campo". "Uno dei principali problemi nello studio dei movimenti collettivi delle persone", spiega Arianna Bottinelli, fisica teorica italiana che ha studiato le folle prima all'Universit� di Uppsala e poi al Nordita, l'Istituto nordico di fisica teorica a Stoccolma, "� sempre consistito nel fatto che � assai complicato realizzare esperimenti scientifici in grado di simularli. Soprattutto perch� non � eticamente accettabile esporre le persone a rischi. Ora per� esistono metodi che, a partire da filmati di fatti realmente accaduti, oppure utilizzando la realt� virtuale, consentono un'analisi dettagliata dei fenomeni che si verificano in situazioni di particolare affollamento". Per esempio Paul Torrens, ricercatore del dipartimento di informatica e ingegneria della New York University, gi� una decina di anni fa aveva ideato algoritmi per ricreare, attraverso il movimento di automi virtuali, cio� di persone simulate in un ambiente tridimensionale, il flusso delle folle cosiddette "ad alta densit�", in cui cio� gli individui sono tanto addossati gli uni agli altri da non avere virtualmente spazio per muoversi (circa 5 persone al metro quadro o pi�). Una tecnica utilizzata per progettare le uscite e le vie di fuga in strutture come stadi, teatri o centri commerciali. Torrens ha sempre pi� affinato i propri software di simulazione e di recente ha pubblicato uno studio per simulare come avverrebbe il deflusso di persone in un ambiente urbano colpito da un terremoto. Mentre una linea di ricerca avviata nel 2014 da uno studio dell'Universit� del Minnesota (Usa) si concentra sull'analisi di come si comportano due persone che si muovono una verso l'altra, per capire in che modo tendano a evitarsi, incrociandosi, ed estrapolare poi regole di "repulsione" e di "attrazione" tra gli individui, applicabili a una folla. Se prima infatti i matematici ipotizzavano, nelle simulazioni, che le persone si comportassero un po' come gli elettroni di un atomo, che tendono a respingersi gli uni con gli altri sempre pi�, a mano a mano che si avvicinano tra loro, gli studiosi statunitensi si sono invece accorti che � il tempo, non la distanza, a regolare il modo con cui le persone tendono a evitarsi. Pi� lo spostamento � lento pi� tendono a stare vicine, pi� � veloce pi� puntano ad allontanarsi. "Studi di questo tipo", spiega Bottinelli, "hanno permesso di capire che il flusso di masse di persone � molto simile a quello dei cosiddetti "sistemi granulari", espressione con cui si indicano materiali come la sabbia, la ghiaia o il grano". I sistemi granulari sono stati a lungo un caso di studio, per i comportamenti bizzarri che li contraddistinguono. In certe situazioni scorrono in un modo simile all'acqua, in altre sviluppano forze tali da sfondare le pareti di un silos. "� quanto avviene anche nei grandi assembramenti", prosegue Bottinelli, "soprattutto quando le persone si trovano addossate l'una contro l'altra. In questi casi, bastano anche una piccola spinta o un minimo movimento in un punto qualsiasi della folla, per trasferire una grande pressione in un altro punto distante, tanto da impedire alle persone di respirare. E senza che chi si trovi anche solo a pochi metri si accorga di nulla". C'� qualche modo per chi si trova coinvolto in una situazione del genere per rendersi conto in anticipo del pericolo e di mettersi in sicurezza? "In realt�, quando ci si trova coinvolti in una situazione di questo tipo � praticamente impossibile venirne fuori", dice la studiosa. "L'unico modo � valutare il luogo e la situazione in anticipo ed essere molto prudenti. Al limite, se non ci si sente tranquilli, � meglio tornarsene a casa". Quando invece la folla si muove velocemente, per esempio in una maratona, il movimento � molto pi� simile a quello di un fluido, come ha dimostrato un recente studio dell'Ens, la Scuola Normale Superiore di Lione, in Francia, che ha utilizzato per le proprie analisi un gran numero di filmati di manifestazioni sportive disponibili su YouTube. L'uso dei video si sta rivelando prezioso in questo tipo di studi, ed � una tecnica mutuata da indagini sugli animali sociali, come gli uccelli che si muovono in stormi, i pesci gregari che si spostano in banchi e gli insetti come le api o le formiche. "Il problema, per�", sottolinea Arianna Bottinelli, "� che � assai difficile trovare filmati significativi e analizzabili sul Web proprio delle situazioni potenzialmente pi� pericolose, quelle cio� di grandi assembramenti statici dove all'improvviso si verifica un movimento. Come per esempio nei concerti". La ricercatrice italiana � particolarmente sensibile all'argomento, perch� proprio dal video che riprende dall'alto il pubblico di un concerto, tenutosi a Manchester nel 2005, ha potuto sviluppare un sistema di previsione del comportamento della folla. "In quelle immagini", spiega Bottinelli, "si vede a un certo punto un rapido movimento di un gruppo di persone che si propaga come un'onda in tutto il pubblico. Tracciando ogni singolo individuo, e valutando le forze applicate da ciascuno ai propri vicini, abbiamo messo a punto un modello in grado di prevedere in modo istantaneo tutti i possibili movimenti successivi e definire una serie di scenari, dal pi� al meno probabile. Abbiamo visto che, applicando il sistema ai primi frame del video, quando ancora tutte le persone sono tranquille, si pu� prevedere con la massima precisione quanto � poi successo in seguito, cio� il movimento pericoloso che si crea diversi secondi dopo". La ricercatrice sta cercando altri video simili per avere nuovi casi di studio a cui applicare la sua teoria, ma non � semplice. "Abbiamo provato", dice, "a filmare anche i concerti organizzati a Stoccolma in estate, grazie a un accordo con la citt�, ma gli svedesi sono estremamente composti in queste manifestazioni e non abbiamo riscontrato nulla di significativo da analizzare". Ora � alla ricerca di qualcuno, magari nell'organizzazione di concerti, che installi videocamere in posizione elevata, per esempio sopra le luci che illuminano il palco, per riprendere il pubblico e avere altro materiale di studio. Perch� sarebbe importante? "Perch�", ci spiega, "potremmo mettere a punto un sistema in grado di indicare in anticipo i possibili rischi semplicemente analizzando come il pubblico si � disposto vicino al palco. Potrebbe essere un importante strumento di prevenzione che darebbe la possibilit� agli organizzatori di avvertire il pubblico prima dell'insorgere di un pericolo e di dare istruzioni per la sicurezza". Anche perch�, a fare la differenza, sono proprio le misure di sicurezza. Una ricerca svolta da Dirk Helbing, professore di Scienze sociali computazionali alla Scuola Politecnica Federale di Zurigo, analizzando i video che riprendevano da una posizione elevata la rampa principale di accesso alla Loveparade di Duisburg (Germania), dove nel 2010 persero la vita 21 persone schiacciate dalla calca, non � stato il panico la causa del disastro. A pochi metri dal punto dove le vittime sono rimaste schiacciate contro una parete di cemento, infatti, ci si poteva muovere con tranquillit�. La causa principale della strage, ha evidenziato Helbing, � stata l'organizzazione mal concepita delle vie di afflusso e deflusso del pubblico. Anche perch� i modelli matematici che simulano i movimenti delle folle hanno un limite. Considerano le singole persone come particelle, o automi, che si muovono secondo regole prefissate; ma la realt� � diversa: gli esseri umani non sono oggetti, hanno una psiche ed emozioni a cui rispondono. Ecco perch� anche i neuroscienziati hanno cominciato a studiare con interesse che cosa accade nel cervello di persone che si trovano all'interno di un gruppo. Una ricerca condotta dalle Universit� di Tilburg e di Maastricht, nei Paesi Bassi, ha usato la risonanza magnetica funzionale su gruppi di studio in cui, anche se in laboratorio e non in una situazione reale, sono state indotte sensazioni di felicit� e paura. Si � visto che tra le persone impaurite si crea una sorta di meccanismo di gruppo con reazioni molto pi� rapide rispetto a una situazione di tranquillit�. � stato il primo tentativo per capire che cosa avviene nelle folle in cui si scatena il panico, con fughe pericolose in cui il rischio di incidenti molto gravi � elevato. Uno sviluppo futuro delle ricerche sulle dinamiche delle folle sar� introdurre anche queste variabili "umane" all'interno dei modelli teorici, per ottenere strumenti di simulazione sempre pi� realistici e riuscire a prevenire tragedie che sono troppo frequenti. Regole per sopravvivere a una folla impazzita Rimani in piedi, la tua migliore possibilit� di uscirne vivo � se ti trovi in piedi. Non chinarti per raccogliere un oggetto caduto. Se il tuo bambino inciampa, tiralo su immediatamente. Tieni le mani al petto, come un pugile; questo garantisce mobilit� e crea una tasca d'aria che protegge il torace e i polmoni. Stai in silenzio. E ascolta eventuali segnali di stress di chi sta sul fronte della folla. Guarda il terreno su cui cammini, perch� superfici irregolari o bagnate aumentano le possibilit� di un collasso progressivo della folla. Non spingere contro le persone e non cercare di muoverti in direzione opposta al flusso. Spostati invece lateralmente. E non urlare, conserva le energie. Prendi nota di tutte le uscite e segui il percorso di minor resistenza, non necessariamente quello verso l'uscita principale. Evita gli ostacoli come parapetti e muri contro cui potresti essere schiacciato. Se cadi e non riesci a rialzarti girati su un fianco, proteggi la testa con le mani e raccogli le gambe. Stare sdraiati sulla pancia o sulla schiena lascia il torace esposto. Smetto di rimandare... da oggi! ("RivistAmica" n. 1/19) - La tendenza a procrastinare �, in parte, una risposta fisiologica alla complessit� della vita. Ma se diventa cronica pu� essere un problema da risolvere con alcune strategie - "Domani � il giorno pi� impegnato dell'anno", recita un proverbio spagnolo, per sottolineare l'abitudine a rinviare gli impegni a un secondo momento. E anche dalle nostre parti il tema della procrastinazione � spesso oggetto di detti, come "chi ha tempo non aspetti tempo". Perle di saggezza popolare che sono rivelatrici, come spiega la dottoressa Elena Maria Rossi, psicologa psicoterapeuta del Centro Medico Santagostino di Brescia: "� il segno di una difficolt� che l'uomo ha da sempre, la tendenza a rimandare ci� che, invece, sarebbe importante fare subito". "� difficile pensare di non essere mai vittime di questo meccanismo che �, in una certa misura, anche una "strategia funzionale" perch� permette di far confluire le energie su ci� che � importante - sottolinea Rossi - assume le caratteristiche di un problema, per�, se diventa cronico". I segnali per capire che si � passato questo limite sono chiari: confusione mentale e difficolt� nel riuscire a portare avanti i nostri obiettivi con la conseguente insoddisfazione che ne deriva. Se ci sentiamo sempre meno efficaci, sempre meno in equilibrio e sempre pi� lontani dalla possibilit� di raggiungerlo, allora � il momento di porre in atto dei correttivi. Le cause di questo atteggiamento sono diverse. "Pu� accadere per perdita di interesse: iniziamo un'attivit� e poi strada facendo ci accorgiamo che non rispecchia i nostri reali desideri e quindi l'abbandoniamo. Pu� alimentarsi a causa di nostre manie di perfezionismo, quando ci diamo standard troppo elevati che non riusciamo a raggiungere e quindi desistiamo; oppure ci pu� essere la paura di non saper fronteggiare l'insuccesso, o al contrario, non saper reggere il peso del successo, poich� presupporrebbe un cambiamento in noi e nelle nostre abitudini e aspettative". All'inizio rimandare qualcosa pu� portare a sensazioni positive, ma le conseguenze negative arrivato in seguito. Ad esempio, uno sgarro alla dieta ci pu� rendere felici nell'immediatezza, dopo per� si attiva il senso di colpa e di sfiducia nelle nostre capacit�. "Se il meccanismo diventa cronico, si perde il senso di auto-efficiacia, cio� la sensazione di essere in grado di gestire gli ostacoli e raggiungere gli obiettivi prefissati - prosegue Rossi - un danno per la nostra autostima che genera ansia, paura e insoddisfazione". Anche se ogni caso � diverso, c'� qualche strategia che si pu� adottare per stare meglio. La prima via � la riflessione: "Innanzitutto occorre fermarsi e chiedersi dove vogliamo andare e che cosa desideriamo davvero". Questo pu� portare a una fase di riorganizzazione "selezionando degli obiettivi intermedi che possiamo realmente raggiungere prima di arrivare allo scopo finale. In questo modo, saremo pi� stimolati e gratificati e avremo la forza per proseguire nel nostro cammino". Quando possibile, ancor pi� in caso di una situazione cronica, � poi importante condividere debolezze, pensieri, parole e dubbi con gli altri: "Prendersi un attimo per se stessi e chiedere eventualmente aiuto sono i primi passi verso la soluzione". I Topf: gli affari sono affari (di Giovanni Sordelli, "Focus Storia" n. 149/19) - Storia della famiglia che forn� ai nazisti i forni crematori per la "soluzione finale" - Bisogna recarsi a Erfurt, nella Germania centrale, per visitare un sito unico al mondo: si tratta infatti del solo monumento all'Olocausto all'interno della sede storica di un'azienda. Non un'azienda qualunque, ma quella che divenne il partner pi� affidabile per la produzione di forni crematori destinati ai campi di sterminio durante la Seconda guerra mondiale. Si tratta della J.A. Topf & Figli, la cui sede � stata dichiarata monumento storico protetto dallo Stato della Turingia nel 2003, e ora centro commenmorativo e didattico. Dagli esordi non si poteva immaginare che la storia dell'azienda avrebbe imboccato quella strada: nel 1878 il mastro birraio Johann Andreas Topf aveva fondato un'impresa per la fabbricazione di macchinari destinati alla produzione di birra, utilizzando un suo innovativo brevetto per la cottura del malto che consentiva un minor consumo di carbone. Come logo, le lettere del nome Topf che formano una pentola (topf significa "pentola" in tedesco). Nonostante l'inventiva di Topf andasse poco a braccetto col fiuto per gli affari, l'azienda ingran�. Erano gli anni dell'industrializzazione esplosiva della Germania, unificata nel 1871 da Otto von Bismarck. Nel 1914, la Topf & Figli contava 517 dipendenti e una rete commerciale in 50 Paesi. Proprio mentre l'azienda viveva il suo anno d'oro, il fratello del fondatore, Ludwig Sr, ai vertici della societ�, si tolse la vita. Mancavano pochi mesi allo scoppio della Grande guerra. I tempi obbligarono l'azienda a diversificare il business: l'aumento della popolazione e la preoccupazione per l'igiene, unita alla mancanza di spazio nei cimiteri, avevano favorito una campagna di sensibilizzazione a favore della cremazione umana. Cos� nel 1914 i Topf introdussero, parallelamente alla lavorazione del malto, la produzione di forni crematori. In pochi anni misero in piedi un piccolo reparto nel ramo della cremazione tecnologicamente all'avanguardia. Tanto che, nell'arco di un decennio, divennero leader del mercato. Nel 1933, la svolta: la terza generazione di Topf, rappresentata dai fratelli Ludwig ed Ernst Wolfgang, nipoti di Johann, fu estromessa dalla dirigenza. Il pretesto furono le perdite che subiva l'azienda indebitata fino al collo, ma si tratt� forse di un ribaltone politico in una Germania sprofondata in una grave crisi economica e dove i nazionalsocialisti erano ormai al potere e Hitler pronto a instaurare la dittatura. Secondo gli stessi fratelli Topf fu un colpo di mano ordito dai nazisti e dai membri aziendali pi� anziani, che avrebbero voluto creare una nuova societ�. Il prezzo da pagare per ritornare in sella fu l'iscrizione al partito nazista, dopodich� Ernst Wolfgang fu nominato direttore commerciale e Ludwig direttore tecnico. "Entrambi i fratelli Topf erano membri del partito nazista, ma hanno aderito solo quando hanno capito che, cos� facendo, sarebbero riusciti a riprendere il controllo della loro compagnia", spiega Karen Bartlett, autrice del libro Gli architetti di Auschwitz (Newton Compton). "Il sostegno al regime nazista era un fattore cruciale nel riconquistare il controllo sulla propria azienda. Inoltre, la relazione con le Ss fu utile per garantire che nessuno dei due fratelli dovesse essere chiamato alle armi. Ma il loro legame con i nazisti esigeva un prezzo molto alto. Prezzo che, in definitiva, avrebbero pagato sacrificando ogni brandello di decenza morale e di umanit� che possedevano". D'altra parte, Ernst Wolfgang era convinto di essere un amico degli ebrei, visto che in azienda erano presenti lavoratori ebrei e comunisti, cellule di resistenza politica attive per tutta la durata della guerra cui l'azienda avrebbe fornito protezione e riparo. Queste persone erano consapevoli dell'attivit� della Topf & Figli e negli interrogatori postbellici dissero sempre di aver eseguito gli ordini. Il 17 maggio 1939, la prima commessa dei nazisti: Kurt Pr�fer, responsabile della costruzione forni e capo del dipartimento di cremazione dell'azienda, realizz� il disegno per un forno mobile di cremazione riscaldato a olio. Dopo il primo incarico, Pr�fer fu in grado di realizzare un forno mobile per Dachau nel 1939, cui segu� un intero crematorio per il campo di Buchenwald. Ludwig dichiar� dopo la guerra che le origini del rapporto con le Ss erano legate proprio a un'epidemia di tifo (in realt� dissenteria) scoppiata a Buchenwald dove i morti non si contavano: da l�, la necessit� di installare un forno crematorio all'interno dello stesso campo. Da quel momento fu un'escalation. Nel 1941, la Topf & Figli aveva gi� prodotto forni per quattro campi, dovendo soddisfare le esigenze delle Ss di Auschwitz dove, alla fine della guerra, sarebbero morte circa un milione e centomila persone. Tra il '41 e il '45 nel solo campo di Auschwitz-Birkenau furono progettati e messi in funzione ben cinque crematori, con moderni sistemi di ventilazione (pensati e progettati proprio per le esigenze eccezionali dei campi) che servivano ad accelerare il processo di incinerazione dei corpi. "Entrambi i fratelli capirono il sistema di sterminio nei campi e approvarono i disegni di Kurt Pr�fer: erano pronti a collaborare sempre di pi� per l'omicidio di massa", spiega Karen Bartlett. "Naturalmente, Ernst Wolfgang Topf ha mentito sul suo ruolo per il resto della sua vita, e ha cercato di riabilitare la sua azienda dopo la guerra, sempre sostenendo che non avevano fatto nulla di sbagliato". Ma qual era stata la spinta? Ideologica o economica? Di sicuro non la seconda. La Topf & Figli non guadagn� pi� del 2% del fatturato dal lavoro dell'ingegner Pr�fer: secondo le stime, per sviluppare la tecnologia dell'Olocausto, l'azienda ricav� ogni anno l'equivalente di 30.600 euro odierni. Dietro questa scelta poco remunerativa si celarono di sicuro ambizioni e rivalit� personali, e non da ultimo il beneficio della protezione offerta dal regime. I rapporti con le Ss comunque non furono idilliaci: nonostante la Topf & Figli fosse contattata anche per ambiti in cui non aveva alcuna esperienza - come per esempio l'analisi dei gas nell'atmosfera per evitare danni ai lavoratori nei campi di concentramento -, i dipendenti e i vertici vennero spesso incolpati di non rispettare le scadenze stabilite o di non soddisfare appieno le richieste. In una relazione del febbraio 1943 si legge che "le numerose e diverse promesse fatte da questa societ� e il loro mancato rispetto di quanto concordato, stanno provocando gravi problemi". Dal canto loro le Ss arrivavano a pagare con un ritardo talvolta anche di 12 mesi. Nemmeno dentro la Topf & Figli si respirava un'aria serena: Kurt Pr�fer si distinse per cinismo e voglia di mettersi in luce a ogni costo, anche nonostante i numerosi screzi con i colleghi e i fratelli Topf. Lo stesso Ludwig Topf era un accentratore, con un ardente desiderio di essere migliore del fratello senza alcuno scrupolo: la cremazione umana era infatti un'area di business in cui si riteneva un'autorit�. Come spiega Karen Bartlett, "invece di documentare il declino di un'azienda posta di fronte a un problema morale, gli archivi raccontano la storia di un'azienda tormentata da lotte di fazioni, paura e sospetto, con i direttori preoccupati di piccole dispute e incapaci di controllare il comportamento dei propri dipendenti". Questo mix di ambizione umana e rivalit�, combinato con la convenienza e l'avidit�, rese complice la Topf & Figli con il grande piano del male nazista. Il 7 maggio 1945 la Germania si arrese agli Alleati. Il 31 maggio Ludwig Topf si suicid� e in poche settimane l'azienda fu chiamata a rispondere per scelte commerciali che erano ormai percepite come crimini odiosi. Nel novembre di quello stesso anno l'azienda fin� sotto l'amministrazione sovietica. In seguito ci furono anche tentativi di rifondare una nuova impresa: nel 1951, Ernst Wolfgang cre� una nuova J.A. Topf & Figli, specializzata nella costruzione di crematori e incinerazione ma dichiar� fallimento nel 1963. Solo nel 1999 si cominci� a parlare di memoria e documentazione storica, grazie alla nascita di una nuova Topf & Figli, che sostenne l'utilizzo dell'ex edificio amministrativo aziendale per scopi espositivi ed educativi. Un mea culpa doveroso ma evidentemente troppo tardivo. Arengario di Monza, storia e cuore pulsante della citt� ("RivistAmica" n. 2/19) - Nato come palazzo comunale nel corso dei secoli si � trasformato in sede per mostre e rassegne artistiche - Vicino di casa del Duomo e simbolo di Monza sin dal Medioevo, l'Arengario � molto pi� di un semplice monumento. � il cuore pulsante della vita civica, che ha ricoperto nel corso degli anni numerose funzioni. Un tempo era infatti sede del palazzo comunale, mentre oggi � diventato un riferimento per l'offerta culturale della citt�: sede di mostre e rassegne artistiche, ma anche testamento storico e architettonico della civilt� brianzola. L'Arengario � situato in piazza Roma. E la sua posizione non � casuale: fu scelta infatti sia per la centralit� nel tessuto cittadino, sia per la vicinanza con il Duomo, utile a simboleggiare anche visivamente l'autonomia dell'amministrazione della citt� rispetto alla Chiesa, nel solco della classica contrapposizione tra potere temporale e spirituale che caratterizz� la vita dei Comuni durante il Medioevo. Venne inaugurato, per volont� del podest� del borgo di Monza, Pietro Visconti, nel mese di giugno del 1293: una data impressa su una grande lapide che campeggia sopra la porta d'ingresso dell'edificio. Fu realizzato per donare alla citt� uno spazio legittimo in cui esercitare le attivit� amministrative per le quali, in precedenza, il podest� e i magistrati municipali erano soliti servirsi della zona esterna attorno al Duomo: un uso improprio che cost� allo stesso podest� la scomunica. E proprio la necessit� di creare uno spazio che potesse ospitare tutte le attivit� dell'amministrazione, port� alla realizzazione di una struttura ampia, che riuscisse ad accogliere un gran numero di persone. Come nel caso del "Consiglio dei Maggiori", un'assemblea composta da circa 150 cittadini alla quale partecipavano i rappresentanti dei diversi ceti della compagine sociale. Al piano terra dell'Arengario si trova un portico costituito da 18 pilastri di pietra, che veniva utilizzato in passato come luogo d'incontro e sede per il mercato comunale; una funzione che ha continuato a svolgere per molti secoli. Il primo piano � invece composto da una sala ampia in cui originariamente venivano ospitate le riunioni del Consiglio comunale e le assemblee dei mercanti. Proprio da questa funzione, l'edificio eredita il suo nome: arengario proviene infatti dal latino "arengarius", a sua volta derivato da "hari-hring", termine di origini germaniche che sta a indicare un "luogo per le assemblee". L'accesso a questa sala avveniva tramite due scale esterne di cui � ancora possibile vedere le tracce, anche se oggi al loro posto si trova una scala metallica di servizio. Mentre la sala che fu del Consiglio viene attualmente utilizzata per mostre d'arte e rassegne culturali. Quella che originariamente era la sala delle adunanze si apre verso l'esterno con un balconcino a loggetta, tipico di molti palazzi comunali dell'epoca: si tratta della cosiddetta "parlera", ovvero il luogo dal quale le autorit� amministrative tenevano discorsi e annunci di carattere pubblico. Il balconcino � composto da un parapetto formato da lastre di marmo ed � dotato di un leggio. Successivamente, all'incirca a met� del XIII secolo, fu fatta costruire la torre civica. Questa ospita, all'altezza di 27 metri, una cella campanaria (il locale in cui si trovano le campane), aperta con due monofore a sesto acuto per ogni lato. Da queste fessure si dipana un camminamento che in epoca medievale veniva utilizzato dalle guardie per effettuare il giro di ronda. Alla sommit� del camminamento � ancora possibile osservare la caratteristica "merlatura ghibellina" a coda di rondine. La torre infine sormontata da una cuspide ottagonale, il cui puntale, ergendosi a 44 metri dal piano stradale, continua ad osservare dall'alto il reticolo di vie del centro cittadino. Una vicenda secolare: tra restauri e nuove funzioni La lunga storia e l'importanza dell'Arengario di Monza sono testimoniate anche dalle numerose modifiche, strutturali e di destinazione, che ha dovuto subire nel corso degli anni. Nel XVIII secolo, ad esempio, divenne la sede del Tribunale e fu collegato con un cavalcavia al Palazzo Pretorio, l'edificio delle carceri oggi scomparso. E c'� stato un momento in cui anche lo stesso Arengario ha rischiato di sparire dalla mappa della citt� brianzola: intorno all'Ottocento, infatti, si pens� di demolirlo per allargare ulteriormente piazza Roma. Questo progetto, per�, non and� in porto: l'edificio sopravvisse e i successivi lavori di restauro, portati avanti dall'ingegner Villa, lo trasformarono nella sede della Pretura nel 1854. E neanche allora gli interventi sull'edificio si fermarono, interessando la struttura almeno sino alla met� del secolo scorso. Lasagne, il piatto goloso che unisce l'Italia ("RivistAmica" n. 2/19) - � uno dei simboli per eccellenza della nostra cucina, con una lunga tradizione e un gusto ricco che ha conquistato tutto lo Stivale con numerose varianti - Una specialit� dal sapore inconfondibile, per un piatto che fin dal profumo rimanda la mente e il palato all'idea del pranzo della domenica da passare riunendo intorno al tavolo la famiglia e gli amici pi� cari. Momenti speciali che, dal nord al sud dell'Italia, meritano di essere celebrati con un vero capolavoro della cucina nostrana: le lasagne. Gi� gli antichi Romani conoscevano e consumavano un piatto di pasta farcita con carne. Dalle sfoglie della "lagana", il pi� antico progenitore documentato della nostra pasta al forno, si passa nel Medioevo alla lasagna: non c'� ancora il pomodoro, che arriva in Europa dopo la scoperta dell'America, ma la forma � vagamente simile a quella odierna e le citazioni letterarie non mancano, da Jacopone da Todi a Cecco Angiolieri. Un significativo passo in avanti dovrebbe poi essere avvenuto nel 600, quando l'atmosfera barocca si impadronisce anche della cucina; in un libro dell'epoca, "La lucerna de corteggiani" di Giovanni Battista Crisci, appare la prima ricetta con cacio e mozzarella: da allora il formaggio filante � cuore e collante delle lasagne. Probabilmente ogni cuoco ha un suo trucco segreto, ma esiste una ricetta "originale" e codificata delle lasagne pi� note, quelle bolognesi, depositata dall'Accademia italiana della cucina nel 2003 presso la Camera di commercio del capoluogo emiliano. Contiene indicazioni precise sia per quanto riguarda gli ingredienti da utilizzare che per la preparazione di questo piatto. Per la sfoglia servono farina 00, uova e spinaci lessati, strizzati e tritati; nella farcitura, invece, va il classico rag� bolognese, accompagnato da Parmigiano Reggiano grattugiato, besciamella, burro, noce moscata e una spolverata di sale e pepe. Gli strati complessivi della lasagna "autentica" sono almeno sei, il forno va riscaldato in anticipo e tenuto a 180 gradi per 30 minuti e il grill deve essere azionato per non pi� di due minuti, in modo da creare una "leggera gratinatura" sulla superficie. Attenzione anche a non esagerare con il rag�, n� con la besciamella: ogni porzione di lasagne deve rimanere rigorosamente "in piedi" nel piatto, almeno prima dell'arrivo della forchetta per l'assaggio. Un piatto cos� legato all'identit� culinaria del nostro Paese come la lasagna presenta poi un gran numero di varianti: c'� chi aggiunge la noce moscata nella besciamella, chi i piselli o le uova sode nella farcitura. Nelle Marche mangiano i vincisgrassi, gustosa pietanza che prevede carne tagliata invece che macinata, spezie e frattaglie di pollo: il nome deriverebbe da una storpiatura del cognome di un generale austriaco coinvolto nell'assedio di Ancona. E se in Liguria le lasagne si colorano del verde del pesto, in alcune zone del centro Italia sono bianche e ripiene di funghi e salsiccia. In Sicilia, invece, si possono condire "alla norma", come se fossero dei rigatoni: ricotta salata e melanzane fanno la loro bella figura anche fra gli strati della sfoglia. E l'uomo invent� la neve (di Carlo Dagradi, "Focus" n. 317/19) - Dietro i cannoni diventati ormai famigliari lungo le piste da sci c'� tanta tecnologia, tanta ricerca e tanto Made in Italy - Una volta per sciare a Natale bastavano sci e scarponi, oggi si sono aggiunti i cannoni. Non che non nevichi pi�, e le imbiancate di questo febbraio lo confermano, ma il cambiamento climatico ha reso la stagione sciistica pi� vulnerabile. Ed ecco i cannoni a bordo piste che oramai fanno parte del paesaggio. In realt� i cannoni si possono trovare a tutte le altitudini e spesso li si vede in funzione anche quando ormai la neve � caduta abbondantemente. Perch� sia alle quote pi� alte, dove scendono i fiocchi dal cielo, sia a quelle pi� basse e meno ricche di precipitazioni, la neve dove si scia � oggi quasi totalmente prodotta dalle macchine. Neve che in gergo si chiama "tecnica", non "artificiale": perch� si produce s� con macchine ad alta tecnologia, ma usando gli stessi ingredienti della natura, aria e acqua. Pi� uno, l'elettricit�. "Neve tecnica e neve naturale sono simili soltanto in apparenza", spiega Igor Chiambretti, nivologo e direttore scientifico di Aineva, Associazione Interregionale Neve e Valanghe. "La prima ha una struttura molecolare cristallina: il classico cristallo di neve, con la sua forma a stella, � unito insieme ad altri per formare il fiocco vero e proprio, che risulta quindi in gran parte formato da aria. La neve prodotta, invece, � fatta di nuclei di ghiaccio irrorati di acqua, che vi si solidifica sopra: al microscopio, non ha la "forma di un fiocco", ma quella di piccole sfere pi� o meno regolari", dice Chiambretti. Risultato? La neve tecnica ha una densit� molto maggiore di quella naturale: in media, un metro cubo pesa tra i 350 e i 450 kg, contro i 30-100 kg di quella che cade dal cielo. Molto pi� resistente alla lavorazione dei gatti battipista e, soprattutto, al passaggio di migliaia di sciatori al giorno. Per questo la si "spara" sempre e non soltanto quando occorre far partire la stagione: le piste in sola neve naturale sarebbero in breve totalmente deteriorate. In natura, l'acqua si accumula nelle nuvole intorno a minuscole particelle di polvere e congela a temperature fra i -30 e i -50 gradi. "Nei minuti che trascorrono durante la caduta al suolo, in presenza di basse temperature, questi cristalli si uniscono tra loro generando i fiocchi. Con le nostre macchine dobbiamo riprodurre questo fenomeno in meno di un secondo", spiega Juris Panzani di Technoalpin, azienda italiana di Bolzano che, da sola, produce oltre il 50% dei cannoni sparaneve al mondo (si stima un totale tra 160.000 e 170.000 cannoni attivi). Gi�, perch� l'Italia � leader mondiale in questo settore con Technoalpin e Demaclenko, azienda del gruppo Leitner, il noto produttore di impianti di risalita. La produzione di neve tecnica � fondamentalmente molto semplice. "Sui cannoni ci sono due tipi di ugelli, i nucleatori e i nebulizzatori. Dai primi esce una miscela di aria compressa e acqua nebulizzata, che d� origine a sfere di ghiaccio di pochi micron. Queste sfere volano in orizzontale per diverse decine di metri, sia spinte dal vento di una turbina (come accade nei cannoni), sia per caduta naturale, come avviene invece nelle lance, le lunghe aste metalliche che si vedono spesso a bordopista", spiega Panzani. "Durante la fase di volo, queste microsfere, chiamate gemma di nucleazione, vengono irrorate dall'acqua dei nebulizzatori: pi� lungo � il loro viaggio, maggiore � la quantit� di acqua che vi si congela intorno, creando cos� i "fiocchi artificiali" che cadono a terra", conclude Panzani. Niente additivi chimici. Anzi, "spesso l'acqua usata � di qualit� potabile (in Austria deve esserlo per legge, ndr). In passato si � studiato come agevolare la produzione dei nuclei, con polveri di batteri o particelle di argilla. Ma l'evoluzione tecnica ha reso del tutto inutili questi tentativi", spiega Chiambretti. E quelle sfumature blu che si vedono a volte nel mucchio di neve prodotta? Nessun mistero. Solo un fenomeno di rifrazione della luce, dovuto alla presenza di un certo quantitativo d'acqua nel manto nevoso. Produrre neve artificialmente � indispensabile per rispettare le date di apertura degli impianti e mantenere le piste in efficienza, ma... costa. Non tanto per il prezzo del singolo cannone (che oscilla tra i 25.000 e i 30.000 euro), quanto per il "sistema neve" che deve essere predisposto e per l'energia elettrica che serve per farlo funzionare. "Ci vuole acqua, che va accumulata in speciali bacini di approvvigionamento e trasportata con stazioni di pompaggio. Poi occorre aria compressa per i nucleatori: si pu� portare al cannone con una rete di distribuzione, oppure produrre con il cannone stesso, se dotato di un compressore. Tutto questo, costa energia elettrica", spiega Chiambretti. "Fino ai primi anni 2000, per fare un metro cubo di neve servivano 4 o 5 kWh di elettricit�. Oggi ne serve un decimo: 0,5 kWh", spiega Chiambretti. Tuttavia un cannone di ultima generazione consuma quanto 7 appartamenti. Non � poco, ma "con la stessa quantit� di energia, nel 2005 riuscivamo a produrre il 30% di neve in meno", dice Panzani. Anche il consumo d'acqua non � indifferente: in media, oggi, servono circa 400 litri d'acqua per metro cubo di neve, anche se la variazione delle condizioni meteo pu� modificare molto questo quantitativo. "In media una pista ha bisogno tra i 3.000 e i 4.000 metri cubi d'acqua (quasi quanto 2 piscine olimpioniche) per avere un ettaro sciabile", spiega Chiambretti. Alla fine, un metro cubo di neve costa tra i 3,5 e i 5 euro. Moltiplicati per il numero di cannoni che si vedono lungo le piste di tutto l'arco alpino, sono valori rilevanti... "Tuttavia sono in funzione al massimo per 300 ore l'anno, poco pi� di 12 giorni", conclude Chiambretti. Per dosare la potenza impiegata, il consumo di acqua e valutare le ore migliori per "sparare neve", risparmiando, sono necessarie delle previsioni meteorologiche accuratissime. "Per questo, usiamo un software di gestione dei nostri impianti che analizza dati di temperatura e umidit� dai cannoni installati: ognuno di essi � un multisensore che ci permette previsioni meteo sempre pi� precise", conclude Panzani. Ma che cosa accade quando la neve tecnica si scioglie? Sostanzialmente, due cose. "Primo, l'acqua rientra, almeno in parte, direttamente nel sistema. Negli impianti sciistici di ultima realizzazione, la ricaptazione dell'acqua di scioglimento � considerata gi� in fase di progetto. Secondo, si assiste a una variazione della vegetazione erbosa nella zona della pista: questo perch� la neve tecnica dura pi� a lungo di quella naturale, come accade allo scioglimento delle masse accumulate nei canaloni o in caso di valanga", spiega Chiambretti. Al punto che un marcatore biologico della neve da accumulo, la Soldanella alpina, nota come il fiore delle valanghe, inizia a comparire anche sui prati che in inverno diventano piste da sci. Antonacci & Pausini: tutti allo stadio a cantare con noi (di Enrico Casarini, Tv sorrisi e canzoni n. 11/19) - "Io lo chiamavo "San Francesco" perch� mi ha salvato" dice Laura. E Biagio: "Siamo come fratelli" - Quando hai pi� di 300 mila amici che gi� ti stanno aspettando (biglietto alla mano) e tanti altri che arriveranno, nessun dettaglio � secondario. Cos� una chiacchierata con Laura Pausini e Biagio Antonacci per parlare di "Laura Biagio Stadi 2019", la tourn�e che faranno quest'estate, si accende anche di precisazioni, ipotesi e particolari. Percorreranno l'Italia dal 26 giugno al 1o agosto suonando in dieci stadi. In viaggio come amici, complici, compagni di palcoscenico (praticamente sempre insieme) e perfino reciproci motivatori. Ma arriva un dettaglio che non si pu� trascurare, soprattutto ora che si lavora per asciugare una lista delle canzoni che fatica a stare sotto le quattro ore e mezzo... "Biagio, io studio la scaletta per fare dieci cambi d'abito" spiega Laura "e ci sono canzoni che sono "snodi" che mi aiutano, che vanno fatte e messe in quel punto l�". Biagio aggira l'ostacolo: "E io quanti cambi?". "Cinque!" dice lei. "Cinque vestiti diversi!?". Laura, paziente e precisa: "No, in tre cambi tieni gli stessi pantaloni". Biagio, soddisfatto: "Apper�, che fortuna!". E allora possono tornare a scherzare e a ricordare perch� sono cos� felici di dire che sono amici e che si scambieranno le canzoni. Finalmente un progetto insieme, allora... Laura: "Ogni concerto avr� sia momenti musicali e "visuali" rock e pop, sia momenti "intimi" dove racconteremo un po' le nostre vite. Suoneremo negli stadi, perch� siamo fortunati a poter richiamare tanta gente, ma � come se fosse un invito a casa nostra". Come state scegliendo le canzoni? Laura: "Io faccio il tour per cantare le canzoni di Biagio. Negli anni abbiamo condiviso tantissime cose e lui ha scritto pezzi importanti per me, perci� vorrei che la gente vedesse che siamo semplicemente due amici che fanno i cantanti". Biagio: "� la prima volta dopo trent'anni che canto cos� tante canzoni che non ho scritto, ma � una gran soddisfazione, perch� finalmente comincio a fare l'interprete puro. Cercher� di farle mie il pi� possibile, sempre che lei non si arrabbi". Da ragazzini avete fatto il pianobar: � una scuola che educa ad ascoltare gli altri per coglierne il meglio. Biagio: "S�, siamo andati alla "scuola della musica degli altri". Noi siamo due cavalli pazzi nelle praterie, ma siamo sempre andati a bere dove andavano a bere i grandi. Abbiamo imparato il rispetto: per me conta soprattutto che Laura sia contenta". Laura: "Questo oggi non � cos� normale. In spagnolo si direbbe che nessuno "me cuida como �l", cio� nessuno si prende cura di me come fa lui, sempre". Biagio: "Non possiamo fare questo viaggio se non siamo convinti, perch� non pedaleremo su due bici vicine: questo � un tandem e se giriamo male cadiamo in due!". Che cosa cercherete di prendere l'uno dall'altra? Biagio: "Io da lei prendo l'impegno, perch� sono un improvvisatore. Lei invece dice: "Per�, com'� polleggiato Biagio (a Bologna si dice "polleggiato" rilassato, tranquillo, ndr). Vuoi vedere che magari tra qualche annetto riesco anch'io a polleggiarmi?"". Laura: "Sono in un momento particolare come donna e come madre. Mia figlia ha 6 anni e nuove necessit�, cos� devo decidere come vivere, dove vivere... Avere Biagio al mio fianco mi fa sentire protetta. E mi sforzo: ci sono giorni in cui non guardo il telefonino e sono stata addirittura in vacanza una settimana! L'altra sera erano le otto ed ero molto stanca: di solito avrei continuato a lavorare e invece mi sono detta: "Ho sonno? Dormo!". Questo per me � trasgressivo". Biagio: "Per lei, la sua pace � trasgressiva... Notevole, no?". Di solito come vi tenete in contatto? Laura: "Con i messaggini. Io non telefono: scrivo anche ai miei genitori. Anni fa ho perso la voce e un medico mi ha detto che parlare al telefono � deleterio per un cantante, sforza troppo le corde vocali. E poi le cose scritte rimangono: serve sempre". Biagio: "Con lei ho capito cosa sono le chat, perch� ne apre una per ogni cosa. "Laura, andiamo a cena al giapponese?", ed ecco la chat "LauraBiagioGiapponese"". Visto che siete amici, ditemi: Laura, cosa fa felice Biagio? Biagio, cosa fa felice Laura? Laura: "Biagio mi sembra gi� felice, perch� non ha paura di fare quel che vuole". Biagio: "Lei � felice quando pu� stare con le persone che sente "di famiglia". Ricordo il racconto di una serata dopo aver vinto uno dei suoi premi Grammy: c'era la cena di gala e lei � andata con i suoi a mangiare un hamburger. A me bastano due parole per capire se Laura � felice, e allora sono felice anch'io". Avete dei soprannomi? Laura: "Una volta lo chiamavo "San Francesco", anche nella rubrica del telefono, perch� portava sempre i sandali e non era di moda, e poi perch� venne a "salvarmi" in un momento in cui ero proprio gi�. Mi ha portato a cena, mi ha fatto fare il giro di Rozzano, dove stava, e mi ha lasciato sfogare senza fare troppe domande, perch� tante cose le conosceva e mi capiva, anche se non � che fossimo gi� cos� amici. Ovviamente io dopo sono diventata "Santa Chiara" per un po'... Vorrei che il tour facesse capire che un uomo e una donna possono condividere un progetto anche senza stare insieme. Lui � il fratello che non ho avuto". Biagio, che cosa le prepareresti per cena? Biagio: "Per me cucinare � greco antico. Fatico anche a dire il mio piatto preferito, ma ho una "golosit�": pane, gorgonzola e vino rosso". Laura: "Anch'io non gli ho mai preparato niente. Sono capace, eh? Ma non ne ho voglia. Per� un giorno apriremo il ristorante "Da Laura e Biagio"". Biagio: "Certo, in Romagna! Una "stella" l'abbiamo gi�: � lei". Che cosa "dimostrerete" ai fan dell'altro? Biagio: "Mi piacerebbe che vedessero che canto bene le sue canzoni. E vorrei non deludere lei". Laura: "Ti fai molti pi� problemi di quel che serve! Io per prima cosa dovr� far capire che non lo voglio sedurre... E le sue canzoni le far� da fan: come le canto in macchina". Qual � il pezzo che preferite cantare insieme? Biagio: "Ultimamente mi sono gasato con "Resta in ascolto"". Laura: ""Sognami": ci sar� una grande sorpresa!". A che punto siete con la scaletta? La domanda accende la discussione... Biagio ride e commenta: "Vedi? Un giornalista fa saltare il tour! Ma io so come va a finire: Laura apre la chat "NuovaRiunioneScaletta". Alla fine dei concerti, comunque, faremo delle gran feste". Laura: "Macch�, me vagh a let! Vado a letto. Io sono disciplinata!" Biagio: "Ecco, allora vanno tutti a letto e io faccio festa da solo. Come un matto". Sulla Spiaggia di Velluto in compagnia dell'esperanto 130 euro per una settimana sulla spiaggia di Senigallia (8-15 settembre 2019), albergo a 3 stelle proprio sul mare, camera doppia, pensione completa inclusi bevande e servizi di spiaggia. Per l'eventuale accompagnatore quota straordinaria di 100 euro. 1. Questa straordinaria opportunit� � offerta dalla I.A.B.E. (Associazione Italiana Ciechi Esperantisti), che si accoller� la differenza rispetto alla quota completa del soggiorno (290 euro) per i primi 20 non vedenti o ipovedenti che faranno pervenire entro il 20 giugno 2019 la propria adesione. 2. La I.A.B.E. propone due corsi di esperanto, uno per principianti e l'altro di approfondimento. L'ordine di iscrizione verr� compilato in base alla data di versamento di euro 70, sia per l'iscritto che per l'eventuale accompagnatore, a titolo di caparra. La caparra sar� restituita soltanto a coloro che non rientreranno tra i primi 20 iscritti, salva la possibilit� di partecipare comunque, pagando l'intera retta di euro 290. 3. La I.A.B.E. chiede ai partecipanti, come unico impegno, la frequenza, durante la settimana, di un breve corso di esperanto per complessive 18 ore (3 ore al giorno). La mancata frequenza del corso comporter� la perdita dello sconto sulla quota di soggiorno. 4. I partecipanti devono essere iscritti all'UICI ed aver compiuto il 18-esimo anno di et� entro l'8 settembre 2019. 5. Per iscriversi inviare all'Associazione Italiana Ciechi Esperantisti, via Rismondo 1, 60123 Ancona, una domanda in nero o in Braille recante i dati anagrafici, un recapito telefonico e/o e-mail, la dichiarazione di essere iscritto all'UICI, la fotocopia del bollettino postale o del bonifico bancario attestante l'avvenuto pagamento della caparra. La domanda e relativa documentazione pu� essere inviata via e-mail a: aldograssini1@gmail.com e per conoscenza anche a dacostapl@gmail.com. 6. Il versamento dovr� esser inviato al conto corrente postale n. 13905609 intestato a Aldo Grassini, via Rismondo 1, 60123 Ancona oppure, mediante bonifico bancario, IBAN: IT22 D031 1102 6030 0000 0000 102. 7. L'eventuale accompagnatore parteciper� alle stesse condizioni del non vedente, escluso l'obbligo di frequentare il corso di esperanto, fermo restando che esso sar� offerto comunque a tutti gratuitamente. 8. Si chiede inoltre di specificare se il materiale che verr� fornito ai partecipanti, dovr� essere redatto in Braille o in caratteri ingranditi. 9. Per informazioni telefonare al 339/8007222 o inviare un'e-mail a dacostapl@gmail.com.