Maggio 2018 n. 5 Anno XLVIII MINIMONDO Periodico mensile per i giovani Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registrazione 25-11-1971 n. 202 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Massimiliano Cattani Antonietta Fiore Luigia Ricciardone Copia in omaggio Indice Aldo Moro: l'uomo del compromesso La scienza del matrimonio Sempre a dieta Il biologo nazista nemico dei narcos Fontina DOP: sapore di montagna Mare e svago a Ibiza e Formentera Geppi Cucciari si racconta Annuncio Aldo Moro: l'uomo del compromesso (di Federica Ceccherini, "Focus Storia" n. 139/18) - Quarant'anni fa le Brigate Rosse facevano ritrovare il cadavere del presidente della Dc. Chi era e che ruolo aveva avuto nella politica italiana? - Era il 9 maggio del 1978 quando, in via Caetani, a Roma, in una Renault 4 rossa, venne ritrovato il cadavere del presidente della Democrazia cristiana, Aldo Moro. Il politico era stato rapito il 16 marzo da un commando di brigatisti rossi in via Fani, dove furono uccisi i cinque uomini della sua scorta. Moro, tenuto prigioniero per 55 giorni, fu poi ucciso e successivamente fatto ritrovare in una strada del ghetto ebraico, a pochi passi dalla sede del Partito comunista e da quella della Democrazia cristiana. Un luogo simbolico? A giudicare dal momento storico in cui avvenne parrebbe proprio di s�. Dopo decenni di indagini, 5 processi, e 2 commissioni di inchiesta oltre a quella attualmente in essere, il "caso Moro" � ancora oggi uno dei pi� controversi della nostra storia recente e secondo alcuni studiosi il mistero della sua fine non ha permesso di capire fino in fondo la sua figura storica. Ma chi era Moro e quale � stato il suo contributo alla politica dell'allora ancora giovane e fragile democrazia italiana? Di origini pugliesi, il futuro segretario della Dc era nato - secondo di 5 figli - nel 1916 a Maglie, paese del Salento, uno di quelli in cui trionfa il barocco leccese. La strada della sua casa di famiglia oggi porta il nome di quei tragici eventi, si chiama "Caduti di via Fani". Il cammino di Moro, laureatosi a soli 22 anni in giurisprudenza a Bari, sembrava segnato fin dai tempi dell'universit�: aveva una buona capacit� dialettica, dote particolarmente indicata per un ruolo pubblico. Entrato infatti giovanissimo nella Federazione degli universitari cattolici (Fuci), su indicazione di Giovanni Battista Montini, futuro pontefice con il nome di papa Paolo VI (a cui avrebbe scritto anche durante il sequestro), ne divenne molto presto presidente nazionale. Per capire il momento storico in cui mosse i primi passi in politica, basti pensare che nel 1938, quando divenne dottore in legge, il partito di cui fece parte in seguito non esisteva ancora. Lui stesso partecip� alle prime riunioni clandestine nel 1942 - in pieno regime fascista - con Alcide De Gasperi e Mario Scelba, che portarono poi alla fondazione della Democrazia cristiana (19 marzo 1943). E da allora la sua carriera fu fulminante. A soli 30 anni sedeva gi� nell'Assemblea Costituente che, nel 1946, dopo la guerra, ebbe il compito di redigere la Costituzione della neonata Repubblica. Moro fu parlamentare per sette legislature, cinque volte presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, dell'Istruzione e della Giustizia, oltre che segretario e presidente del suo partito. Ma la sua personalit� politica ebbe modo di rivelarsi diversi anni dopo la Costituente. Nel 1960 il governo del democristiano Fernando Tambroni, un ex fascista finito nella Dc, ottenne la fiducia con l'appoggio dei missini (membri del partito neofascista Movimento sociale italiano, Msi). Contestatissimo e osteggiato dalle sinistre, il governo vacill� in seguito a quelli che sono ricordati come "i fatti di Genova del 30 giugno". Una manifestazione, indetta dalla Camera del lavoro nel capoluogo ligure per protestare contro l'annunciato congresso dell'Msi in citt�, fin� in scontri aperti con la polizia. Subito dopo manifestazioni e disordini scoppiarono in molte altre citt� (con gravi conseguenze a Reggio Emilia, dove la polizia uccise 5 operai). Cos�, dopo l'inevitabile caduta del governo Tambroni (a luglio) e il crescente malcontento nel Paese, Moro si convinse che fosse necessario un nuovo corso politico: era il momento di dare pi� spazio alla sinistra, ai socialisti. Nonostante i malumori nel partito, al congresso di Napoli del 1962 pass� la linea di Moro, l'unico che in quel momento sembrava capace di gestire il complicato scenario sociale. Il nuovo corso politico si concretizz� nel 1963 con un governo guidato proprio da Moro, che prevedeva la presenza del partito socialista (Psi) e dei socialdemocratici (Psdi). Al segretario socialista Pietro Nenni fu affidata la vicepresidenza. La formula del governo di centro-sinistra dette buoni frutti, sia con i tre governi Moro sia con i successivi. Tuttavia quelli erano anni difficili e la societ� italiana alla fine degli anni Sessanta era in grande fermento. Moro si convinse allora che fosse necessaria un'altra svolta, questa volta pi� decisa: bisognava aprire un dialogo anche con i comunisti. Era giunto il momento che il partito di maggioranza prendesse in considerazione la partecipazione del secondo partito d'Italia per consensi, il Pci, nella gestione del governo. Moro la chiam� "strategia dell'attenzione" al fine di "rendere possibile, lasciando da parte ambiguit� e comodit�, il pi� ampio dialogo in vista di una nuova e qualificata maggioranza", afferm� a Bari il 15 giugno 1969, durante il congresso regionale della Dc. Nel 1973, il neosegretario del Partito comunista, Enrico Berlinguer, propose una collaborazione ai democristiani, trovando un alleato in Moro e nella sua corrente, i "morotei", considerata la sinistra del partito. Assolutamente contrari erano invece i "dorotei" sostenuti da Giulio Andreotti. Vari motivi tuttavia spinsero la politica verso quello che � passato alla Storia come "compromesso storico" tra Pc e Dc: il timore di una deriva golpista, dopo il colpo di Stato in Cile del 1973 (Allende fu deposto dal generale Augusto Pinochet); la paura di perdere voti a causa della cosiddetta "strategia della tensione" iniziata nel 1969 con la strage di piazza Fontana a Milano e proseguita poi nel 1974 con quella di piazza della Loggia a Brescia e del treno Italicus a Bologna; le agitazioni di piazza e le amministrative del '75, quando Pci (33%) e Dc (35%) si trovarono a poca distanza. Il 20 marzo 1978 prese vita un esecutivo di "compromesso" guidato da Giulio Andreotti e appoggiato dal Pci. Ma quattro giorni prima era successo qualcosa di drammatico: il presidente della Dc era stato rapito dalle Br. Quella organizzazione che andava sotto il nome di Brigate Rosse, formatasi nel 1970, che all'inizio fu sottovalutata dall'opinione pubblica e dallo Stato, ora con il rapimento, e successivamente con l'uccisione, di Aldo Moro, faceva paura. Gli anni che seguirono furono politicamente e socialmente complicati, l'esecutivo del 20 marzo fin� dopo un anno e con esso ogni forma di collaborazione tra democristiani e comunisti. Il compromesso storico naufrag� dopo la tragica morte del suo artefice. La scienza del matrimonio (di Camilla Ghirardato, "Focus" n. 306/18) - L'amore � imponderabile. Riguardo al resto, per�, qualcosa abbiamo capito - Tutte le famiglie felici sono simili tra loro, scriveva Tolstoj nel famoso incipit di Anna Karenina. Se fosse vero, non dovrebbe essere complicato scovare cosa fa scampare a quello che (fonte Business Insider) colpisce in Belgio il 70% dei matrimoni, in Spagna il 60%, in Russia e Usa pi� del 50%: il divorzio. Anche in Italia, che per anni � stata fanalino di coda in questo amaro primato, i dati sono in impennata: secondo l'ultima rilevazione Istat, che riguarda il 2015, rispetto al precedente anno il numero dei divorzi era aumentato del 57%. A chi � in procinto di sigillare, in chiesa o in comune, la propria intesa questi numeri potrebbero far paura. Eppure i motivi per non darsela a gambe levate quando si parla di matrimonio ci sono, perch� unioni felici che navigano a vista tra i marosi degli anni e le tempeste delle crisi esistono davvero. Il primo motivo per non temere le statistiche � che in due si � pi� felici che da soli. Risultati alla mano lo dimostrano decine di ricerche, come quella della Michigan State University, condotta per anni su un campione di 10-mila partecipanti. Lo scopo era capire se personalit� e carattere aiutino ad affrontare i principali squassi della vita. La risposta � no, le specifiche caratteriali servono a ben poco. Ma la conclusione interessante � che i single hanno mostrato come, con il passare degli anni, la loro felicit� inesorabilmente declini, mentre gli sposati monitorati sono riusciti a mantenere un livello di felicit� costante e meno incline all'ossidazione del tempo, anche se privo di eccessivi picchi. Unirsi in matrimonio quindi conviene, sempre che, consiglia la scienza, si stia attenti a qualche non trascurabile dettaglio. L'et� perfetta per sposarsi? 26 anni. � la regola definita nel libro Algorithms to Live By: The Computer Science of Human Decisions (2016) di Brian Christian e Tom Griffiths, psicologo cognitivista dell'Universit� della California a Berkeley, dove dirige il Computational Cognitive Science Lab. Griffiths sostiene che, se si deve fare una scelta tra diverse opzioni, il momento migliore per decidersi � quando si � esaminato il 37% delle possibilit�, un lasso sufficiente per scegliere senza sprecare tempo a valutare pi� informazioni del necessario. Secondo i ricercatori, � alla soglia del 37%, che si massimizza la possibilit� di selezionare il meglio dal mazzo. Quindi, se chi cerca il partner giusto lo fa in un arco di tempo compreso tra i 18 e i 40 anni, l'et� ottimale per azzeccarci � circa 26 anni (corrispondente al 37% dei 22 anni di ricerca totali), mese pi� mese meno. Naturalmente non pu� essere solo il fattore anagrafico a predire un talamo felice. "Ogni matrimonio � soggetto a fattori di rischio, come il carattere dei coniugi, l'excursus matrimoniale (cio� l'andamento del rapporto di coppia) e, da non sottovalutare, le famiglie d'origine", spiega Laura Arosio, docente di Sociologia all'Universit� degli Studi di Milano-Bicocca. "Il nucleo familiare originale trasmette, oltre alle abitudini, anche valori come l'indissolubilit� (o meno) del matrimonio. Esistono, per esempio, statistiche che confermano come i figli di divorziati siano pi� propensi a divorziare a loro volta, perch� la considerano un'eventualit� possibile". Quindi, se lui o lei hanno una famiglia composta da simpatici suoceri divorziati che sembrano usciti da una sit-comedy americana, occhio: un matrimonio fallito, anche se non marca il Dna, pu� trasmettersi di generazione in generazione. A proposito di divorziati, le seconde nozze sono pi� felici e resistenti delle prime? "No", spiega la professoressa Arosio, "al contrario, i secondi matrimoni risultano pi� instabili. Il motivo, anche in questi casi, � che il divorzio � una strada gi� percorsa e ci sono meno remore a imboccarla una seconda volta". Un altro fattore positivo per nozze fortunate deriverebbe dallo scegliere una compagna/o del proprio Paese. Tra i fenomeni degni di nota delle ultime rilevazioni Istat, infatti, c'� la crescente instabilit� dei matrimoni tra coniugi di origine diversa, che per� il pi� delle volte si spiega meglio con la differenza di cultura e livello socioeconomico tra i due. Nel 2015 le "coppie miste" che si sono separate sono state quasi il 10% di tutte quelle che hanno fatto la stessa scelta. Nel 67,7% di questi casi le coppie erano formate da marito italiano e moglie straniera. "Fattori di rischio da tenere in considerazione", conferma Arosio, "sono avere fedi differenti o diverso status. In quest'ultimo caso per� si rivelano pi� solide le coppie dove � il maschio a detenere il pi� alto titolo scolastico e il miglior impiego. Forse perch� questo genere di coppia spesso adotta ruoli pi� tradizionalisti, dove la donna ha meno possibilit� di rendersi indipendente". Altra variabile da non sottovalutare � la differenza di et� con il compagno o la compagna. Sposare un partner pi� giovane (e questo vale sia per gli uomini sia per le donne) potrebbe non essere una furbata. A certificarlo uno studio dell'Universit� del Colorado a Boulder. I ricercatori hanno esaminato 13 anni di dati su migliaia di famiglie australiane, per un totale di quasi 20-mila persone coinvolte. Ebbene, i matrimoni con un elevato gap di et� fra i partner, se inizialmente si rivelano i pi� felici, mostrano meno resilienza di quelli con coppie di et� omogenea. L'iniziale entusiasmo scema dopo, hanno calcolato i ricercatori, 6-10 anni di vita insieme; al contrario le coppie di et� simile affrontano buona e cattiva sorte con passo pi� elastico. Dopo tante allerte, un dato positivo: un'opzione (quasi) a prova di bomba potrebbe essere quella di sposare un'amica o un amico. Lo confermano molti studi, come quello molto ampio della Purdue University (Usa) del 2009, che ha sottolineato come le coppie pi� solide siano quelle che pongono l'amicizia in posizione preminente rispetto alla passione. Anche in una ricerca appena pubblicata e che ha monitorato migliaia di coppie si conferma che chi trova un amico trova un tesoro: John Helliwell, economista della Columbia University e co-autore dello studio, ha messo in evidenza il rapporto stretto tra benessere di coppia e amicizia fra i partner. Insomma, le coppie felici sono quelle che, tra figli, bisticci e crisi, continuano a coltivare la loro relazione d'amicizia, dove ci si aspetta che rispetto e dialogo pesino almeno quanto l'attrazione sessuale. Un altro aspetto importante, quando si tratta di matrimonio, � l'atteggiamento dei partner verso il denaro. Che si rivela presto, perch� una volta decisE le nozze bisogna cominciare a mettere mano al portafogli. Prima spesa imprescindibile, l'anello di fidanzamento. La promessa sposa ha manie di grandezza? Ricondurla a pi� economi e miti consigli non � un problema, basta fornirle i dati di una curiosa ricerca dell'Emory University (Usa) che ha messo in relazione la spesa per le nozze e la durata del matrimonio. Il risultato: chi meno spende avr� un matrimonio pi� solido, perch� nutre aspettative pi� basse ma spesso anche pi� realistiche. Per entrare nello specifico, le statistiche danno per certo che chi paga un anello di fidanzamento pi� di 20.000 dollari (circa 18.000 euro) ha maggiori probabilit� di divorziare rispetto a chi ne spende meno della met�. E le coppie che arrivano alle nozze dopo una convivenza? Fare una prova generale prima del grande passo potrebbe sembrare la soluzione pi� saggia... Invece no. "I dati dicono che le coppie che hanno convissuto si separano con pi� facilit� di quelle che si sono sposate a "scatola chiusa". La convivenza, infatti, ha abituato i partner a un buon livello di autonomia e libert� reciproca, fattori che a livello psicologico vengono a mancare dopo la legalizzazione dell'unione e che possono aprire a crisi e ripensamenti", precisa Arosio. Status socioeconomico, et�, famiglia d'origine, coetaneo, risparmiatore e meglio se amico di lunga data: le variabili da tenere in considerazione per trovare il compagno o la compagna perfetti non sono poche. Ma dall'elenco manca ancora un ingrediente fondamentale: l'amore. "Il successo di un matrimonio dipende anche dalle motivazioni che spingono a contrarlo", spiega Silvia Corbella, psicanalista e autrice di Liberi legami (edizioni Borla). "Se nasce da una relazione amorosa (come dovrebbe, ma come non � stato nei secoli che ci hanno preceduto) oppure da altre istanze, come il fatto che si sta da tempo insieme o che si desidera un figlio. L'istituzionalizzazione del rapporto pu� rendere la coppia pi� problematica e l'amore aiuta a rendere questa catena pi� leggera e a mantenere la relazione nei confini del rispetto, altro ingrediente fondamentale nel rapporto a due e dove forse si nasconde la chiave del felice successo di alcune unioni. Mantenersi rispettosi anche nei frangenti di tensione e conflitto, non � sempre facile ma ne vale sicuramente la pena". Sempre a dieta (di Claudia Giammatteo, "Focus Storia" n. 137/18) - Duemila anni di battaglie per perdere peso - C'� un filo rosso che lega antichi Egizi e Greci, dame del Settecento e star di Hollywood, santi medievali e poeti dell'Ottocento. Una battaglia invisibile da vincere passando attraverso un tunnel di disciplina e trasgressione, speranze e ricadute, euforia e disperazione. "Si pensa che le diete alla moda, i ciarlatani, i guru di Hollywood, le pillole per dimagrire, i pregiudizi contro le persone grasse siano il frutto dell'attuale "dittatura dell'immagine", ma non � cos�", rivela la storica della medicina Louise Foxcroft (autrice di Calories and Corsets: a history of dieting over two thousand years). "La storia delle diete � passata attraverso millenni di tormenti". Nei tempi pi� remoti la grassezza poteva essere sinonimo di benessere, fertilit� (nelle donne) o anche prestigio sociale. Lo testimoniano le forme voluttuose della Venere di Hohle Fels, statuina femminile paleolitica (risalente a circa 40-mila anni fa) ritenuta una delle pi� antiche rappresentazioni del corpo umano. O, in campo maschile, le pance morbide e flaccide dei defunti scolpiti sui sarcofagi etruschi di Chiusi (IV-III secolo a.C.). "L'immagine del potere � andata, spesso, di pari passo con l'opulenza delle forme, ma a fasi alterne", afferma Donatella Lippi, docente di Storia della Medicina all'Universit� di Firenze, nel libro Storia della magrezza. Corpo, mente e anoressia. All'ideale dell'uomo grasso e potente, si sono sostituiti, con il tempo, canoni estetici diversi. I motivi? "Quando le masse ebbero accesso al cibo e l'iperalimentazione si qualific� come causa di numerose patologie, s'impose la ricerca di altri segni "distintivi"". Insomma prima che Platone (V-IV secolo a.C.) condannasse la gastrimargh�a (l'ingordigia nemica della filosofia e delle Muse) e che il cristianesimo disprezzasse l'ipocondrio (la parte superiore dell'addome) sede degli stimoli "inferiori", l'alimentazione era gi� oggetto di dibattito. Nel mondo greco nacque il concetto di diaita o "regime di vita" da cui deriva la parola "dieta". "Il termine greco diaita aveva per� tutt'altro significato rispetto a quello attuale, e considerava l'equilibrio tra corpo e anima presupposto di ogni cura", spiega Louise Foxcroft. Essere troppo grassi o troppo magri indicava uno squilibrio tra i quattro "umori" essenziali, cio� bile nera, bile gialla, sangue e flegma. A chi eccedeva nei banchetti, Ippocrate di Coo (460-370 a.C. circa), padre della medicina, consigliava quattro rimedi: smaltire il cibo facendo esercizio fisico (cio� corsa o lotta), provocarsi il vomito (con bevande a base di acqua, aceto e sale), fare bagni tiepidi e astenersi dai rapporti sessuali perch� inducevano pigrizia. Ma citava come caso di "accanimento salutistico" quello del medico Erodico di Selimbria, che costringeva i pazienti a correre con la febbre, li sfiancava con incontri di lotta e li prosciugava con bagni di vapore. "Il corpo � una nave che non deve essere sovraccaricata", ripeteva saggiamente lo storico Plutarco nel I secolo d.C.. E anche i poeti latini presero di mira l'obesitas ventris di Nerone e Domiziano, associando la figura dei tiranni a crudelt� e ingordigia. E gi� un rassegnato Cicerone aveva scritto ad Attico nel I secolo a.C.. "Ora comincio a curarmi con la dieta, di misure chirurgiche ne ho abbastanza". "Mentre il mondo antico aveva un approccio ragionevole nei confronti dell'alimentazione, il cristianesimo introdusse un atteggiamento conflittuale con il cibo. L'eroica astinenza e i corpi affamati di santi asceti furono soggetti a una glorificazione esagerata", sottolinea Foxcroft. Fin dal Medioevo ci furono due tendenze opposte: da una parte la mancanza di alimenti e la breve aspettativa di vita portavano a un consumo eccessivo nei periodi prosperi; dall'altra la gola fu identificata come uno dei sette vizi capitali, associata alla lussuria. Tanto che nel VI canto dell'Inferno Dante condanna i golosi a essere immersi in una "palude di fango fetido sotto una pioggia nera, mista di grandine e di sassi". Per non cadere nel vizio, l'unica forma di penitenza possibile era il digiuno. Ma a parte gli asceti e i "sacri digiunatori", in molti predicavano bene e razzolavano male. Il grasso san Tommaso d'Aquino (1225-1274) fu ribattezzato "il bue muto" dai compagni, mentre fra Salimbene da Parma (1221-1288) cos� descrisse il corpulento fra Giovanni: "Non vidi mai nessuno che come lui si abbuffasse tanto volentieri di lasagne con formaggio". A rimettere ordine sulle nostre tavole ci pensarono gli Arabi nel 1500 con un trattato, Taqwim al-sihha (tradotto in Tacuinum Sanitatis), che elenc� i cibi, le bevande e le attivit� (respirazione, esercizio e riposo) pi� salutari. Non solo resistere alla tentazione dei banchetti alle corti rinascimentali era complicato, ma mangiare a dismisura era anche un segno distintivo delle classi agiate. Come afferma lo storico medievista Massimo Montanari: "La gotta, malattia circolatoria dovuta all'eccesso di cibo e, in particolare, di carne, era un segno di privilegio". In seguito si fece strada l'idea che un dottore dovesse essere anche cuoco, per orchestrare un regime alimentare gustoso ma adeguato alle esigenze della salute. Il gastronomo Bartolomeo Sacchi, detto il Pl�tina, nel trattato De honesta voluptate et valitudine (1470) raccolse ricette latine in grado di mettere d'accordo il piacere (voluptate) e la salute (valitudine), preferendo il sano cibo contadino, e cio�, cereali, ortaggi e pane, alle succulente preparazioni di corte come torte, pasticcini e carni grasse. Anche il Trattato sulla vita sobria (1550) del nobile veneziano Alvise Cornaro, che prometteva longevit� e salute, divenne un best-seller dell'epoca. "Il segreto per vivere a lungo, bene [...] conservando lucidit� mentale per se stessi e per gli altri", rivel�, "� sapersi contenere e mangiare il minimo". Banale? "Quella di Cornaro era una storia di peccato e redenzione", spiega Foxcroft, "iniziava con la confessione dei primi quarant'anni vissuti da grasso all'insegna degli eccessi, prima di abbracciare "la dieta del minimo" che lo port� ad assumere fino a un solo tuorlo d'uovo al giorno". Persino per il goloso filosofo Voltaire (1694-1778) il moral dipendeva fatalmente dal physique e in una lettera a Monsieur Thiriot del febbraio 1729 argoment� che "una corretta alimentazione, esercizio fisico, riposo e gaiezza sono garanzia di buona salute, non certo i rimedi che avidi ciarlatani prescrivono, spacciandoli come prodigiosi". A met� Ottocento essere grassi non era pi� un privilegio sociale. Anzi, questa caratteristica si trasform� in un facile bersaglio per feroci vignette: cos� Giorgio IV sovrano del Regno Unito (1762-1830) da Prince of Wales (principe di Galles) divenne Prince of Whales (principe delle Balene), per la sua ingordigia, pigrizia e mollezza di carattere. Fu in questo periodo che si assistette a un passaggio cruciale: "Fino ad allora ci si metteva a dieta per motivi di salute; nel secolo XIX, invece, s'inizi� a farlo soprattutto per ragioni estetiche", sottolinea Foxcroft. Anche perch� ormai erano diventati numerosi i personaggi famosi in perenne lotta contro il loro peso. Come il poeta inglese lord Byron (1788-1824). "Voleva un fisico asciutto, ma tendeva a ingrassare. Insoddisfatto del suo aspetto, quando studiava al Trinity College di Cambridge elabor� una dieta ferrea - a base di t�, biscotti, zuppa e aceto - che lo port� a perdere circa 30 chilogrammi (da 90 a 61) dal 1806 al 1811", racconta Foxcroft nel suo libro. E non solo. Prosegue l'autrice: "Indossava strati di lana per sudare, faceva lunghissime cavalcate, fumava per liberarsi della fame. Anche se ogni tanto cedeva a goduriose abbuffate seguite da abbondanti dosi extra di magnesia". Ecco una testimonianza dei suoi tormenti: "Oggi per la prima volta da sei giorni ho mangiato normalmente anzich� prendere i miei sei biscotti con il t�. Come vorrei non averlo fatto! La pesantezza e il torpore mi stanno uccidendo". Qualche anno dopo, un altro personaggio entr� nella leggenda per la sua maniacale (e ingiustificata) battaglia contro il peso: l'imperatrice d'Austria Elisabetta di Wittelsbach (1837-1898), detta Sissi, che, nonostante i suoi 44 chilogrammi di peso per 1,73 m di altezza, s'imponeva una singolare dieta a base di latte, arance e zuppe e si tormentava quotidianamente con lunghe passeggiate e ginnastica. Era talmente severa con se stessa che si concedeva un pasto soltanto se il suo girovita non superava i 49,5 cm. Agli inizi del Novecento dimagrire divent� una vera e propria ossessione: l'introduzione massiccia di cibo raffinato (come pane bianco e dolci) da parte delle industrie alimentari e uno stile di vita sedentario acuirono il problema del grasso in eccesso. In contemporanea i mass media iniziarono a proporre modelli estetici difficili da raggiungere, alimentando una diffusa insoddisfazione per il proprio corpo. "A questo punto", spiega Foxcroft, "il mercato era pronto per farmaci dimagranti e pillole "miracolose" a base di vermi, ormoni, anfetamine e persino dinitrofenolo, un agente cancerogeno in uso gi� negli anni della Prima guerra mondiale (poi vietato nel 1938)". "Con la sola eccezione della creduloneria dell'uomo calvo nel campo della ricrescita dei capelli", chios� un medico degli anni Venti, "non esiste una tale fiducia incondizionata come nel campo delle diete dimagranti". Qualsiasi ciarlatano promettesse di sconfiggere i problemi di peso si assicurava lauti guadagni: dal tedesco Gayelord Hauser, sedicente dietologo di Greta Garbo, Marlene Dietrich e Rita Hayworth e autore di alcuni best-seller su magrezza e diete, fino a Sylvia Ulback, meglio nota come madame Sylvia, massaggiatrice ufficiale delle star di Hollywood negli anni Venti. "Oggi � cambiato ben poco", commenta Foxcroft, "anche se l'epidemia mondiale di obesit� e la diffusione di disturbi alimentari suggerirebbero di non ispirarsi ai cattivi esempi del passato, ma di rifarsi ai principi della diaita greca". Del resto, come disse nel Settecento il medico Samuel Johnson, "qualunque sia la quantit� che un uomo mangia, � chiaro che se � troppo grasso ha mangiato pi� di quanto avrebbe dovuto fare". Il biologo nazista nemico dei narcos (di Paolo Manzo, "Focus" n. 306/18) - Nel 1991, uno scienziato tedesco (ex SS) viene ucciso nella sua casa di campagna, in Argentina. Perch�? Una nuova ipotesi su un giallo storico - Da tempo aveva paura di essere ucciso "Don Enrique", come lo chiamavano i pochi che lo frequentavano a Ugarteche, un paesino di 6-mila anime in Argentina. I suoi fantasmi del passato, che nascevano nella Germania nazista, non gli davano tregua. "Don Enrique", infatti, in realt� era Heinz Henrich Br�cher, uno scienziato al servizio del Terzo Reich divenuto in poco tempo il pi� grande biopirata di ogni epoca. Genetista, antropologo e botanico, fu lui stesso a proporre al capo delle SS, Himmler, la razzia delle sementi dei centri di ricerca agricoli sovietici via via occupati dai nazisti. Finita la guerra, Br�cher scomparve per riapparire in Sud America con il nome spagnolo di "Don Enrique". E qui, il 17 dicembre del 1991, fu strangolato nella sua fattoria. Si pens� subito a un furto degenerato in omicidio, ma nella sua casa non mancava nulla... Ma allora chi lo uccise? E perch�? Il primo a essere sospettato fu un mezzadro paraguaiano che, per�, fu scagionato dopo un paio di settimane. Di fatto le indagini finirono l�, e l'uccisione di Br�cher rimane uno dei "cold case" pi� misteriosi del Dopoguerra. Un caso irrisolto, sul quale per�, di recente, si � aperto un nuovo e inquietante scenario. Ambizioso Br�cher lo era stato fin da giovane. Dopo la laurea si iscrisse prima al partito nazionalsocialista e poi alle SS. Divenne docente universitario e grande ammiratore delle teorie eugenetiche del nazismo declinate all'agricoltura. Dopo la prestigiosa nomina all'Ahnenerbe (alla lettera "patrimonio ancestrale"), un ramo di ricerca delle SS, fu promosso quasi subito tenente in seconda (Untersturmf�hrer) e inizi� a lavorare all'Istituto Kaiser Wilhelm di M�ncheberg, vicino a Berlino, con l'obiettivo di coltivare sementi per l'autosufficienza del Reich. Nel 1941, l'attacco all'Urss di Hitler (Operazione Barbarossa) fu il punto di svolta della sua carriera: in meno di due anni saccheggi� 18 centri di ricerca sovietici, rubando i duplicati dei campioni di sementi raccolti in tutto il mondo dal ricercatore russo Nikolai Vavilov. Nel 1943, quando i nazisti cominciarono ad arretrare, Br�cher port� con s� i semi rubati nel castello di Lannach, nei pressi di Graz, in Austria. E qui, su sua richiesta, nacque l'Istituto delle SS per la genetica vegetale, che Br�cher stesso diresse fino al febbraio 1945. Ma a quel punto gli giunse l'ordine di Himmler di distruggere tutto, per impedire che le forze statunitensi o sovietiche mettessero le mani su quel patrimonio. Br�cher disobbed�. Per due anni visse nascosto nella nat�a Darmstadt, riuscendo a nascondere le sementi rubate. Poi, catturato dagli americani, si accord� per proseguire le ricerche scientifiche con loro. Ma Br�cher non si fidava, e fugg� in Svezia. Qui conobbe Ollie Berglund, giovane ricercatrice biologa, e la spos�. Nel 1948, s'imbarc� con lei sulla nave G�teborg diretta a Buenos Aires, con 400 kg di bagaglio. Quasi certamente si trattava delle sementi con cui avrebbe continuato a fare ricerche in Sud America per oltre quarant'anni, la maggior parte dei quali trascorsi in Argentina, insegnando prima genetica vegetale a Tucum�n e poi a Mendoza, fatta salva una parentesi in Venezuela durata quasi un decennio (tra 1963 e 1971) dove insegn� all'Universit� di Caracas UCV. Br�cher parlava un ottimo spagnolo e questo gli consent� di viaggiare per Unesco e Fao anche in Paraguay, Cile, Colombia e molti altri Paesi latinoamericani, ma a far ricordare il suo passato rimaneva sempre la sua "erre" dura tipica di Darmstadt, nell'Assia tedesca, dov'era nato il 14 gennaio del 1915. A Ugarteche aveva deciso di ritirarsi dopo che un tragico incidente d'auto in Venezuela, il 25 gennaio 1971, gli aveva portato via la 45-enne moglie Ollie e il figlio 18-enne Erik. Br�cher aveva scelto la solitudine delle campagne circostanti questo paesino dell'Argentina per coltivare vigneti e fare innesti su piante e sementi, in particolare tuberi e vegetali andini, nella finca "Condor Huasi". L'unico legame apparente col passato rimaneva, sul cancello d'entrata, una scultura in ferro battuto alta un metro che somigliava pi� a un'aquila alpina che a un condor delle Ande. Fu a quel punto che "Don Enrique" cominci� a manifestare la paura di essere ucciso. Lo and� ripetendo da quando pubblic�, nel 1989, il suo primo testo scientifico in inglese, Useful plants of neotropical origin and their wild relatives per la casa editrice tedesca Springer. Quasi che l'essere diventato un punto di riferimento mondiale negli studi sulle piante tropicali, comprese quelle stimolanti come la coca, fosse pi� un costante tormento che un successo di cui vantarsi. Lo aveva confidato pi� volte all'unico figlio rimastogli, Sven Alberto (oggi 67-enne), oltre che a Vicente Cabrera, all'epoca suo giovane mezzadro, e ad amici botanici come il tedesco Sigmund Rehm. Il 15 luglio del 2000, Rehm scrisse al collega svedese Carl Gustaf Thornstr�m, dell'Universit� di Uppsala, che Br�cher in quel periodo era "ossessionato dal fatto che qualcuno o qualche organizzazione, non necessariamente i nazisti, minacciasse la sua vita". Gi�, ma chi mai poteva temere un luminare della botanica, che nel corso degli anni era stato consulente dell'Unesco e della Fao, e che proprio adesso, alla soglia dei 76 anni, conduceva una vita ritirata tra i campi? Una prima ipotesi riconduce al libro per la Springer. Le precedenti pubblicazioni di Br�cher, infatti, e in particolare quelle degli anni '50, erano uscite con lo pseudonimo di Enrique Brucher. Fu l'editrice tedesca a volergli dare fama internazionale nel 1989, pubblicando il suo libro in inglese e con il suo vero nome. � allora possibile che, in questo modo, la sua identit� sia venuta pericolosamente a galla. Nel corso degli anni, infatti, Br�cher si era fatto molti nemici a cominciare dai russi per le sementi sottratte a Vavilov. Poi c'era il Mossad, che poteva averlo di mira in quanto ex SS di spicco; di fatto, il nome del servizio segreto israeliano all'inizio era circolato come possibile mandante del suo omicidio sino a quando non arriv� la smentita ufficiale da Tel Aviv: "non era un nostro obiettivo". Oggi, per�, � un'altra l'ipotesi pi� accreditata. Lo spietato omicidio sarebbe stato opera dei narcos, in quanto lo scienziato ex nazista rischiava di rovinare il business per loro pi� redditizio: lo spaccio internazionale di cocaina. Gi�, perch� a partire dalla seconda met� degli anni '80 Br�cher stava lavorando alla selezione di un virus per colpire i raccolti di coca. Lo aveva confidato all'amico e collega Sigmund Rehm e al figlio Sven Alberto, aggiungendo che stava collaborando con una non meglio specificata agenzia, probabilmente l'antidroga statunitense (Dea). E proprio nelle settimane immediatamente precedenti alla sua morte, sembrerebbe che Br�cher fosse sul punto di raggiungere il suo obbiettivo. A confermare questa ipotesi � una recente intervista rilasciata dall'ex mezzadro Cabrera al reporter Mat Youkee per la testata digitale Ozy.com: "Heinz mi raccont� il suo piano per eradicare la coca e voleva pubblicare un libro sul tema con centinaia di documenti", ha detto Cabrera. "Secondo le sue direttive, io sarei dovuto andare via terra in Bolivia per infestare con una siringa un'area di 200 ettari di coca, ma 10 giorni prima della mia prevista partenza lui fu ucciso". Una testimonianza confermata dal geografo Daniel Gade, che nel 1975 aveva conosciuto in Paraguay Br�cher e che da allora, ignorando il suo passato nazista, aveva intrattenuto con lui una fitta corrispondenza epistolare. In una delle sue ultime lettere, "Don Enrique" assicurava a questo docente dell'Universit� del Vermont che stava lavorando a un prodotto capace di distruggere le piantagioni di coca di tutto il Sud America senza danneggiare le altre piante. Il sogno della Dea, insomma, ma anche l'incubo dei narcos. Quelli che, tutto sommato, avevano il movente pi� plausibile per eliminare "Don Enrique". Fontina DOP: sapore di montagna ("RivistAmica" n. 3/18) - Immancabile nel panino, ma presente anche in tante ricette fantasiose - La Fontina Valdostana � una DOP che, da sola, nella fonduta, con la polenta o gli gnocchi alla bava, parla di montagna, pascoli e latte genuino. Dal sapore dolce e profumato, � adatta anche ai bambini e a chi non ama i formaggi dal gusto troppo deciso. Secondo alcuni, il termine Fontina deriva dall'alpeggio Fontin, che produceva questo formaggio. Secondo altri, invece, � legato al villaggio Fontinaz oppure ai termini "fontis" o "fondis" del francese antico, che fanno riferimento alla capacit� di fondersi di questo formaggio, una delle sue caratteristiche pi� amate. Ma da quanto tempo esiste la Fontina? Le prime testimonianze si perdono nella notte dei tempi: in un documento del 1270 scritto in latino il termine compare come toponimo e verr� poi usato come nome del formaggio a partire dal 1700; nel 1477 viene citata nella Summa Lacticinorum del medico vercellese Pantaleone di Confienza; nel castello di Issogne si trova una raffigurazione di una pila di Fontina risalente al XV secolo; la prima classificazione ufficiale risale al 1887 e poi bisogna aspettare gli anni '30 del '900 per una seconda classificazione; nel 1955, infine, diventa un formaggio con Denominazione di Origine Controllata (DOC). � nel 1957 che nascono sia la Cooperativa Produttori Latte e Fontina che il Consorzio Produttori Fontina (oggi Consorzio Produttori e Tutela della DOP Fontina). I primi hanno l'obiettivo di raccogliere, stagionare e commercializzare la Fontina DOP. I secondi vigilano sulla produzione e sul commercio, marchiando le forme conformi al disciplinare. Nel 1993 viene inoltrata la domanda per il riconoscimento della DOP di questa eccellenza e nel 1995 arriva finalmente il riconoscimento dell'Unione Europea. A rendere la fontina cos� speciale sono una serie di fattori. - Le mucche - tre razze autoctone valdostane che sono la pezzata rossa, la pezzata nera e la castana - vivono in ambiente montano e si nutrono di fieno ed erba fresca (gli insilati sono vietati). Si tratta, inoltre, di animali vigorosi, adatti alla montagna e noti per la qualit� del latte che producono. - La Fontina viene prodotta da latte intero e crudo, proveniente da un'unica mungitura e lavorato poco dopo essere stato munto, senza processo di pastorizzazione. Il formaggio di conseguenza porta con s� l'aroma del fieno, delle erbe spontanee e del foraggio. Particolarmente pregiata � la fontina d'alpeggio: viene prodotta tra maggio e settembre nelle malghe sopra i 1600 metri e restituisce anche il profumo dei fiori e delle essenze tipiche dei pascoli montani in primavera ed estate. - Un altro passaggio fondamentale nella produzione di questa perla casearia � la fase di stagionatura, durante la quale le forme vengono spazzolate con acqua e sale per dare umidit� ed esaltare le caratteristiche organolettiche. A vigilare sulla produzione e sulla qualit� del prodotto c'� il Consorzio. Se una forma non dovesse superare il controllo di idoneit� per ricevere il marchio di certo non verr� sprecata, ma commercializzata con il nome di "formaggio valdostano". La Fontina DOP � un formaggio da tutto pasto. Per coglierne la bont� naturale � bene assaggiarlo da solo, magari in accompagnamento a una fetta di pane fresco o tostato. Grazie alla sua pasta fondente e filante, risulta particolarmente adatto per la preparazione di fondute. � ottimo anche con i primi, le torte salate e le carni. Chi � in cerca di un grande classico pu� cucinarlo con la polenta, mentre per gli amanti dei dolci � d'obbligo l'accoppiata con il miele e le marmellate. Per un aperitivo elegante, abbinate al vostro tagliere uno Chardonnay, mentre una birra bionda � l'ideale per un brindisi informale. L'ideale per accompagnare la Fontina sono una birra artigianale chiara, un bianco di media gradazione o un vino rosso leggero e delicato: non essendo particolarmente profumati, non sovrastano la delicatezza del formaggio. Mare e svago a Ibiza e Formentera ("RivistAmica" n. 6/18) - Famose prevalentemente per la loro vita notturna e per il turismo "vip", le isole Pitiuse offrono uno spettacolo naturale da godere 24 ore su 24. A ritmo di musica, ovviamente - Diversissime eppure collegate. Non solo a livello geografico (distano poche decine di chilometri l'una dall'altra), Ibiza e Formentera condividono storia e cultura. Insieme ad altri isolotti formano le cosiddette isole Pitiuse, piccolo ramo all'interno del pi� grande arcipelago delle Baleari. Nel corso degli anni hanno consolidato una spiccata vocazione turistica e si sono affermate tra le mete di maggior successo per le vacanze estive. Hanno caratteri forti e uno spirito ben riconoscibile. Unite proprio dalla loro diversit�, come le due facce della stessa medaglia: pi� modaiola e mondana l'una (Ibiza), meno legata al mondo stroboscopico delle discoteche l'altra (Formentera). Eppure entrambe apprezzate. Belle, naturali, divertenti: il luogo ideale per liberarsi dalle scorie della quotidianit� e trascorrere i mesi pi� caldi dell'anno. Abbracciata dal pi� tipico clima mediterraneo, Ibiza ha consolidato nel corso degli ultimi anni la sua posizione predominante nel settore del divertimento notturno. Al calar del sole, l'isola indossa il suo vestito elegante e d� il via alle danze. Tra le sue coste sorgono infatti alcune delle discoteche pi� rinomate e famose del continente come il Privilege, l'Amnesia e il Pacha. O ancora locali sulla spiaggia come il Bora Bora e l'Ushuaya, dove � possibile ballare cullati dalle onde del mare, sorseggiando un cocktail in attesa dell'alba. Ma racchiudere il patrimonio dell'isola alla sola movida sarebbe riduttivo. Se di notte Ibiza offre al mondo il suo profilo pi� caratteristico, � la luce del giorno a valorizzarne davvero la bellezza, illuminando un patrimonio ricco di meraviglie. In cui spicca un litorale puntellato da spiagge bianchissime (Talamanca, Playa d'en Bossa, Ses Salines) e calette incontaminate (Conta, Bassa, Tarida). Ma anche tantissimi siti culturali come la straordinaria cittadella rinascimentale Dalt Vila, situata nel centro storico della capitale Eivissa e dichiarata patrimonio dell'Umanit� dall'Unesco, ricca di storia e cultura al pari dei quartieri limitrofi di La Marina e Sa Penya. A poche miglia nautiche dalla sponda meridionale di Ibiza si trova Formentera, la pi� piccola e meno popolata della famiglia delle Baleari. Un tempo meta del turismo meno formale si � in parte uniformata al boom della sorella Ibiza pur mantenendo una sua identit� all'insegna della natura incontaminata, come testimoniano l'entroterra rurale - ideale per le escursioni - e il quartiere di La Mola, in cui due volte a settimana viene allestito un mercatino hippie da visitare. Tra le spiagge pi� note di Formentera: Cala Saona, Migjorn e il complesso delle Ses Illetes, situate nella zona nord, che affaccia sull'isola di Espalmador. Quest'ultima, parte della Riserva Naturale di Ses Salines d'Eivissa i Formentera, si caratterizza per il suo profilo incontaminato ed � famosa per il bagno di fango in prossimit� della spiaggia di Platja de s'Alga. Un'oasi di pace che affaccia direttamente sulla patinata Ibiza. Perch� si chiamano isole Pitiuse A coniare il termine Pitiusas fu Plinio il Vecchio, il quale indic� Ibiza e Formentera con questo nome a causa della grande quantit� di pini presenti sul loro suolo (Pitiusas deriva dal greco "pitya", ovvero pino). Una caratteristica che permane tutt'oggi e di cui sono emblema la Spiaggia Cala Bassa e la riserva naturale delle Ses Salines, entrambe circondate da pineti e conifere. Geppi Cucciari si racconta (di Davide Turrini, "Millennium" n. 11/18) - L'impresa pi� estrema? Essere riuscita a far sorridere il presidente Mattarella - Dillo in sette secondi. Chi � Geppi Cucciari? "Una donna tra il poliedrico e il confuso con delle fragilit� che a volte diventano punti di forza, e viceversa". Ma Geppi, classe 1973 da Macomer, � anche un Frecciarossa senza ritardi. Un'instancabile one woman show che sfreccia rapidissima sui 300 orari tra televisione, radio, teatro e tv. Solo nel pomeriggio in cui la incontriamo in un privatissimo caff� di Milano ha appena finito la diretta di Radio 1 con Un giorno da pecora; sta per partire per Torino dove porter� in scena Perfetta, un testo scritto da Mattia Torre; ha concluso da mezza giornata la registrazione di Per un pugno di libri su Rai 3; e ancora tra poche ore dovr� affrontare Le parole della settimana con Massimo Gramellini sempre su Rai 3. Parliamo di una comica che ha compiuto un'impresa eccezionale. Ha fatto (sor)ridere il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. "Avevo avuto solo una raccomandazione, quella di non parlargli", spiega. "Mi hanno detto soltanto di presentarlo. Lui si � avvicinato e solo in quel momento ho realizzato che sul leggio, dove doveva fare il suo discorso, c'era un'esplosione di oggetti come capita sempre a me appena m'insedio in un posto. Mentre riordinavo gli ho parlato e lui ha percepito che non c'era nessun desiderio di mancargli di rispetto. Mi ha ascoltata e ha sorriso". - Ha un gran rapporto coi politici. Prima di entrare a "Un giorno da pecora" sono tutti accigliati, poi arrivano l� e si sciolgono. Si confessano, cantano... "Quale programma prevede un'intervista che dura un'ora e un quarto? Dedichiamo molto tempo alla singola persona. Gli ospiti dimentichano il luogo in cui sono, sviluppano una relazione empatica con me e il mio amato collega Giorgio Lauro che ha la missione del grande provocatore. In trasmissione abbiamo invitato tutti perch� non abbiamo nessun pregiudizio. Attraverso i politici cerchiamo di raccontare le scelte di questo Paese. Non pensiamo mai "quell'ospite che orrore", perch� se l'hanno votato c'� una ragione. Da noi parla della legge elettorale, di quante volte va in Parlamento, del fatto che giochi a tennis, e lo senti cantare. Non siamo Il punto di Paolo Pagliaro". - L'ex ministro Fedeli si � perfino messa a cantare "Bandiera rossa"... "Da noi c'� intimit� in studio, c'� un clima particolare. Dibattiamo su quello che dicono gli opposti, spesso faccio commenti non richiesti, anche da Giorgio, rimprovero la Boldrini perch� vive col gatto, o l'ex ministro Orlando che mangia i surgelati. Sono tutti esseri umani. Se chiamiamo Al Bano lo facciamo cantare, scherziamo, ma gli chiediamo anche che cosa pensa delle elezioni di Putin". - Il quarto segreto di Geppi: farsi rispettare mentre si prende in giro qualcuno. Memorabile la battuta a Giorgia Meloni: si � diplomata al liceo linguistico cos� pu� dire in cinque lingue "aiutiamoli a casa loro". "Sta facendo l'esempio di una persona che ha un senso dell'umorismo incredibile. Al netto delle sue idee, che non condivido, la Meloni � una persona deliziosa. Ha un lato umano accogliente. In questo momento mi rendo conto che tutti i politici hanno attorno un'aura di respingimento, si � perso il concetto di rappresentativit� del popolo". - Vale per tutti i partiti o solo per la cosiddetta sinistra? "Per tutti in generale. Oggi per i politici si respira odio. La fiducia nel Movimento 5 Stelle nasce indubbiamente da questo. Hanno interpretato una necessit� di maggiore ascolto". - � preoccupata dei risultati delle ultime elezioni? "Non rispettare il successo di chi ha vinto sarebbe impossibile. Altrettanto complicato � che riescano a trovare veri accordi con altri partiti, ma lo sarebbe anche a percentuali invertite. Colpa di una legge elettorale complessa e che rende necessarie le alleanze". - Geppi Cucciari ha una grande preparazione sui sistemi elettorali. "Mi sopravvaluta, � Giorgio Lauro che sa tutto. La sua preparazione politica corrisponde alla mia sulla biografia di Candy Candy". - Qual � il politico con cui si � divertita di pi�? "� una leggenda metropolitana che il comico si diverta mentre lavora. Quando lavori stai lavorando. Adesso faccio anche cose meno legate alla leggerezza rispetto agli inizi. Il programma pi� leggero che faccio � Per un pugno di libri. Mi piacerebbe un giorno tornare a fare un format mio come G Day, dove sono libera e corro con il mio passo. Magari un "late night". Ma quella fascia oraria � funestata dai rinvii della prima serata. Se il programma va in onda dopo mezzanotte la gente va a dormire perch� deve lavorare... chi un lavoro ce l'ha". - Da ragazzina divideva con i suoi fratelli a Macomer una sola televisione... "S�, solo quando avevo un'et� con una cifra. Sceglievano i miei fratelli. Feci per� in tempo a conoscere la primissima programmazione Mediaset, quella con i cartoni animati della mattina. Nonostante abitassi in un paesino di 12 mila anime, la mia famiglia era avanti. Ho anche programmato la mongolfiera con il Commodore 64". - Pi� che Geppi sembra di ascoltare Marie, la portiera d'albergo della serie web "Eities"... "Io sono pazza di Eities, perch� sono rimasta ferma l�: psicologicamente, emotivamente e stilisticamente. � una cosa che ho molto amato fare, solo per il web, spazio che a volte moltiplica per mille quello che fai, altre volte no. Quello � un programma che mi divertiva fare, era leggero. Ad ogni modo non ho le stesse consapevolezze che avevo a 28 anni. Sarebbe folle non far crescere quello che fai insieme a te". - Il mestiere del comico fino a non tanto tempo fa era a stretto appannaggio del maschio. "Vengo dal cabaret, anche l� le donne sono di meno. Ricordo i laboratori di cabaret che frequentavo a Milano agli inizi. Dieci minuti di monologo in un'ora e mezza di spettacolo. Era bellissimo. Si viveva la Milano della notte. Mi stavo laureando. Avevo una vita molto distonica per l'equilibrio reale di un essere umano. Mio padre per� mi ha insegnato l'importanza dell'indipendenza. La mia famiglia mi ha sempre sostenuta e aiutata quando studiavo, giocavo a basket e nei primi anni di solo cabaret". - In che ruolo giocava? "Sotto canestro. Numero 4 puro. Un mezzo pivot, quello che necessita di un compagno pi� ingombrante con cui giocare. Amavo stare l�, dove si fa il lavoro pi� duro. Fratture alla mandibola, spinte, gomitate in faccia. Molte prese, qualcuna in pi� data". - C'� qualcosa di cui non si pu� scherzare o ridere quando si fa il comico? "Sono disposta a scherzare su qualsiasi cosa e su qualsiasi persona, basta che questa mi sia davanti". - Nella sua comicit� non fa la morale a chi le sta davanti. Difetto tipico di molti comici "progressisti"... "Non � nel giudizio che risiede la preziosit� di chi fa il mio mestiere, ma nel fatto che chi ti ascolta si riconosca in ci� che stai dicendo". - Anche di fronte a Gasparri? "A lui a volte glielo faccio notare. "Ma come ti viene in mente quello che dici?". Ad ogni modo non esistono risposte giuste, ma domande giuste. Le risposte seguiranno. Un giorno da pecora viene comunque ascoltato da persone appassionate dell'Italia, nessuno lo sente perch� gli sto simpatica io o Giorgio. Ascoltano per un'ora Boccia che parla della legge di Bilancio o Rotondi che parla della legge elettorale! � giusto che parlino tutti ed � giusto che chi li ha votati li ascolti. Ci sono politici che possono fare grandi carriere con a cuore il Paese pur non avendo un eloquio straripante. Altri, meno". - Ogni riferimento a persone reali � puramente casuale... "Difficile non sapere parlare con propriet� di linguaggio nel 2018, soprattutto se sei in Parlamento, perch� tutto quello che non hai imparato studiando lo puoi imparare per assorbimento. Se non l'hai imparato in un modo o nell'altro, hai dei limiti, e noi lo dobbiamo sapere". - Una battuta sulle molestie sessuali alle donne la farebbe? "L'ho fatta anche in periodi in cui questo tema era meno presente a livello internazionale. Era una fase diversa della mia vita. Dicevo, a teatro: "Chiss� con quante persone sei stata per essere l�. Non soltanto non ci sono stata, ma non me lo hanno nemmeno chiesto". Oggi per� sto attentissima nel fare battute su questo". - Cosa la fa pi� arrabbiare del web? "I commenti volgari e sessisti sul corpo delle donne. Sei troppo grassa, sei troppo magra, sei brutta, fai schifo. Riguarda sempre pi� le donne che gli uomini. A volte faccio lo screenshot e lo pubblico come monito. Non mi puoi scrivere una cosa che non avresti il coraggio di dirmi in faccia, e poi prima chi ti ascoltava e guardava se non gli piacevi non pensava di poter essere al tuo posto. Adesso questo pu� capitare, il mercato � pi� fluido e chi commenta ha pi� che legittime velleit� di fare quello che fai tu. Ed esiste un mercato della negativit� su tutti, a fasi alternate, di arroganza e violenza verbale davvero pesanti". - Ci sono colleghe donne che la fanno ridere? "Tante, nella vita oltre che nel lavoro. Ho stima di Virginia Raffaele, Paola Cortellesi, Lella Costa. Fanno cose belle, ma frequentarle � pi� bello ancora". - Con chi sei cresciuta? "Anna Marchesini. In assoluto, ricordo i Promessi sposi del Trio in tv. Si rimaneva a casa per vederli. Va detto che a quell'et� rimanevo a casa comunque". - C'� mai stato un momento in cui ha pensato: oddio non ce la faccio? "Mai". - Momenti di sconforto? "Lo sconforto c'� sempre, a tratti, anche stamattina. � un mestiere dove non devi solo farcela, ma mantenere il livello raggiunto in modo costante. Non ho mai certezza di nulla. Sono per� stata fortunata perch� dopo due anni e mezzo dall'inizio mi mantenevo gi� con il mio lavoro". - Un unico e sincero grazie a chi lo direbbe? "Il primo a Lucio Wilson. Facevo cabaret da una settimana e lui ha iniziato a lavorare con me. Poi Gino e Michele, Giancarlo Bozzo, Luca Bottura, Barbara Alberti, Beppe Caschetto". - Mai dato gomitate o calci negli stinchi per lavorare? "No. Le gomitate le d� chi guarda accanto, io guardo avanti". - La carriera nel mondo dello spettacolo � complicata... "Complicata? Sono complicate altre cose nella vita. Lavorare dieci ore al giorno per mille euro al mese, dire no a un figlio che vuole un giocattolo perch� non hai soldi per comprarglielo, avere paura che ti licenzino, temere che ti lascino a casa ogni estate per poi riassumerti ogni settembre. Ho il privilegio di avere trasformato una passione in un mestiere, lamentarsi sarebbe da ingrati". Annuncio Sono la figlia di Lorenzo Turturro, professore non vedente di Storia e Filosofia nei Licei, che da qualche settimana � venuto a mancare. Mio padre ha lasciato alcune opere Braille, ciascuna delle quali in copia unica. Di seguito invio l'elenco dei testi disponibili: - R. Eucken: La visione della vita nei grandi pensatori (5 volumi); - N. Abbagnano: Storia del pensiero scientifico (7 volumi); - P. Rossi: Letture di storia della filosofia (9 volumi); - Lizier: Corso di storia (4 volumi); - Rodolico: Sommario storico per licei (24 volumi); - Villari: Storia dell'Europa contemporanea (7 volumi); - Costituzione della Repubblica Italiana (1 volume); - Sciacca: La filosofia nel suo sviluppo storico (15 volumi); - Codignola: Il problema educativo (15 volumi). Chi fosse interessato ad averli, pu� contattarmi all'indirizzo e-mail angela.turturro@hotmail.com o al cellulare 3406292218. Per chi ne avesse bisogno, sono disponibili anche la tavoletta Braille e la macchina dattilo-Braille che appartenevano a mio padre.