Giugno 2017 n. 6 Anno XLVII MINIMONDO Periodico mensile per i giovani Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registrazione 25-11-1971 n. 202 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Massimiliano Cattani Antonietta Fiore Luigia Ricciardone Copia in omaggio Indice Dimmi che commenti fai... La scienza dell'aldil� Stanford University: il futuro nasce qui Melone: la bella stagione in tavola Venezia: un weekend serenissimo Gerry Scotti: lo showman nato in una vigna Una Vuelta a Espana anche un po' francese Dimmi che commenti fai... (di Camilla Ghirardato, "Focus" n. 296/17) - ... e ti dir� chi sei. Ecco le categorie di "opinionisti" on-line: il simpaticone, il rabbioso, il presenzialista... - Primo gennaio 2017: lastampa.it d� notizia che l'ultimo nato del 2016 nel vercellese � figlio di musulmani. Risultato: la pagina Facebook di La Stampa di Vercelli si riempie di insulti razzisti, che gli amministratori cancellano. Meno inquietante ci� che � accaduto al cuoco Antonino Cannavacciuolo, che in una puntata di MasterChef aveva osato definire l'arrosticino abruzzese un generico "spiedino" senza indicarne la provenienza: sul Web lo hanno bombardato di messaggi, dalle frasi un po' aggressive alle prese in giro divertenti... E in effetti la Rete � anche una miniera di commenti ironici e battute satiriche: i pi� divertenti sono raccolti per esempio sul profilo Facebook "Commenti Memorabili". Ma cos'� questa smania di dire la nostra sui siti, sui social network, in ogni spazio web in cui possiamo intervenire? Il punto, spiega Giuseppe Riva, docente di Psicologia della comunicazione all'Universit� Cattolica di Milano, � che ormai siamo diventati "una generazione di commentatori. Prima dell'avvento dei social parlava solo chi aveva competenze specifiche. Oggi l'imperativo � esserci. Tutti possono avere una visibilit� planetaria: basta azzeccare il commento giusto". Ma che cosa rivela di noi la modalit� con cui diciamo la nostra in Rete? Con gli studiosi del settore, abbiamo ricostruito le tipologie di "commentatori" on-line, dal rabbioso al simpaticone... Vi riconoscete? Lo stacanovista - Sbarca in Rete quando suona la sveglia, si stacca dal cellulare quando spegne la luce e, in giornata, semina "like" e commenti a piene mani. Diventa coach ("L'unica � far scendere in campo la stessa formazione che avevamo in Champions"), consulente matrimoniale ("Va lasciato, senza se n� ma"), sessuologo ("I preliminari? Sopravvalutati"). E magari era uno che ieri a scuola non alzava mai la mano e oggi alle riunioni di lavoro non fa sentire la sua voce. "Ma molti studi sostengono che lo schermo del pc o del cellulare crea un filtro con effetto disinibitorio: porta molti a tenere comportamenti che di persona non avrebbero", dice Giovanni Ziccardi, docente di Informatica giuridica all'Universit� di Milano e autore di L'odio online. Violenza verbale e ossessioni in Rete (Raffaello Cortina). Lo stacanovista commenta e posta, in una spirale di risposte e "like": pi� ne ottiene, pi� ne fa a sua volta. Una ragione di tanta attivit� � stata messa in luce da diversi studi: ricevere commenti positivi e "like" dagli amici genera autostima. Tanto che l'ebbrezza da approvazione social porta persino a ridurre l'autocontrollo, come mostra una ricerca dell'Universit� di Pittsburgh e della Columbia Business: gli scienziati hanno rilevato che, dopo la sessione su Facebook, le loro "cavie" preferivano un dolcetto a snack pi� sani. Lo hater - � il commentatore adesso pi� alla ribalta: lo hater, quello che riversa il suo odio on-line, avvelenando le discussioni con insulti, razzismo, pregiudizi... Sta superando in notoriet� (negativa) il troll: il disturbatore, quello che ti inonda di osservazioni irritanti, rabbiose o fuori tema. "Il troll � una figura in via d'estinzione perch� oggi, rispetto a qualche anno fa, chi commenta � a caccia di consenso e vuole veicolare il suo messaggio d'odio", spiega Ziccardi. L'obiettivo, insomma, non � solo fare il provocatore in una discussione on-line. "L'odio � diventato "social". E non � nemmeno pi� necessario l'anonimato: ci si pu� mettere la faccia. L'esempio viene dall'alto, dalla politica soprattutto, dove gli insulti non scandalizzano pi�: non � il Web a generare odio, gli fa solo da cassa di risonanza", continua Ziccardi. Cos� ogni notizia pu� scatenare lo hater verso categorie come minoranze o immigrati, ma non solo. "Chiunque pu� diventare bersaglio di rabbia incontrollata, come Gianni Morandi che fa spesa alla domenica (accusato di sfruttare i lavoratori, ndr). Basta controllare i profili di politici, sportivi e personaggi dello spettacolo per leggere commenti che meriterebbero querele", aggiunge Ziccardi. Che sembrano davvero quelli di Napalm 51, lo hater complottista impersonato da Maurizio Crozza. La cosa curiosa � che l'odiatore nella vita vera � spesso un individuo mansueto. Che cosa fa scattare l'intolleranza, al pc o al telefonino? "Manca l'empatia delle conversazioni faccia a faccia, che obbligano a misurare le parole o a dirle con la giusta intonazione. C'� solo la tastiera e nessun controllo sulle parole digitate", continua Ziccardi. E attenzione: in ognuno di noi si annida un odiatore, che pu� manifestarsi quando si sommano le circostanze giuste (anzi, sbagliate). Uno studio di Stanford University e Cornell University ha preso in esame 667 persone a cui � stato dato un test di logica da risolvere. Per alcuni facile, per altri molto impegnativo (tanto da peggiorare, almeno un po', il loro umore). Poi alle "cavie" � stato fatto leggere un articolo on-line su Hillary Clinton, con il compito di commentarlo. Una parte dei partecipanti aveva in cima agli interventi frasi che attaccavano Clinton, un'altra parte solo frasi neutre. Ed ecco i risultati. Solo il 35% di chi aveva sostenuto il test facile e letto gli interventi innocui aveva scritto un commento al curaro. La percentuale saliva al 50% se il soggetto aveva affrontato il test impegnativo o letto le osservazioni aggressive. Ma s'impennava al 68% nel gruppo di chi aveva sia sudato sul test, sia letto i commenti negativi. Le conclusioni? Se la giornata gira storta o si � in un contesto di mancanza di rispetto ed educazione, l'odiatore che � in noi emerge. "� una spirale di negativit�: una persona si sveglia male, fa un commento cattivo e la discussione degenera", spiega Jure Leskovec, uno dei ricercatori. Il battutista - Ha sempre la battuta pronta e, se viene notato, il suo commento fa il giro del mondo. Magari � un'immagine o una foto, "soluzione scelta soprattutto dai pi� giovani perch� pi� veloce ed espressiva. Ma sono tutti segni lasciati per raccontare chi siamo e dire che "ci siamo"", spiega Riva. Anche perch� mostrarsi pieni di humour � associato ad apprezzate qualit� come intelligenza o socievolezza: Jeffrey Hall, della University of Kansas, ha visto per esempio che chi riempie di contenuti umoristici la sua pagina Facebook si rivela un estroverso ai test di personalit� ed � giudicato tale anche dagli estranei che guardano il suo profilo. Del resto, chi fa battute salaci si differenzia da chi preferisce quelle frasi "filosofiche" di apparente spessore, non di rado lasciate sui social: questi ultimi, invece, pare non siano proprio brillantissimi. Un gruppo di ricercatori canadesi ha testato le reazioni di 280 soggetti a "frasi pseudo-profonde", dal sapore new age, generate automaticamente. Queste stupidaggini pseudo-filosofiche sono state giudicate come sagge dai partecipanti con minori abilit� cognitive e pi� sensibili al complottismo. E gli autori dello studio si sono guadagnati l'IgNobel 2016, il premio alle ricerche pi� improbabili. Ma c'� anche chi usa i commenti per rafforzare le sue relazioni sociali. � il cortese, che si muove nelle relazioni in Rete nel modo pi� gentile possibile: i suoi commenti sono solo complimenti o semplici "like". Tra l'altro, il "mi piace" pare essere ormai proprio una sorta di educato saluto, secondo Giuseppe Riva: "Sembra stia diventando un segnale del "ci sono", pi� che essere un giudizio: una traccia della propria presenza", dice Riva. C'� poi chi non scrive commenti, ama passare inosservato e lascia al massimo un "like". Occhio, per�: il "clic" con cui dimostriamo di gradire post o commenti su certi temi pu� rivelare molto. Una ricerca dell'Universit� di Cambridge (Gb) ha infatti dimostrato che dall'analisi dei semplici "like" di una persona � possibile dedurre moltissime cose: dalle idee politiche ai gusti, fino alla personalit� o all'orientamento sessuale. Un caso particolare di chi non lascia commenti � invece il "rosicone", l'invidioso frustrato che legge tutto, ma non scrive nulla, perch� in realt� � roso dall'invidia per chi posta immagini di vacanze esotiche e cene stellate... Hanno evidenziato la sua (nascosta) presenza i ricercatori dell'Universit� di Copenhagen: per un esperimento di astinenza da Facebook, hanno analizzato i comportamenti degli utenti. E hanno visto che chi sta appostato a lungo sui social e controlla i post altrui, senza interagire, ma provando invidia e sentimenti negativi, sta meglio dopo una settimana senza social... evidentemente anche senza occasioni per "rosicare". Ma, per tirare le somme, quanto c'� di noi nei commenti? "Potremmo dire che pi� una personalit� � equilibrata e matura, pi� la sua identit� virtuale � simile a quella reale", dice Ziccardi. "� probabile che chi mette "like" di cortesia sia educato anche lontano dallo schermo, cos� come il battutista sar� ironico anche di persona. Diverso � il discorso per chi usa le piattaforme con piglio aggressivo: per questi lo schermo diventa la maschera di Zorro, la tastiera la sua spada. Ci� che li spinge � l'invidia, o il gusto per la polemica. Ma lo scopo di tutta questa platea di chiosatori � lo stesso: caccia al consenso e alla ribalta". La scienza dell'aldil� (di Vito Tartamella, "Focus" n. 295/17) - Molti pazienti a cervello spento riferiscono visioni (anche reali). Le esperienze di premorte sono un enigma per la medicina - "Lavoravo in un negozio di articoli per animali. Un sabato - era il 14 dicembre del 2013 - sono uscita a fumare con la moglie del titolare. Le ho sentito dire due volte il mio nome, poi ho perso conoscenza. Ricordo perfettamente di essere entrata in un tunnel scuro, volavo gioiosa, ridevo come non mai. Intorno sembrava nevicasse, l'aria era fresca e sentivo delle risate felici... Mi sono risvegliata dopo un'ora e mezza in pronto soccorso. Avevo avuto una crisi epilettica con convulsioni per 14 minuti: le mie labbra erano diventate nere, non avevo pi� battito cardiaco. Se il marito della vicina di negozio non mi avesse fatto il massaggio cardiaco, sarei morta. Da allora penso spesso a questa esperienza. � stata stupenda. E non ho pi� paura della morte". Serena � una donna italiana. Ha scritto questa testimonianza sul sito della Fondazione per la ricerca sulle esperienze di premorte (nderf.org), fondato dall'oncologo statunitense Jeffrey Long. Il suo non � un caso isolato: Long ne ha raccolte oltre 4-mila, da tutto il mondo, raccontandoli nel best seller Esiste un posto bellissimo (Mondadori). Dovremmo credere a questi racconti, impossibili da verificare? Sono allucinazioni o svelano qualcosa sul misterioso territorio fra la vita e la morte? Difficile rispondere. Ma se sono deliri, come si spiega che tante persone riferiscano le stesse visioni? Il primo a scoprirlo fu uno psichiatra statunitense, Raymond Moody, nel 1975: dopo aver studiato 150 casi simili, li denomin� "esperienze di premorte" (Nde, Near Death Experiences). Ma non � un fenomeno moderno: gi� nel IV secolo a.C. il filosofo greco Platone raccont� le visioni di Er, un soldato rimasto in coma per 12 giorni. Vide "una luce diritta come una colonna, simile all'arcobaleno, ma pi� intensa e pi� pura". Questi casi, in realt�, non sono rari: accadono al 12% di quanti sopravvivono a un arresto cardiaco. E molti pazienti non li raccontano ai medici temendo di passare per pazzi. A oggi, gli studi scientifici sul confine sfuggente fra vita e morte sono solo 150, contro i quasi 16-mila dedicati all'acne. Ma potrebbero rivoluzionare ci� che sappiamo sulla coscienza. Le ricerche in questo campo sono iniziate 50 anni fa, quando le macchine per la rianimazione cardiopolmonare hanno permesso di tenere in vita pazienti altrimenti destinati al decesso. "Si � scoperto che la morte non � un evento istantaneo ma un processo graduale, come il passaggio dal giorno alla notte. � una zona grigia da cui, in certi casi, si pu� tornare indietro", dice Francesco De Ceglia, autore di Storia della definizione di morte (Angeli). La morte coincide con lo spegnimento del cervello, e in particolare del tronco encefalico, la cui coda � collegata al midollo spinale: se non funziona, s'interrompono la respirazione e la circolazione sanguigna. Dunque il cervello � la centrale operativa della vita. L'encefalo si spegne se subisce un trauma, se il cuore smette di battere (arresto cardiaco) o i polmoni di respirare. Le esperienze Nde si verificano in caso di choc e di traumi cranici. E soprattutto nell'arresto cardiaco: quando il cuore smette di battere, entro circa 20 secondi l'elettroencefalogramma (Eeg) diventa piatto. Il cervello, infatti, per difendersi dalla mancanza d'ossigeno (anossia), interrompe l'attivit� elettrica della corteccia, che controlla il pensiero cosciente e la percezione dell'ambiente. Mentre le strutture profonde dell'encefalo resistono all'anossia e usano le poche risorse energetiche per tenere in vita il corpo. Se non si fa la rianimazione cardio-polmonare, nel giro di 5-10 minuti le cellule cerebrali subiscono danni irreversibili. Ma come si spiegano allora queste visioni in un cervello che non pu� avere pensieri complessi perch� funziona al minimo, solo per tenere in vita il corpo? E perch� le persone vivono esperienze simili? Nelle Nde, alcuni cristiani raccontano di incontrare i santi, e gli indiani Visnu; gli occidentali si ritrovano in un giardino e gli hawaiani fra i vulcani. Ma, tolte queste differenze, gli elementi principali sono uguali per tutti: il tunnel, la sensazione di pace, un paesaggio di luce, l'incontro con parenti o amici defunti, e il riassunto della propria vita, vista sfilare come un film accelerato. Tanto che Bruce Greyson, psichiatra all'Universit� della Virginia, nel 1983 cre� una scala per valutare l'intensit� delle Nde a seconda di quanti di questi ingredienti contengono. Ma perch� solo alcuni vivono queste esperienze? Il cardiologo olandese Pira Van Lommel, che ha esaminato centinaia di casi, non ne � venuto a capo: "Tutti i pazienti che abbiamo studiato erano clinicamente morti. Non abbiamo trovato alcuna spiegazione scientifica sul perch� solo alcuni abbiano vissuto queste esperienze. La durata dell'arresto cardiaco o dello stato di incoscienza, e la gravit� della mancanza di ossigeno nel cervello sono irrilevanti. E non contano le credenze religiose: queste esperienze le vivono anche gli atei". Per molti scienziati, comunque, non c'� nulla di sovrannaturale: "Sono allucinazioni realistiche, un misto di ricordi e di fantasie che si attivano quando il cervello � sotto stress e si interrompe il flusso delle percezioni sensoriali", scrive Keith Augustine nel saggio Il mito dell'aldil� (Rowman and Littlefield). Il cervello, per effetto dell'anossia, rilascia molti neurotrasmettitori (come glutammato e agmatina) che danno senso di euforia e distacco dal corpo, e neurotossine, responsabili delle allucinazioni. Queste ultime, in particolare, deriverebbero dalla stimolazione o lesione di alcune aree (il lobo temporale o il giro angolare). "Queste ipotesi chiariscono alcuni possibili elementi scatenanti, ma non le esperienze, il loro contenuto e il loro significato", obietta Enrico Facco, anestesista del dipartimento di Neuroscienze all'Universit� di Padova e autore di Esperienze di premorte (Altravista). "La possibilit� di avere esperienze coscienti e strutturate a Eeg piatto non � spiegabile con le attuali conoscenze sul cervello. Il delirio in terapia intensiva ha manifestazioni del tutto diverse, mentre le Nde hanno un significato profondo e trasformano la vita delle persone, che non hanno pi� paura della morte". Non pu� essere, ribatte Christopher French, psicologo della University of London, che queste esperienze si abbiano nelle frazioni di secondo che precedono lo spegnimento del cervello, e poi si ricordino in modo dilatato? L'ipotesi � plausibile. Ma come spiegare, allora, le esperienze extracorporee (Obe, Out of Body Experiences), ovvero la sensazione di uscire dal proprio corpo e percepirlo dall'alto? Anche queste sono classificate come allucinazioni. La letteratura scientifica, per�, ha documentato alcuni casi di pazienti che, a Eeg piatto e occhi chiusi, hanno percepito quanto avveniva intorno a loro: al risveglio l'hanno raccontato e le loro descrizioni sono state confermate dallo staff medico. Un caso � stato raccontato da Van Lommel sulla prestigiosa rivista The Lancet nel 2001. Un uomo di 44 anni, dopo essere uscito dal coma, ha incontrato una delle infermiere che l'aveva rianimato, dicendole: "Ecco chi sa dov'� la mia dentiera!". L'infermiera, che lo vedeva sveglio per la prima volta, � rimasta scioccata. L'uomo le ha raccontato di averla vista, prima di intubarlo, togliergli il ponte dentale e metterlo in uno dei cassetti su un carrello pieno di bottiglie. Ma in quei momenti lui era in arresto cardiaco e privo di conoscenza. Come Pam Reynolds, una cantante di 35 anni operata in un ospedale di Phoenix. Al risveglio da un'operazione in cui il suo corpo era stato portato a 16�C e in arresto cardiaco, ha descritto la sega pneumatica che il chirurgo aveva usato per la craniotomia ("somiglia a uno spazzolino da denti"). E l'ha sentito lamentarsi che i vasi sanguigni del suo inguine fossero troppo piccoli per collegarli alla macchina cuore-polmone. L'episodio � stato raccontato dal cardiologo Michael Sabom nel libro Light and dead (1998). L'episodio pi� recente � stato descritto nel 2014 da Sam Parnia, anestesista dello Stony Brook Medical center di New York sulla rivista Resuscitation. Un paziente di 57 anni che ha riferito le manovre di rianimazione che gli erano state praticate dopo 3 minuti dal suo arresto cardiaco. Sono solo coincidenze? "Questi episodi non sono irrilevanti o irreali", risponde Facco. "Vanno oltre la corrente interpretazione, secondo cui la coscienza � solo il prodotto dell'attivit� del cervello. Questi casi mostrano la possibilit� di mantenere la coscienza anche durante l'arresto cardiaco, sfidando quanto fino a oggi sappiamo di fisiologia cerebrale: perci� dobbiamo ancora comprenderla fino in fondo. In 40 anni di ricerche, nessuno � riuscito a dimostrare che le Nde siano la manifestazione di qualche disfunzione". Come dobbiamo intendere, allora, la coscienza? La scienza non � riuscita a darne una definizione convincente: negli ultimi 4 secoli, la medicina si � concentrata sul corpo-macchina, osservabile e quantificabile, lasciando la psiche alla religione, alla psicologia o alla filosofia. Ma ora, cacciata dalla porta, l'anima potrebbe rientrare dalla finestra, seppur rivisitata dalla fisica: potrebbe essere un "quanto" di energia e informazione. "Se si ha coscienza anche in un cervello spento, � possibile che la coscienza non si limiti al cervello: pu� essere un campo d'informazioni che il cervello � in grado di captare", ipotizza Van Lommel. "Il cervello potrebbe essere un trasduttore, cio� un dispositivo capace di tradurre l'energia da una forma all'altra: come una tv, che grazie a un'antenna capta onde elettromagnetiche e le trasforma in segnale elettrico, traducendolo in suoni e immagini. Quando la tv si rompe, infatti, i canali non cessano di esistere". Un'ipotesi azzardata? "La scienza � piena di ipotesi che sfidano il senso comune", dice Facco. "Un secolo fa, Albert Einstein immagin� le onde gravitazionali, increspature nello spazio-tempo causate dall'interazione fra le masse. L'ipotesi fu accettata, ma queste onde sono state rilevate solo l'anno scorso. Se la coscienza fosse un pacchetto di energia e informazione, sarebbe possibile la sua separazione dal corpo con la morte, senza dover implicare mondi ultraterreni. Potrebbe trasformarsi in qualcos'altro, in accordo con le leggi della termodinamica, e continuare a esistere: non sappiamo se per sempre o no, se in forma individuale oppure disperdendosi nel cosmo". Come verificare questa ipotesi con un esperimento inoppugnabile? Un modo c'�: piazzare in cima ad armadi o scaffali, invisibili dal basso, alcuni oggetti. Se una persona in coma galleggiasse davvero sul proprio corpo, li descriverebbe al suo risveglio. � il "test di identificazione di un bersaglio", un esperimento tentato per decenni: medici di tutto il mondo hanno installato sugli scaffali ospedalieri foto, disegni, titoli di giornale, perfino un display scorrevole con la scritta "I ghiaccioli sono in fiore". Ma nessuno ha visto la pistola fumante: nello studio "Aware" (2014), 15 ospedali fra Usa, Regno Unito e Austria hanno sistemato migliaia di disegni sulle mensole delle terapie intensive. Ma solo il 20% dei pazienti ha avuto un arresto cardiaco nelle aree coi disegni-bersaglio. E nessuno di loro li ha visti. Insomma: se c'�, l'anima gioca a nascondino. "Questo non dimostra la falsit� delle esperienze extracorporee", replica Van Lommel. "Chi si trova a fluttuare sul proprio corpo � troppo sorpreso da questo per badare a cosa ci sia su uno scaffale". Gli scienziati, comunque, non si arrendono. A breve inizier� nel Regno Unito un esperimento, "Aware 2": in caso di arresto cardiaco, un operatore metter� sopra il paziente, rivolto verso il soffitto, un tablet con una foto. Se al risveglio lui la descriver�, dovremo rivedere le teorie sulla coscienza. Ma se non succeder�, un fatto � certo: la coscienza � ricca di territori ancora tutti da esplorare. Stanford University: il futuro nasce qui (di Valentina Murelli, "Meridiani" n. 236/17) - � fra le prime tre univerist� al mondo, in cattedra ci sono i premi Nobel, e un professore ogni tre allievi - Bici, bici e bici. Ma anche diversi pullman. Sono questi i mezzi di trasporto che si notano di pi� nel campus di Stanford, il cuore accademico della Silicon Valley. Di studenti e professori le prime (usate per correre da un dipartimento all'altro al cambio delle lezioni), di turisti i secondi. Potr� sembrare strano, ma qui i visitatori in arrivo da ogni parte del mondo (pur se con prevalenza cinese e giapponese), sono in continua crescita: alle 7 del mattino se ne trovano gi� nel grande prato ovale davanti al Main Quad, il nucleo storico dell'universit�, con i cellulari pronti a scattare fotografie (attenzione: quelle a studenti e ricercatori sono vietate). A portarli qui � l'aria che si respira, lo spirito unico che fin dalla nascita ha fatto di Stanford il centro della rivoluzione tecnologica della California e dell'America: una continua tensione alla scoperta, al superamento di s� stessi e al miglioramento del mondo. E ovviamente anche la voglia di scoprire le bellezze architettoniche, culturali, naturali. Sia che si tratti degli edifici pi� antichi in arenaria gialla e tegole rosse, ispirati alle missioni ispano-messicane e segno distintivo del campus, sia di un modernissimo auditorium come la Bing Concert Hall, che il New York Times ha definito "invidia di ogni metropoli". O, ancora, di una riserva naturale, di un giardino di cactus o della prima scultura dedicata ai diritti delle minoranze sessuali Lgbt mai esposta in America in un luogo pubblico: Gay Liberation, di George Segal. Siamo nell'universit� migliore degli Stati Uniti e fra le tre migliori al mondo, secondo i principali sistemi di classificazione. "L'Harvard del XXI secolo", come ha scritto la rivista online Slate, e il posto dove tutti i ragazzi americani vorrebbero studiare. Tra i circa duemila professori, 20 sono premi Nobel. Gli studenti sono invece settemila (dunque c'� un docente per poco pi� di tre di loro!) e pi� di novemila i dottorandi, molti dei quali appartengono a minoranze etniche (si stima che solo il 42 per cento degli studenti siano americani bianchi) o provengono da altri Paesi. Numeri che spiegano l'immediata reazione dell'amministrazione universitaria all'Immigration Ban deciso dal presidente americano Donald Trump nei primi giorni dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, cio� il blocco temporaneo dell'ingresso negli Usa ai cittadini di sette Paesi a maggioranza islamica. In una comunicazione ufficiale il presidente Marc Tessier-Lavigne lo ha scritto chiaro e tondo: "Stanford accoglie a braccia aperte studenti e ricercatori da tutto il mondo". E la Stanford Law of School, cio� la facolt� di Legge, si � subito organizzata per dare una mano a studenti, ricercatori o professori stranieri che potessero avere bisogno di consulenza e tutela. Anche perch� l'apertura alle minoranze e alla diversit�, Stanford l'ha nel Dna dal giorno della sua fondazione, 126 anni fa. Era infatti il 1884 quando i coniugi Leland e Jane Stanford persero il loro unico figlio quasi sedicenne, morto di tifo a Firenze. Durante il viaggio di ritorno dall'Italia, la coppia decise di fare qualcosa di importante per onorare la memoria del giovane e la scelta cadde su un'universit�, il pi� possibile aperta a tutti i ragazzi della California: non solo maschi e non solo bianchi. Gi� nel primo anno di corsi (1891), vennero accolte ragazze e uno studente afroamericano, e l'ateneo fu uno dei primi ad aprire le iscrizioni ai nativi americani e ai figli degli immigrati cinesi che, in condizioni di sfruttamento, avevano lavorato alla ferrovia della costa del Pacifico. Non era ancora un vero melting pot, ma era comunque un segnale importante. Agli Stanford i mezzi non mancavano: Leland Senior, gi� governatore della California, era tra i magnati che avevano contribuito alla realizzazione della Transcontinental Railroad, la ferrovia che univa est e ovest degli Stati Uniti. Possedeva anche il luogo pi� adatto: un ranch con allevamento di cavalli a Palo Alto, nella penisola di San Francisco, terra dove allora non c'era nulla, a parte un'immensa sequoia (ancora vivente): il palo alto, appunto, poi diventato simbolo dell'universit�. Poteva sembrare una scelta assurda e, in effetti, ci fu chi descrisse la nuova istituzione come un "guscio vuoto", costruito solo per "commemorare la follia di un uomo ricchissimo", come si scrisse. Invece si rivel� un'idea strepitosa, alimentata da un clima culturale unico e fertilissimo. "Cio� il clima dell'estremo ovest, dell'ultima frontiera, un luogo fisico e mentale fatto di migranti, cercatori di fortuna, imprenditori senza scrupoli, tutti con la voglia di buttarsi, rischiare, creare qualcosa di nuovo, nella convinzione che domani sar� per forza meglio di oggi", commenta il giornalista Roberto Bonzio che da anni, prima con un libro, poi con un sito web e una serie di tour specializzati, segue le vicende degli "Italiani di frontiera", imprenditori e innovatori partiti dall'Italia per la Silicon Valley. Da un lato, dunque, apertura alla diversit�, etnica ma anche religiosa, tanto che la chiesa voluta da Jane Stanford dopo la morte del marito - la grandiosa Memorial Church, con i suoi ricchi mosaici di maestranze veneziane - ospita da sempre tutti i riti cristiani ed � aperta al confronto con tutti i culti. Dall'altro lato, per�, anche una grandissima voglia di fare, di costruire. Gi� lo dicevano gli Stanford: la loro universit� avrebbe formato cittadini colti e utili, a s� stessi - perch� "la vita � soprattutto pratica", sottolineava il fondatore - e al mondo intero, che in effetti deve moltissimo ai suoi studiosi, e nei campi pi� disparati. Qualche esempio? I sintetizzatori musicali e gli Ogm, gli anticorpi monoclonali impiegati per la terapia di varie malattie e l'Adsl, il Gratta e Vinci e i test per misurare il quoziente di intelligenza. � lo stesso spirito che ha portato alla nascita della comunit� imprenditoriale e tecnologica della Silicon Valley, la pi� innovativa del mondo, il cui primo seme fu gettato negli anni Quaranta proprio da un professore di Stanford, l'ingegnere elettronico Frederick Terman, che invit� due suoi brillanti studenti a fondare una piccola company di elettronica in un garage di Palo Alto: erano David Packard e William Hewlett e il loro primo prodotto fu un oscilloscopio in grado di sincronizzare la musica, richiesto da Walt Disney per il film Fantasia. Ancora oggi, molti degli imprenditori della Valley vengono direttamente da Stanford, che per altro offre ai propri membri, qualunque sia il loro ambito di studi, corsi su corsi di imprenditorialit� e business. Ma non solo di scienza, economia e giurisprudenza vive Stanford. Se � vero che oggi pi� del 40 per cento degli studenti si iscrive a corsi di ingegneria, e che tra i settori di punta oggi ci sono neuroscienze e cibertecnologie, � altrettanto vero che c'� un impegno fortissimo a offrire formazione e opportunit� anche in campo artistico, dalla letteratura alla musica, dal design alla pittura, al teatro. Un impegno reso evidente dalla magnificenza dell'Art district, la sezione artistica del campus che � anche meta fondamentale per i turisti. Posizionata esattamente di fronte al Main Quad rispetto all'ovale del prato, la sezione comprende edifici sia storici sia modernissimi. Fra i primi c'� il Cantor Arts Center, museo ispirato a un'ala di quello archeologico nazionale di Atene: ospita varie collezioni di diverse epoche, oltre a un'ottima caffetteria, ed � famoso soprattutto per la sua raccolta di sculture di Auguste Rodin, la pi� ricca al di fuori di Parigi: pi� di 200 opere, molte delle quali in un giardino esterno, compresa una delle versioni del celebre Pensatore. Tra gli edifici pi� recenti, oltre alla citata Bing Concert Hall e l'Anderson Collection (una fra le principali collezioni private di arte americana moderna e contemporanea), spicca il McMurtry Building, sede del dipartimento di Arte e Storia dell'arte, firmato dagli stessi architetti del parco sopraelevato di New York (la High Line). L'impatto � notevole: l'edificio � stato descritto come "una immensa lumaca avvolta attorno a una sorta di ciambella spigolosa" ed � costruito con materiali - stucco beige e zinco ossidato - che richiamano gli ocra e i rossi delle costruzioni storiche. E sempre tra i gioielli delle archistar c'� il Clark Center di Foster & Partners, sede del Bio-X, un istituto di ricerca interdisciplinare di bioingegneria e biomedicina. Due ali in vetro, legno e pietra che avvolgono un cortile centrale, a simboleggiare la compenetrazione tra le discipline. Pu� sembrare gi� molto, ma di cose da vedere a Stanford ce ne sono molte altre. Come il Windhover Contemplative Center, il nuovo centro di meditazione dove, dopo una breve passeggiata tra bamb� e alberi di ginkgo o una sosta al labirinto in pietra ispirato alla cattedrale di Chartres, si possono trovare quiete, pace e concentrazione (le visite private non sono permesse, ma al sabato mattina ci sono quelle guidate). Oppure la Hoover Tower, parte dell'Hoover Institute, un think tank dedicato a studi politici, fondato a partire dall'immenso lascito di documenti sulla Prima guerra mondiale di Herber Hoover, fra i primi laureati di Stanford e presidente degli Stati Uniti dal 1929 al 1933. Oppure, ancora, lo Stanford Theatre, ai margini del campus: aperto nel 1925, il cinema oggi � gestito da una fondazione diretta da David Woodley Packard, figlio del co-fondatore della Hewlett Packard. Ha conservato il caratteristico stile moresco e ha una programmazione unica: solo grandi classici di Hollywood, spesso in bianco e nero o muti, accompagnati da uno storico organo Mighty Wurlitzer. E, per finire, lo shopping: lo Stanford shopping center � infatti considerato uno dei centri commerciali pi� lussuosi al mondo, tra showroom di grandi firme, uno spettacolare Apple Store, negozietti d'arte e bar e ristoranti di ogni tipo, dai classici fast food al recentissimo Terrain Caf�, del pluripremiato chef Marc Vetri. Ovviamente di origine italiana. Melone: la bella stagione in tavola ("RivistAmica" n. 4/17) - Buono, fresco e profumato, questo prelibato frutto ha anche notevoli propriet� nutritive ed � usato persino come prodotto di bellezza - L'arrivo dei mesi di bel tempo porta con s� un'inevitabile voglia di melone. Questo frutto fresco, gustoso e ricco di acqua e sali minerali � perfetto per spezzare il ritmo delle giornate che si fanno sempre pi� calde. Simbolo di fecondit� nel mondo antico e alimento apprezzato per le sue propriet� nell'epoca moderna, il melone viene sempre pi� spesso utilizzato in ricette che vanno dall'antipasto al dessert. I tipi di melone sono moltissimi, da quello a polpa verde, detto "melone di Malta", fino al "Viadana", con buccia gialla e polpa arancione. In Italia sono essenzialmente tre le tipologie coltivate, il "Cantalupo", il "retato" e il "gialletto". I "Cantalupo" devono il loro nome a un paese della provincia di Rieti, dove alcuni missionari importarono dall'Asia la coltivazione del frutto. Caratterizzati dalla buccia ruvida e dalla polpa granulosa, sono particolarmente noti nella variante "Pregiato" con frutti che pesano fra uno e due chili e vengono coltivati in Sicilia, Emilia Romagna e Lombardia. Un tipo particolare di "Cantalupo" � lo "Charentais", che nasce in Francia ma � ormai diffuso in tutto il bacino del Mediterraneo: ha una polpa molto morbida, un gusto inconfondibile e una lunga "shelf life", il periodo di tempo in cui pu� rimanere sullo scaffale di un supermercato senza perdere le sue caratteristiche. Cos� come i meloni "Django", una variet� di retati italiani di forma leggermente allungata e dal sapore zuccherino. Molto apprezzati per il loro aroma intenso, si raccolgono fra luglio e agosto nel nord Italia. La passione per il melone non � certo cosa recente: diversi storici testimoniano come questo frutto fosse presente sulle tavole dei popoli antichi, dagli Egizi ai Romani. Sull'origine geografica del melone, per�, non c'� accordo. C'� chi lo fa risalire al Medio Oriente, prendendo spunto dai poemi epici dei Sumeri; chi lo considera un prodotto inizialmente africano, poi esportato dall'Egitto nel resto del Mediterraneo. Di certo, si sa che era una prelibatezza in tutto l'impero Romano: il pi� grande gastronomo dell'antichit�, Apicio, lo cita nel suo "de Re Coquinaria" abbinando le sue fette succose a una salsa composta da pepe, menta, miele e aceto. E i meloni piacevano parecchio anche a Carlo Magno, che nel IX secolo d.C. riport� in auge la coltivazione di questo frutto, ai tempi limitata ai possedimenti degli Arabi nel sud della Spagna. Ma serviranno altri sette secoli perch� in Europa e in Italia il melone diventi davvero popolare, nonostante Marco Polo lo descrivesse con meraviglia durante il suo viaggio in Oriente. Quando si compresero le potenzialit� di questo alimento, per�, contadini e commercianti si ingegnarono immediatamente per ottenere frutti pi� grossi da immettere sul mercato. Per la grande quantit� d'acqua che contiene, il melone � particolarmente indicato per combattere la disidratazione durante i mesi estivi. Ma va molto bene anche per chi soffre di anemia, grazie all'alto tasso di ferro e di vitamine A e C, che fungono da ricostituenti per l'organismo. Calcio, fosforo, magnesio e potassio completano il lungo elenco di benefici di un frutto a cui non manca davvero nulla. Nemmeno le propriet� diuretiche e depurative, che ne fanno un integratore naturale perfetto. Se � un ottimo alleato a tavola, il melone non fa mancare il suo appoggio nemmeno nella cosmesi: con la sua polpa si confezionano maschere che rendono la pelle morbida e tonica, con il suo succo efficaci rimedi per le scottature. Fra gli accostamenti culinari tradizionali della cucina italiana trova spazio sicuramente quello fra prosciutto crudo e melone, un classico dei pranzi estivi o delle serate passate al fresco di un terrazzo. Ma grazie al suo sapore dolce, il melone fa il suo ingresso in tantissime ricette, come quella che lo vede accostato ai gamberi di fiume in un gustoso risotto o come il felice connubio con il polipo in un'insalata di mare alternativa. Da provare anche i semifreddi, i sorbetti e la soffice torta al melone: tutti modi originali di consumare la frutta a fine pasto. Venezia: un weekend serenissimo (di Mattia Scarsi, "Bene Insieme" n. 9/15) - Un viaggio nella citt� pi� poetica di tutti i tempi - Venezia, ieri potente Repubblica Marinara, tanto da fregiarsi dell'appellativo di Serenissima, oggi una delle citt� italiane che pi� ci invidiano al mondo, proprio perch� diversa e unica dal resto del mondo. Immortalata dal Canaletto e cantata da poeti, la citt� lagunare si estende sull'acqua con le sue 118 isolette collegate da ben 340 ponti. Entrare nel vivo di questa citt� � semplice, se ci si affida al suo fascino. Camminando a piedi per le sue calli, cos� si chiamano le sue vie, si scopre senza sosta la sua bellezza a ogni scorcio. Per le peculiarit� urbanistiche e per il suo patrimonio artistico, Venezia � universalmente considerata una tra le pi� belle citt� del mondo ed � annoverata, assieme alla sua laguna, tra i pi� visitati siti italiani patrimonio dell'umanit�. L'arrivo via mare nel capoluogo veneto � suggestivo certo, ma ha il suo fascino anche se decidete di arrivarci in treno. Dalla stazione ferroviaria Venezia - Santa Lucia, che si trova nella parte settentrionale della citt�, prendete il Ponte degli Scalzi e seguite le indicazioni per il Ponte di Rialto. Volendo, per questa parte, avreste a disposizione un traghetto che approda proprio al Ponte di Rialto, ma vi consigliamo di percorrere il tragitto a piedi. In questo modo potrete calarvi subito nella singolarit� dei luoghi e della vita quotidiana di Venezia. Potrete godere di qualche scorcio indimenticabile, con gondole e vaporetti che transitano nei canali sottostanti. Giunti di fronte al Palazzo Ducale, simbolo della civilt� veneziana, della sua tradizione culturale, politica, economica e militare, vi suggeriamo di non perdere la visita agli appartamenti privati del Doge. Il palazzo fu infatti residenza dogale fino al 1797, anno della caduta della Repubblica Marinara. Una volta visti gli appartamenti, muovetevi verso destra in direzione di Piazza San Marco: le tre ampie vie che avete di fronte sono le tre Mercerie, una sorta di suq veneziano, dove potrete dedicarvi a un po' di shopping o semplicemente dare un'occhiata, con gli occhi bene aperti sui prezzi, non sempre economici. Si sa, Venezia � Venezia ma forse non sapete che uno dei monumenti pi� amati dai veneziani � la Torre dell'Orologio, per cui non dovreste proprio perdervela. Vedete le grandi statue di bronzo che segnano le ore? Ebbene, quelli sono i due Mori, cos� ribattezzati per il colore scuro del bronzo che ricordava il colorito degli schiavi orientali presenti un tempo. Passando sotto la Torre dell'Orologio raggiungerete Piazza San Marco, il centro rappresentativo, sociale e politico di Venezia. Fin dalla sua nascita, � sempre stata abitata, cos� come l'intero quartiere, dalla nobilt�. Questo � il salotto veneziano pi� chic ed � l'unica piazza della citt� che si affaccia sul bacino marino: colma di monumenti e palazzi (in essa si raccolgono oltre quindici secoli di storia e di arte) � nota in tutto il mondo soprattutto per la presenza della Basilica e dell'imponente Campanile. Tutto � davvero a pochi passi: a voi decidere, in che ordine fruire di tanta meraviglia. Noi possiamo solo dirvi che nella Basilica di San Marco, entrerete in un magniloquente mosaico dorato che sembra uscito dalle pagine de "Le mille e una notte" e vi suggeriamo di non trascurare il Museo Marciano, che trovate al piano superiore. Mentre l'ingresso al Campanile, una volta saliti con l'ascensore, vi regaler� un panorama mozzafiato di Venezia e dell'intera laguna, che sembrer� sonnecchiare, accovacciata ai vostri piedi. Sulla sommit� del Campanile, alto quasi 100 metri, si erge un angelo dorato, le cui ali indicano in quale direzione soffia il vento a quella quota. Dopo il crollo del 1902, il Campanile venne ricostruito in meno di 10 anni e inaugurato il 25 aprile del 1912, giorno della commemorazione di S. Marco, santo patrono di Venezia. Si � fatta l'ora di pranzo e Piazza San Marco pullula di caff� storici: va detto per� che il rischio di un vero e proprio salasso � concreto. Per cui, se non volete sforare eccessivamente dal vostro budget, vi suggeriamo di allontanarvi un pochino, e di recarvi in uno dei "Bacari" di Venezia: fate un passo a l'Arco nel Sestiere San Polo, che propone atmosfera e cucina tipica a prezzi modici. Per un piatto di "cicheti" di vari tipi (assaggiare assolutamente quello al baccal� mantecato, tipico del posto), un calice di vino e un bicchiere di Aranceto (bevanda analcolica locale, deliziosa!) spenderete fra i 15 e i 20 euro. Non male, considerata la cornice! Unica pecca: c'� poco posto per sedersi, per cui, se ci arrivate in piena ora di pranzo, dovrete portare un minimo di pazienza. Passando davanti a numerosi vicoli, in direzione ovest, con le loro piccole botteghe, eccovi di fronte al Teatro La Fenice, sede a partire dall'Ottocento di numerose prime assolute di opere di Bellini, Donizetti, Verdi fino ai pi� contemporanei Stravinskij e Prokofiev. Un po' come capita con La Scala a Milano, visto dall'esterno il famosissimo teatro non sembra avere niente di speciale. Una volta all'interno per�, vi accorgerete di quanta storia ed eleganza sia presente in questo che per i melomani � un luogo sacro e, per il turista, � comunque un'esperienza da non perdere. L'audioguida, precisa e dettagliata, aiuter� a trasportarvi nella magia di questo luogo risorto, proprio come la fenice, dalle sue ceneri, causate da un terribile incendio nel 1996. Prima di congedarvi da questo tempio laico, concedetevi un momento magico seduti nel palco reale. Da qui procedete per il Campo Santo Stefano, dove troneggia l'omonima chiesa che non ha la stessa fama di altre, ma che a nostro parere � una delle pi� belle di Venezia. Una volta varcata la soglia di Santo Stefano, se alzerete lo sguardo, noterete una particolarit�: il soffitto � modellato sulla forma di una carena di nave. Visitate l'interno e anche qui non mancheranno le sorprese: nella navata sinistra, una stele funeraria a opera del Canova mentre all'interno della sagrestia, troverete tre grandi tele del Tintoretto (Orazione nell'orto, Ultima cena e Lavanda dei piedi). Dopo tanta bellezza, che ne dite di un aperitivo? D'altronde siamo nella citt� natale dello spritz ed � giusto approfittarne, no? Il Cafe Noir, nel quartiere Dorsoduro n. 3805, � il posto perfetto per un aperitivo di qualit� a prezzi onesti. Perfetto anche per gli amanti della birra che qui troveranno un vasto e ricercato assortimento. E se siete particolarmente affamati, provate le piadine: qui sono farcitissime e fra le pi� buone di Venezia. Se vi � rimasto posto per un gelato, andate dalla Banchina delle Zattere sempre in Dorsoduro e provate un gelato al gianduiotto. Dopo cena non mancano le cose da fare: in stile con la citt�, si pu� passeggiare tranquilli a caccia di scorci pittoreschi e poi sedersi in un locale per un bicchiere di vino. Per divertirsi e incontrare persone nuove, Campo Santa Margherita � il top. Se invece amate la musica dal vivo e il jazz in particolare, nel quartiere Dorsoduro, trovate il Venice Jazz Club, un caratteristico locale in stile underground, che propone serate musicali a tema (dal be-bop, alla bossa nova, allo swing) con ottimi performer che propongono musica propria, oppure omaggiano i giganti del genere come Duke Ellington, John Coltrane o Miles Davis. L'atmosfera � unica, accogliente, ricorda un po' una cave parigina e non mancano degli ottimi drink da sorseggiare. All'uscita poi, c'� uno dei pi� bei canali della citt� in una zona tra le pi� vivaci della movida veneziana. Per chi vuol tentare la sorte, c'� il famosissimo Casin�, una delle attrazioni principali della laguna. Dopo una buona dormita, magari a Mestre (visto che dormire a Venezia non � proprio economico), il secondo giorno ricomincia sempre dalla stazione ferroviaria di Santa Lucia con un giro in traghetto lungo il Canal Grande. Oltre 250 palazzi e 15 chiese si affacciano sul principale asse di traffico di Venezia, formando cos� uno scenario da cartolina, davvero impressionante. Dopo questo primo giro, passando prendete un traghetto da Piazza San Marco, o dalla stazione ferroviaria, in direzione di Giudecca e ricordate: l'approdo presso cui dovrete scendere si chiama Il Redentore. Nome che deriva dalla meravigliosa chiesa, opera dell'architetto Palladio, che domina il profilo di questa isoletta della Laguna. Dal Redentore, sempre in traghetto, vi bastano due fermate per raggiungere la piccola Isola di San Giorgio: una sorta di terrazza frontale sulla Laguna e, in particolare, su Piazza San Marco, che da qui potrete immortalare in tutta la sua magnificenza. La seconda parte della giornata, potete dedicarla alla visita di due autentici tesori famosi in tutto il mondo: Murano e Burano. Murano viene identificata nella produzione vetraria artistica fin dall'inizio del secolo XII, quando le fornaci cominciarono a diffondersi in tutta l'isola, facendola diventare il massimo centro vetrario mondiale. Non potete perdervi perci� il Museo del Vetro anche se la denominazione pi� appropriata � Museo d'arte vetraria: conoscerete le tecniche di lavorazione del vetro pi� complesse, vedrete forgiare sotto i vostri occhi gli ambitissimi capolavori dell'arte vetraria muranese e ripercorrerete otto secoli di tradizione artigiana. Passeggiando lungo i due canali principali di Murano, avrete l'impressione di trovarvi in qualche quartiere pi� isolato di Venezia. Fra i numerosi negozi, manifatture e boutique di vetro artistico, avrete l'opportunit� di scegliere il souvenir pi� bello per amici e parenti. Prima di lasciare Murano raggiungete la torre di mattoni rossi che spicca proprio al centro dell'isola. Nella parte superiore della torre c'� un balcone quadrato da cui potrete scattare qualche bella fotografia. Da ammirare c'� la raffinata scultura in vetro azzurro, che campeggia in una piazzetta non lontana. Si tratta di una cometa di dimensioni eccezionali, riprodotta con eccellente maestria dai grandi artigiani vetrai locali. La cometa � un'attrazione turistica ed � diventata anche un punto di riferimento e di aggregazione per i residenti. A meno di mezz'ora da Murano c'� un altro incantevole approdo chiamato Burano. Il campanile di Burano � probabilmente la prima cosa che si nota quando si sta viaggiando per raggiungere l'isola. Si staglia sulle case grazie ai suoi 53 metri di altezza, ma, come la Torre di Pisa, a sorprendere � la sua forte pendenza dovuta a un'inclinazione sull'asse di oltre un metro. Arrivati sull'isola vi troverete davanti a un prato dov'� posta la statua in onore di Remigio Barbaro, scultore di rilievo scomparso nel 2005. Proseguite senza indugi e iniziate a scoprire pian piano la magia di questo classico luogo fuori dal tempo, dove clima permettendo, ancora ci si imbatte nelle anziane signore che ricamano per strada, chiacchierando e cantando in dialetto. La piccola isola dei pescatori � un piccolo mondo a s� con le sue allegre case pastello. Pare che il variare dei colori servisse per delimitarne la propriet�, anche se una leggenda narra che i pescatori dipingevano cos� le proprie case, per riconoscerle da lontano nei giorni in cui calava la nebbia. Tra tutte le abitazioni, mai pi� alte di tre piani, la pi� famosa e colorata � la Casa deo Bepi Su� che merita sicuramente una visita. Se il clima � rigido, concedetevi una cioccolata calda, magari con un "bussol�", mitico biscotto al burro e golosit� locale, un ristoro per cuore e palato. Oltre a essere un isolotto pittoresco e simpatico, Burano � famosa nel mondo per i suoi merletti. La tradizione del merletto, sembra abbia origini medievali e derivi dal bisogno delle donne, di ricucire quotidianamente le reti dei mariti pescatori. Questo artigianato si svilupp� rapidamente poich� i merletti di Burano erano molto apprezzati ovunque, tanto che nell'800 venne fondata una scuola per ricamatrici. Filo tirato, reticello, punto in aria, punto a rosette, sono solo alcuni dei vari punti che arricchiscono queste piccole opere d'arte di creativit� e pazienza, tutte al femminile. Anche qui ovviamente, non manca un piccolo museo che vi informer� sulle tecniche e sulla storia della produzione del merletto. Gerry Scotti: lo showman nato in una vigna (di Alex Adami, "Tv Sorrisi e Canzoni n. 18/17) - La star della tv degli ultimi trent'anni si racconta dalle origini ad oggi - La macchina si arrampica su una stradina terrosa tra le colline pavesi, dove i filari di vite sono gi� rigogliosi. Poi Gerry frena, scende, si guarda intorno e tira un respirone. Finalmente � a casa. Il suo ultimo progetto in ordine di tempo si chiama "Nato in una vigna", ma per una volta la tv non c'entra. Si parla di vino, quello che Gerry ha deciso di proporre sul mercato mettendoci la faccia. Letteralmente, visto che il suo sguardo campeggia sull'etichetta delle bottiglie. - Davvero � nato in una vigna, Gerry? "In pratica s�. A mia mamma si sono rotte le acque mentre si riposava all'ombra dei melograni vicino alla vigna dove stavano lavorando suo marito e suo suocero". - A che et� il primo bicchiere? "Da queste parti si cominciava con il mosto. Mio nonno e i suoi amici lo assaggiavano per capire se stava fermentando bene, ne lasciavano un po' nel bicchiere e lo porgevano a noi bambini. Alla dolcezza del succo d'uva si aggiungeva quel brivido vagamente acidulo che ci faceva sentire grandi. E comunque s'iniziava presto anche a far assaggiare il vino vero ai bambini, per abituarli al gusto. Una specie di rito di iniziazione". - Di che cosa ha pi� nostalgia? "I ricordi pi� belli della mia vita sono legati alle lunghe estati trascorse qui con i nonni. Tra giochi, fienili, bagni nelle rogge e la grande festa della vendemmia. Era il momento in cui la famiglia raccoglieva il frutto di 12 mesi di fatica e di preoccupazioni. Bastava una grandinata...". - Com'� finito a vivere in citt�? "A quei tempi era una scelta necessaria, per quelli della generazione di mio padre. Mio nonno era un padre-padrone, dettava alla famiglia gli ordini del mese: zappare, dare il verderame e cos� via. Decideva anche quando dovevi sposarti. Non c'era molto spazio per inseguire altri sogni. Mio padre e suo fratello Gianni arrivarono a Milano e trovarono presto un lavoro, ma si resero conto che la sostanza non era cambiata: dovettero lavorare duro di giorno e pure di notte, con turni faticosissimi. Pap� era impiegato alle rotative del "Corriere della sera", mio zio come vigile urbano. Cominciarono a prendere ferie e permessi quando c'era la vendemmia per non mancare. Chi aveva scelto di restare li vedeva tornare stanchi e stressati e diceva: "Cos� imparate ad andarvene via..."". - Anche lei vendemmiava? "Certo. E ho imparato tanto. Spesso mi chiedono se non sia stressante il mio lavoro, visto che arrivo a registrare tre puntate al giorno. Beh, io ho conosciuto la stanchezza dei miei vecchi dopo una giornata nella vigna. L'ho vista nei loro occhi, nelle loro mani. E allora penso che di puntate in un giorno potrei registrarne anche quattro". - Nel suo lavoro ha mai provato una gioia simile a quella della vendemmia? "Beh, azzeccare un programma � una bella soddisfazione da condividere con il gruppo di lavoro. Di recente � successo con "Caduta libera": abbiamo seminato, l'abbiamo fatto crescere non senza fatica, perch� andavamo a registrarlo in Spagna. I numeri ci hanno dato ragione. Ma � proprio questo il punto. I risultati in tv si valutano sui numeri, la mia personale vendemmia si basa anche su altro. Su una persona che mi ferma per strada e mi dice che le metto allegria, per esempio". - Qual � stata la sua "ottima annata"? "Ne ho avute tante. Ma se proprio devo sceglierne una, allora dico il 1989. Ero sulla trentina e mi ero affermato con programmi "giovani" come "Deejay television", il "Festivalbar", "Smile". Ero nei corridoi di Mediaset dopo aver registrato una puntata e vidi in lontananza Fatma Ruffini (storica, autrice Mediaset, artefice di successi, come "Scherzi a parte", "Stranamore" e "Karaoke", ndr). Si stava avvicinando, e a un certo punto divenne chiaro che puntava proprio me: "Tu sai chi sono?". "Certo signora, la conosco di fama". "Domani passa nel mio ufficio". Il giorno dopo mi presentai da lei. Mi fece sedere e mi guard� dritto negli occhi. "Tu non lo sai, ma saresti perfetto per "Il gioco dei 9"". Io scossi la testa. Avevo il mio pubblico di giovanissimi, conducevo davanti a 20.000 persone all'Arena di Verona, l'idea di un gioco classico mi sembr� follia. "Ne ho parlato con Raimondo Vianello, � d'accordo. Potresti essere il migliore". A quel punto c'era poco da aggiungere". - Avevano ragione Fatma e Raimondo. "Mi piace condurre i giochi del preserale. Mi viene naturale, senza fatica. Evidentemente ho una predisposizione. Ma mi permetta di aggiungere una cosa". - Prego. "Quando entri nelle case della gente tutte le sere diventi un'abitudine. Io per� non sono abitudinario, non lo sono mai stato. Sono l'unico che non si tira mai indietro quando c'� da sperimentare un nuovo format o un nuovo modo di fare tv. Ogni anno provo per Mediaset dei "numeri zero" (puntate di prova di nuovi programmi, ndr). E molti vanno poi in onda". - Proseguendo con le metafore da viticultore: mai una grandinata? "Non ho rimpianti. Nemmeno uno. Anche i programmi che non mi convincevano, anche quelli che mi hanno obbligato a fare, oggi so che hanno avuto un senso. Da "50-50" o "La stangata", che forse non hanno lasciato il segno, ho imparato tanto. Posso dire di non avere un solo titolo di cui vergognarmi in pi� di 30 anni di carriera". Una Vuelta a Espana anche un po' francese La Vuelta di quest'anno inizier� il 19 agosto con una cronometro a squadre nella localit� francese di N�mes, nota come la "Piccola Roma" per la forte presenza di elementi che richiamano alla presenza passata dell'Impero Romano. Per la terza volta in oltre 80 anni di storia, la corsa a tappe spagnola scatter� da una localit� estera dopo Lisbona nel 1997 e Assen nel 2009. Il direttore della Vuelta, Javier Guill�n, ha segnalato che con questa decisione si sono voluti mostrare "i numerosi legami che uniscono" la comunit� francese a quella spagnola. Saranno due le tappe che si svolgeranno interamente in terra francese. Poi con la quarta tappa si torner� in Spagna, con l'arrivo a Tarragona, da dove proseguir� il viaggio attraverso la Comunidad Valenciana, Murcia, Andaluc�a, Navarra, La Rioja, Castilla y Le�n, Cantabria e Asturias, prima della tradizionale conclusione a Madrid. Ancora una volta la Vuelta proporr� salite e arrivi inediti per la storia della corsa spagnola. Infatti i corridori affronteranno un totale di 14 salite inedite, mai affrontate nelle precedenti 71 edizioni della gara. A queste si aggiunger� quella che � diventata una delle vette simbolo della Vuelta negli ultimi anni, l'Alto de l'Angliru, che sar� pi� decisivo che mai. Il Gpm asturiano sar� l'ultimo che troveranno sulla loro strada gli atleti, nella penultima tappa, giusto prima del gran finale a Madrid dove sar� consegnata la corona al vincitore della Vuelta 2017. Da tenere d'occhio anche la frazione con arrivo in salita a Sierra Neva e la cronometro individuale di Logro�o, che misura 40 chilometri. � confermata, ovviamente, nella giornata conclusiva di Madrid anche la corsa femminile, la Madrid Challenge by La Vuelta 2017, come ha annunciato il sindaco di Madrid Manuela Carmena, aprendo la presentazione ufficiale.