Giugno 2019 n. 6 Anno XLIX MINIMONDO Periodico mensile per i giovani Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registrazione 25-11.1971 n. 202 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Massimiliano Cattani Luigia Ricciardone Copia in omaggio Rivista realizzata anche grazie al contributo annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri per un importo pari ad euro 23.084,48 e del MiBACT per un importo pari ad euro 4.522.099. Indice Ci piace essere uguali ma non troppo Quanto smog abbiamo in corpo Chi ha inventato il termosifone? Peperoni: il colore della bont� Mykonos: perla dell'Egeo Giovanni Soldini: che cosa insegna il vento Enrico Ruggeri: suonare mi fa stare bene Ci piace essere uguali ma non troppo (di Elisa Venco, "Focus" n. 320/19) - Le ricerche ci dicono che a un livellamento generale preferiamo le differenze economiche. Purch� uno se le sia davvero meritate - Se ne discute ormai da mesi, e del resto in Italia il reddito di cittadinanza � ormai una realt�. Tra gli obiettivi del provvedimento c'� senz'altro quello di diminuire il gap economico tra le famiglie pi� povere e quelle pi� benestanti. Ma anche tra gli esperti c'� discussione: non � detto infatti che, cos� facendo, la distanza dai pi� ricchi diminuisca, riducendo le disuguaglianze, perch� bisogna vedere di quanto nel frattempo si arricchisce la fascia pi� benestante. Colmare le differenze sociali, insomma, non � cos� facile. Anche perch� gli squilibri sono vistosi: nel nostro Paese il 20% pi� abbiente della popolazione possiede il 72% della ricchezza totale (dati Oxfam 2019). E di solito a un italiano che nasce in una famiglia a basso reddito servono 5 generazioni per arrivare a far parte della fascia alta (dati OECD 2019). Davanti a queste scandalose disparit�, per�, innanzitutto occorre chiedersi: che cosa, precisamente, va combattuto? I dati sulle disuguaglianze sociali infatti fanno riferimento a due concetti, che per� sono diversi: il reddito e la ricchezza. "I cosiddetti "redditi disponibili" sono quelli determinati dalle entrate di una famiglia (come uno stipendio, la pensione o un sussidio), meno le tasse, diviso per il numero di membri della famiglia", sintetizza Maurizio Franzini, ordinario di Politica Economica all'Universit� La Sapienza di Roma e membro del comitato promotore del Forum Disuguaglianze Diversit�. Ecco, in questo caso potremmo decidere che sono inique le eccessive disparit� di remunerazione. � giusto, per esempio, che l'amministratore delegato di un'azienda americana guadagni in media quasi 350 volte lo stipendio di un suo operaio? D'altra parte, se consideriamo invece il "patrimonio" di una persona, fatto dei suoi beni, delle rendite derivate da investimenti o dall'affitto di beni di propriet�, potremmo arrivare a conclusioni differenti. � giusto allora che, come si � chiesto Warren Buffett, il terzo uomo pi� facoltoso del mondo, "in proporzione la sua segretaria paghi pi� tasse di lui"? Eppure avviene. Non solo in Usa: anche in Italia chi riceve un buono stipendio, di cui magari vive, paga su di esso un'aliquota del 43%, mentre un "disoccupato" che investe in Borsa il patrimonio di famiglia paga sulle rendite azionarie il 26%. Altrettanto iniquo, poi, � un fenomeno che gli economisti conoscono bene: chi gode sugli altri di un vantaggio economico iniziale, anche piccolo, lo vede rapidamente moltiplicato, prosperando sempre pi�. � il cosiddetto "effetto San Matteo", come lo ha battezzato nel 1968 il sociologo americano Robert K. Merton, padre del Nobel per l'economia Robert, partendo da un versetto del Vangelo: "A chi ha, sar� dato e sar� nell'abbondanza; a chi non ha sar� tolto anche quello che ha" (MT 13,12). In effetti, la forbice delle disparit� si allarga progressivamente, al punto che nel solo 2018 i pi� fortunati hanno accresciuto la loro ricchezza del 12%; i pi� poveri invece hanno diminuito le loro risorse dell'11%. Eppure, hanno scoperto gli scienziati, non saremmo felici di eliminare ogni differenza e diventare tutti uguali. Al contrario: secondo uno studio effettuato nel 2011 dallo psicologo americano Dan Ariey su 5.500 persone, la maggioranza ritiene che una societ� con grandi disuguaglianze sia preferibile a una basata sulla completa uguaglianza (sul modello delle ex repubbliche sovietiche, per intenderci). Al tempo stesso, per�, molti studi dimostrano che gli esseri umani hanno un'innata predilezione per la distribuzione equa: al punto che i bambini di pochi mesi, in modo simile a quanto avviene tra le scimmie, protestano quando si vedono dare meno di un compagno. � quella che gli studiosi chiamano "avversione alla disuguaglianza": una ripugnanza che � probabilmente effetto dell'evoluzione, e risale a quando gli individui pi� disposti a una buona suddivisione delle risorse avevano pi� chance di sopravvivere rispetto a quelli che non lo erano. Ma come si spiega allora la contraddizione tra il rifiuto delle disuguaglianze, da un lato, e quello della totale uguaglianza dall'altro? Con il fatto che il nostro rifiuto va non alla disuguaglianza di per s�, ma a quella "ingiusta": in altre parole, le persone accettano le differenze se le giudicano meritate. Lo confermano altri test, effettuati da due docenti di psicologia, Patricia Kanngiesser e Felix Warneken, nel 2013, da cui emerge che i bambini protestano quando ricevono una ricompensa minore di un altro: ma quando viene insegnato loro che a uno sforzo maggiore (per esempio nel raccogliere delle monete) corrisponde una ricompensa maggiore, tutti accettano quietamente di ricevere quantit� diverse. Analogamente, nessuno si lamenta se una scrittrice del talento di J.K. Rowling, l'autrice della saga di Harry Potter, o un imprenditore come Elon Musk guadagnano cifre iperboliche. Le loro doti straordinarie, al contrario, ci rassicurano sulla correttezza del meccanismo di ascesa sociale: ci dicono che possiamo emergere anche noi, se ce lo meritiamo. Ma il punto �: � davvero cos�? Perfino negli Stati Uniti, dove � nato il mito del self made man, la verit� sembrerebbe un'altra: gli economisti dell'Universit� di Berkeley Ross Levine e Yona Rubinstein nel 2013 hanno esaminato le caratteristiche degli imprenditori Usa. Ebbene, secondo i due ricercatori, chi emerge davvero sono soprattutto i maschi bianchi con un'ottima istruzione universitaria. Ovvero, persone che vengono da contesti privilegiati. Secondo lo studio, un aumento di 100 mila dollari nelle entrate familiari equivale a un incremento del 50% delle chance di fondare una societ�. Il che ha anche senso: se uno sa di avere una rete di protezione, � pi� incline a lanciarsi in un'impresa. E se un giovane non ha l'ansia di lavorare per mantenersi, trova il tempo di sviluppare nuove idee. Ma il successo degli imprenditori non si spiega solo con il coraggio o il talento, bens� anche con i risparmi di famigliari e amici dai quali, secondo il Global Entrepreneurship Monitor, proviene pi� dell'80% dei fondi per nuove startup. Forse, se lo stesso Jeff Bezos, oggi l'uomo pi� ricco del mondo, non avesse potuto contare su un prestito da 250 mila dollari ricevuto dai genitori, non avrebbe mai fondato Amazon. E in Italia? Secondo uno studio Ocse del 2018, siamo in coda tra i Paesi industrializzati per mobilit� sociale: quasi il 40% dei figli di lavoratori manuali diventa a sua volta lavoratore manuale, contro un 18% che arriva a professioni gestionali. Sul fronte opposto, il 40% dei figli di manager segue le orme dei padri (ma in altri Stati UE si supera il 50%) e solo il 10% si ritrova a fare un lavoro manuale. Insomma, per quanto a parole nella nostra societ� "tutti giochino con le stesse regole", le disuguaglianze di oggi perpetuano quelle di ieri. E questo vale non solo per la mansione, ma anche per la retribuzione: infatti, i figli di dirigenti e impiegati guadagnano, in media, rispettivamente il 18,1% e l'8,6% in pi� rispetto ai figli degli operai. Il motivo? Il fatto che "in Italia ci sono vantaggi che derivano dalla famiglia, dalle sue relazioni, dal luogo in cui si nasce, che non vengono compensati dall'impianto della societ�", spiega Franzini. Per ristabilire l'equilibrio, il docente ha redatto, insieme ad altri studiosi, un Manifesto contro le disuguaglianze che suggerisce vari rimedi (un'altra ricetta per l'equit� � stata pubblicata in marzo dal Forum Disuguaglianze Diversit�), di cui alcuni a costo zero. "Si va dalla liberalizzazione di certi settori, come farmacie e trasporti, all'"obbligo" per le banche di finanziare progetti sulla base della loro potenzialit� invece che delle garanzie fornite", spiega Franzini. In pi�, le proposte prevedono il mutamento delle norme sulla propriet� intellettuale, che ora impediscono la nascita di nuove imprese che integrino brevetti gi� esistenti, e l'introduzione di imposte di successione (oltre una data soglia). La conseguente redistribuzione delle risorse serve in primo luogo a favorire le persone svantaggiate, ma anche a evitare che la concentrazione smisurata della ricchezza provochi violenze sociali contro i pi� facoltosi. Altrove, si sta pensando anche a misure molto pi� severe: come la tassa del 70% sui guadagni superiori ai 10 milioni di dollari che di recente � stata presentata al Congresso Usa dalla deputata Alexandria Ocasio-Cortez, 29-enne astro nascente dei Democratici, e rilanciata dal New York Times in un editoriale dal titolo "Aboliamo i miliardari". Tralasciando il dettaglio che, secondo i critici, il suo principale effetto sarebbe quello di indurre i facoltosi a nascondere i propri guadagni in conti offshore, la proposta americana rischia di far perdere di vista l'obiettivo: che � quello di costruire una societ� con una giusta disuguaglianza, non con una ingiusta uguaglianza. Insomma, pi� che punire le persone agiate, occorre capire perch� lo sono. Ovvero, se i meccanismi che le hanno portate a guadagnare siano davvero "meritocratici" o, in caso contrario, come correggerli, aiutando altri a emergere. In fondo, noi non desideriamo abolire i miliardari, ma diventarlo anche noi. O perlomeno scoprire che si sono meritati le loro fortune. La cosa peggiore, invece, sarebbe se, come scriveva Ernest Hemingway, la sola differenza tra noi e i ricchi, restasse "che loro hanno pi� soldi". Quanto smog abbiamo in corpo di Chiara Palmerini, "Focus" n. 320/19) - Ogni anno l'inquinamento atmosferico miete milioni di vittime. Ecco tutti i danni che provoca - Il 13 dicembre 1930, nella valle del fiume Mosa, in Belgio, gli ospedali furono subissati da chiamate di persone colte da sintomi gravi e improvvisi: non riuscivano a respirare, avevano tosse, mal di gola, dolori al petto, vomito. Nell'arco di ventiquattro ore, in sessanta morirono. Come si cap� in seguito, in quell'inizio di inverno, l'assenza di vento e l'inversione termica, che favorisce la nebbia e il ristagno dell'umidit�, aveva contribuito a intrappolare vicino al suolo, a portata di naso e polmoni, i fumi venefici delle fabbriche della zona, all'epoca una delle pi� industrializzate d'Europa. Una storia quasi identica si verific� nel 1948 a Donora (Usa), sede di acciaierie e fabbriche di zinco, dove morirono una ventina di persone, e alcune migliaia si sentirono male. E poi ancora nel 1952 a Londra, dove le vittime del Grande Smog, che colp� la citt� tra il 5 e il 9 dicembre, si stima siano state diverse migliaia. Fu subito chiaro, in quegli anni, che responsabile di quelle nebbie mortali era l'inquinamento. Oggi il killer � meno visibile, non sempre si nasconde nella nebbia, ma continua a mietere un numero impressionante di vittime. Soprattutto, non colpisce solo dove ci si aspetterebbe (i polmoni), ma danneggia il corpo e la salute in modi del tutto inaspettati. "Non si tratta, come a volte si pensa, di una semplice anticipazione di eventi che ci sarebbero comunque stati", osserva Paolo Crosignani, epidemiologo a lungo ricercatore all'Istituto dei tumori di Milano. "Sono morti che, se non ci fosse stato l'inquinamento, sarebbero state evitate". Un po' come � accaduto per i danni del fumo, dai primi sospetti si sta ora disegnando un quadro molto pi� dettagliato delle conseguenze sulla salute dello smog. Se alcuni decenni fa molti degli effetti acuti dell'inquinamento erano dovuti a sostanze come piombo e zolfo presenti nei combustibili fossili, i cui livelli si sono molto abbassati, oggi al centro dell'attenzione ci sono le polveri sottili: la "parte solida" e liquida dell'inquinamento, particelle rilasciate nell'aria da qualsiasi sostanza che brucia, o da processi meccanici come l'attrito degli pneumatici sulla strada o l'usura dei freni. Hanno dimensioni variabili da pochi nanometri (miliardesimi di metro) a diversi micrometri (milionesimi di metro). "Come ordine di grandezza, � la differenza tra una biglia e una mongolfiera", esemplifica Giorgio Cattani, tecnologo dell'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra). "Alle particelle frutto diretto della combustione si aggiungono quelle che si formano poi nell'atmosfera a partire da altre sostanze, per esempio gli ossidi di azoto e i composti organici volatili emessi dai veicoli, o l'ammoniaca prodotta dall'agricoltura", spiega Cattani. Pi� sono piccole, pi� penetrano in profondit� nel sistema respiratorio, passando dai polmoni alla circolazione sanguigna e di qui a tutti i tessuti del corpo. Le cosiddette PM 2,5, con un diametro fino a 2,5 micron (ce ne vorrebbero 60 per fare il diametro di un capello), sono quelle ritenute pi� dannose. Lo smog ha un effetto immediato sulla salute: asma nei bambini o broncopneumopatia ostruttiva negli anziani, quella che una volta si chiamava "bronchite cronica". Entrambe peggiorano nei giorni di picco dell'inquinamento. Verrebbe da pensare che bronchi e polmoni siano gli organi pi� colpiti dall'aria cattiva. In realt� danni altrettanto gravi riguardano cuore e sistema cardiovascolare. Quando i livelli delle polveri salgono si registra un aumento di accessi al pronto soccorso per ictus e infarti. I problemi per� non sono limitati soltanto a quei momenti, ma sono anche a lungo termine. Il progetto ESCAPE, che ha studiato gli effetti dell'inquinamento su migliaia di cittadini in Europa, ha individuato un aumento del rischio per quasi tutti i disturbi cardiovascolari - infarto, ictus, ipertensione - per le persone che vivono nelle zone pi� esposte allo smog. "L'inquinamento aumenta anche il rischio di disturbi come lo scompenso cardiaco o la fibrillazione atriale, a loro volta all'origine di altri danni", osserva Francesco Forastiere, epidemiologo e oggi consulente dell'Oms. Una lunga catena di effetti anche dove sembrerebbe pi� impensabile. Le ultime ricerche sembrano inoltre confermare il sospetto che lo smog abbia un ruolo anche nelle malattie renali. "In questo caso l'ipotesi � che i danni vascolari e l'aterosclerosi indotti dall'inquinamento, alla lunga, abbiano conseguenze sulla funzionalit� dell'organo". Che respirare costantemente aria cattiva aumenti il rischio di cancro al polmone � invece accertato, ma ci sono indizi che lo stesso valga anche per tumori che niente hanno a che fare col sistema respiratorio. "Per esempio quelli alla mammella e allo stomaco. Nel primo caso non si sa come l'inquinamento possa agire; nel secondo si pensa che sia legato all'ingestione del particolato", dice ancora Forastiere. Altro capitolo scottante, emerso di recente, sono le possibili conseguenze su cervello e sistema nervoso: l'inquinamento � stato messo in relazione perfino con le demenze e con il morbo di Alzheimer. Qui per� � necessaria una certa cautela. "Ci sono tanti tipi di demenze", osserva Forastiere. "Le probabilit� che l'inquinamento, inducendo l'aterosclerosi, sia associato alla demenza di tipo vascolare, la pi� comune, sono alte". Nel caso del morbo di Alzheimer il discorso � pi� controverso. All'inizio degli anni Duemila, a Citt� del Messico, la neuroscienziata Lilian Calder�n-Garcidue�as not� che i cani che vivevano nelle aree pi� inquinate della capitale, da vecchi, sembravano confusi, perdevano la capacit� di orientarsi e a volte di riconoscere i padroni. Facendo l'autopsia agli animali, la scienziata not� che nel loro cervello c'erano depositi di proteina beta amiloide, che � stata associata al morbo di Alzheimer, pi� consistenti rispetto ai cani di citt� "pi� pulite". Da l� nacque il sospetto che la qualit� dell'aria potesse svolgere un ruolo anche in questa malattia neurodegenerativa. In realt�, gli studi non lo hanno finora dimostrato in maniera definitiva. Lo stesso vale nel caso del morbo di Parkinson. Pi� allarmante � la questione della salute dei bambini. Si sa che l'inquinamento compromette lo sviluppo polmonare. E, gi� da tempo, molte indagini hanno associato l'esposizione all'inquinamento delle mamme in gravidanza con la nascita di bambini di peso pi� basso, o prima del termine. Ma non si tratta soltanto della salute fisica. Jordi Sunyer, un autorevole epidemiologo spagnolo, sostiene anche che l'inquinamento sta mettendo in una chiara posizione di svantaggio il cervello e lo sviluppo cognitivo delle nuove generazioni. Le conferme non mancano: a New York, i bambini che vivono a meno di cinquecento metri da un'autostrada ottengono punteggi pi� bassi nei test che misurano lo sviluppo del linguaggio. Risultati simili, con difficolt� di vario genere, sono emersi seguendo nel tempo i bambini nati da mamme che vivevano nei quartieri newyorkesi pi� poveri e inquinati. Stesso dato � emerso a Roma: in un gruppo di bambini seguiti dalla nascita fino ai sette anni, quelli che abitavano a un indirizzo con livelli pi� alti di inquinamento da traffico stradale erano pi� indietro nello sviluppo verbale. L'inquinamento sembra avere addirittura un effetto immediato sulle lezioni a scuola. Il gruppo di Sunyer ha osservato che all'aumentare dell'esposizione alle polveri sottili durante la giornata cala l'attenzione dei bambini. Meno attenzione in classe significa ritardo nell'apprendimento. Per questo Paesi come la Danimarca hanno vietato la costruzione di nuove scuole nelle zone dove il traffico � pi� intenso. Ma ci sono altre cose che potrebbero essere fatte. "Per esempio", afferma Crosignani, "impedire alle macchine di avvicinarsi troppo alle scuole". Il che significherebbe non permettere che i genitori arrivino, magari con il Suv, fin quasi alla soglia dell'edificio per accompagnare i figli. Chiss� se, nell'interesse della salute della prole, qualcuno si convincer� a parcheggiare a distanza. Chi ha inventato il termosifone? (di Matteo Liberti, "Focus Storia" n. 152/19) - Quando � nato il moderno sistema di riscaldimento? E come si faceva quando non c'era? - Un gatto che sonnecchia sul davanzale di una finestra, godendosi il calduccio di un termosifone. � questa la scena raffigurata da un singolare monumento in bronzo nel cuore della citt� russa di Samara. Si tratta di un omaggio alla nascita del moderno calorifero, messo a punto nel XIX secolo dall'inventore e imprenditore russo Franz Karlovich San Galli (1824-1908). Nato in Polonia da padre italiano (un imprenditore di Pavia specializzato nella lavorazione della ghisa), si trasfer� a San Pietroburgo, dove nel 1855 ide� i suoi primi termosifoni, basati sul passaggio di acqua riscaldata all'interno di radiatori. All'inizio questi caloriferi, anch'essi realizzati in ghisa, furono destinati al riscaldamento delle serre di Carskoe Selo, vasto complesso di edifici della famiglia imperiale russa alle porte di San Pietroburgo, ma presto passarono a riscaldare le residenze private degli stessi zar. Il termosifone di San Galli, brevettato nel 1857 (negli Usa erano peraltro gi� stati sviluppati progetti analoghi), spopol� tra gli aristocratici russi e poi nel resto d'Europa, prima tra la nobilt� e in seguito in ogni classe sociale, finch� nel XX secolo la diffusione assunse una portata mondiale. Prima che i termosifoni entrassero nelle nostre case, tuttavia, gi� esistevano molteplici metodi di riscaldamento domestico. Fin dalla preistoria, per resistere al freddo, donne e uomini hanno fatto ricorso al fuoco, indispensabile anche per la cottura dei cibi e gradualmente "addomesticato" nelle caverne. I focolari domestici, delimitati da semplici sassi, fecero quindi la loro comparsa nelle prime abitazioni, si trattasse di capanne o semplici tende. E per meglio gestire l'impeto del fuoco, acceso in genere al centro dello spazio abitato, a distanza di sicurezza dalle pareti, venivano praticati dei fori sul soffitto, per far uscire il fumo e impedire che l'aria si facesse irrespirabile. Nel corso dell'antichit�, per ovviare ai rischi delle fiamme e dei fumi, prese quindi piede l'uso di appositi "bracieri"; recipienti di ferro in cui veniva inserita la brace ardente prelevata da fuochi accesi all'esterno dell'abitazione. L'uso del braciere come strumento per combattere il freddo, diffuso fino a poco tempo fa nelle case di campagna, spopol� soprattutto a Roma. E proprio nell'Urbe fu perfezionato un ingegnoso sistema di riscaldamento di origine greca, che prevedeva il passaggio di aria calda all'interno delle pareti e dei pavimenti delle case, in modo sorprendentemente simile a quanto avviene nei nostri appartamenti. Il sistema caro ai Romani, chiamato hypocaustum ("brucio sotto"), poteva essere impiegato sia nelle abitazioni private sia negli edifici pubblici, a partire dalle terme. Si basava su fornaci (praefurnia) dalle quali si metteva in circolo aria ad altissime temperature (in principio questi forni si trovavano in prossimit� delle cucine), che veniva poi veicolata nell'edificio da una serie di tubuli in laterizio inseriti nelle murature. Si poteva in questo modo beneficiare di temperature ottimali, l'aria non era mai densa di fumo e non vi erano tracce di cenere da rimuovere. Le evoluzioni ideate dall'Urbe per� caddero in disuso con il tramonto dell'impero, e cos� per buona parte del Medioevo si continu� a ricorrere ai bracieri o direttamente alla presenza del fuoco in casa. Ancor pi� a partire dal XIII secolo, in particolare da quando si diffusero i primi comignoli, grazie ai quali venne finalmente meno l'esigenza di praticare aperture sul soffitto o alle pareti per far uscire il fumo. Non solo: la realizzazione delle prime canne fumarie permise di avvicinare il focolare domestico alle pareti, predisponendo un apposito spazio in muratura, collegato al comignolo tramite una cappa che convogliava i fumi. Nacquero cos� i moderni caminetti a parete, che in pochi secoli si trovarono in tutte le case, come la loro versione "chiusa": la stufa. Alimentate a legna o a carbone, le prime erano in terracotta, ma dal XVIII secolo s'imposero quelle in ghisa. In proposito, fu celebre quella progettata dall'inventore americano Benjamin Franklin, che nel 1741 realizz� la "Franklin stove" o "stufa-caminetto", struttura dotata di un particolare sistema di distribuzione del calore all'interno del muro, tramite un'intercapedine. Con l'arrivo dell'Ottocento, a cambiare per sempre la storia del riscaldamento domestico giunse, dalla Russia, l'industrioso Franz Karlovich San Galli, con il suo rivoluzionario termosifone basato su un meccanismo molto semplice: il riscaldamento dell'acqua, tramite un'apposita caldaia, e il suo passaggio in un sistema di tubazioni a circuito chiuso, da fissare a una parete, da cui si sarebbe diffuso il calore. Con lo stesso principio, nel corso del XX secolo sono stati messi a punto nuovi radiatori ad alimentazione elettrica, dove una resistenza interna riscalda dell'olio anzich� l'acqua. Nel frattempo, il termosifone ha continuato inarrestabile la sua ascesa, con una crescente produzione industriale e l'introduzione di materiali pi� pratici e leggeri, alluminio su tutti, nonch� di valvole termostatiche utili a impostare l'esatta temperatura che si vuole ottenere. In tempi pi� recenti, hanno inoltre fatto la loro comparsa nuovi sistemi di alimentazione pi� ecologici delle tradizionali caldaie (come le pompe di calore e i pannelli solari), in grado di ricavare il calore direttamente dall'ambiente. La capillare diffusione dei termosifoni ha tra l'altro alimentato la nascita di complementi d'arredo come il copricalorifero, struttura in legno ideata per impedire di scottarsi e presto evoluta in ricercato oggetto di design. Un'ultima curiosit�: tra questi complementi spopolano da qualche tempo alcune speciali "cucce" per animali domestici da attaccare direttamente al termosifone, cos� da ricreare, anche in assenza di davanzale, la calorosa scenetta dell'originale "monumento" di Samara. Peperoni: il colore della bont� ("RivistAmica" n. 5/19) - Sostanziosi e ricchi di propriet� nutritive, sono tra gli ingredienti irrinunciabili dei piatti della bella stagione, dai classici alle soluzioni pi� ricercate - L'estate arriva con il suo carico di sapori e profumi che rallegrano le tavole. Delizie stagionali tra le quali spiccano i peperoni, con le loro varie colorazioni e che si raccolgono nei mesi caldi. Grazie a incroci, ibridazioni e specialit� regionali le varianti disponibili sono tante per donare un gusto peculiare ad ogni piatto e sorprendere i palati pronti a sperimentare. Originario dell'America meridionale e importato in Europa nel XVI secolo, il peperone � diventato un ingrediente importante nella cucina italiana. Merito anche delle sue propriet� nutritive, tra cui spicca la concentrazione di vitamina C e di betacarotene, che vanta poteri antiossidanti e protegge la vista e la pelle dalle scottature solari. Accanto ad esse vi sono poi importanti sali minerali come potassio, ferro, magnesio e calcio. Per mantenere intatte tutte le sue caratteristiche, il peperone andrebbe mangiato crudo, un'opzione di consumo che viene per� spesso scartata per la pesantezza di stomaco e il gonfiore addominale che possono derivarne, soprattutto a causa del complesso fibroso, impropriamente chiamato "pelle", che avvolge la polpa. Tale sostanza, ricca di cellulosa, � infatti assimilabile solo con difficolt� dal nostro apparato digerente: abbrustolire i peperoni in forno elimina il problema alla radice, sciogliendo e rendendo facilmente staccabile la parte pi� esterna. Le variet� di peperoni si distinguono per colore, forma e consistenza. Alcune possono essere piccanti: il peperone infatti proviene dallo stesso genere di piante del peperoncino (Capsicum annuum), ma al contrario del suo "cugino" pi� piccolo contiene meno frequentemente quantit� rilevanti di capsaicina, la sostanza che "brucia" sulla lingua. I peperoni verdi sono semplicemente a un grado di maturazione inferiore rispetto agli altri: ugualmente commestibili, hanno per� un sapore leggermente amarognolo e sono pi� complessi da digerire. Quelli pi� maturi, possono assumere il colore rosso, giallo o aranciato, a seconda della tipologia, mentre in base al formato possono essere ad esempio definiti "quadrati", "allungati" e "a corno". In tanti luoghi d'Italia si � sviluppata la coltura di una variet� specifica, che ha quindi assunto il nome del territorio di provenienza: come nel caso, ad esempio, del "quadrato di Carmagnola", della "papaccella napoletana" o del "lungo di Nocera". Tra le specialit� della Lombardia c'� invece la coltivazione del peperone "sigaretta di Bergamo", dalla forma oblunga e sottile. Questi ortaggi sono piuttosto piccoli e vanno raccolti ancora verdi: ottimi fritti o nelle insalate, danno per� il meglio conservati sotto aceto e poi serviti ben sgocciolati. Crudi o arrostiti, fritti o in umido, al vapore o in agrodolce, i peperoni possono essere consumati in tanti modi diversi. E perfino diventare uno snack: � il caso del peperone di Senise, una variet� rossa riconosciuta con il marchio IGP, che cresce in Basilicata. Raccolto fra luglio e agosto, l'ortaggio viene essiccato al sole fino a disidratarsi completamente: per questo nelle province di Potenza e Matera non � raro imbattersi in "collane" di peperoni appese alle finestre, sui balconi o sui muri delle case. Una volta raggrinziti, vanno fritti in olio d'oliva bollente: i "peperoni cruschi" (croccanti, in dialetto locale) possono poi essere gustati ancora caldi oppure salati, impacchettati e sgranocchiati a piacimento. Chi considera i peperoni un semplice contorno non ha fatto i conti con i mille usi che hanno in cucina. Oltre ad accompagnare con gusto sia pietanze semplici, come del pollo alla griglia, che pi� saporite come il baccal�, sono anche un ottimo ingrediente per dare sostanza a insalate (di cereali o accanto a rucola, carote o alici, condite con limone o erbe aromatiche) e frittate arricchite anche da patate e mozzarella o con prosciutto cotto e scamorza, oltre a diventare protagonisti di prelibati primi piatti. � il caso del risotto ai peperoni gialli e rossi o delle penne alla crema di peperoni, in cui la polpa soffritta viene insaporita mixandola con cipolla e acciughe. E se la tradizione suggerisce di farli ripieni con il riso o di sminuzzarli fra caponate e peperonate, non mancano le opzioni pi� ricercate. Assaggiate ad esempio un pezzo di formaggio stagionato con la marmellata di peperoni, o provate direttamente la ricetta dei muffin salati con quartirolo lombardo, peperoni e noci: un accostamento forse inusuale ma sicuramente vincente per l'aperitivo. Mykonos: perla dell'Egeo ("RivistAmica" n. 5/19) - L'isola delle Cicladi riunisce in un piccolo territorio molte attrazioni: dal clima mediterraneo a spiagge da sogno, fino a testimonianze storiche e architettoniche di valore - Negli ultimi anni � diventata nota soprattutto come il paradiso del divertimento, dei soggiorni pi� glamour e delle feste fino all'alba. Ma l'isola di Mykonos, una delle perle del Mar Egeo e delle Cicladi greche, non � solo questo. Oltre alla movida nel suo territorio � infatti possibile trovare storia, natura, architetture suggestive e ottima cucina, aspetti ancora pi� facili da scoprire se si sceglie di soggiornarvi a giugno, quando la localit� � meno affollata del periodo luglio-agosto (per maggiori informazioni consultare anche il sito della locale Municipalit�: www.mykonos.gr). A caratterizzare dal punto di vista generale Mykonos sono il tipico colpo d'occhio e le condizioni climatiche che hanno reso le isole greche una delle destinazioni estive pi� ambite, con gli insediamenti urbani contraddistinti dalle classiche costruzioni dai tetti piatti e dalle mura bianche, con piccole stradine ad attraversarli, e una vegetazione tipicamente mediterranea. Il tutto baciato costantemente dal sole mitigato dal vento che soffia nella zona. Prima di dedicarsi alle spiagge dell'isola, un tour di Mykonos pu� partire dalla scoperta del centro urbano principale, quello di Chora dove, inframezzati da numerosi locali e bar, � possibile dedicarsi innanzitutto ad alcuni edifici importanti come il Palazzo del Municipio, risalente al 1780, una struttura neoclassica su due piani con tetto in tegole. Da qui, sempre costeggiando il lungomare, in breve tempo si pu� giungere al complesso religioso di Pataportiani, un insieme di edifici veramente particolare, che riunisce su 2 piani ben 5 chiese, quattro poste al piano inferiore e una (Panagia Paraportiani) a quello superiore. Mykonos offre poi una serie di location perfette per foto indimenticabili, a partire dalla zona della cosiddetta "Little Venice" ("Piccola Venezia"), cos� chiamata perch� con le sue costruzioni dall'architettura caratteristica con i balconi affacciati sul mare ricorda lo scenario della citt� lagunare veneta. Poco distante � possibile ammirare un altro dei segni caratteristici dell'isola, i mulini a vento, strutture che ricordano il passato produttivo dell'area e che ora, con la loro sagoma alta e cilindrica che si staglia sul mare, sono diventati uno dei simboli della localit�: la scenografia perfetta per osservare un tramonto da ricordare. Atmosfere poetiche che a Mykonos possono per� andare a braccetto con il piacere dello shopping, che sull'isola ha il polo principale sulla Matoyanni Street, da percorrere per godersi il continuo viavai anche se non si vogliono fare acquisti. Se avete bisogno di una pausa dal ritmo intenso di Chora, una buona destinazione poco distante � Ano Mera, un insediamento che si sviluppa intorno all'antico monastero Panagia Tourliani (XVI secolo). E uno spazio nella vostra vacanza andr� necessariamente dedicato ad alcune delle pi� belle spiagge dell'isola, molte delle quali offrono anche la possibilit� di praticare ogni tipo di sport marino. Non c'� che l'imbarazzo della scelta: partendo da ovest e andando verso est nella parte meridionale dell'isola, Kapari offre una splendida vista sull'isola di Delo; Ornos e Psarou sono adatte anche alle famiglie e a un turismo "tradizionale"; "Paradise" e "Super Paradise" sono invece modaiole e scatenate per gli amanti del divertimento; Agrari � per chi preferisce i luoghi pi� isolati. Pi� a nord, invece, Agios Stefanos � una delle pi� popolari di tutta Mykonos. Il gusto del Kopanisti Una delle specialit� culinarie tipiche di Mykonos � il Kopanisti, un formaggio a pasta molle dal sapore piccante che pu� essere il protagonista di un aperitivo che normalmente prevede di spalmarlo su pane croccante accompagnandolo con pomodori o cetrioli, magari arricchendo il tutto con un bicchiere di ouzo, la classica acquavite greca. Il Kopanisti si ottiene dalla fermentazione controllata e ripetuta di un formaggio misto (di capra e pecora), che dopo la stagionatura viene tradizionalmente conservato in un vaso di terracotta o vetro. La storia rivive a Delo A sole tre miglia da Mykonos, facilmente raggiungibile con delle imbarcazioni, c'� un'isola che � un vero tesoro archeologico a cielo aperto. Si tratta di Delo, che secondo la leggenda ha dato i natali agli Dei Apollo e Artemide ed � stato un centro religioso e politico di riferimento nell'antichit�. Qui, in particolare da fine XIX secolo, scavi archeologici hanno portato alla luce reperti di inestimabile valore che rendono questa localit� imperdibile per gli amanti della storia. Delo ospita anche un interessante museo archeologico, che vanta una collezione di straordinaria importanza. Giovanni Soldini: che cosa insegna il vento (di Giorgio Terruzzi, "Focus" n. 320/19) - "� energia. Qualcosa che ha a che fare con l'animo umano e che avr� a che fare sempre di pi� con le fonti rinnovabili" - "Quando penso al vento, la prima parola che mi viene in mente � freschezza. Ci� che rende gradevole la vita. Freschezza, certo, ma anche energia. Una specie di benzina utile che ti permette di muoverti, di andare lontano". � il suo ingrediente preferito. Con il vento, Giovanni Soldini attraversa i mari del mondo da una vita, stabilisce record, consuma azzardi e traguardi, seguendo un'aspirazione che non arretra, lo spinge a partire in continuazione, adesso che di anni ne ha 53, come allora, quando era un bambino mosso da un formidabile desiderio di indipendenza. Vele issate, gonfiate, strappate; la prua che taglia e batte, nodi per miglia, per chilometri, una sfida infinita. Basta guardarlo: sono disegnate dal vento le sue rughe, gli occhi; � nel vento che si muove, che fatica e gode. Calli sulle mani, aria tra i capelli, anche quando si ferma dentro un porto, a Sarzana dove abita, a Milano dove � nato. E se cerca nella memoria una prima spinta, un primo movimento, compare una immagine nitida e certa, al pari di una rotta del destino. "Penso di aver avuto sette anni, forse meno. Estate e vacanze sul Lago Maggiore. C'era una piccola barca, la osservavo e la desideravo, ero preso da una precoce, fortissima attrazione perch� l'idea di trasformarla in un mezzo di trasporto solo mio mi elettrizzava da matti. A quell'et�, da solo, non puoi fare quasi nulla. Invece, cos� ero gi� in viaggio, libero, indipendente. Una esplorazione magica, una sensazione meravigliosa". - "Sentire" il vento cosa significa esattamente? "� una esperienza che ha a che fare con i cinque sensi, tutti. Intanto il vento lo vedi, attraversa l'orizzonte, cambia il panorama, ogni previsione, i tuoi programmi. E lo senti, lo senti sempre: nelle orecchie, sulla pelle. Genera una sorta di equilibrio da proteggere e conservare. Se stai in mezzo al mare, ti permette di annusare la terra anche quando non vedi altro che acqua e onde. Preannuncia una costa. � una questione di odore. E, di solito, la terra, trasportata dal vento, puzza". - Poi capita che il vento manchi... "Eh, capita eccome. E tocca aspettare, qualche volta pregare. Anche se � raro che manchi del tutto. In ogni caso tocca fare con quello che hai. Se vai in barca impari a non buttare mai via niente, a cominciare proprio dal vento". - E quando invece � forte, fortissimo, una furia? "Stessa cosa, bisogna trovare un modo per conviverci, per gestirlo, accettando anche di essere in bal�a del vento. Qualche volta fa proprio impressione. Penso che non ci sia un limite, una misura massima descrivibile. Qualche mese fa il mio trimarano era ormeggiato a La Spezia, strapazzato da un vento a 90 nodi. La barca sembrava stesse filando in una burrasca anche se era ferma, all'ancora. Ho girato un breve filmato, chi lo ha guardato era convinto stessi navigando chiss� dove e come. Il vento � davvero una forza straordinaria, pu� spingerti anche senza una sola vela issata. Basta l'albero, talvolta, per muoversi". - A proposito di equilibrio: esiste una condizione perfetta, semplicemente ottimale? "Certo: vento in poppa, al traverso, qualche volta di bolina. Terra sottovento, la barca che fila veloce. � una questione di intensit� del vento, in armonia con quella del mare. Durante la regata da Hong Kong a Londra, lo scorso anno, abbiamo avuto giornate fantastiche, quasi perfette. Significa essere molto, molto veloci senza troppi rischi. Questa relazione tra mare e vento � sempre preziosa e propizia. Dipende dalla conformazione delle coste. Alle isole Cicladi, in Grecia, per esempio, il mare non fa in tempo a montare, anche quando il vento si alza". - Andare controvento. Capita anche questo. In mare, come nella vita... "Certo. Il che vuol dire raddoppiare gli sforzi, moltiplicare la fatica. In aggiunta, tutto � sotto stress. Uomini e mezzi. Con il rischio di spezzare qualcosa. Anche se poi capita che a spaccare un timone o uno scafo, sia qualcosa che transita in mare, abbandonato per incuria. Uno scaldabagno, per esempio: a noi � successo. In mare c'� di tutto e navigando hai una misura spaventosa dei danni prodotti dall'uomo sull'ambiente". - A furia di navigare, lei mantiene una relazione con il vento a tempo pieno? Anche quando dal mare � lontano? "S�, per me � come un riflesso condizionato, attivo in permanenza. Esco da un palazzo, da un ristorante, dall'automobile e avverto, misuro, faccio un calcolo rapido, anche se non c'� mare, non c'� da navigare". - Nella medicina cinese il vento indica cambiamento. Il significato ha a che fare con una metafora tipica della nostra cultura. Sto domandando del vento interiore. Cosa accade tra la testa, la pancia, il cuore? "Ancora una volta penso che la parola adatta sia energia. Qualcosa che ha a che fare con l'inquietudine per un verso e con il gusto di vivere dall'altro. Questo tipo di vento � ci� che mi permette di tirar fuori una natura, il mio modo, i miei sentimenti e le mie aspirazioni, una specie di condizione esistenziale necessaria. Che elimina, possibilmente, le preoccupazioni inutili, il superfluo, ci� che non serve per cercare di andare avanti". - Ma lei, con il vento, parla? "Ogni tanto s�. Esortazioni pi� che altro: d�i, fai il bravo. Il tono � amichevole ma, quando capita, spero davvero che mi ascolti. Il fatto � che, come ho detto, non c'� fondo in questa relazione e le manifestazioni sono spesso sorprendenti. � accaduto pi� volte. Durante il mio primo giro del mondo, nell'oceano Indiano, a sud-est di Capo di Buona Speranza avvenne un cambio di fronte repentino e impressionante: una fucilata, letteralmente, tre giorni di delirio totale. E non abbiamo parlato della densit� del vento, che � un tema molto importante per chi naviga perch� cambia il "peso" del vento: pi� ti allontani dall'Equatore, pi� il vento � pesante e aumenta la spinta". - Non abbiamo parlato nemmeno del vento come una minaccia. Rischi, pericoli, paura? "Non credo sia diverso per chi il vento lo sente stando a terra. Ciascuno di noi rischia, cerca di schivare un pericolo, prova paura. Ci si pu� fare male scendendo una scala o attraversando una strada". - Dunque, nessuna controindicazione. Il vento � semplicemente una risorsa? "Straordinaria direi. Ormai una barca riesce a filare a 46 nodi con soli 20 nodi di vento. � un po' lo stesso di quanto accade con i sistemi di energia eolica. Se pensiamo alle caravelle di Cristoforo Colombo, i margini di progresso risultano enormi e per molti versi infiniti. Nel vento sta una rivoluzione preziosa. Sogniamo tutti navi a vela, fantasticando tra le antiche imbarcazioni dei Fenici e i transatlantici di oggi. La verit� � che avremo altre scoperte, altre sorprese. Navi a vento, ecco. Navi che si muovono come kitesurf. Qualcuno ci sta pensando da tempo. Sar� un'autentica rivoluzione. Pulita quanto urgente e necessaria". Enrico Ruggeri: suonare mi fa stare bene (di Alberto Rivaroli, "Tv sorrisi e canzoni" n. 20/19) Ci siamo dati appuntamento nel suo studio di registrazione, a due passi dall'aeroporto milanese di Linate. Enrico Ruggeri ha la solita aria tranquilla, ma quando comincia a parlare di musica gli si illuminano gli occhi. Avete presente "Quelli che...", il brano in cui Enzo Jannacci prendeva in giro "quelli che cantano dentro nei dischi perch� c'hanno i figli da mantenere"? Ecco, Enrico � esattamente il contrario: ha alle spalle 46 anni di carriera, oltre 30 album e pi� di 3.000 concerti, eppure d� ancora l'idea di uno che, pur di fare musica, pagherebbe di tasca propria. A scatenare il suo entusiasmo oggi � "Alma", il suo nuovo disco che sta portando in giro per l'Italia. - Enrico, ha definito il nuovo album uno dei progetti pi� importanti della sua vita. Perch�? "Mi piace molto, e poi non vedevo l'ora di inciderlo. Non mi era mai successo di far passare tre anni tra un disco e l'altro: � vero che nel frattempo ci sono stati la reunion dei Decibel (il gruppo che fond� nel 1977, ndr), due tour e due Festival di Sanremo, ma cominciava a mancarmi una nuova creatura". - E il risultato �... "Un disco all'antica: entravamo in studio e suonavamo, punto. Altro che effetti speciali e diavolerie tecnologiche: una sorta di live in studio". - Stavolta dire che ha fatto le cose in famiglia non � un modo di dire. Il primo singolo, "Come lacrime nella pioggia", � una coproduzione con suo figlio Pier Enrico, in arte Pico Rama. "� stata una bella soddisfazione: lui aveva scritto la musica e me l'ha fatta ascoltare, a me � piaciuta e cos� le ho cucito addosso il testo. Non abbiamo lavorato gomito a gomito, ma il risultato mi soddisfa". - Nel brano "Un pallone", invece, c'� un duetto con Ermal Meta. "Ho invitato Ermal perch� lo sento simile a me: anche lui viene da una band, scrive spesso con altri artisti, non sa stare fermo un attimo ed � una mente in perenne fermento". - Nel brano scritto con Pico lei canta: "Apparentemente niente resta di noi". Con il passare degli anni sta diventando malinconico? "Beh, la paura di non lasciare nulla dietro di s� fa parte della mia et�. Non esagero, per�. Fin da quando ho iniziato ho capito subito due cose: che non avrei riempito lo stadio di San Siro e che non sarei mai sparito. Direi che non mi sono sbagliato. La cosa pi� importante � stata poter realizzare il sogno di fare musica, soprattutto dal vivo. Ho superato quota 3.000 concerti, e non intendo fermarmi". - Ha sempre avuto un rapporto difficile con le regole del mercato discografico. "� vero, ma ormai ho capito che bisogna accettarle anche quando non ti premiano. So che certi successi pi� commerciali mi hanno permesso di far conoscere cose di me che altrimenti nessuno avrebbe incontrato. Vendere tanti dischi, oltre ai soldi mi ha dato soprattutto la libert� di fare quello che volevo. Trent'anni fa sono stato il primo a fare un tour con un'orchestra, e pazienza se qualcuno veniva solo per vedere "quello che aveva vinto Sanremo con Gianni Morandi e Umberto Tozzi". L'importante era che ogni sera facevo il tutto esaurito". - Per festeggiare "Alma" si � inventato addirittura un doppio tour... "S�, uno acustico e uno elettrico. Il primo � destinato ai teatri, con il palco che in pratica � un salotto, con piano a coda ma senza chitarra elettrica n� batteria. L'altro sprigiona pi� energia, e sar� quello che proseguir� per tutta l'estate. Gliel'ho detto, se non suono mi sento male".