Giugno 2020 n. 6 Anno L MINIMONDO Periodico mensile per i giovani Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registrazione 25-11 1971 n. 202 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Pietro Piscitelli Massimiliano Cattani Luigia Ricciardone Copia in omaggio Rivista realizzata anche grazie al contributo annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del MiBACT. Indice A 10 anni dalla firma del Protocollo d'intesa con l'Associazione Italiana degli Editori il libro scolastico digitale: lo stato dell'arte Che rottura l'adolescenza Se non ci fossero i colori Iodio, dal mare il minerale amico della salute Shakespeare il manipolatore Anguria, una dolce fetta d'estate Melting pot Mauritius Pierfrancesco Favino si racconta A 10 anni dalla firma del Protocollo d'intesa con l'Associazione Italiana degli Editori il libro scolastico digitale: lo stato dell'arte (di Pietro Piscitelli) L'uso del personal computer tra i giovani minorati della vista - anche grazie alle nuove e pi� prestazionali periferiche speciali - � cresciuto in maniera esponenziale. La Biblioteca "Regina Margherita" si � trovata a fronteggiare una richiesta sempre crescente di testi di studio in versione digitale per affiancare o sostituire il testo cartaceo. Per rispondere a questa richiesta la Biblioteca "Regina Margherita" ha istituito il "servizio nazionale del libro informatico" che provvede, secondo la richiesta dello studente, alla distribuzione di testi in formato PDF, DOC per non vedenti e DOC per ipovedenti. Il formato PDF � esattamente quello fornito dall'Editore. Il formato DOC per non vedenti � un file convertito dal PDF dell'Editore in DOC e adattato alla lettura con il sintetizzatore vocale o con il display Braille. Il formato DOC per ipovedenti � un file convertito dal PDF dell'Editore in DOC e adattato alla lettura con il personal computer e con il software ingrandente; senza immagini ma conservando il colore e, quando possibile, la struttura delle tabelle e dei grafici. Il primo aspetto che si intende evidenziare � quello della risposta degli Editori alla richiesta di file provenienti dalla Biblioteca desumibile dalla seguente tabella. Tabella 1 - Richieste avanzate ai principali Editori e loro risposte: De Agostini - File richiesti: 129; File ricevuti: 127; Fornitura: 98,45%; Tempo minimo: giorni 1; Tempo massimo: giorni 36. Eli - File richiesti: 59; File ricevuti 58; Fornitura: 98,31%; Tempo minimo: 1; Tempo massimo: 143. Giunti - File richiesti: 34; File ricevuti: 34; Fornitura: 100,00%; Tempo minimo: 1; Tempo massimo: 57. Il Capitello - File richiesti: 32; File ricevuti: 32; Fornitura: 100,00%; Tempo minimo: 1; Tempo massimo: 28. La Scuola - File richiesti: 107; File ricevuti: 97; Fornitura: 98,65%; Tempo minimo: 1; Tempo massimo: 223. Loescher - File richiesti: 87; File ricevuti: 83; Fornitura: 95,40%; Tempo minimo: 1; Tempo massimo: 141. Mondadori Education - File richiesti: 149; File ricevuti: 142; Fornitura: 95,30%; Tempo minimo: 1; Tempo massimo: 96. Pearson - File richiesti: 187; File ricevuti: 183; Fornitura: 97,86%; Tempo minimo: 1; Tempo massimo: 90. Principato - File richiesti: 29; File ricevuti: 27; Fornitura: 93,10%; Tempo minimo: 1; Tempo massimo: 111. Raffaello - File richiesti: 16; File ricevuti: 15; Fornitura: 93,75%; Tempo minimo: 1; Tempo massimo: 23. Rizzoli - File richiesti: 103; File ricevuti: 96; Fornitura: 93,20%; Tempo minimo: 1; Tempo massimo: 84. Esselibri Simone - File richiesti: 15; File ricevuti: 14; Fornitura: 93,33%; Tempo minimo: 9; Tempo massimo: 98. Wolters Kluivert - File richiesti: 26; File ricevuti: 24; Fornitura: 92,31%; Tempo minimo: 1; Tempo massimo: 64. Zanichelli - File richiesti: 169; File ricevuti: 167; Fornitura: 98,82%; Tempo minimo: 1; Tempo massimo: 37. Totali - File richiesti: 1.141; File ricevuti: 1.099; Fornitura: 96,31%; Tempo minimo: 1; Tempo massimo: 223. L'attenzione � subito attratta da tre dati generali. a) la lusinghiera risposta dei grandi gruppi Editoriali che ormai soddisfano oltre il 96% delle richieste; b) i tempi di risposta non sempre pienamente soddisfacenti; c) 42 libri non sono disponibili e non possono essere forniti in versione digitale. Pi� complessa � la situazione con i piccoli Editori con i quali si fa molta pi� fatica e da cui, a volte, riceviamo risposte parziali e tardive. C'� anche un piccolo gruppo di Editori che continuano a rifiutarsi di concedere i file che vengono richiesti (circa 80 testi ogni anno). � opportuno sottolineare come il rapporto con l'Associazione Italiana degli Editori vada sempre pi� migliorando, e che sono allo studio o in fase di avanzata realizzazione anche alcune importanti iniziative comuni per migliorare la qualit� e la gamma dei servizi offerti. Un altro aspetto riguarda le "preferenze" degli studenti in relazione all'ordine di scuola frequentato, che si evince dalla tabella seguente nella quale vengono illustrate tutte le richieste di libri di testo nelle diverse versioni (sia cartaceo che digitale) pervenute alla Biblioteca. Tabella 2 - Richieste di trascrizione pervenute alla Biblioteca "Regina Margherita": Scuola Primaria - Testo cartaceo: Alunni 327; Percentuale 81,95%; Testo digitale: Alunni 72; Percentuale 18,05%; Totale alunni che hanno fruito dei libri: 399. Scuola Secondaria I grado - Testo cartaceo: Alunni 65; Percentuale 16,13%; Testo digitale: Alunni 338; Percentuale 83,87%; Totale alunni che hanno fruito dei libri: 403. Scuola Secondaria II grado - Testo cartaceo: Alunni 438; Testo digitale; Alunni 986; Totale alunni che hanno fruito dei libri: 1.367. � di tutta evidenza che nella scuola secondaria il testo digitale � il prevalente strumento di studio tra gli alunni minorati della vista. Si ritiene utile segnalare anche un complementare vantaggio della scelta di studiare su testi digitali, dato che emerge dalla tabella seguente. Tabella 3 - Tipologia dei testi distribuiti: Cartaceo - Totale alunni: 438; Totale testi: 2.231; Media testi per alunno: 5,09%. Digitale - Totale alunni: 986; Totale testi: 10.057; Media testi per alunno: 10,12%. Ne discende che per gli alunni che scelgono il testo digitale � disponibile un'offerta formativa doppia rispetto a quanti scelgono la versione cartacea. Certo l'accessibilit� e l'autonoma fruibilit� dei testi digitali - specialmente per alcune tipologie - non � ancora sufficiente. Per tutti i testi manca un adeguato accesso alla componente iconografica, per i testi scientifici anche un semplice accesso alla simbologia specifica; problemi questi su cui si sta lavorando ma su cui � necessario fare rete per unificare gli sforzi, i tentativi e le sperimentazioni che da molte parti si stanno compiendo. Occorre intervenire anche nel processo di creazione del prodotto/libro per introdurre specifici accorgimenti che poi consentano un pi� semplice adattamento del file alle esigenze del non vedente, e questo � un argomento delicato che richiede un percorso complesso e l'investimento di importanti risorse finanziarie. Sar� anche necessario stimolare la ricerca per nuovi applicativi che consentano il riconoscimento e l'acquisizione di tutte le simbologie presenti in un testo, anche di quelle altamente specifiche come quelle del greco antico, dell'arabo, ecc. Tuttavia si pu� affermare che il percorso compiuto e le conquiste ormai acquisite che ci sono alle spalle, non sono marginali e, seppure con difficolt�, consentono agli studenti minorati della vista di tenere il passo con i loro coetanei. Ne sono piena dimostrazione i risultati di un sondaggio recentemente realizzato dalla Biblioteca "Regina Margherita" in modalit� "anonima" su uno statisticamente significativo campione di utenti (ha risposto il 34,58% dei fruitori del servizio) che si riporta nella tabella seguente. Tabella 4 - Risultati del questionario (sintesi): Il questionario � compilato da: - Genitore: Risposte 222; Percentuale su 341: 65,10%; - Scuola: Risposte 48; Percentuale: 14,08%; - Utente: Risposte 55; Percentuale: 16,13%; - Altro: Risposte 16; Percentuale: 4,69%; - Totale: Risposte 341. - Utente ipovedente: Risposte 234; - Utente cieco: Risposte 107. Scuola frequentata: - Scuola Primaria: Risposte 21; Percentuale su 341: 6,16%; - Scuola Secondaria I grado: Risposte 114; Percentuale: 33,43%; - Scuola Secondaria II grado: Risposte 168; Percentuale: 49,27; - Universit�/Libero professionista: Risposte 38; Percentuale: 11,14%; - Totale: Risposte 341. Tipo di ausilio informatico utilizzato (Risposta multipla): - Sintesi vocale: Percentuale su 341: 37,43%; - Barra Braille: Percentuale: 20,77%; - Software ingrandente: Percentuale: 27,54%; - Altro: Percentuale: 14,22%. I file forniti le risultano di semplice utilizzo? - S�: Risposte 244; Percentuale su 335: 72,84%; - No: Risposte 4; Percentuale 1,19%; - Abbastanza: Risposte 72; Percentuale 21,49%; - Non molto: Risposte 13; Percentuale 3,88%; - Altro: Risposte 2; Percentuale 0,60%; - Non risponde: Risposte 6; Percentuale 1,79%; - Totale: Risposte 335; - Positivi (s� pi� abbastanza): Risposte 316; Percentuale: 94,33%; - Negativi (no pi� non molto): Risposte 17; Percentuale: 5,07%. I tempi di fornitura dei file sono adeguati alle sue esigenze? - S�: Risposte 154; Percentuale su 333: 46,25%; - No: Risposte 26; Percentuale 7,81%; - Abbastanza: Risposte 129; Percentuale 38,74%; - Non molto: Risposte 20; Percentuale 6,01%; - Altro: Risposte 4; Percentuale 1,20%; - Non risponde: Risposte 8; Percentuale 2,40%; - Totale: Risposte 333; - Positivi (s� pi� abbastanza): Risposte 283; Percentuale 84,98%; - Negativi (no pi� non molto): Risposte 46; Percentuale 13,81%. Ritiene adeguata la qualit� delle opere realizzate? - S�: Risposte 258; Percentuale su 330: 78,18%; - No: Risposte 3; Percentuale 0,91%; - Abbastanza: Risposte 63; Percentuale 19,09%; - Non molto: Risposte 5; Percentuale 1,52%; - Altro: Risposte 1; Percentuale 0,39%; - Non risponde: Risposte 11; Percentuale 3,33%; - Totale: Risposte 330; - Positivi (s� pi� abbastanza): Risposte 321; Percentuale 97,27%; - Negativi (no pi� non molto): Risposte 8; Percentuale 2,42%. � un buon risultato che per� non deve illudere: la strada per la piena autonomia nello studio e nel lavoro attraverso il computer � ancora lunga e irta di difficolt�. Per sintetizzarla con una sola frase si pu� dire che "qualcosa � stato fatto ma... molto c'� ancora da fare". Che rottura l'adolescenza (di Aldo Carioli, "Focus" n. 330/20) - � fase complessa della vita perch� spartiacque tra infanzia ed et� adulta. Ma in ogni epoca ha avuto caratteristiche diverse - "Ricordo anch'io quel tempo beato in cui � appena finita l'infanzia, e da quel cerchio immenso, fortunato e gaio, il cammino si fa sempre e sempre pi� angusto". Il "cammino angusto" � l'adolescenza e a parlare � Anna Karenina, giovane protagonista dell'omonimo romanzo di Lev Tolstoj. All'epoca (1877) l'adolescenza durava pochissimo, oggi sembra non finire mai. "L'adolescenza inizia con le prime manifestazioni della maturit� sessuale e termina con il raggiungimento a livello sociale dello stato di adulto indipendente", spiega David G. Myers dell'Hope College (Michigan, Usa) nel suo Psicologia generale (Zanichelli). Lo studioso americano per� aggiunge: "Questo significa che in alcune culture, nelle quali i ragazzi al di sotto dei vent'anni si mantengono gi� da soli, l'adolescenza quasi non esiste". In questa "et� di mezzo", infatti, natura e cultura si intrecciano, come dimostra la sua storia. Per gli storici della psicologia l'adolescenza ha uno "scopritore": l'americano George Stanley Hall (1846-1924). Nel 1904 Hall pubblic� un saggio chilometrico fin dal titolo: Adolescenza. La sua psicologia e la sua relazione con la fisiologia, l'antropologia, la sociologia, il sesso, il crimine, la relgione e l'istruzione. Da allora questa fase della vita divent� una categoria universale, valida per tutti i popoli e tutte le epoche. Ma � davvero cos�? "� un dibattito aperto", spiega Gabriella Seveso, docente di Storia della pedagogia e delle istituzioni educative all'Universit� di Milano Bicocca. "Ovviamente l'evidenza biologica dei cambiamenti legati alla maturit� sessuale � riconosciuta da tutte le civilt�. La maggioranza degli studiosi oggi ritiene per� che l'adolescenza, nei suoi aspetti psicologici e sociali, sia soprattutto un'et� "percepita"". Nel Settecento, Rousseau la collocava tra i 15 e i 20 anni, definendola una "tempesta" delle emozioni e una "seconda nascita" sociale. "Ma soltanto dall'Ottocento, con l'affermazione della famiglia borghese, l'adolescenza fu riconosciuta come un'et� con caratteristiche e bisogni peculiari", sottolinea Gabriella Seveso. Si tratta quindi di un "confine mobile", con caratteristiche diverse nelle diverse epoche. Su una cosa le fonti antiche sembrano concordare: i teenager possono essere turbolenti. Lo scrivevano gi� i Caldei della Mesopotamia, 4-mila anni fa: "La nostra civilt� � persa se si lasciano continuare le azioni inaudite delle nostre giovani generazioni". Due millenni pi� tardi, in Grecia, Aristotele annotava: "I giovani hanno robuste passioni che tentano di soddisfare indiscriminatamente. Tra i desideri del corpo quello sessuale � quello che pi� di tutti li domina e nel quale essi danno prova di mancanza di autocontrollo". I riti di passaggio dall'infanzia all'et� adulta, nelle antiche civilt�, nelle societ� tradizionali ma anche in quelle moderne, potrebbero essere nati per imbrigliare la "mancanza di autocontrollo". "Secondo gli studi pi� recenti, i pericolosi salti sui tori, rappresentati a Creta negli affreschi della civilt� minoica (1500 a.C. circa), sono tra i pi� antichi esempi di questi riti di passaggio verso una nuova fase della vita", dice la professoressa Seveso. Nella Grecia classica, i riti riservati agli adolescenti dei ceti elevati erano diversi per maschi e femmine. "Ad Atene, i ragazzi partecipavano a gare di nuoto che erano una sfida ai loro limiti e un modo per essere riconosciuti come adulti", continua l'esperta. I Greci antichi, del resto, per indicare una persona giovanissima o immatura dicevano: "non sa leggere n� nuotare". Verso i 18 anni per i teen-ager greci cominciava poi il periodo dell'efeb�a, che durava circa due anni. "L'efeb�a sub� un'evoluzione nel tempo: in et� classica era un vero percorso di iniziazione, ma in epoca ellenistica (dal III secolo a.C.) divent� una forma di addestramento militare". Anche le ragazze greche avevano i loro riti di passaggio. "Prima del matrimonio, in alcune citt�, si tagliavano i capelli e ne donavano una ciocca a una divinit�, diversa per ogni polis", spiega ancora Seveso. "Separarsi da una parte del corpo simboleggiava la rinuncia all'infanzia e il cambiamento fisico". A Sparta, verso i 12 anni i ragazzi cominciavano invece ad allenarsi in prove di coraggio e di forza per abituarsi alla vita militare: avevano zero diritti e dovevano subire il "bullismo" dei pi� grandi. Infine, entravano nella misteriosa krypteia (dal greco antico kryptein, "nascondere"): un gruppo di giovani che veniva relegato per un anno fuori dalle mura cittadine. Dovevano cavarsela da soli, nel caso uccidendo gli schiavi Iloti. "Anche le giovani spartane entravano nell'et� adulta partecipando a gare rituali: a Sparta ragazze e donne erano molto pi� indipendenti e si sposavano molto pi� tardi che ad Atene, dove invece non godevano di nessun diritto". Nella Roma antica si restava puer (bambino) finch� si indossava la bulla, un medaglione (d'oro per i ricchi e gli aristocratici, di cuoio o stoffa per gli altri) contenente degli amuleti. L'equivalente femminile era la lunula, una falce di luna da appendere al collo. L'abbandono di bulla e lunula avveniva a marzo, durante la festa dei Liberalia dedicati a Bacco. "Verso i 17-18 anni, i maschi romani indossavano la toga da adulto", racconta Gabriella Seveso. "Ma esisteva - per le classi pi� elevate - un ulteriore passaggio, il tirocinium, nel quale si faceva pratica della futura professione, per esempio quella di oratore nel Foro, con un tutor al quale si rimaneva poi legati per tutta la vita". Se Liberalia e tirocinium segnavano l'adolescenza maschile romana, per i figli dei signori feudali, nel Medioevo, il momento del distacco arrivava gi� intorno ai 10 anni. I cadetti, cio� i figli minori del nobile, prendevano confidenza con il mestiere delle armi mettendosi al servizio di un cavaliere come scudiero. L'adolescenza finiva con la cerimonia dell'investitura a cavaliere. "I giovani medievali delle classi pi� umili entravano invece nel mondo adulto attraverso l'apprendistato", prosegue l'esperta. "Per esempio lavorando nella bottega di un artigiano o di un artista, come nel Rinascimento. L'artigiano riceveva dai genitori del ragazzo l'incarico, spesso scritto, di insegnare il mestiere, ma anche le norme morali della vita adulta". Una cosa accomunava l'adolescenza nei secoli passati e la differenziava da quella dei Paesi avanzati di oggi: durava poco. "Per le ragazze", sottolinea Gabriella Seveso, "era brevissima o del tutto inesistente. Il matrimonio avveniva poco dopo la pubert�, in quasi tutte le epoche verso i 15-16 anni, con un uomo che non di rado aveva il doppio degli anni. Con le nozze la ragazza passava direttamente dall'infanzia all'et� adulta, senza fasi intermedie". La differenza pi� profonda tra adolescenti di ieri e di oggi � per� un'altra: la rivolta contro i genitori non era prevista. "Nella Roma antica il pater familias era un'autorit� assoluta, che non lasciava nessuno spazio di ribellione ed esercitava il diritto di vita e di morte sui figli, anche da adulti", spiega Gabriella Seveso. Se questo valeva per i maschi, figuriamoci per le ragazze. Per secoli le adolescenti pi� riottose hanno sub�to punizioni corporali, sono finite in convento o segregate nei castelli. Nel 1692 a Salem (Massachusetts) il comportamento inspiegabilmente "ribelle" di un gruppo di 17-20enni innesc� una famigerata caccia alle streghe. Le poche eccezioni non a caso sono passate alla storia: quella dell'influente mecenate del Rinascimento Isabella d'Este sposa di Francesco Gonzaga a 16 anni, o quella di Giovanna d'Arco, che "travestita" da cavaliere liber� la citt� di Orl�ans, anche lei a 16 anni. "In generale, nel passato l'adolescenza era una fase di adeguamento alla societ�, non di affermazione della personalit�", conclude Seveso. L'immagine del giovane che si contrappone al mondo degli adulti � dunque recente. Ha origine negli anni Venti, ma diventa un fenomeno sociale di massa nel secondo dopoguerra, all'epoca del film Giovent� bruciata (1955) e poi con gli anni Sessanta, da allora "i giovani" sono materia di studio per psicologi e sociologi specializzati. Che hanno dimostrato una cosa: come dice Anna Karenina, diventare adulti non � mai (stata) un'impresa facile. Se non ci fossero i colori (di Elena Meli, "Focus" n. 332/20) - Vogliamo parlare di quante cose ci perderemmo? I paesaggi, il blu del mare e del cielo, l'arte... - Le foto in bianco e nero paiono eleganti anche quando il soggetto � banale, i film in toni di grigio incantano con la loro atmosfera fuori dal tempo. Ma succede perch� possiamo girare lo sguardo e riempirci gli occhi dei colori del mondo: una vita senza colore sarebbe proprio quel che sembra, parecchio monotona e triste anche al netto di qualche piccolo vantaggio (vestirsi al mattino sarebbe pi� facile anche per i meno avvezzi allo stile). Sar� stato forse per sfuggire alla noia che il nostro cervello si � "inventato" i colori? Gi� perch� giallo, rosso, blu e tutte le sfumature possibili in realt� non esistono in senso stretto, non sono cio� una caratteristica intrinseca della materia: il colore � il frutto della percezione, il risultato dell'elaborazione cerebrale della luce che arriva sulla retina. Una nostra sensazione, insomma, tanto che non tutti vedono gli stessi colori, non solo perch� esiste il daltonismo o perch� l'occhio invecchiando ne "vira" alcuni, ma soprattutto perch� li definiamo e percepiamo diversi sulla base di influenze sociali, emotive e personali: cos� quello che a me sembra un verde grigiastro un altro lo definisce blu, e cos� via. A voler essere precisi, poi, il colore di un oggetto � proprio quello che non ha: la luce infatti colpisce le cose venendo in parte assorbita, in parte riflessa e ci� che percepiamo come colore � proprio l'onda luminosa "rimbalzata" via da quel che ci circonda. Dovremmo perci� semmai chiederci cosa succederebbe se non avessimo sviluppato la capacit� di distinguere i colori, se potessimo solo percepire differenze di luminosit� e toni di grigio. Se cio� tutti avessimo l'acromatopsia, una malattia genetica rara in cui non funzionano i coni, i recettori retinici che "sentono" i colori: in Italia si stimano circa 2.000 acromati, ma... e se fin dalla notte dei tempi questa fosse stata la condizione umana normale? Intanto, forse noi stessi saremmo diversi: succede in tutti gli animali e anche nell'uomo, quando un senso non � il massimo si potenziano gli altri. Un deficit visivo come l'incapacit� di vedere i colori perci� ci avrebbe probabilmente portato a sviluppare un super-orecchio, o magari avremmo potuto sentire se un frutto � buono da mangiare solo sfiorandolo con un dito. L'abilit� umana di discriminare i colori � superiore a quella di qualsiasi altro animale, e si � sviluppata perch� ci serviva per sopravvivere, come spiega il neuropsicologo britannico Nicholas Humphrey: "La Terra � uno dei pianeti pi� colorati e i pigmenti derivano dalla materia organica, piante e animali. Alcuni elementi, come il sangue rosso o le foglie verdi, erano gi� casualmente colorati prima che nascesse la visione del colore, che quasi certamente si � evoluta per scoprire e interpretare i messaggi cifrati della natura: i pigmenti di fiori, frutti, piume di uccelli e simili hanno infatti tre funzioni principali, attirare l'attenzione, colpire le emozioni o dare informazioni. � improbabile per� che la capacit� di vedere a colori sia nata per riconoscere l'erba o la carne come cibi: gli animali solo erbivori o carnivori non sempre vedono in technicolor". Capacit� invece parecchio utile a un animale onnivoro come l'uomo, che doveva capire di che cosa nutrirsi senza correre rischi e come schivare i pericoli presenti in un ambiente molto pi� variegato rispetto a quello di gran parte delle altre specie: lo ha confermato uno studio della Sissa di Trieste, secondo cui � proprio il colore dei cibi a guidarci nella scelta di cosa mangiare (il rosso per esempio ci piace perch� si associa a cibi nutrienti, con il verde invece pensiamo ad alimenti poco calorici). Senza la visione a colori, quindi, il nostro percorso nel mondo sarebbe stato molto pi� accidentato perch� ci saremmo avvelenati assai pi� spesso e saremmo stati meno in grado di scorgere le minacce: si stima che l'uomo possa distinguere milioni di colori ma solo poche decine di toni di grigio e cos�, anche se forse saremmo diventati abilissimi a riconoscere le sfumature cineree, avremmo perso un bel po' della capacit� di discernimento fine dell'ambiente circostante, cacciandoci in parecchi guai. Supponiamo per� che fossimo riusciti lo stesso a cavarcela. Vivere in bianco e nero ci avrebbe resi pi� simili fra noi e anche pi� tristi: il rischio di depressione, malattia che in alcune forme stagionali si pu� affrontare anche con terapie basate sulla luce, sarebbe pi� alto. E non vivremmo forse allo stesso modo le emozioni, che associamo ai colori in maniera quasi inestricabile. Stando a studi condotti su dipinti, per esempio: "La percezione dei contenuti emotivi di un'opera dipende molto dalle sue caratteristiche cromatiche: colori brillanti evocano emozioni positive, tinte scure ne inducono di negative. Un'associazione fra colore ed emozioni che potrebbe dipendere da connessioni specifiche nel cervello", spiega Vittorio Gallese, neuroscienziato dell'Universit� di Parma. Il verde ci calma, il rosso ci agita: se vedessimo in una scala di grigi forse saremmo pi� abulici, inoltre la vita sociale sarebbe meno decifrabile perch� il colore ha significati simbolici precisi, anche se diversi nelle varie culture, che usiamo per dare messaggi agli altri (come il rosso per segnalare autorit� o il bianco quando vogliamo indicare purezza). Saremmo forse anche meno empatici perch�, come osserva Gallese: "Un'ipotesi suggerisce che la sensibilit� ai colori si sia evoluta per percepire al meglio il colore della pelle altrui e di conseguenza il grado di eccitamento, di salute e cos� via: vedere a colori servirebbe a una miglior lettura implicita degli altri e quindi a una regolazione automatica delle relazioni sociali". Di sicuro come esseri umani "incolori" avremmo meno mezzi per essere creativi e avremmo costruito un mondo parecchio diverso. Come sottolinea Humphrey, "L'uomo � l'unico animale che applica il colore in posti dove non si sviluppa: per adornarsi, per caratterizzare gli oggetti. L'uso del colore � quasi un marchio della specie umana". Senza, non ci sarebbero l'arte e la fotografia come le conosciamo (Yves Klein non avrebbe inventato il suo blu, n� Tiziano avrebbe dipinto con il suo rosso). E avrebbe poco senso il turismo: in assenza di luoghi e paesaggi variopinti, tanto varrebbe far vacanza nelle strade di citt�. Gioielli e vestiti, se esistessero, dovrebbero puntare tutto su forme e consistenze perch� altrimenti non li distingueremmo; n� avremmo bisogno di gran parte dei cosmetici. Pure per i parrucchieri calerebbe il fatturato, visto che tingersi unghie, labbra, capelli sarebbe inutile. Gran parte del marketing si basa sui colori e le emozioni che evocano (� stato dimostrato che fino al 90% del giudizio che diamo a un prodotto in una r�clame dipende dai colori) per cui pure la pubblicit� dovrebbe reinventarsi. E molti oggetti non esisterebbero: dai pastelli ai semafori, dai segnali stradali ai test medici basati sul cambiamento di colore di reagenti chimici. Altri, come i giocattoli, potrebbero distinguersi solo per forma, materiali, suono. Proprio dalle sensazioni in arrivo da altri organi forse potremmo avere pi� soddisfazioni, perch� se avessimo sviluppato un udito sopraffino saremmo magari tutti fini musicisti. Oppure buongustai, se avessimo super-papille gustative (ma chiss� cosa cucinerebbero gli chef, senza poter distinguere i cibi dai colori). Oppure chiss�, capiremmo che ci manca qualcosa e cercheremmo il modo di vedere comunque i colori, come ha fatto Neil Harbisson, un acromata che si � impiantato in testa una sorta di antenna con cui percepisce le onde elettromagnetiche dello spettro visibile, infrarosso e ultravioletto, finendo cos� per "vedere" perfino pi� di chiunque altro umano. Anche gli animali sarebbero almeno in parte diversi se non vedessimo i colori: abbiamo selezionato molte specie domestiche per il loro manto o piumaggio, cani, gatti, cavalli e galline forse non sarebbero proprio come li conosciamo. E se pure gli animali non percepissero i colori? Andrebbe male soprattutto ai primati, che come noi si sono evoluti mangiando frutta e bacche da riconoscere anche in base al pigmento, e agli uccelli, la cui vita di relazione si basa sulla vista: vedono i colori meglio dei mammiferi e distinguono pure l'ultravioletto, non a caso hanno livree fra le pi� variopinte. Moltissimi animali invece non distinguono i colori e per loro non cambierebbe molto; tantissime altre specie ne vedono solo pochi, quelli indispensabili per la sopravvivenza (gli ultravioletti nel caso di molti insetti, gli infrarossi per i rettili, mentre i gatti per esempio hanno "ceduto" la possibilit� di distinguere bene i colori per avere una visione migliore di notte). Basterebbe per� a cambiare il mondo: i fiori e gli insetti, per dire, si sono evoluti assieme in modo che le corolle policrome attraessero alcune specie e non altre, cos� da garantire la sopravvivenza reciproca. Perci� forse gli insetti sarebbero diventati "nasi" eccellenti per sentire i profumi e i fiori avrebbero dovuto puntare su petali o forme ancora pi� eterogenee; lo stesso sarebbe probabilmente successo a tantissimi animali, che non avendo pi� a disposizione piume o manti variegati per attrarre i partner avrebbero forse uno sfoggio ben pi� cospicuo di palchi di corna, code dalla forma fantasiosa e chiss� che altro. Di certo non ci sarebbero le barriere coralline, dove migliaia di tinte servono per "riconoscersi" e garantire il successo riproduttivo di innumerevoli pesci e coralli, n� gli uccelli variopinti. E non esisterebbe il camaleonte: se nessuno potesse vedere i suoi colori, che senso avrebbe mimetizzarsi? Iodio, dal mare il minerale amico della salute ("RivistAmica" n. 9/19) - Un micronutriente importante per il nostro benessere, da integrare nella dieta con attenzione - Nella tradizione popolare e nei consigli casalinghi lo iodio � da sempre associato al mare e ai suoi effetti benefici. Ed effettivamente questo minerale � legato al mondo marino e ai suoi abitanti che � importante inserire nella nostra alimentazione anche per garantirsi la giusta quantit� di questo micronutriente che ha numerose funzioni utili per l'organismo e si pu� trovare pure in alcuni alimenti "di terra". "Lo iodio � un minerale presente in minima parte nel nostro organismo, se ne trovano infatti soltanto 15-20 milligrammi nella nostra tiroide. Nello specifico, a contenere nella propria struttura lo iodio sono gli ormoni tiroidei T3 e T4 che sono necessari al corretto funzionamento del metabolismo, alla regolazione della temperatura corporea e a favorire la crescita di un bambino, sin dal suo concepimento", spiega la dottoressa Alice Cancellato, nutrizionista di Milano che lavora come libera professionista e collabora con l'IRCCS Ospedale San Raffaele. Un tempo la carenza di iodio era molto frequente in chi viveva lontano dal mare e non a caso il fabbisogno di questo minerale si soddisfa principalmente con alimenti legati proprio al mondo marino, come pesce e alghe. Ma anche latte, uova e carne contengono questo micronutriente, mentre un discorso a parte va fatto per frutta e verdura, che possono essere fonti di iodio se coltivate vicino al mare, poich� assorbono il minerale dal terreno. "E per evitare la carenza di questo elemento nella popolazione, � stato anche diffuso e sostenuto il consumo di sale iodato", aggiunge la nutrizionista. "Le conseguenze di una scarsa assunzione di iodio sono alcune forme di ipotiroidismo (patologie in cui la tiroide � rallentata), che in alcuni casi potrebbero portare ad ammalarsi di gozzo, una patologia in cui la ghiandola tiroidea si ingrossa". Ma non bisogna neppure abusare di alimenti ricchi di iodio, in quanto l'accumulo di questo minerale nel nostro organismo potrebbe causare l'ipertiroidismo, un malfunzionamento della ghiandola tiroidea, che in questo caso lavora troppo. Occorre perci� attenzione, anche perch� "i tiroidismi potrebbero alla lunga portare nei casi pi� gravi all'insorgere di tumori alla tiroide". Per assicurarsi il corretto apporto di iodio, la dottoressa Cancellato consiglia di "seguire un'alimentazione sana e variegata, che resta sempre il miglior modo di soddisfare il fabbisogno di tutti i micronutrienti". Nello specifico, � opportuno assumere 150 microgrammi di iodio al giorno, dose che in gravidanza e allattamento aumenta fino a raggiungere i 220-290 microgrammi: "Una quantit� aggiuntiva che servir� a favorire la crescita cerebrale e la formazione degli ormoni tiroidei del bambino e spesso gi� contenuta negli integratori formulati per le donne in queste fasi della vita". Shakespeare il manipolatore (di Lidia Di Simone, "Focus Storia" n. 163/20) - Inventore di tragedie e commedie immortali, piegava la realt� storica al suo servizio. E ha consegnato ai posteri i protagonisti del passato rivisti e corretti - Quando nel 2012 sono stati rinvenuti, sepolti sotto un parcheggio, i resti di Riccardo III (1452-1485), si � scoperto che non era deforme e ripugnante come lo aveva descritto William Shakespeare nel dramma che porta il nome del sovrano inglese. L'erede della casata York era s� afflitto da scoliosi, ma niente a che vedere con il ritratto passato alla Storia attraverso le parole del poeta. Nel monologo intitolato Ora � l'inverno del nostro scontento il drammaturgo gli fa dire: "Privo di ogni bella proporzione, frodato nei lineamenti dalla natura ingannatrice, deforme, incompiuto, spedito prima del tempo in questo mondo che respira, finito a met�, e questa cos� storpia e brutta che i cani latrano quando zoppico accanto a loro". Con buona pace del vero Riccardo, che "deforme e incompiuto" non era affatto. E nemmeno tante altre cose. Le ossa ritrovate mostrano una evidente curvatura della colonna, ma questa secondo gli studiosi era una scoliosi adolescenziale, sufficiente a farlo apparire con una spalla pi� bassa dell'altra, ma non come lo descrive Shakeaspeare, gobbo e con il braccio avizzito, difetti tali da escluderlo dalla vita attiva. Analisi storiche pi� attente hanno inoltre avanzato la tesi che Riccardo di Gloucester (questo il suo nome prima di salire al trono) non fosse neppure il tagliatore di teste descritto dal Bardo, n� il mandante dell'assassinio dei due nipoti - il legittimo erede al trono Edoardo V e suo fratello Riccardo, duca di York - scomparsi misteriosamente nella Torre di Londra. La leggenda vuole che nella seconda met� del Seicento i resti di due ragazzini siano stati ritrovati nella White Tower, ma ad accreditare la versione che le ossa fossero dei due aristocratici giovinetti � la Storia di Riccardo III scritta da Tommaso Moro nel 1513, un documento di parte secondo la storiografia moderna. Quel che � certo � che i due pargoli nati dal re Edoardo IV di York e da sua moglie Elisabetta Woodville erano allora per Riccardo l'unico ostacolo sulla via della corona. Sar� stato lui a brigare per dichiararli illegittimi e poi a farli sparire? In realt� non � affatto sicuro, e il re non era quell'anima corrotta uscita dai versi scespiriani. Anzi, a Riccardo si devono importanti riforme giuridiche come la tutela legale per i pi� poveri, il rilascio su cauzione delle persone accusate di reati, la pubblicazione delle sentenze in inglese, e non pi� in latino. Iniziative coraggiose e all'avanguardia per l'epoca, ma che abbiamo dimenticato. Mentre rester� per sempre il ritratto scespiriano del povero essere deforme fuori e subdolo dentro tale da non avere "altro piacere con cui passare il tempo se non quello di spiare la mia ombra nel sole e commentare la mia deformit�". L'ingloriosa fine (letteraria) di Riccardo III ci fa capire quanto Shakespeare, pi� che ricostruire fedelmente il passato, ne costruisse uno tutto suo, a uso e consumo del pubblico. E dato che la sua produzione di drammi storici ha avuto nei secoli enorme successo, i suoi scritti hanno influenzato non poco la percezione che gli inglesi hanno della loro storia. Shakespeare era un drammaturgo che si interessava al ribollire dei sentimenti umani pi� che alla messa in scena filologica degli eventi, ma quello che rappresentava in palcoscenico ha assunto nei secoli e nell'immaginario collettivo la dignit� di fonte storica. Comunque non si pu� negare che si documentasse: alla base della sua versione di Riccardo III, che pure ci rende il mostruoso re machiavellico e affascinante come il personaggio di una serie Netflix, c'erano il volume di Tommaso Moro - dal quale proviene la leggenda dei principi nella Torre - e le Holinshed's Chronicles of England, Scotland, and Ireland (1587) che us� in tredici delle sue pi�ce. Un rivale, il drammaturgo Robert Greene, in un libello del 1592 lo attacc� storpiandone ironicamente il nome in "Shakescene", lo "scuoti-scena". In qualche modo, con la sua ingiuria Greene ci aveva visto lontano. Perch� Shakespeare usava i fatti del passato per parlare del presente e se trattava la vicenda di Giulio Cesare, morto senza eredi, nel dramma c'era pi� di un riferimento alla sovrana del suo tempo, la "regina vergine" Elisabetta I, l'ultima dei Tudor, anche lei senza una discendenza alla quale lasciare la responsabilit� del regno. Il tutto avveniva in modo molto sottile, perch�, al pari di ogni onesto teatrante dell'epoca, il suo obiettivo era ingraziarsi il potere. E per farlo non c'era che presentare al meglio chi allora aveva in mano lo scettro del comando. Il vero talento di Shakespeare si manifest� dopo un periodo di inattivit� forzata, dovuto alla peste che infuri� a Londra dall'estate del 1592 a quella del 1594. Quando la peste abbandon� le rive del Tamigi, Londra si riemp� di teatri. Il Globe, di cui Shakespeare divenne unico mattatore, fu aperto nel 1599. L'opera che rivel� al mondo questo nuovo autore � la tetralogia con cui il Bardo ricostru� la fitta e complessa trama dinastica inglese, il dramma storico in tre parti Enrico VI, al quale si aggiunse poi il Riccardo III. "La nazione inglese con la sua problematica politico-dinastica diventa protagonista in una lunga serie di drammi storici, le histories di Shakespeare, di Marlowe e di altri", spiega lo storico Cesare Molinari, autore di una fondamentale Storia del teatro (Laterza). Sulle tavole dei teatri londinesi cominci� a essere rappresentato il ciclo che raccontava la Guerra delle Due Rose (1455-1485) fra le casate Lancaster e York, la perdita del territorio francese scaturita dalla Guerra dei Cent'anni, l'usurpazione del trono a opera di Riccardo di Gloucester, e infine il ritorno della pace con l'affermarsi di una nuova dinastia, i Tudor. Eventi confusi ed efferati su cui arrivava a fare luce l'intervento salvifico di un Tudor (non a caso la dinastia cui apparteneva la regina in carica): Enrico conte di Richmond, il futuro re Enrico VII, capace di riunire le due casate rivali. "La storia d'Inghilterra vi � vista come storia dei suoi re, � vero, ma non ne � certo l'esaltazione. Sia perch� i trionfi militari e politici del Paese non avevano bisogno di retorica patriottarda, sia perch� la storia della dinastia inglese era storia di lotte intestine e guerre civili, superate al tempo di Shakespeare ma non per questo meno crudeli. Chi aveva pagato il prezzo di questo sanguinoso "gioco dei potenti" (gli inglesi, ndr) cercava ora di capirne la logica", chiarisce Molinari. Il Bardo, che saccheggiava le Chronicles per far capire al popolino come si era arrivati fin l�, si spinse ancora pi� indietro nel tempo per chiarire la genesi della guerra tra Lancaster e York. Risal� cos� fino al Medioevo con una seconda tetralogia, che comprendeva i drammi King John (1596), sul regno di Giovanni Senzaterra (1166-1216), Enrico IV ed Enrico V e per finire, nel 1616, Enrico VIII. Shakespeare era alla ricerca della chiave di volta, dell'evento funesto alla base di questa catena di lutti: lo individu� nell'ascesa di Enrico IV, al secolo Henry Bolingbroke, che aveva deposto e ucciso Riccardo II per usurparne il trono. Il massimo atto sacrilego, la lesa maest�, andava punito, sembra volerci dire il drammaturgo. Cos� nella seconda parte del dramma arriva il figlio di Bolingbroke, pronto ad assumere il ruolo della nemesi per il vecchio usurpatore. Nella scena culminante, il futuro Enrico V, al capezzale del padre, da lui creduto morto, prova infatti a sottrargli la corona. Mossa fallita, visto che il re si risveglia e istruisce l'erede su come evitare i conflitti interni con le fazioni rivali: portare la guerra in Francia. Detto, fatto: Enrico V diventa il carismatico condottiero in grado di unire il suo popolo, vincere (temporaneamente) sui francesi, e compiere il destino glorioso dell'Inghilterra riconquistando la Normandia alla corona inglese. Ma il successore, il folle Enrico VI, figura tragica di sovrano che detesta il potere, accompagna il regno alla sconfitta nella Guerra dei Cent'anni e scatena la Guerra delle Due Rose. E cos� il ciclo si chiude. Shakespeare, che in queste opere aveva regalato al mondo una figura immortale, totalmente inventata ma pi� vera del vero, quella del giullare gentiluomo John Falstaff, aveva di nuovo usato gli eventi della Storia per far pronunciare alla pulzella d'Orl�ans, Giovanna d'Arco, la miglior frase sul potere: "La gloria � simile a un cerchio nell'acqua che va sempre allargandosi, sin quando per il suo stesso ingrandirsi si risolve nel nulla". Il messaggio del poeta era estremamente moderno: tutto � relativo, "la vita � solo un'ombra che cammina", come dice Macbeth - il misconosciuto re di Scozia che Shakespeare rub� ancora una volta dalle Cronache di Holynshed. E ancora, "i regni sono argilla", come aggiunge Antonio nel dramma storico che forse per via degli echi di film hollywoodiani ricordiamo meglio fra le opere scespiriane. Anthony and Cleopatra � del 1607, La Tragedia di Giulio Cesare � da collocare intorno al 1600, ma entrambe tracciano il ritratto di alcuni personaggi trascurati solitamente dalla storiografia: il generale Marco Antonio e il cesaricida Bruto. E anche in questo caso, il drammaturgo consegna all'immaginario collettivo una sua interpretazione degli atti di questi uomini che usano ogni mezzo per conservare il potere o per difendere presunti ideali di libert�. Una rappresentazione forse non veritiera, ma l'unica che si � imposta attraverso i secoli: la versione di Shakespeare. Anguria, una dolce fetta d'estate ("RivistAmica" n. 6/19) - � una delle grandi protagoniste della tavola di questa stagione - Non c'� grigliata estiva che si rispetti senza una fetta d'anguria fresca a coronare il pasto. Questo frutto dal sapore dolce � infatti uno dei pi� amati da adulti e bambini nella stagione pi� calda dell'anno: dissetante e ipocalorica, aiuta a placare la fame e rigenera con i suoi sali minerali l'organismo accaldato. Anguria, cocomero, melone: spesso la confusione regna sovrana al banco dell'ortofrutta. La parola melone � sicuramente errata per indicare il grosso frutto verde fuori e rosso all'interno: le corrisponde uno pi� piccolo e con una polpa pi� consistente gialla, verde o bianca. Anguria e cocomero sono invece "geosinonimi", ovvero termini che si riferiscono alla stessa cosa, utilizzati in parti diverse d'Italia. Secondo l'Accademia della Crusca, il nome anguria � arrivato attraverso la modifica veneziana del termine greco "ang�urion", ossia "cetriolo", ed � diffuso in tutte le regioni settentrionali del nostro Paese. Dalla Toscana in gi� si mangia invece il cocomero: anche in questo caso il nome richiama il cetriolo, ma nella traduzione latina "cucumis". E se a Napoli � detta "melone d'acqua", come in Francia e in Inghilterra, in Calabria questo frutto diventa "zip�rrucu", perch� rubicondo come il volto di un parroco o forse per i semi neri che ne ricordano i bottoni della veste. Infine, in Sardegna viene usato spesso il nome "s�ndria", molto simile allo spagnolo "sand�a", con cui condivide l'origine. Originario dell'Africa subtropicale, questo frutto massiccio potrebbe essere stato coltivato gi� dagli antichi Egizi, quasi 5-mila anni fa. Sicuramente � stato portato in Europa dai Mori, al pari di arance e limoni. Sono decine le variet� di angurie presenti oggi in commercio, pi� o meno grandi, rotonde o ovali, striate o maculate. Tra le pi� note nel nostro Paese ci sono quella romagnola, quella di Viadana (Mantova), il cocomero di Pistoia e Faenza e il gigante di Fontarronco (Arezzo), che pu� arrivare a pesare anche 15 chili. Gli intenditori di angurie sanno bene come riconoscere gli esemplari migliori: per prima cosa, il picciolo non deve essere secco, ma umido. Quando si bussa sulla superficie, inoltre, il rumore deve essere sordo e profondo. Anche il colore conta: pi� striature e macchie gialle ci sono sulla buccia e meglio �, significa che l'anguria ha completato la sua maturazione e avr� una polpa gustosa e zuccherina. Gi� Pellegrino Artusi, vate della gastronomia italiana nell'Ottocento, consigliava a suo tempo di gustare fette di angurie raffreddate durante le calde giornate d'estate. E anche oggi, per chi decide di inserire l'anguria nei men� di pranzi e cene, non mancano le alternative: i cubetti di anguria donano dolcezza ai piatti pi� sapidi, come gli spaghetti con feta e basilico o il risotto con il pecorino toscano. L'anguria pu� essere poi accoppiata con una fetta di prosciutto crudo, al naturale o anche all'interno di un involtino arricchito dal brie o in un delizioso spiedino salato con la mozzarella. Granite, frullati e sorbetti di anguria sono un grande classico, ma per le feste d'estate provate l'"anguriata". Per farla si "scava" l'interno di un'anguria per riempirlo con frutta di stagione, vino moscato, zucchero, succo di limone e di arancia ben mescolati. Dopo qualche ora in frigorifero, si pu� servire il cocktail o berlo con delle cannucce direttamente dall'anguria. Melting pot Mauritius (di Ilaria Simeone, "Ulisse" n. 419/19) - Nell'isola dove etnie, fedi, lingue e tradizioni si incontrano, creando un mix unico di saperi e sapori - A giudicare dalla tavola - un miscuglio di lingue, ingredienti e ricette che confonderebbero anche il pi� smaliziato viaggiatore gourmet - Mauritius, piccola isola dell'arcipelago delle Mascarene nell'Oceano Indiano, sembrerebbe un posto senza identit�. In pochi altri luoghi del mondo si assaggiano, accostati con assoluta disinvoltura, aragoste che vengono da Australia e Madagascar e gustosi marlin autoctoni, la localissima vaniglia e il curry indiano, il biryani della tradizione persiana e la rougaille, una salsa piccante nata qui a base di pomodoro, peperoncino, zenzero, cipolle, aglio e sale. Eppure proprio la gastronomia racchiude l'essenza identitaria di quest'isola che ha fatto della contaminazione una vocazione, della multiculturalit� un'attitudine profonda, della convivenza un modo di vivere. Meticcia da sempre, Mauritius confonde etnie, fedi, lingue, tradizioni e gusti. Qui da secoli abitano assieme, senza tensioni, i discendenti degli schiavi africani, dei coloni francesi e inglesi, dei braccianti indiani e dei mercanti cinesi. Perci�, per entrare in sintonia con l'anima dell'isola, meglio dimenticare il chilometro zero per godersi il mix unico di saperi e sapori dei piatti locali. Come il chutney, a base di frutta e verdura con peperoncino, aglio, coriandolo e cipolla; i boulet manioc, soffici crocchette di manioca; la delicata insalata di cuore di palma; o il coul�, il caff� filtrato con la vaniglia. Anche le tavole stellate amano il fusion: Mauritius vanta un plotone di chef pluripremiati che vengono da ogni angolo del globo. Allo Chateau Bel Ombre il normanno David Toutain firma un menu che � un inno alla contaminazione: tartare di granchio aromatizzato al combave (un agrume molto comune sull'isola), cappuccino di patate con guancia di manzo candita e polvere di cacao, ravioli di marlin al dashi (il brodo di pesce giapponese) e olio al basilico. Il ristorante La Go�lette dell'Hotel Royal Palm, regno del francese Michel de Matteis propone una cucina internazionale mentre all'Amari by Vineet (piatti firmati dall'indiano Vineet Bhatia) si gustano i classici della tradizione locale in versione creativa e le specialit� della nouvelle cuisine indiana. Alla Table du Chateau de Labourdonnaise, splendida dimora coloniale a Mapou, l'italiano Fabio de Poli mescola sapori e profumi che vengono da Italia, Francia, Inghilterra, India e Cina trasformandoli in piatti originali sempre con un tocco mauriziano. Se i menu dei grandi chef amano i mix arditi, il cibo di strada non � da meno: una delle specialit� pi� amate dai locali � il dholl puri, una frittella di piselli gialli spezzati con curry di fagioli bianchi, burro di noccioline, cumino, coriandolo e verdure marinate. Il posto migliore per assaggiarlo � il ristorantino Dewa & Sons a Port Louis, la capitale di Mauritius. Una citt� dove monumenti e stili architettonici sono sparsi alla rinfusa, buona sintesi della storia dell'isola: la moschea Jummah sfoggia un portale in legno scolpito che reca traccia dell'architettura indiana e creola; lo Champ de Mars, un tempo campo d'addestramento per le truppe coloniali, � stato trasformato in ippodromo; la fortezza britannica di Fort Adelaide ricorda il dominio inglese; l'Aapravasi Ghat (magazzino dell'immigrazione in hindi), protetto dall'Unesco, � una sorta di Ellis Island locale, testimonianza della diaspora indiana. D'obbligo una sosta al Central Market di Port Louis, una confusione di odori, sapori e colori dove si possono comprare tessuti, oggetti dell'artigianato ma soprattutto spezie come zafferano, peperoncino, gli autentici baccelli di vaniglia e il profumato t�. Alla coltivazione della Camellia sinensis e alla sua lavorazione � dedicato un itinerario, La Route du Th�, che attraversa il cuore dell'isola: si parte dal Domaine des Aubineaux, dimora coloniale fine '800, ci si ferma alla fabbrica di t� Bois Cheri (da non perdere il t� aromatizzato alla vaniglia), poi tappa a Le Saint Aubin per pranzare con i piatti della cucina creola. Un po' pi� a sud le piantagioni di t� cedono il posto a quelle di canna da zucchero, per decenni motore economico di Mauritius, e a un altro percorso turistico, L'Aventure du sucre: si visitano il vecchio zuccherificio, poi, dopo aver visto nascere i dolci cristalli, si assaggiano le diverse qualit�, dal chiaro demerara allo scuro muscovado. Ultima tappa, la Rhumerie de Chamarel, dove la melassa della canna da zucchero viene distillata e trasformata in rum. Ancora pi� a sud Mauritius si fa selvaggia: maestose foreste, picchi vulcanici, cascate, lagune, parchi come il Black River Gorges National Park, 6500 ettari di foresta nativa, l'area protetta pi� grande dell'isola, dove vivono oltre 4000 volpi volanti e uccelli molto rari. Poco pi� in l�, un fenomeno di origine vulcanica che impedisce a sabbie di diversa provenienza di mescolarsi tra loro, ha dato origine a un luogo unico, le Terre colorate di Chamarel: un tappeto ondulato e policromo, screziato di ocra, porpora, blu, rosso brunito e oro. Le stesse tinte dello zucchero e del rum. Pierfrancesco Favino si racconta (di Davide Turrini, "Millennium" n. 31/20) Effetto Favino. Ovvero se 11 milioni e rotti di euro di incassi vi sembrano pochi. Metti insieme il Buscetta de Il Traditore e il contestato, amato-odiato Craxi di Hammamet e fai bingo al box office. Infine, arriva pure l'ultimo film di Gabrierle Muccino in sala - Gli anni pi� belli - e tutti a chiedersi: se non ci fosse stato lui? Dimenticando che quello con Muccino � un sodalizio lungo, avviato nel 2001 con L'ultimo bacio. E che anche con Bellocchio e Amelio l'attore aveva gi� lavorato. Quasi cinquanta film in venticinque anni di carriera, un'altra decina di icone italiane mostrate in tv, un Sanremo rimasto negli annali, quello del 2018 con Baglioni e la Hunziker. Pierfrancesco Favino butta gi� l'espresso con una sola sorsata a un tavolino all'aperto di un caff� romano. "I personaggi che mi vengono offerti mi permettono di capire a che punto sono del mio percorso", racconta in una pausa della nuova commedia diretta da Riccardo Milani e interpretata assieme a Miriam Leone. "Ho incamerato esperienze in modo organico ma vorrei fosse un'organicit� pi� serena, pi� morbida. Non � ricerca di perfezione plastica, fredda, ma di quei rari momenti dove hai la possibilit� di abbandonarti e perderti in quello che fai". - Per Craxi ti sei "perso" molto. Ben 39 maschere usate per truccarti... "Quelle sono solo per le scene girate. In tutto quelle utilizzate sono 46. Il nostro � un lavoro fisico, anche se le persone giustamente lo ignorano. Per stare sul set dodici ore, fare il moschettiere, Rush, interpretare Gino Bartali, bisogna avere un'attitudine sportiva". - C'� stato un momento in cui hai pensato non ne posso pi� di Craxi? "Mancava poco alla conclusione e ho cominciato a contare i giorni dalla fine. Durante la preparazione ho per� voluto un giorno per stare tutto truccato da Craxi nel mio studio senza nessuno. Volevo capire cosa cambiava in me. La mia ambizione in quei momenti � sparire". - � l'anno dell'interpretazione del Joker da parte di Joaquin Phoenix... "Lo stimo molto, ma non ho quella vena maledetta". - L'hanno perfino arrestato mentre manifestava contro i cambiamenti climatici e gli allevamenti intensivi... "Per una causa di protesta che abbraccio". - Un attore riesce a veicolare un messaggio politico di protesta pi� forte rispetto a uno sconosciuto? "Se Joaquin fosse stato odontotecnico non finiva sui giornali. Quando � stato arrestato stava esprimendo un'opinione come cittadino. Anche a me capitava spesso di voler andare in piazza e mi dispiace che se ci va Favino oscuri il motivo della protesta. E pi� importante che ci siano 200-mila manifestanti piuttosto che si rilevi la mia presenza". - L'ultima volta che hai avuto l'istinto di scendere in piazza? "Per le proteste sull'ambiente, ma visto che riguardava mia figlia non volevo essere intrusivo. � nel suo diritto essere una in mezzo agli altri. In piazza sono andato per tanto tempo e per cose in cui ho creduto". - Nietzsche diceva: "l'attore � una scimmia ideale. Scimmia a tal punto che non pu� affatto credere all'essenza e all'essenziale. Tutto per lei � gioco, gesto, scena, riso, pianto". "E io sono orgogliosamente un oggetto. Sono lo strumento di parole di altri. Sono il tramite di quelle parole e l'immaginazione di chi le guarda. Monicelli diceva che gli attori non hanno anima, ma ne hanno una a seconda del personaggio che interpretano". - Tuo suocero (l'attore Gabriele Ferzetti, ndr) ti ha mai professionalmente rimbrottato? (Ride) "Scherzosamente s�, ma non dal punto di vista tecnico. Lui era un grande esteta. Un giorno arrivai a casa loro in vespa. Mi vide arrivare con il casco in testa. Stette un minuto a guardarmi e andando via mi disse: "Non fare mai scene col casco". La cosa bella era che stavo girando ACAB... - Brad Pitt ha appena compiuto 50 anni come Pierfrancesco Favino... "Gli ho mandato un messaggio: "Come ti senti Brad? mi spiace per questa cosa"". - Hai mai avuto paura di invecchiare? "Non essendo stato un giovane figo, poich� a vent'anni ero una roba informe, e solo verso i 35 ho scoperto di assomigliarmi tra dentro e fuori (cosa che si nota negli attori), anche per questo posso rispondere: no, non ho paura di invecchiare". - Flashback: Favino a Sanremo. Monologo antirazzista di Koltes che spiazza tutti. Chi scelse di farlo? "Io, ma fu un caso. Doveva venire Ivano Fossati. E io recitare qualcosa con lui. Ma il giorno prima diede forfait. Con Claudio Baglioni ci guardammo e dicemmo: che si fa? Avevo appena finito di fare quel monologo a teatro e dissi che avevo una cosa pronta. Ma vi assicuro, quello non � un monologo sull'immigrazione, � un pezzo sul tema del lavoro. Nessuno in Rai si oppose. E io non l'ho fatto pensando: vi faccio vedere cosa penso dell'immigrazione. Fu una scelta di palinsesto che per� mi rappresentava bene: ballo Despacito e mi diverto, poi recito Koltes. Il kit � questo". - Ettore Scola ai tempi di "Concorrenza sleale" (2001) disse: "Gli italiani non sono un popolo razzista, anche se quella loro leggerezza, indifferenza, distrazione li fa essere colpevoli". "Ne � passato di tempo dal 2001 e non c'era questo livello di comunicazione. Credo che Hammamet lo dimostri: nell'arco di secoli noi italiani abbiamo avuto un rapporto particolare col potere e col potente. Siamo un popolo dominato. Una repubblica giovanissima. Prima di fare gli italiani, come diceva qualcuno, bisogna rendersi conto di quali sono le diverse attitudini individuali e regionali rispetto all'unicum del potere". - Favino da bambino cosa voleva fare da grande? "L'attore. Poi avrei voluto fare il tuo mestiere, il giornalista. Non so se di cinema o altro. Volevo scrivere. Mi piaceva. Volevo fare il benzinaio perch� mi piaceva l'odore della benzina quando ci fermavamo al distributore. Il giornalaio perch� c'erano le figurine Panini e credevo che non le pagassero". - Adolescenza inquieta, complicata, birichina? "Difficoltosa. � stato un momento cupo per me. Sono uscito dall'adolescenza in qualche modo ritrovando un'idea di forma, sempre che ci sia riuscito, verso i 16 anni. E non ne ho un ricordo piacevole". - Il primo bacio? "Precoce. Con una donna a 13 anni. Sono stato oggetto anche in quel caso. Invece il primo bacio con batticuore irrefrenabile a 16-17. Sono sempre stato un romantico". - Hai detto che manifestavi in piazza... "Nella mia scuola, una scuola pubblica che sono orgoglioso di avere fatto, non c'erano i banchi. Le prime manifestazioni furono proprio per ottenerli. Solo che quelli come me fanno parte di una generazione con fratelli o sorelle che avevano fatto i movimenti e genitori che avevano vissuto il '68. Siamo stati la prima vera generazione consumista. La prima che ha tentato in qualche modo di trovare collocazione ai grandi sistemi che nel frattempo si stavano sbriciolando. Ed � stato un problema. Per chi faceva politica a scuola c'era la necessit� di collocarsi nel mondo dei grandi. Ti vestivi come tuo fratello sperando ci fossero le stesse tensioni sociali. Agli occhi di mia sorella ero uno che giocava ai soldatini. Ed era cos�". - Sei stato anche Pinelli in "Romanzo di una strage" ambientato proprio in quegli anni... "Chi ha fatto il '68 non consente a nessun altro di poterci mettere bocca. � un'altra enclave. Se eri l�, da una parte o dall'altra, hai diritto di parola, ma se non sei appartenuto a quel periodo non puoi metterci becco. Non � casuale che la mia generazione sia quella che si � inventata nella sua stanzetta il www. per tentare di fare gruppo. Siamo una generazione silente e non vista." - Hai tre profili social, ma sono tutti uguali... "Certo, ma dico: se devo farti credere che un giorno sono Craxi, l'altro Buscetta, un altro Pinelli, un altro ancora un personaggio di fantasia, pi� saprai di me, meno avrai desiderio di scoprirmi. Poi mantengo la privacy per la mia vita personale. Non ci trovo nulla di interessante a fare una foto a questa tazzina dicendo: "Sto prendendo un caff� qui". In questo capisco di essere una persona d'altri tempi". - Il primo voto alle politiche qual � stato? "Fu il '92. Stavano cambiando tutte le diciture. Sicuramente votai il Partito Socialista. Vengo da una famiglia di estrazione socialista. E c'� sempre stato un dibattito politico acceso a casa mia. Si leggeva il giornale, non c'era la tv mentre si mangiava. Era il luogo della crescita personale, che si parlasse di un film, di una notizia, di quello che era successo a scuola. La collocazione della mia famiglia era di sinistra moderata e io non avevo attrazione per la sinistra radicale". - C'� un esempio della storia, un uomo o una donna, che vorresti raccontare a un adolescente? "Non trovo sia giusto imporre loro modelli che non riconoscono come propri. Detto questo non vorrei mai essere adolescente oggi perch� c'� una tale sensazione di violenza che ti entra dentro in modo costante a livello verbale e comunicativo da avere paura. Le persone crescono attorno un'idea aggressiva di successo e visibilit�. Il termine "popolare" un tempo veniva usato come sinonimo di simpatico, oggi invece o sei "popolare" o non sei". - Che personaggio � il Giulio de "Gli anni pi� belli"? "Uno che nasce in un ambiente popolare, abbastanza inospitale, e che si laurea in giurisprudenza. Vuole dedicare la sua vita a difendere chi non se lo pu� permettere, ma viene attratto da un mondo scintillante. Dice una frase che rappresenta bene un periodo (ride, ndr): "Se vuoi cambiare il sistema lo cambi dal di dentro". Ed � una cosa che ci siamo detti tutti. Il film di Gabriele � popolare nel senso pi� bello del termine, di quelli che si facevano una volta. Ha una sua epica e ti abbraccia". - Favino e le donne: quante pagine teniamo libere? Venti, trenta? "Ma no! (ride) Dovresti comunque chiederlo alle donne". - Leggo un post dalla tua pagina Facebook: "La seguo da tantissimo. Ho visto due volte "Il traditore" e la considero tra i migliori attori italiani di questi anni. La trovo introspettivo, efficace, molto professionale nelle sue interpretazioni, ma posso dire che � anche un bel figo senza essere considerata superficiale?". "Non ho nessun rimprovero da fare alla signora (ride). La domanda di base �: come fai a sapere perch� piaci? Chi di noi sa esattamente perch� la propria compagna, la propria moglie, o le proprie avventure ci hanno scelto? Per quale reale motivo sei attratto da una persona o da un'altra? Io sicuramente so, e la rubo a Javier Bardem, che se non avessi un faro puntato passerei inosservato". - Eppure le donne ti cadono ai piedi... "Se non fossi Pierfrancesco Favino ed entrassi in un ristorante il mondo non si girerebbe. Se entra Brad Pitt s�. Non sto facendo professione di umilt�. � l'aria attorno a Favino che conta. Poi sicuramente la mia � un'immagine di maschilit� forse un po' all'antica. E il primo impatto che puoi avere di me � quello di un uomo rassicurante. Ma essendo un gran cazzaro mino fortunatamente la mia affidabilit�". - Salto di 20 anni: ci saranno ancora sale cinematografiche dove vedere film? "Perch� ci siano ancora, e anzi si moltiplichino, andrebbe inserito l'insegnamento delle tecniche cinematografiche a scuola. � la prima volta che i nostri figli hanno un rapporto funzionale con il video e i compagni di mia figlia capiscono di pi� sulla seconda guerra mondiale attraverso i documentari che con la lettura. � la loro comunicazione. Sono ovviamente terrorizzato dal fatto che come il cinema la pagina scritta possa scomparire, ma quando faccio incontri nelle scuole non entro in aula parlando di Rossellini perch� un ragazzo si sentir� legittimato nella sua idea iniziale: oggi si fa sega. Invece quando chiedo chi gioca ad Assassin Creed, alzano le mani. Quel videogioco funziona come Omero: se superi il primo livello passi al secondo. La struttura del videogioco � quella aristotelica del racconto. Devi interessarti al loro mondo. E potr� dar fastidio ma per me Salmo � il Luigi Tenco di questi ragazzi". - Gioie e dolori per aver interpretato il libanese in "Romanzo criminale". "Gioie: il primo ruolo in un film importante tratto da un romanzo di cui tutti parlavano. Dolori: mentre giravamo un macchinista mi disse: questo ruolo sar� difficile levartelo dalle spalle. E aveva ragione. C'� ancora gente a Roma oggi che mi dice: "Poi cammin� sulle mani ma per me sei Libano". Sono felice che Francesco Montanari abbia preso il mio posto in tv in quel ruolo". - Un aggettivo, una parola, un aneddoto sui registi con cui hai lavorato. Michele Placido. "Un animale da set. Intuitivo, artigianale, possiede il senso di questo mestiere". - Giuseppe Tornatore. "Ha uno sguardo anamorfico. Vede anche quello che sta di lato, in fondo. � molto bello osservarlo nel comporre l'inquadratura". - Stefano Sollima. "� punk. Con tutto quello che ne consegue. Un vero regista laico, non ci sono santi nei suoi film, l'unico che nel suo cinema non mette un Cristo". - Marco Bellocchio. "Un artista che dipinge con la macchina da presa". - Ron Howard. "Un generale a cui confideresti i tuoi problemi personali". - C'� un collega che sta per esplodere? "Luca Marinelli. Lo penso da La solitudine dei numeri primi. Anche nel film di Muccino c'� una ragazza che diventer� una grande attrice: Alma Noce". - Una battuta dal film "Figli" di Mattia Torre. Riferendosi al secondo figlio in arrivo il protagonista Valerio Mastandrea dice: "Uno pi� uno non fa due, ma undici". "� vero, con Anna (Ferzetti, la moglie di Favino, ndr) ci siamo rivisti in mille cose che accadono nel film. Ma io di figli ne avrei fatti anche nove. Il secondo, tra l'altro, l'abbiamo voluto molto. Le energie spese per i figli, per�, sono quelle meglio spese nella vita. E sai cosa mi hanno insegnato le mie figlie? Che non sei mai solo".