Giugno 2021 n. 6 Anno LI MINIMONDO Periodico mensile per i giovani Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registrazione 25-11-1971 n. 202 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Pietro Piscitelli Massimiliano Cattani Luigia Ricciardone Copia in omaggio Rivista realizzata anche grazie al contributo annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del MiBACT. Indice La mossa di Marshall Studenti presenti Perch� puntiamo al potere Se non ci fossero i vulcani Radicchio, il fiore da tavola che mantiene giovani Elena Lietti: nessun rimpianto per essere arrivata tardi al successo Vuelta a Espa�a 2021: una corsa all'insegna della spiritualit� e dello spettacolo La mossa di Marshall (di Aldo Carioli, "Focus Storia" n. 175/21) - Oggi il Recovery fund, nel 1948 il piano di aiuti statunitense per sostenere la rinascita dell'Europa - "Ci vorrebbe un Piano Marshall". Lo si � detto spesso negli ultimi settant'anni e lo si � ripetuto dopo l'annuncio del pacchetto di interventi NextGenerationEU, con cui l'Unione Europea vuole uscire dalla crisi post Covid-19 e di cui il Recovery fund ("fondo per la ripresa") � uno degli strumenti. Le differenze sono molte, ma in tanti sperano negli stessi effetti positivi che ebbe il programma di aiuti alla ricostruzione lanciato in Europa dagli Stati Uniti dopo la Seconda guerra mondiale. Quel piano � entrato nella Storia con il nome di George C' Marshall, generale dell'esercito statunitense e segretario di Stato dal 1947 al '49. Fu una tappa chiave nella nascita del progetto europeo e nell'affermazione degli Usa al di qua dell'Atlantico. Il primo ministro britannico Winston Churchill lo defin� "l'atto pi� disinteressato della Storia". Solo generosit� non fu, ma certo si tratt� di un'operazione ambiziosa. Nel 1947 il quadro era questo: da una parte la potenza militare ed economica degli Stati Uniti, usciti rafforzati dalla vittoria nel conflitto. Dall'altra un cumulo di macerie chiamato Europa. Macerie di bombardamenti (anche anglo-americani) ma soprattutto sociali: con l'eccezione dell'Urss, nessuna delle nazioni europee del 1939 era pi� in piedi. Con queste premesse, la disgregazione economica dell'Europa avrebbe aperto la strada alla penetrazione del comunismo. Gli Usa, nel contesto della nascente Guerra fredda, non potevano permetterselo. Nel terribile inverno del 1946-47 i porti inglesi rimasero bloccati da un'ondata di gelo che provoc� fame, penuria di carbone e paralisi delle poche industrie ancora attive. In Francia i raccolti erano compromessi, la Germania a due anni dalla fine della guerra era ancora nella devastazione pi� totale. Quanto all'Italia, lo sbarco del 1943 in Sicilia e la risalita alleata lungo la Penisola avevano dato una boccata d'ossigeno al Centro-Sud, ma il Nord era uscito stremato dalla guerra di liberazione. Entro la fine del 1947 i governi europei sarebbero rimasti senza un dollaro in tasca. E senza dollari, niente viveri n� materie prime. Insomma, c'era un intero continente da far ripartire, ma nessuna istituzione abbastanza solida per farlo. I vertici statunitensi sapevano come riempire quel vuoto e stabilire la loro leadership economica. Sarebbe bastato seguire il modello che aveva assicurato prosperit� alla nazione nordamericana: il libero mercato. Serviva per� una regia. Cos�, gli Usa finanziarono la creazione di nuovi organismi internazionali: l'Onu per assicurare la pace, la Banca mondiale per la ricostruzione e lo sviluppo e il Fondo monetario internazionale (Fmi) per gestire crediti internazionali e mercati valutari. Erano i primi vagiti delle istituzioni che ancora oggi governano la finanza globale. La gestione della ricostruzione fu invece affidata a Marshall, che in Europa c'era gi� stato durante la Prima guerra mondiale. Allo scoppio del secondo conflitto, nel 1939, era stato nominato capo di stato maggiore dell'esercito dall'allora presidente Roosevelt, di cui era il consigliere militare. Con la rodata macchina logistica delle forze armate ai suoi ordini e grazie ai poteri connessi alla nuova carica di segretario di Stato, nel 1947 era l'uomo giusto al posto giusto. Il piano fu delineato da Marshall nella primavera di quell'anno. Questa la strategia: rinunciare alla ricostruzione di singoli Paesi e puntare a un aiuto globale per tutto il Vecchio Continente. Il 5 giugno 1947, in un discorso tenuto ad Harvard, Marshall dichiar� che gli Stati Uniti avrebbero fatto "tutto quanto in loro potere per contribuire al ritorno di condizioni economiche sane e normali nel mondo, senza le quali non possono essere assicurati n� la stabilit� politica n� la pace. Il programma dovr� essere un programma comune". E aggiunse: "I governi che opereranno per ostacolare la ricostruzione degli altri Paesi non riceveranno nessun aiuto". Un principio che serv� a fare accettare la ricostruzione dell'odiata Germania, ma acceler� la rottura con l'Urss e la Guerra fredda. Mosca infatti costrinse i Paesi dell'Est, che occupava dopo averli liberati dal nazismo, a rifiutare gli aiuti e nel 1948 impose il blocco di Berlino ovest, controllata dagli americani. Eppure, quell'ardito "salvastati" rischi� di non vedere mai la luce. Avviati i negoziati tra i governi europei (Urss inclusa, che per� poi si ritir�) e gli americani, bisognava convincere il Congresso degli Stati Uniti a sborsare in tre anni circa 13 miliardi di dollari, oltre l'1% del Pil americano. A spingere i senatori ad approvare la legge che autorizzava il finanziamento dell'European recovery program (il nome ufficiale del Piano Marshall) fu il colpo di Stato del 1948 con il quale i comunisti presero il potere in Cecoslovacchia. Non c'era tempo da perdere: il nuovo nemico stava avanzando verso Occidente e il baluardo Erp doveva essere messo in campo in fretta. Ma chi avrebbe assicurato che il fiume di generi alimentari, macchinari, armi e aperture di credito incondizionate non si sarebbe perso nei mille rivoli della corruzione e dello spreco? Marshall pens� anche a questo. Il Congresso mantenne il diritto di chiudere i cordoni della borsa: il finanziamento si sarebbe infatti rivotato ogni anno. Tutti gli acquisti dovevano essere approvati dall'Eca (Economic cooperation administration), l'ente che gestiva il piano. Una sede dell'Eca era presente in ogni capitale europea, per vagliare richieste ed erogare finanziamenti in valuta locale. Attraverso le strette maglie di questo sistema passarono circa 3,3 miliardi di dollari per il Regno Unito, 2,3 miliardi per la Francia, 1,5 per la Germania Ovest e 1,2 miliardi per l'Italia. Per circa il 90% si tratt� di finanziamenti a fondo perduto, seppure vincolati a forniture americane. Non tutti i 17 Paesi beneficiari furono entusiasti di quella pioggia di biglietti verdi e beni. In Italia - dove c'era il Partito comunista pi� grande d'Europa - buona parte della neonata classe politica approv� a denti stretti. Si diceva che lo Zio Sam si era comprato l'Europa e molti vedevano l'Erp come un piano di conquista. Si trattava di accettare un'ingerenza straniera, seppure concordata: gli inglesi temevano un'eccessiva integrazione con il continente, i francesi non volevano essere trattati come i tedeschi. Marshall mobilit� allora la propaganda: l'Erp, fino al 1952, produsse circa 300 documentari. I "film di Marshall" avevano titoli come Le straordinarie avventure di un litro di latte o Rinascita agricola. Ma non furono i film, bens� i fatti a segnare il successo del piano. Grazie al "turbo" d'oltreoceano nel 1951, a fine programma, la produzione industriale dell'Europa Occidentale aveva superato i livelli del 1938, l'anno precedente la guerra, e quella degli Usa raddoppi� dal 1945. Soprattutto, le nazioni europee avevano iniziato a collaborare: nel 1951 nacque la Comunit� europea del carbone e dell'acciaio e nel 1957 la Comunit� economica europea. Da parte loro, gli Stati Uniti si erano assicurati una corsia preferenziale per le loro merci e avevano arginato l'avanzata del socialismo reale. Quanto a Marshall, dopo aver concluso il lavoro al servizio del suo Paese, nel 1953 ritir� il premio Nobel per la pace. Studenti presenti (di Paola Panigas, "Focus Storia" n. 174/21) - Quando non c'erano le tecnologie per la didattica a distanza, la scuola italiana � rimasta aperta anche di fronte alla guerra e alle grandi emergenze - Oggi ragazze e ragazzi "combattono" con la Dad, la didattica a distanza che ci ha consentito, grazie alla tecnologia, di fare lezione da casa, mantenendo le scuole sempre attive nonostante la pandemia che da un anno investe tutto il mondo. Ma come si regol� l'istituzione scolastica in passato? Mentre gli italiani erano impegnati sul fronte della Grande guerra, travolti dall'emergenza sanitaria dell'influenza "spagnola" o sotto i bombardamenti della Seconda guerra mondiale, le scolaresche dovettero lasciare i banchi di scuola? Niente affatto. Perch� anche durante i momenti bui del Novecento le autorit� decisero che la scuola doveva continuare a funzionare regolarmente. "Durante la Grande guerra, ma anche tra il 1918 e il 1920, quando in Europa si diffuse la terribile epidemia causata dall'influenza "spagnola", che fece pi� vittime del conflitto, la scuola rimase aperta. E persino nel corso della Seconda guerra mondiale, nonostante i bombardamenti e le emergenze sanitarie, non si smise di studiare, a parte ovviamente qualche temporanea chiusura per arginare i momenti pi� critici", spiega lo storico Alberto de Bernardi, docente di Storia contemporanea all'Universit� di Bologna. Va detto, a onor del vero, che il numero di studenti era inferiore, dato che andare a scuola in Italia non � sempre stata una passeggiata. Il travagliato rapporto tra istruzione e societ� inizi� nel 1877, quando la legge Coppino rese l'istruzione obbligatoria e gratuita per i bambini dai sei agli otto anni. Ma la messa in pratica di questa direttiva fu demandata ai comuni, che il pi� delle volte non avevano le risorse per garantirne l'applicazione. Inoltre la legge prevedeva la povert� come legittimo impedimento ad adempiere l'obbligo scolastico. Cos�, nel 1898 l'analfabetismo in Italia toccava ancora quota 62% e la maggior parte dei bambini non entrava in classe perch� lavorava nei campi o abitava troppo lontano (chi viveva a pi� di due chilometri dall'edificio scolastico era esonerato dalla frequenza). Nel 1902 venne sancita l'et� minima per lavorare: 12 anni, con un limite di 11 ore consecutive e una pausa ogni sei! All'inizio della Prima guerra mondiale, dunque, erano ancora molti i bambini che contribuivano all'economia della famiglia e per i libri restava poco tempo. Solo la riforma Gentile, nel 1923, diede una svolta all'alfabetizzazione, anche se l'obbligo scolastico si fermava alla quinta elementare. "In media i bambini frequentavano le scuole dai cinque ai dieci anni d'et�", prosegue de Bernardi, "con grandi differenze fra campagna e citt�, Nord e Sud". La riforma Gentile istitu� un sistema scolastico che rispecchiava la societ� classista e gerarchica in cui era stata ideata: "fu fondato il liceo classico, destinato a formare le �lites fino agli anni Settanta, e anche il liceo scientifico, considerato, per�, di livello inferiore; e infine fu istituito l'esame di Stato al termine delle superiori". In un contesto, quello della scuola "fascistissima", in cui la vita quotidiana dei bambini e dei ragazzi era regolata in tutti i minimi aspetti, dallo studio al tempo libero, il 18 settembre del 1938 arriv� la prima doccia fredda sul sistema scolastico (e non solo) italiano. Mussolini, in visita a Trieste, annunci� l'introduzione delle leggi razziali che prevedevano, tra le altre cose, l'espulsione di alunni, professori, bidelli e dirigenti scolastici ebrei dalle scuole pubbliche del regno. "Preso atto di questa nuova realt�", afferma Daniel Fishman nel saggio Le classi invisibili. Le scuole ebraiche in Italia dopo le leggi razziste (Edizioni il prato), "le comunit� ebraiche si attivarono velocemente e si riorganizzarono in soli due mesi, in modo che alla ripresa dell'anno scolastico, nell'autunno del 1938, fossero pronte scuole e classi con nuovi insegnamenti, indirizzi di studio e materiali didattici". La comunit� ebraica cap� subito che a questi giovani, la cui vita era stata completamente stravolta da un giorno all'altro, bisognava ridare una parvenza di normalit� e il modo migliore per farlo era dare continuit� negli studi. "Si apr� un dibattito all'interno della comunit� ebraica in merito a quali indirizzi di studio preferire, organizzando sondaggi tra le famiglie e incontri tra presidi e docenti di diverse citt�", prosegue Fishman. "Parte del corpo docente ebreo era convinto della necessit� di preferire gli studi classici per le scuole ebraiche. Altri scelsero invece una strada, forse pi� realista dopo quanto determinato dalle leggi razziste, volta a preparare i ragazzi delle superiori verso competenze in ambiti che avrebbero dato maggiori garanzie per il futuro, prospettando indirizzi di studio nel settore agricolo o commerciale. Si pens� all'ideazione di nuovi modelli. Nel caso della scuola ebraica di Roma ci fu, per esempio, un interessante esperimento ideato dagli stessi ragazzi, che crearono una simil-azienda che aveva le caratteristiche di una societ� commerciale". Il ministero dell'Educazione nazionale permise l'istituzione di sezioni ebraiche in alcune scuole pubbliche, facendo per� in modo che non vi fosse alcuna interazione tra bambini ebrei ed "ariani", organizzando orari di lezione ed entrate differenziate. Ma questi rimasero casi eccezionali. Le nuove scuole ebraiche, infatti, entrarono quasi subito a regime e rappresentarono un'anomalia nel panorama italiano, con caratteristiche uniche per l'epoca. "Innanzitutto docenti universitari, che erano stati espulsi dagli atenei italiani, trovarono un impiego nelle neonate scuole ebraiche, determinando un insegnamento di altissimo livello", spiega Fishman. "Un altro elemento di straordinariet� consistette nella creazione di pluriclassi, dove i bambini di diverse et� avevano un unico professore, seppur con insegnamenti diversamente modulati. Non si tratt� di una scelta voluta, bens� adottata da quelle comunit� che avevano pochi bambini oppure non disponevano di spazi sufficienti da adibire a scuola". Una soluzione gi� praticata nelle scuole rurali e dei piccolissimi centri. Una volta decisa l'espulsione degli ebrei dalle scuole di ogni ordine e grado, lo Stato fascista non aveva organizzato i nuovi istituti. Questo signific� che tutto l'onere organizzativo ed economico pes� sulle spalle delle famiglie, che dovettero ricavare aule e scuole da edifici della comunit�, prima adibiti ad altro uso. L'eccezionale esperienza delle istituzioni scolastiche ebraiche prosegu� cos� fino al 1943, anno in cui iniziarono le deportazioni degli ebrei, e le scuole non furono pi� in grado di assicurare lezioni ed esami agli alunni. Ma cosa succedeva intanto nelle altre scuole del regno? Mentre il 10 giugno 1940 la voce di Mussolini annunciava, attraverso la radio e gli altoparlanti nelle piazze, che l'Italia entrava in guerra contro l'Inghilterra e la Francia, gli studenti erano gi� in vacanza. In tutte le scuole, infatti, per l'imminente conflitto le lezioni si erano concluse il 30 maggio, in anticipo rispetto alla normale chiusura dell'anno scolastico. L'estate pass� tranquilla, e dopo aver battuto in 15 giorni una Francia gi� sconfitta dai tedeschi, in autunno si rientr� regolarmente in classe. Rispetto all'istituzione scolastica, l'emergenza pi� sentita dal ministero dell'Educazione nazionale, guidato da Giuseppe Bottai, era quella di ridurre al minimo i consumi in relazione "alle superiori esigenze belliche". Compreso quello della carta, che venne regolamentato, a partire dal 1941, vietando di scrivere le minute. Una prima interruzione delle lezioni si verific� nell'inverno del 1942, quando il ministero dispose che la durata delle vacanze invernali fosse prolungata fino al 18 gennaio, per ridurre il consumo del combustibile da riscaldamento. In febbraio, poi, arriv� un'altra limitazione alla didattica: vietate le gite scolastiche, soprattutto se comportavano spostamenti in treno. Nel 1942, invece, il nuovo anno scolastico inizi� addirittura in anticipo per consentire due mesi di sospensione invernale, sempre per ridurre le spese di riscaldamento. All'inizio dell'estate 1943 per l'imminente sbarco anglo-americano in Sicilia le scuole dell'isola vennero chiuse in anticipo e gli esami di Stato soppressi (si tenne conto dei voti del terzo trimestre). Al Nord, l'anno scolastico 1943-44, pur con la paura e tra continui allarmi per i bombardamenti alleati, riprese pi� o meno regolarmente (a parte gli esami di Stato del 1944, spostati a giugno, e la chiusura anticipata al 2 maggio). Nel 1944-45 le scuole del Nord, per venire incontro agli alunni sfollati, non tennero conto delle assenze ed esposero i programmi scolastici nelle bacheche per dare la possibilit� agli alunni di portare avanti gli studi anche in maniera individuale. Per ovviare al problema della lontananza dalle sedi scolastiche per sfollati e pendolari, i sacerdoti, non impegnati sui campi di battaglia e tra i pochi in grado di impartire lezioni di latino, greco e algebra si organizzarono per far proseguire gli studi a ragazze e ragazzi. Nel Sud gi� liberato, intanto, la scuola cercava di riorganizzarsi, anche se mancavano molti docenti, morti in guerra. Dopo la Liberazione dal nazifascismo nell'aprile del 1945, la scuola italiana era da ricostruire dalle fondamenta materialmente e moralmente, come il resto del Paese. Ma aveva comunque avuto il merito di portare in classe una generazione, anche nell'ora pi� buia. Perch� puntiamo al potere (di Elena Meli, "Focus" n. 343/21) - Avere il comando riempie il cervello di piacere, e ci regala un senso di libert�. Per�, pu� anche dare alla testa, e renderci meno disponibili verso gli altri - Per Friedrich Nietzsche � il "demone" che muove gli uomini pi� di necessit� e desiderio, mentre il filosofo Bertrand Russell lo riteneva il fondamento delle relazioni umane: il potere ci attrae come un'enorme calamita, tutti ne vorremmo almeno un po' e chi lo assaggia pare proprio non riuscire pi� a farne a meno. Forse perch� logora chi non ce l'ha, come diceva il politico Giulio Andreotti che di potere se ne intendeva parecchio. Eppure la scienza sta dimostrando che pu� far male pure a chi lo possiede, anche perch� di potere non ce n'� uno solo. Pensando al potere infatti ci vengono in mente i leader con il pugno di ferro, persone fedeli al precetto di Machiavelli per cui non si pu� esercitare il comando con clemenza ma solo facendosi temere: il potere � per definizione la capacit� di influenzare gli altri, ma oggi � chiaro che ritenerlo sinonimo di "forza bruta", fisica o psicologica, � un clich�. Lo dimostrano per esempio gli studi di Dacher Keltner, psicologo dell'Universit� di Berkeley in California (Usa): in una serie di esperimenti in vari contesti ha scoperto che in un gruppo sociale tendiamo sempre a dare autorit� a chi ci risulta umanamente gradevole, mentre i soggetti machiavellici vengono messi all'angolo. � vero perfino fra gli scimpanz�: una ricerca della Emory University di Atlanta (Usa) ha dimostrato che i maschi dominanti del gruppo spesso non sono i pi� grandi o forti, ma quelli con maggior capacit� di creare legami sociali ed esercitare la "diplomazia". "Anni di ricerche suggeriscono che nell'acquisire ed esercitare il potere l'empatia e l'intelligenza sociale siano pi� importanti rispetto a forza, inganno e paura", spiega Keltner. "Purtroppo le qualit� che definiscono il potere vero, quello "buono", sono anche quelle che vengono perse o danneggiate quando si arriva alle leve del comando". � il cosiddetto paradosso del potere, quello per cui diciamo che "d� alla testa". Mai modo di dire fu pi� azzeccato infatti, visto che proprio nel cervello dei leader qualcosa cambia, e non tutto in meglio. Da un lato infatti raggiungere una posizione preminente ha effetti positivi: uno studio della Radboud University olandese ha dimostrato per esempio che essere in una condizione di maggiore autorit� favorisce il pensiero creativo, mentre stando alla psicologa Dana Carney dell'Universit� di Berkeley (Usa) comporta pure un aumento del testosterone e una riduzione dell'ormone dello stress, il cortisolo. Tutto questo dipenderebbe anche da modifiche biochimiche indotte dall'ebbrezza del comando: nel cervello dei leader c'� un incremento della dopamina, il neurotrasmettitore della ricompensa e del piacere. Il potere insomma sarebbe un potenziatore cognitivo e pure un ansiolitico con effetti benefici sul tono dell'umore; inoltre quando invece ci sentiamo ininfluenti e poco ascoltati proviamo sofferenza, cos� la prima reazione al raggiungimento di un certo grado di autorit� sugli altri � una maggior sensazione di benessere e soddisfazione. Lo ha dimostrato Adam Galinsky, psicologo della Columbia University di New York (Usa), che per� ha anche scoperto come non sia tutto oro quel che luccica, anzi: nel cervello di chi "assaggia" il potere si scatena una tempesta che porta a non volerlo mollare (uno dei pochi apparentemente immuni alle sirene delle poltrone pare Mario Draghi, che nel suo primo discorso da presidente del Consiglio ha detto di non voler durare a ogni costo e che "Il tempo del potere pu� essere sprecato anche nell'illusione di conservarlo"). Non solo: avere il comando pu� perfino modificare il carattere perch� per esempio si diventa pi� egocentrici, meno capaci di empatia, pi� propensi a credere agli stereotipi e a pensare di poter controllare gli eventi, andando incontro a un'illusione di onnipotenza che secondo lo psicologo � proprio quella che ha pervaso molti esperti di finanza prima dei crack bancari del 2008. Che peraltro non sono stati immuni da un altro effetto del potere documentato da Deborah Gruenfeld della Stanford University (Usa), ovvero la tendenza a considerare gli altri non persone ma strumenti per i propri fini. Non c'� speranza allora, il potere corrompe davvero e chi arriva all'apice finisce vittima di se stesso e delle proprie ambizioni, come parrebbe anche a giudicare dalla parabola di non pochi politici? "Non � detto", risponde Antonio Aiello, docente di psicologia sociale dell'Universit� di Pisa. "Ognuno pu� restare vittima di un uso spropositato del potere, soprattutto se questo � istituzionalizzato e quindi non deve renderne conto; esistono per� molti leader che mantengono la propria posizione lavorando sul sostegno, anche psicologico, dei destinatari della loro influenza e che possiamo definire illuminati. � difficile per� riconoscerli a priori, cos� come non si riesce a identificare prima chi diventer� un despota autoritario: spesso una caratteristica del buon capo � avere competenze e conoscenze che � disposto a condividere. Io ritengo che non esista una predisposizione naturale, buoni leader si diventa. Tutti possiamo migliorare le capacit� di comando e anche per questo le aziende, per esempio, investono nella formazione e nell'accrescimento dei manager in cui vedono potenzialit�: avere ottime competenze ma non saper gestire i rapporti umani � deleterio quanto il contrario". Le reazioni al potere peraltro pare dipendano almeno un po' dalla voglia pi� o meno forte di esercitarlo: anche qui le differenze individuali contano e l'idea che tutti lo vogliano � un falso mito. Un esperimento di Michelle Wirth dell'Universit� del Michigan (Usa) lo dimostra chiaramente, alcuni non ne hanno bisogno e se si trovano in condizioni di esercitare un'autorit� sono vittime di un forte stress e i loro livelli di cortisolo schizzano verso l'alto, proprio come accade a chi desidera ardentemente comandare e invece si trova a essere gregario. Le persone che vivono il potere come una tortura per� sono una minoranza, anche perch� la seduzione del comando non � solo una metafora: fu Henry Kissinger a osservare che il potere � il miglior afrodisiaco e la ricerca gli ha dato ragione, dimostrando per esempio che chi lo possiede, a prescindere dal genere, ha pi� rapporti sessuali ed � pure pi� infedele, perch� ha una maggior fiducia nella propria capacit� di attrarre partner. La molla per il comando per� probabilmente non arriva (solo) dal desiderio di conquiste amorose, � possibile derivi soprattutto dal bisogno di autonomia, una delle necessit� di base dell'essere umano: lo sottolineano esperimenti condotti in diversi contesti culturali in Europa, Stati Uniti e India proprio da Galinsky. Secondo lo psicologo cerchiamo il potere per poter ignorare e resistere all'influenza degli altri e quindi riuscire a essere pi� padroni della vita. "Questa sensazione di indipendenza mitiga la voglia di avere ancora pi� potere, mentre esercitare un ascendente sugli altri no, o almeno non in maniera tanto spiccata", dice Galinsky. "Il potere come influenza � pi� visibile, � pi� semplice valutare il controllo sugli altri della sensazione di autonomia; tuttavia questa � evidente in leader come Napoleone, Giulio Cesare o Vladimir Putin e si riflette nell'assenza di vincoli, nelle ambizioni e nei propositi che non vengono contrastati". Che il potere sia soprattutto autonomia o sia pi� desiderio di controllare gli altri, di certo pervade le relazioni sociali molto pi� di quello che ipotizziamo perch�, come spiega Keltner, "� parte di tutte le interazioni in cui una persona pu� influenzare un'altra, quindi entra in gioco in ogni momento della vita. E non � il risultato della biologia del "maschio dominante", perch� le donne lo hanno e lo esercitano in molte situazioni. Inoltre lo negoziamo continuamente e quando cerchiamo uguaglianza vogliamo un bilanciamento del potere, non la sua assenza". Conferma Aiello: "Le relazioni simmetriche non esistono, c'� sempre un piano inclinato di dominanza/sottomissione anche se questa dinamica non � quasi mai esplicita: c'� insomma sempre una sorta di tacito accordo, di cui molto spesso non siamo consapevoli, tra due persone in interazione. Il conflitto nasce spesso dal fallimento di questo allinearsi". Succede in famiglia, fra amici, sul lavoro, ma perfino quando siamo clienti di un negozio e facciamo valere i nostri diritti di consumatore: ognuno di noi perci� vive momenti in cui ha potere. Del resto, dovremmo allenarci fin da piccoli a come desiderarlo o gestirlo, come spiega Aiello: "Bisognerebbe imparare ad "alzare la mano", ovvero a cercare pi� potere di quello che abbiamo facendo valere le nostre idee, anche quando non sono allineate alla massa. Una capacit� che la scuola dovrebbe insegnare soprattutto nell'adolescenza, il periodo in cui per esempio si cristallizza la percezione del potere maschile sul femminile: una societ� che non teme di mettersi in discussione deve favorire il pensiero divergente, dare modo a tutti di non omologarsi al potere e di opporvisi se necessario. � quello che ha fatto Greta Thunberg: una adolescente inerme che per� ha "alzato la mano" per dire la sua ed � riuscita a conquistarsi abbastanza potere per portare avanti ci� in cui crede". Se non ci fossero i vulcani (di Luigi Bignami, "Focus" n. 343/21) - Fanno paura. Ma questi mostri della Terra sono stati e sono ancora fondamentali per la vita sul nostro Pianeta - Se nella storia della Terra non ci fossero stati i vulcani, il nostro Pianeta sarebbe stato completamente diverso. E noi umani, semplicemente, non ci saremmo. Perch�, nonostante il pericolo che rappresentano per chi vive nei loro pressi e sebbene le eruzioni abbiano pi� volte prodotto drammatiche alterazioni del clima, i vulcani sono stati indispensabili per creare gli oceani, per generare e mantenere un'atmosfera adatta e per evitare che il campo magnetico della Terra diventasse troppo intenso. In sostanza, per generare le condizioni adatte alla vita. E il loro lavoro continua ancora oggi. Senza i vulcani, innanzitutto sarebbero venuti a mancare gli elementi che hanno forgiato la nostra atmosfera. Sono state le eruzioni, infatti, a immettere nell'atmosfera primordiale della Terra grandi quantit�, in particolare, di anidride carbonica e vapore acqueo. Ma l'anidride carbonica veniva (e viene ancora) catturata da alcuni microorganismi, i cui resti, accumulati sui fondali insieme ad altri materiali, si trasformavano in rocce. Queste, a loro volta, sprofondavano nel mantello terrestre a causa dei movimenti tettonici. In altre parole, se i vulcani non avessero continuato a rifornire di anidride carbonica l'atmosfera, questo gas sarebbe sparito. E la temperatura sul Pianeta si sarebbe abbassata al punto da impedire forse alla vita pi� evoluta di svilupparsi. � l'anidride carbonica, difatti, che ci tiene al caldo grazie all'effetto serra che produce (quello naturale, non quello intensificato dalle attivit� umane). Un discorso simile vale per il vapore acqueo. Buona parte dell'acqua terrestre � probabilmente arrivata a cavallo di asteroidi e forse comete, ma i vulcani, che durante le fasi primordiali della Terra erano moltissimi, e molto attivi, hanno emesso nell'atmosfera l'acqua che era gi� presente nella Terra alle sue origini. E sempre i vulcani la "riciclano", perch� anch'essa pu� scomparire nel sottosuolo per gli stessi meccanismi geologici cui � sottoposta l'anidride carbonica. Senza vulcani, anche l'interno del nostro Pianeta sarebbe profondamente diverso. Circa 4,4 miliardi di anni fa, il mare di lave che ricopriva la Terra si raffredd�, formando una crosta sottile. Ma il magma rimasto sotto la superficie riusciva occasionalmente a perforarla, dando origine ai vulcani; che quindi funzionarono come valvole di sfogo per far uscire il materiale caldissimo presente sotto la crosta. Questo meccanismo, tra l'altro, fu molto importante per il processo di raffreddamento del nostro Pianeta. Se la crosta, invece, fosse stata cos� spessa da impedire alle lave di emergere (quindi bloccando la formazione dei vulcani), quel calore sarebbe ancora in gran parte l� sotto. Certo, il materiale magmatico sarebbe risalito dal nucleo della Terra (da circa 6.000 chilometri di profondit�, dove vi sono temperature di 5-6.000�C) verso la crosta, dove si sarebbe raffreddato fino a qualche centinaio di gradi. Ma il processo lo avrebbe reso pi� denso e sarebbe sprofondato di nuovo, in una sorta di ciclo. Nella realt� questo processo invece � diverso, perch� interessa solo il mantello superficiale. Il magma, cio�, sale soltanto da 700-800 chilometri di profondit� fino alla crosta. Qui si raffredda e si muove lateralmente, rompendo la crosta stessa e dando origine alle dorsali oceaniche (dove vi sono decine di migliaia di vulcani), fratture lunghe migliaia di chilometri dalle quali prende il via la tettonica delle zolle. "La tettonica prevede che dalle dorsali la crosta oceanica venga spinta verso le zone dette di "subduzione", dove si inabissa sotto i continenti, come accade per esempio dove il fondo del Pacifico si infila sotto il Nord America, il Centro e il Sud America", afferma Federico Pasquar� Mariotto, geologo e professore associato di Comunicazione delle Emergenze Ambientali all'Universit� degli Studi dell'Insubria. "Visto per� che dalle zone di subduzione scaturiscono i terremoti pi� devastanti, come quello di magnitudo 9,6 del 1960 in Cile, in assenza di vulcanismo presso le dorsali non avremmo pi� sismi di potenza devastante, ma solo terremoti interni ai continenti e di magnitudo pi� contenuta". Questa sarebbe forse l'unica conseguenza "positiva" dell'assenza dei vulcani presenti nelle dorsali oceaniche. Se la crosta terrestre fosse stata molto spessa, ci sarebbero stati effetti anche sul campo magnetico terrestre. Esso si genera infatti in seguito al movimento del ferro nel nucleo esterno (la parte liquida del nucleo) della Terra. Ma se condizioni diverse avessero permesso movimenti pi� ampi, dal nucleo fino sotto la crosta, il campo magnetico probabilmente sarebbe molto pi� intenso. Da un lato, avrebbe protetto meglio la Terra dalle radiazioni cosmiche pericolose, ma dall'altro avrebbe potuto distruggere il Dna delle cellule dei primi viventi, impedendone la riproduzione. Malgrado i vulcani siano pericolosi, centinaia di milioni di persone popolano aree vulcaniche attive; basti pensare alla zona attorno al Vesuvio, dove risiedono circa 700.000 abitanti. Perch� la gente vuole vivere su un vulcano attivo? La risposta � semplice: l'eccezionale fertilit� del suolo. Sui vulcani, il suolo � prodotto essenzialmente dall'alterazione chimico-fisica che l'acqua piovana esercita sulle rocce laviche e sui materiali piroclastici depositati dall'attivit� esplosiva. Il terreno che si forma garantisce una maggiore produttivit� e una superiore qualit� dei prodotti della terra; un esempio sono gli ottimi vini ottenuti da uve coltivate nelle aree del Vesuvio e dell'Etna. La lava, e pi� in generale tutti quelli che vengono chiamati "prodotti eruttivi", � infatti ricca di elementi chimici (come l'azoto, lo zolfo, il magnesio e il ferro) che favoriscono le coltivazioni e sono utili per l'ecosistema e la biosfera. I "nutrienti" originati dai vulcani possono per� arrivare anche in modo pi� diretto: sia attraverso le piogge, che si arricchiscono di elementi catturati nel pennacchio gassoso di un vulcano attivo, sia attraverso la ricaduta di cenere sulla terra e nel mare. Nel primo caso, le goccioline di pioggia agiscono come "spazzini" del cielo, poich� intrappolano le particelle di aerosol presenti nel pennacchio vulcanico e le portano al suolo. Per quanto riguarda le ceneri, possiamo guardare all'Etna, che ne emette grandi quantit�, soprattutto durante le fasi eruttive parossistiche come quelle che si sono verificate negli ultimi mesi. Ogni volta che ci� avviene, la frazione pi� grossolana di questi materiali ricade sulla superficie del vulcano, mentre quella pi� fine � trasportata dai venti di alta quota e precipita in aree anche molto distanti. Le ceneri che finiscono in mare, dopo un breve contatto con l'acqua, rilasciano nutrienti e metalli che diventano disponibili per il fitoplancton (l'insieme dei microrganismi vegetali presenti nel plancton, che costituiscono la base della catena alimentare degli ambienti acquatici), il quale risponde con una "fioritura" pi� intensa. Nutrienti fondamentali per l'ecosistema marino mediterraneo come azoto, fosforo, silice, ferro e zinco possono influire sulla salute del mare fino a distanze di 700 chilometri dall'Etna. E dato che il Mediterraneo � in generale un mare povero di nutrienti, l'apporto da parte del vulcano � provvidenziale. Vulcani s�, ma non troppi... Senza vulcani, la Terra sarebbe un pianeta privo di vita, ma troppi vulcani e periodi prolungati di grandi eruzioni possono avere conseguenze catastrofiche. Sembra infatti che alcune estinzioni di massa che hanno segnato la storia della Terra siano state causate da eruzioni durate centinaia di migliaia, se non milioni di anni, che immisero tanto biossido di zolfo nell'atmosfera terrestre da causare cambiamenti climatici drammatici per la vita. Il biossido di zolfo prodotto dalle eruzioni, infatti, riflette gran parte dei raggi solari e dunque porta a un raffreddamento del Pianeta. Si pensa, per esempio, che la pi� grave estinzione di massa avvenuta circa 250 milioni di anni fa, tra la fine del Permiano e l'inizio del Triassico, sia stata causata da una sequenza di eruzioni che si verific� nell'attuale Siberia. L'imponente fenomeno ricopr� un territorio di 2,5 milioni di chilometri quadrati (pi� di otto volte la superficie dell'Italia) con basalti spessi circa quattro chilometri. In quella occasione, il 96% delle specie animali marine si estinse, ci fu un'estinzione di massa di insetti e scomparve nel complesso oltre il 50% delle famiglie animali esistenti. Radicchio, il fiore da tavola che mantiene giovani ("RivistAmica" n. 9/17) - A lungo rimasta confinata nel trevigiano, questa variet� di cicoria selvatica si � diffusa oggi grazie alla sua croccantezza e alle propriet� antiossidanti - La prima volta in cui il radicchio � comparso su una tavola, probabilmente, lo ha fatto per caso. La leggenda vuole che alcuni contadini del trevigiano intendessero conservare nelle stalle una variet� di cicoria selvatica per nutrire i loro animali, salvo accorgersi poi che i cuori di radicchio, invece di marcire, diventavano gustosi e croccanti. Da allora questo alimento si � ritagliato il suo spazio in molti piatti, dal risotto all'insalata. Merito anche delle numerose propriet� benefiche che lo caratterizzano. Leggende a parte, si sa che la coltivazione del radicchio si � imposta nella provincia trevigiana a partire dalla met� del XIX secolo, grazie soprattutto all'introduzione di una particolare tecnica, quella della forzatura-imbianchimento, che produsse l'alimento come oggi lo conosciamo. Questa particolare variet� di cicoria selvatica, per�, si mangiava a livello locale gi� dal XVI secolo: lo dimostrano una ricerca dell'Universit� di Padova e un dipinto, "Nozze di Cana" di Leandro Bassano, in cui foglie di un ceppo di radicchio spuntano da un cesto di primizie. Negli anni '20 del Novecento, il radicchio ha progressivamente conquistato le tavole degli italiani, ispirando anche descrizioni poetiche: "Il radicchio di Treviso � un fiore commestibile [...] sembra, nella casalinga insalatiera, un mazzo d'orchidee in una preziosa coppa di porcellana", scriveva ad esempio Elio Zorzi nel 1928. Grazie anche alla nascita di piatti tipici come il risotto alla trevigiana, l'ortaggio ha avuto una diffusione senza limiti: i semi del radicchio sono arrivati anche nello spazio, durante una missione del 1998 in cui la Nasa mirava alla sperimentazione degli effetti della microgravit� su sementi e piante. Se il radicchio fa parte del nostro men� � anche grazie alle sue propriet�. Ricca di anti-ossidanti e vitamine, quest'erba rallenta l'invecchiamento cellulare e dei tessuti, contrastando anche l'insorgenza di alcuni tipi di tumore. I benefici per l'organismo, del resto, erano riconosciuti gi� ai tempi in cui il radicchio non si mangiava: gli antichi Egizi lo utilizzavano come erba medica per ripulire fegato e sangue e anche Plinio il Vecchio nel primo secolo a.C. parla di una "lattuga veneta" dalle considerevoli propriet� depurative. Il sapore amarognolo � il prezzo da pagare al potere disintossicante di questo alimento, a cui si aggiungono i benefici contro lo stress e l'insonnia, combattuti dal triptofano. Ottimo per l'intestino grazie alla ricchezza di acqua e fibre, il radicchio fa molto bene anche alle ossa, vista la massiccia presenza di calcio e ferro. Gli antociani, che caratterizzano le verdure di colore rosso e violaceo, svolgono infine funzione di prevenzione nei confronti delle malattie cardiovascolari, in particolare della cardiopatia ischemica. Buone notizie anche per chi vuole perdere peso: con 13 calorie per 100 grammi, il radicchio � il candidato perfetto per ogni tipo di dieta. Il Radicchio Rosso di Treviso � la variet� pi� nota, tutelata da un consorzio e dalla denominazione IGP. Lo si produce in 24 comuni tra le province di Treviso, Venezia e Padova, dove si coltiva in due varianti: quello precoce (meno pregiato, con foglia larga e sapore pi� amaro) e quello tardivo (foglie lunghe e affusolate, raccolto in pieno inverno e soggetto a un complesso processo di produzione che lo vede immerso in vasche di acqua tiepida). Oltre a quello trevigiano, ci sono altri tipi di radicchio. C'� ad esempio quello tondo di Chioggia (Venezia), un incrocio fra il tardivo e l'indivia scarola che presenta ceppi rotondi e compatti dalla consistenza molto corposa. O il Variegato di Castelfranco (Treviso), anch'esso prodotto di una commistione di specie diverse: le foglie sono grandi e di colore bianco, appena striate di rosso, mentre il sapore � decisamente pi� dolce rispetto alle altre varianti. Conclude il tour del Veneto, il Radicchio di Verona IGP, che rispetto al suo stretto parente trevigiano ha una forma ovale del cespo, ma mantiene il gusto amarognolo e la tradizionale croccantezza. Un peccato usarlo solo per arricchire l'insalata. Tutte le sfumature dell'insalata L'insalata � il piatto perfetto per tutte le stagioni, perch� si adatta agli ingredienti del momento, pu� essere "leggera" quando serve stare attenti alla linea o pi� sostanziosa quando c'� bisogno di energia per affrontare la giornata. Sono tante le scelte per preparare la vostra, grazie alle molte tipologie di cicoria, lattuga e radicchio presenti in assortimento. Lattuga a cappuccio - La lattuga a cappuccio � una delle versioni pi� diffuse in Italia, visto che la si coltiva in ogni stagione. Per molti � la "base" di una delle pi� classiche insalate, con pomodori, mais e mozzarella. Cicoria Pan di zucchero - I ceppi di questa verdura sono molto simili al cavolo cinese, con foglie carnose dal sapore amarognolo. Ricca di provitamina A, vitamina C e acido folico, si abbina bene con la carne e il formaggio. Lattuga iceberg - Negli Stati Uniti in origine accompagnava gli hamburger, ora � molto presente anche in Italia: la lattuga iceberg ha foglie verde chiaro ricche d'acqua, con solo 11 calorie per 100 grammi. Perfetta per chi vuole restare in forma. Lattuga romana - Foglie dritte, cespo allungato e compatto, colore verde intenso e consistenza croccante: � la lattuga romana, protagonista di saporite combinazioni come la "Caesar salad", insalata con parmigiano, crostini di pane e salsa Worcestershire. Elena Lietti: nessun rimpianto per essere arrivata tardi al successo (di Davide Turrini, "Millennium" n. 44/21) - Per recitare bisogna aver vissuto. A 20 anni non avrei saputo cosa dire - Pensate a una figura femminile di Egon Schiele che prende vita sullo schermo. Pensate alla grinta e alla classe di Meryl Streep catapultati all'improvviso in un film italiano. Pensate alla voce di Mariangela Melato tuonare da un palco teatrale o in una serie tv. Elena Lietti, 44 anni da Saronno, � l'affermazione attoriale che arriva nitida e potente quando meno te l'aspetti. Anni a recitare sulle gloriose tavole del Franco Parenti di Milano assieme a Filippo Timi o diretta da Andr�e Ruth Shammah, ma solo nel 2017 il ruolo folgorante da co-protagonista nella serie Il miracolo di Niccol� Ammaniti. Non che prima il cinema mancasse: dall'esordio del 2009 (Oggi sposi di Luca Licini) a Il rosso e il blu di Giuseppe Piccioni (2012) fino a Paolo Virz� (La pazza gioia del 2015). Anche la tv l'aveva cercata, con la serie Alex & Co. Ma dopo l'exploit con Il miracolo, le chiamate per lei si sono moltiplicate. In sequenza: Nanni Moretti con Tre Piani, la versione cinematografica de L'arminuta che Giuseppe Bonito ha tratto dal romanzo di Donatella Di Pietrantonio, il set di Paolo Virz� con Siccit�. Infine ancora Ammaniti che le offre il ruolo di Maria Grazia in Anna, la serie Sky in onda dal 23 aprile 2021. Nel mezzo di una pandemia globale, il virus si respira e uccide vecchi e adulti. Lietti � una donna forte e determinata, pronta a tutto pur di aiutare la figlia Anna a sopravvivere. - Pannello introduttivo della serie: "Anna" � un romanzo del 2015. Il covid � scoppiato sei mesi dopo l'inizio delle riprese. "Iniziai a girare sul lago di Bolsena gli interni nell'autunno/inverno 2019. A gennaio 2020 ero a Linate a prendere l'aereo per andare sul set a Palermo. Cominciavano ad arrivare notizie preoccupanti dalla Cina. Nell'attesa scrivevo agli amici della troupe: siamo sicuri che questa cosa che raccontiamo nella serie non si sta realizzando veramente"? - Nei primi venti minuti di "Anna" si vedono ambulanze e sirene, gente in quarantena, colpi di tosse contagiosi... "Ammaniti gi� aveva profetizzato l'Italexit ne Il miracolo. Gli artisti che osservano il mondo in profondit� vedono cose che non a tutti sono evidenti ma che ci succederanno". - Nella serie c'� pure un recinto con appese delle pezze colorate oltre le quali non si pu� andare... "Le indicazioni che do ai bambini per sopravvivere e che loro ascoltano quando sono morta, le ho recitate e registrate in pieno lockdown. Abbiamo dovuto fare un gran lavoro a togliere per essere meno profetici. Risultavamo clamorosamente aderenti alla realt�". - Hai mai eluso qualche norma dei dpcm? "No, sono noiosamente prima della classe fin da quando andavo a scuola. Potevo inventarmi qualcosa per andare a trovare i miei genitori fuori Milano, ma la paura di contagiarli � stata pi� forte. Tanto ci sono le nuove tecnologie. Mio figlio di cinque anni ogni sera saluta i nonni dallo smartphone. Gioca con loro a Indovina chi"? - Maria Grazia � un personaggio molto duro e ha un rapporto complesso con la figlia Anna... "� un po' diversa da quella canonica, dall'angelo del focolare. E poi la cogliamo in un momento di emergenza assoluta in cui ha poco da fare la sentimentale: vuole provocare un senso di autonomia e d'indipendenza nella figlia. Per Ammaniti era importante far capire da dove veniva la stamina di questa ragazzina. � una figura anticonformista". - "Anna" ha una dimensione distopica, vagamente horror, bimbi che prendono a randellate altri bambini: � un'atmosfera che ti affascina? "Ammaniti scansa il melodramma come la peste. Mi piacciono un po' gli estremi, non necessariamente l'horror. Nell'artificio del genere trovo onest� nel raccontare il presente. Da spettatrice, il naturalismo mi interessa poco". - Sole Pietromarchi de "Il miracolo" sconvolse tutti: trasmetteva una profonda e inattesa carnalit�... "Mi accorsi di quella forza fin dalla lettura dello script. Ci fu un momento in cui mi sorprendeva come Sole non suonasse il campanello di casa per presentarsi". - Sei arrivata tardi al successo... "Prima ho studiato legge, mi sono laureata e intanto studiavo teatro, avevo una mia compagnia. A un certo punto ho incontrato Filippo Timi e recitare non � pi� stato un hobby". - La passione � nel sangue... "Avevo nove anni quando a scuola vennero quelli del corso di orientamento per il futuro. Cosa vuoi fare da grande? E io: l'attrice. La passione per la recitazione e per i film viene da mamma. Insomma, la passione c'� sempre stata, ma la professione, cio� quando ti pagano per recitare, � venuta tardi". - Rimpianti? "Nessuno. Per recitare serve aver vissuto. Se avessi iniziato a vent'anni non so bene cosa avrei avuto da raccontare: ero talmente nella bambagia". - Spiegaci il mestiere dell'attrice. "Ci vuole grande disciplina. L'attore deve praticare quello che gli serve per trovarsi pronto all'azione: leggere, fare rilassamento, aver cura del proprio corpo". - Su Youtube ci sono spezzoni del tuo "Posso uscire anche a mezzanotte": sei anche una grande attrice comica... "Era il 2011. Ancora niente "professione". Erano vari monologhi insieme. Uno, quello del titolo, era ispirato a Franca Valeri. Un altro a Giorgio Gaber. Due erano miei". - Parliamo dei teatri chiusi oramai da un anno? "Mamma mia che disastro...". - Come si sblocca questa situazione? "Quando riapriremo dovranno spiegarci perch� questa restrizione cos� drammatica � stata imposta solo ai cinema e ai teatri. Capire il principio perch� la cosa non si ripeta, perch� non si venga trattati come figli o fratelli sfigati. Non faccio polemiche, per� vorrei capire perch� questo stop � sempre stato imposto senza appello e senza dubbi proprio in un contesto in cui i controlli sono pi� fattibili che in altri. Cosa ci vuole a far entrare un terzo del pubblico, tenerlo distanziato e con mascherina per due ore"? - Come si riesce a infondere fiducia agli spettatori per tornare in sala? "� importante usare questo tempo per fare autocoscienza e scegliere di raccontare cose rilevanti. Va interrotta la dinamica per cui a teatro si vedono cose vecchie. Il teatro deve tornare a essere rock". - In molti contesti teatrali sono rimasti solo gli abbonati della domenica pomeriggio e anche piuttosto anziani... "Sarebbe bello che i giovani andassero a teatro, trovassero storie in cui rispecchiarsi e scoprissero il gusto di stare sul palcoscenico. Le figlie di molte amiche fanno corsi di recitazione e hanno come obiettivo principale essere Zendaya. Ma dico io: il teatro � il mezzo principe dell'attore". - Qual � la storia, il testo che pi� ti ha colpito negli ultimi anni per la sua aderenza alla realt�? "I grandi classici sono contemporanei. Di recente ho letto La valle dell'Eden. Parla di archetipi, di cose eterne, quindi se generi figli maschi ti conviene leggerlo (ride). Poi caldeggio sempre una visione periodica di Via col vento. Senza disclaimer. Basta contestualizzarlo". - Quando � scoppiato il #Metoo cos'hai pensato? "Non ho avuto esperienze di abuso di potere, ma ho sperimentato come tutte il paternalismo tipico della nostra cultura. E non parlo necessariamente dell'ambiente artistico, parlo della vita in generale, da quando studiavo all'universit� all'assemblea di condominio della scorsa settimana. Adesso siamo in un momento di conflitto, speriamo si arrivi a una sintesi. Il cambiamento culturale richiede tempo". - Profilo Instagram: una foto alla Sironi, gente fotografata di spalle e in bianco e nero, mai un selfie? "Non credo di essere brava a gestire i social. Mi piace Instagram perch� amo fare foto e vedere quelle altrui. Amo molto meno leggere le opinioni degli altri". - Altro click: signora con cagnolino. "Ero a Civitavecchia sul set de L'arminuta. Li ho visti passare e ho fotografato. Online c'� chi mi ha chiesto di acquistare quella foto". - Click: tu e Nanni Moretti dietro la macchina da presa. "Davo le battute alla mia controparte in scena. Del film non posso dire nulla". - Che regista � Nanni? "Un perfezionista. Per una posa chiede ancora parecchi ciak. Comunque al provino per lui pensavo di aver fatto schifo e invece...". - La prima cosa che fai quando si torna alla vita senza zone colorate? "Ho una gran voglia di andare al mare... ma anche andare al cinema. Facciamo cos�: prima vado a vedere un film, poi... al mare". Vuelta a Espa�a 2021: una corsa all'insegna della spiritualit� e dello spettacolo Il terzo Grand Tour della stagione (dopo Giro d'Italia e Tour de France) si svolger� dal 14 agosto al 5 settembre e servir� a decretare il successore di Primoz Roglic nell'albo d'oro. Otto pianeggianti, quattro collinari, sette montuose e due cronometro individuali: questo ci� che hanno disegnato gli organizzatori, con un occhio particolare alle salite che da sempre caratterizzano la corsa spagnola. Sar� un percorso interamente spagnolo, quello proposto stavolta, senza sconfinamenti neppure nelle vicine Andorra o Francia. Partenza da Burgos con una cronometro individuale di 8 km, poi, sempre all'interno dell'omonima provincia, due tappe: il terzo giorno sar� subito la volta del primo arrivo in salita a Picon Blanco (1� categoria). Spostandosi verso est, due facili tappe, prima di un'altra terminante con uno strappo su un GPM di 3� categoria sull'Alto de la Montana de la Cullera. Il giorno successivo, il settimo, prima vera tappa insidiosa, con sei GPM compreso l'arrivo a Balcon de Alicante (1� cat.). Dopo una giornata di tregua, la nona frazione arriva sull'Alto de Velefique (cat. Especial) ad Almeria, mentre la decima prevede un GPM di 2� categoria a quindici chilometri al traguardo. Effettuato il primo giorno di riposo, la corsa entra in territorio andaluso. La seconda settimana avr� le sue tappe clou con il traguardo molto impegnativo a Pico Villuercas e quello a El Barraco meno ostico (tappe n. 14-15) ma non per forza meno decisivo. E poi la settimana decisiva, che comincia con la facile frazione di Santa Crus de Bezana, ma prosegue con la sempre spettacolare tappa terminante ai Laghi di Covadonga. Attesissimo anche il giorno seguente: nelle Asturie si scala l'Altu del Gamoniteiru, per una due giorni sicuramente decisiva. Questo perch� non pu� destare preoccupazione l'arrivo di 2� categoria del Castro de Herville. Semmai, se la classifica generale si riveler� corta, attenzione all'ultima giornata: niente passerella a Madrid, ma una cronometro individuale di 33.7 km a Santiago de Compostela, in Galizia.