Agosto 2017 n. 8 Anno XLVII MINIMONDO Periodico mensile per i giovani Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registrazione 25-11-1971 n. 202 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Massimiliano Cattani Antonietta Fiore Luigia Ricciardone Copia in omaggio Indice Nella mente del terrorista Noi e gli animali: cos� diventammo amici Viaggi nel tempo? Maraschino: onor di ciliegia Cilento: per storia, per mare Andrea Delogu si racconta Cristiano Ronaldo: il leader della Champions League Nella mente del terrorista (di Massimo Picozzi, "Focus" n. 298/17) - Uccidere decine di innocenti con una bomba, un coltello, un tir: come si pu�? La psicologia sociale ha qualche risposta. E sette proposte - Lanciarsi a tutta velocit� con un'auto contro la folla, riempire un ordigno esplosivo di chiodi e biglie di ferro, uccidere con una lama, davanti a una telecamera, e consegnare alla Rete un messaggio di terrore. Come � possibile che tanta crudele disumanit� non sia il risultato di una mente malata, di una patologica perversione degli istinti? Alla domanda ha cercato di rispondere una ricerca appena pubblicata dalla rivista scientifica Nature. Sandra Baez, dell'Universit� di Buenos Aires, e altri colleghi sudamericani, hanno esaminato 66 terroristi detenuti nelle carceri colombiane, confrontandone il profilo con un gruppo di controllo. Ogni criminale, responsabile di una media di 33 omicidi, � stato valutato sotto il profilo cognitivo, dell'aggressivit� e della capacit� di riconoscere le emozioni (dove, come forse era da attendersi, ha mostrato difficolt� a distinguere rabbia, tristezza e disgusto). Ma la scoperta pi� interessante riguarda il giudizio morale. Per i terroristi, si � scoperto, � pi� "colpevole" chi fa per sbaglio cadere un vaso in testa a un passante, uccidendolo, di chi spara a una persona per ammazzarla ma riesce solo a ferirla. Invertendo cos� quel fondamento dell'etica comune per cui, nel valutare un'azione, non si pu� prescindere dall'intenzione di chi la compie. L'ipotesi della Baez � che i criminali studiati abbiano una distorsione del giudizio morale del tutto simile a quella dei bambini piccoli e dei pazienti con un danno neurologico ai lobi frontale e temporale del cervello. Sfortunatamente, la ricerca argentina restituisce pi� interrogativi che soluzioni: innanzitutto, i pluriomicidi esaminati avevano aderito a gruppi terroristici paramilitari per un movente economico e non ideologico; e, cosa pi� importante, non ci dice se gli stessi difetti etici siano presenti negli affiliati all'Isis, il gruppo che negli ultimi anni in Europa si � reso colpevole del maggior numero di stragi. Di fatto, per quanto ci conforti pensare che la mente di un terrorista sia strutturalmente diversa dalla nostra come sembra suggerire lo studio sudamericano, altre ricerche testimoniano che i processi psicologici che guidano un individuo ad aderire all'Isis o ad Al-Qaeda sono invece profondamente umani, e poggiano su elementi comuni a tutte le etnie e culture. Quelli non sono pazzi: il loro cervello funziona come il nostro. Ma ci�, paradossalmente, � anche un vantaggio e ci fornisce un buon arsenale con cui combatterli, frutto di decenni di studi di psicologia sociale. Cominciamo con lo sfatare un mito: un terrorista non partecipa a un gruppo che semina terrore solo perch� vuole circondarsi di gente violenta. Pi� spesso lo fa perch� � alla ricerca di complicit�, di riconoscimento, di rispetto e, magari, anche di uno scopo. Secondo Emile Bruneau, psicologo cognitivista dell'Universit� della Pennsylvania, un individuo non aderisce a un gruppo per il solo obiettivo "ufficiale" che quello si prefigge, che sia giocare a tennis, costruire una nuova Utopia o mettere bombe: molto pi� forte � il legame sociale, la necessit� di sentirsi parte di qualcosa e simili a qualcuno. Ecco perch� una regolare e partecipata frequentazione della moschea di riferimento � inversamente proporzionale alla possibilit� di affiliazione a gruppi terroristici di matrice islamica: chi fa gi� parte di una comunit� difficilmente ne cerca un'altra. Allo stesso tempo per� il nostro cervello ci pone una grossa trappola: proprio mentre crea e trae piacere dal sentirsi parte di un "noi", simultaneamente ha bisogno di costruire anche un "loro". Non riusciamo a sentirci veramente uniti se in qualche modo non abbiamo definito anche la nostra diversit� da tutti gli altri. � un processo naturale e normalmente innocuo: non significa, ovviamente, che vogliamo uccidere tutti quelli che giocano in un'altra squadra. � proprio grazie a questo meccanismo, tuttavia, che avviene la radicalizzazione. Ed estremisti, ideologi e predicatori sanno bene come usarlo: "Se riesci a provocare i non musulmani al punto da spingerli a guardare tutti i musulmani con paura e ostilit�, allora quei musulmani che prima evitavano il conflitto possono cominciare a sentirsi emarginati e a prestare attenzione alla chiamata delle voci pi� radicali tra loro", scrivono gli psicologi sociali Stephen Reicher e Alexander Haslam su Scientific American Mind's. Lo stesso meccanismo funziona per tutti, islamici e non, fomentando per esempio tra gli occidentali quell'islamofobia che gli scienziati definiscono co-radicalizzazione. D'altra parte, dagli studi degli anni '50 di Muzaraf Sherif (tra i fondatori della psicologia sociale) fino a oggi, le ricerche e ultimamente anche le tecniche di neuroimaging, che misurano l'attivit� cerebrale, hanno dimostrato quanto � facile per il nostro cervello privilegiare la divisione e la differenza. Se a un bianco viene mostrata l'immagine di una persona di colore, aumenta l'attivit� dell'amigdala, struttura legata all'emozione della paura, anche in totale assenza di pregiudizi razziali consapevoli. Ma ancor pi� forte, sorprendentemente, � lo stimolo legato all'appartenenza di gruppo; se la persona di colore fa parte del proprio gruppo, non si osserva alcuna particolare reazione nell'amigdala. Perch� dall'ideologia si passi a compiere una strage occorre per� ancora qualcosa. E cio� che arriviamo a concepire il nemico come totalmente "altro da noi". Cio� non facente parte del "megagruppo" degli esseri umani. Infatti, spiega Bruneau, il nostro cervello � modellato sia per prendersi cura sia per uccidere, distinguendo tra chi � "dentro" e chi � "fuori" dal gruppo. Dei primi si ha cura, i secondi si possono ammazzare. Per cogliere il livello di disumanizzazione di cui siamo capaci, Bruneau ha utilizzato uno strumento chiamato diagramma "Ascent of Man" in cui � rappresentata la conquista della stazione eretta da una scimmia all'uomo in cinque passaggi. Chiedendo a persone di cultura, etnie e religioni diverse di collocare se stessi e gli altri gruppi sul diagramma, il ricercatore ha potuto stabilire il loro grado di "umanit�": in tutti i casi, almeno uno dei gruppi diversi dal proprio � stato piazzato a quindici punti di distacco su 100 di massimo. Che fare? Ma davvero non ci sono vie d'uscita da questa spirale? Fortunatamente, grazie alla psicologia sociale, si pu� elaborare una strategia in sette mosse per contrastare l'estremismo ma anche la pericolosa co-radicalizzazione. Primo, ricordiamoci di essere individui unici e che le nostre convinzioni riguardo a terrorismo, immigrazione, religione non sono necessariamente condivise dagli altri. Spesso, per un principio che gli psicologi chiamano del "falso consenso" (L. Ross, D. Green e P. House, 1977), diamo per scontato che tutti gli appartenenti alla nostra comunit� la pensino esattamente come noi. E non � cos�. Secondo, impariamo a vincere l'imbarazzo e la vergogna che ci frenano dall'agire quando abbiamo il sospetto che qualcosa di brutto o pericoloso stia accadendo in un luogo pubblico (B. Latan�, J. M. Darley, 1968). Non toccher� a "qualcun altro" intervenire. Siamo tutti responsabili. Pu� bastare una telefonata. Terzo: quando non abbiamo un'opinione su un determinato argomento, dobbiamo vincere la tentazione di affidarci semplicemente al pensiero di qualcuno di cui ci fidiamo gi� (D. Abrams e altri, 1990), dando per scontato che abbia ragione. Informiamoci autonomamente. Ascoltiamo almeno un altro parere. La quarta e la quinta strategia sono valide soprattutto per l'azione politica. Si tratta infatti di motivare le persone a sentirsi parte di un "super gruppo" che agisce per il bene dell'umanit� e che supera le categorie di genere, razziali, di religione (H. Tajfel, 1971)... Ma anche di tenere d'occhio chi si convince "troppo", perdendo di vista la propria individualit� per aderire entusiasticamente agli obbiettivi del gruppo (W.B. Swann, 2010). Il sesto consiglio degli psicologi sociali deriva dagli esperimenti mirati alla risoluzione dei conflitti (come quelli, per esempio, tra palestinesi e israeliani). Si � visto infatti che quando il gruppo A osserva membri del gruppo B rimproverare un comportamento di un proprio adepto, improvvisamente il livello di ostilit� nei confronti dell'intero gruppo "avversario" cala, e aumentano simpatia e disponibilit� al dialogo (T. Saguy e E. Halperin, 2014). Insomma, siamo trasparenti nei giudizi e non troppo indulgenti anche verso i membri della nostra comunit�. Le altre apprezzeranno. La settima strategia per "sgonfiare" gli estremismi � quella del paradosso. Portare i potenziali terroristi a visualizzare le estreme conseguenze delle loro affermazioni pi� radicali e irrazionali spesso li costringe a riflettere e a ripensare i propri argomenti (per esempio: "Come vivresti se le donne non potessero mai uscire di casa?". B. Hameiri, 2014). Concludendo: probabilmente non saranno gli studi di psicologia sociale a sradicare il fenomeno del terrorismo. Sarebbe saggio, per�, sfruttare quello che sappiamo dei meccanismi che lo alimentano per evitare di dare ancora pi� ossigeno alle sue fiamme. Noi e gli animali: cos� diventammo amici (di Massimo Manzo, "Focus Storia" n. 130/17) - Per la caccia, la guardia e la guerra: loro sono entrati nella vita dell'uomo con compiti precisi. Poi per� si � creato un legame affettivo che dura ancora oggi - Pappagalli chiacchieroni, cardellini colorati, e ancora furetti, scimmiette, pesci rossi, cavalli. E ovviamente gli immancabili cani e gatti. Sono molti gli animali da compagnia con cui l'uomo ha costruito uno speciale rapporto di affetto e amicizia, spesso slegato da qualunque ruolo produttivo o utilitaristico. Oggi avere un pet ("animale domestico") � normale, eppure per secoli si tratt� di un vezzo per pochi privilegiati. Ma come vivevano in passato queste creature? Tra l'uomo e alcuni animali inizialmente vi fu un "matrimonio d'interesse": cani, cavalli e gatti erano utilizzati per la caccia, la pastorizia, la guerra o la protezione dei granai, ricevendo in cambio cibo e rifugio. Poi il legame si fece pi� stretto. Il cane fu il primo a essere addomesticato, quasi sedicimila anni fa, e secondo gli studiosi � anche il pi� importante animale d'affezione della Storia. I gatti, invece, furono avvicinati per la prima volta dagli Egizi (II millennio a.C.), che li usarono per tenere lontani i ratti dalle coltivazioni di cereali. "Nell'antico Egitto i gatti non se la dovevano passare cos� male", racconta Fabrizio Felici Ridolfi, egittologo e autore del volume La vita quotidiana nell'antico Egitto (Scienze e lettere). Ritenuti sacri, i piccoli felini divennero aiutanti e amici. Avere un micio, per gli Egizi, era infatti abbastanza comune, si trovavano anche nelle case dei meno abbienti perch� nutrirli costava poco. "Lo storico greco Erodoto (V secolo a.C.) racconta stupito che se una casa andava a fuoco gli abitanti si preoccupavano di salvare i gatti prima dei propri averi, e di come alla loro morte i padroni fossero soliti rasarsi le sopracciglia in segno di lutto", continua l'esperto. Ma c'era anche un altro animale che gli Egizi amavano, le scimmiette, di cui gli archeologi hanno trovato molti resti: babbuini e cercopitechi mummificati accanto ai loro proprietari. Per le polverose strade di Roma antica, invece, non era raro imbattersi in ragazzini intenti a giocare con anatre, galline o caprette, che probabilmente poco dopo finivano, senza troppi patemi, sulle loro tavole. Tuttavia, anche nel mondo classico non mancarono le creature da compagnia. Fido era l'amico per eccellenza e vennero allevate razze canine da affezione, come il popolare Melitaeus, un cagnolino bianco simile all'odierno maltese, raffigurato spesso mentre gioca con adulti e bambini in un gran numero di pitture vascolari (la decorazione dei vasi), figurine di terracotta e urne funerarie. I Romani ebbero inoltre una vera predilezione per i volatili e addestrarono a parlare pappagalli, corvi e gazze. "All'et� di Tiberio, nei pressi del negozio di un calzolaio, vi era un corvo che ogni mattina volava nel Foro Romano, dove parlavano abitualmente gli oratori, salutando Tiberio, Germanico e Druso Cesare. Fatto questo se ne tornava al negozio", riporta la storica Federica Guidi nel libro Vacanze romane. Tempo libero e vita quotidiana nell'antica Roma (Mondadori). Gli abitanti gli erano talmente affezionati che quando fu ucciso cacciarono il "corvicida" e organizzarono un solenne funerale. Ovviamente, gli stravaganti imperatori possedevano schiere di bestie esotiche tra cui serpenti, leoni e pantere, usati come simbolo di sfarzo e potere. Dall'altra parte del mondo, anche i loro omologhi cinesi avevano usanze simili. Gli appartenenti alla dinastia Jin (265-420 d.C.) furono i primi a introdurre il "pesce rosso" (una variet� di carpa) come specie da compagnia. Possederne uno era per� un privilegio imperiale, vietato alla gente comune. Nel Medioevo invece avere animali che non avessero un'utilit� precisa fu considerato un dannoso spreco di risorse e la Chiesa tent� di limitarne l'abitudine. Chi aveva in casa specie ritenute strane, rischiava di subire un processo per stregoneria: � noto il sospetto che aleggiava sui gatti neri creduti l'incarnazione del diavolo. Ci� nonostante donne e chierici amavano tenere con s� animali d'affezione. "Regalare specie da compagnia a nobildonne era una pratica comune e socialmente accettata, mentre i maschi preferivano segugi e destrieri destinati alla caccia o creature esotiche simbolo del potere principesco, tenute in apposite m�nagerie (antenati dei moderni giardini zoologici)", spiega la storica Kathleen Walker-Meikle nel volume Medieval Pets (Cambridge University Press). Stando a strettissimo contatto con i proprietari, le specie da affezione uscivano raramente fuori dalle mura domestiche: al massimo potevano gironzolare nel giardino recintato. Se avevano la pelliccia subivano una costante toelettatura, i loro colli erano cinti da delicati collari di pelle nei quali spesso erano incastonate perle o gioielli, si narra inoltre di preziose gabbie d'argento per uccelli. Alla corte di Enrico VIII d'Inghilterra (1509-1547) ai cagnolini da compagnia non si dava la carne, ma venivano alimentati con il pane, per scoraggiarne gli istinti predatori. I levrieri e i segugi, usati per la caccia, si nutrivano con stufati di verdure e frattaglie e, se malati, i manuali dell'epoca consigliavano latte di capra, uova e carne trita. Nella guida scritta per le mogli intitolata Le M�nagier de Paris, della fine del '300, tra i compiti che una donna aveva in casa c'era anche quello di accudire gli uccelli, cambiando loro spesso l'acqua e nutrendoli con "bruchi, vermi, mosche, ragni, cavallette, farfalle, foglie di canapa inumidite" e in genere "cose che siano morbide per il tenero becco dell'uccellino". Per secoli, pi� costoso o raro era l'animale scelto, maggiore era lo status sociale di chi lo possedeva. Uno dei compagni preferiti dalle dame rinascimentali era il furetto: Elisabetta I d'Inghilterra (1533-1603) ne possedeva diversi esemplari. Docile e coccolone, questo animaletto era allora diffusissimo e alcuni esperti pensano che sia l'animale del famoso dipinto di Leonardo Da Vinci Dama con l'ermellino. La creatura ritratta fra le braccia della donna sarebbe infatti un furetto albino e non un ermellino, come si evince dal nome del quadro. Furetti a parte, anche scimmiette, cardellini e gatti allietavano le giornate delle nobildonne. Del resto l'attaccamento delle dame ai propri animali era immenso: sono celebri le disperate lettere di Isabella d'Este dopo la morte del suo gatto nel 1510. E si narra anche che subito dopo la decapitazione della regina di Scozia Maria Stuarda, nel 1587, dalle sue vesti usc� uno dei suoi cagnolini bianchi. Negli sfarzosi giardini di Versailles, all'epoca di Luigi XIV (1643-1715), comparvero anche cavallini di piccolissima taglia che divennero molto di moda. E sempre nel XVII secolo si moltiplicarono le razze di cagnolini "mignon", che le dame amavano vestire con cappottini e fiocchetti colorati. Per esempio, nell'Olanda e nell'Inghilterra dell'epoca i carlini erano amatissimi, mentre i cani della razza Cavalier King Charles Spaniel compaiono in numerosi dipinti del '700. Ma fu solo nell'Ottocento che avere animali domestici divenne una pratica diffusa in tutti gli strati della popolazione. La ricchezza prodotta dalla rivoluzione industriale aveva creato una classe media con un tenore di vita sempre pi� elevato, e all'interno delle case borghesi cani e gatti divennero parte della famiglia. Di fronte a quella che stava diventando una "moda di massa", nacquero inoltre i primi prodotti industriali pensati appositamente per i pet. A cominciare dai biscotti per cani, messi a punto intorno al 1860 su iniziativa dell'imprenditore americano James Spratt: un bocconcino a base di verdure, graniglia, carne e sangue di manzo. Erano i primi passi di un'industria che, soprattutto a partire dal Secondo dopoguerra, avrebbe registrato un incredibile successo. Presto si diffusero i saloni di toelettatura per cani e i negozi per animali (pet shops), ricchi di accessori per ogni tipo di esigenza e di bestiola. A partire dagli Anni '60, inoltre, cominciarono a essere studiati i benefici della pet therapy (gli effetti terapeutici degli animali domestici), sempre pi� utilizzata per alleviare le sofferenze fisiche e psicologiche dei malati. A dimostrazione di come l'amore degli animali, troppe volte non ricambiato, faccia anche bene alla salute. Viaggi nel tempo? (di Massimo Polidoro, "Focus Storia" n. 130/17) - � possibile trovarsi catapultati per qualche ora nel passato o nel futuro? Qualcuno lo ha raccontato, ma la scienza diffida - Due distinte signore inglesi, in visita ai giardini di Versailles nel 1901, si ritrovarono improvvisamente alla corte di Luigi XVI. Un pilota della Royal Air Force, nel 1935, dopo una tempesta sorvol� una base aerea che non esisteva ancora (fu costruita 4 anni dopo). Nel 1957, tre ragazzi a passeggio nella campagna inglese, smarrirono "la retta via" e si imbatterono in un villaggio fermo al Medioevo... Storie apparentemente impossibili, raccontate e analizzate insieme ad altri fenomeni "inspiegabili" nel libro Misteri svelati (Sonia Ciampoli, Cicap edizioni). Che cosa port� queste persone a pensare di essere state catapultate nel passato? E la scienza quale spiegazione ha dato a questi fenomeni? Era un pomeriggio pieno di sole quello del 10 agosto 1901. Anne Moberly e Eleanor Jourdain, dirigenti del St. Hugh's College a Oxford, passeggiavano per i giardini della reggia di Versailles in cerca del Petit Trianon, il piccolo castello dove amava ritirarsi dai fasti di corte la regina Maria Antonietta. Assorbite dalla conversazione, le due donne si smarrirono. "Avevo quasi l'impressione di camminare nel sonno, mi sentivo circondata da un'atmosfera opprimente, molto simile a un sogno", raccont� in seguito la Jourdain. Le due dame incrociarono alcuni giardinieri, con lunghe giacche e cappello a tricorno, da cui si fecero indicare la strada. Poi si imbatterono in altri due strani personaggi: uno avvolto in una mantella e un altro con abiti antiquati. Giunte al Petit Trianon, scorsero una donna, in vesti settecentesche, seduta sull'erba. Seppure intenta a disegnare, la donna prese a fissare le turiste in maniera insistente. Poco dopo le visitatrici entrarono nella villa, incontrarono altri visitatori e il senso di inquietudine spar�. Solo dopo tre mesi, rientrate in Inghilterra, le due turiste inglesi si confrontarono. E scoprirono di avere pensato entrambe che qualcosa di straordinario fosse successo quel giorno a Versailles. Indagando, scoprirono che proprio il 10 agosto, ma del 1792, Maria Antonietta e il marito Luigi XVI erano stati imprigionati nel Petit Trianon in attesa del processo. Due anni dopo le amiche tornarono a Versailles e, ancora una volta, sorpresa: tutto era cambiato. Gli edifici e il giardino non erano pi� come li ricordavano dalla precedente visita, eppure sulle vecchie planimetrie l'impostazione era simile a quella che avevano visto la prima volta. Solo allora, insospettite, si soffermarono ad analizzare un ritratto di Maria Antonietta. Ebbene, il volto della regina era uguale a quello della dama che avevano visto disegnare sul prato. Nel 1911 raccontarono la straordinaria esperienza in un libro, An Adventure, che fece scalpore. Avevano per caso aperto una porta che le aveva proiettate nel passato? Nel 1935 Sir Victor Goddard, alto ufficiale della Raf, fin� con il suo velivolo in una tempesta: i comandi non rispondevano, lampi, pioggia e strane nuvole gialle lo avvolgevano. Tutto sembrava perduto, quando ecco riaprirsi le nuvole e spuntare il sole. Sotto di s� per� Goddard vide qualcosa che non si seppe spiegare: avrebbe dovuto trovarsi all'altezza di Drem, in Scozia, lui invece poteva osservare un aerodromo in piena attivit�, con operai in tuta blu indaffarati attorno ad alcuni aerei gialli. Strano, perch� i tecnici della Raf, come quelli di Drem, vestivano tute marroni e non usavano aerei di quel colore. Ma, soprattutto, due giorni prima, Goddard era passato sopra la stessa zona e aveva visto un campo di aviazione in abbandono. Dovevano passare 4 anni prima che la Raf dipingesse gli aerei di giallo e gli operai iniziassero a indossare tute di colore blu. Goddard si convinse di essere incappato in un varco spazio-temporale in cui aveva scorto per qualche istante l'aerodromo di Drem, come sarebbe diventato in futuro. Quando tre giovani cadetti della Marina britannica, impegnati una domenica in un'esercitazione di orientamento, entrarono a Kersey, si accorsero subito che in quel villaggio del Suffolk qualcosa non andava. La campana della chiesa non suonava, le anatre del laghetto erano immobili, neppure le foglie sugli alberi si muovevano e gli uccellini erano silenziosi. Le strade apparivano deserte e, nonostante fosse il 1957, non c'era una sola automobile in giro e non si vedevano lampioni o cavi dell'elettricit�. Il villaggio sembrava insomma una vera citt� fantasma. Avvicinandosi alle finestre delle casette, i ragazzi non scorsero anima viva al loro interno. Scossi, lasciarono velocemente il villaggio e tornarono da dove erano venuti. Sar� per� solo trent'anni dopo che due di loro, ritrovandosi e rievocando insieme l'episodio, si convinsero di avere forse assistito a un fenomeno davvero inspiegabile. Un giornalista inglese appassionato di parapsicologia, Andrew Mackenzie, si interess� alla storia e si persuase che i tre ragazzi non videro Kersey com'era nel 1957, ma piuttosto come era stata ben sei secoli prima. Storie come queste affascinano perch� lasciano intendere che, in circostanze straordinarie, il passato e il futuro possano essere vissuti nel presente. Ma non serve rivoluzionare la fisica ed elaborare nuove teorie sul continuum spazio-temporale per spiegare questi fenomeni. Nel caso delle due donne a Versailles, per esempio, un'indagine condotta dagli esperti della Society for Psychical Research britannica chiar� in modo convincente che cosa poteva essere successo. Esaminando la corrispondenza che Anne Moberly ed Eleanor Jourdain avevano avuto con gli studiosi della Spr, si scopr� che i dettagli pi� intriganti e interessanti erano stati aggiunti solo anni dopo l'accaduto, quando le due donne si erano ormai documentate sulla storia del luogo. La straordinariet� del loro racconto, infatti, era tale poich� si credeva che nel 1901 non avrebbero potuto fornire una descrizione cos� accurata della Versailles del 1789. � probabile che le donne avessero visto qualcosa che le aveva molto colpite durante quel viaggio. Potrebbero, per esempio, essersi imbattute in una festa in costume, forse una di quelle che il poeta Robert de Montesquiou organizzava proprio l� vicino. Non solo. In seguito, volendo a tutti i costi essere credute, pu� darsi che deliberatamente o anche inconsciamente abbiano arricchito sempre di pi� il loro racconto, lasciando pensare che l'incontro con Maria Antonietta (o qualcuno che le assomigliava) fosse realmente accaduto. Quanto a Victor Goddard, bench� esperto aviatore, � possibile che con la tecnologia del 1935 abbia perso l'orientamento e sia transitato a 150 chilometri da Drem, su un aeroporto civile, dove era plausibile trovare operai in tuta blu e biplani dai colori sgargianti. Un'ipotesi ragionevole, che per� Goddard si sarebbe probabilmente rifiutato di accettare. Il pilota era infatti un fervente fan del soprannaturale. Goddard fu protagonista anche di un altro caso celebre, in cui si disse convinto che in una foto di uno squadrone militare, da lui ritrovata, comparisse il fantasma di un meccanico morto pochi giorni prima dello scatto. Quella dei tre cadetti che si imbattono nel villaggio medievale � la storia pi� plausibile. Non perch� davvero possano essersi ritrovati improvvisamente a sei secoli di distanza, ma perch� il villaggio di Kersey negli anni Cinquanta del secolo scorso conservava un aspetto medioevale, e in parte lo conserva ancora. Per tre ragazzi forestieri, la cosa poteva sembrare piuttosto strana. Molti dei cottage ancora in piedi, infatti, risalgono all'Et� di Mezzo e il villaggio � spesso utilizzato come set cinematografico per ricostruzioni storiche. Esistono addirittura documenti da cui si evince che al tempo dell'esercitazione dei tre ragazzi c'erano state petizioni per impedire che cavi elettrici e lampioni rovinassero "l'atmosfera d'epoca" di Kersey. L'episodio del Suffolk, come anche quello della gita a Versailles, confermano il fatto che l'illusione di un viaggio nel tempo diventa pi� forte quando ci sono pi� testimoni che si incoraggiano a vicenda (anche se in quest'ultimo il terzo cadetto non ricordava nulla di strano). La spiegazione � nella nostra testa: pi� passa il tempo e pi� i ricordi si alterano: parlarne insieme a chi ha vissuto la stessa esperienza aiuta ad aggiungere nuovi dettagli, ignorare le incongruenze e ritrovarsi alla fine con una storia straordinaria da raccontare. Diversa da quella vissuta in realt�, ma decisamente pi� affascinante. Maraschino: onor di ciliegia (di Fabio Sebastiano Tano, "Meridiani" n. 237/17) - Un liquore che piacque allo zar e ai sovrani inglesi. Compare nella ricetta di cocktail prestigiosi. E ancora oggi si serve in tutti i bistrot, in riva al mare - Poteva restare uno dei tanti rosoli prodotti nei conventi: un liquorino un po' appiccicoso ricavato dalla macerazione delle marasche, che nascevano spontaneamente in Dalmazia. Fin dal Seicento infatti i monaci farmacisti del monastero dominicano di Zara raccoglievano e lavoravano queste ciliegie acidule, sorelle delle amarene, delle quali apprezzavano anche le propriet� terapeutiche. Il destino aveva per� ben altri progetti. Il maraschino, cugino di quel rosolio ricavato dai frutti del prunus cerasus, sarebbe diventato uno dei liquori pi� diffusi al mondo (il "re dei liquori" lo chiamano ancora in Dalmazia), capace di resistere ai cambiamenti sociali, agli sconvolgimenti politici, alla trasformazione del gusto, e cos� profondamente radicato nella storia e negli usi di Zara da esserne, ancora oggi, un dato distintivo. La svolta si ebbe a met� del Settecento e prese origine dalla necessit� per la Serenissima - che a quei tempi era padrona della Dalmazia - di reperire nuove fonti di entrate. E, gi� allora, quale soluzione pi� semplice del puntare sul "vizio" (i consumi di alcolici) e tassarlo adeguatamente? Fu appunto perch� Venezia incoraggiava la produzione liquoristica che Francesco Drioli, mercante veneziano approdato a Zara, si trasform� in imprenditore. Come scrive la sua biografa Giorgetta Bonfiglio-Dosio, "si appassion� a tal punto alle marasche da abbandonare i traffici mercantili e da impiantare a Zara una impresa di distillazione destinata a durare fino al 1943". Arrivano cos� i primi macchinari, la produzione decolla ben oltre le esigenze locali, e il mercante di Venezia torna alle origini. Esporta il suo liquore in Italia e in mezza Europa. La conquista del mercato inglese � il suo capolavoro e rester� il suo punto di forza, ma il maraschino fa proseliti ovunque. Il maresciallo Auguste Marmont, governatore delle province Illiriche per conto di Napoleone, ne fa incetta. Piace, sembra, anche allo zar. E la corte imperiale asburgica gli concede il "diritto dell'uso di stemma", cio� l'aquila alata. La diffusione, per i tempi, � straordinaria e cresce ulteriormente quando al monopolio si sostituisce la concorrenza. La Serenissima � morta, ingoiata dall'Austria insieme con la Dalmazia, e il destino, quasi a volere riproporre gli epici scontri in terra dalmata fra veneziani e genovesi, conduce a Zara ai primi dell'Ottocento un ligure molto intraprendente: Gerolamo Luxardo, un ritratto del quale campeggia nel museo della citt� di Zara. Appartiene alla piccola nobilt� - come racconta Piero Luxardo, che dirige la societ� trasferitasi in Italia dopo l'esodo forzato dalla Jugoslavia - e ci� gli permette di inanellare una serie di incarichi consolari a partire dalla rappresentanza del Regno di Sardegna. � per� soprattutto un imprenditore: la sua specialit� sarebbero le attrezzature da pesca ma viene sedotto dal liquore di marasca, che la moglie si diletta a fare in casa. Cos� si tuffa con entusiasmo nel business del maraschino, elaborando nuovi sistemi di produzione e nuovi protocolli, anche perch� i tempi sono maturi per la commercializzazione su larga scala. Napoleone ha chiuso il suo ciclo. "Tornata la pace in Europa, si diffuse un senso di distensione generale che penetr� in ogni strato sociale", scrive Giuseppe Praga nella sua Storia della Dalmazia. "In un'epoca siffatta i liquori militareschi dovevano lasciare il posto d'onore alla delicatezza dei gusti ora prevalsa. Non i rosoli tutto zucchero e profumi del Settecento, ma nemmeno le bibite d'urto delle soldatesche napoleoniche e delle ciurme inglesi". Cos� inizia per il maraschino e per Zara una nuova fase, con i prodotti Drioli e Luxardo che fanno il giro del mondo trainando la nascita di molte altre distillerie (una quindicina almeno). La concorrenza comunque � spietata e non mancano le controversie giudiziarie. Le due imprese pi� grandi - bottiglia quadrata per l'una, rotonda per l'altra, ma quasi identiche per la impagliatura e il colore verde del collo - si contendono anche i potenti: verso gli Asburgo pendono i Luxardo mentre ai Drioli restano fedeli i reali inglesi. Ma il consumo di massa � soprattutto quello della borghesia, e lo certifica Balzac, intento a descrivere la classe sociale emergente nella sua Com�die humaine. Zara infatti viene indicata nelle chiacchiere fra due viaggiatori come la citt� "ou l'on fait du marasquin" in un romanzo del 1842. Si arriva a esportare fino a 400-mila bottiglie l'anno. Giuseppe Madrich scrive nel 1892 sulla Rivista storica italiana: "Se ne smercia in America, nelle Indie, nel Giappone, in China, in Egitto. Il suo grato profumo � una poesia, il suo sapore � un idillio. Nessun liquore al mondo pu� gareggiare con il maraschino di Zara". E quando i salotti, aristocratici o borghesi, non bastano pi� il maraschino mostra di sapere convivere con le nuove mode, prima fra tutte quella del cocktail. Piace quel tanto di dolce, di leggero, di spensierato o forse addirittura di infantile che sa donare ad alcoolici ben pi� vigorosi, soddisfacendo perfino il palato esigente di Hemingway, e che risponde ai richiami del gin e del rum. Cos� si fa strada, tanto per fare qualche esempio, nella gamma dei sweet Martini, nel Daiquiri, o nell'Aviation. In realt� il Novecento non ha giovato al maraschino ma ci� non toglie che, venendo a Zara, non ci si possa esimere dall'assaggiarlo. La Kalelarga, strada che taglia la citt� vecchia, � il punto di partenza obbligato. � qui che si � cominciato a produrlo su larga scala, caff� e bistrot non mancano e si pu� essere certi che ne hanno ampie scorte, perch� il maraschino - turisti a parte - fa ormai parte della tradizione e della vita degli zaratini. Basta gironzolare per le calli e scegliere il locale che piace di pi�, piccolo o grande, affollato o silenzioso, old fashion o con tavolini all'aperto, magari con vista mare: l'Harbor, per esempio, o il Kult e il Franky bar, senza sottovalutare il pi� compassato caff� dell'Art Hotel Kalelarga. Il marchio oggi pi� diffuso � Maraska, societ� nata nel 1949 accorpando e nazionalizzando tutto quello che restava della preesistente e florida industria liquoristica. Qualcuno obietta che la Maraska non pu� dirsi la legittima erede dei "padri fondatori". Anche se i protocolli di produzione vengono sostanzialmente rispettati, crea qualche dubbio la tendenza della societ� a superare le ricorrenti crisi non tanto operando sulla qualit� o sul marketing, quanto differenziando la produzione: si � infatti puntato su bibite simil-Coca Cola e sui succhi di frutta. Per di pi� la propriet� � ora della Mepas, che ha una produzione molto diversificata e non si limita al solo settore alimentare. Certo le ditte di un tempo, quelle che hanno traslocato in Italia e delle quali � sopravvissuta solo la Luxardo, proprietaria ora anche del marchio Drioli, erano ben diversamente concentrate sul maraschino, anche se non trascuravano altri liquori. Celebre, non fosse altro perch� legato alla epopea dei legionari fiumani, il cherry brandy che tuttora reca il nome coniato da D'Annunzio di Sangue Morlacco. Ma si pu� controbattere che i tempi sono cambiati e la Maraska si � semplicemente adeguata e pu� vantarsi, peraltro, di essere la sola a lavorare le autentiche marasche dalmate. La specie, della quale Maraska possiede una piantagione da oltre 200 ettari, � la stessa che si trova anche sull'altra sponda dell'Adriatico, ma il suolo dal quale le marasche dalmate traggono nutrimento, dicono qui, non � riproducibile altrove. Le piantagioni che a primavera si coprono di fiori bianchi dalle sfumature rosa, e pi� tardi si ammantano del rosso scuro dei frutti, sono uno spettacolo e i tour operator organizzano visite, spesso con annesse degustazioni. Il luogo simbolo del maraschino si trova per� in piena citt�, sulla riva del Barcagno, dove sorge l'imponente mole di quello che un tempo era il palazzo Luxardo (la dinastia vi abit� dal 1915 al 1945) e che poi divenne la sede della Maraska. Elegante ma austero, col suo fronte di 60 metri che si affaccia sul porto e le ampie finestre allineate su tre piani, appare come una piccola reggia. In realt� (oltre alla casa di famiglia) voleva essere un monumento in onore del maraschino (sul retro c'erano la distilleria e i magazzini) e della ricchezza che esso aveva portato a tutta la citt�. I lavori sono in corso ed entro il 2019 il "monumento" diventer� un albergo di lusso da 130 camere, e negli spazi dove un tempo sorgeva la fabbrica sorgeranno appartamenti, sale conferenze, centri commerciali, piscine. Il fronte in stile belle �poque rimarr� per� inalterato, e qualcosa del passato legato al maraschino rester� nel nome: Hyatt Regency Zadar Maraska. Cilento: per storia, per mare (di Mattia Scarsi, "Bene Insieme" n. 6/17) - Alla scoperta di una zona Patrimonio dell'Umanit� UNESCO - Il Cilento, nella provincia di Salerno, fra il Tirreno e la Basilicata, � un prezioso contenitore di storia, cultura, natura e buona cucina, una destinazione piuttosto lontana dalle dinamiche del turismo di massa e, per questo, pi� autentica: insomma, la scelta perfetta per un itinerario lungo un weekend. La sua � una storia millenaria ed � talmente ricca di bellezze artistiche (monumenti e reperti) e naturalistiche che, lo diciamo con rammarico, un fine settimana non � sufficiente per visitare l'intera zona. � per� possibile saggiare le vive tradizioni locali e sorprendersi con i panorami mozzafiato e il mare azzurro che la contraddistinguono. Forza allora, non perdiamo altro tempo! Partite da Paestum, nel nord del Cilento, uno di quei posti da vedere almeno una volta nella vita. Si tratta di una delle pi� importanti rovine greche del mondo, dedicate a Poseidone, un luogo di primario interesse storico e culturale. L'area dell'antica Poseidonia (cos� come fu battezzato Paestum dai Greci) abitata gi� in et� preistorica, si trova su un altipiano a base di calcare che consente a tutta la citt� di sopraelevarsi rispetto all'insieme. In corrispondenza dei quattro punti cardinali vi sono le quattro porte di ingresso alla citt�: porta Aurea a nord, porta Giustizia a sud, porta Sirena a est e porta Marina a ovest. L'attuale ingresso principale, sul lato orientale, conduce subito di fronte al Tempio di Nettuno che presenta il miglior stato di conservazione. Ammirate con tutta la calma del caso anche gli altri due templi dorici: il Tempio di Hera e quello di Atena, al cui cospetto vi sentirete minuscoli e per cui proverete un tuffo al cuore nel passato. Una bella notizia � che circa un anno fa � stato realizzato un percorso sperimentale che ha abbattuto le barriere architettoniche consentendo a tutti di entrare nel tempio. A rendere tutto ancor pi� magico � un'immensa distesa di verde. Siete pronti per inoltrarvi ulteriormente nello scenario incantato che vi circonda? Siete nel Parco Nazionale del Cilento, il primo in Italia a essere stato nominato Geoparco (2010) che offre condizioni climatiche e suoli molto adatti alla viticoltura. Raggiungete le Grotte di Castelcivita, situate lungo la vallata del fiume Calore ed estese per 5 km di lunghezza con una profondit� massima di 52 metri. Note anche come Grotte di Spartaco (si narra che il gladiatore romano vi sost� prima di guidare la rivolta degli schiavi) questo susseguirsi di cavit� carsiche con pavimenti e soffitti affollati di stalattiti e stalagmiti multiformi, vi catapulter� in un'atmosfera surreale dove i gironi dell'Inferno dantesco incontrano i viaggi onirici di Jules Verne. Il percorso si suddivide in due parti: la prima propriamente turistica, amatoriale e facile per tutte le et�. La seconda chiamata "fuori sentiero", un po' pi� aspra e consigliata solo ai pi� esperti. Per entrambe e in qualunque stagione, non dimenticate un giubbino per ripararvi dall'umidit� delle grotte. Dopo la visita potete rifiatare con una passeggiata al fiume e rifarvi la gola con un pranzo in uno dei ristoranti tipici che si trovano nel paese. Dopo un rapido pranzetto, raggiungete Padula: qui la sosta � obbligata per ammirare la Certosa di S. Lorenzo, anche conosciuta come Certosa di Padula, senza dubbio uno dei posti pi� belli dell'intera provincia salernitana. Ecco qualche numero: oltre 50.000 metri quadrati di meraviglia divisi fra uno dei chiostri pi� grandi al mondo e ben 350 stanze, prevalentemente in stile barocco. La nascita di Padula risale al IX-X secolo. Il chiostro, costruito a partire dal 1583, si sviluppa su due livelli: in basso, il portico con le celle dei padri di clausura; in alto, la galleria finestrata utilizzata per la loro unica passeggiata settimanale. All'interno c'� anche un'ala pi� prosaica o un po' meno sacra che vi piacer�: l'ampia cucina dei monaci certosini e i giardini del priore. In pi�, volendo c'� il Museo della Lucania occidentale, piccolo pezzo della vecchia storia d'Italia, ricco di oggetti, monili, vestiti, tombe e monete. Il biglietto � gi� compreso in quello d'ingresso alla Certosa. Nel 1998 la Certosa � stata dichiarata dall'Unesco Patrimonio dell'Umanit� e, dal 2002 � inserita nel novero delle Grandi Attrazioni Culturali. La Certosa � visitabile da luned� a domenica dalle 9 alle 19 (marted� chiuso). Per la cena e il dopo cena vi conviene raggiungere Salerno, una delle capitali del sud per quel che concerne il divertimento notturno, tanto � vero che viene raggiunta anche dai ragazzi delle province vicine. Consigliatissimi i locali di via Roma, piena di locali di ogni tipo (pub, ristoranti, caff� e discoteche) e dei vicoletti dei Mercanti. Le strade pullulano di giovani e meno giovani: il divertimento � assicurato, cos� come non manca lo scenario romantico sull'incantevole terrazza del lungomare. Il giorno seguente, preparate infradito (e/o scarpe molto comode), telo mare, crema protettiva, occhiali da sole ecc... Nel Cilento a pochi minuti dai siti archeologici, si estendono paradisi di sabbia: a Marina di Camerota per esempio, non vi aspettano solo onde cristalline, ma anche la Baia degli Infreschi, un'incantevole Area Marina Protetta che deve il suo nome alle vicine vene d'acqua dolce gelata che sgorgano in mare. Qualche minuto a piedi nudi nella pallida sabbia farinosa del bagnasciuga e ogni pensiero si dileguer�. Il mare da cartolina ha fondali sabbiosi e digradanti, ideale per lo snorkeling, per cui fuori maschera e boccaglio! Se amate il trekking, forse avrete voglia di raggiungerla via terra: il percorso, immerso nella macchia mediterranea, fra ginestre e fichi d'India, � piuttosto impegnativo ma, siamo certi, vi ripagher� con scorci imperdibili. Se amate la vita da spiaggia non perdetevi la confinante Palinuro, una di quelle localit� che hanno affascinato i viaggiatori di ogni epoca, al punto che lo stesso Virgilio le ha riservato una citazione nell'Eneide. La spiaggia del Buon Dormire, invita a un breve pisolino ristoratore mentre nella spiaggia dell'Arco Naturale e nella vicina spiaggia del Mingardo � possibile prendere a noleggio i pedal� per andare alla scoperta di vere perle in luoghi accessibili solo dal mare. Altrettanto suggestivo � il lido di Punta Licosa a cui � legata la leggenda della sirena Leucosia, che per un amore non corrisposto, si sarebbe gettata da una rupe, trasformandosi in uno degli scogli della baia. La natura rigogliosa e selvaggia cresce incontrastata e, se fra voi ci sono amanti di immersioni e di subacquea, le calette di Punta Licosa vi faranno letteralmente sognare. Chi invece non tollera troppo la sedentariet� e la sabbia, pu� scatenarsi sulle due ruote con tantissimi itinerari: dagli 8 km pianeggianti per i principianti ai 20 km con pendenze per i biker pi� allenati. Dopo un po' di meritato relax, bagni di sole e tintarella oppure dopo una intensa pedalata sulle spalle della Costa cilentana, chiudete in bellezza anche la vostra seconda giornata, raggiungendo Trentinara, un paesino dell'entroterra (leggermente in quota) dove vi aspetta la Terrazza del Cilento. Non fate tardi, lo spettacolo va gustato nella sua interezza: protagonista indiscusso un cielo che sfuma fra l'arancia e il glicine, per un tramonto inimitabile, da applausi interiori. L'olio, il tesoro del Cilento La presenza dell'olio caratterizza da secoli il paesaggio cilentano e ne ha rappresentato la principale risorsa delle popolazioni locali, tanto da divenire parte integrante della loro vita quotidiana. L'olio del Cilento ha un gusto tenue e delicato, fondamentalmente dolce con appena percettibili note vivaci di amaro e piccante. A quaesta specialit� locale si � ispirato il celebre nutrizionista americano Keys (per un po' ha vissuto nel Cilento) il padre della Dieta mediterranea, che sponsorizza l'olio cilentano come un regolatore del colesterolo serico, della funzionalit� cardiocircolatoria e come antiossidante. Andrea Delogu si racconta (di Davide Turrini, "Millenium" n. 3/17) "Fosse per me andrei in giro nuda". Il rapporto tra la trentacinquenne presentatrice tv Andrea Delogu e la propria bellezza sboccia in un gesto hippy da invasione di campo. Tra una fetta di pane e una di formaggio, nella capsula spaziale di un ristorantino romano vista Rai via Asiago, la fanciulla che gestisce il traffico tv di testosterone a casa Stracult, e che ascoltiamo quotidianamente tra altri due ometti Sociopatici su Radio2, non adotta formalismi da salotto. "Ma che diamine, una persona si scandalizza se vede due capezzoli? Ma met� della popolazione ha le tette! Alcuni anni fa misi online un set fotografico dove si vedevano i miei seni. Una donna mi scrisse di vergognarmi. Avrei voluto chiederle: ma lei non ha le tette? Perch� deve nasconderle? Avere paura di mostrare il proprio corpo perch� si � donne � assurdo. Al massimo � una questione di volgarit�: ovvio che non vado in giro vestita di rete". Alla Wonder Woman di Rimini lo humor sagace ed elegante non fa difetto. E il gioco, su quel corpo perfetto e atletico, scivola in scioltezza. Sul suo profilo Instagram c'� perfino una tag-line modello dantesco: "Dai, non scherziamo, sei qui per vedere tette e culi, non per sapere che ho fatto nella vita". "Poi, alla fine, di foto sexy ce ne sono pochissime", racconta lei. "Ogni tanto le posto, ma sono sposata. Lo faccio solo per dire: ehi amico che guardi, ho 35 anni, ho un marito non geloso e sono ancora appetibile". Disinvolta la ragazza. "Mio marito (Francesco Montanari, il Libanese della serie Romanzo criminale, ndr) ieri ha girato una scena di sesso. Che devo dire? Quando limonano fingono? Non faranno sesso per davvero, ma gli attori paccano e pomiciano. Quante volte abbiamo pomiciato non pagati, e quanto era bello, no? Dovrei essere gelosissima, ma oramai non ci penso pi�". Andrea, l'adolescente che per quindici anni ha fatto la vocalist nelle discoteche di mezza Italia ("Anche se sono un cane a cantare") e ha dormito nelle panchine delle stazioni facendo suonare la sveglia in mezzo a valigie e Polfer, oggi guarda il mondo da un obl� di prima classe. "Questo lavoro mi ha insegnato a vivere. La gente pensa che chi lavora di notte sia un coglione, invece io mi sono pagata l'affitto e ho anche aiutato mia madre". Un piccolo passo indietro. Anno 2012. La casa editrice Fandango pubblica La collina. � il primo romanzo della Delogu, coadiuvata da Andrea Cedrola. Di giorno ricerche e interviste per il libro, di notte a gorgheggiare a un microfono. La collina � il suo biopic dei dodici anni vissuti nella comunit� di San Patrignano. Andrea da bambina in compagnia di mamma Titti Peverelli e di pap� Walter, l'autista di Vincenzo Muccioli che nel 1994, quando a Rimini si celebra il processo per la morte di Roberto Maranzano, massacrato di botte in comunit� nel 1989, diventa uno dei grandi accusatori del grande capo, anche se i giudici non gli credono. "Mancava la verit�, le cose dovevano tornare in pari. Questo libro non � stato scritto contro nessuno, � semplicemente la "storia". Abbiamo intervistato pi� di trenta persone, raccolto materiali per quattro anni. Volevo che questa vicenda venisse raccontata e che si recuperasse questo punto di vista, che poi � il mio e quello di mio pap�. La vita dentro a San Patrignano non � mai stata ascoltata. Io non ho mai subito alcun tipo di violenze, ma ho avuto un'infanzia diversa. Cos� ho raccontato quello che sapevo, che ho visto, sentito". E "Sanpa" anche dopo La collina rimane un mistero italiano con molti punti interrogativi, un'Area 51 da cui oggi escono pregiate bottiglie di vino dai prezzi elevati e cene prelibate segnalate nelle migliori guide dei ristoranti europei. "A San Patrignano non ti imponevano di credere in qualcosa, semplicemente il nostro Dio era Muccioli. Molte cose non funzionavano. Per esempio non c'era uno psicologo, e anche il medico era un ragazzo finito l� per disintossicarsi. Per i miei � andata bene, ma siamo rimasti chiusi l� dentro dodici anni. Hanno smesso s� di bucarsi ma a che prezzo?". Forse anche per questo Andrea ci tiene a ricordare che il suo pi� grande desiderio per la collettivit� non � (pi�) un ideale politico per cui combattere (per la cronaca: "La seconda vittoria di B. � stata uno shock"), ma una seduta di psicanalisi a prezzi popolari per tutti. "Vado in analisi da quattro anni e mezzo e vedo in giro tantissima depressione non capita. Troppa gente sta morendo dentro e non sa che � depressione. Non � il mondo ad essere contro di te, ma � un male che puoi capire, conoscere, combattere. Ho un sogno: leggere che ci sono un sacco di posti dove la gente che sta male pu� farsi aiutare spendendo pochissimo". Il buco nero della depressione Andrea lo porta sempre con s�. Lo indica con l'indice, come se fosse in agguato sotto quel braccio sinistro con due tatuaggi. "Non parlo di medicine, ma di analisi. Il prezzo dovrebbe essere proporzionale al tuo reddito". Sensibile e pratica la letteronza di Mai dire gol, oggi presentatrice del dating show Parla con lei, lo � per natura. Ha persino fatto un provino per un film solo per conoscere un regista che stima. "Sai quando hai una passione e la vuoi guardare negli occhi e dirgli grazie? Quando sono arrivata l� gliel'ho detto: sono qua perch� volevo conoscerti, volevo dirti che sei un cazzo di genio". Lui � Paolo Sorrentino. "Quando ho visto The Young Pope sono rimasta senza parole, l'ironia salva la vita. Noi italiani ci prendiamo troppo sul serio, non sappiamo essere ironici". A lei la cosa non va gi�: "Puntiamo sempre il dito contro quelli che ci fanno ridere, ma perch�? E poi basta con questi mel� che cercano la lacrima. Se hai una storia potente ci sto, per� se fai cinema devi capire come farmi ridere, tirarmi fuori qualcosa". Ad Andrea Delogu non toccate Maccio Capatonda, Checco Zalone, Biggio e Mandelli, "geni assoluti della comicit�, gente che studia in profondit� il meccanismo della risata". Oggi i nuovi attori, per lei, sono i politici. "Sono pi� artisti degli artisti, perch� togliergli il lavoro? Quelli che mi fanno pi� ridere sono quelli che twittano in continuazione. Pensate a Trump... (la Delogu fa una lunga pausa, ndr). Trump davvero non me l'aspettavo. Ma ci rendiamo conto che c'�? No, perch� siamo fottuti. Uno che come soluzione a delle persone molto spaventate dice che vanno alzati i muri... che imbecille. Per� andiamo avanti. Sono sempre una ragazza di 35 anni che fa spettacolo". Cristiano Ronaldo: il leader della Champions League (di Gianluca Boserman, "Ulisse" n. 392/17 Lass� in cima, che guarda tutti dall'alto, c'� sempre lui. Cristiano Ronaldo dos Santos Aveiro, per tutti semplicemente Cristiano Ronaldo o CR7, probabilmente l'acronimo pi� conosciuto del pianeta. Il fuoriclasse portoghese, che quest'anno ha alzato al cielo la sua quarta Champions League, comanda la classifica di miglior marcatore di tutti i tempi nella competizione europea pi� importante grazie alle 105 reti messe a segno in 140 presenze. Oltre al trono di bomber, CR7 detiene altri 12 primati in Champions League, giusto per arricchire ancor di pi� il piatto. Dietro di lui il rivale di sempre, Leo Messi fermo, si fa per dire, a quota 94 gol. Il numero 10 del Barcellona, quattro successi per lui nella "coppa dalle grandi orecchie", non ha alcuna intenzione di fermarsi e per la prossima stagione punta deciso ai 100 gol. Sul gradino pi� basso del podio un'altra leggenda del Real Madrid, Raul. Il fuoriclasse spagnolo, padrone della maglia numero 7 fino all'arrivo di Cristiano Ronaldo, ha messo a segno ben 71 reti con la camiseta bianca. In quarta posizione l'olandese Ruud Van Nistelrooy, una carriera spesa tra Psv Eindhoven, Manchester United e Real Madrid. Il primo degli italiani � Filippo Inzaghi: l'ex goleador del Milan e della Nazionale � in ottava posizione con 50 gol messi a segno.