Settembre 2016 n. 9 Anno XLVI MINIMONDO Periodico mensile per i giovani Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registrazione 25-11-1971 n. 202 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Massimiliano Cattani Antonietta Fiore Luigia Ricciardone Copia in omaggio Indice Comunicato importante Imbottigliati? No, grazie Tra nonni e nipoti Voce del verbo balbettare L'ora del t� Mutevole Seoul Doping: una scorciatoia per la vittoria Piero Salvatori, la musica che... vola via Comunicato importante La nostra Biblioteca ha effettuato la trascrizione della Legge di Riforma Costituzionale varata quest'anno dal Parlamento italiano e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 88 del 15-4-2016. Chi fosse interessato a riceverla gratuitamente, in Braille o su CD, pu� farne richiesta telefonica o scritta alla nostra Biblioteca. Tel. 039.28327206 o 03928327209 Fax 039.833264. e-mail: bic@bibciechi.it Imbottigliati? No, grazie (di Mauro Gaffo, "Focus" n. 286/16) - Estate, tempo di code. Un fenomeno studiato anche dalla scienza. Ecco i trucchi per limitarne i danni - L'ingorgo da record pi� recente si � formato il 5 giugno 2014 a San Paolo, in Brasile: 209 km di automobili intrappolate per uno sciopero dei mezzi pubblici. Ma le code sono una costante per la citt� brasiliana, al punto che i pi� ricchi hanno preso l'abitudine di spostarsi in elicottero. Il pi� drammatico, per�, non si � registrato nel Paese sudamericano ma, nell'agosto 2009, sull'autostrada 110 che collega Pechino al Tibet: "solo" un centinaio di km di mezzi, soprattutto camion carichi di carbone, ma ci sono voluti ben 11 giorni perch� il traffico tornasse alla normalit�. In confronto, noi italiani non possiamo lamentarci. La situazione sta migliorando perfino a Milano, che resta di gran lunga la citt� pi� congestionata d'Italia. Secondo il rapporto Traffic Scorecard 2015, che monitorizza il traffico di 96 citt� europee, l'anno scorso gli automobilisti milanesi hanno perso in media cinque ore in meno rispetto all'anno precedente (52 contro 57). "Merito anche delle politiche per scoraggiare l'uso del mezzo privato, come l'imposizione di strade e parcheggi a pagamento", spiega Pietro Gelmini, direttore del Centro Studi Traffico del capoluogo lombardo. "E, ovviamente, grazie anche a una metropolitana efficiente". Ma se in citt� � comprensibile che i veicoli debbano rallentare e talvolta fermarsi, anche solo per consentire il passaggio dei pedoni o di altri veicoli agli incroci, in autostrada la formazione delle code resta talvolta un mistero. Una prima spiegazione ce la d� un semplicissimo simulatore online (www.traffic-simulation.de) nel quale si vedono auto e camion girare senza fine in un anello a pi� corsie. Variando il numero di veicoli per chilometro, ben presto si scopre che esiste una densit� massima oltre la quale le code si formano senza che ci sia bisogno di alcun intoppo. "A parte incidenti o lavori in corso, questa � la causa principale delle code in autostrada", conferma Luca Studer, responsabile del Laboratorio mobilit� e trasporti del Politecnico di Milano. "Mi riferisco alla capacit� massima di una strada, che vale circa 1.800-2.000 veicoli all'ora per corsia. Quando si supera questo valore, basta la minima frenata per creare un'onda di rallentamenti che si propaga all'indietro come le increspature sulla superficie di un lago". Le "onde di rallentamento" sono note ai tecnici da decenni, ma soltanto nel 2009 un team della National Science Foundation, negli Stati Uniti, le ha descritte matematicamente, soprannominandole jamitons (o "ingorgoni"). Gli ingorgoni sono quindi la causa principale delle code, e non esistono modi per eliminarli. Ci sono per� alcuni trucchi, attuabili sia da parte degli automobilisti sia da chi gestisce le strade, che permettono di attenuarne il pi� possibile gli effetti. Che cosa pu� fare, innanzitutto, il singolo guidatore? Evitare i comportamenti da... macho. Se per esempio l'autostrada si riduce a una corsia, suggerisce il sito smartmotorist.com, conviene favorire l'immissione, lasciando spazio davanti a s� e non accelerare per passare prima di chi ci sta accanto: l'accelerazione sarebbe comunque seguita da una frenata e la frenata farebbe propagare all'indietro un'onda di rallentamento. In generale, quando si percepisce che la situazione � a rischio-ingorgo, la tattica pi� saggia � quella di rallentare e mantenere una grande distanza dall'auto che ci precede: in tal modo, si possono smorzare le prime onde di rallentamento semplicemente evitando di toccare il freno (se freniamo, gli stop si accendono, chi ci segue frena a sua volta e si genera una reazione a catena). Per lo stesso motivo, � utile mantenere la velocit� il pi� possibile costante. Pi� la guida � aggressiva, insomma, e pi� si rischia di peggiorare la situazione. Un altro suggerimento � quello di non ripartire a tutta velocit� quando ci si trova in una situazione di traffico "a elastico": cos� facendo riusciremmo solo ad arrivare prima a essere di nuovo fermi. Questi consigli, sia chiaro, funzionano solo fino a quando la strada non ha raggiunto la sua capienza massima: a quel punto, la massa di veicoli � tale che gli ingorgoni si formano spontaneamente, senza che nessuno ne abbia colpa. Ci sono poi i metodi messi in atto dai gestori delle strade, che possiamo sintetizzare in sei punti. Il primo � cercare di far diminuire la velocit� media (n. 1). "Studi americani hanno dimostrato che il numero massimo di vetture che una strada pu� assorbire prima di intasarsi si raggiunge a 45 km/h", sostiene Gelmini, "ma anche senza viaggiare cos� piano, ogni rallentamento rende il traffico pi� scorrevole". Poi c'� il divieto di circolazione ai camion nei giorni festivi (trucco n. 2), utile non solo perch� toglie traffico dall'autostrada ma soprattutto perch� fa diminuire la "forbice" tra i veicoli lenti e quelli veloci. Il trucco n. 3 � la terza corsia dinamica, adottata sul passante di Mestre: le due larghe corsie che esistevano in precedenza sono state unite a quella di emergenza e trasformate in tre corsie un po' pi� strette, lasciando a un sistema automatico il compito di aprire o chiudere la terza corsia - grazie ai pannelli a messaggio variabile - a seconda delle necessit�. L'idea di condividere l'auto (trucco n. 4) o "car pooling" ha da tempo sfondato negli Stati Uniti e nel Nord Europa, dove esistono addirittura corsie riservate alle auto che hanno a bordo almeno quattro passeggeri. Bisognerebbe quindi convincere gruppi di pendolari a viaggiare insieme, ma come si fa? Una possibilit� � agire sui costi. Al casello di Milano Nord, per esempio, c'� una pista riservata al car pooling, che garantisce alle auto "piene" uno sconto del 70% sul pedaggio. Ci sono poi varie iniziative locali, come il sistema Jungo (una specie di autostop evoluto) diffuso in Trentino, o i sistemi di condivisione BringMe a Torino e Roadsharing a Firenze. Se l'autostrada � paragonabile a un tubo - come sostengono i tecnici - e le vetture al suo interno equivalgono all'acqua, allora l'azione pi� efficace quando la pressione aumenta troppo � quella di... chiudere il rubinetto (trucco n. 5). "In inglese � chiamato ramp metering, ma non ha niente di esotico: si tratta solo di un semaforo sulle rampe di accesso delle autostrade pi� trafficate, come quella di Mestre", chiarisce Studer. "In questo modo si crea una coda all'entrata dosando le auto in ingresso, ma si garantisce un traffico scorrevole sull'autostrada stessa". Sempre sul rubinetto agisce anche il trucco n. 6, che consiste nel rendere i limiti di velocit� variabili a seconda della necessit�. "Oggi, la legge consente di segnalare i limiti anche con i pannelli a messaggio variabile", spiega Studer. "Basta avvertire gli automobilisti che la velocit� massima consentita �, fino a nuova segnalazione, di 100 km/h, e si riesce a evitare quell'antipatica e pericolosa andatura a singhiozzo che gli inglesi chiamano stop and go". In pi�, sono in arrivo diverse novit� tecnologiche. Come V2V, che negli Usa � stata dichiarata priorit� nazionale. "� un sistema che permette alle autovetture di comunicare tra loro, rendendo cos� possibile, per esempio, ripartire contemporaneamente quando scatta il verde al semaforo", spiega Larry Head, dell'Istituto di ricerca sui trasporti dell'Universit� dell'Arizona. "La Cadillac ha gi� annunciato che la introdurr� dal 2017". La situazione, allora, � davvero migliorata? "Di sicuro c'� stata una riduzione del traffico, ma purtroppo � stata interpretata come un segnale di recessione economica", interviene Gelmini, "e cos� le amministrazioni locali e centrali hanno ripreso a incentivare l'uso dell'auto tagliando risorse ai trasporti pubblici". Con il rischio di azzerare tutti i progressi fatti finora. L'unica consolazione � che l'auto comincia a non essere pi� considerata uno status symbol, e lo dimostra il successo delle iniziative di car sharing come Enjoy o Car2Go: si paga l'auto solo quando la si usa. C'� da augurarsi che il cambiamento di mentalit� si possa estendere anche agli economisti, perch� fino a quando l'auto sar� considerata il principale volano dell'economia la guerra contro le code sar� perduta in partenza. L'auto... automatica La Google Car ha riportato sotto i riflettori un'idea su cui si sta lavorando da anni: quella della vettura autonoma, che sarebbe la risposta definitiva al problema delle code. Tra i pionieri di questa tecnologia c'� l'italiano Alberto Broggi con la sua VisLab, che per� dall'anno scorso non � pi� una societ� italiana perch� � stata acquistata per 30 milioni di dollari dalla statunitense Ambarella. "Ma restiamo qui a Parma e grazie a questa partnership possiamo concentrarci sulla parte pi� innovativa del lavoro, quella che non d� un ritorno economico immediato", commenta Broggi. Nel frattempo � gi� in vendita un'auto parzialmente autonoma, la Tesla Autopilot. "Entro 10-15 anni ne vedremo molte", commenta Broggi. Il quale, oltretutto, avvisa che si porranno cos� alcuni problemi etici: "Se l'auto dovesse trovarsi di fronte alla prospettiva di investire una persona, dovrebbe scegliere se sterzare mettendo a rischio la vita del guidatore, oppure se limitarsi a frenare. Non � facile dare una risposta, ma � gi� molto aver capito che questo problema esiste". Tra nonni e nipoti (di Giuliana Rotondi, "Focus Storia" n. 118/16) - Da patriarchi a compagni di giochi: come � cambiata la figura famigliare pi� amata - Secondo gli stereotipi in circolazione fino a pochi anni fa, le nonne erano quelle che facevano le tagliatelle e andavano in chiesa alla domenica, i nonni quelli che raccontavano storie e procuravano la legna per stufe e camini nelle case di campagna. Un'immagine molto lontana da quella che conosciamo oggi. I nonni, secondo le pi� recenti analisi dei sociologi, spesso con la loro pensione pagano rate del mutuo e spese di asilo di figli e nipoti. E se sempre meno donne anziane stendono pasta fresca fatta in casa, aumenta il numero di chi, superati i 70 anni, si iscrive a corsi di pilates e si avventura in iperboliche sessioni di informatica, maneggiando Skype, WhatsApp e Facebook. Per non parlare del ruolo chiave di baby-sitter. Ma come � avvenuta questa trasformazione? Innanzitutto occorre precisare una cosa: la categoria sociologica dei nonni � molto recente e appartiene infatti alla societ� moderna, quella industriale. Nel nostro Paese se ne cominci� a parlare nell'Ottocento, quando si diffusero nelle citt� i valori delle nascenti �lite borghesi. L'Italia si stava trasformando e le famiglie pi� in vista si diedero un gran da fare a rivisitare in chiave moderna lo stile di vita dei nobili. Ovvero quel modo di vivere fatto di bon ton, ricchezza e perbenismo, ma amalgamato con i nuovi valori importati dalla Francia, dove la borghesia aveva fatto la rivoluzione: intraprendenza economica, libert�, individualismo e soprattutto separazione della sfera pubblica da quella privata. La formazione di una famiglia smetteva di essere decisa a tavolino e diventava sempre di pi� una faccenda di cuore. E i nonni? Loro si ritagliarono una nicchia che prima non avevano. "Il ruolo essenziale dei nonni nelle nuove famiglie era l'istruzione dei nipoti. Almeno all'inizio dell'Ottocento, prima che in Italia nascesse la scuola pubblica obbligatoria per tutti. La loro funzione era poi trasmettere i valori famigliari e le regole del vivere sociale", spiega Elena De Marchi, autrice con Claudia Alemani di Per una storia delle nonne e dei nonni (Viella). "Il nonno borghese trasmetteva i valori della morale pubblica, la nonna quelli religiosi. Non solo: a lei spettava anche il compito di tramandare il sapere della famiglia e della casa, le tradizioni e le norme di comportamento femminili". Ieri come oggi essere donne non era facilissimo. Ed essere nonne, men che meno. Il fatto di indossare la gonna implicava infatti una rigidissima etichetta, che le nonne dovevano insegnare. "Una donna che � nonna, rinunzi pure a tutte le velleit� di conquista, anche se � ancora giovane", recitava un manuale di galateo di fine Ottocento. "Adotti un costume severo, non balli assolutamente pi�, infine si astenga da tutto ci� che pu� destare un riso di scherno sul labbro di chi la osserva". "La cosa non stupisce", racconta Elena De Marchi. "In Italia una rivoluzione borghese non ci fu mai e i valori che si diffusero furono ibridi: si tratt� molte volte di una semplice attualizzazione dei clich� nobiliari". Un modello ben rappresentato dalla nonna paterna di Leopardi: Virginia. Rimasta vedova a soli 25 anni, rifiut� tutti i pretendenti. E visse al piano superiore del palazzo del poeta, a Recanati. Giacomo e i fratelli salivano da lei con gioia, felici di trascorrere il tempo con la nonna. Alla quale nel 1810 (a 12 anni) il poeta dedic� una poesiola. Certo, lo stile era acerbo, e pi� che amore i versi sprizzano deferenza: "[...] Or dunque il frutto nobile della fatica mia@ Umil presento, e inchinomi a Vostra Signoria. Spero che in volto placido accetterete il dono [...]". Per ogni famiglia "alla Leopardi" del nostro Paese, ne esistevano centinaia che vivevano dove le regole erano molto diverse: in campagna. L� i nonni non solo comandavano, ma anche tenevano i cordoni della borsa. Nelle masserie del Sud Italia e pi� ancora nella Bassa padana a dominare era la famiglia patriarcale. I nonni vivevano perlopi� nella stessa casa assieme ai figli e ai nipoti, ricoprendo ruoli di primissimo piano. La cosa � facilmente spiegabile: "Quando erano presenti e ancora abili al lavoro, erano loro la figura di riferimento dinanzi al proprietario della terra. Non solo: coordinavano anche il lavoro della famiglia sul podere", spiega la storica. "Questo fece s� che tenessero il potere economico e materiale, avendo spesso l'ultima parola in diverse questioni: figli e nipoti inclusi". La letteratura e il cinema li ha ritratti pi� volte. Erano il brusco Padron 'ntoni dei Malavoglia di Giovanni Verga. O il nonno Anselmo del film L'Albero degli zoccoli di Ermanno Olmi: un ingegnoso contadino che sostituiva in gran segreto, con la complicit� della nipote Bettina, lo sterco di gallina a quello di mucca come concime, riuscendo a far maturare i suoi pomodori un mese prima di tutti gli altri. Un nonno affettuoso, molto amato, ma soprattutto molto rispettato. Durante il Ventennio fascista, per�, le cose per i nonni italiani peggiorarono. Forse non erano abbastanza forti per incarnare l'ideale del giovane maschio battagliero. In ogni caso, a partire dal Ventennio, il Novecento vir� piuttosto dalla parte dei padri. Le nonne si chiusero in cucina a fare le tagliatelle e i nonni divennero cantastorie, responsabili di tramandare le usanze e le tradizioni popolari, niente di pi�. Presenze affettive nella vita dei nipoti, prive per� di quell'autorevolezza guadagnata nel corso dell'Ottocento. "Gli equilibri erano per� destinati a cambiare ulteriormente con la met� del Novecento", afferma Elena De Marchi. "Grazie alle conquiste del femminismo, le donne si sono liberate in parte del loro ruolo di casalinghe a tempo pieno e sono entrate nel mondo del lavoro". Trovarono per� un welfare insufficiente. E fu cos� che tornarono protagonisti i nonni. Non � un caso se alla fine degli anni Settanta in America � stata addirittura istituita una festa a loro dedicata: si era capito che il loro ruolo sociale ed economico era importantissimo. E che emancipazione femminile e progresso, in assenza di uno stato sociale forte, passavano anche attraverso il sostegno delle generazioni pi� anziane. Non senza qualche ambivalenza. Se i valori di oggi vorrebbero anziani tonici, atletici e "performanti" fino a 100 anni, resistono comunque clich� del secolo scorso: i nonni devono occuparsi dei nipoti come chiocce. E alle nonne, nonostante corsi e crociere, si chiede ancora di preparare le tagliatelle la domenica. Una festa per loro La festa dei nonni oggi in Italia si celebra il 2 ottobre. Perch�? Non � un caso: nel calendario liturgico cattolico, il 2 ottobre � la festa degli Angeli Custodi. La ricorrenza per� � relativamente recente e non ha una vera e propria tradizione, se non la moda lanciata negli Stati Uniti di celebrare "l'importanza del ruolo svolto dai nonni all'interno delle famiglie e della societ� in generale". Negli Usa la festa � nata nel 1978 e si festeggia la prima domenica di settembre. La ragione � tutt'altro che romantica: anche se le coccole dei nonni non hanno prezzo, si � capito che il loro aiuto innesca una spirale economica positiva, permettendo alle mamme di lavorare di pi� e alle femiglie di tagliare alcuni costi: in Italia, si calcola, ogni anno i nonni fanno risparmiare tra 496 milioni e 1,3 miliardi di euro. Voce del verbo balbettare (di Patrizia Baldrighi, "Bene Insieme" n. 9/16) - La balbuzie � molto frequente tra i bambini. Vediamo come nasce e come affrontarla - Parlare non � cosa facile per un bambino di pochi anni ed � assolutamente normale che incontri qualche difficolt� nel dare voce a un linguaggio fluente. Va detto, per�, che nessun bambino nasce con il problema della balbuzie. Questo disturbo pu� manifestarsi solo in un secondo momento, in un'et� che va dai 3 ai 5 anni, attraverso maggiori difficolt� a controllare i processi di produzione della parola, richiedendo tempi maggiori per coordinare e organizzare l'atto verbale. Il disturbo pu� insorgere intorno ad alcune fasi critiche dello sviluppo: a tre anni, quando il bambino sta organizzando il proprio linguaggio e verso i sei anni quando, all'ingresso alle elementari, deve prendere contatto con l'impostazione sociale della vita e le regole dell'istituzione. La balbuzie � sempre un disturbo della relazione verbale in situazioni di comunicazione perch�, ad esempio, un bambino non balbetta giocando e parlando da solo. Esordisce talvolta improvvisamente nutrendosi di situazioni traumatiche o avvertite come tali, ad esempio: la nascita di un fratellino, situazioni di anaffettivit�, perdita di sicurezza, traumi, precari inserimenti negli ambienti scolastici, relazioni difficili e ansiogene avvertite dalla sensibilit� del bambino nei primi anni di vita come temibili, eccessivamente autoritarie. Altre volte, per�, si inserisce nel linguaggio gradualmente insieme ai tentativi del bambino di pronunciare vocaboli e termini foneticamente complessi: queste esitazioni prendono il nome di disfluenze specifiche. Va detto inoltre che non esiste una balbuzie specifica e univoca. I fenomeni spesso si sovrappongono e si intersecano nelle forme pi� svariate ed � per tale motivo che ogni bambino ha un suo personale modo di balbettare, ora minimamente ora pi� seriamente, a seconda delle circostanze ambientali o emotive. La balbuzie sparisce cos� come � comparsa e talvolta scompare se genitori ed insegnanti tendono a minimizzare il sintomo. Nei rari casi in cui questo disturbo non si risolva entro i 4 anni, sar� opportuno intervenire con delicatezza e in maniera competente. A volte sotto i 5-6 anni pu� essere opportuno intervenire indirettamente sulla madre, insegnandole le tecniche adatte e fornendo le istruzioni pratiche da adottare con il bambino: i risultati possono essere immediati e soprattutto duraturi, pi� che con i bambini di 8-9 anni e gli adolescenti. Qualora persista nel tempo e assorba al bambino quantit� sempre pi� elevate di energie, occorre rivolgersi a uno specialista, al fine di capire insieme quali preoccupazioni si celino dietro la balbuzie. Lo scopo della terapia � quello di aiutare il bambino a trovare un giusto equilibrio tra il sentirsi adeguato per quanto riguarda il parlare, la balbuzie, se stesso e diventare abile nel capire e nell'usare le tecniche di modificazione della fluenza al fine di farlo diventare un efficace comunicatore. Se la fluenza migliora, divenendo pi� facile e naturale, in maniera spontanea migliorer� anche la struttura profonda del balbuziente: il suo modo di pensare e i suoi sentimenti. La miglior cosa che il genitore pu� fare per il proprio figlio che balbetta � quello di essere un buon comunicatore per fornire un modello verbale facile da apprendere e riprodurre. Inoltre il genitore non deve mai manifestare le proprie preoccupazioni davanti al bambino, n� deve invitarlo a esprimersi in maniera diversa. � opportuno invece creare un ambiente sereno lasciando che il bimbo balbetti perch�, come gi� detto, il disturbo, nella maggior parte dei casi, � transitorio e si risolve spontaneamente nel giro di qualche mese. Occorre poi vigilare a scuola e in ogni altra situazione, sull'eventualit� che alcuni compagni lo prendano in giro. Prevenire possibili molestie e umiliazioni aiuter� il bambino a esprimersi pi� liberamente, evitandogli pesanti frustrazioni. Infine, come sempre, si chiede al genitore di trasmettere al proprio bambino incondizionata accoglienza e totale rispetto, per quello che �, indipendentemente dalla sua balbuzie. Questo aumenter� il suo livello di autostima e di autoaccettazione. Gli esperti hanno messo a punto questo elenco di comportamenti che il genitore pu� adottare mentre parla con il proprio figlio e che sono efficaci per ridurre la pressione emotiva durante la relazione comunicativa: 1. Mantenere il contatto oculare con il bambino soprattutto mentre balbetta; 2. Non anticipare il suo pensiero terminando le frasi o le parole che sta dicendo; 3. Lasciargli il tempo di cui ha bisogno per esprimersi e non mettergli fretta mentre sta parlando. Non usare espressioni come: "dai su", "sbrigati", "allora, cosa vuoi dire?"; 4. Non cambiare bruscamente l'argomento di cui si sta parlando per non tramettere il senso di impazienza inducendolo quindi a provare vergogna, umiliazione e mortificazione; 5. Mai fingere di aver compreso quanto il bambino ha detto, ma comunicare di non aver capito e chiedere di ripetere quanto voleva dire, come si farebbe con qualunque altro interlocutore; 6. Trasmettere, attraverso il comportamento non verbale e le espressioni mimiche, che si � interessati a cosa sta dicendo e non a come lo sta dicendo; 7. Parlare al bambino usando un tono di voce calmo, lento e rilassato; 8. Ridurre il numero di domande, facendone una alla volta e attendendo la sua risposta prima di formularne un'altra; 9. Non dire, mentre parla balbettando, frasi tipo: "fai un bel respiro", "parla pi� lentamente", "rilassati", "stai tranquillo", "parla bene", "non balbettare", "pensa a quello che devi dire prima di parlare"; 10. Usare molte pause mentre gli si parla e rispettare i turni comunicativi, non interrompere n� sovrapporsi con la voce. L'ora del t� ("Bene Insieme" n. 8/16) - Dopo l'acqua � la bevanda pi� diffusa nel mondo - Il t� � una bevanda che si ottiene attraverso l'infusione o tramite il decotto delle foglie di una pianta legnosa, la Camelia sinensis, che pu� essere talvolta miscelata con altre spezie, essenze o erbe. Come � noto, in commercio esistono diverse variet�, ma tutte derivano dalle foglie della stessa pianta. Ci� che rende ogni t� differente � il tipo di trattamento a cui le foglie sono sottoposte e che prevede diversi gradi di ossidazione, ovvero di fermentazione. In generale, le tipologie principali di lavorazione riguardano quella del t� nero, del t� verde e del t� oolong. I t� neri sono fermentati, i t� verdi non sono fermentati, gli oolong sono semifermentati. Nella lavorazione del t� nero, le foglie raccolte vengono fatte appassire per renderle morbide e flessibili ed essere sottoposte alla lavorazione successiva che ne prevede l'arrotolamento e l'avvio del processo fermentativo responsabile del colore e dell'aroma. La fase di fermentazione, o meglio ossidazione, dura da una a tre ore e in precise condizioni di temperatura e umidit�. Infine, avviene l'essiccazione. La lavorazione dei t� verdi non prevede la fermentazione, per questo le foglie dopo la raccolta vengono vaporizzate al fine di annullare l'azione degli enzimi responsabili del processo fermentativo. Quindi, a questa fase segue subito l'essiccazione. Il t� semifermentato subisce una lavorazione simile a quella del t� nero, ma il tempo di fermentazione � ridotto. La pianta del t� viene coltivata principalmente in Bangladesh, Cina, India, Sri Lanka, Giappone e Kenya. In Occidente per tradizione si consuma per lo pi� t� nero. Dei 2,5 milioni di tonnellate di t� che si producono a livello mondiale, il 78% � rappresentato dal t� nero, il 20% � rappresentato dal t� verde e il 2% dal t� oolong. � possibile individuare, a partire dalla lavorazione, sei tipi base di t�. Ecco quali sono: - il t� nero � fermentato ed � la variet� pi� consumata in Occidente. Svolge un'azione energetica, previene la sensazione di freddo, rimuove il senso di stanchezza e svolge un'azione di rafforzamento delle ossa; - il t� verde, non ossidato, prevalentemente consumato in varie regioni asiatiche, di recente ha trovato la sua diffusione anche in Occidente. Dall'azione dissetante, depurativa e benefica per l'igiene orale, allevia il senso di stanchezza; - il t� oolong, essendo semifermentato, subisce processi di lavorazione particolari che, per la differenza nei tempi di ossidazione, rende la gamma di Oolong amplissima. Svolge un'azione benefica per la pelle e per la gola, stimola la diuresi e allevia il senso di calore; - il t� Pu'er o t� postfermentato � un t� da invecchiamento: una volta ossidate, le foglie di t� vengono reidratate perch� si inneschi il processo di fermentazione. La fermentazione fa acquisire col tempo una grande variet� di profumi. Il t� Pu Erh, come il vino, migliora con l'invecchiamento e il suo gusto si sposa bene con quello del cioccolato fondente. - il t� bianco � parzialmente ossidato ed � una variet� che si ottiene dalle gemme o dalle prime foglie della Camellia sinensis che, prima di essere leggermente lavorate, vengono lasciate essiccare alla luce naturale del sole. Il nome "t� bianco" deriva dalla sottile peluria bianco-argentata che ricopre le gemme ancora chiuse, ma la bevanda � di un color giallo pallido. Esercita un'azione depurativa, di rimozione del senso di calore e svolge un'azione benefica per il fegato e per la vista; - il t� giallo � un t� verde che � stato sottoposto a fermentazione post-enzimatica. Esercita un'azione digestiva, depurativa e stimolante del senso di appetito, possiede propriet� antiinfiammatorie. Dolcezze per t� Ecco alcune squisitezze con le quali possiamo accompagnare un t� in famiglia o con gli amici. Baci di dama - Sono dolcetti piemontesi, originari di Tortona, dalla caratteristica forma: due sfere di pasta unite da una crema al cioccolato che si uniscono in un "bacio". L'impasto � a base di nocciole, farina, zucchero e burro. Meringhe - Dette anche "spumiglie" per la loro consistenza spumosa, sono a base di albume di uova e zucchero a velo. Leggere e delicate, sono fragranti e si prestano a essere anche ricoperte di cioccolato. Madeleine - � un dolce soffice dalla caratteristica forma a conchiglia, tipico del nord-est della Francia. Il suo sapore � simile a quello del plum-cake, ma con un aroma pi� pronunciato di burro e limone. Ovis Mollis - Questi biscottini prendono il nome dalla loro pasta, che � una variante della classica frolla a cui vengono aggiunti fecola di patate e tuorli cotti. Al centro presentano "un occhio" di marmellata. Canestrelli - Frollini gradevolmente friabili, hanno un aspetto circolare con il bordo merlato, un foro centrale e sono spolverati di zucchero a velo. Il loro nome deriva dai canestri in cui venivano trasportati in passato. Sfogliatine parigine glassate - I francesi le chiamano Allumette, letteralmente fiammiferi, forse perch� � la forma a ricordarli. Sono dei semplici biscotti di pasta sfoglia, ricoperti di un sottile strato di marmellata e glassa incisa a rombi. Macaron - Si ottengono da una miscela di albume d'uovo, sale, farina di mandorle, e zucchero a velo. Questi dolci, spesso preparati in tanti colori, sono solitamente farciti con crema ganache o marmellata. Cupcake - � una mini-torta, chiamata anche fairy cake in Inghilterra, che viene cotta in un pirottino di ceramica, imburrato e infarinato, poi guarnito a piacere con panna, frutta fresca o creme. Pinolatte - Chiamate anche pignolate genovesi sono un dolce della tradizione ligure. Il loro impasto � a base di mandorle ed � arricchito in superficie da pinoli. Pasta di mandorle - Rappresentano un classico della pasticceria siciliana. Questi dolcetti di mandorle hanno una buona consistenza e sono ricchi di gusto. Vengono arricchiti da frutta candita tipica della regione. Torcetti - In piemontese "torc�t" sono una variante dolce dei grissini, caratterizzati dalla forma ritorta e cristalli di zucchero. Riconosciuti come Prodotto Agroalimentare Tradizionale, sono prodotti in particolare nel Torinese, nel Canavese e nel Biellese. Mutevole Seoul (di Alessandro Gandolfi, "Ulisse" n. 380/16) - Viaggio nella capitale coreana, tra le citt� pi� ricche del mondo. Riservata di giorno, scatenata la notte - Visitare il National Palace Museum di Seoul, la domenica mattina, � qualcosa di pi� di un noioso riempitivo prima di pranzo. I coreani vi entrano per rinsaldare l'appartenenza alla loro tradizione, i turisti per capire davvero cosa sono la Corea del Sud e la sua capitale, una metropoli gigantesca di 25 milioni di abitanti (in pratica met� della popolazione nazionale). I corridoi del palazzo nascondono segreti e curiosit� ma � entrando in una stanza un po' defilata, con al centro la ricostruzione di un'antica aula scolastica, che si capisce come dalle devastazioni di una guerra civile siano potuti sorgere colossi multinazionali come Hyundai, LG e Samsung. La risposta � semplice: grazie alla scuola. Nella sala, un realistico manichino di maestro confuciano sta trasmettendo agli studenti valori fondamentali per la cultura coreana. Come la moderazione, il rispetto per gli anziani, la lealt� al Paese, il senso civico. Oggi a Seoul ci sono oltre trenta universit� ed � indubbio che in una nazione priva di risorse naturali il sistema educativo - severo, competitivo, meritocratico - sia stato la via a un progresso eccezionale. Seoul ne � lo specchio. Capitale precisa, pulita, razionale eppure multiforme, caleidoscopica, veloce, a tratti sfuggente, per nulla incline alla nostalgia: qui si muta in fretta, si distrugge e si ricostruisce, i quartieri cambiano faccia e i grattacieli crescono veloci. "A Parigi o a New York puoi dare un appuntamento a un amico nello stesso luogo anche a distanza di anni", dice il regista coreano Bong Joon-ho al New York Times, "ma qui a Seoul non puoi: probabilmente in quel luogo oggi ci sar� gi� qualcosa di nuovo rispetto a ieri". Attenzione, la capitale sul fiume Han sa conservare bene il proprio passato. A fianco dei nuovi spazi come l'Ewha Womans University, il Kring Kumho Culture Complex o il Leeum Samsung Museum of Art, i coreani custodiscono gelosamente le antiche pagode nei parchi reali di Gyeongbokgung o le campane che un tempo suonavano alla chiusura delle porte medievali. Una si trova ancora nel Bosingak, un casinetto di sei secoli fa (quando in citt� vivevano centomila persone) a due passi dal vero capolavoro di Seoul: l'affascinante Cheonggyecheon. Letteralmente "grande ruscello che scorre", il Cheonggyecheon era una brutta strada sotto la quale passava un torrente. Poi, una decina di anni fa, l'asfalto � stato tolto e il ruscello ricostruito, diventando un meraviglioso giardino che per cinque lunghi chilometri taglia in due la citt�. Qui si passeggia e ci si d� appuntamento, i bambini giocano con le cascate d'acqua e gli amanti si incontrano la sera, quando tutto si illumina di viola e arancio. Il Cheonggyecheon � diventato il simbolo di una citt� alla moda, a tratti geniale. Una citt� che sa unire tradizione e modernit� proprio come l'amato sindaco Park Won-soon, un 60-enne che ha un milione e mezzo di follower su twitter e un giorno ha bloccato l'aumento del costo dei biglietti della Metro dopo che i cittadini, infuriati, gli avevano scritto via email. Seoul ha tante anime e te ne accorgi salendo sulle torri pi� alte, la N Seoul Tower o la 63 City. Guardi gi� e ti sembra di ascoltare il battito degli artigiani del quartiere di Bukchonro, la frenesia del Finance Centre, le urla del mercato del pesce di Noryangjin, il vociare nei bar di Itaewon, i silenzi nel grande parco di Namsan. E poi l� in fondo, oltre il fiume, scorgi le luci del distretto pi� colorato, divertente, ricco e alla moda dell'intera penisola: Gangnam. Tutto nasce nel 1988, l'anno delle Olimpiadi. Questo quartiere "a sud del fiume" (� il significato di Gangnam) diventa sempre pi� popolare, inizia a essere frequentato dall'alta societ� fino a trasformarsi in ci� che � oggi: la Beverly Hills coreana cantata dal rapper Psy nel 2012. Un concentrato di locali notturni, ristoranti, societ� quotate in borsa e residenze di lusso dove si produce il sette per cento di tutto il PIL coreano. Uno dei simboli di Gangnam � l'Eden Club, una discoteca per la giovane �lite che idolatra moda e denaro. Un sogno che ha contagiato gran parte dei giovani coreani: non � un caso che scendendo nell'intricata rete metropolitana alle pareti campeggino ovunque pubblicit� di chirurghi estetici mentre a ogni fermata si mette in scena una sfilata di potenziali modelle che si specchiano nei vetri dei vagoni e si sistemano il trucco inquadrandosi con lo smartphone. A Seoul l'ossessione per l'estetica � una debolezza collettiva diventata business. Qui tutti pensano che la bellezza sia sinonimo di successo, aiuti a trovare il lavoro e l'amore. L'intervento plastico � dunque un investimento per il futuro, soprattutto per le ragazzine che vogliono assomigliare alle dive K-Pop (la musica pop coreana) e avere il viso all'occidentale. Ecco perch� qui c'� la pi� alta concentrazione di cliniche al mondo: oltre 500, molte delle quali a Gangnam (sono tutte lungo la cosiddetta "via della bellezza"), che alimentano un giro d'affari di cinque miliardi di dollari. Ma il K-Pop disimpegnato non � l'unico modello per i giovani di Seoul. "Il vero sogno per noi ventenni - spiega Min Ikyu Shi, leader del gruppo rock chiamato Bumpkins, che si esibisce sul palco a fianco della nuova City Hall - non � il denaro ma la riunificazione con i nostri fratelli del nord". La divisione del 1953 � un lutto mai realmente elaborato che a Seoul si cerca di superare portando i turisti sul 38-esimo parallelo, al confine con la Corea del Nord. Il tour parte da un grande albergo di Jonggak, dura mezza giornata e ha il sapore di un pellegrinaggio catartico sull'ultimo muro della Guerra fredda. Dove i binocoli puntati a nord sono la metafora di un incubo vecchio sessant'anni: un teatro dell'assurdo dove non succede mai nulla, che Seoul ha saputo trasformare nel pi� grande parco giochi militare al mondo. Doping: una scorciatoia per la vittoria (di Riccardo Oldani, "Focus" n. 286/16) - Siamo entrati nel Laboratorio Antidoping di Roma - Anche quest'anno le Olimpiadi hanno portato alla ribalta la guerra al doping, una corsa senza fine... a inseguire l'ultima trovata di medici disonesti. Ma come si svolge esattamente questo braccio di ferro? Per scoprirlo siamo entrati nei laboratori dove gli investigatori-scienziati organizzano la propria caccia. Pi� precisamente, nel Laboratorio Antidoping della Federazione medico-sportiva italiana (Fmsi), a Roma, uno dei centri di riferimento a livello mondiale in questo tipo di ricerca. Ci accoglie il farmacologo Francesco Botr�, direttore del centro e uno tra i pi� importanti esperti mondiali in materia. Non a caso, � uno dei quattro supervisori internazionali chiamati a Rio de Janeiro per controllare il funzionamento del laboratorio antidoping olimpico. Il quartier generale � immerso nel verde dei campi sportivi del centro del Coni dell'Acqua Acetosa, a Roma, dove occupa un basso edificio di mattoni del tutto identico a quelli che, intorno, ospitano gli atleti che qui si preparano in tutte le discipline olimpiche. I 26 superesperti che compongono lo staff tecnico svolgono un servizio che non pu� fermarsi mai: l'analisi dei campioni raccolti in tutte le manifestazioni sportive che si svolgono in Italia, dai match di Champions League ai pi� anonimi meeting locali di nuoto o di atletica. "In media", spiega Botr�, "analizziamo 10.000 campioni l'anno, su ognuno dei quali cerchiamo 400 marker, cio� i segnali della presenza delle 400 sostanze vietate dalla Wada, l'agenzia mondiale anti-doping", alla quale il laboratorio fa riferimento. Ai due lati di un lungo corridoio si affacciano, in 550 metri quadri, stanze piene di computer e macchinari, in cui i tecnici inseriscono provette preparate meticolosamente. Sono strumenti che effettuano analisi chimico-fisiche come la gas-cromatografia e la cromatografia liquida accoppiate alla spettrometria. Negli ultimi 15 anni, solo il laboratorio italiano ha prodotto e pubblicato oltre 150 studi in materia. E nel 2014, ultimo anno di cui sono disponibili dati completi, ha effettuato 9.066 analisi, individuando 174 casi positivi, pari all'1,92% del totale, contro una percentuale mondiale dell'1,36%. Anche osservando i dati degli anni precedenti emerge come la struttura, che controlla sia gli atleti azzurri sia quelli di altre nazionalit� che gareggiano per� in Italia, rilevi una percentuale di casi di doping pi� elevata rispetto alla media mondiale. "I nostri risultati sono in linea con quelli dei laboratori pi� grandi e attrezzati del mondo", dice Botr�. Chi si dopa vuole ottenere due cose: prolungare la resistenza alla fatica o aumentare la forza. Nel primo caso ricorre al doping ematico, che incrementa il numero di globuli rossi e quindi l'apporto di ossigeno ai tessuti. Si usano farmaci come l'Epo, eritropoietina, un ormone prodotto nei reni che agisce a livello del midollo osseo, stimolando la divisione (mitosi) di alcune cellule, denominate CFU-E, da cui si originano poi i globuli rossi. Per potenziare, invece, si ricorre agli ormoni anabolizzanti che aumentano la massa e la forza muscolare. Gli steroidi anabolizzanti, come il testosterone, agiscono direttamente all'interno delle cellule di alcuni tessuti, penetrando nel nucleo, dove si legano a specifici tratti del Dna. Nei muscoli, il risultato � che aumenta la produzione di proteine e si riduce la loro scomposizione. E il tutto si traduce in una crescita della massa muscolare. Ma anche se i tipi di doping pi� comuni sono solamente due, per smascherarli non basta cercare soltanto due tipi di sostanze. Si usano infatti anche altri farmaci, magari meno efficaci ma pi� difficili da individuare in caso di controllo. Si tratta di molecole ancora sconosciute e quindi non ancora inserite negli elenchi delle sostanze vietate; oppure solo pi� facilmente mascherabili (perch� meno studiate). Poi, quando gli scienziati trovano metodi per scoprire anche queste sostanze, subito i "guru" del doping ne cercano di nuove, alimentando un mercato ricco e folle. Il fenomeno non coinvolge soltanto gli atleti di punta, se � vero che, lo scorso marzo, � stato trovato positivo al testosterone un saltatore lunghista e triplista di 79 anni, pi� volte vincitore dei campionati "master", riservati a sportivi un po' avanti con gli anni. Avverte Botr�: "Non dobbiamo trarre le conclusioni che prendendo l'Epo tutti possono diventare campioni. Il doping non pu� trasformare un brocco in un atleta. Migliora le prestazioni, senza dubbio, ma di una percentuale che pu� sembrare minima, diciamo del 2%. Quanto basta per� per passare dal settimo posto all'oro in una finale olimpica". Per questo � importante non mollare mai: in gioco non c'� solo una medaglia, ma il senso stesso della competizione sportiva. Scoprire i truffatori non � facile: � simile a una sfida tra guardie e ladri. Mentre passiamo vicino alle celle frigorifere dove i campioni prelevati agli atleti vengono conservati (anche per 8 anni nel caso delle gare olimpiche), Botr� spiega lo svantaggio che gli scienziati dell'antidoping hanno nei confronti di chi devono smascherare: "Noi possiamo adottare un metodo di indagine solo quando garantisce risultati standard e ripetibili e con la garanzia di non fornire mai risultati falso-positivi. Cio� che nessun atleta pulito possa essere ingiustamente accusato di doping. Questo comporta un lavoro di ricerca che richiede tempo e che deve essere pubblicato su riviste scientifiche per essere accettato e omologato. Ma le riviste scientifiche ovviamente le leggono anche i disonesti, che cos� possono predisporre nuove contromisure. Senza, chiaramente, l'obbligo di pubblicare le loro "scoperte", che sperimentano direttamente sugli atleti, cio� su esseri umani, ignorando ogni vincolo etico, mentre noi non possiamo farlo". Cos� facendo, per�, espongono i loro "assistiti" a seri pericoli. L'assunzione di farmaci in organismi sani pu� avere gravi controindicazioni: gli steroidi possono provocare arresti cardiaci, ictus, emorragie cerebrali o favorire lo sviluppo di tumori. L'eritropoietina aumenta la viscosit� del sangue, con il conseguente rischio di occlusioni vascolari, ipertensione, convulsioni e, perfino, insorgenza di leucemie. Una ricca letteratura scientifica evidenzia questi rischi, ma molti effetti restano nascosti, si manifestano dopo anni oppure non vengono connessi al doping. Il fatto che i casi di morte improvvisa tra gli atleti siano, nel mondo, 2,5 volte superiori rispetto ai non atleti della stessa et� getta un'ulteriore ombra sospetta sulla pratica. Questa continua sfida sposta ogni giorno gli obiettivi. Spiega Botr�: "In generale pu� essere difficile rintracciare direttamente nell'organismo la sostanza dopante. Questo potrebbe avvenire, per esempio, con il prelievo di un campione di sangue o di urina proprio quando la concentrazione della sostanza vietata � massima: un'eventualit� statisticamente improbabile". Ed ecco allora che il laboratorio ha bisogno anche di alleati che svolgano un altro tipo di lavoro. La struttura di cui fa parte, il Nado Italia (National Anti Doping Organization Italia), diretta dal generale Leonardo Gallitelli, ex-comandante dei Carabinieri, si avvale anche di uno staff di persone che vanno in giro per l'Italia a effettuare materialmente i prelievi di sangue o di urine. Spesso si muovono a sorpresa, quando la probabilit� di fare centro � pi� alta: ogni sostanza dopante, infatti, ha un suo momento di assunzione ottimale per ottenere il risultato voluto in gara e questo momento pu� essere anche giorni o settimane prima dell'evento sportivo. In base a ci� il Nado Italia programma i controlli e se gli atleti non si fanno trovare rischiano grosso. Dopo tre irreperibilit� scatta la squalifica, che rischia per esempio Vincenzo Abbagnale, canottiere figlio di Giuseppe, gloria del nostro sport e presidente della federazione del canottaggio. Vista la difficolt� a scoprire direttamente i farmaci vietati, gli specialisti ricercano i loro metaboliti, cio� le altre sostanze in cui il farmaco preso si trasforma nell'organismo dopo l'assunzione. I metaboliti si individuano soprattutto nelle urine, motivo per cui molti atleti dopati prendono diuretici: ottengono cos� di diluirne la concentrazione rendendo pi� complessa la ricerca (e infatti anche i diuretici sono considerati doping). Un fronte della scienza dell'antidoping consiste proprio nell'elaborare sistemi sempre pi� sensibili per individuare anche quantit� infinitesimali di questi metaboliti. Spiega Botr�, indicando un nuovo macchinario appena installato: "Usiamo quelle che potremmo definire "bilance molto sofisticate" che ci consentono di raggiungere una sensibilit� altissima. Tenendo sempre presente che anche a questa sensibilit� c'� un limite: prima o poi qualsiasi sostanza non � pi� rintracciabile nell'organismo". Ma i ladri sono astuti e, sapendo che le guardie cercano una cosa, tentano di mascherarla e di trasformarla in qualcos'altro. "Nell'organismo ogni sostanza assunta si trasforma in uno o pi� metaboliti per effetto di un preciso enzima. Il trucco �: assumere un'altra sostanza non vietata (per esempio un fungicida) che inattiva l'enzima; cos� il metabolita che segnala il doping non si forma pi�. Oppure entrano in gioco altri enzimi ancora, che producono metaboliti diversi, cosiddetti secondari", racconta Botr�. Il laboratorio italiano si sta specializzando in un filone particolare di ricerca, di cui � ai massimi livelli nel mondo, indirizzato proprio a individuare questi metaboliti secondari e scoprire il doping anche quando vengono impiegate strategie di mascheramento cos� sofisticate. Tra l'altro, questi studi sono condotti utilizzando esclusivamente colture cellulari e sistemi subcellulari, senza animali di laboratorio. Si tratta di lavori lunghi, che spesso approdano a risultati solo dopo anni. Questo � il motivo per cui tutti i campioni prelevati agli atleti durante manifestazioni importanti vengono conservati per 8 anni. E non � raro il caso di medaglie riassegnate e squalifiche comminate anni dopo la gara. Perch� prima arriva il doping e soltanto poi gli strumenti per scoprirlo. Piero Salvatori, la musica che... vola via (di Alberto Rivaroli, "Tv Sorrisi e Canzoni" n. 18/16) - Suono per arrivare al cuore della gente - Un nuovo disco per raccontare una vita speciale: la sua. C'� moltissimo di Piero Salvatori nell'album "Flyaway", e non solo perch� quasi tutti i brani sono scritti da lui, che li esegue dividendosi tra violoncello (il suo primo grande amore) e pianoforte. "Dentro questo cd ci sono io, con le mie emozioni, i miei incontri, le persone che contano: stavolta pi� che mai la musica � venuta dal cuore" spiega il compositore. La sua storia � davvero romanzesca: l'infanzia a Caprarola, un minuscolo paesino in provincia di Viterbo; la passione per la musica del padre, che spinge tutti e tre i figli a studiare al conservatorio; i concorsi per entrare in un'orchestra classica e l'incontro con Claudio Baglioni, che lo vuole con s� in sala di registrazione e in tour. Da quel momento Piero lavora con i pi� grandi artisti del jazz e del pop nazionali finch�... Ma lasciamo che sia lui stesso a raccontarsi. - Piero, da dove vogliamo cominciare? "Da un giorno di dieci anni fa, a Roma, quando all'improvviso ho sentito un bisogno irresistibile di comporre: fino ad allora avevo suonato con grandi nomi, ma non avevo scritto niente". - E allora cosa ha fatto? "Sono andato in un negozio e ho acquistato un pianoforte digitale, di quelli che si possono suonare anche di notte perch� li colleghi alle cuffie: per non perdere neppure un minuto, me lo sono portato a casa da solo. Avevo una macchina scoperta, l'ho sistemato sul sedile di dietro... Da allora non ho pi� smesso di comporre: � la cosa pi� esaltante che ci sia". - Quando ha capito che la sua musica piaceva al pubblico? "Una sera, qualche anno fa, stavo suonando a un evento organizzato da una grande azienda in un hotel di Madonna di Campiglio. Suonai tra gli altri anche un mio brano inedito, e dopo qualche minuto andai in bagno a lavarmi le mani. Entr� uno degli ospiti e, mentre si sistemava il nodo della cravatta davanti allo specchio, si mise a fischiettare il motivo che avevo eseguito pochi minuti prima. L'aveva sentito soltanto una volta, eppure gli era rimasto in mente! � stata un'emozione incredibile". - � cos� facile arrivare al cuore della gente? "Non lo so, ma per me questo � l'unico obiettivo: rendere migliore la vita di chi mi ascolta. E poi � emozionante accorgersi che, all'improvviso, lo spunto per un brano arriva quasi da solo: tu devi solo metterlo nero su bianco". - A proposito di migliorare la vita degli altri: lei � testimonial della Fondazione per la ricerca sulla fibrosi cistica. "� una malattia che ha colpito anche me, sia pure in forma lieve. Mi � sembrato il minimo contribuire ad aiutare chi invece affronta una realt� molto dura". - Suo fratello Stefano � diplomato in pianoforte, sua sorella Annamaria in violino. Non le viene la voglia di creare un... Trio Salvatori? "In effetti in passato abbiamo suonato spesso insieme, e vorrei farlo ancora. Ho in mente un progetto che � una bomba: se prende forma..."