Settembre 2017 n. 9 Anno XLVII MINIMONDO Periodico mensile per i giovani Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registrazione 25-11-1971 n. 202 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Massimiliano Cattani Antonietta Fiore Luigia Ricciardone Copia in omaggio Indice India: addio, sua maest� Il prezioso gusto dell'acqua Chi impara una lingua... campa cent'anni Burro: l'oro bianco adatto a ogni pasto Una visita ad Arezzo La F1 delle auto robot India: addio, sua maest� (di Roberto Roveda, "Focus Storia" n. 131/17) - Settant'anni fa gli inglesi si ritirarono dal subcontinente indiano lasciandosi dietro un territorio diviso e moltissimi problemi - Tiziano Terzani, grande giornalista e viaggiatore, definiva l'India "l'origine di tutto, il punto di partenza". All'inizio del Novecento gli inglesi erano molto pi� prosaici: l'India era il gioiello della Corona imperiale, con il suo territorio immenso, ricco di risorse ed "esoticherie" e abitato da oltre duecento milioni di sudditi. Certo le rivolte erano sempre dietro l'angolo e principi e maharaja locali dovevano essere tenuti tranquilli con privilegi e titoli nobiliari da sfoggiare nelle visite alla corte londinese. Le armi britanniche per� sembravano ancora poter bastare a tenere a bada il Paese e i figli di Albione si crogiolavano al pensiero che il rito del t� all'ombra delle palme e le partite a cricket in riva all'Oceano Indiano sarebbero durati ancora a lungo. Arriv� poi la Prima guerra mondiale e gli inglesi ne uscirono vincitori, ma pesti. Inoltre, dopo anni di trincee e massacri, "gli uomini bianchi" non potevano pi� ostentare superiorit� e presunte missioni civilizzatrici al resto del mondo. Per gli indipendentisti indiani fu il momento di alzare la voce, anche perch� un milione di loro compatrioti erano partiti per i fronti europei e quasi centomila di questi non avevano fatto pi� ritorno. La Lega musulmana, che dal 1906 rappresentava la popolazione islamica, e soprattutto il partito del Congresso, espressione dal 1885 della maggioranza induista, chiedevano a gran voce l'indipendenza. A guidare questa potente organizzazione era un uomo che si era fatto le ossa combattendo per i diritti civili in Sudafrica e che i suoi seguaci consideravano una guida spirituale oltre che politica: Mohandas Gandhi, il Mahatma ("Grande anima"). Gandhi aveva raggiunto la convinzione, come scrive lo storico tedesco Dietmar Rothermund nella sua Storia dell'India (il Mulino), che "senza l'aiuto degli indiani, gli inglesi non sarebbero stati in grado di dominare l'India" e combatterli apertamente avrebbe quasi sicuramente causato un bagno di sangue. L'unica soluzione era resistere ma senza violenza, boicottare, come affermava il Mahatma: "Siamo decisi a rendere la loro dominazione impossibile per mezzo della non cooperazione non violenta. � un metodo invincibile per sua stessa natura. � basato sul fatto che nessun usurpatore pu� raggiungere i suoi scopi senza un minimo di cooperazione, volontaria o forzata, da parte della vittima". Secondo questo concetto gli indiani non dovevano comprare prodotti inglesi, dovevano restituire le onorificenze dell'Impero britannico, non frequentare le universit� e i tribunali, boicottare le elezioni, nonostante una nuova Costituzione approvata nel 1919 garantisse loro pi� partecipazione alle attivit� di governo. Gli inglesi, spiazzati da questo atteggiamento, si barcamenarono tra due opposti comportamenti. Da una parte si misero in attesa che, di fronte alle esigenze della vita quotidiana, la "non cooperazione" si esaurisse da sola. Dall'altra invece mostrarono i muscoli. Ad Amritsar, nel Punjab, il 13 aprile 1919 migliaia di persone si radunarono nei giardini pubblici di Jallianwala Bagh, contravvenendo al divieto di adunata pubblica imposto dagli inglesi, e le forze guidate dal generale Reginald Edward Harry Dyer aprirono il fuoco sulla folla. Secondo le stime i morti furono 379 e oltre 1.200 persone rimasero ferite. Quello che pass� alla Storia come il massacro di Amritsar fu una vera prova di forza. "In India per� quella carneficina venne interpretata in tutt'altra chiave", spiega Rothermund. "Una potenza coloniale in grado di farsi valere soltanto con il ricorso alla violenza non aveva evidentemente pi� carte da giocare". A rafforzare l'impressione che il governo coloniale britannico fosse dominato da una certa isteria arriv�, nel 1922, l'arresto di Gandhi per sovversione, un evento che diede ancora pi� fiato a coloro che nel partito del Congresso volevano l'indipendenza dalla Gran Bretagna a qualsiasi costo. A rendere ancora pi� incandescente la situazione in quegli anni contribuirono anche i rapporti sempre pi� difficili tra maggioranza ind� e minoranza islamica (formata comunque da decine di milioni di persone). I musulmani temevano la nascita di un'India indipendente a guida induista e gli inglesi soffiavano sul fuoco di questa divisione in base all'antico principio del divide et impera. Divisi, infatti, gli indiani facevano meno paura, anche perch� tra gli anni Venti e Trenta il governo britannico non aveva nessuna intenzione di privarsi del suo "gioiello". Anzi, molti condividevano il giudizio di un colonialista convinto come Winston Churchill che definiva Gandhi un "fachiro seminudo che osa salire le scale del palazzo di Sua Maest�". Poi per� col "fachiro" bisognava trattare, anche perch� si inventava sempre nuovi modi per mettere alla berlina il governo britannico, come accadde con la "Marcia del sale" del 1930. Per calmare le acque, nel 1935 venne concessa una Costituzione ancora pi� liberale che istituiva assemblee e governi provinciali interamente controllati da indiani. Alle prime elezioni (1937) emerse per� chiaramente la frattura profonda che attraversava la societ� indiana. Gli ind� ottennero la maggioranza dei voti e il controllo di sette province, i musulmani di tre. In molte regioni ci furono scontri tra le due comunit� e la Lega musulmana cominci� a intravedere la possibilit� di una scissione del Paese - alla quale Gandhi era ferocemente contrario - in pi� Stati indipendenti con un'unica linea di demarcazione: la religione. La Seconda guerra mondiale scav� poi un solco incolmabile tra autorit� britanniche e indiani. "Allo scoppio del conflitto", spiega Rothermund, "il vicer� firm� la dichiarazione di guerra in nome dell'India, senza consultare i dirigenti politici locali". Tante promesse di maggiore autonomia svanirono in un attimo e ci si prepar� allo scontro aperto. Cos�, mentre entravano in vigore le leggi di guerra e due milioni di indiani lenivano inviati sui vari fronti, cominci� un vero e proprio braccio di ferro tra Londra e gli indipendentisti del Congresso. Braccio di ferro che raggiunse il suo culmine nel 1942 quando i giapponesi erano sul punto di invadere l'India, come racconta sempre Rothemund. "Gandhi offr� la soluzione "Quit India" invitando gli inglesi a lasciare il Paese finch� erano ancora in tempo: non erano in grado di difenderlo e gli indiani, da parte loro, non erano affatto in conflitto con i giapponesi". Gli inglesi arrestarono Gandhi, misero fuorilegge il partito del Congresso e fomentarono le divisioni tra ind� e musulmani, i cui leader volevano spaccare il Paese in due. L'India era ormai una bomba a orologeria e per evitare che potesse scoppiargli tra le mani il governo inglese, finita la guerra, decise di abbandonarla. I britannici smobilitarono in fretta e furia: ind� e musulmani avrebbero dovuto risolvere da soli le loro beghe. Sul territorio nacquero da subito scontri tra le due comunit� religiose che causarono esodi di massa (circa 16 milioni di profughi) e, nella sola estate del 1947, circa 500mila morti. Il 15 agosto del 1947, l'India fu dichiarata indipendente, ma venne divisa. Fu infatti scissa in due dominions indipendenti: l'India ind�, e il Pakistan a maggioranza musulmana, diviso a sua volta, tra la parte occidentale e quella orientale (oggi Bangladesh) da 1.600 chilometri di territorio indiano. Gandhi parl� di "vivisezione dell'India" e cerc� una soluzione alternativa. Ma la sua voce, sempre pi� isolata, fu spenta da un fanatico ind� il 30 gennaio del 1948. Insieme alla "Grande anima" se ne andava per sempre anche la grande India unita. Il prezioso gusto dell'acqua (di Elena Meli, "Focus" n. 299/17) - Inodore e insapore? Non proprio, dice la scienza. E, in ogni caso, quella che beviamo contiene sempre microelementi che possono fare una grande differenza - Inodore, incolore, insapore. Fin da bambini impariamo che queste sono le caratteristiche dell'acqua. Eppure ne beviamo un bicchiere ed ecco che ci sembra "sappia di cloro", sia "pesante" o "ferrosa": tanto insapore, insomma, non si direbbe. Non bastasse, sempre pi� spesso nei ristoranti viene proposta, accanto a quella dei vini, anche una "carta delle acque", fondata sul presupposto che tra l'una e l'altra ci siano notevoli differenze (anche di prezzo)... Che per� qualcuno non coglie affatto: possibile, visto che l'acqua � un elemento cos� essenziale? Proviamo a fare un po' d'ordine. Per cominciare, sembra certo che il gusto dell'acqua pura, senza sali minerali, esista, stando a uno studio del California Institute of Technology pubblicato di recente su Nature Neuroscience. Dopo anni di dibattiti fra chi pensa che l'acqua abbia un suo sapore e chi invece ritiene che ne avvertiamo uno perch� � la saliva ad averne o perch� � il "riflesso" di ci� che abbiamo mangiato, gli esperimenti su topolini del neuroscienziato Yuki Oka sembrano dar ragione ai primi: il cervello pu� rispondere all'acqua pura, distillata, sentendola attraverso i recettori per l'acido, "miniantenne" per le molecole acide che si trovano sulle papille gustative ai lati della lingua. I recettori non sarebbero capaci di avvertire quando si � saziata la sete, ma discriminano l'acqua: se sono inattivati, i topi bevono qualsiasi liquido, pure l'olio di paraffina, quando sono funzionanti la preferenza per l'acqua � netta. I misteri per� restano: perch� si "accenda" proprio il recettore per l'acido, che negli animali normalmente provoca avversione, non si sa. C'� quindi parecchio da capire e questi recettori non sono di certo l'unico meccanismo per sentire una sostanza tanto indispensabile, ma gli esperimenti di Oka suggeriscono che il gusto dell'acqua pura esiste, eccome. Quella che beviamo, per�, raramente � del tutto priva di sali minerali, e cos�, di solito, riusciamo a percepirne un sapore grazie all'interazione fra gusto, tatto, olfatto (un vago odore di cloro che ci fa arricciare il naso e sentire un saporaccio, per esempio), come facciamo per tutti gli altri alimenti; resta per� difficile scindere il suo sapore da quello delle sostanze disciolte in essa o nella bocca. Anche perch� l'acqua risente molto dell'adattamento: "� il fenomeno per cui, quando siamo esposti a lungo a un odore, finiamo per non avvertirlo pi�; oppure, dopo un gusto forte, il sapore di altri cibi o bevande ci risulta diverso. Dopo aver mangiato qualcosa di molto dolce o molto salato, per esempio, l'acqua assume note amare, dopo un alimento acido la sentiamo pi� dolce", osserva Erminio Monteleone, presidente della Societ� Italiana di Scienze Sensoriali. Il sapore dell'acqua � poi, come abbiamo detto, gi� di per s� pi� indecifrabile di altri: mentre nella percezione del gusto complessivo di un alimento, risultato della sintesi di tanti input sensoriali (come consistenza, aroma, sapidit�), se qualcosa "stona" siamo capaci di scomporre i diversi elementi e individuare ci� che disturba, con l'acqua normalmente non riusciamo a riconoscere se c'� pi� di questo o di quel sale minerale. E tuttavia ci accorgiamo se ha un sapore sgradevole, magari perch� l'abbiamo appena presa dal rubinetto; altre volte la sentiamo calcarea, in alcuni casi lascia la bocca metallica. I microelementi disciolti sono i principali responsabili di queste sensazioni: il cloruro di sodio a basse concentrazioni, per esempio, conferisce una nota dolce, cos� come il calcio, mentre il potassio, il magnesio e il manganese tendono all'amarognolo; il bicarbonato di calcio pu� dare un retrogusto salato, l'anidride carbonica delle bollicine fa virare il sapore verso l'acido. "Quantit� e qualit� dei sali presenti incidono su gusto e propriet� dell'acqua", dice Umberto Solimene, presidente del Centro di Ricerche in Bioclimatologia Medica, Medicina Termale, Complementare e Scienze del Benessere all'Universit� di Milano: "Le oligominerali con basso residuo fisso (la quantit� di sali in un litro dopo un'evaporazione a 180�C, ndr) contengono pochi sali e sono percepite leggere: vengono assorbite ed eliminate rapidamente, in quantit� superiore a quella introdotta perch� "lavano" gli spazi fra le cellule drenando via i liquidi, per cui sono diuretiche. Le mediamente mineralizzate aiutano la digestione, grazie a magnesio e bicarbonati che favoriscono la motilit� gastrointestinale. Le acque molto mineralizzate, infine, sono terapeutiche e si comprano in farmacia, meglio se in seguito a una indicazione medica". L'acqua del rubinetto � un po' a met� del guado: � minerale, perch� contiene molti sali (per questo alcuni la giudicano "pesante", anche se poi ogni acquedotto � un caso a s�), ma a differenza delle acque in bottiglia non ha una composizione sempre uguale ed � perci� pi� difficile stabilirne un'indicazione "clinica": va per� benissimo per placare la sete e con qualche trucco si pu� ridurre il gusto di cloro, a volte molto forte, che dipende dai processi di disinfezione. I composti clorurati utilizzati allo scopo si liberano nell'aria con l'ebollizione o, in misura minore, versando l'acqua in una caraffa senza tappo; se poi la brocca sta un po' in frigo, il freddo "intorpidisce" le papille gustative e il sapore ci guadagna. La temperatura infatti incide parecchio sul gusto percepito: "Il freddo per esempio favorisce le sensazioni tattili, cos� l'acqua gasata presa dal frigorifero sembra pi� frizzante della stessa a temperatura ambiente; riduce invece quelle olfattive perch� i composti odorosi sono meno volatili", spiega Monteleone. Pure la presenza o meno di bollicine cambia il sapore, perch� "le acque pi� gasate, non a caso spesso pi� economiche, con le loro grosse bolle "anestetizzano" la lingua mascherando il gusto", dice Solimene, che continua: "Come lo champagne, l'acqua ha un perlage che dipende dalla dimensione delle bolle: per assaporare le differenze � meglio che sia microgasata, con bollicine piccole, e non troppo fredda per non romperne il bouquet". Sembra quasi di sentir parlare di vini, e in effetti un po' � cos�: esistono gi� gli idrosommelier. Nati una quindicina di anni fa, sono oltre 500 soltanto in Italia (con un corso di un weekend si apprendono le prime basi del mestiere), e in alcuni ristoranti spuntano le carte delle acque. In quella proposta dall'Adam (Associazione Degustatori Acque Minerali) ce ne sono decine e alcuni locali stellati offrono liste con una ventina di bottiglie da vari Paesi, ma il minimo sindacale pare sia averne almeno quattro tipi diversi, pi� o meno mineralizzate, per non sbagliare gli abbinamenti con le pietanze. L'acqua va degustata seguendo certe regole, come spiega Mario Celotti, presidente Adam: "Servono due bicchieri: un calice per la gasata/addizionata, da assaporare fredda (circa 9�C, ndr) e da non scaldare toccando il bicchiere, e uno a fondo piatto per la liscia, da bere dopo aver alzato la temperatura di un grado o due rispetto al frigo". Dell'acqua, prima del gusto, si pu� giudicare il perlage delle bolle, se � cristallina o trasparente, se ha un odore da difetti di conservazione della bottiglia o altro; bevendola, gli idrosommelier possono capire di quali sali minerali � ricca. Cos� se il cameriere vi chiede "Gasata o naturale?", sappiate che le alternative sono molte di pi�: � importante per esempio sapere se l'acqua sia pi� o meno mineralizzata. "Un'acqua leggera, oligominerale e liscia, � adatta ad antipasti delicati o al pesce al vapore; una lieve effervescenza � necessaria se il pesce � accompagnato da salse", consiglia Celotti. "Se il residuo fisso � intorno a 500, andr� bene per sughi pi� saporiti come il rag� e si potr� optare per una bolla media; per secondi importanti servono acque con un residuo fisso alto, fra 900 e 1.200, a effervescenza marcata ed effetto "sgrassante". Al momento del dessert un'acqua liscia a tendenza dolce � perfetta. I ristoranti dovrebbero avere almeno le acque pi� adatte ai loro men�. A casa ne servirebbero due o tre tipi diversi: se si sbaglia l'acqua il palato resta "sporco" e non assapora bene il piatto successivo". Non dovremo diventare esperti, insomma, ma un piccolo sforzo si pu� fare: se non altro perch� bere acqua buona � un atto di salute prima ancora che di gusto. Chi impara una lingua... campa cent'anni (di Daniela Cipolloni, "Focus" n. 299/17) - Il cervello di chi conosce (almeno) due idiomi � pi� sano, pi� grande, pi� connesso. E non � mai tardi per studiarne uno - "Excuse me, bitte sch�n... Noio volevam...ehm, volevon savoir... l'indiriss... ja". Se alle prese con una lingua straniera sembrate Tot� nella celebre scena in cui tenta di chiedere informazioni a un vigile di Milano, scambiato per un soldato tedesco, ci sono buone notizie per voi. Le ultime ricerche assicurano che persino a 70 anni e oltre si pu� diventare poliglotti (Kat� Lomb, traduttrice ungherese, tra le prime interpreti in simultanea del mondo, impar� la sua 17esima lingua, l'ebraico, a 80 anni suonati). Insomma, non � poi cos� vero che le lingue si possono imparare solo da bambini. "Negli studi tradizionali, che corrispondono all'idea comune che abbiamo, si fa riferimento al cosiddetto "periodo critico" del bilinguismo, un'et� magica che va dalla nascita fino alla pubert�, con un picco tra i 3 e i 7 anni, superato il quale si perderebbe la capacit� di acquisire la completa padronanza di un nuovo idioma. In realt�, le cose non stanno davvero cos�", ribadisce Antonella Sorace, docente di linguistica all'Universit� di Edimburgo e direttrice del centro di ricerca e divulgazione sul bilinguismo "Bilingualism Matters". Insomma, � un falso mito che per parlare bene l'inglese (o il francese, lo spagnolo ecc.) lo si debba imparare da piccoli, perch� altrimenti non c'� speranza di riuscire a esprimersi fluidamente. Perch� il cervello umano � un organo stupefacente, capace di plasmarsi e ristrutturarsi in ogni fase della vita, sulla base degli input che riceve. Se potessimo guardare dentro la scatola cranica di chi sta studiando un'altra lingua, vedremmo milioni di cellule spuntare come funghi, un brulichio di nuove sinapsi (quelle specie di "ventose" che collegano i neuroni). E circuiti cerebrali che si moltiplicano e s'intrecciano, mentre gli impulsi elettrochimici schizzano da una parte all'altra alla velocit� della luce. Sembra fantascienza, ma succede proprio cos�. "Il cervello dei bilingui diventa effettivamente pi� grande", interviene Jubin Abutalebi, neuropsicologo e direttore del Centro di Neurolinguistica dell'Universit� Vita-Salute San Raffaele di Milano. "Abbiamo constatato con tecniche di neuroimaging che gli anziani che parlano due lingue sviluppano pi� materia grigia rispetto a chi ne parla una sola. Significa pi� neuroni, pi� interconnessi fra loro. La cosa sorprendente di questo studio, che abbiamo condotto in Cina in collaborazione con l'Universit� di Hong Kong e pubblicato sulla rivista Journal of Neurolinguistics, � che non c'era differenza tra chi aveva imparato la seconda lingua da bambino e chi l'aveva fatto pi� avanti negli anni, contava solo l'utilizzo della stessa". Come per fare massa muscolare, conta l'allenamento: succede la stessa cosa anche per il cervello. Ma avere in testa una quantit� maggiore di materia grigia, che effetto fa? "� un vero e proprio tesoretto che migliora le performance intellettive generali", spiega Antonella Sorace. "In una ricerca, recentemente pubblicata sulla rivista Plos One, abbiamo sottoposto persone anglofone dai 18 ai 78 anni a un corso intensivo di lingua straniera (gaelico scozzese). Gi� dopo una settimana, abbiamo potuto apprezzare i benefici. Tutti gli studenti ottenevano punteggi migliori ai test di controllo dell'attenzione, rispetto a prima delle lezioni; specialmente i pi� anziani del gruppo. Dopo 9 mesi, il vantaggio cognitivo si manteneva evidente in quelli che avevano continuato a praticare la lingua almeno 5 ore a settimana". Quindi a imparare una seconda grammatica si ottiene pure una mente pi� elastica. Che � sempre utile, soprattutto quando incombe il rischio "rimbambimento" della vecchiaia. "Grazie all'abbondante riserva neurale, il cervello dei bilingui va incontro pi� lentamente all'atrofia legata all'et�", sottolinea Abutalebi. "� stato calcolato che l'Alzheimer, se arriva, insorge con 4 anni e mezzo di ritardo, e che raddoppia la probabilit� di un pieno recupero delle funzioni cerebrali dopo un ictus. Non esiste farmaco tanto potente. Se il sistema sanitario finanziasse corsi di lingua per la terza et�, potrebbe risparmiare centinaia di milioni di euro all'anno nella prevenzione delle demenze e dei loro costi socio-sanitari". Certo, superare il livello base e arrivare a sostenere una conversazione in lingua � un obiettivo pi� arduo da raggiungere, da adulti. "A differenza dei bambini, che hanno la straordinaria capacit� d'imparare senza fatica e assorbire come spugne, in modo implicito, automatico, spontaneo, l'apprendimento negli adulti � spesso un processo controllato, intenzionale, esplicito, che richiede impegno", spiega Sorace. Tant'� che nel cervello s'innescano meccanismi diversi. "I piccoli bilingui utilizzano la stessa area del linguaggio per entrambi gli idiomi, passando indifferentemente dall'uno all'altro senza andare in confusione. Gli adulti, inibendo la lingua madre per comunicare nella seconda, attivano maggiormente le aree del controllo esecutivo, deputate a monitorare come ci si sta esprimendo", dice Abutalebi (che di lingue ne parla 7). La sensazione � quella di una vocina nella testa, che censura, giudica, corregge. E frena. Come quando a scuola si faceva scena muta per paura di dare la risposta sbagliata al professore. Ecco perch�, soprattutto in una prima fase, i progressi sono lenti e imparare sembra difficilissimo (a meno che non si goda di una spiccata predisposizione per le lingue). "Ma la lentezza iniziale viene compensata da una ripresa di velocit� successiva, quando la mente si � rimessa in esercizio", assicura Paolo Balboni, linguista, esperto di glottodidattica dell'Universit� Ca' Foscari di Venezia. A quel punto, gli adulti godono persino di qualche vantaggio rispetto ai bimbi. Per esempio, riescono a tradurre le parole straniere e capirne il significato, perch� possiedono gi� un ricco lessico madrelingua. Possono utilizzare la memorizzazione visiva, con la scrittura e la lettura. E applicarsi con metodo. Chi gi� sa una seconda lingua, � avvantaggiato: sar� pi� facile apprendere la terza, o la quarta... C'� un unico, vero scoglio: la pronuncia perfetta. Per chi ha pi� di 7-8 anni, � quasi impossibile riprodurre i fonemi e l'inflessione di un'altra lingua. Si sentir� sempre l'accento diverso. Quel che conta, per�, � capirsi. Per imparare, poi, ci sono diverse strategie. Per esempio, l'iper-poliglotta statunitense Alexander Arguelles, professore di linguistica che padroneggia pi� di 50 lingue, tra cui alcune arcaiche o scomparse, adotta la tecnica dello shadowing ("pedinamento"). Consiste nel seguire "come un'ombra" l'audio del nuovo idioma, ascoltando brani nelle cuffiette e ripetendoli quasi in simultanea a voce alta mentre passeggia. Cos� riesce a interiorizzare una lingua nel giro di una settimana, quasi fosse il testo di una canzone. Miracolo? No. Per lui � il punto di partenza, cui segue uno studio intenso e mirato. Non � detto che funzioni per tutti (in fondo, lui � un talento fuori dal comune), ma il principio � convincente: l'immersione. Per imparare un vocabolario e una sintassi diversa � necessario calarsi il pi� possibile nel contesto reale. Un viaggio all'estero da soli sarebbe l'ideale (per chi ha tempo di farlo). Altrimenti si pu� optare per corsi immersivi, senza varcare i confini nazionali: mini-ritiri di gruppo dove tutte le fasi della giornata (pasti, momenti di svago, conversazioni libere, lezioni) prevedono l'uso e l'ascolto esclusivo della lingua straniera. E fare da autodidatti? "No, serve un insegnante, da soli non si va da nessuna parte", consiglia Balboni. "Il lavoro autonomo � utile e prezioso, ma funziona se almeno in parte � guidato da un esperto". Chi sceglie una scuola di lingua, per�, sappia che deve affiancare lo studio a casa. Considerando che, a spanne, occorrono circa 600 ore per imparare l'inglese o lo spagnolo, con un'ora di lezione a settimana impiegheremmo pi� di 10 anni. Ancora di pi� per imparare il tedesco o l'ungherese (900 ore), il russo o il polacco (1.200 ore). Addirittura il triplo dell'inglese per apprendere arabo, coreano, cinese o mandarino (1.800 ore). E guardare film o serie tv in lingua originale � utile? "S�, ma bisogna partire almeno da un livello intermedio, altrimenti � frustrante", suggerisce Balboni. "Conviene guardare la prima volta l'episodio in italiano, poi in originale cercando di cogliere il significato delle battute. Meglio concentrarsi in spezzoni di 5-10 minuti. Quindi, si riascolta la sequenza con i sottotitoli in lingua, eventualmente passando a quelli in italiano, laddove non si comprende il testo. Infine, si risente il tutto senza sottotitoli. A mano a mano, il meccanismo diventa pi� rapido perch� si colgono le pronunce degli attori e i riferimenti a puntate precedenti". Per quanto questo esercizio sia utilissimo, l'esposizione alla lingua non pu� essere solo passiva. � fondamentale sforzarsi di parlarla sfruttando ogni occasione di conversazione con madrelingua. Bastano circa 800 parole, quelle usate pi� di frequente, per disquisire pi� o meno di tutto. Con il tempo si aggiuster� anche la grammatica. E un bel giorno la lingua si scioglier� e uscir� fluente dalla bocca, come per magia. Burro: l'oro bianco adatto a ogni pasto ("RivistAmica" n. 2/17) - Piccola guida al condimento principe della nostra cucina - Di mattina sul pane tostato con la marmellata, a pranzo con la pasta e il formaggio grattugiato, di sera nelle ricette pi� gustose, come la "polenta concia" o il gateau di patate: il burro � un ingrediente pronto a comparire sulle nostre tavole in ogni momento della giornata. Un prodotto caseario versatile, che pu� essere impiegato nei piatti dolci ma anche nelle portate salate, sia per friggere che per ammorbidire o addolcire. Dalla crema che affiora dal latte nelle stalle alle varianti pi� moderne, ecco la storia millenaria del grasso animale pi� usato e apprezzato in cucina. La preparazione del burro comincia con una crema biancastra che galleggia sulla superficie del latte di vacca messo a riposare dopo la mungitura. � la parte grassa, la panna, che si pu� ottenere in questo modo aspettando 10-12 ore, oppure in maniera pi� rapida con una centrifuga. Che provengano da affioramento o centrifugazione, le creme devono poi affrontare la "burrificazione", che consiste nell'agitazione meccanica a freddo: in questo modo i globuli di grasso si amalgamano ed eliminano l'acqua residua, in un procedimento chiamato "zangolatura", per via delle zangole, antichi recipienti di legno in cui si effettuava l'operazione. Lavato e impastato per renderlo pi� omogeneo, il burro � pronto per essere diviso in panetti o rotoli e conservato a una temperatura che oscilla fra i 2 e i meno 5 gradi centigradi: per ottenerne un chilo servono fra i 23 e i 25 litri di latte. Il burro era impiegato nell'antichit� non solo per la preparazione dei cibi, ma anche come cosmetico e medicinale. Difficile dire quale sia stato il primo popolo a mangiare burro nella storia: prodotti simili a quello attuale sono descritti in alcuni testi indiani dal 1.500 a.C., ma anche nell'Antico Testamento. Di certo lo consumavano Egizi, Greci e Romani, anche se le civilt� mediterranee lo ritenevano un grasso povero e degno delle tavole dei pastori, preferendogli di norma l'olio d'oliva. Il burro non ha mai conosciuto rivali, invece, nell'Europa settentrionale, dove gli ulivi non crescevano ed era pi� facile trovare tutto l'anno una temperatura inferiore ai 15 gradi, perfetta per la burrificazione. Nel "Libro de arte Coquinaria" del 1464, Mastro Martino de' Rossi illustrava in molte ricette l'uso del burro, che aveva preso piede soprattutto nelle regioni del nord. E sempre dal nord arrivarono le invenzioni pi� importanti per la fabbricazione del burro: il separatore a forza centrifuga del tedesco Wilhelm Le Feldt (1872) e la scrematrice a marcia continua dello svedese Gustavo De Laval (1878), che trasformarono la produzione di questo grasso animale da famigliare a industriale. Secondo la legge italiana, nel burro da latte vaccino la quantit� di grasso non pu� essere inferiore all'82%, n� l'acqua pu� essere superiore al 18%. Quasi interamente composto di grassi � invece il burro chiarificato, da cui vengono eliminate completamente l'acqua e le proteine; tipi di burro meno grassi sono quelli "alleggeriti" di vacca o quelli ottenuti da latte di pecora o di capra, la cui produzione � poco diffusa in Italia. Il burro di yak � invece un alimento tipico in Tibet e in Nepal, dove si mescola al t� verde per ottenere una bevanda salata e molto grassa adatta per qualsiasi momento della giornata. Altre varianti originali sono il "burro nero", burro sciolto e cotto fino a farlo diventare scuro, con una spruzzata di limone o aceto, e il "burro bianco", una crema spessa che si ottiene tramite un'emulsione a frusta tra il burro tradizionale e l'aceto. Per chi vuole evitare i grassi animali, sono diversi gli alimenti sostitutivi, dal burro di cacao a quello di cocco: un surrogato vegetale molto popolare � la margarina, inventata da un farmacista francese nell'Ottocento proprio per rimpiazzare il burro sulle navi militari. Da allora burro e margarina hanno vissuto un intenso dualismo, fino a che in tempi recenti qualcuno non ha pensato alla "melange", un compromesso che impiega grassi vegetali e animali in parti uguali. Il gusto della tradizione, insomma, con un po' di colesterolo in meno. Una visita ad Arezzo (di Mattia Scarsi, "Bene Insieme" n. 3/17) - Due giorni nella incantevole cittadina toscana alla scoperta delle sue meraviglie e dei suoi dintorni - L'atmosfera, l'accoglienza, la storia, l'arte e la gastronomia: ad Arezzo c'� tutto ci� che uno si aspetta dal meglio di una regione fantastica, come la Toscana, ma senza l'assillante folla di turisti che affligge le sue pi� celebrate citt�. E pensare che siete in una location da premio Oscar! Avete letto bene: "La vita � bella" di Roberto Benigni, vincitore della statuetta nel 1998, venne girato proprio qui! Insomma, come avrete capito, questa cittadina di origine etrusca e romana ha tante storie da raccontarci. Non facciamo i bischeri (come si dice da codeste parti) e dedichiamole la giusta attenzione. Gli antichi costruttori e abitanti di Arezzo hanno lasciato numerose impronte del loro vissuto in tutto il centro storico: dalle strutture di viale Buozzi alle terrecotte dei reperti di via Roma e della zona di S. Croce, dai manufatti in ceramica nera al meraviglioso santuario collocato nell'area di S. Comelio-Castelsecco. Oltre a godere di queste bellezze nel vostro girovagare sarete attirati dal progressivo avvicinarsi del battito del cuore aretino: piazza Grande. Di forma trapezoidale e singolarmente inclinata, oggettivamente � una delle piazze pi� belle d'Italia. Circondata da antiche botteghe ed edifici di epoche differenti che vanno dal Medioevo al Barocco, sul suo lato alto spiccano come denti di una corona le Logge del Vasari. Sulla sinistra la Pieve di Santa Maria e il Palazzo della Fraternit� dei Laici con il bellissimo e ancora funzionante orologio astronomico. Su quello stesso lato trovate anche la splendida fontana pubblica. A destra, il Palazzo Lappoli con il ballatoio in legno e il Palazzo Casatorre dei Cofani con la caratteristica torre. Curiosit�: � proprio questa la piazza de "La vita � bella" da cui Benigni, in sella alla sua bicicletta, si lancia in comici inseguimenti per conquistare la sua "principessa". Piazza Grande � anche la sede della mensile Fiera dell'Antiquariato (ogni primo weekend del mese) e della amatissima Giostra del Saracino (a giugno e settembre), la principale rievocazione storica della citt�. Prendete come riferimento le Logge del Vasari: uscite dalla piazza per entrare nella parte finale di Corso Italia, l'arteria principale del centro storico, la strada che conduce ai principali monumenti turistici e culturali, ricca pure di bei negozi. Incamminandovi in salita verso il Duomo, prima di arrivare potreste fare una pausa letteraria presso la casa di Francesco Petrarca. Il poeta, uno dei padri fondatori della meravigliosa lingua italiana, nacque proprio ad Arezzo, nell'edificio di via dell'Orto, che, se avete seguito le nostre indicazioni, ora si trova di fronte a voi. Il palazzo non � pi� quello originale del Basso Medioevo, ma � stato riedificato nel '500. Attualmente la casa � sede della prestigiosa Accademia Petrarca di Lettere, Arti e Scienze. Al suo interno si conserva una ricca biblioteca dove si trovano preziose edizioni antiquarie. La casa dell'autore del "Canzoniere" � visitabile sabato, domenica e festivi dalle 10,30 alle 17,30: l'ingresso costa fra i 3 e i 4 euro (fino a 6 anni gratuito). Proseguendo sulla destra eccovi arrivati al Duomo che vi si pone davanti come un grandioso edificio costruito in pietra arenaria nello spazio che una volta era quello dell'Acropoli cittadina. Lo stile � quello gotico, con la sua mole verticale e imponente che rende la Cattedrale visibile da ogni parte della cittadina. Entrate in silenzio come si addice a ogni luogo sacro e avvicinatevi all'altare: sopra vi spicca l'Arca di San Donato, una raffinata opera marmorea trecentesca realizzata da vari artisti aretini, senesi e fiorentini e dedicata al Santo Patrono della citt�. Davvero stupende sono le vetrate istoriate del Marcillat, che decorano di luce le superfici che abbracciano. Tra le altre opere d'arte qui conservate, dovete non tralasciare la "Maddalena" di Piero della Francesca. La costruzione del Duomo � stata una delle pi� travagliate del Medioevo: pensate che inizi� nel XIII secolo, per essere conclusa soltanto nel XVI. A fianco della piazza del Duomo, si apre piazza della Libert�, dominata dal medievale Palazzo dei Priori, sede del Comune di Arezzo. Certo che sar� il saliscendi, sar� lo stare a lungo all'aria aperta, magari a quest'ora iniziate ad avere un certo appetito: in Toscana si sa che si pu� stare davvero tranquilli ed Arezzo non fa eccezione: sono davvero tanti i ristorantini consigliabili. Ci limitiamo a darvi due opzioni a seconda del budget che volete investire sul pranzo: opzione 1, budget medio alto - ristorante Logge Vasari in piazza Grande, una location palesemente suggestiva con un'ottima cucina di piatti interamente fatti in casa (dolci e cioccolatini compresi). Opzione 2, budget medio basso - Antica Osteria L'Agania, in via Mazzini (traversa vicina di piazza Grande) per una dimensione pi� ruspante, seppur legatissima alla tradizione aretina dall'antipasto al dessert. Dopo un bel pranzetto, lasciate piazza della Libert�, scendendo lungo via Cesalpino fino ad arrivare a piazza San Francesco. Proprio qui, nell'omonima Basilica, viene custodito un grande tesoro pittorico: i meravigliosi affreschi di Piero della Francesca, posti su tre livelli sulle pareti laterali e sul fondo. Gustatevi ogni dettaglio: in alto sono rappresentate delle scene all'aperto, nel centro scene di corte e in basso scene di battaglia. Il tema del ciclo � tratto dalla Leggenda Aurea del ligure Jacopo da Varagine (Varazze in antichit�). Che siate cultori d'arte, appassionati, studiosi o neofiti, con certe eccellenze di livello mondiale "bisogna fare i conti". Non dimenticate di prenotare un posto di fronte alla storia dell'arte e dell'uomo: l'ingresso costa fra i 5 e gli 8 euro. Come detto all'inizio, Arezzo ha la sua culla in epoca etrusca e romana: la seconda parte del pomeriggio possiamo dedicarla a scoprire le meraviglie delle origini. Simbolo indiscusso del periodo romano � l'Anfiteatro, costruito nel I secolo d.C. e che, con i suoi due ordini di gradinate, si pensava potesse contenere circa 8000 persone. L'Anfiteatro, situato nella zona meridionale della citt�, � facilmente raggiungibile tramite gli accessi di via Crispi e via Margaritone. Nonostante l'abbandono e i saccheggi subiti nel corso del tempo, non avrete difficolt� a distinguere la platea e parte dei portici dove gli spettatori passeggiavano. Sulla parte meridionale dell'emiciclo nel Medioevo venne costruito il Monastero di San Bernardo oggi sede del Museo Archeologico Gaio Cilnio Mecenate, luogo ideale per passare dall'epoca romana a quella etrusca. Qui comincerete un viaggio in profondit� nella cultura e nella storia di una civilt� di primo livello come indicano interessanti reperti quali l'Anfora di Meidias, numerosi busti scolpiti nella pietra e una sfavillante esposizione di arte e gioielleria etrusca (e romana). Il Museo Archeologico � visitabile tutti i giorni dalle 8:30 alle 19:30 al costo di 6 euro, 3 euro il ridotto. La prima domenica di ogni mese, entrata libera. Da buoni toscani anche gli aretini amano godersi appieno i piaceri della vita, sia di giorno che di notte: specialmente nei weekend, ad Arezzo non mancano le occasioni di divertimento soprattutto nei locali del centro storico e in zone limitrofe come l'Urban Caf� e il Dolce Verde. Se cercate la vera movida aretina la trovate in piazza Monaco, via Roma e via Crispi, oltre che tutt'intorno a piazza Grande. Per il secondo giorno pensiamo di farvi conoscere qualche gioiello della provincia aretina: prima di lasciare Arezzo per� dedicate qualche ora allo shopping. Tutto il suo centro storico presenta piazze e stradine piene di botteghe artigiane che vendono prodotti tipici e souvenir e numerose enoteche dove poter acquistare i pregiati vini delle colline toscane. La "via della seta" aretina (con le dovute proporzioni) pu� essere Corso Italia, la lunga strada che passa attraverso il centro storico e che, partendo da Porta Santo Spirito, arriva quasi in cima al colle di San Donato. Qui potete davvero sbizzarrirvi: abbigliamento e gioiellerie, antiquariato e articoli in pelle, negozi di giocattoli e ceramiche di Val di Chiana. A proposito di Val di Chiana, non potete perdervi la magnifica Cortona, gioiello dal valore inestimabile a meno di 30 km da Arezzo. La provincia aretina � ricca di perle "nascoste" ma Cortona merita un capitolo a parte perch� � una delle cittadine medievali meglio conservate dell'Italia centrale da cui � possibile ammirare la stupenda Val di Chiana. Anch'essa di origini etrusche, come dimostrano i vari resti archeologici visitabili (Museo Etrusco MAEC), ha un centro storico a dir poco incantevole. Non fatevi scoraggiare: i saliscendi a volte vi faranno sentire un po' di fatica, ma solo camminando si pu� cogliere pienamente l'atmosfera di un posto come questo. Passeggiate per le pittoresche vie, sedetevi sotto un pezzo di storia gustando un buon vino; andate a mangiare una bruschetta, una schiacciatina o una zuppa nelle piccole ma ordinate trattorie a conduzione familiare. Nella centralissima piazza della Repubblica sul lato est c'� il Palazzo Comunale: ammirate la sua caratteristica torre con l'orologio, simbolo di Cortona. Il palazzo pi� alto della piazza � quello del Capitano del Popolo, mentre spostandovi nella comunicante piazza Signorelli, ecco palazzo Casali dove trovate il sopracitato Museo Etrusco MAEC. Nella parte meridionale di Cortona si trova piazza Garibaldi che merita una visita soprattutto per l'obelisco dedicato a Giuseppe Garibaldi. State pronti a scattare qualche foto: il panorama � davvero generoso, tanto da farvi scorgere, in caso di giornata limpida, la splendida vetta del Monte Amiata. A Cortona c'� un luogo mistico molto importante per i cattolici e per i devoti di San Francesco: il convento de "Le Celle", uno dei primi insediamenti francescani scelto e voluto dallo stesso Santo di Assisi mentre si trovava a predicare presso Cortona nel 1211. Il convento � sempre aperto dalle ore 7 alle 19. Un'altra idea pu� essere quella di visitare qualcuna delle vallate della provincia aretina. Raggiungete Casentino per esempio: l� dove nasce l'Arno, visitate il bel borgo di Poppi, dominato dal Castello dei Conti Guidi, e se siete amanti della natura, programmate una camminata nello splendido Parco delle Foreste Casentinesi, una riserva naturale ricchissima di fauna, flora, paesaggi meravigliosi. In quest'area non mancano i punti di interesse artistico e soprattutto religioso, quali la Pieve di Romena, una bella chiesa romanica, e il Santuario della Verna, fra i luoghi di preghiera prediletti da San Francesco, oggi sede di un convento francescano che vi consigliamo di non tralasciare. In alternativa anche la Valdambra, piccola e boscosa valle che dal letto del fiume Arno conduce a Siena, ha boschi e grandiosi panorami in quantit�. L'itinerario tra i colli e i borghi d'Ambra � una morbida cerniera che unisce la provincia aretina a quella senese. Potete partire da Bucine, capoluogo della valle per arrivare in tutta calma alla Torre di Galatrona, ci� che rimane di uno dei pi� importanti castelli della Valdambra. Noi vi suggeriamo di raggiungere la Torre a piedi: se non ve la sentite di fare tutto il tragitto, potete arrivare con un mezzo fino allo spiazzo. Da l� in poi per� non si pu� pi� barare: almeno l'ultimo tratto di strada va percorso a piedi. Ha un altro sapore vedere spuntare la Torre mentre si cammina nella strada circondata dal bosco: rivendicate il diritto alla lentezza. Passeggiate, godetevi il silenzio, ogni profumo, la frescura del bosco, i colori delle ginestre, la maestosit� delle querce. Arrivati ai piedi della Torre Galatrona, si pu� (si "deve") salire fino in cima, che dai suoi 25 metri di altezza, regala un'istantanea a 360� sulla Valdambra, il Valdarno e i monti del Chianti. La Torre � visitabile da Aprile ad Ottobre: tutti i sabati dalle 15 alle 19, le domeniche anche dalle 10 alle 12. La tavola aretina Arezzo e tutta la sua provincia sono uno splendido profumato omaggio ai sapori antichi della grande cucina povera italiana: dai crostini con fegatini e affettati del Casentino ai primi piatti come l'acquacotta (pane, uova, formaggio, funghi), le pappardelle con la lepre o al sugo di ocio o nana (oca o anatra), gli gnocchi con la ricotta e spinaci o i pici con vari condimenti. Regina dei secondi � la carne di Chianina: in alternativa un'ampia scelta di formaggi tra cui l'abbucciato fiorentino. Il dolce tipico di queste parti � il Gatt� aretino, tronchetto di Pan di Spagna bagnato con goloso cioccolato. La F1 delle auto robot (di Roberto Graziosi, "Focus" n. 298/17) - Novit� in pista: presto avremo una Formula Uno senza piloti: siamo andati a vedere le prime prove - Gran Premio di Montecarlo del 2030, ultimo giro: le due vetture che guidano la classifica sbucano quasi appaiate dal tunnel, sfrecciando a circa 320 chilometri orari, prima di darsi battaglia nelle ultime curve con frenate al limite e sorpassi mozzafiato. Il resto del gruppo � leggermente attardato. Al passaggio delle vetture si sente solo il boato del pubblico: del resto i motori (potentissimi propulsori elettrici di ultima generazione) emettono poco pi� di un sibilo metallico. Dopo la bandiera a scacchi, i bolidi rientrano ai box e sul podio, per la premiazione, vanno gli ingegneri dei team. Perch� non i piloti, come accade adesso, nel lontano... 2017? Semplicemente perch� di piloti in carne e ossa, ormai, non ce ne sono pi�. Sono stati sostituiti dai supercomputer di bordo: sono loro, ora, che scelgono traiettorie, dosano frenate e accelerazioni... Sembrano scene tratte da un film di fantascienza? Potrebbe essere. Eppure un'anteprima di questi gran premi tra bolidi senza piloti l'abbiamo potuta vedere dal vero, qualche settimana fa, a Berlino. Sul circuito ricavato dalla pista del vecchio aeroporto Tempelhof, infatti, tra una prova e l'altra delle vetture di Formula E (il campionato del mondo tra auto elettriche), ha fatto capolino il prototipo di una monoposto a guida autonoma, chiamata Robocar. Un progetto messo a punto da una societ� londinese (Kinetik, che finanzia e incentiva tecnologie innovative) con un obiettivo ben preciso: creare un campionato del mondo per auto senza pilota, da disputare negli stessi circuiti dove si danno battaglia le monoposto elettriche guidate dagli umani. A quale scopo? Per offrire un'opportunit� in pi� agli appassionati di sport motoristici, certo, ma soprattutto per un altro motivo: "Il bello delle gare automobilistiche di una volta", spiega Denis Sverdlov, numero uno di Kinetik, "� che le auto da corsa fornivano spunti per arrivare a innovazioni da applicare alle macchine normali. Oggi invece il collegamento si � perso e dalle competizioni non impariamo pi� niente: i motori, l'aerodinamica e tutto il resto restano confinati in mondi distinti. Invece da una Formula Uno a guida autonoma", sottolinea Sverdlov, "potremo trarre tante lezioni che ci serviranno per rendere pi� sicure ed efficienti le auto robotiche che, di qui a poco, vedremo girare sulle strade delle nostre citt�". L'idea di un Mondiale per macchine a guida autonoma nasce circa tre anni fa: il campionato si chiamer� Roborace, vedr� coinvolte 10 squadre, ciascuna con due vetture, e far� da contorno ai gran premi di Formula E. Come saranno fatte le auto in gara? Innazitutto, saranno tutte uguali: ogni scuderia avr� infatti a disposizione due esemplari di Robocar, la monoposto robot che Kinetik sta sperimentando proprio in questi mesi e che a bordo ha il meglio in fatto di tecnologia applicata alle auto: videocamere, sensori, sistemi lidar e radar che scansionano lo spazio attorno alla vettura e avvertono la presenza di ostacoli (cordoli, altre macchine ecc.), un supercomputer che analizza i dati provenienti dai vari strumenti e che in un istante sceglie la migliore strategia di guida, motori elettrici super efficienti... Questo, sotto la carrozzeria. Ma fuori? Che faccia avranno questi bolidi? Su questo punto, in effetti, il collegamento con la fantascienza torna. Perch� a ideare il profilo affusolato della Robocar � stata la mano di Daniel Simon, il designer tedesco che, dopo aver concepito per anni macchine "vere" per Volkswagen e Lamborghini, si � dedicato al cinema e ha realizzato le moto e le auto futuristiche che molti di noi hanno ammirato in Captain America, Tron: Legacy e altre pellicole. Ma al di l� dell'aspetto, la Robocar ha il suo punto di forza nella semplicit�: niente ali, alettoni o altre appendici aerodinamiche, che - come vediamo durante le gare di Formula Uno - al primo urto si rompono, rendendo necessarie riparazioni spesso complicate. Qui il segreto sta nella forma stessa del telaio, che avvolge in quattro piccoli (e robusti) tunnel le zone in corrispondenza delle ruote, assicurando la giusta dose di "deportanza", cio� la forza che tiene la macchina schiacciata a terra. Non sar� sulle questioni aerodinamiche, per�, che si giocher� la sfida, almeno finch� varr� la regola di auto uguali per tutte le squadre (e sar� cos� almeno per le prime stagioni del Mondiale). La competizione vera infatti vedr� protagonisti i programmatori. Il cervello della Robocar � un supercomputer in grado di compiere 24 miliardi di operazioni al secondo (l'equivalente di 150 personal computer di fascia medio-alta che lavorano insieme) al quale gli ingegneri dovranno "insegnare" ad acquisire l'enorme fiume di dati provenienti da sensori e telecamere, a interpretarli e a prendere, in tempo reale, una decisione: per esempio, meglio tentare il sorpasso dell'auto che precede o frenare per evitare di tamponarla? Partire a tutto gas per tentare la fuga o mantenere una velocit� che non sprema la batteria? Il compito dei programmatori del team sar� proprio questo: costruire algoritmi non pi� "fissi", come quelli impiegati nelle prime sperimentazioni di auto senza pilota, ma che siano in grado di modificarsi sulla base dell'esperienza, acquisendo la capacit� di prendere una decisione autonoma. Il risultato � che ogni auto avr� un pilota elettronico con un suo specifico stile di guida, che davanti a una certa situazione nessuno sar� in grado di prevedere, con certezza, cosa decider� di fare, proprio come accade oggi con gli assi del volante in carne e ossa. � un nuovo approccio, questo, seguito anche dalle case automobilistiche (come Audi, Daimler, Volvo...) che attualmente stanno conducendo i loro test nel campo della guida autonoma. Finora i tecnici di Kinetik hanno svolto una prima serie di prove sfruttando un'auto sportiva tradizionale, equipaggiata in tutto e per tutto come la Robocar definitiva ma con, in pi�, il classico abitacolo: questo perch�, soprattutto nei primi test (parliamo dell'inizio del 2016), era necessaria la presenza di un pilota umano che, innanzitutto, facesse da modello per il computer, e che, successivamente, potesse osservare da vicino le reazioni del computer stesso quando quest'ultimo iniziava a prendere il controllo della vettura. Dopo i primi giri a guida alternata condotti sui circuiti privati, la Devbot (cos� si chiama l'antenata della Robocar) ha fatto, negli ultimi mesi, il debutto in pubblico sulle piste della Formula E: a Marrakesh (Marocco), nel novembre 2016, ha inanellato una dozzina di giri di pista incrementando la velocit� in modo impressionante, man mano che il computer imparava la forma della pista; lo scorso febbraio, sul circuito cittadino di Buenos Aires, due Devbot gemelle si sono sfidate (prima volta nella storia) in un mini gran premio tra auto robotiche, interagendo tra loro ad alta velocit� (hanno toccato i 190 km/h), prendendo decisioni autonome e mettendo in pratica le azioni che ciascuna riteneva necessarie. Il risultato finale? Nel tentativo di ridurre il distacco dalla Devbot 1, la Devbot 2 si � schiantata contro un muretto, in curva, in barba alle perplessit� di chi sostiene che, con un cervello elettronico perfetto e uguale per tutte le auto, le gare saranno necessariamente monotone e dall'esito prevedibile. Successivamente il bagaglio di informazioni collezionato con le Devbot � stato trasferito sulla Robocar vera e propria che ha iniziato a farsi vedere in pista a partire dalla tappa di Parigi (maggio scorso) e di Berlino (a giugno, dove l'abbiamo vista scalpitare ai box, perch� per imprecisati problemi tecnici non ha potuto girare nel circuito). Per ora l'idea di vedere schierate le Robocar sulla griglia di partenza, in attesa del semaforo verde (il programma iniziale prevedeva di partire col primo campionato proprio quest'anno), � quantomeno prematura. In parte perch� la fase di apprendimento si sta dimostrando pi� lunga e impegnativa del previsto, in parte perch� la risposta delle scuderie tradizionali non � ancora quella che gli organizzatori speravano. Nel frattempo il team di Robocar ha in programma ulteriori test nei prossimi mesi, in occasione delle tappe previste dal calendario del campionato di Formula E. Per un Mondiale tra vetture automatiche, probabilmente ci sar� da aspettare ancora un po' o, chiss�, magari succeder� qualcosa di diverso. Perch�, provate a pensarci: il giorno in cui le vetture robotiche dovessero diventare competitive come quelle tradizionali guidate dagli assi del volante, non avreste la curiosit� di schierarle insieme sulla stessa pista e vedere chi vince?