Settembre 2018 n. 9 Anno XLVIII MINIMONDO Periodico mensile per i giovani Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registrazione 25-11-1971 n. 202 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Massimiliano Cattani Antonietta Fiore Luigia Ricciardone Copia in omaggio Rivista realizzata anche grazie al contributo annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri per un importo pari ad euro 23.084,48 e del MiBACT per un importo pari ad euro 4.522.099. Indice Lavoriamo gratis Attenti al bugiardo! La storia dello zio Sam Zucchero amaro Susine e prugne, il dolce raddoppio del gusto Tre giorni nel nord-est Enrico Giaretta: la musica in volo Lavoriamo gratis (di Vito Tartamella, "Focus" n. 308/18) - Dai self service ai moduli sul Web, la nostra vita si � riempita di impegni non retribuiti. Ecco quali sono. E come possiamo difenderci - Giorgio inizia la giornata lavorando in banca: compila i moduli F24 per le tasse, versa gli assegni, monitora come vanno gli investimenti. Poi va a fare il benzinaio in una stazione di servizio: controlla l'olio, pulisce i vetri, fa il pieno. Nel pomeriggio, Giorgio va a fare il commesso in un supermercato: rileva i prezzi con lo scanner, imbusta la spesa, calcola il conto. E la sera, quando torna a casa, si mette al computer per rispondere ai quesiti degli utenti, dando consigli tecnici sul sito di un produttore di smartphone. Giorgio non � uno dei tanti precari che, per vivere, deve districarsi in una miriade di lavoretti. Tanto pi� che non gli vengono pagati: sono le mansioni che svolge ogni giorno, per risparmiare (il self service dal benzinaio o al supermercato), per passione (forum sul Web), o perch� non c'� altra scelta (le operazioni in banca). Giorgio, insomma, � tutti noi. Nelle nostre giornate, infatti, si sono insinuate tante mansioni che non abbiamo mai contrattato: non sono attivit� che facciamo per generosit�, ma per un tornaconto, tangibile o meno. Ma fino a che punto sono vantaggiose per noi? Il sociologo statunitense Craig Lambert le ha chiamate "lavoro ombra", titolo del suo libro pubblicato da Baldini & Castoldi. "Questo tipo di lavoro", dice, "� come un drago sputafuoco attivo 24 ore su 24. Nel secolo scorso, l'economista John Maynard Keynes prevedeva che entro il 2028 le persone, grazie ai progressi nell'automazione, avrebbero lavorato solo 3 ore al giorno. Il nostro problema principale, insomma, sarebbe stato come impiegare tanto tempo libero. Invece quell'abbondanza non � mai arrivata: siamo tutti super impegnati. E, complici gli smartphone che vibrano a qualsiasi ora del giorno, i confini fra lavoro e svago spariscono sempre pi�". Ma da dove arriva il lavoro ombra? Come influenza la nostra vita? Possiamo evitare di trasformarci in schiavi inconsapevoli? La principale fonte di questi lavori extra � la tecnologia. Molte innovazioni che nascono per alleggerire le fatiche, spesso ne creano di nuove. Pensiamo a quanto sta accadendo nelle banche: il Web ha velocizzato le operazioni finanziarie; le banche, per�, ne hanno approfittato per tagliare migliaia di impiegati dalle filiali, riversando sui clienti versamenti, bonifici, pagamenti. Risultato: grazie al Web e agli sportelli automatici siamo liberi di svolgere operazioni finanziarie ovunque e a qualunque ora, ma ci ritroviamo con pi� incombenze. "� l'effetto della disintermediazione", osserva Lambert. "La tecnologia sostituisce un anello intermedio della catena, ma spesso le aziende, per risparmiare, riversano una mole di incombenze sugli utenti. Come nei fast food, dove i clienti si servono da soli e sparecchiano i tavoli, o nelle aziende in cui gli impiegati devono inserire le proprie presenze in un software". Un altro effetto collaterale della tecnologia � la svalutazione economica delle mansioni umili, svolte spesso attraverso stage pi� o meno gratuiti, per 10 ore di lavoro al giorno: sono diventati una forma di lavoro-ombra per i giovani (solo nel 2015 li hanno fatti in 948-mila). E non sempre sfociano in impieghi dignitosi. Difficile quantificare quanto un sistema del genere convenga ai cittadini. Di certo, conviene alle aziende: secondo uno studio della Forrester Research, una chiamata al servizio clienti con un operatore in carne e ossa pu� costare a un'azienda fino a 35 dollari, a fronte dei 75 centesimi per una richiesta online. O, se pensiamo al settore turistico, nel 2017 i viaggi che abbiamo vagliato e prenotato sul Web hanno raggiunto in Italia un giro d'affari di 11,2 miliardi di euro: rappresentano il 20% di tutto il settore (dati Osservatorio Innovazione Digitale nel Turismo, Politecnico di Milano). Una cosa � certa: in genere, la disintermediazione fa calare i prezzi. � sempre andata cos�: nel 1948, ad esempio, il petroliere canadese Bill Henderson invent� i primi distributori di benzina self service per offrire tariffe pi� basse rispetto ai concorrenti. Progett� un sistema in grado di trasmettere dalla pompa i dati sul prezzo della benzina e sul numero di galloni erogati, inviandoli a un impiegato seduto in una torretta. Attraverso un tubo pneumatico l'addetto poteva prelevare il denaro dal cliente e dare il resto. La Henderson Thriftway si faceva pagare, al gallone, 3 cent in meno rispetto alle grandi compagnie petrolifere, e cominci� subito ad avere successo. Tanto che i produttori di petrolio iniziarono una gara al ribasso per tenergli testa, arrivando a copiargli l'invenzione. Oggi, per�, ci incoraggiano a svolgere lavori-ombra sul Web anche per un'altra ragione: col nostro comportamento (acquisti, preferenze culturali e politiche), forniamo dati preziosi al marketing. Quando su Facebook mettiamo un "like" a un prodotto, a un video o a una canzone, noi ci esprimiamo; ma in cambio forniamo all'azienda di Mark Zuckerberg informazioni che saranno vendute per bombardarci con pubblicit� mirata per i nostri gusti. Insomma, il nostro "lavoro ombra" pu� rendere ricchi gli altri: si stima che ogni utente frutti a Facebook circa 250 dollari l'anno. E per rendere tanto bisogna faticare: i siti per cuori solitari, per esempio, per mettervi in contatto con persone affini, chiedono di rispondere anche a 300 domande (e quelle risposte sono rivendute ad aziende di marketing). Uno scaricabarile globale, quindi. Anche nei rapporti interpersonali: mentre in passato si investiva del tempo per scegliere il regalo pi� adatto a un amico, oggi con le gift card si scarica questo lavoro su chi riceve il dono: sar� compito suo informarsi e contattare il venditore. Quali effetti produce il lavoro-ombra? Innanzitutto, livella le differenze sociali: quando nel 1916 l'imprenditore Clarence Saunders apr� un emporio di alimentari, Piggly Wiggly, non soltanto cancell� i commessi che, fino ad allora, davano le merci ai clienti, ma anche una serie di pregiudizi. Nel suo emporio gli acquirenti prendevano le merci direttamente dagli scaffali: cos� Saunders limitava all'osso le spese per il personale (bastavano solo i cassieri), e i clienti potevano passare quanto tempo volevano fra gli articoli esposti. E cambi� le abitudini: all'inizio, i clienti delle classi alte trovavano il selfservice degradante, perch� li costringeva a lavorare al posto degli inservienti. Il lavoro-ombra, poi, aumenta la democrazia, facendo cadere le barriere fra gli esperti e gli inesperti. Oggi, una larga fetta dello scibile umano � disponibile gratis per chiunque: pensiamo a Wikipedia, o ai numerosi moduli fai-da-te che permettono di risparmiare tempo e denaro quasi in ogni campo, dalla separazione matrimoniale alla richiesta di visto per gli Usa. Oggi, infatti, il sapere � molto meno elitario: le caste chiuse dei super esperti hanno vita sempre pi� difficile perch� in Rete le informazioni viaggiano senza limiti. Ma questa democratizzazione presenta rischi notevoli, ad esempio in medicina. "Oggi i pazienti conoscono le logiche di profitto che possono influenzare la scelta di una cura piuttosto che di un'altra: cos�, mettere in discussione l'autorit� altrui � diventato una moda", osserva Lambert. "Medico e paziente sono su un piano di parit�: per evitare cause legali, medici e ospedali demandano le scelte sulla terapia ai pazienti stessi. E i pazienti arrivano al punto di assumersi prerogative un tempo riservate ai medici. Un amico dottore nel suo studio ha incorniciato la cartolina di un paziente che dice: "Ho gi� trovato la diagnosi su Internet. Son venuto da lei tanto per avere un secondo parere". Ma la medicina fai-da-te produce molto spesso gravi danni": basti pensare ai guai causati dalle contestazioni (infondate) sui vaccini. Le ricadute negative del lavoro ombra non finiscono qui. La democrazia del Web, infatti, vale solo per le persone benestanti e istruite: gli altri, cio� gli anziani, i poveri e i meno colti, sono ancora pi� emarginati da questi strumenti, a cui non possono accedere. E poi l'automazione ci fa diventare sempre pi� intolleranti verso gli errori e la lentezza degli operatori umani, ma non � sempre un vantaggio: in aeroporto posso fare un check-in automatico, ma se la mia valigia pesa 100 grammi in pi� del consentito, l'algoritmo mi fa pagare un extra, mentre un'impiegata sarebbe pi� elastica e comprensiva. Ma il problema pi� importante delle tecnologie � l'atomizzazione della societ�. Vedendo i film su Netflix invece che al cinema, diventiamo sempre pi� isolati. "Cos�", profetizza Lambert, "si creano le premesse per una societ� dominata dalla morale dell'"ognun per s�". Le scelte diventano improntate sull'egocentrismo, senza regole morali. Creando terreno fertile per i comportamenti sociopatici: bullismo, concentrazione delle ricchezze in poche mani, omicidi di massa". Insomma, l'erosione del nostro tempo libero sarebbe il problema minore. Che fare? Come uscire dal tunnel dei lavori ombra? "Ormai non si pu� prescindere da questo meccanismo, perch� l'economia ne ha bisogno", osserva Vanni Codeluppi, docente di sociologia dei processi culturali all'Universit� Iulm di Milano. "Se non si scaricassero diverse incombenze sui cittadini, il sistema non starebbe in piedi per i costi eccessivi". E questo vale non solo per le aziende ma anche per gli Stati: infatti ci accolliamo le manutenzioni alle scuole che frequentano i nostri figli. O perfino il controllo del territorio: la polizia ha lanciato un'app, YouPol, con cui i cittadini possono geosegnalare episodi di bullismo o spaccio nel proprio quartiere. "� la "wikieconomia", basata sulla collaborazione degli utenti", aggiunge Codeluppi. "Molte aziende (Lego, Honda, Philips) per stare al passo con l'innovazione chiesta dai mercati, ricorrono alla creativit� dei clienti. D'altronde, gi� da tempo collaboriamo a fare pubblicit� alle aziende esibendo i loro marchi sui vestiti". Come difendere il nostro tempo? "Il primo passo", risponde Domenico De Masi, sociologo alla Sapienza di Roma, "� essere consapevoli dei lavori-ombra, per valutare se sono davvero necessari e convenienti. Ma non � facile: Ikea non ci dice quanto risparmia grazie al nostro lavoro di montatori di mobili, quindi non possiamo valutare se i suoi sconti siano adeguati. E comunque abbiamo un condizionamento culturale: consideriamo il lavoro sacro, accollarci nuovi impegni � considerato pi� meritorio che scansarli. E spesso non sappiamo come usare il tempo libero: ci angoscia l'idea di non fare nulla di diverso dal produrre o comprare. Cos� preferiamo restare intrappolati negli impegni". Attenti al bugiardo! (di Massimo Polidoro, "Focus" n. 311/18) - L'abilit� di dire menzogne e quella di smascherarle si sono evolute insieme: cos�, nonostante gli sforzi degli scienziati, un metodo sicuro al 100% ancora non esiste - A nessuno piace ammettere di essere stato, almeno a volte, sprovveduto o credulone. Eppure, decine di ricerche scientifiche dimostrano esattamente questo, cio� quanto sia difficile, per tutti, capire quando ci stanno mentendo. Lo psicologo Aldert Vrij, dell'Universit� di Portsmouth, ha esaminato 39 di questi studi, scoprendo che in media le persone riconoscono una bugia nel 56,6% dei casi: vale a dire poco pi� del 50% che otterrebbero tirando a indovinare. Questo sostanziale pareggio tra "bugiardi" e "smascheratori" (o meglio: tra la capacit� di mentire e quella di scoprirlo) ha probabilmente una ragione evolutiva. La questione delle menzogne � infatti cruciale nella storia della nostra specie: gli uomini (come i primati) ingannano per massimizzare le proprie possibilit� di riproduzione e di sopravvivenza. Per gli stessi motivi, per�, devono anche sapere distinguere tra chi mente e chi non lo fa. L'abilit� di ingannare e quella di riconoscere le menzogne si sarebbero quindi evolute insieme, in una competizione tra strategie che spiega perch� gli smascheratori abbiano un vantaggio cos� poco significativo sui bugiardi. Eppure, ancora oggi si pensa che chi mente semini sempre indizi di nervosismo (aumento del battito cardiaco, sudorazione ecc.), capaci di svelare le intenzioni truffaldine... � una convinzione antica: all'epoca dell'Inquisizione, per esempio, l'accusato doveva leccare per tre volte un attizzatoio riscaldato sul fuoco. L'idea era che gli innocenti avrebbero avuto saliva sufficiente per impedire l'ustione, mentre ai colpevoli l'ansia avrebbe asciugato la bocca, procurando loro la giusta punizione. Non funzionava, e non funzionerebbe neanche oggi. Tentando di misurare il nervosismo dei mentitori, lo psicologo Richard Gramzow, della Northeastern University di Boston, ha intervistato un gruppo di studenti sul loro esito in alcuni esami (che in realt� gi� conosceva) dopo averli collegati a un'apparecchiatura che misurava la frequenza cardiaca. Quasi la met� degli esaminati esagerava i propri successi, ma i dati sull'attivit� del cuore dimostravano che i bugiardi non erano pi� stressati degli onesti. Anzi, erano leggermente pi� rilassati. Un'altra convinzione diffusa � che chi mente tenda a lanciare occhiate verso l'alto e a destra, mentre chi � sincero guardi verso l'alto a sinistra. Questo perch� si pensa che quando recuperiamo un ricordo guardiamo verso sinistra, e dunque siamo sinceri, mentre quando inventiamo qualcosa guardiamo verso destra. Lo psicologo Richard Wiseman della University of Hertfordshire ha messo alla prova questa affermazione, senza trovare per� nessuna correlazione tra la direzione dello sguardo delle persone e le bugie o le verit� che esse dicevano. Che dire allora delle tecniche per smascherare i bugiardi scrutandone il viso, come quelle rese celebri dalla serie televisiva Lie to me? Paul Ekman, lo psicologo che ha ispirato il telefilm, sostiene di riuscire a individuare almeno nel 70% dei casi le microespressioni del volto, vale a dire i piccolissimi movimenti dei muscoli facciali che non sarebbe possibile controllare quando si dissimula un'emozione. La sua societ� � stata impiegata nella creazione di un software capace di riconoscere negli aeroporti gli individui potenzialmente pericolosi. I risultati? Finora, il sistema non ha permesso di individuare nemmeno una persona realmente coinvolta in attivit� terroristiche, mentre sembra incentivare il fermo di persone appartenenti a minoranze etniche. Per questo ne � stata chiesta la sospensione dal Dipartimento della sicurezza nazionale degli Stati Uniti. E quindi, non esiste proprio modo per riconoscere le bugie? In realt� qualche indicazione c'�. La prima, suggerita da uno studio del 2014 dell'Universit� della California a Berkeley, � quella di affidarsi all'intuito. Nei risultati degli esperimenti degli studiosi statunitensi, infatti, il ragionamento sul comportamento altrui pu� allontanare dalla verit�, mentre strategie di decifrazione indirette o addirittura inconsce si sono rivelate pi� efficaci nello smascherare i bugiardi. Una conclusione inaspettata, per� coerente con il risultato di un'altra curiosa ricerca del 2016, svolta dall'Istituto di Tecnologia dell'Universit� dell'Ontario e dall'Universit� di Amsterdam. A un gruppo di volontari � stato chiesto di capire se le affermazioni fatte da una donna in una serie di filmati fossero veritiere oppure no. In un terzo dei video, la donna indossava un velo che lasciava scoperti solo gli occhi, in un altro terzo il hijab, che nasconde solo i capelli, nell'ultimo non aveva alcun velo. Sorprendentemente, i volontari si sono rivelati molto pi� abili nello scoprire le bugie quando la donna indossava uno dei due veli. Come dire che, con meno informazioni, un ipotetico "rivelatore di bugie" nel nostro cervello funzionerebbe meglio. Un altro metodo parte dalla considerazione che, anche se non necessariamente � causa di stress, mentire richiede un notevole sforzo mentale. Occorre riflettere su ci� che gli altri sanno gi� o potrebbero scoprire, valutare ci� che � plausibile e combacia con quanto detto in precedenza e inoltre, in generale, chi mente deve fare un doppio lavoro di ragionamento: non solo deve creare una menzogna ma anche nascondere una verit�. Di conseguenza, il bugiardo manifester� comportamenti associati alla necessit� di riflettere bene e ponderare ogni cosa che dice. Attenzione per�: non sempre funziona. Come sostiene Luigi Anolli, docente di Psicologia della comunicazione e Psicologia culturale all'Universit� Cattolica di Milano e autore di Mentire (il Mulino), gli indizi non verbali che accompagnano le bugie sono numerosi e di diverso tipo. Inoltre sono personali: insomma, ognuno mente a modo suo. Non � consigliabile quindi affidarsi a teorie stereotipate, perch� si rischia di sbagliare ancora di pi�. Riassumendo: ognuno di noi pu� lasciare trasparire degli indizi di bugia, ma sono diversi per ciascuno. Bisogna dunque prima osservare attentamente le persone per individuare i comportamenti non verbali che mettono in atto quando mentono, rispetto a quelli che manifestano quando dicono la verit�... e poi fare il confronto. Un'alternativa per� c'�. L'esperto di comunicazione Jeff Hancock della Cornell University ha chiesto ad alcuni studenti di annotare per una settimana tutte le conversazioni faccia a faccia, le telefonate, gli sms e le email, e poi di passare in rassegna la lista indicando quali contenessero una menzogna. Risultato: i partecipanti avevano mentito nel 14% delle email, nel 21% degli sms, nel 27% delle conversazioni faccia a faccia e nel 37% delle telefonate. Secondo Hancock le persone sono riluttanti a mentire nelle email perch� queste ultime rimangono memorizzate, perci� le parole potrebbero ritorcersi contro il mittente. "Cos�, se volete ridurre al minimo il rischio di essere presi per i fondelli", osserva Wiseman, "chiedete di scrivervi un'email". Oppure, si potrebbe adottare un trucco suggerito da Aldert Vrij. Si tratta di chiedere al presunto bugiardo di raccontare la medesima storia al contrario, partendo cio� dalla fine e specificando quanti pi� dettagli possibile. Oppure di provare a disegnare su un foglio la scena di cui ha appena parlato, tracciando tutti i particolari indicati. Difficilmente chi mente prepara una versione a rovescio della bugia e di solito non presta attenzione ai dettagli spaziali, che quindi in un disegno risulterebbero imprecisi. Cos� aumentano le incongruenze e i nodi vengono al pettine. La storia dello zio Sam (di Gian Domenico Iachini, "Focus Storia" n. 142/18) - All'inizio era solo un nome, scelto per caso. Poi le guerre lo trasformarono nel simbolo degli Usa - Tutti ricordano l'immagine dello Zio Sam, il dito puntato verso chi guarda mentre intima di arruolarsi nell'esercito. Il poster I Want You for U.S. Army, stampato in occasione della Prima guerra mondiale, � il pi� celebre manifesto per il reclutamento militare di tutti i tempi. Eppure il suo protagonista, tra i personaggi pi� famosi e longevi della storia degli Stati Uniti, non era certo nuovo: aveva gi� oltre un secolo di vita alle spalle. Lo Zio Sam nacque in maniera fortuita a pochi mesi dall'inizio della Guerra del 1812 con il Regno Unito, oggi una "guerra dimenticata" ma che allora non manc� di infiammare il patriottismo degli americani. Con i militari impegnati sul fronte canadese e accampati poco a sud di Troy, un villaggio nel Nord dello Stato di New York, il contractor dell'esercito Elbert Anderson si era accordato con la vicina impresa di famiglia di Samuel Wilson per la fornitura di alcune migliaia di barili contenenti carne sotto sale. Un giorno un lavoratore della fattoria cominci� a chiedere come mai i barili fossero marchiati con le iniziali "E.A." e "U.S.". Al tempo le iniziali "U.S." non erano ancora entrate nell'uso comune come abbreviazione di "United States", il governo federale degli Stati Uniti che ne era formalmente il destinatario. Perci� gli fu risposto che si riferivano a Elbert Anderson, il contractor dell'esercito, e a Uncle Sam, il signor Wilson che lo riforniva. Il signor Wilson era infatti un uomo benvoluto e conosciuto lungo la valle del fiume Hudson semplicemente come Uncle Sam, invece che con il suo vero nome. La storia si diffuse tra i militari dell'accampamento non lontano, ma i soldati cominciarono a pensare a Uncle Sam come a qualcuno che decideva anche della loro sorte, oltre che dei rifornimenti. Grazie ai militari, lo Zio Sam fin� presto sulle pagine dei giornali locali, ma quel nome non era pi� messo in relazione con il signor Wilson: era diventato un modo nuovo con cui chiamare il Paese. Nello Stato del Vermont, il Bennington News-Letter del 23 dicembre del 1812 riport� una lettera di lamentele di una recluta che usava il nome di Uncle Sam per indicare il governo. L'anno dopo, il Post della stessa Troy e in seguito altri giornali del Nord-est fecero altrettanto criticando l'andamento della guerra. Ma solo nel 1830 la New York Gazette scriveva per la prima volta delle probabili origini del soprannome, che nel frattempo si era diffuso negli Stati Uniti. In America al tempo c'erano gi� personaggi maschili, come Yankee Doodle e Brother Jonathan, che in modo simile davano un'espressione popolare alla vitalit� del carattere nazionale. Brother Jonathan, di frequente presente sulla stampa politica illustrata, fu il pi� diretto precursore dell'immagine dello Zio Sam. Per la prima comparsa di Uncle Sam tuttavia, rimasto per anni soltanto un nome, si dovette aspettare la litografia del 1832 dal titolo Uncle Sam in Danger, in cui veniva attaccato il presidente Andrew Jackson per la sua battaglia contro la Banca nazionale. Lo Zio Sam, seduto al centro della scena con un volto stanco ed emaciato, del tutto privo di barba, era circondato dal presidente e dai suoi falsi dottori impegnati a cavargli il sangue. Indossava un'ampia veste a strisce che gli arrivava ai piedi, un foulard scuro pieno di stelle e un copricapo che ricordava il berretto della libert� in auge durante la rivoluzione. A introdurre cambiamenti decisivi fu un'illustrazione satirica del 1840 sempre sul tema della Banca nazionale. Non solo lo Zio Sam sembrava tornato in buona forma, ma soprattutto inaugurava il cappello a cilindro, la giacca lunga con le code e i pantaloni a righe, il vestito insomma con cui si sarebbe fatto conoscere dal mondo intero. Fu la Guerra Civile a diffondere l'immagine dello Zio Sam che conosciamo oggi, quando fu arruolato dalla causa unionista contro la ribellione del Sud. Con il suo retaggio di uomo del Nord e del governo federale, fin� per fondersi con la longilinea figura dello stesso presidente Abraham Lincoln, soprattutto dopo che quest'ultimo si fece crescere la barba, la prima portata da un inquilino della Casa Bianca. Nel dopoguerra, grazie all'artista Thomas Nast, il celebre cartoonist dell'influente settimanale repubblicano Harper's Weekly di New York, lo Zio Sam era ormai un uomo arrivato, che aveva trovato finalmente la sua immagine stabile e definitiva. Fisicamente era asciutto e slanciato, aveva l'aria intraprendente ma al contempo saggia, suggerita dal pizzetto e dai capelli bianchi. Era entrato di fatto nel bagaglio simbolico a cui attingevano i disegnatori politici della carta stampata, alla pari di personaggi come John Bull, che indicava la Gran Bretagna, o l'elefante e l'asinello, che rappresentavano il Partito repubblicano e quello democratico. Nella seconda met� dell'Ottocento, i settimanali di satira politica resero lo Zio Sam familiare nella sua vivace versione a colori. Ma furono soprattutto i vignettisti dei grandi quotidiani di fine secolo a renderlo onnipresente con i loro milioni di lettori. Divenne sempre pi� ricorrente alle parate patriottiche, in cui sfilavano personaggi vestiti come lui, cos� come su spille e bandiere, cartoline e pubblicit�, salvadanai e giocattoli. I cartoon dei giornali in ogni modo continuarono a essere il suo palcoscenico principale. Il geniale cartoonist Homer Davenport (1867-1912) lo rese il protagonista di opere memorabili. Quando Theodore Roosevelt decise di candidarsi alle presidenziali nel 1904, si preoccup� personalmente di avere il sostegno di Davenport. L'artista rispose con una vignetta passata alla Storia, in cui Uncle Sam appoggiava la mano sulla spalla del candidato repubblicano in segno di approvazione ed esclamava: "He's Good Enough for Me". Il Partito repubblicano ne fu cos� entusiasta da riprodurla subito su migliaia di manifesti elettorali. Eppure sar� proprio lo Zio Sam del manifesto stampato per la Prima guerra mondiale a rimanere pi� di ogni altro nell'immaginario collettivo. Sembra che l'autore James Montgomery Flagg (1877-1960) abbia cercato di dare le proprie sembianze al suo volto, ma l'idea del manifesto derivava da quello inglese, che immortalava il generale Horatio Herbert Kitchener mentre incoraggiava il reclutamento dei volontari nel Regno Unito. Il manifesto americano ridefiniva lo Zio Sam nei panni di un uomo ben pi� prestante ed energico rispetto al passato. Non era diventato anche lui un militare, ma poco ci mancava. Era ritratto a mezzo busto, indossava una bella giacca blu, una camicia bianca con un farfallino rosso che completava il tricolore nazionale, e le stelle si limitavano alla base del cilindro. Il volto accigliato e lo sguardo implacabile rendevano uno Zio Sam dal sapore quasi autoritario che puntava il dito mentre esclamava perentorio: "I Want You for U.S. Army". E le lettere "U.S.", ora, non lasciavano pi� dubbi sul loro significato. Flagg fece decine di manifesti per la propaganda bellica, ma pass� alla Storia per quello Zio Sam distribuito dall'esercito in oltre quattro milioni di copie. Nei tanti altri manifesti disegnati negli stessi anni, lo Zio Sam era rimasto il benevolo signore in avanti con l'et�. Nessuno riprese in seguito l'aspetto pi� giovane e minaccioso di "I Want You", nemmeno lo stesso Flagg. Fu tuttavia quel manifesto che continu� a essere ristampato per decenni facendo di Uncle Sam un'icona mondiale. In patria fin� per avere persino pi� di una consacrazione istituzionale. Non soltanto nel 1961 il Congresso riconobbe in Samuel Wilson il progenitore del simbolo nazionale degli Stati Uniti, ma nel 1989 sanc� ufficialmente il 13 settembre come "Uncle Sam Day". Era il giorno della nascita dell'imprenditore di Troy, il vero Zio Sam in carne e ossa. Zucchero amaro (di Riccardo Michelucci, "Focus Storia" n.129/17) - Fino al Medioevo era sconosciuto in Europa, nel '200 si cominci� a usarlo come spezia o medicamento. Poi, ha conquistato il mondo - "Esiste una pianta, in India, dalla quale � possibile ricavare il miele senza l'aiuto delle api". Cos� Nearco di Creta, uno dei pi� valorosi condottieri di Alessandro Magno, raccont� al mondo la "scoperta" della canna da zucchero, avvenuta nel corso di una delle sue missioni in Asia, nel IV secolo a.C.. In realt� pare che il saccarosio estratto dalla canna da zucchero venisse ricavato gi� qualche millennio prima dalla bollitura e dalla spremitura della pianta nei territori dell'attuale Oceania. Ma i pi� antichi riferimenti scritti sulla produzione dello zucchero risalgono ai testi del monaco indiano Buddhaghosa, che molti secoli dopo lo defin� "un lusso indiano". Quel nettare rimase praticamente sconosciuto in Europa almeno fino all'anno Mille, e solo intorno al 1200 gli Arabi introdussero le tecniche di coltivazione della canna e di raffinazione dello zucchero in Sicilia, a Cipro, a Malta, a Rodi e in Spagna. A lungo considerato una spezia, un medicinale raro e prezioso, nell'antichit� il saccarosio veniva venduto in farmacia e usato come eccipiente ed edulcorante in alcune ricette mediche. Senza grandi risultati, per la verit�. Nel XIII secolo uno dei figli di Edoardo I d'Inghilterra fu curato interamente con medicinali a base di zucchero e sciroppi, ma mor� ad appena sei anni. Molto tempo dopo Frederick Slare, un chimico inglese del XVIII secolo, sostenne invece che lo zucchero potesse essere usato persino come... dentifricio. Assai pi� efficaci si sarebbero rivelati i rimedi medici naturali diffusi in tempi pi� recenti in Italia, in alcune localit� del Sud, dove si ricavava una solida fasciatura da un composto di zucchero e albume d'uovo ricoperto di lana cardata. Oppure l'acqua zuccherata, considerata ancora oggi un ottimo rimedio contro i bruciori di stomaco. Il miele, il mosto cotto e gli sciroppi di frutta condensati rimasero invece i dolcificanti pi� diffusi almeno fino alla fine del '600. Le famiglie reali cominciarono a usarlo come decorazione o come condimento in agrodolce per la preparazione di carni di selvaggina e pollami. L'antropologo americano Sidney Mintz, autore di uno studio storico-economico sul tema (Storia dello zucchero, Einaudi), racconta che nel XVI secolo i re francesi introdussero nelle loro tavole i dessert zuccherati, perlopi� budini di crema e confetture, mentre la portoghese Caterina di Braganza (1638-1705), moglie del re d'Inghilterra Carlo II, fu la prima regina inglese a bere il t� e a imporlo - con o senza zucchero - come bevanda di moda a corte. E i poveri? Si accontentavano della melassa, un sottoprodotto della lavorazione dello zucchero, e la usavano per arricchire i piatti a base di carboidrati, tra cui il cosiddetto "hasty pudding" (fiocchi d'avena, burro e, appunto, melassa). Per quanto non fosse ancora di uso comune, nel XVI secolo il futuro dello zucchero era gi� scritto. Con le grandi scoperte geografiche di spagnoli e portoghesi le piantagioni di canna da zucchero arrivarono nelle colonie. I portoghesi le portarono nelle Azzorre e in Brasile, gli spagnoli nei Caraibi e in Sud America (la prima cosa che fece Colombo nella colonia di Hispaniola fu una piantagione di canna da zucchero!), seguiti da inglesi, francesi e olandesi. E sempre nelle piantagioni dei Caraibi inizi� la tratta atlantica: la mortalit� degli schiavi indigeni era cos� alta che serviva nuova manodopera per garantire la produzione. Anche se l'idea di produrre, commerciare e consumare lo zucchero in gran quantit� risale al XVII secolo, attorno alla met� del Settecento un piccolo-grande evento segn� l'avvio di una rivoluzione alimentare, sociale ed economica: fu la prima tazza di t� caldo zuccherato bevuta da... un operaio inglese. Fino a quel momento, infatti, a scaldare corpo e anima delle persone comuni c'erano soprattutto gli alcolici. Il t�, pi� o meno dolce, rientrava nelle abitudini alimentari solo della nobilt� e dell'alta borghesia. Ma con quella tazza di t� proletaria la richiesta di zucchero cominci� a crescere a un ritmo vertiginoso, e fin� col condizionare le sorti del commercio mondiale. In poco tempo il sistema delle piantagioni di canna da zucchero divenne il commercio pi� importante e redditizio dell'Impero britannico e contribu� a diffondere il prodotto su vasta scala anche nel Vecchio continente. Per pi� di due secoli funzion� un triangolo commerciale che collegava la Gran Bretagna all'Africa e al Nuovo Mondo: la tratta degli schiavi africani in America, la vendita dei beni finiti in Africa e il commercio dei prodotti tropicali americani in Gran Bretagna e negli altri Paesi europei. Un sistema che cambi� il mondo, trasformando lo zucchero da prodotto di lusso a bene di consumo popolare. E segn� il boom dell'economia schiavista proprio nell'epoca in cui cominciava ad affermarsi l'industria capitalistica. Il gigantesco mercato che nacque intorno alla crescente domanda di zucchero favor� la trasformazione del mondo nell'era moderna. Il prezzo pi� alto lo pagarono ovviamente i milioni di schiavi costretti a lavorare in condizioni disumane. "Non so se caff� e zucchero siano essenziali alla felicit� dell'Europa", spieg� nel 1773 il botanico francese Jacques-Henri Bernardin de Saint-Pierre, "so bene per� che questi due prodotti hanno avuto molta importanza per l'infelicit� di due grandi regioni del mondo: l'America fu spopolata in modo da aver terra libera per piantarli; l'Africa fu spopolata per avere le braccia necessarie alla loro coltivazione". Le guerre napoleoniche del XIX secolo segnarono uno spartiacque nella storia moderna del nostro dolcificante. All'inizio dell'Ottocento Napoleone blocc� infatti le importazioni in Europa di tutte le merci inglesi - in primo luogo lo zucchero - per danneggiare l'economia della nazione nemica. I britannici non stettero a guardare e reagirono sequestrando le navi dirette ai porti francesi. Risultato: in poco tempo le merci coloniali sparirono dagli scaffali dei negozi. Ma ormai l'Europa non poteva pi� fare a meno del dolce: era indispensabile trovare, e presto, dei validi surrogati. Pochi anni prima, riprendendo gli studi dell'agronomo francese Olivier de Serres (1539-1619), il chimico tedesco Andreas Marggraf (1709-1782) aveva scoperto che dalle radici della barbabietola si potevano ricavare dei cristalli simili a quelli della canna da zucchero. Non molto tempo dopo Franz Achard (1753-1821, tra l'altro successore di Marggraf alla cattedra di fisica di Berlino) and� oltre e mise a punto il processo industriale idoneo all'estrazione dello zucchero dalla bieta. Era fatta: nel giro di pochi anni nacquero le prime raffinerie per la lavorazione della barbabietola. Quando il Congresso di Vienna del 1815 pose fine al blocco delle merci e segn� il "ritorno" dello zucchero di canna, con prezzi pi� bassi rispetto al passato, il processo di estrazione industriale dalla barbabietola era ormai inarrestabile, favorito anche dalla graduale abolizione dello schiavismo. E lo zucchero, di qualunque provenienza fosse, ormai era diventato protagonista indiscusso in tutte le cucine. Tra quelli che non potevano assolutamente farne a meno c'era lo scrittore tedesco Thomas Mann. Pare che durante la Prima guerra mondiale, in pieno razionamento alimentare, il futuro premio Nobel non si fosse reso conto della penuria in atto perch� sua moglie lo sottraeva anche ai figli per consentirgli di addolcire il t�. Proprio in quegli anni, a Boston, lo zucchero caus� una delle pi� gravi e bizzarre tragedie industriali statunitensi del XX secolo. Il 15 gennaio del 1919 un gigantesco serbatoio contenente milioni di litri di melassa esplose a causa dell'elevata temperatura interna, provocando uno tsunami di liquido viscoso alto tre metri che si mosse a una velocit� di oltre 50 chilometri orari. L'onda anomala abbatt� un intero quartiere, distrusse la vicina stazione ferroviaria e fece deragliare un treno, uccidendo 21 persone e ferendone altre 150. E pensare che nell'antichit� il grande studioso persiano Avicenna aveva sostenuto che "tutto ci� che � dolce non pu� essere dannoso". Susine e prugne, il dolce raddoppio del gusto ("RivistAmica" n. 7/18) - Il frutto pu� essere consumato sia fresco che secco: ecco come cambiano propriet� e sapore e qualche consiglio per cucinarlo e abbinarlo in tavola - Il dubbio � venuto, almeno una volta nella vita, a ognuno di noi: prugne e susine sono la stessa cosa? S�, ma anche no: il frutto � il medesimo, si chiama susina quando � fresco e prugna quando � secco, anche se quest'ultimo termine viene spesso preferito nel linguaggio comune. La differenza per� � importante, per gusto e propriet� delle due versioni. Chi pensa di poter mangiare susine e prugne soltanto a fine pasto non ha ancora esplorato tutte le potenzialit� di questo frutto. Ad esempio � ottimo nei dolci, come sanno bene gli inglesi, inventori del plumcake: in origine si aggiungevano solo le prugne secche all'impasto, ora soprattutto canditi e cioccolato. Il corrispondente tedesco � il "Pflaumenkuchen", squisita torta di susine da servire rigorosamente con panna, senza dimenticare le crostate alla marmellata e i dolci al cucchiaio. La susina accompagna bene anche la carne, regalando una nota agrodolce allo spezzatino di maiale, agli spiedini di manzo o ai bocconcini di pollo. Gli amanti dei sapori rustici la proveranno insieme alla selvaggina: cervo, coniglio e fagiano si prestano a invitanti ricette. Le susine sono ricche di benefici per il nostro corpo: la vitamina A, dal potere antiossidante, agisce contro invecchiamento e malattie degenerative. La vitamina C aiuta l'organismo a difendersi dai malanni di stagione, mentre la K ha funzione anti-emorragica e protegge le ossa. Tra i minerali, da segnalare l'alto quantitativo di potassio (157 mg su 100 grammi), amico del cuore, dei reni e della pelle. Un discorso a parte meritano le propriet� diuretiche e lassative delle prugne: il frutto denocciolato e disidratato ha le stesse propriet� di quello fresco, ma pi� concentrate. � inoltre un vero toccasana per chi soffre di stitichezza, ma un consumo eccessivo potrebbe sortire effetti collaterali come diarrea e meteorismo. I cultivar si possono genericamente dividere in tre grandi gruppi: i susini europei, quelli sino-giapponesi, quelli americani. L'albero del susino europeo (o prugno), originario del Caucaso, � coltivato in aree dal clima temperato: da questo ceppo proviene la maggior parte delle susine vendute in Italia. La storia di questo frutto � antica, visto che gli etruschi lo avevano spesso in tavola e i Romani lo utilizzavano per arricchire i banchetti. Narra Petronio nel "Satyricon" che fette di prugna e chicchi di melograno servissero anche come artifici estetici: messi sulle griglie sotto la carne davano l'impressione delle braci accese. I Cavalieri della Prima Crociata portarono poi le susine in tutto il Vecchio Continente, facilitando l'insediamento della pianta dalla Spagna alla Germania. Le tante variet� di susina differiscono per il colore della buccia, che va dal giallo, all'arancio, al verde al blu violaceo; la polpa, che pu� risultare pi� o meno morbida o succosa; il sapore, che � pi� o meno acidulo. Ci sono varianti specifiche del nostro Paese, come la "bianca di Milano" o la "Florentia". La prima, a dispetto del nome, � verde fuori e gialla dentro, con un gusto particolarmente dolce. La seconda, originaria della Toscana, ha frutti sferici o a forma di cuore: la buccia, color cremisi, � acidula, ma la polpa gialla � dolce e succosa. Non mancano nemmeno i nomi curiosi, dalle origini lontane e suggestive: "Boccon del Re", "Coscia di Monaca", "Favorita del Sultano", "Fiocco del Cardinale" sono solo alcuni esempi. Tre giorni nel nord-est (di Mattia Scarsi, "Bene Insieme" n. 1/16) - Alla scoperta di tre citt� del Friuli Venezia Giulia: Gorizia, Udine e Pordenone - Il Friuli Venezia Giulia � una regione ricca di cose da vedere e scoprire: piccoli borghi di pietra celati tra le stradine della pedemontana, tesori d'arte inattesi, tradizioni e divertimenti. Oggi conosceremo un po' meglio questa terra che sa offrire un variopinto ventaglio di paesaggi a seconda delle stagioni e lo faremo seguendo un itinerario che comprende tre delle sue cittadine pi� belle e particolari: Gorizia, Udine e Pordenone. Cominciate partendo da una citt� di confine: Gorizia, che per la posizione geografica e per la sua storia, � uno dei fondamentali punti di congiunzione fra la cultura slava, quella germanica e quella latina. � possibile accorgersene semplicemente passeggiando per le sue vie, dove spesso e volentieri ci si imbatte in parole e parlate straniere o in dialetti che sono il risultato della mescolanza linguistica. Per godervi la Gorizia medievale, non dovrete far altro che incamminarvi lungo il Borgo e dirigervi verso uno dei castelli pi� affascinanti della regione, soprattutto per la sua posizione panoramica, precisamente a cavallo fra l'Italia e la Slovenia. Il Castello di Gorizia � un maniero risalente all'anno 1000 che, in virt� della particolare posizione, fu costruito come una fortificazione difensiva. Dopo esser stato molto danneggiato dai bombardamenti della prima guerra mondiale, venne ricostruito nel rispetto delle sue origini medievali. Dai suoi imponenti bastioni la vista sulla cittadina � strepitosa, ma � all'interno che potrete completare il viaggio temporale, visitando il Museo del Medioevo Goriziano, arredato con mobili e oggetti originali. Scendendo da Borgo Castello si raggiunge piazza S. Antonio e si pu� imboccare la storica via Rastello, una delle pi� antiche e caratteristiche della citt�, dove osservare alcune botteghe che ancora conservano insegne storiche. In questa via si trova anche l'enoteca Krainer, dove vi suggeriamo di fare una tappa. Si tratta di un'ex ferramenta storica recuperata e riadattata a locale. L'aspetto pi� affascinante � che hanno mantenuto gli arredi tipici della bottega: all'interno delle cassette degli attrezzi ora si trovano rinomate bottiglie di vino della Regione e oltreconfine. Proseguite la passeggiata e raggiungete l'ariosa piazza dove troneggia la Chiesa di Sant'Ignazio, un'apoteosi di barocco che, di fatto, � il principale luogo di culto della citt�. Passeggiare all'aria aperta, si sa, mette appetito: per assaggiare il particolare connubio fra tradizione friulana, giuliana e slovena, che costituiscono la cucina tipica di Gorizia, vi consigliamo la trattoria Alla Luna in via Oberdan 13 (vicino alla chiesa di S. Ignazio). La prima cosa a colpirvi sar� senza dubbio il calore della sala molto accogliente e arredata in modo elegantemente retr�: dopodich� sar� il palato a gioire per la ricca carta dei vini, per le semplici, ma ottime pietanze come la jota, zuppa a base di crauti, fagioli e stinco di maiale o i gnocchetti con burro fuso. Il pranzo termina con la gubana, gloria della pasticceria goriziana, assolutamente da assaggiare. Il tutto � servito da un personale gentilissimo che veste i caratteristici abiti del folclore locale. Oltre a essere un luogo ricco di storia, Gorizia si contraddistingue anche per i suoi bellissimi paesaggi. Una favolosa cornice verde � offerta dal Parco di Piuma Isonzo situato a cinque minuti di auto dal centro, verso il monte Calvario. Qui siete in una zona di morbide colline, perfetta per un'escursione in bici o per una passeggiata, addentrandosi nel parco attraverso un percorso naturalistico. Proprio all'ingresso del parco trovate un maneggio, una locanda e un'ampia area per il barbecue e il pic-nic. In caso di giornate terse, specie in primavera, questa � una delle mete predilette dagli abitanti locali, per trascorrere la domenica all'aria aperta. Nel pomeriggio potreste raggiungere Udine che dista 50 km da Gorizia. Andate subito alla sua conquista, partendo da piazza della Libert�, che si spalanca come una messa in scena teatrale ai piedi del colle. Nella piazza ecco sfidarsi in una sfilata d'immobile eleganza, il palazzo del Comune, luogo simbolo dell'autonomia cittadina e il porticato di San Giovanni e la Torre dell'Orologio. A questo punto vi invitiamo ad accantonare momentaneamente gli interessi storico-artistici, in favore di un consapevole abbandono alle tentazioni dello shopping gastronomico, alle quali, vi anticipiamo, sar� arduo resistere. Le botteghe cariche di specialit� sono tutte in zona: dalle ricotte, ai formaggi di pecora e di capra provenienti dalla Carnia, presso La Baita dei Formaggi, in via delle Erbe 1, alle dozzine di diversi tipi di pane e di torte per tutti i gusti, in vendita al Panificio del Torre in piazza XX settembre. La storica Farmacia Colutta, sita in piazza Garibaldi 10, permetter� di acquistare l'Amaro di Udine, da sempre "l'amaro pi� amaro" d'Italia. Le distanze a Udine sono davvero a misura d'uomo o permettono un'esistenza pi� slow, che privilegia riti o ritmi goderecci della provincia. A differenza di quanto pensano i pi�, questa � una cittadina molto conviviale. A tal proposito vedrete che nel tardo pomeriggio, dopo il lavoro, la gente si trova nelle osterie tipiche della citt� per bere in compagnia. Un esempio? Andate in via Poscolle dopo le 18: l'appuntamento dell'aperitivo qui � un must assoluto e alla Spezieria pei sani quasi tutti bevono il Tajut: un bicchiere di ottimo Tocai da sorseggiare con bocconcini di polenta. Un tour per le frasche (osterie) potete cominciarlo da piazzale Colla, dall'antica osteria Da Pozzo. In via Grazzano ci si pu� poi immergere nell'ambiente vivace e divertente che caratterizza la Trattoria all'Allegria dove gli appassionati potranno cimentarsi in gare di bocce. In ognuna di queste potrete gustare una cenetta all'insegna dei veri sapori friulani o fermarvi per un dopo cena rilassante, gustando una birra o un bicchiere di vino locale. Se siete appassionati di musica, � bene tenere d'occhio il programma di concerti della Filarmonica di Udine, una realt� importante nel panorama internazionale, con un carnet di appuntamenti sempre ricco nel corso dell'intero anno. L'indomani, all'angolo tra il palazzo del Comune e via Cavour, non potete non notare i suggestivi portici del Caff� Contarena (l'antico nome di piazza della Libert�) con i suoi decori art nouueau: un ambiente dal fascino indiscutibile che riporta alla mente le pagine dei grandi romanzi mitteleuropei. Date retta, in caso di break, a quei tavolini tutto avr� un altro sapore. Ritemprati nel corpo o nell'anima dalla sosta, potete dirigervi verso la scalinata che s'imbocca prendendo a sinistra del porticato di San Giovanni: la salita � lieve e si riveler� una piacevole passeggiata durante la quale passerete sotto l'elegante Arco Bollani, costruito nel 1556 su disegno del grande Andrea Palladio. Una volta che avrete raggiunto la sommit� del colle, avrete il pieno dominio della citt�. Il Castello di Udine si presenta oggi come un elegante palazzo "difeso" dall'ombra di cedri secolari e ha una storia che si intreccia alla leggenda e che � tutta da scoprire. Si racconta che il colle su cui sorge, sia stato creato con la terra trasportata negli elmi, dai soldati di Attila. Il condottiero infatti era impaziente di godersi dall'alto lo spettacolo di Aquileia in fiamme dopo il suo passaggio. Che si voglia credere alla leggenda o meno, � vero che dal colle, alto 140 metri, la vista consente di catturare con uno sguardo Udine e, nelle giornate particolarmente limpide, anche le Alpi Carsiche e Giulie. Proseguite con l'esplorazione dell'area del castello, nel cui edificio principale trova spazio la Galleria d'Arte Antica dove si possono ammirare opere di artisti tre-quattrocenteschi di scuola locale e veneta, oltre ad alcuni capolavori rinascimentali dipinti dal Capriccio, da Michelangelo, dal Bronzino. Dirigetevi verso via Mercato Vecchio, ampia sede del mercato medievale, fiancheggiata da portici e ricca di bellissimi negozi. Su piazzale Paolo Diacono ecco il Palamostre, progettato negli anni '60 dall'architetto Gianni Avon. Entrando nell'edificio scoprirete che � la sede della Galleria d'Arte Moderna: fra le tante meraviglie esposte, godetevi i capolavori italiani di De Chirico, Mafai, Morandi e Severini. All'uscita, gi� che vi trovate nelle vicinanze, l'ora � perfetta, per una sosta a La casa degli Spiriti, la speciale enoteca in via dei Torriani, in cui � possibile trovare il meglio del meglio della produzione friulana. Cordialit� e un ambiente a tema (gli sgabelli sono a forma di tappo di spumante) vi aspettano per un brindisi! Ripartite da piazza Matteotti, il salotto principesco di Udine, con i tavoli all'aperto delle osterie e delle caffetterie che fanno da corona. Piazza Matteotti ha una storia secolare e i colori di un quadro na�f: qui si trasferirono dal 1278 i pubblici commerci cittadini e ancora oggi la parte centrale della piazza � riservata alle bancarelle tanto che ogni prima domenica del mese vi si tiene il tradizionale e imperdibile Mercatino dell'Antiquariato. Vedete la candida facciata sul lato sinistro della piazza? Quella � la chiesa di San Giacomo, una delle pi� antiche della citt�. A sinistra della chiesa, prendete per via Canciani, quindi, svoltate in via Rialto, una delle zone caratteristiche del centro storico, dove gli udinesi doc amano darsi appuntamento per le rituali "vasche" durante le quali fare quattro chiacchiere, fino a costeggiare il palazzo costruito in pietra d'Istria, in stile liberty ossia Palazzo d'Aronco, l'attuale sede del Municipio. Per cena vi diamo due alternative: al Vecchio Stallo il rapporto qualit�-prezzo � il migliore della citt�: scegliendo il menu piciule pause, "piccola pausa", con 15 euro vi verr� servito un primo, un contorno, un dolce e un bicchiere di vino della casa. Alle pareti sono appesi ferri di cavallo, cappelli di paglia e pentoloni di rame, che ricordano il passato contadino di Udine. Con un esborso un pochino maggiore, ma sempre all'insegna delle tradizioni nostrane, potete cenare alla Trattoria alla Ghiacciaia. Il locale, che fu una delle prime gloriose osterie, oggi � rinnovato nell'ambiente e negli arredi, ma ha mantenuto intatto, quel calore tipico delle locande dove sembra di conoscersi tutti. Il giorno seguente, sulla strada del ritorno fate tappa alla vicina Pordenone, il cui vecchio nucleo urbano merita davvero di esser visto. Al vostro arrivo prendete come riferimento la stazione centrale: da l� imboccate via Mazzini e, successivamente, Corso Vittorio Emanuele II. Durante questo tragitto si affacciano ai lati del vostro passeggio edifici e porticati di forme gotiche, rinascimentali, barocche e neoclassiche, molti dei quali conservano resti di decorazioni sulle loro facciate, come ad esempio il Palazzo Comunale con la sua caratteristica Torre dell'Orologio. La fine della passeggiata culmina ai piedi del Duomo che si erge davanti a voi in tutta la sua piena bellezza ed � sicuramente uno dei punti di maggior interesse all'interno della citt�. Eretto in onore di San Marco intorno al XIII secolo, successivamente, oltre a subire un primo restauro, � stato affiancato dal maestoso campanile. Avvicinandovi al massiccio portale della facciata, vedrete le meravigliose decorazioni: luogo di culto religioso certo, ma anche di credenze e superstizioni popolari, tanto che sul portale si alternano figure della Creazione a segni zodiacali. Un altro importante punto di interesse storico � il Museo Civico d'Arte, situato all'interno di Palazzo Bicchieri, uno dei pi� antichi della citt� (XIV secolo) eretto per volont� dell'omonima famiglia patrizia. Come potete notare subito, pi� che di un palazzo si tratta di una vera e propria fortezza contro gli attacchi degli invasori, prevalentemente austriaci. Prima di lasciare Pordenone, il nostro consiglio � quello di andare a godervi (se la giornata lo consente) un pranzo al sacco, presso il Parco Fluviale del Noncello, il fiume che attraversa la cittadina. Il parco � un'attrattiva artistico-naturalistica particolarmente interessante. Nel visitarlo potete sbizzarrirvi con uno dei numerosi percorsi, partendo per esempio dal suggestivo ponte di Adamo ed Eva, il cui nome deriva dalle statue poste su alti pilastri di pietra, che in realt� raffigurano Giove e Giunone. Sulla riva destra trovate la passeggiata rivierasca chiamata anche riviera del Pordenone, dotata di pista ciclabile e ampio marciapiede. Insomma una magica immersione nella natura, pur rimanendo nel pieno centro di questa adorabile cittadina. Il frico Il frico � un piatto tipico friulano, nato in provincia di Udine, a Subit, nell'area che un tempo era detta Carnia. Lo si pu� gustare sia come antipasto che come secondo e si presenta in due versioni: friabile o morbido. Il frico friabile o croccante � molto sottile ed � fatto di solo formaggio, di solito Montasio, che viene fritto in olio bollente e pu� essere servito anche come snack. Il frico morbido o frico di patate si presenta, invece, come una sorta di frittata e si prepara con del formaggio di diversa stagionatura, patate, burro (o olio) e sale. Esistono, per�, anche altre versioni che prevedono l'uso della cipolla, ma pu� essere arrichito anche con porro o speck. Entrambe le tipologie sono abitualmente servite con polenta. Anche se oggi il frico � considerato un piatto di festa, tradizionalmente la sua preparazione era legata al recupero dei ritagli di formaggio (strissulis), sottili strisce dall'aspetto simile a mozzarella, parte in eccesso dopo la sagomatura delle forme di formaggio. Enrico Giaretta: la musica in volo (di Filippo Nassetti, "Ulisse" n. 404/18) Nell'ambiente musicale � ormai conosciuto con il neologismo di "Cantaviatore". Enrico Giaretta, infatti, oltre ad essere uno stimato pianista e cantautore, � anche un pilota d'aereo. Musicalmente Giaretta si ispira a Paolo Conte, con cui ha anche collaborato per la realizzazione di Scalatori di Orizzonti, un CD legato ad un progetto benefico degli "Amici Cucciolotti" per la tutela degli animali. Dal sapore "contiano" anche il brano Tutta la vita in un momento che, riadattata in inglese da Matt Dusk con il titolo Back In Town, � divenuta una hit mondiale con oltre 800-mila copie vendute. Alphabet (Universal Music) � il nuovo lavoro strumentale del Cantaviatore, 50 minuti per 5 tracce registrate su un pianoforte di oltre cent'anni, senza correzioni o sovraincisioni, totalmente improvvisate. Il tutto arricchito da alcune incursioni vocali. Un'anticipazione dei brani � stata presentata da Giaretta nelle esibizioni live con cui ha accompagnato il tour acustico di Jack Savoretti. "Alphabet � un concept album dove il titolo di ogni brano � una lettera dell'alfabeto - racconta Giaretta. - Avrebbe potuto chiamarsi True. Il percorso di verit� anche concettuale nasce dalla collaborazione con il produttore Maurizio D'Aniello. Abbiamo scelto di riportare nel disco la verit�, senza alcun compromesso. Dai rumori del pianoforte all'orario in cui ogni mattina da anni suono nel silenzio dell'alba, registrando le improvvisazioni in una fase mentale totalmente pura. Qua e l� recito immagini suggestive a firma di Marcello Murru, ad eccezione di Dedicated, una canzone dedicata a mia moglie e ai miei figli". Giaretta in passato ha collaborato con artisti che hanno fatto la storia della musica italiana come Lucio Dalla, Pino Daniele, Franco Califano e Renato Zero.