Settembre 2019 n. 9 Anno XLIX MINIMONDO Periodico mensile per i giovani Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registrazione 25-11-1971 n. 202 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Massimiliano Cattani Luigia Ricciardone Copia in omaggio Rivista realizzata anche grazie al contributo annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del MiBACT. Indice Come inizi� l'inferno della seconda guerra mondiale Perch� siamo tutti un po' ficcanaso Se smettessimo di lavarci Woodstock: pace, amore e musica Avocado, esotico frutto del benessere Avignone: nel cuore della Provenza in fiore BoomDaBash: la band pugliese che ha conquistato l'Italia Come inizi� l'inferno della seconda guerra mondiale (di Riccardo Michelucci, "Focus Storia" n. 155/19) - Per anni Hitler sfid� le democrazie con annessioni e atti di forza. Poi, nel 1939, tocc� ai polacchi... - Primo settembre 1939, ore 4:45. Al confine tra Germania e Polonia scatta l'operazione Fall Weiss. Al comando c'� il generale nazista Walther von Brauchitsch. La corazzata tedesca Schleswig-Holstein inizia a bombardare la penisola fortificata di Westerplatte, alle porte di Danzica, dove ha sede l'arsenale della marina polacca. Nel frattempo cinquantatr� divisioni (di cui sei corazzate) della Wehrmacht avanzano. I carri armati del Reich sfondano la frontiera in pi� punti, mentre i bombardamenti aerei della Luftwaffe infliggono gravi danni alla rete ferroviaria e alle citt�. Le fragili difese polacche vengono travolte in poche ore dalla potenza di fuoco nemica e dalla natura combinata dell'attacco. Il piano tedesco prevede una nuova tipologia di guerra "di movimento", basata sull'appoggio delle forze corazzate e aeree, con le formazioni di fanteria incaricate di accerchiare il nemico in una manovra a tenaglia. � la tattica detta Blittzkrieg ("guerra lampo"), che sar� ripetuta con successo anche nelle successive campagne militari in Francia e nei Balcani. Hitler afferm� che l'attacco alla Polonia era in realt� un'azione difensiva per replicare a una serie di provocazioni polacche e per rispondere alle persecuzioni contro la minoranza tedesca della Polonia Orientale. Ma le spiegazioni del F�hrer erano solo una montatura. Appena due giorni dopo, il 3 settembre, scaduti gli ultimatum lanciati dai governi di Londra e Parigi, Francia e Gran Bretagna entrarono ufficialmente in guerra contro la Germania. A niente erano servite le esortazioni del presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt, n� le suppliche di papa Pio XII, e neppure la proposta di mediazione di Mussolini. Nella tarda serata del 3 settembre il sommergibile tedesco U-30 affond� la nave passeggeri inglese Athenia al largo delle coste irlandesi scambiandola per un mercantile armato. Tra i 112 civili che rimasero uccisi c'erano anche 28 cittadini americani. L'episodio suscit� un forte risentimento antitedesco, scatenando l'indignazione e la protesta del governo degli Stati Uniti. La guerra sul territorio polacco dur� appena cinque settimane, ma innesc� un conflitto che insanguin� l'Europa per sei anni. "La citt� di Danzica riassumeva secoli di tensioni fra il mondo germanico e la Polonia, alle quali si univano importanti motivazioni strategiche e simboliche", spiega Alessandro Giorgi, della Societ� italiana di storia militare. "Dopo la Prima guerra mondiale era stata posta sotto la protezione della Societ� delle Nazioni ed era stato creato un "Corridoio" che comprendeva anche la penisola di Westerplatte e divideva in due la Germania. L'importanza di Danzica per i tedeschi � paragonabile complessivamente a quella di Trento, Trieste e Fiume per gli italiani. Per Hitler l'esistenza stessa di quel corridoio rappresentava un fatto insopportabile. Ma n� la Gran Bretagna, n� la Francia si erano esposte offrendo garanzie per cercare di impedire l'attacco". Inoltre, per neutralizzare un possibile intervento sovietico in sostegno alla Polonia, Hitler aveva siglato un patto di non aggressione con Mosca una settimana prima dell'attacco. L'intesa, nota come patto Molotov-Ribbentrop (dal nome dei due ministri degli Esteri), fu sottoscritta il 23 agosto 1939 e definiva, fra l'altro, le rispettive zone di influenza. Un protocollo segreto stabiliva poi la spartizione del territorio polacco in seguito all'attacco. Per la Germania, dopo il successo della Conferenza di Monaco che nel settembre 1938 aveva dato il via libera all'annessione della Cecoslovacchia con il consenso di Francia e Gran Bretagna, si trattava di un nuovo importante passo verso la conquista di quello "spazio vitale" (Lebensraum) nell'Europa dell'Est, teorizzata da Hitler gi� dagli Anni '20. In appena quattro settimane, l'intero territorio polacco fu occupato. Il 17 settembre, l'Unione Sovietica attacc� la Polonia da est, rompendo unilateralmente il patto di non aggressione firmato con Varsavia nel 1932 e rinnovato nel 1938. "Gli ufficiali tedeschi e quelli russi avevano fissato di comune accordo la linea di demarcazione che divideva a met� la Polonia, all'altezza del fiume Bug", prosegue Giorgi. "E il 22 settembre si tenne a Brest-Litovsk una parata congiunta con le truppe del generale Heinz Guderian, comandante in capo dei mezzi corazzati tedeschi, e quelle del generale sovietico Sem�n Krivosein. Insieme celebrarono la vittoria contro il comune nemico polacco". La reazione degli Alleati, almeno in un primo momento, fu blanda. Nonostante la dichiarazione di guerra, Francia e Inghilterra fecero ben poco per difendere la Polonia. Nei mesi successivi all'attacco vi fu persino chi accus� Londra e Parigi di condurre una "guerra finta" poich�, a parte alcuni scontri tra navi inglesi e tedesche, non avevano intrapreso alcuna grande operazione militare. La vera escalation ci fu soltanto nella primavera del 1940, dopo l'invasione tedesca della Norvegia e poi della stessa Francia. Ma ormai era troppo tardi. In pochi, in quell'agosto del 1939, pensavano che valesse la pena rischiare la vita per la Polonia e per difendere la citt� di Danzica. N� il governo francese, n� quello britannico volevano la guerra. A rompere gli indugi di Londra contribu� in modo determinante l'opinione pubblica, secondo la quale Hitler doveva essere fermato. La maggioranza degli inglesi era convinta che, dopo l'invasione della Cecoslovacchia, l'aggressione alla Polonia non lasciasse alternative. Hitler, anche dopo l'inizio delle ostilit�, rimase fermamente convinto che la Gran Bretagna e la Francia non avrebbero dichiarato guerra alla Germania. Ma si sbagli�. "Il F�hrer sottovalut� la risolutezza delle democrazie occidentali, in particolare degli inglesi", spiega ancora Giorgi. "Era convinto che non sarebbero state disposte a rischiare tutto per una Polonia che, di fatto, interessava a pochi. Soprattutto, non si rese conto che fare la guerra alla Gran Bretagna di allora significava praticamente battersi contro mezzo mondo. "Nel giro di poche settimane milioni di canadesi, australiani, neozelandesi, sudafricani e indiani si unirono al campo alleato contro i tedeschi. Le riserve auree della Banca d'Inghilterra furono trasferite in Canada, pronte a essere usate se le cose fossero andate male. La Germania non ne tenne conto e gioc� una partita che non poteva permettersi di giocare nel lungo periodo". E quando venne meno anche l'alleanza stretta opportunisticamente con i sovietici, per il Terzo Reich tutto si fece pi� difficile. L'incidente di Gleiwitz Mesi prima di quel 1� settembre, per fornire un casus belli che giustificasse l'attacco, la Germania nazista aveva organizzato una serie di falsi atti di agressione commessi da parte dei polacchi. La pi� eclatante operazione svolta lungo il confine si verific� a Gliwice, una citt� oggi in territorio polacco, ma che nel 1939 si chiamava Gleiwitz e apparteneva alla Germania. La sera del 31 agosto un gruppo di SS in uniforme polacca sequestr� la stazione radio locale e diffuse un comunicato in lingua polacca, facendosi passare per sabotatori anti-tedeschi. Per rendere l'azione pi� credibile, un altro drappello di SS port� sul luogo un cittadino polacco, da tempo prigioniero della Gestapo, e lo uccise. Pi� tardi la polizia trov� altri due cadaveri che non furono mai identificati. La mattina dopo, il 1� settembre 1939, Hitler dichiar� guerra alla Polonia incolpandola di aver violato il territorio tedesco. Al processo di Norimberga uno dei partecipanti all'operazione, l'ufficiale delle SS Alfred Naujocks, rivel� di aver agito dietro ordine del generale Reinhard Heydrich. Perch� siamo tutti un po' ficcanaso (di Raffaella Procenzano, "Focus" n. 323/19) - L'interesse per la vita degli altri non ha nulla di patologico. Anzi: � utile alla societ� - Siamo dei gran ficcanaso, tutti quanti: gli studi dimostrano che la ricerca di informazioni sulla vita degli altri � presente in tutte le culture del mondo. Ci interessa (e tanto) perch� siamo "animali sociali": dobbiamo vivere in gruppo, e sapere che tipo di persone abbiamo di fronte � fondamentale in ogni situazione della nostra vita. "Innanzitutto per capire se potrebbero ingannarci. Per questo andiamo in cerca di retroscena, di ci� che quella persona non mostra apertamente", spiega Nicoletta Cavazza, docente di Psicologia sociale all'Universit� di Modena e Reggio Emilia. Per la stessa ragione, ci colpiscono di pi� le informazioni negative di quelle positive: � pi� probabile che siano autentiche. "Se incontro una persona gentile e la vedo anche comportarsi gentilmente con altri, posso pensare che si stia comportando bene solo per educazione. Se vedo un gesto sgarbato, invece, la persona in questione � sicuramente un po' maleducata, una informazione su di s� che probabilmente non avrebbe voluto divulgare e che quindi, come segnale della sua personalit�, � molto pi� significativa", aggiunge Cavazza. Di pi�: tutto ci� che gli altri tendono a coprire ci appare cos� interessante che non vediamo l'ora di raccontarlo a qualcuno. � cos� che nascono le chiacchiere, le dicerie, le voci; il pettegolezzo, insomma. Le ricerche hanno confermato che, in media, gli esseri umani passano l'80% del loro tempo in compagnia di altri, di solito conversando. E la gran parte di questi scambi sociali avviene faccia a faccia, con persone che conosciamo bene. Nicholas Emler, psicologo sociale all'Universit� del Surrey (Regno Unito), ha studiato il contenuto delle conversazioni che si tengono in luoghi pubblici, scoprendo che l'80% trattano di individui specifici (persone di cui si conosce il nome), mentre quelle impersonali su politica, religione, arte ecc. sono pi� rare. Insomma, dopo aver osservato, spifferiamo volentieri quello che siamo venuti a sapere. Riferire fatti privati, secondo gli studiosi, � fondamentale per mantenere la coesione sociale: rafforza la relazione tra i "complici di pettegolezzo" (chi sparla e chi ascolta), serve a imparare a essere accettati da un gruppo, e permette di valutare se stessi in rapporto con gli altri. L'antropologo anglosassone Robin Dunbar ha una curiosa teoria sulle origini di questo comportamento: quando le comunit� dei nostri antenati sono diventate pi� numerose, quegli antichi ominidi hanno smesso di fare grooming (i primati stringono relazioni e le conservano "spulciandosi" tra loro) e hanno trovato un altro modo per rimanere in contatto l'uno con l'altro. Hanno inventato la conversazione, che liberava loro le mani consentendo di fare molte altre cose. In questo tipo di relazione per�, � molto pi� facile essere ingannati: si possono sempre raccontare bugie, offrire aiuto e poi non darlo ecc. "Mentre una scimmia si accorge se un altro individuo non l'ha spulciata a dovere, noi dobbiamo tenere sotto controllo i comportamenti altrui, per smascherare chi non obbedisce alle regole del gruppo", afferma Dunbar. Anche se non ce ne rendiamo conto, quindi, quando cerchiamo retroscena nella vita di qualcuno (anche per poi riferirli ad altri), il nostro scopo in realt� � tenere a bada gli scrocconi, quelli che potrebbero approfittarsi di noi o di altri membri della comunit�. Dato che il pettegolezzo serve a stabilire che cosa � giusto e che cosa � sbagliato fare, � normale che le violazioni dei principi morali siano spesso l'argomento principale delle chiacchiere: si parla cio� di tradimenti e di scorrettezze di ogni tipo. Ed � per questo che, se si esagera qualche particolare o addirittura si inserisce qualcosa di falso, i pettegolezzi possono trasformarsi in maldicenza. Ma non accade spesso: una ricerca pubblicata nel maggio scorso e condotta dalla Rhine-Waal University of Applied Sciences (Germania) ha dimostrato che lo scopo principale di informarsi e poi di riferire sui fatti altrui � chiedere conferma o raccogliere notizie e non certo, come molti pensano, mettere in giro voci malevole su qualcuno. E ci� accade sia nella vita privata sia in quella lavorativa. I ricercatori hanno indagato perfino gli scopi degli individui che hanno tratti caratteriali ritenuti "oscuri", vale a dire coloro che avevano ottenuto nei test di personalit� punteggi alti per il narcisismo (persone che amano ricevere consensi) e per il machiavellismo (individui che si fanno pochi scrupoli a prevaricare sugli altri): anche per loro, i pettegolezzi erano soprattutto un mezzo per informarsi e solo in misura minore un modo per ostacolare qualcuno. "Del resto, anche quando sono negative, le dicerie possono avere uno scopo importante: evidenziare un'ingiustizia - "quella promozione � immeritata" - o ristabilire una sorta di equit�: venire a sapere che il vip tal dei tali ha un figlio che va male a scuola, per esempio, rassicura sul fatto che su alcuni piani siamo tutti uguali", continua Cavazza, che su questo argomento ha scritto il saggio Pettegolezzi e reputazione (Il Mulino). L'impulso a sbirciare la vita degli altri, di per s�, non ha dunque nulla di malsano (a meno che, ovviamente, non si diffondano volontariamente falsit�): secondo gli psicologi evoluzionisti, si � affermato come abitudine perch� � utile alla vita sociale. Anche perch� la persona osservata o sulla quale ci si informa spesso occupa una posizione pi� "alta" di quella del ficcanaso (� per esempio il capufficio, o una personalit� in vista): tenerla sotto controllo � un modo di limitare il suo potere. Ai classici mezzi per ottenere le informazioni volute (origliare conversazioni, chiedere notizie agli amici, tenere ben aperti gli occhi...), da qualche anno si sono poi aggiunti i social network. Una vera miniera di notizie. "� vero che la nostra "vetrina" la facciamo noi: decidiamo le foto da pubblicare e i pensieri che � giusto condividere, ma per esempio pu� capitare di mettere un tag a qualcuno che sta nella nostra foto scattata in quel tal posto e che magari non voleva che si sapesse che era l�. Risultato: anche i suoi amici vengono a sapere dei suoi spostamenti. Insomma, di fatto � un pettegolezzo", sottolinea Cavazza. Inoltre, i social possono costituire un'ottima fonte di informazione sulla vita privata di qualcuno se i profili non sono protetti o se si va nelle pagine di amici comuni a cercare notizie di una particolare persona. Del resto, una ricerca dell'Universit� di Stoccarda, condotta alcuni anni fa su un vasto campione di studenti, ha dimostrato che pi� ampia � la cerchia di amici su Facebook pi� si � vittima di pettegolezzi. E non solo di quelli virtuali, anche "dal vivo". Un'altra prova del fatto che i social sono solo un altro luogo dove trovare, e naturalmente divulgare, le informazioni private altrui. Se smettessimo di lavarci (di Elena Meli, "Focus" n. 322/19) - La puzza sarebbe il minore dei problemi: potremmo coprirla col profumo, ma saremmo vittime di infezioni - I bambini preferirebbero nuotare in una vasca con gli squali piuttosto che fare il bagno alla sera. Ma se dessimo loro ascolto e, in barba all'igiene, smettessimo di lavarci? La prospettiva oggi ci sembra inaccettabile, per la vita sociale e per la salute. Ma che cosa ci succederebbe davvero dopo un mese, un anno o anche tutta la vita lontani da acqua e sapone? Diciamolo subito: di sudiciume non moriremmo (pur con qualche distinguo, che vedremo). Per dare una prima risposta, basta infatti ricordare che ci sono stati secoli in cui non ci si lavava per niente. Sono iniziati alla fine del Medioevo: secoli sozzi, ancor prima che bui, quando con le pestilenze si diffuse l'idea che l'acqua, facendo dilatare i pori, lasciasse entrare nel corpo i vapori infetti portatori di malattie. Cos�, dimenticate le terme dell'epoca romana, nel '400 e '500 si arriv� a lavarsi pochissimo, e per niente nel '600 e in buona parte del '700. Gli igienisti di allora non avevano dubbi: "Devono essere vietati i bagni d'acqua", si legge in un trattato del 1568, altrimenti "il vapore appestato pu� prontamente penetrare nel corpo, provocando la morte". In pi� si pensava che l'acqua si infiltrasse nel corpo, gonfiandolo e debilitandolo; il bagno era al massimo una "cura" da somministrare con attenzione. Il re di Francia Luigi XIV, per evitare rigonfiamenti, prese una purga la sera precedente un bagno prescritto dai medici: era il primo dei due che fece in tutta la vita. Se non ci lavassimo con acqua, dunque, potremmo fare come in quei secoli sozzi, in cui la pulizia era soltanto "a secco". Dovremmo limitarci a frizionare il corpo con panni profumati e a cambiare spesso la biancheria (accorgimento che in passato valeva solo per ricchi e nobili, che possedevano pi� camicie e abiti da cambiare: chi aveva solo ci� che indossava poteva ogni tanto sciacquarlo al fiume). I capelli li dovremmo sgrassare con polveri e cipria profumata. Alla fine, con tanto strofinare, potremmo essere pi� o meno liberi da polveri e untuosit�. Ma gli odori? Se finiamo per puzzare � colpa dei batteri che colonizzano la nostra pelle e producono sostanze maleodoranti, cibandosi del nostro sudore. Alcune zone dove si suda di pi�, come ascelle, zone genitali o piedi, diventerebbero inavvicinabili causa tanfo e saremmo probabilmente costretti a fare un uso smodato di profumi per coprirlo. Un testo di salute del 1572 raccomanda per esempio strofinamenti con rose "per rimediare all'odore caprino delle ascelle". Comunque sia, anche se non toccassimo l'acqua per qualche curiosa convinzione o non ne avessimo a disposizione, ci sforzeremmo probabilmente di trovare altri metodi di lavaggio. Perch� la pulizia � un bisogno antichissimo. "L'igiene ha origini biologiche, intesa come un insieme di comportamenti che serve ad evitare infezioni, esibito da molti animali", sostiene in uno studio Valerie Curtis, della London School of Hygiene and Tropical Medicine. Gli animali si tolgono di dosso parassiti, insetti, foglie, sporco. Certo, non si parla di bagni in senso stretto: pensiamo ai felini che si leccano il pelo, agli uccelli che puliscono le piume col becco o strofinandosi con sabbia, alle scimmie che si spidocchiano l'un l'altra... Secondo Valerie Curtis, vale anche per l'uomo: ha imparato a provare disgusto per escrementi, fluidi corporali, parassiti e sozzure varie, per difendersi da ci� che avrebbe potuto farlo ammalare, e ha quindi sviluppato il bisogno di pulire il corpo da tutta quella sporcizia. Con l'acqua dei fiumi, per esempio. Tra le prime tracce di antichi lavaggi arrivate fino a noi, c'� la prova della produzione di sapone in Mesopotamia, attorno al 2800 a.C. Torniamo quindi ai possibili metodi di pulizia senz'acqua. Quelli dei nostri antenati europei li abbiamo visti, ma potremmo anche fare come gli Himba, una popolazione della Namibia, che vive in un ambiente desertico dove l'acqua � davvero scarsa. Le donne non si lavano, ma si deodorano con "bagni" di fumo profumato, cospargono la pelle con una pasta ricavata da una terra rossa, puliscono i capelli con la cenere. "Per� vivono quasi nudi, in equilibrio con l'ecosistema naturale circostante, per questo non succede loro granch�: mettersi i vestiti addosso o chiudere i piedi nelle scarpe invece crea zone in cui c'� poco ricambio d'aria, dove i batteri proliferano grazie all'umidit� del sudore", spiega Leonardo Celleno, responsabile dell'unit� di dermatologia del Complesso Integrato Columbus dell'Universit� Cattolica di Roma. Insomma, se volessimo fare a meno dell'acqua, sarebbe meglio vivere nudi. Comunque sia, l'addio alla doccia come scelta individuale significherebbe l'addio anche alla vita sociale... Per essere accettabile, tutta la comunit� dovrebbe quindi passare a un nuovo concetto di igiene: in fondo, un nobile seicentesco che non si lavava mai ma cambiava la camicia era considerato pulitissimo. Innanzitutto dovremmo avere una diversa sopportazione degli afrori corporali, come appunto accadeva in passato: infatti, come spiega lo storico Alain Corbin nel libro Storia sociale degli odori (Bruno Mondadori ed.), c'� stato nei secoli un abbassamento della soglia di tolleranza olfattiva per le puzze ambientali e umane. Invece, in una societ� che si pulisse a secco, saremmo probabilmente... meno schizzinosi sui mezzi pubblici e useremmo tutti penetranti profumi maschera-puzza. Il nostro odore non lo noteremmo nemmeno pi�, mentre oggi ci preoccupiamo appena sudiamo. "Il naso tende ad adattarsi agli odori e dopo un po' non li sente pi�: magari non ci farebbe pi� schifo il nostro fetore", aggiunge il dermatologo. Ora, per�, proviamo a spingere la nostra ipotesi pi� in l�. E se non ci lavassimo n� pulissimo in alcun modo? A lungo andare, oltre che un'offesa all'olfatto, non saremmo un bello spettacolo nemmeno per la vista, come fa notare Celleno: "A furia di accumulare detriti sulla pelle, dalle cellule morte allo sporco dall'esterno, avremmo un colorito spento e grigiastro". E i rischi andrebbero ben oltre la vita sociale. "I pori sarebbero dilatati e pi� visibili, e il sozzume accumulato creerebbe infiammazione e follicoliti, rendendoci brufolosi. Nelle zone pi� pelose questo porterebbe a grossi foruncoli infetti, mentre l'affollarsi di germi e secrezioni nelle zone genitali aumenterebbe il rischio di infezioni da batteri, virus e funghi". Con la pelle infestata da batteri, ogni minima ferita sarebbe a rischio infezione. Non solo. All'inizio abbiamo detto che senza lavarci non moriremmo, ma con qualche distinguo. Infatti, oggi sappiamo bene che l'igiene � fondamentale per evitare la diffusione di molte malattie. Non lavarsi le mani pu� trasferire germi pericolosi: lo fece notare il medico ungherese Ign�c Semmelweis. La febbre puerperale che uccideva le partorienti nel suo reparto all'ospedale di Vienna, scopr�, era "portata" dai medici che prima facevano autopsie e poi visitavano le pazienti. L'obbligo di lavarsi le mani, che introdusse nel 1847, fece calare moltissimo le morti. Passando a qualcosa di pi� frivolo, dovremmo pure dire addio ai sandali in estate: i piedi sarebbero inguardabili, perch� colonizzati da funghi su pelle e unghie (e sarebbero pure una bomba a orologeria per i genitali, perch� infilarsi le mutande potrebbe trasferire orde di germi dai piedi). Le zone cutanee pi� oleose come collo e retro delle orecchie, poi, attrarrebbero e "incollerebbero" a s� la sporcizia creando cumuli di sudiciume marroncini. Naturalmente, non laveremmo nemmeno i capelli: ecco allora nevicate di forfora, cellule della pelle morte non pi� rimosse. E furioso prurito. In pi� il grasso prodotto dal cuoio capelluto renderebbe la chioma unticcia e attrarrebbe polvere e inquinanti: in breve, ci ritroveremmo coi capelli opachi e impossibili da districare. Ma pure con occhi cisposi e afflitti dalla congiuntivite (senza lavarli le infezioni non li risparmierebbero) e una bocca che sarebbe meglio non aprire, e non solo per l'alito. "Se non ci lavassimo i denti il rischio di andare incontro a carie, gengiviti e altre malattie orali sarebbe altissimo", dice Celleno. Ma se non volessimo essere cos� drastici e scegliessimo di dire addio solo al sapone? "L'acqua da sola pu� portare via batteri e detriti, ma non elimina le secrezioni grasse dalla cute", boccia l'idea il dermatologo. Chiss�, potremmo recuperare lo strigile degli antichi Romani: un "raschietto" usato dagli uomini per portare via sudore, sporco e olio spalmato sul corpo. Poco convinti? Alla fine, visto che dall'800 abbiamo imparato l'importanza dell'igiene e che abbiamo l'acqua corrente, � decisamente meglio che la nostra rimanga solo una fantaipotesi. Quanto lavare gli abiti E se non abbandonassimo acqua e sapone, ma non lavassimo mai i vestiti? Dopo un po' sarebbero un ricettacolo di batteri? Alcuni s�: mutande e calzini, per esempio, andrebbero lavati dopo ogni uso perch� l� si "concentrano" i germi, che vi trovano l'ambiente caldo e umido ideale per proliferare. I jeans, invece, potremmo lavarli molto meno spesso: Rachel McQueen, della University of Alberta in Canada, ne ha fatti indossare un paio a un suo studente per quindici mesi di fila (venivano puliti con un panno solo eventuali schizzi di cibo) e poi ha testato il livello di batteri. Ha scoperto che ce n'erano in quantit� paragonabile a quelli trovati su pantaloni portati per tredici giorni. Cambiando le mutande quotidianamente, infatti, lo studente aveva tolto di mezzo il grosso dei batteri. Il problema semmai sarebbe l'odore, perch� i tessuti assorbono afrori vari e lavarli serve anche a far tornare gli abiti profumati. Inoltre, il lavaggio elimina i residui di pelle morta che si depositano sui tessuti e che sono per esempio il maggior problema sulle lenzuola. Buona parte delle 40.000 cellule morte della pelle che perdiamo ogni giorno, infatti, vanno l� e diventano cibo prediletto degli acari: cambiare le lenzuola una volta a settimana serve a ridurre i detriti umani e il proliferare degli acari. Woodstock: pace, amore e musica (di Pino Casamassima, "Focus Storia" n. 155/19) - Il leggendario Festival, esattamente 50 anni fa, rese popolare il movimento hippy e diede voce al sogno di libert� di una generazione - Bethel, 15 agosto 1969, ore 17:07: Richie Havens, chitarra in mano, sale sul palco. Ha 28 anni, � afroamericano e canta sotto un sole cocente il suo grido di libert�: Freedom. Il pi� importante concerto rock di tutti i tempi ha avuto inizio. Da mezzo secolo, cio� dal ferragosto del 1969, il termine Woodstock non identifica pi� un luogo fisico, ma un evento che � diventato il simbolo della musica rock degli anni Sessanta e del movimento hippy. Pensato per durare tre giorni con lo slogan "Three days of peace and music", � passato alla Storia per l'inaspettato numero di partecipanti, per la vasta copertura mediatica, ma soprattutto per aver dato voce al sogno dei giovani americani di poter rendere il mondo un posto migliore, usando le armi della pace e dell'amore. Su quel prato non lontano da New York, sotto il sole prima e nel fango poi, 400-mila giovani (forse anche di pi�) vissero la loro utopia, e contagiarono il mondo intero. Tutto inizi� quando quattro ragazzi - John Roberts, Joel Rosenman, Artie Kornfeld e Mike Lang - pensarono di mettere in piedi uno studio di registrazione, pubblicando un annuncio sul New York Times e sul Wall Street Journal. Da l� si aggiunse l'idea di organizzare un festival rock che fungesse da lancio per l'apertura dello studio di registrazione. Fu quindi creata apposta una societ� - la Woodstock Venture - che nella primavera del 1969 affitt� per diecimila dollari un'area di oltre un kmq a Woodstock, nella contea di Orange (Stato di New York). Ma la comunit� locale non ne volle sapere di avere fra i piedi migliaia di capelloni e tutto naufrag�. Cos� nacque l'opzione Bethel: il festival si sarebbe svolto l�, una minuscola cittadina rurale a 70 km da Woodstock e 160 da New York, anche se con una spesa decuplicata. Le autorit� locali vollero essere rassicurate sul fatto che l'affluenza non avrebbe superato le 50-mila persone. Le rassicurazioni arrivarono, l'accordo si fece, i fatti furono ben diversi: i circa 6 ettari della tenuta vennero invasi da 400-mila ragazzi, che l� si accamparono alla bell'e meglio e vissero tre giorni di musica, sesso e Lsd. Organizzare un evento simile non fu impresa da poco. L'idea di far pagare un biglietto tramont� presto, divorata dal serpentone metallico di auto, moto, furgoni e furgoncini, biciclette, sidecar e camioncini che spazzarono via ogni ostacolo che si frapponeva a quello che si annunciava come il festival dei festival. A fronte della certezza di un devastante bagno economico, gli organizzatori nutrivano molte incertezze sulla possibilit� di diffondere in modo fedele il suono in uno spazio cos� grande. Come raggiungere anche quelli che erano distanti centinaia di metri dal palco? L'ingegnere del suono assicur� che tre trasformatori di corrente e 16 gruppi di altoparlanti avrebbero garantito una buona qualit� per almeno 200-mila spettatori. Spettatori che furono poi oltre il doppio, ma grazie al buon lavoro svolto, non ci furono problemi. I problemi, quelli veri, furono di altra natura, a cominciare da quelli sanitari e degli approvvigionamenti alimentari. Gli abitanti di Bethel erano inferociti per quell'invasione e l'unico cronista presente, Barnard Collier del New York Times, fu invitato da pi� parti a condannare dalle colonne del pi� autorevole giornale del mondo quel raduno senza controllo, dove circolavano impunemente droga e sesso libero. Per non dire dei disagi causati per una viabilit� sconvolta e intasata. Ma Collier and� per la sua strada e nella sua narrazione sottoline� come quelle parole, "pace e musica", fossero state rispettate per tutti i tre giorni. Gli unici incidenti registrati furono la morte per overdose di un eroinomane e quella di un giovane investito da un trattore mentre dormiva in un campo. Per contro, ci furono due nascite. Insomma, tutto fil� liscio, considerando il mezzo milione di persone riversatosi nella propriet� di Max Yasgur, che in una intervista spese belle parole per i ragazzi di quella nuova giovent�. "Se ci ispirassimo a loro", disse, "potremmo superare i veri problemi dell'America". Iconograficamente, il Festival di Woodstock � rappresentato da Jimi Hendrix, il pi� grande chitarrista di tutti i tempi, che si esib� alle prime luci del luned�, cio� in una coda non prevista della tre giorni, mentre il popolo rock smobilitava. Jimi chiuse la kermesse con una versione dissacrante dell'inno americano: due ore di esplosioni e lamenti riprodotti dalla sua chitarra che imitava il fragore delle bombe che stavano sconvolgendo il Vietnam. Sarebbe morto poco pi� di un anno dopo. L'onda d'urto della kermesse si diffuse in modo clamoroso grazie al documentario di Michael Wadleingh Woodstock - Tre giorni di pace, amore e musica, che raccont� quel festival in oltre tre ore di montaggio e ricco di interviste e aneddoti. In Italia, in un tempo segnato ancora da una televisione in rigoroso bianco e nero e due sole reti Rai, quel film rappresent� una sorta di educazione sentimentale per molti teenager dell'epoca. Per la prima volta si ebbe modo di "vedere" dal vivo, cio� in modo dinamico e non solo in fotografia, le star della musica internazionale che incarnavano le nuove tendenze musicali e culturali. Per i giovani italiani che, come gli altri dei Paesi occidentali, stavano vivendo il loro Sessantotto, Woodstock rappresent� l'atto di chiusura di un'epoca, non il trampolino verso una nuova. Pochi mesi dopo, il 12 dicembre 1969, la strage di Piazza Fontana inaugur� quella che sarebbe passata alla Storia come strategia della tensione. Sotto quella bomba morirono 17 persone e i sogni "peace and love" di una generazione di italiani. Avocado, esotico frutto del benessere ("RivistAmica" n. 9/17) - Sempre pi� apprezzato per la sua polpa dal sapore delicato, � un vero e proprio elisir di lunga vita - Fino a qualche anno fa la maggior parte degli italiani non conosceva in maniera approfondita l'avocado, considerandolo uno strano frutto esotico, simile a una pera, ma con la buccia verde e coriacea. Oggi, invece, sono in molti a consumarlo regolarmente, apprezzandone la polpa gialla dal sapore delicato e le numerose propriet� benefiche per l'organismo. L'albero dell'avocado � originario del Messico e si � poi diffuso nell'America centro-meridionale e in altri Paesi dal clima tropicale. La sua storia risale a pi� di 5-mila anni fa e il nome deriva dal termine azteco ahuacati. Le popolazioni precolombiane consideravano l'avocado particolarmente afrodisiaco ed erano soliti chiamarlo "frutto dell'amore" o "frutto degli dei". Negli Stati Uniti, invece, si parla di alligator pear, giocando sulla somiglianza tra la scorza e la pelle del coccodrillo. Considerato una sorta di "elisir di lunga vita", l'avocado rientra a pieno titolo tra i cosiddetti "cibi smart" che ci mantengono in salute. In primo luogo, la sua polpa � ricca di magnesio e potassio, due minerali che regolano la pressione sanguigna. Inoltre � un'ottima fonte di fibre e vitamine, come A, B, C, E, K. La ricchezza di beta-carotene e glutatione lo rende anche un valido sostegno per proteggersi dai raggi solari e dall'invecchiamento della pelle. Va precisato, per�, che i carotenoidi e altre sostanze nutrienti sono concentrati soprattutto nella parte verde, situata proprio sotto la buccia. Il modo migliore per aprire un avocado � quindi tagliarlo a met� con un coltello seguendone l'asse pi� lungo, eliminare il nocciolo e poi sfilare la buccia con le dita, cos� da ridurre al minimo gli scarti. Una convinzione diffusa ma infondata � che l'avvocado faccia ingrassare. � vero che si tratta di un frutto abbastanza calorico (intorno alle 160 kcal per 100 g), ma i grassi che contiene sono prevalentemente monoinsaturi, quelli che fanno bene al cuore. Di contro, la quantit� di zuccheri � minima e l'indice glicemico risulta basso, evitando cos� la stimolazione dell'insulina, l'ormone che regola il processo che trasforma in grasso le calorie in eccesso. Da ricordare, infine, le preziose propriet� antinfiammatorie e protettive: in particolare l'avocado riduce i livelli di colesterolo nel sangue e preserva il fegato dai danni delle tossine. Tutto questo in un alimento facilmente digeribile che pu� quindi essere consumato anche da bambini e anziani. Un'altra parola chiave � versatilit�. L'avocado, infatti, si presta a molti abbinamenti per piatti leggeri e mai banali. Pu� essere aggiunto all'insalata, conferendole un sapore assai particolare: un grande classico � quella con avocado e salmone, ma anche quella in cui questo frutto si accompagna al pollo. La ricetta simbolo � per� il guacamole, una salsa messicana che prevede anche cipollotti, peperoncino, lime, sale e pepe. L'avocado, poi, � ottimo per la preparazione di zuppe, come quella di avocado e coriandolo, mentre nei panini rende pi� morbida la farcitura. Per una pausa pranzo nutriente si pu� preparare un panino con lattuga, pomodoro e avocado. Avignone: nel cuore della Provenza in fiore ("RivistAmica" n. 7/19) - La "citt� dei Papi" racchiue monumenti, architetture e testimonianze affascinanti di un passato che, insieme allo scenario bucolico in cui si inserisce, attira ogni anno migliaia di turisti - La Provenza nell'immaginario dei viaggiatori � luce e colori. La luce del sole che illumina lo spettacolo variopinto di distese di campi fioriti, dove a spiccare � soprattutto il blu-violetto della lavanda, prodotto tipico di queste terre. Uno scenario che ha catturato alcuni dei pi� grandi artisti del secolo scorso che hanno rappresentato la bellezza dei paesaggi provenzali su tele divenute capolavori, da Van Gogh a Cezanne. Ed anche se non � il clou della stagione delle fioriture, settembre, quando il turismo di massa della piena estate � venuto meno, � un ottimo momento per scoprire questa zona in un viaggio perfetto per tutta la famiglia. E tra le tante perle della Provenza si pu� scegliere Avignone, centro relativamente piccolo ma dove la Storia si respira a ogni passo. Il centro storico di Avignone � stato inserito nel Patrimonio dell'Umanit� dell'Unesco, a partire da una struttura che rimanda al periodo di maggior splendore della citt�, quello della cosiddetta "Cattivit� Avignonese", quando il centro francese divent� addirittura sede del Papato tra il 1309 e il 1377. A testimoniarlo � l'imponente Palazzo dei Papi, costruito in meno di 20 anni a partire dal 1335 e che ancora oggi domina la citt�. Si tratta di uno dei pi� imponenti palazzi gotici occidentali con cortili e torri difensive che ne rivelano le diverse destinazioni: oltre 100-mila mq per uno spazio sterminato, con oltre 20 ambienti che sono ancora oggi aperti al pubblico, tra i quali le sale delle udienze, quelle di gala, gli appartamenti privati del Papa e una serie di cappelle. Molte di queste stanze sono impreziosite da affreschi di pregio, come quelli di Matteo Giovannetti. A fare da complemento al complesso del Palazzo dei Papi sono una serie di altri notevoli monumenti che rendono unico il centro di Avignone. Poco distante si erge infatti la Basilica di Notre Dame des Doms, sormontata da una statua dorata della Vergine che si innalza verso il cielo: costruita nel XII secolo, fu modificata da una serie di interventi successivi, con l'aggiunta ad esempio di alcune cappelle in stile gotico. Come il Palazzo dei Papi, grazie alla sua posizione rialzata sul cosiddetto Rocher De Doms (sede anche di uno splendido giardino), offre anche una suggestiva vista sulla Valle del Rodano, il fiume che attraversa la citt�. Proseguendo si raggiunge poi il Petit Palais, la cui costruzione inizi� nel 1317 come residenza vescovile per poi estendersi con ulteriori lavori nel XIV e XV secolo. � una tappa imperdibile per tutti gli appassionati d'arte anche perch� ospita un museo di grande spessore con opere di maestri della scuola italiana e francese, come Botticelli. Scendendo verso il fiume si incontrano poi i bastioni fortificati che circondano la citt� e si giunge infine a un altro simbolo di Avignone: il ponte Saint Benezet. Reso famoso anche dalla canzone "Sur le pont d'Avignon", della sua particolarissima architettura che univa un tempo le due sponde del corso d'acqua, con una lunghezza di circa 900 metri, sopravvivono oggi quattro delle 22 arcate originarie, che sostengono una porzione di struttura visitabile e che ospita anche una cappella dedicata a San Nicola. La leggenda della nascita del ponte La costruzione del ponte Saint Benezet � legata a un racconto tradizionale riguardante anche il suo nome. Secondo la leggenda fu infatti un giovane pastore, Benezet appunto, a cui una voce di origine divina ordin� di erigere la struttura ad Avignone. Il ponte fu completato nel 1185 e a quel tempo costituiva l'unica via per attraversare il Rodano tra Lione e il Mediterraneo. Nel corso dei secoli fu pi� volte smantellato e ricostruito, anche a causa degli effetti disastrosi delle piene del fiume, fino ad essere abbandonato nel corso del XVII secolo. Il museo della lavanda Per conoscere la storia, le caratteristiche e la lavorazione del prodotto pi� noto dei campi provenzali pu� essere utile una tappa al Museo della Lavanda (www.museedelalavande.com), che sorge in localit� Coustellet all'interno del Parco del Luberon. Strutturato come una tenuta tradizionale della zona, � stato fondato da Georges Lincel� (appartenente a una storica famiglia di coltivatori e distillatori), che voleva salvaguardare il valore di questo prodotto, con particolare attenzione alla cosiddetta lavanda "fine", che cresce sulle alture provenzali, al di sopra degli 800 metri d'altezza, � di piccole dimensioni e ha un solo fiore per ogni gambo. Tra le particolarit� dell'esposizione, oltre a testimonianze documentaristiche, una ricca collezione di alambicchi in rame per la distillazione e di materiale legato alla produzione di profumi. BoomDaBash: la band pugliese che ha conquistato l'Italia (di Alessandro Alicandri, "Tv sorrisi e canzoni" n. 34/19) Quando i BoomDaBash hanno fatto capolino all'ultimo Festival di Sanremo con il brano "Per un milione" la loro carriera, gi� piuttosto avviata, ha spiccato il volo. Il quartetto � arrivato ancora pi� in alto grazie a "Mambo salentino", in duetto con Alessandra Amoroso. Con lei hanno conquistato di nuovo le radio, le piste da ballo e i cuori degli italiani. Li abbiamo incontrati sul lungomare di Alassio, in Liguria, nel bel mezzo del loro lungo tour che sta toccando le principali localit� di villeggiatura. "Fino all'ultimo non eravamo sicuri se far ascoltare "Mambo" o aspettare, perch� il successo di "Per un milione" era ancora forte dopo cinque mesi" racconta il cantante Biggie Bash. "Insomma, ci siamo presi un rischio" aggiunge Ketra "ma amiamo rischiare". E cos�, i BoomDaBash hanno fatto centro con un brano che dura solo due minuti e mezzo. "L'abbiamo persino allungato di qualche secondo sul finale, si nota, vero?" aggiunge Ketra. "Poi per� ci siamo accorti che proprio per la sua brevit� fa venire voglia di ascoltarlo di nuovo". I BoomDaBash non si fermano da tanto tempo, pi� o meno da quando a inizio 2018 hanno lavorato con Loredana Bert� per "Non ti dico no". Ma il loro momento d'oro � arrivato proprio adesso. "Mai come quest'anno dopo il Festival abbiamo "conquistato" il nord Italia" spiega Blazon. "E proprio al Nord ci � successa una cosa che di solito succede solo a Vasco... ovvero il lancio di abbigliamento intimo sul palco!". Il loro pubblico, per loro stessa definizione in dialetto, � "fore de capo", ovvero fuori di testa. "Una ragazza si � tatuata da poco il titolo di una nostra canzone" dice Pay�. "I fan lo fanno per tanti, ma lei se l'� tatuato sul volto". Di cose bizzarre nel mondo dei BoomDaBash ne succedono parecchie, ma le migliori sono arrivate proprio dal Festival. "Noi fino a febbraio non eravamo abituati alle interviste, alle foto e nemmeno ai regali" spiega Biggie Bash mentre si accarezza la testa calva. "Magari era uno scherzo, ma ho ricevuto in hotel un grande kit per tagliarmi i capelli...". Quando chiedo ai ragazzi se ci sono differenze nell'accoglienza che ricevono nelle diverse localit� d'Italia, risponde Ketra: "In realt� no, la nostra idea e che ogni italiano nel cuore abbia un po' di anima del Salento, magari nascosta da qualche parte" dice. "Ecco, il nostro compito � tirarla fuori e non ce ne andiamo finch� non vediamo la gente liberarsi da ogni timidezza". Non � facile, ma ci riescono da sempre. "Agli inizi facevamo feste in spiaggia in Puglia per 30 persone" spiega Blazon. "Facevamo quasi solo "dancehall", un genere che si basa sul puro divertimento: � cos� che negli anni abbiamo imparato a far ballare tutti, anche chi non ha voglia di ballare". Se leggete i loro testi per�, non confondono mai la leggerezza con la banalit�. "Essere salentini per noi vuol dire anche portare dei valori di uguaglianza e rispetto delle diversit�" dice Pay�. "Quei valori li spieghiamo in modo semplice alle persone". Tra i loro fan non a caso ci sono anche i bambini. "� una novit� inaspettata per noi" spiega Biggie Bash. "Ogni giorno vediamo tanti piccoli fan ai nostri concerti, questo vuol dire che riusciamo a parlare a tutti e penso sia un po' il segreto del nostro attuale successo". Prima di salutarci, mi raccontano che da ottobre faranno un piccolo periodo di vacanza. "Da sempre lavoriamo come chi fa le stagioni estive nei luoghi del turismo" dice Pay�. "Per la nostra musica � il momento pi� bello: ci possiamo esibire dovunque nell'unico periodo in cui le persone vivono come se fosse sempre sabato". Biggie Bash aggiunge: "Noi vogliamo essere l� in quel preciso momento perch� convinti che oggi pi� che mai non siano le canzoni a raccontare il tuo successo, ma la soddisfazione delle persone quando vengono sotto il tuo palco". Ci salutiamo tra vari abbracci dandoci appuntamento al concerto. Dopo due ore di canzoni nella zona portuale di Alassio, noi del pubblico torniamo a casa percorrendo il lungomare della citt�. Ripenso a quello che ho appena visto: hanno parlato del loro sentirsi felici "terroni", che al di l� delle connotazioni negative del passato significa "legati alla terra". Hanno mostrato i volti di alcuni giovani ricoverati a Brindisi ai quali i quattro hanno portato la loro allegria. Hanno persino inviato un video a Loredana Bert� durante "Non ti dico no" perch� lei ama sentir cantare il brano realizzato con lei. Mentre penso a queste cose, un po' sudato per la serata scatenata, tra le strade risuonano ancora le voci dei bambini venuti al concerto. Cantano tutti "Mambo salentino", ballando felici senza musica di sottofondo. Missione compiuta.