Settembre 2020 n. 9 Anno L MINIMONDO Periodico mensile per i giovani Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registrazione 25-11-1971 n. 202 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Pietro Piscitelli Massimiliano Cattani Luigia Ricciardone Copia in omaggio Rivista realizzata anche grazie al contributo annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del MiBACT. Indice Srebrenica: massacro a sangue freddo I no che aiutano i figli a crescere La voce: emozioni sulle corde L'epopea di "Via col vento" Fichi, la dolcezza di fine estate La rinascita del Borgo Selvapiana Takagi & Ketra: divertimento e tanto ritmo per fare ballare la gente Srebrenica: massacro a sangue freddo (di Riccardo Michelucci, "Focus Storia" n. 166/20) - 25 anni fa 8-mila uomini e ragazzi bosniaci musulmani vennero trucidati dai serbi. Un frutto dell'odio nazionalista, che rievochiamo con chi c'era - Venticinque anni fa la cittadina bosniaca di Srebrenica, arroccata sulle montagne al confine con la Serbia, divenne il teatro dell'unico genocidio perpetrato in Europa dopo la Seconda guerra mondiale. Dopo un lungo assedio iniziato nel 1992, la citt� cadde e venne occupata dai gruppi paramilitari serbi e dalle forze della Repubblica serba in Bosni, sotto il comando del generale Ratko Mladic. Tra l'11 e il 25 luglio 1995 oltre 8-mila bosniaci musulmani, in grande maggioranza uomini e ragazzi sopra i 14 anni, vennero deportati, uccisi (spesso dopo aver subito torture) e sepolti in fosse comuni. Fu un massacro apparentemente privo di intenti strategici e motivazioni belliche: il conflitto in Bosnia era quasi finito e i nazionalisti serbi avevano gi� raggiunto i loro obiettivi, creando uno spazio etnicamente ripulito lungo il confine segnato dalla valle del fiume Drina. Nel 1993 l'enclave di Srebrenica era stata dichiarata "zona protetta" dall'Onu. Eppure, nel momento decisivo, i caschi blu olandesi chiamati a proteggere i civili non intervennero, per motivi e circostanze mai del tutto chiarite. La lista ufficiale delle vittime di quei giorni - compilata dalla Commissione bosniaca per le persone scomparse - contiene i nomi di 8.372 musulmani bosniaci. Quel massacro fu il tragico epilogo di una lunga guerra che si concluse alcuni mesi pi� tardi con la firma degli accordi di pace di Dayton. Ma dal momento che i nuovi assetti territoriali stabilirono che l'area di Srebrenica sarebbe diventata parte dell'entit� serba della Federazione di Bosnia-Erzegovina, molte delle ferite formatesi durante il conflitto sono rimaste aperte. Nel 2004 i giudici del Tribunale internazionale dell'Aja per l'ex Iugoslavia hanno stabilito ufficialmente che a Srebrenica fu compiuto un genocidio. Negli anni successivi, dopo aver analizzato una gigantesca mole di testimonianze, documenti e capi d'accusa, il tribunale dell'Aja ha emesso una serie di sentenze di condanna a carico dei principali colpevoli. Ma la maggior parte dei soldati che si sporcarono le mani di sangue sono rimasti impuniti. Molti vivono liberi a Srebrenica e alcuni lavorano addirittura nella polizia locale. Una pena continua per i sopravvissuti e per i parenti delle vittime. Srebrenica � ancora oggi prigioniera del proprio passato. � un luogo rigidamente diviso su basi etniche, dove gran parte della popolazione nega quant'� accaduto un quarto di secolo fa o fatica a distinguere le vittime dai colpevoli. I sopravvissuti al genocidio sono costretti a convivere con la memoria di quei giorni e a confrontarsi con una ricostruzione morale e materiale che ancora stenta a decollare. Prima della guerra la citt� aveva 37-mila abitanti, ora se ne contano poco meno della met� e sono divisi da profondi rancori. Le iniziative di riconciliazione nate in questi anni per riavvicinare serbi e musulmani non sono riuscite a ricostruire un tessuto sociale che appare irrimediabilmente distrutto. Lo si percepisce dagli sguardi degli abitanti e dall'atmosfera surreale che si respira nelle strade, dove i segni della guerra sono ancora ben visibili, con molti palazzi distrutti dalle bombe e mai ricostruiti. "Il processo di riconciliazione continua a essere ostacolato dalle ideologie nazionaliste che gettano sale sulle ferite di un dramma cominciato molto tempo prima di quello che il mondo ricorda", spiega Hasan Hasanovic, un sopravvissuto, che lavora al centro di documentazione del memoriale di Potocari, nell'area dell'ex base Onu, pochi chilometri da Srebrenica. Ogni anno � qui che si svolgono le commemorazioni del genocidio e le tumulazioni delle nuove vittime rinvenute nelle fosse comuni e identificate dal complesso lavoro degli antropologi forensi. Hasan ripercorre per noi le tappe che portarono all'eccidio. "L'assedio dei nazionalisti serbi alla citt� inizi� tre anni prima del genocidio. Uno dei momenti pi� terribili fu un giorno di primavera del 1993, il 12 aprile. Le Nazioni Unite avevano appena negoziato un cessate il fuoco, la popolazione si illuse di poter tirare il fiato e molti bambini della scuola elementare cittadina uscirono a giocare a calcio nel cortile. Ma all'improvviso iniziarono a piovere granate dalle montagne circostanti. Una colp� in pieno il campo da gioco uccidendo 56 persone, tra cui molti bimbi". Da l� ebbero inizio i due anni d'inferno che culminarono nella mattanza dell'estate 1995. "In quei giorni di luglio, subito dopo la caduta della citt�, gli uomini vennero separati dalle donne e dai bambini piccoli, caricati su camion e pullman e portati nelle scuole e nelle fabbriche, dove vennero torturati e assassinati senza piet�. I loro corpi furono sepolti nelle fosse comuni e poi dissotterrati e sepolti di nuovo in altre fosse nel tentativo di rendere i loro resti irriconoscibili", ricorda Hasan, che all'epoca non aveva ancora vent'anni e riusc� a salvarsi per miracolo partecipando a quella che � stata chiamata "la marcia della morte". Migliaia di profughi scapparono nei boschi per raggiungere a piedi la citt� di Tuzla, a oltre un centinaio di chilometri di distanza. "Ricordo tutto di quei giorni terribili. Le grida di terrore, gli spari, il caos, il rumore degli altoparlanti con cui i serbi cercavano di ingannarci con promesse di cibo e sicurezza. La colonna di fuggitivi fu attaccata pi� volte e molti di noi furono catturati e uccisi sul posto. Eravamo sfiniti ma qualcosa dentro di me continuava a ripetermi di non mollare, nel tentativo disperato di sopravvivere. All'improvviso persi di vista i miei parenti, avrei voluto cercarli ma sapevo che se mi fossi fermato sarebbe stata la fine". Dopo sei giorni ininterrotti di cammino, scampando alle granate, ai colpi di mortaio e alla feroce caccia all'uomo scatenata dalle truppe e dai paramilitari serbi, Hasan arriv� nella citt� libera di Tuzla, dove trov� la salvezza. Ma all'appello mancavano suo fratello, suo padre e suo zio, che non riuscirono a concludere quella marcia. "Ci volevano ammazzare tutti. Ai nostri carnefici non interessava il fatto che ci fossimo arresi, che fossimo disarmati. Una seconda colonna di profughi, che fugg� dopo di noi, venne circondata e ammassata nel bosco. Furono tutti uccisi a colpi di fucile e artiglieria pesante". Anche Omer Dudic scamp� alla morte quasi per miracolo, fuggendo attraverso i boschi e camminando per decine di chilometri a piedi nudi. Oggi fa il contadino a Osmace, un villaggio a poca distanza da Srebrenica immerso tra le verdi campagne che circondano la valle della Drina, al confine tra la Bosnia e la Serbia. "Non ho mai smesso di cercare i miei parenti morti in quei giorni. Due anni fa sono riuscito finalmente a tumulare i resti di mio fratello e di mia cognata, riconosciuti grazie all'analisi del Dna". A Srebrenica le notizie delle condanne dei principali responsabili del genocidio sono arrivate negli anni come un'eco distante, che non � bastata a lenire le sofferenze dei sopravvissuti e dei parenti delle vittime. N� a fermare la lotta per la verit� contro i continui tentativi di revisionismo. "Sapere che Karadzic e Mladic finiranno i loro giorni in carcere � una magra consolazione", ammette Omer, "perch� i politici di oggi continuano a minimizzare e a inquinare la vita di tutti i giorni. Molti di noi temono che prima o poi quel passato possa ritornare". � anche per avere finalmente giustizia che Fadila Efendic � tornata a Srebrenica, alcuni anni fa. Nel genocidio ha perso il marito e un figlio adolescente, ma nonostante il trauma ha trovato la forza di ricostruirsi una vita aprendo un piccolo negozio di fiori davanti al cimitero di Potocari. Per le tante vedove come Fadila e per tutti i sopravvissuti, chi continua a negare il genocidio alimenta un dolore che non si � mai sopito. Di fronte al suo negozio si spalanca a perdita d'occhio l'area del memoriale, una gigantesca distesa verde punteggiata da migliaia di lapidi bianche. "Io non ho paura", ci confessa. "Sono quelli che negano ci� che � avvenuto venticinque anni fa e coprono gli esecutori del massacro, a dover avere paura. Ma la verit�, prima o poi, � destinata a venire a galla fino in fondo". Soltanto allora le vittime di Srebrenica avranno finalmente giustizia e potr� dirsi conclusa una delle pagine pi� nere della storia del Novecento. Colpevoli 1. Radovan Karadzic: ex leader dei serbi di Bosnia, fu uno dei principali artefici della mattanza degli Anni '90 nei Balcani: arrestato nel 2009 dopo 13 anni di latitanza, � stato condannato all'ergastolo per il genocidio di Srebrenica. 2. Ratko Mladic: ex generale comandante in capo dei serbi di Bosnia. Latitante fino al 2011, � stato processato e condannato all'ergastolo dal tribunale dell'Aja. 3. Ljubisa Beara: alto ufficiale dell'Armata popolare serbo-bosniaca, ebbe da Mladic l'ordine di organizzare e dirigere lo sterminio e poi di far sparire i corpi di migliaia di persone nel pi� breve tempo possibile. 4. Radislav Krstic: comandante del Corpo della Drina, condannato a 46 anni di carcere per il ruolo svolto nel massacro. 1995: Annus horribilis Fuori dalla Bosnia i terribili fatti di quella primavera-estate del 1995 giunsero come un'eco lontana, di cui non si riusciva a comprendere la drammaticit�. Anche perch� da alcuni mesi il mondo stava affrontando una grave ondata di terrorismo interno e internazionale. Alla fine di aprile gli Stati Uniti furono sconvolti dal pi� sanguinoso attentato subito prima dell'11 settembre 2001: la strage di Oklahoma City (168 morti), compiuta da Timothy McVeigh, un veterano della Guerra del Golfo. Alcune settimane prima, una setta religiosa giapponese aveva attaccato la metropolitana di Tokyo con il Sarin, un gas nervino, che aveva provocato 13 morti e oltre 6-mila intossicati. Ma il 1995 fu un anno nefasto per le metropolitane: furono attaccate anche quelle di Parigi e di Baku (capitale dell'Azerbaigian). Nella capitale francese in luglio scoppi� un ordigno messo nella stazione di St. Michel da terroristi algerini, che provoc� 9 morti; a Baku, una bomba o un guasto (non fu chiarito) uccise 337 persone. E il 28 maggio, un terremoto colp� l'isola russa di Sakhalin, facendo 2-mila vittime. I no che aiutano i figli a crescere ("RivistAmica" n. 7/20) - Bambini e ragazzi hanno bisogno di limiti chiari e definiti. Imparare ad affrontare i rifiuti � fondamentale per diventare adulti equilibrati e sereni - Spesso � pi� facile assecondare i desideri, i capricci dei figli piuttosto che contrastarli con una risposta negativa. Dire no, infatti, genera sempre una contrapposizione e, in un certo senso, una frattura. Eppure, porre dei limiti ai bambini e agli adolescenti � l'unico modo per garantire loro un corretto sviluppo e la capacit� di affrontare serenamente la vita adulta, come spiega la psicoterapeuta infantile Asha Phillips nel noto libro "I no che aiutano a crescere" (1999). "Per affrontare il tema � necessario partire dal contesto", spiega la dottoressa Chiara Maggiolini, pedagogista clinico e presidente dell'Associazione Sviluppo Educativo di Varese. "Il ruolo dei genitori � cambiato rispetto al passato, anche in relazione ai mutamenti della societ�. Superato il periodo di privazione che ha caratterizzato il dopoguerra, i genitori hanno iniziato a dare sempre di pi� ai propri figli. Nel giro di 3-4 generazioni siamo arrivati ad un eccesso in senso opposto: oggi sembra quasi impossibile dire di no". Inoltre, il ruolo di madre e padre appare molto meno definito di un tempo: "Quasi sempre entrambi i genitori lavorano e i figli vengono affidati ai nonni, creando una sovrapposizione di funzioni. Tutto questo genera instabilit�, che si somma alla stanchezza con cui spesso si arriva a fine giornata: dire di s� � decisamente pi� facile che ingaggiare una lotta genitori-figli. Spesso, inoltre, si tende a rimandare o a delegare le situazioni di potenziale conflitto con frasi tipo: "ci penseremo poi" o anche "se ne occuperanno gli insegnanti a scuola". Inutile dire che questo atteggiamento � comprensibile ma non utile all'educazione". "Come abbiamo spiegato, dire no per un genitore � spesso faticoso. Ma avere la consapevolezza che questo processo fa parte della crescita dei nostri figli pu� aiutarci. Bisogna sempre tenere a mente che una singola circostanza spiacevole contribuisce a generare una situazione generale di benessere e stabilit�. Il dialogo tra coniugi fa la differenza: sia dalla madre che dal padre devono arrivare le stesse indicazioni, la coppia deve esprimersi con una sola voce. E se nell'educazione dei figli sono coinvolti anche i nonni, dovranno essere inclusi anche loro nella scelta della direzione da seguire". Un buon metodo � anticipare i confini. "Se, ad esempio, portate vostro figlio al supermercato, spiegategli prima di uscire che potr� scegliere una sola cosa da acquistare, non di pi�. E mantenete quanto affermato: un grave errore educativo � cedere se il capriccio continua o cresce d'intensit�". Perch� � importante dire no "I no aiutano a crescere perch� pongono dei limiti. Se questi ultimi non vengono dati, o se giungono in maniera incostante e incoerente, il bambino non riesce a gestire le sue emozioni e le relazioni con gli altri. E tutto questo, alla lunga, determina un'incapacit� nell'accettare i rifiuti che, prima o poi, inevitabilmente arrivano dal mondo esterno", afferma la dottoressa Maggiolini. Inoltre, un no stimola la capacit� di desiderare e progettare: "Il bambino affronta il fatto che in quel momento il suo desiderio non pu� essere soddisfatto e inizia a programmare azioni che possano portar a raggiungere il suo obiettivo in futuro. Come comportarsi con i figli adolescenti Come reagire alle richieste tipiche dell'adolescenza? "Prima di tutto, prendete tempo: la maggior parte delle domande non necessitano di una risposta immediata. Parlatene con l'altro genitore, valutate insieme pro e contro e poi comunicate la vostra decisione, mantenendo assoluta fermezza, ma legittimando e accogliendo le emozioni negative di vostro figlio. Come? Ad esempio con una frase del tipo: "Capisco che tu sia molto deluso, ma in questo momento non � possibile". � importante che il ragazzo non metta mai in dubbio l'affetto e la presenza dei genitori, anche in caso di una trasgressione, ma che sia consapevole dei limiti che sono stati posti e del loro peso". La voce: emozioni sulle corde (di Emanuela Cruciano, "Focus" n. 249/13) - Comunica sensazioni, erotismo, potere. � strumento di lavoro e arma di persuasione. Perch� le parole da sole valgono appena il 7% di ci� che diciamo - � proprio il caso di dirlo: la voce "parla". Dice quello che vogliamo dire, ma anche quello che terremmo volentieri nascosto. Seduce, ammalia, intimorisce, convince, emoziona. Per i politici � un potente mezzo di persuasione, per i cantanti � uno strumento musicale raffinato e flessibile, per gli attori un veicolo espressivo determinante quanto la presenza scenica. E, per tutti, � stato un importante motore evolutivo: solo l'Homo sapiens ha un apparato fonatorio tanto efficiente e flessibile da poter articolare vocali, consonanti e suoni. Con la faringe delle scimmie antropomorfe era possibile produrre solo suoni gutturali; la laringe del cugino Neanderthal, che pure aveva un linguaggio simile al nostro, non gli permetteva di pronunciare le vocali a, i e u. Con la voce, insomma, solo gli esseri umani possono fare meraviglie. A cominciare dalla parola, un'esclusiva che � stata determinante per la storia dell'uomo. Eppure, a livello comunicativo, � meno importante della voce stessa. "La parola vale solo il 7% di ci� che comunichiamo, mentre la voce (il tono, il volume, il ritmo e le pause) vale il 38%. Il restante 55% � condizionato dal linguaggio del corpo e dalle espressioni facciali" spiega il professore Franco Fussi, docente di Audiologia e Foniatria dell'Universit� di Ferrara. Il modo (la voce), conta dunque pi� della sostanza (parola). "A una frase possiamo attribuire significati molto diversi a seconda della situazione in cui viene formulata e del modo in cui viene pronunciata. Pensiamo alle parole "Non � possibile, non ora!": dette da un uomo a cui si � bucata una ruota della macchina o da due ex amanti che si ritrovano dopo diversi anni. Acquistano significati molto differenti" racconta Maria Rita Ciceri, direttore del Laboratorio di psicologia della comunicazione dell'Universit� Cattolica di Milano. "Ogni voce ha una gamma e una media di tonalit� e intensit� tipiche, nonch� elementi timbrici distintivi: la combinazione di questi elementi ci fa identificare come autorevoli o deboli, freddi o disponibili, timidi o spavaldi ecc.. Una persona con la erre moscia, per esempio, viene percepita come competente. Una voce "vibrata" trasmette calore. Addirittura, dalla sola voce, siamo bravissimi a intuire peso ed et�!" Una capacit� che i piccoli cominciano a sviluppare prestissimo. Uno studio condotto dal Centre for Brain and Cognitive Development dell'Universit� di Londra ha dimostrato che le regioni cerebrali sensibili alla voce sono gi� specializzate e modulate dalle informazioni emotive dall'et� di sette mesi, mentre a 5 i bambini sono gi� in grado di distinguere un tono felice, arrabbiato o triste. La voce esprime emozioni in modo accurato; solo in rari casi, o se si parla sottovoce, l'ascoltatore sbaglia nel percepire il messaggio emotivo nascosto dietro le parole. Basta pensare agli attori, alla loro incredibile capacit� espressiva. Per interpretare un'emozione devono prima "sentirla" davvero, infatti imparano ad attivare nel proprio corpo la risposta fisica del sentimento che devono rappresentare. Ma, aldil� di quello che percepiamo spontaneamente dalla voce del nostro interlocutore, ci sono segnali che potrebbe tornare utile saper leggere. Le menzogne, per esempio: a chi non piacerebbe snidare i bugiardi? Da alcune ricerche condotte presso il Laboratorio di comunicazione e diffuse a livello internazionale, emerge che occorre distinguere fra cattivi mentitori e bravi mentitori. Spiega Ciceri: "Chi non sa dire frottole, nel momento in cui le formula � sottoposto a una tensione emotiva e cognitiva che gli fa commettere una serie di errori: fa numerose pause brevi e non coerenti con il contenuto, mantiene un volume di voce basso ma per la paura di mentire il tono diventa a tratti acuto. Inoltre interrompe spesso le parole a met�, o le ripete. Ai bravi mentitori non capitano questi incidenti, la loro voce � molto controllata, con un eloquio regolare, poche variazioni di tono. Questo � l'indizio che pu� permettere di smascherarli: la loro voce infatti risulta meno modulata della voce normale e assume in alcuni casi un eccesso di controllo che la fa percepire come metallica". Fra i temi pi� indagati dal Laboratorio c'� l'empatia, la capacit� di mettersi nei panni degli altri: "Curiosamente, empatia e seduzione hanno un aspetto in comune: in entrambi i casi la voce si avvicina a quella dell'altro, si sintonizza sugli stessi toni della persona con cui entra in rapporto o che intende conquistare. Per esempio, quando un adulto parla con un bambino utilizza una voce pi� acuta (infantile) nel tentativo di sintonizzarsi con lui (i piccoli hanno una frequenza maggiore). Viceversa, quando ci si distacca dall'altro o quando si vogliono rimarcare i ruoli diversi ci si allontana anche vocalmente. Il professore con l'allievo e il medico con un paziente ansioso avranno un tono pi� calmo e distaccato dei loro interlocutori." Viste le enormi potenzialit� espressive della voce umana (e le altrettanto enormi capacit� di percepirle), non stupisce che per molte professioni rivesta un'importanza fondamentale. Attori e cantanti, certo, ma anche i politici, i professori e in genere i relatori che devono parlare a una platea, tenerne desta l'attenzione e, se possibile, convincerla. "Per tutti la prima regola �: avere una voce persuasiva che cattura l'attenzione del pubblico. Accompagnate a una corretta prosodia (variazioni di frequenza, durata e intensit�) e un buon ritmo, che consiste, per esempio, nel saper sottolineare le parole chiave del discorso con la giusta alternanza di pause e intensit�" precisa Fussi. Catturano di pi� le voci calde e profonde perch� all'orecchio umano tutto quello che � basso viene percepito come intimo e familiare, dunque affidabile (quando si culla un bambino la voce non � mai acuta). Addirittura, gli uomini con la voce calda risultano pi� seducenti agli occhi dell'altro sesso, forse perch� questo tipo di tonalit� � collegata a un'alta presenza di testosterone (questo ormone nei maschi causa l'allungamento delle corde vocali che di conseguenza vibrano a frequenze sempre pi� basse). I politici sono i primi che dovrebbero coltivare il proprio modo di parlare. In Italia pochi lo fanno, ma in America sulla qualit� della voce - e dei discorsi - si giocano partite importanti. Da una recente ricerca dell'Universit� di Miami e della Duke University, � risultato che gli elettori danno pi� facilmente il proprio voto a candidati con la voce profonda. I ricercatori hanno scelto candidati ipotetici sulla base della loro voce e li hanno registrati mentre dicevano: "Vi chiedo di votare per me il prossimo novembre". Poi hanno manipolato le voci per farle diventare pi� basse o pi� acute. Risultato: le voci pi� profonde hanno catturato molti pi� consensi. E lo stesso vale in ambito aziendale. Uno studio della Duke University's Fuqua School of Business, condotto su 792 campioni di voce di altrettanti amministratori delegati, ha dimostrato che c'� una chiara correlazione fra voce profonda e successo sul lavoro. Ma � nel mondo dello spettacolo che la bellezza della voce diventa fondamentale. Il successo dei talent show canori (X Factor, The Voice of Italy, Amici, Io Canto) ha accentuato l'interesse, gi� notevole, degli italiani verso il canto. In questi programmi giudici, cantanti e vocal coach fanno a gara nel disquisire su intonazione, presenza scenica e artisti "che bucano". Ma cosa si intende esattamente per "bella voce"? Danila Satragno, cantante e vocal coach di molti artisti di successo, non ha dubbi: "Una bella voce � un insieme di cose: timbro particolare e riconoscibile, estensione vocale, intensit�. Paradossalmente, anche i difetti possono fare, in positivo, la differenza. Pensiamo alla voce nasale di Eros Ramazzotti; al graffiato di Zucchero; al cantato-parlato di Vasco Rossi. O ancora alle vocalit� inusuali di Malika Ayane e Giusi Ferreri, che riescono a creare suoni particolari in un range medio-acuto della voce. Un altro nome per tutti: Billie Holiday. Col passare degli anni, aveva poco pi� di sette note; la sua voce, rovinata da droga e alcol, era rauca, con buchi. Per� sapeva raccontare le storie con un'emotivit� tale che ha affascinato mezzo mondo". Tutte caratteristiche che sembrano innate e portano a pensare che l'arte del canto sia riservata a pochi. Ma non � cos�. Spiega Satragno: "Il vero discrimine � l'intelligenza. Questa professione richiede doti di introspezione, capacit� di controllare il corpo ed emotivit�, sensibilit�. Senza questo � difficile avvicinarsi al canto. Poi il controllo della voce si impara e anche gli stonati, coloro che non sanno adattare i suoni alla voce, si "aggiustano" (le sinapsi si ricostituiscono)". "Gli unici che proprio non possono cantare" ammette la vocal coach "sono le persone con poca musicalit�, cio� non in grado di codificare i suoni e gli intervalli. Ma sono davvero una minima parte della popolazione". Ma come si simulano le voci altrui? "Nel mio caso � frutto soprattutto della spontaneit�, in quanto riesco a cogliere i tratti vocali fondamentali. Ma, a volte, bisogna risentire una voce a lungo prima di imitarla perch� pu� avere un tono basso oppure un tono alto, soprattutto quando � arrabbiata, e spesso non ci si arriva. Per questo c'� bisogno di tanto esercizio" spiega David Pratelli, l'imitatore toscano che in pi� edizioni di Quelli che il calcio si � trasformato via via in Carlo Conti, Roberto Cavalli, Marcello Lippi, Giampiero Mughini... Il trucco sta nel cogliere e riprodurre il modo caratteristico di intonare un discorso che ogni persona ha. Poi viene contraffatto il timbro, cio� il tratto pi� definito dell'identit� vocale e ci� che distingue una persona dall'altra. L'epopea di "Via col vento" (di Giuliana Rotondi, "Focus Storia" n. 166/20) - La lotta tra nordisti e sudisti vista dagli sconfitti - Ha fatto sognare generazioni di ragazze. E assopire schiere di fanciulli. Uscito nel 1939 e vincitore di otto premi Oscar, Via col vento - 238 minuti di lacrime, battaglie e sospiri - � anche un affresco in celluloide della Guerra civile americana (1861-65), seppure progettato a tavolino dagli studios hollywoodiani per diventare campione di incassi. L'editore, prima ancora di pubblicare l'omonimo romanzo di Margaret Mitchell (1936), cerc� infatti un produttore disposto a portarlo sullo schermo. Trov� David Selznick, legato alla casa di produzione Metro-Goldwyn-Mayer, che compr� i diritti del libro per 50-mila dollari: una notizia che garant� al romanzo un successo strepitoso. Il successo del film (poi diretto da Victor Fleming) si deve in gran parte al romanticismo del racconto, alle ricostruzioni del "vecchio Sud" e a una fotografia ricca di pathos. Insomma, i grandi temi di Hollywood (amore e morte) intrecciati con la storia patria. Ma letta dal punto di vista sudista e con un finale aperto e molto americano, sintetizzato dalle parole del personaggio di Rossella O'Hara (Vivien Leigh) che di fronte al crollo dei suoi privilegi di giovinetta viziata del ricco Sud, dopo essere stata lasciata dal suo terzo marito (Rhett Butler, interpretato da Clark Gable) giura: "Trover� un modo per riconquistarlo. Dopotutto domani � un altro giorno". Lo "spirito da pionieri" non era evocato per caso. Il film - la storia della famiglia O'Hara e di Rossella, che davanti all'avanzare della guerra lotta per difendere, oltre all'amore, i suoi possedimenti - usc� alla vigilia della Seconda guerra mondiale. "Il paradosso � che mentre gli statunitensi si accingevano a intraprendere la loro prima "guerra giusta", contro il nazifascismo, Via col vento metteva in scena con un alone mitico l'America sudista e razzista, fatta di schiavi neri e guanti bianchi", spiega Paola Cristalli, autrice di Victor Fleming. Via col vento (Lindau). "L'opposto del Grande dittatore di Chaplin (1940) per intenderci, che a pochi mesi di distanza affront� tra risate e lacrime il peso della Storia in nome di valori libertari e progressisti". Il film adotta infatti il punto di vista degli Stati del Sud, la cui Confederazione dichiar� la secessione dagli Stati del Nord nel 1861. Mentre a Nord prendeva sempre pi� piede una rivoluzione industriale capitalistica, nel Sud prevalevano il latifondo e le coltivazioni di tabacco, canna da zucchero, mais e cotone. "Negli anni in cui � ambientato il film, al Nord la forza-lavoro era rappresentata dagli operai, liberi e salariati", spiega Tiziano Bonazzi, americanista dell'Universit� di Bologna. "Al Sud lavoravano invece schiavi afroamericani comprati come merce: fino a 250 nelle propriet� dei grandi latifondisti". La famiglia O'Hara � appunto una di queste. E Mamie, la domestica di Rossella, incarna tutti gli stereotipi razzisti (incluso il ricorrente "s� badrona"). Del resto, alla prima del film, ad Atlanta, l'attrice che la interpretava (Hattie McDaniel) non fu invitata. "A causa delle leggi segregazioniste ancora in vigore in Georgia sarebbe stata l'unica nera in una platea di bianchi", precisa Paola Cristalli. "Comunque anche nel Nord, nel 1860, gli abolizionisti erano solo una minoranza", aggiunge Bonazzi. "Lo stesso Lincoln, repubblicano e presidente dal 1860, aveva s� nel suo programma l'abolizione della schiavit�, ma gli interessava di pi� l'unit� nazionale. Fu per questo, pi� che per liberare gli schiavi, che quando i confederati proclamarono l'indipendenza per difendere i loro privilegi e il loro sistema produttivo, lui appoggi� la guerra". Tutti pensavano che sarebbe stata una guerra-lampo. Come si vede nel film, molti sudisti si arruolarono entusiasti nelle file del loro esercito. Certi della superiorit� tattica (c'erano veterani della guerra con il Messico, del 1846-48), ritenevano di sbaragliare i nordisti. Ma cos� non fu. Gli unionisti avevano l'appoggio europeo, armamenti moderni e una riserva di uomini superiore. I confederati si resero conto che la sconfitta era prossima nel 1864, anno della battaglia di Atlanta, episodio bellico al centro del film. L'incendio della citt� fu ricreato in studio dando fuoco alle scenografie di due precedenti film di Selznick (King Kong e Il giardino di Allah). Nella realt� a metterla a ferro e fuoco fu il generale unionista William Sherman. "La sua tattica era distruggere tutto. A partire dalle infrastrutture: industrie, ferrovie, centri abitati e latifondi. Una strategia di strangolamento cui il Sud riusc� a resistere strenuamente, al di l� di ogni aspettativa", spiega Bonazzi. La guerra si concluse l'anno dopo lasciando sul campo oltre 600-mila morti. La ricostruzione, negli ex Stati confederati, fu drammatica. Lo si racconta nella seconda parte del film. Tornata in una propriet� (Tara) ormai distrutta, Rossella trova la madre morta e il padre impazzito. "Il Sud � in ginocchio", le dice Ashley Wilkes, il suo primo grande amore. "La causa sta morendo e con lei il diritto a vivere nel passato". Ed � scendendo a compromessi (sposer� il ricco proprietario di una segheria) che Rossella riesce a riportare Tara agli antichi splendori. "La ricostruzione del Sud fu una fase delicata", spiega Bonazzi. "Il Nord impose la liberazione degli schiavi, ma molti di loro non seppero integrarsi nel nuovo mondo. E alcuni sudisti coltivarono il mito della "lost cause" (la "causa persa") convincendosi di essere i depositari dei veri valori americani e cristiani. Dio, secondo i pi� radicali, avrebbe fatto s� che perdessero la guerra per farli avvicinare all'ideale di Ges� sofferente. Vivevano in attesa di un riscatto: furono gli anni in cui nacque il Ku Klux Klan, di cui parla il romanzo, ma non il film". La ricostruzione si concluse con le elezioni del 1876. I nordisti proposero un patto: il Sud avrebbe votato il candidato repubblicano e loro avrebbero ritirato le truppe d'occupazione. "Gli storici parlano di "patto razziale": i sudisti da quel momento ebbero mano libera sugli ex schiavi, approvando una serie di leggi di segregazione abolite solo dal movimento per i diritti civili, negli Anni '60". I frutti della riconciliazione si raccolsero a inizio '900: la produzione di acciaio super� quella di molti Stati europei e le divisioni vennero accantonate con la Prima guerra mondiale in nome della comune percezione che la grandezza dell'America risiedesse nel valore dei suoi soldati. Stava nascendo il mito americano. "Un mito di cui Rossella O'Hara fu un'incarnazione vitale e funzionale con la sua determinazione, resistenza, fiducia in se stessa", conclude Paola Cristalli. "Per lei c'� "un altro giorno" perch�, come sentenzi� lo scrittore statunitense Francis Scott Fitzgerald, "c'� sempre un secondo atto per ogni vita americana"". Amore e guerra, trama perfetta Rossella O'Hara � figlia di un proprietario terriero del Sud. Ama Ashley, che sposa invece una cugina, Melania. Lei accetta l'offerta di matrimonio di uno spasimante, che per� muore. Con la guerra, la propriet� va in rovina e Rossella si rifugia da Melania, ad Atlanta, dove assiste all'attacco nordista. A conflitto terminato torna a casa, dove (rimasta vedova una seconda volta) ritrova Rhett Butler, conosciuto prima della guerra. Si sposano e hanno una bambina, che muore cadendo da cavallo. Rhett, convinto che Rossella ami ancora Ashley, la abbandona al suo destino. Fichi, la dolcezza di fine estate ("RivistAmica" n. 7/20) - Originari del Medio Oriente, questi frutti sono tra i pi� dolci, gustosi e antichi al mondo. Versatili in cucina, possono accompagnare carni e salumi o diventare i protagonisti di confetture e dessert - L'origine � delle pi� antiche, le variet� sviluppate nel corso dei secoli sono pi� di settecento e nell'immaginario religioso sono considerati come degli alimenti mitici. Stiamo parlando dei fichi, i frutti nati migliaia di anni fa nelle prime civilt� agricole in Mesopotamia, Palestina ed Egitto (anche se qualcuno addirittura colloca la loro apparizione nel Neolitico). Da allora, si sono diffusi in tutto il bacino del Mediterraneo, entrando nella mitologia degli antichi greci e romani, dove venivano considerati sia dei portafortuna sia dei frutti sacri, donati agli uomini solo per volont� divina. Freschi, dolci e delicati, sono ottimi da servire con prosciutto e salame, da unire ai piatti di carne, da trasformare in confettura per accompagnare i formaggi o da usare come dessert, magari insaporendoli con vino e cannella. Ricchi di potassio e fibre, i fichi sono delle miniere di sostanze nutritive come vitamine, magnesio, rame e ferro. Sono particolarmente adatti a bambini in crescita e donne in gravidanza, ma sconsigliati alle persone che soffrono di diabete per il loro contenuto zuccherino: meglio, in questo caso, consumarli con moderazione. Una delle distinzioni principali � data dal colore: bianchi, marroni, verdi, viola o neri. Mentre i neri sono considerati i pi� asciutti e i meno delicati, i verdi sono molto succosi e dalla buccia sottile. I viola, i pi� succosi e dolci, sono rari e difficili da trovare. Ci sono, per�, moltissime altre caratteristiche che incidono sulla bont� di un fico a prescindere dal colore: il contenuto di zucchero, lo spessore della buccia, la granulosit� della polpa e il periodo di maturazione. Se, invece, prendiamo in considerazione il periodo della raccolta troviamo i fioroni, colti a maggio, i fichi tardivi e i cosiddetti "veri", che si formano in primavera e arrivano sulle nostre tavole alla fine dell'estate. Tra le altre variet� di fichi, due tra le pi� diffuse sono la Dottato, o Ottata, tra le pi� utilizzate per la produzione di fichi secchi e considerata tra le migliori in Italia, e i Brogiotti, una delle pi� pregiate se si parla di quelle destinate al consumo, dalle grandi dimensioni e disponibili sia bianchi che di un forte colore scuro. Altre tipologie sono il fico dell'abbate e quello della monaca o i tardivi come la Morettina, il Bellone e il fico Troiano. Non mancano poi le variet� regionali e meno diffuse, ma altrettanto deliziose: il fico Melanzana, che ricorda l'ortaggio per forma e colore, dal sapore delicato e gustoso; il fico Processotto che matura fino a met� ottobre; il colummu nero; il Rigato del Salento, dalla buccia striata come il Panasc�. Tipicamente piemontesi sono le variet� dall'Osso e il fico Salame, mentre in Veneto c'� il Segalin, piccolo ma dolcissimo. Fico Albo, variet� lombarda Il fico Albo cresce rigoglioso lungo tutto l'Appennino lombardo. Matura ad agosto e la sua buccia � sottile, di un vivo giallo canarino, la polpa � bianchiccia e dolce come il miele, le foglie sono verdi e molto larghe. L'Albo ha tanti nomi: Moscatello a Milano, sulle rive del lago Maggiore lo troverete sotto il nome di Biancolino, sul lago di Como, invece, dovrete chiedere del Moscadello. La rinascita del Borgo Selvapiana ("RivistAmica" n. 6/20) - Da vitale centro agricolo, immerso fra i terrazzamenti un tempo coltivati a vite, a struttura ricettiva con lo scopo di valorizzare il territorio e i suoi prodotti locali - A un passo dal lago di Como, a un'ora da Milano, a 450 m di altitudine. Il Borgo Selvapiana � uno scrigno di storia e natura, all'ingresso della Valtellina. Lontano dai ritmi cittadini, ma raggiungibile agilmente, � stato un vivace centro di attivit� agricole, che oggi rinasce come struttura ricettiva di case vacanza con la missione di accogliere gli ospiti nel rispetto della storia secolare degli alloggi che lo compongono e della natura rigogliosa che lo circonda. Le origini del borgo di Selvapiana risalgono ai primi secoli dello scorso millennio. All'inizio si trattava di una torre di guardia (quello della torre � infatti l'edificio pi� antico). Nei secoli si aggiunsero il torchio con il fabbricato che lo sovrasta e infine la parte pi� ricca. Questa fu realizzata da G. Pietro Parravicini, e seguita poi - in epoca molto pi� tarda - dagli altri piccoli fabbricati. L'attuale aspetto che ricorda un'imponente rocca � dovuto alla costruzione di un ampio cortile sostenuto da una muraglia, che aveva lo scopo di contenere le costruzioni sorte sul terreno scosceso. Selvapiana, con i suoi vasti vigneti, era una delle dimore nobiliari del casato dei Parravicini. Quello dei Parravicini - che raggiunse il massimo splendore nel Settecento - � stato fra i pi� importanti casati in Valtellina, caratterizzato dallo stemma del cigno, che � possibile osservare nelle localit� intorno a Morbegno. Nel borgo di Selvapiana spicca l'affresco della facciata con la dedica a San Giuseppe e lo stemma nobiliare sotto al piombatoio dove compare appunto l'immagine del cigno. All'interno sono degni di nota la sala con l'elegante camino, il soffitto a cassettoni e gli affreschi, sebbene deteriorati dal tempo. Valorizzazione produzioni locali Con lo scopo di esaltare il valore dei prodotti del territorio (vini, marmellate, miele, ortaggi, cucina tipica), fra i progetti collegati al Borgo Selvapiana c'� quello di creare una rete di produttori e servizi per accogliere i visitatori, alla scoperta della Bassa Valtellina. Senza sottovalutare l'aspetto sociale: dal 2021 una parte dei terreni terrazzati sar� destinata a progetti a sostegno dei pi� deboli. Fra le realt� locali che potrebbero essere coinvolte ci sono alcune cooperative sociali e il gruppo Operazione Mato Grosso. Orto sinergico e honesty box Uno spazio dedicato agli ospiti e ai visitatori del Borgo � l'orto sinergico, dove � possibile raccogliere liberamente alcuni ortaggi, coltivati su un terreno alimentato in maniera sostenibile grazie a meccanismi di auto-fertilit� e senza interventi invasivi. Inoltre, nell'ampio cortile, potrete acquistare alcuni prodotti locali attraverso il metodo delle honesty box: di origine anglosassone, prevede l'uso di ceste dalle quali servirsi da soli per l'acquisto, in questo caso, di bottiglie di vino locale o di barattoli di miele prodotto dalle api nel prato di Selvapiana, la cui tenuta conta circa 10-mila mq di terreno. Ogni alloggio del borgo, nella sua attuale veste turistica, � attrezzato come una casa con tutti i comfort, il proprio giardino privato e recintato per accogliere gli amici a quattro zampe, gazebo esterno, tavolo e barbecue. Da luglio 2020 sono a disposizione tre alloggi: il Torchio, la Casa della Teresina e la Casa Torre. Per il prossimo anno � in programma l'apertura del palazzo, che comprender� oltre ad ulteriori alloggi anche diversi spazi comuni interni e spazi esterni con zona per gioco bimbi e piscina. Facendo base al Borgo Selvapiana si possono organizzare passeggiate a piedi o in bicicletta sulla Via dei Terrazzamenti o per le selve circostanti, ma anche raggiungere le vette delle montagne. Sul sito della struttura troverete una serie di consigli su cosa fare nei dintorni: sentieri e passeggiate, agriturismi e ristoranti, suggerimenti per vivere al meglio il territorio valtellinese, lontani dal turismo di massa e immersi nella quiete della natura. Per tutte le informazioni: www.borgoselvapiana.com; info@borgoselvapiana.com Terrazze dei Cech, lungo il sentiero del vino Tra i massi erratici e le orchidee selvatiche, nei luoghi in cui Ermanno Olmi gir� il documentario "Le Rupi del Vino", si trovano le Terrazze dei Cech. Partner del Borgo Selvapiana, la cooperativa omonima (Le terrazze dei Cech Societ� Agricola) � nata nel 2008 e oggi conta 25 soci. Fondata con lo scopo di produrre vino, ma anche con quello della manutenzione e della rivalutazione del territorio, ha anche l'intento di creare un futuro per tutto il territorio terrazzato vitato salvandolo dall'abbandono che altrimenti subirebbe in pochi anni. Ad oggi la produzione conta circa 20.000 bottiglie, suddivise in cinque tipologie e due formati. I rossi sono Sentimento, Sentimento affinato in barrique, Selezione e Audere. Nella produzione di Terrazze dei Cech anche il bianco Delor. Il terreno terrazzato vitato coltivato si estende per circa 40.000 mq, nel territorio valtellinese che prende il nome di Costiera dei Cech e che si sviluppa in direzione est-ovest lungo il percorso del sole, godendo della vicinanza del lago di Como. Takagi & Ketra: divertimento e tanto ritmo per fare ballare la gente (di Andrea Conti, "Millennium" n. 37/20) Gli imperatori dei tormentoni estivi sono loro: Takagi (Alessandro Merli) & Ketra (Fabio Clemente). Avete qualche dubbio? Oltre 100 dischi di platino tra singoli che portano il loro nome e produzioni realizzate per artisti vari, oltre 200 milioni di stream e pi� di 550 milioni di visualizzazioni su YouTube. Il fenomeno scoppia nel 2015 con "Roma-Bangkok" di Baby K e Giusy Ferreri, certificato disco di diamante. Tra i loro grandi successi "L'esercito del selfie" con Lorenzo Fragola e Arisa (tre dischi di platino nel 2017) e "Amore e Capoeira" (cinque dischi di platino nel 2018) con Giusy Ferreri e Sean Kingston. Quest'anno Takagi & Ketra non si sono fatti intimorire dalla pandemia e hanno messo in campo un'altra hit: "Ciclone" con Elodie, i Gipsy Kings e la generazione Z del latin power, rappresentata da Mariah. Oltre ad avere prodotto altri quattro tormentoni per questa estate cos� anomala. - Producete qualsiasi tipo di canzone... quali sono le differenze tra il brano estivo e quello di musica leggera italiana? "Non ci sono grandi differenze perch� noi cerchiamo sempre di fare qualcosa che nasca da un'idea o anche da un ritmo che ci spiani una strada per arrivare a fare quello che sentiamo dentro, durante la fase creativa. Sicuramente per i brani estivi il ritmo per noi � fondamentale, per questo cerchiamo di trovare un "beat" che ci permetta di far muovere il culo alla gente"! - Esistono gli ingredienti giusti per la canzone dell'estate? "Non esistono. Semplicemente facciamo sempre quello che ci piace fare: ci facciamo trasportare da quello che stiano vivendo e ascoltando in quel momento preciso. Poi, a seconda della musica che abbiamo tra le mani, contattiamo l'artista che, sempre secondo noi, pu� stare meglio sopra la canzone che abbiamo scritto. Non c'� nessun ragionamento, nessun calcolo, solamente puro divertimento e fare quello che ci piace. Di solito quando c'� una cosa che ci convince subito, poi ci accorgiamo che alla fine piace a tutti". - Quanto ha influito la pandemia sul vostro lavoro? "Ha influito tanto. Per fortuna molti dei brani che avevamo in cantiere li abbiamo perfezionati e praticamente chiusi prima che scoppiasse in tutto il mondo il Covid-19. Poi c'� stato il corto circuito e sono saltati i piani che avevamo in mente. C'era sempre tanta voglia di scrivere e comporre, ma da casa � tutto un po' difficile. Nonostante tutto non ci siamo mai arresi. Non lo potevamo fare, perch� sapevamo che nel momento in cui il lockdown sarebbe finito, la gente avrebbe avuto una gran voglia di brani estivi e scacciapensieri. Cos�, infatti, � stato". - Dal punto di vista umano cos'� cambiato in voi? "Abbiamo avuto un contraccolpo duro, venivamo da Miami e appena atterrati a Milano ci siamo subito chiusi in quarantena per evitare qualsiasi tipo di problema ai nostri familiari. Un rientro burrascoso, molto difficile. Tutto il primo periodo della pandemia l'abbiamo vissuto malissimo. Siamo persone che vivono la quotidianit� in maniera precisa, metodica. Ovviamente la situazione poi si � rivelata talmente grave che, come � accaduto a tutti gli italiani, un contraccolpo psicologico era inevitabile. Per� noi siamo persone estremamente positive, che guardano al futuro in maniera costruttiva. Cos� ad aprile abbiamo fatto un po' di ragionamento, cercando di proiettarci con la mente sull'estate. Abbiamo immaginato un'estate in cui avremmo ripreso a uscire, con la voglia di tirarci tutti un po' su di morale". - � per questo che, durante il lockdown, � nata la cover corale benefica di "Ma il cielo � sempre pi� blu" di Rino Gaetano? "Avevamo un'esigenza fortissima di fare musica e soprattutto volevamo dare il messaggio che la musica non si sarebbe mai fermata. Cos� abbiamo partecipato a questo progetto molto importante per raccogliere fondi a supporto della Croce Rossa Italiana, in seguito all'emergenza sanitaria. Volevamo ricreare un effetto karaoke in un momento gi� per tutti molto difficile. L'intenzione era regalare un momento di spensieratezza e i risultati ci hanno dato ragione, perch� la gente non vedeva l'ora di ricevere ondate di musica nuova. Se a noi italiani tolgono anche la musica, siamo perduti! Era importante tornare in pista per dare un messaggio di normalit�. Abbiamo vissuto il lockdown in Puglia, che per fortuna ha avuto una situazione molto diversa dalla Lombardia. La tensione l'abbiamo toccata con mano, per� abbiamo anche notato che c'era tanta voglia di estate". - E avete sfornato ben cinque tormentoni, gi� tutti di successo... "La Isla con Giusy Ferreri ed Elettra Lamborghini, Una voglia assurda di J-Ax, Paloma di Fred De Palma feat. Anitta e Karaoke dei Boomdabash con Alessandra Amoroso sono tutte produzioni nate pre Covid-19. Alcune rifiniture le abbiamo fatte in smart working ma � stato difficilissimo. Questa modalit� di lavoro ammazza totalmente la musica, che necessita di essere creata in studio. Come metodo di lavoro alternativo � stato un po' freddo e sicuramente non fa al caso nostro. Almeno � quello che pensiamo noi, naturalmente". - Invece "Ciclone", com'� nata? "A gennaio, ancora prima di partire per Miami. Poi abbiamo finalizzato tutto durante il lockdown". - Cosa ci facevate a Miami? "Abbiamo fatto un corso di salsa (ridono, ndr). Scherzi a parte, ci andiamo due-tre volte all'anno perch� abbiamo avuto la grande opportunit� di entrare in contatto con autori e produttori del genere latino. A loro siamo piaciuti moltissimo, apprezzano parecchio il nostro modo di fare reggaeton che non ha nulla a che vedere con il loro stile. Per questo ci immergiamo con loro in uno scambio di idee e creativit�". - Perch� avete scelto Elodie per "Ciclone"? "Elodie incarna la popstar italiana moderna mai vista, secondo noi, sino ad ora. Lei � la cantante italiana di musica pop che ha un'attitudine internazionale e che cura nei minimi dettagli ogni cosa, dal look alle scelte musicali. Ha dimostrato di essere versatile e molto brava. Poi avevamo bisogno, per questo brano, di un tocco di sensualit� in pi�, oltre alla bravura nel canto. Il video, che omaggia Il ciclone di Leonardo Pieraccioni, ha una parte visiva, molto importante. Siamo molto felici di aver continuato la collaborazione con Elodie, con la quale avevamo gi� lavorato lo scorso anno con Margarita. Ci siamo piaciuti subito. Quando le abbiamo chiesto se voleva partecipare a Ciclone � letteralmente impazzita. Soprattutto siamo orgogliosi perch� siamo riusciti a convincerla ad indossare una parrucca con i capelli neri, lunghi e lisci per il video (ridono, ndr)". - Leonardo Pieraccioni la chiamer� per un film? "Glielo auguriamo, se lo merita, buca lo schermo ed � molto spontanea. Sono tutte doti che influiscono in maniera positiva in ogni cosa che fa. Abbiamo notato che offre sempre un lato inedito di s�, sia quando fa foto per i brand che quando gira i video. Essendo anche molto professionale, sicuramente potrebbe dire la sua nel mondo del cinema". - Con "Ciclone" per� avete messo in difficolt� Elodie, che ha lanciato il suo tormentone di successo "Guaran�". Un bel conflitto di interessi, no? "Eh lo so, siamo davvero dei monelli! (si mettono a ridere, ndr)". - Qual � il segreto del vostro successo? "Da produttori crediamo sempre in quello che facciamo. Ogni anno cerchiamo di dare un'impronta diversa da quella dell'anno prima. Questo succede anche con i progetti legati ai Boomdabash. Questi ultimi hanno un sound sempre nuovo. Vorremmo fare un esempio con il reggaeton di Paloma di Fred De Palma: non ha nulla a che vedere con il suo successo dello scorso anno Una volta ancora, che � pi� una bachata. Il nostro obiettivo � quello di spiazzare sempre chi ci ascolta". - A un aspirante produttore ventenne quali consigli vi sentireste di dare, alla luce della vostra esperienza? "Non emulare e non attaccarsi al successo di una canzone. Bisogna farne di canzoni prima di arrivare al sound giusto, con i Boomdabash ci abbiamo messo sette-otto anni. Il nostro consiglio � anche di non pensare per forza a una formula che abbia successo e creare sempre, ininterrottamente, anche producendo 40 beat, prima di proporre qualcosa. Quello che notiamo nelle nuove generazioni � che vogliono tutto e subito, bramano il successo. Non funziona cos�, bisogna pazientare e lavorare sodo, solo cos� arrivano i risultati. A noi piace molto Tha Supreme, giovanissimo ma che si � fatto notare subito perch� ha proposto un sound diverso da tutti gli altri". - Ricordate il momento esatto in cui avete deciso di cominciare il vostro percorso insieme? "Era il 2013 e ci siamo conosciuti nel backstage di una manifestazione. Abbiamo legato subito come persone, prima ancora che come professionisti. Ci siamo ritrovati per la simpatia e anche perch� avevamo voglia di raccontarci. Da subito abbiamo colto degli spunti musicali interessanti, che abbiamo poi sviluppato nel nostro lavoro in studio. Insomma, il progetto Takagi & Ketra � nato tutto in maniera naturale e spontanea. Le nostre energie si sono compensate, sin da subito". - Quali sono le canzoni della vostra estate del cuore? "Per quello che riguarda il nostro repertorio, sicuramente Roma-Bangkok del 2015 e l'emozione di vedere esplodere questa canzone giorno dopo giorno, fino al grande successo. Sono sensazioni uniche. Andando indietro nel tempo, invece, ci sono gli ascolti ossessivi di Liberi Liberi di Vasco Rossi nel 1988 e di Lemon Tree dei Fool's Garden del 1995, ascoltata dalle 40 alle 50 volte al giorno. - Siete finalmente in vacanza o state gi� preparando i tormentoni del 2021? "Non ci fermiamo mai. Ascoltiamo sempre canzoni, cerchiamo di creare qualcosa di nuovo. Quando scriviamo un brano, ecco che ce n'� gi� un altro che sta nascendo".