Settembre 2021 n. 9 Anno LI MINIMONDO Periodico mensile per i giovani Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi �Regina Margherita� Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registrazione 25-11-1971 n. 202 Dir. Resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Pietro Piscitelli Massimiliano Cattani Luigia Ricciardone Copia in omaggio Rivista realizzata anche grazie al contributo annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del MiBACT Indice Il colle del potere Perch� mentiamo? Diamoci la mano Funghi porcini, il profumo dei boschi in tavola Santa Maria al Bagno, il borgo signorile che ospitava gli Ebrei Quanto si allena un campione olimpico Claudio Cecchetto: vi dico io qual � il tormentone dell�anno Il colle del potere (di Osvaldo Baldacci, �Focus Storia� n. 178/21) - In pieno semestre bianco, entriamo nelle stanze e nella storia del Quirinale, il palazzo del presidente della Repubblica (oggi), di papi e di re (ieri), che non a caso sorge proprio sul colle pi� alto di Roma - Il colle del Quirinale ospita l'omonimo palazzo, che oggi � la residenza del presidente della Repubblica italiana (ora negli ultimi sei mesi del suo mandato, periodo durante il quale non pu� sciogliere le Camere). Ma non � tutto. Se al mondo esiste un luogo che pu� essere preso a simbolo del potere, � il �colle pi� alto�; anzi, �il Colle� per antonomasia. Qui risiedeva l'autorit� della Roma arcaica, poi quella dei papi e quella dei re d'Italia. Al confronto, la Casa Bianca di Washington e il Cremlino di Mosca, la Citt� Proibita di Pechino e Buckingham Palace a Londra sono novellini con appena una manciata di secoli alle spalle. Il Quirinale ha infatti la pi� lunga storia come luogo frequentato dai potenti, se si pensa che da qui regn� Tito Tazio nell'VIII secolo a.C., e che l'area ingloba parte degli Horti Sallustiani, splendidi giardini appartenuti anche a Giulio Cesare e in seguito propriet� imperiale. 1. Il dio del colle - Se Roma � �la citt� dei sette colli� (Aventino, Campidoglio, Celio, Esquilino, Palatino, Quirinale e Viminale sono quelli riportati da Cicerone e Plutarco) si deve al Quirinale. Era infatti il Quirinale il �colle� (collis) per eccellenza, insieme al Viminale. Palatino, Aventino, Celio, Esquilino e Campidoglio, erano invece indicati con il termine mons (monte). Non solo. In origine, il Quirinale era distinto in altri quattro rilievi: i colles Latiaris, Mucialis o Sanqualis, Salutaris e Quirinalis, cio� �di Quirino�, nome che prese poi il sopravvento per indicare l'intera altura. Era un segno della sua vocazione istituzionale: Quirino era infatti il dio delle curie, le prime assemblee civili e politiche di Roma, e i Romani in qualit� di cittadini si definivano �quiriti�. In tempi remoti Quirino formava, con Giove e Marte, la triade principale degli d�i di Roma, perci� il tempio di questa divinit� era imponente. Secondo recenti rilievi si troverebbe proprio sotto i giardini della residenza presidenziale. 2. La reggia di Tito Tazio - I sette re di Roma non sono sette, ma otto. E la reggia dell'ottavo, fin dalle origini di Roma, si trovava proprio sul colle Quirinale. Stiamo parlando di Tito Tazio, il re dei Sabini che attacc� la citt� fondata da Romolo per vendicare il ratto delle donne del suo popolo e che poi si accord� con lo stesso Romolo per regnare insieme. Un re a tutti gli effetti, ricordato per avere istituito culti importantissimi a Roma. E che rappresenta la significativa presenza sabina nelle origini della citt�: come � naturale, questo popolo - stanziato lungo la Via Salaria fino a Rieti - aveva nella zona del Quirinale il suo baricentro romano. Sul colle, nel tempio della dea Salute - che forse era proprio dove ora si trova il palazzo del presidente - si celebravano culti propiziatori per il benessere dello Stato. 3. Il Monte Cavallo - Per lungo tempo a Roma il Quirinale � stato anche noto come Monte Cavallo. Doveva questo nome all'imponente e secolare presenza delle statue dei Dioscuri, Castore e Polluce, che tengono per le briglie le loro cavalcature: le grandi sculture, oggi ai lati della fontana sulla piazza, proprio all'entrata del Palazzo del Quirinale, risalgono al III secolo e probabilmente adornavano il tempio di Serapide. Furono riutilizzate, sempre nella stessa zona, nelle terme di Costantino, e restaurate e valorizzate dai papi Paolo II tra il 1469 e il 1470, Sisto V nel 1585 e Pio VI nel 1786. Tra le due statue, dal 1786 svetta un altro antichissimo segno di potere: un obelisco proveniente dall'Egitto e che il primo imperatore, Augusto, fece innalzare presso il proprio mausoleo. 4. La casa dei cardinali - Il Quirinale � uno dei cuori dell'aristocrazia romana fin dai tempi antichi: qui, ad esempio, sorgeva il palazzo della dinastia flavia, dove l'imperatore Domiziano eresse un tempio a se stesso. E il colle mantenne questa caratteristica anche nella Roma medievale e rinascimentale. A fine Quattrocento, il palazzo presidenziale era la casa di uno dei pi� potenti cardinali, Oliviero Carafa. Un altro principe della Chiesa, il cardinale Ippolito d'Este (quello della Villa d'Este, a Tivoli) prese in affitto Villa Carafa e nel 1550 trasform� la vigna in uno dei giardini pi� belli del mondo. Tanto da attirare l'attenzione di papa Gregorio XIII (1572-85) che a sue spese incaric� l'architetto Ottaviano Mascarino di ampliare la villa; lavori cui si devono alcuni elementi dell'attuale palazzo presidenziale, come la scala elicoidale e il Torrino (sul quale oggi sventola il tricolore). 5. Il palazzo dei papi - Fu Sisto V ad acquistare, nel 1587, Villa Carafa come residenza estiva. L'odierno palazzo � frutto soprattutto dei lavori fatti allora e nei primi decenni del Seicento, affidati ad architetti come Fontana, Maderno e Bernini, e a pittori quali Guido Reni, Pietro da Cortona, Annibale Carracci. Con Paolo V (1605-21) il palazzo divenne la reggia nella quale il papa risiedeva, lavorava e... moriva. Nella Sala dei Precordi dalle salme dei pontefici venivano espiantati gli organi da conservare. Al Quirinale, nel 1809, Napoleone fece arrestare Pio VII, ma nell'Ottocento il papa qui veniva persino eletto: nella Cappella Paolina i cardinali scelsero Leone XII (1823), Pio VIIII (1829), Gregorio XVI (1831) e anche quel Pio IX (1846) che nel 1870 si vide sottrarre il Quirinale dai Savoia. Si racconta che avesse lanciato una maledizione su chi gli usurpava il palazzo, e che si fosse portato via le chiavi, rendendo necessario l'intervento di un fabbro. 6. Largo al re - Dove aveva regnato il papa, dal 1870 regn� il primo re d'Italia. Il palazzo del Quirinale divenne reggia dei Savoia gi� un mese dopo la breccia di Porta Pia (settembre 1870). Vittorio Emanuele II per� non volle abitarci, i suoi successori s�. Governarono dalla Sala di Augusto trasformata in Sala del trono, e qui vissero momenti importanti, come quando durante la Prima guerra mondiale la regina Elena vi allest� un ospedale, o come le nozze del principe Umberto II con Maria Jos� nella Cappella Paolina, nel 1930. Simbolico il fatto che il palazzo, che conserva tante tracce archeologiche e artistiche del suo passato, offra anche una �sintesi� delle regge d'Italia: i Savoia infatti arredarono le sale con mobili, arazzi, vasellame provenienti anche da palazzi reali degli Stati italiani preunitari. 7. La casa dei presidenti (ma non tutti) - Solo alcuni presidenti hanno abitato al Quirinale. Il capo di Stato provvisorio e poi primo presidente della Repubblica, Enrico De Nicola - monarchico - non volle occupare quello che era stato il palazzo di Vittorio Emanuele III. Neppure il successore Luigi Einaudi voleva abitare al Quirinale; accett� a patto di condividere la stanza con la moglie, a differenza di quanto facevano i re. Il palazzo ospit� poi Giovanni Gronchi (1955-1962), Antonio Segni (1962-1964), Giuseppe Saragat (1964-1971) e Giovanni Leone (1971-1978). Sandro Pertini (1978-1985) rifiut� di trasferirvisi e anche Francesco Cossiga (1985-1992) us� il Quirinale come ufficio e sede di rappresentanza. Oscar Luigi Scalfaro (1992-1999) si convinse a risiedere nell'edificio solo a partire da met� mandato, mentre Carlo Azeglio Ciampi (1999-2006) e Giorgio Napolitano (2006-2015) hanno ripreso ad abitarvi con la famiglia. Lo studio del presidente � l'antica camera da letto dei pontefici. Perch� mentiamo? (di Raffaella Procenzano, �Focus� n. 346/21) - Lo facciamo tutti: per essere gentili o per apparire migliori. Ma, su tutte le frottole raccontate, la gran parte vengono dette da pochi superbugiardi - La bugia perfetta? Deve essere �incorporata� in fatti veri, essere chiara e semplice da capire e contribuire a costruire un quadro plausibile. Deve essere detta di persona, preferibilmente a conoscenti e amici. Una delle pi� importanti ricerche recenti sulle bugie ha infatti messo a fuoco chi siano i mentitori �di professione� e come fanno a ingannare gli altri. L'hanno formulata Brianna Verigin e Ewout Meijer dell'Universit� di Maastricht (Paesi Bassi), studiando 194 persone, alcune delle quali si dichiaravano ottimi bugiardi. �A volte, anche in lavori scientifici, si legge che ognuno di noi mente circa 1 o 2 volte al giorno. Ma fare una media non � corretto: la gran parte delle bugie viene pronunciata da pochi individui, nel nostro studio dal 40% delle persone�, afferma Verigin. Anche se tutti, di tanto in tanto, non possono evitare qualche bugia, esiste dunque una buona quota di �bugiardi matricolati�. La strategia pi� usata tra tutti coloro che, nello studio di Verigin e Meijer, ammettevano di mentire era quella di tralasciare alcune informazioni (bugie di omissione). Ma i bugiardi esperti hanno aggiunto a ci� la capacit� di tessere una �storia credibile impreziosita dalla verit�, come dicono i ricercatori, rendendo le bugie pi� difficili da individuare. Del resto, per il vocabolario, la bugia � �una falsa affermazione detta per trarre altri in errore, di solito a proprio vantaggio�. Si tratta quindi di un'azione consapevole: chi mente ha un'alternativa, ma sceglie deliberatamente di non adottarla (ecco perch� dire il falso � considerato sbagliato). Insomma, mentiamo perch� ci serve. E perch� ci � utile per primeggiare sugli altri. Quella che ci permette di mentire, per gli antropologi, � proprio la cosiddetta intelligenza machiavellica, la capacit� di pensare a una strategia ingannatrice che possa portare vantaggi. Anzi, � stato addirittura ipotizzato che la necessit� di sviluppare inganni ai danni di altri membri del gruppo per poter primeggiare sia stata una delle molle che ci ha consentito di sviluppare l'intelligenza. Vincere con l'astuzia � infatti un ottimo modo di evitare un conflitto aperto. Del resto, alcuni studi dimostrano che i bravi bugiardi hanno pi� facilit� a ottenere un lavoro e trovare partner sessuali. E (chi pi� e chi meno, come abbiamo visto) lo facciamo sempre, anche quando non ce ne sarebbe bisogno. In un celebre esperimento, condotto ormai quasi vent'anni fa dallo psicologo Robert Feldman all'Universit� del Massachusetts, ad alcuni studenti � stato chiesto di parlare a uno sconosciuto per 10 minuti. Le conversazioni sono state filmate di nascosto e poi riesaminate insieme a ciascuno studente per contare le bugie dette. Circa il 60% dei partecipanti ha mentito almeno una volta e le bugie andavano dalle esagerazioni intenzionali alle informazioni totalmente inventate. Inoltre, maschi e femmine mentivano con la stessa frequenza. Del resto, consideriamo le bugie per �autopromuoverci� praticamente inevitabili, per esempio quelle dette sul lavoro. Oppure, incontrando un possibile partner, potremmo affermare: �S�, questo � il mio vero colore di capelli�. E cos� ci appaiono necessarie le menzogne di cortesia, pronunciate per esempio quando si conoscono persone nuove (�Ma che bella bambina � sua figlia!�). Non � sorprendente, visto che a mentire �a fin di bene� si impara fin dall'infanzia (�Non dire a Mario che � grasso�, �D� alla zia che ti piace la camicia che ti ha regalato�). Ma non mentiamo solo agli altri, tutti mentiamo anche a noi stessi. Molti studi provano che, mediamente, le persone si ritengono migliori di quanto non siano davvero, soprattutto quando si tratta delle proprie qualit� morali (generosit�, altruismo...). Il vantaggio evolutivo dell'autoinganno, secondo il celebre neuroscienziato Usa Michael Gazzaniga, sta nel fatto che se non si � consapevoli di mentire, non si pu� tradirsi con la voce o con le espressioni del volto, facendo trasparire - per esempio - la paura di essere scoperti. Tra l'altro, mentire a se stessi ci fa apparire migliori ai nostri stessi occhi come ha dimostrato Dan Batson dell'Universit� del Kansas con un esperimento (pi� volte replicato con i medesimi risultati da vari studiosi nel mondo). Ha fatto credere a un gruppo di studenti che dovevano assegnare un compito a se stessi e un altro lavoro a uno studente sconosciuto che non avrebbe mai saputo a chi doveva quella incombenza. Un compito era descritto come noioso, l'altro dava diritto a ottenere un biglietto della lotteria. Agli studenti veniva anche data una moneta, dicendo che potevano tirare a sorte tra i due compiti (ma non era obbligatorio). Sorpresa: anche tra coloro che sceglievano di tirare a sorte erano molti di pi� coloro che assegnavano a se stessi il compito pi� semplice e con il premio finale, indipendentemente dal risultato apparso sulla moneta. Si sentivano cio� onesti solo per il fatto di averla lanciata anche se poi non ne rispettavano il verdetto. Mentivano quindi a se stessi per migliorare l'immagine che avevano di s�. Del resto, le persone si autoingannano anche sulla propria capacit� di smascherare chi mente, credono cio� di essere abbastanza abili. Ma gli studi hanno dimostrato che, mediamente, non siamo molto bravi a capire chi mente e chi no. Di solito il livello di successo � lo stesso di chi tira a indovinare. Perfino gli investigatori non sono granch� migliori nell'individuare un bugiardo rispetto alle persone comuni. Secondo alcune statistiche statunitensi, la capacit� dei detective di polizia di smascherare un colpevole varia tra il 45 e il 60 per cento, con una media di appena il 54 per cento. Esistono per� persone dall'abilit� eccellente, dei veri e propri cacciatori di bugie. Ma si tratta di una qualit� rarissima, su 12 mila persone esaminate dal neuroscienziato Paul Ekman, dell'Universit� della California, solo 20 erano abilissimi �smascheratori�. Forse perch� riuscivano istintivamente a cogliere cambiamenti minimi nelle espressioni facciali e negli occhi dei mentitori. Per esempio quelli individuati l'anno scorso da un team di scienziati studiando con l'eye tracker, un apparecchio che registra caratteristiche e movimenti delle pupille, le persone intente a dire bugie. Risultato: i mentitori avevano la pupilla pi� stretta, fissavano pi� a lungo un determinato punto prima di spostare lo sguardo e gli occhi vagavano intorno di meno rispetto a chi dice la verit�. Non era invece importante quante volte sbattessero le palpebre. Con indizi cos� sfumati, non � sorprendente che non sia per niente facile stanare un bugiardo, specialmente in alcune situazioni. Per esempio un rapporto sentimentale. Le ricerche dimostrano chiaramente che i pi� creduloni in assoluto sono proprio gli innamorati. Lo hanno scoperto alcuni anni fa gli scienziati dell'Universit� di Monaco (Germania). Somministrando ossitocina (l'ormone che viene prodotto in grande quantit� quando si crea un rapporto stabile) a un gruppo di volontari maschi e femmine, hanno verificato che dopo aver ascoltato alcuni attori dire bugie, gli uomini riconoscevano meno le frottole dette dalle donne che quelle dette dagli uomini, le donne viceversa. Ma perch� non siamo bravi a scoprire le bugie? Forse perch�, dicono gli antropologi, i nostri antenati vivevano in gruppi promiscui dove era relativamente facile capire un inganno dai comportamenti altrui. Oggi che viviamo dietro a porte chiuse e in comunit� ben pi� numerose, ingannare � molto pi� facile. Resta il fatto che certe verit� forse � pi� comodo non conoscerle: vogliamo davvero sapere la vera risposta alla domanda-saluto �E tu, come stai?�. E soprattutto, � pi� conveniente non dirle. Come fa notare Michael Gazzaniga: �La verit� rende liberi, ma detta nel momento o alla persona sbagliata (per esempio a un irascibile capoufficio) potrebbe anche rendere... liberi con quattro figli e senza stipendio�. Qualche indizio per riconoscere la bugia Non � detto che chi mente consapevolmente sia nervoso. Ma ci sono alcune spie che, qualche volta, possono consentire di smascherare un bugiardo. Ecco le pi� importanti secondo Bella DePaulo, scienziata dell�Universit� della California: - Timbro di voce pi� alto pronunciando la fandonia; - Pupille dilatate e sguardo poco mobile; - Corpo rigido; - Risposte brevi; - Pausa pi� lunga prima di rispondere a una frase inattesa dell�ascoltatore; - Storie troppo ricche di particolari. Diamoci la mano (di Roberto Roveda, �Focus Storia� n. 179/21) - La pandemia di Covid-19 ci ha costretto a fare a meno della stretta di mano, un gesto che ha origini antichissime e che nella Storia ha cambiato pi� volte significato - Quasi un secolo fa, nel 1929, il poeta romano Trilussa scrisse una poesia quanto mai attuale. Si intitola La stretta di mano e recita: �Quela de da' la mano a chissesia/ nun � certo un'usanza troppo bella: [...] la mano, asciutta o sudarella,/ quanno ha toccato quarche porcheria,/ conti� er bacillo d'una malatia,/ che t'entra in bocca e va ne le budella�. Parole che appaiono profetiche in tempi come questi in cui, causa Covid, stringersi la mano � diventato un tab�. Abbiamo cos� dovuto inventarci modi alternativi per salutarci, ma in verit� nessuno ci appare naturale come la vecchia, cara stretta. Vecchia perch� antica di millenni e cara perch� parte della nostra cultura, come racconta il linguista Massimo Arcangeli, autore del saggio L'avventurosa storia della stretta di mano (Castelvecchi). �La prima testimonianza di questo gesto ci arriva da un rilievo risalente al IX secolo a.C. e mostra due sovrani della Mesopotamia, il re assiro Shalmanaser e quello babilonese Marduk-zakir-sumi I, nell'atto di stringersi una mano per suggellare la loro alleanza militare e politica. Anticamente, infatti, la stretta non era tanto un saluto, come oggi, ma un modo per attestare fedelt�, per sottolineare un patto, per evidenziare un legame�. Ripercorrendone la storia, ci si rende conto di come questo gesto nasconda una grande variet� di significati. Se guardiamo alle sculture o alle incisioni sulle monete di epoca greca e ancora di pi� romana le mani strette erano simbolo di riconciliazione, di pace ritrovata. Erano non a caso uno degli emblemi della dea Concordia. Segnalavano poi lealt� e fiducia reciproca o sottintendevano un legame speciale. Spiega ancora Arcangeli: �La stretta di mano poteva attestare un patto di fidanzamento, un accordo pre-matrimoniale. Era poi un gesto tipico del matrimonio di et� romana, spesso sugellato con la cosiddetta dextrarum iunctio inter coniuges, l'unione della mano destra tra coniugi�. Sempre all'et� romana risale l'espressione �chiedere la mano�. Erroneamente la si ritiene una metafora del fatto che il futuro marito doveva chiedere al padre della sposa il permesso di sposare la figlia. In realt� il significato � un altro. La manus per un romano era la potest� sulla figlia, che passava dal padre al marito. Il matrimonio poteva essere sugellato dai due sposi unendo le mani ed era detto cum manu (con mano). Oppure le mani non si toccavano e la cerimonia era detta sine manu (senza mano). Nel primo caso il marito acquisiva l'intera potest� sulla moglie e sui suoi beni, nel secondo la donna restava in parte sottoposta al padre. Per il suo valore fortemente simbolico, anche la religione si impadron� del gesto. Abbiamo quindi d�i e d�e che si stringono le mani oppure mortali mano nella mano con una divinit� a cui erano particolarmente devoti. Le cerimonie religiose cristiane non tardarono a impadronirsi della stretta, sostituendola come gesto di pace all'originario bacio, in un'usanza che ancora oggi persiste nella messa cattolica. E cosa facevano i sacerdoti di Mitra, divinit� solare dell'amicizia e dell'onest� di origine indo-persiana, ma molto diffusa nel mondo greco-romano? Stringevano la mano al nuovo adepto per segnalare l'ingresso nella comunit� mitraica. Ma allora niente saluto a mani strette, nell'antichit�? Sembra proprio di no. �Si ipotizza che nell'antica Roma, due persone al momento di incontrarsi potessero afferrarsi sopra il polso, per l'avambraccio, per motivi di sicurezza� spiega Arcangeli. �Ognuno si accertava in questo modo che l'altro non avesse un pugnale o una spada corta. A salutarsi cos� erano per� soprattutto i soldati, tanto che si parla di saluto gladiatorio�. Poco da spartire con l'usanza odierna, insomma. E le cose continuarono cos� anche durante il Medioevo, epoca in cui le mani si �incontravano� per suggellare ancora legami, patti, alleanze. Quella medievale � l'epoca del cosiddetto toccamano, che poteva essere sia un semplice toccarsi dei palmi sia una stretta vera e propria. Con il �toccamento� venivano siglate le promesse matrimoniali tra le famiglie oppure si stringeva un patto tra compagni d'armi, sodali e alleati. Ancora il toccamano definiva la buona riuscita di un accordo commerciale e un contratto tra lavoratore e datore di lavoro. Questo particolare tipo di stretta aveva quindi molteplici significati, tutti per� �istituzionali� e legati al fatto che si concludeva un accordo tra le parti, si stringeva un legame. Compreso quando il �toccamento� riguardava un matrimonio, un evento che all'epoca era affare - nel vero senso della parola - tra le famiglie e quasi mai tra gli sposi. Non a caso quando si prendeva moglie si diceva �impalmare la sposa�, cio� unire i palmi delle mani a suggello dell'accordo raggiunto. Siccome poi era disonorevole infrangere un accordo dopo il toccamano, la stretta arriv� addirittura a simboleggiare un patto di sangue. Nell'Ottocento presero a usare questo gesto i membri dei primi sindacati, delle organizzazioni operaie e delle societ� segrete, prima fra tutte la massoneria. Nel frattempo, la stretta di mano aveva per� cominciato a imporsi come forma di saluto. La cosa prese il via tra Germania e Inghilterra nel corso del Cinquecento e pi� ancora nel Seicento, come racconta ancora Arcangeli. �In un'epoca in cui le gerarchie sociali erano fortissime, salutarsi significava fare inchini, riverenze, togliersi il cappello e abbandonarsi a elaborati salamelecchi. Primi a ribellarsi a questi eccessi di formalismo furono i quaccheri che cominciarono a salutarsi stringendo la mano. Era un gesto che voleva simboleggiare uguaglianza tra le persone. Per la stessa ragione i quaccheri rifiutavano appellativi come sir, madam, lord preferendo il semplice ed egualitario friend�. Proprio per il suo valore egualitario e antiaristocratico la stretta di mano si diffuse rapidamente con il crescere del peso della borghesia nella societ� europea. Anzi, nell'Ottocento il gesto cominci� a essere codificato dagli esperti di buone maniere e cerimoniali, con consigli su come stringere la mano senza eccedere in vigore oppure in mollezza. Viene allora da chiedersi come sar� stata la stretta con cui venne sancita la nascita dell'Italia unita, quella che si scambiarono Giuseppe Garibaldi e Vittorio Emanuele II a Teano nel 1860, dopo l'impresa dei Mille. Il saluto per stretta di mano venne presto identificato con il conformismo borghese. Sia a sinistra, dove molti capi comunisti preferivano il saluto con il pugno mancino chiuso, sia a destra. Tuonava Mussolini nel 1938: �Anche le strette di mano sono finite presso di noi: il saluto romano � pi� igienico, pi� estetico, pi� breve�. Nonostante queste qualit� del salutarsi alla romana, l'imposizione fascista non fece breccia nel popolo italiano, che torn� rapidamente all'amata stretta dopo la fine del regime. Un po' come speriamo di tornarci anche noi una volta salutata l'emergenza Covid. Funghi porcini, il profumo dei boschi in tavola (Giordanifunghiporcini.com) Trasformano una semplice bruschetta o un�insalata in pietanze da chef e sono protagonisti di raffinati carpacci, primi piatti e contorni da leccarsi i baffi. I porcini sono tra le pi� gustose meraviglie che la natura ci regala nei mesi autunnali e in cucina possono essere impiegati in tanti modi, sia crudi che cotti. Dotati di un gambo spesso e dell�inconfondibile �cappello� � che in alcuni casi pu� raggiungere i 30 centimetri di larghezza �, si caratterizzano per la polpa carnosa, saporitissima, impregnata di tutti i profumi del bosco. Iniziano a spuntare tra settembre e ottobre, con l�arrivo delle prime piogge, sotto a faggi, querce e castagni. Da crudi, i porcini offrono il meglio di s� in diverse preparazioni, assai gustose. Un piatto semplicissimo ma di grande effetto � il carpaccio di porcini, �declinato� in molteplici varianti: per prepararlo � sufficiente tagliare i funghi a fettine sottilissime (un paio di millimetri), disporli su un piatto da portata e condirli con un filo d�olio extravergine oppure, per un risultato pi� particolare, con una marinatura di olio, succo di limone o aceto balsamico, sale e pepe. A questo punto basta lasciare spazio alla fantasia e completare con ingredienti a piacere: speck e scaglie di grana, noci e pinoli, mele e prosciutto crudo. Crudi i porcini sono ottimi anche per impreziosire le insalate, abbinati per esempio a lattuga, radicchio, coste di sedano, rucola. Sul pane leggermente tostato, strofinato con uno spicchio d�aglio e condito con un po� d�olio e nient�altro, diventano invece un elegante antipasto. E da cotti, tra gli ingredienti pi� utilizzati nelle ricette della tradizione del Centro e Nord Italia, i porcini sono solitamente abbinati alla pasta fresca all�uovo, per preparare saporiti primi piatti autunnali, come le tagliatelle, con o senza salsicce, i tonnarelli con il tocco prezioso del tartufo nero (diffusi soprattutto in Umbria e Marche), i pici (larghi spaghetti tipici della Toscana) con il sugo di �nana� (anatra), le pappardelle allo speck (Trentino Alto Adige), le fettuccine mare e monti, con i gamberi o i frutti di mare, e naturalmente il classico risotto. Quando le giornate cominciano a diventare pi� fredde, sono perfetti per dare un tocco in pi� alle zuppe di legumi. Buonissimi con lo spezzatino di maiale, pollo o tacchino, oppure come contorno per l�arrosto o le scaloppine, leggermente saltati in padella con olio, uno spicchio d�aglio e del prezzemolo tritato. Squisiti sulla pizza � con fiordilatte e preferibilmente senza salsa di pomodoro �, i porcini si prestano alla realizzazione di golosi stuzzichini da servire come antipasto: cotti con cipolla tritata e un po� d�olio e frullati con un cucchiaio di brodo vegetale, si trasformano in una crema da spalmare sulle tartine o i crostini. I porcini neri possono essere anche conservati sott�olio o sott�aceto, scottati per una decina di minuti in acqua bollente, sgocciolati, messi ad asciugare all�aria e infine posti in barattoli sterilizzati e ricoperti con olio extravergine d�oliva o aceto di vino bianco. Con il loro sapore unico i porcini ispirano da sempre l�estro degli chef, che ai fornelli si sbizzarriscono con creazioni tradizionali, o al contrario, molto originali. Alessandro Borghese, ad esempio, sul suo blog Alessandroborghese.com li abbina ai filetti di cinghiale e a una vellutata di Parmigiano Reggiano. Pi� radicale Davide Scabin, che nel suo ristorante �Combal Zero� di Torino ha inserito nel menu un souffl� di porcini e capesante; sempre fuori dagli schemi Carlo Cracco, che li grattugia a crudo sui rigatoni conditi con panna e mastica, ovvero la resina del lentisco, un arbusto mediterraneo che cresce nell�isola greca di Chios. E qual � il modo pi� corretto di pulirli? I porcini non vanno lavati, altrimenti assorbono acqua perdendo gran parte del loro sapore cos� caratteristico. Per pulirli occorre innanzitutto raschiare l�eccesso di terra dal gambo con l�aiuto di un coltellino affilato e dalla lama liscia, separare i gambi dalle teste e poi strofinare accuratamente ogni parte con un panno di cotone inumidito. A questo punto � possibile tagliarli a fettine e cucinarli. Santa Maria al Bagno, il borgo signorile che ospitava gli Ebrei (di Guglielmo Ruberti, Corrieresalentino.it) Tra le bellezze paesaggistiche della marina di Nard�, vi � Santa Maria al Bagno, un�elegante frazione neretina, collocata tra Galatone, le localit� balneari limitrofe di Santa Caterina, Porto Selvaggio, Torre Uluzzo e Sant�Isidoro, e che dall�altro lato si estende sulla litoranea Gallipoli-Leuca. Santa Maria al Bagno, nacque come un piccolo borgo di pescatori, e stando alle testimonianze di alcuni reperti archeologici trovati nelle vicinanze della Grotta del Fico, era gi� un luogo abitato durante il periodo preistorico. La localit� portava il nome di Nauna al tempo dei Messapi, Portus Nauna al tempo dei Romani, abbazia di Sancta Maria de Balneo per i Basiliani, i Benedettini ed i Cavalieri Teutonici. Circa duemila anni fa, i Romani costruirono le loro terme in questo borgo marino, che successivamente fu dominato da diverse popolazioni, tra cui i Saraceni e i Veneziani, che allontanarono i pochi abitanti della localit�. La Torre del fiume di Galatena, oggi nota come la torre delle quattro Colonne di Santa Maria al Bagno, fu edificata nel XVI secolo da Carlo V con lo scopo non solo di controllare gli arrivi per via mare, ma anche per tutelare le sorgenti di acqua dolce presenti su quel punto della costa jonica, e su cui i pirati volevano spesso mettere le mani. La parte centrale della torre croll� poco tempo dopo la sua edificazione, e ne rimasero solo i quattro bastioni angolari, che oggi rappresentano un noto punto di ritrovo balneare. Per diversi secoli, Santa Maria al Bagno era disabitata, la localit� rinacque durante la seconda met� del 1800, quando iniziarono a sorgere le prime ville di famiglie nobili, che man mano, hanno creato uno splendore architettonico in stile liberty, oggi molto apprezzato dai numerosi turisti, intenti a visitare l�ambiente signorile della frazione neretina, estesa tra immense pinete, alte scogliere, e spiagge dal mare variopinto. Negli anni, alcuni abitanti di Galatone decisero di impegnarsi a ravvivare il posto, facendolo diventare una localit� di villeggiatura all�avanguardia. Nella storia del Salento, Santa Maria al Bagno ha una sua importanza culturale, basata su una serie di eventi dal grande spessore umano: nel 2005 la localit� ha ottenuto la Medaglia d�oro da parte del Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, che le ha assegnato il pi� alto riconoscimento al valore civile per l�accoglienza dei profughi Ebrei, in seguito all�Olocausto. Fino agli inizi del �900, la frazione neretina era un luogo molto tranquillo, ma dopo il natale del 1943, arrivarono gli slavi e la situazione cambi� radicalmente. Santa Maria al Bagno, per le sue tante dimore di villeggiatura, divent� improvvisamente un nuovo campo di accoglienza per i profughi, e lo stesso si verific� nelle zone limitrofe di Santa Caterina e le Cenate. Gli slavi, nella notte del natale 1943 arrivarono a Santa Maria al Bagno con i loro camion e sfondarono con veemenza le abitazioni dei residenti, per appropriarsi delle loro case; questi profughi iniziarono a vivere nella localit� balneare con prepotenza, creando non poco disagio, si cibavano grazie ad una mensa presente nella villa Leuzzi, ubicata in piazza, dove gli addetti alla cucina erano per la maggior parte abitanti della frazione. Dopo qualche mese, gli Slavi andarono via, e a Santa Maria al Bagno rimasero poche centinaia di Ebrei insieme a tutti i soldati arrivati in precedenza; ma pochi giorni dopo, nel posto iniziarono ad arrivare molti altri camion, che portarono nella localit� balneare neretina, come su tutto l�asse tarantino, numerosi nuovi Ebrei. Tali profughi vennero affidati ai soldati inglesi, comandati da mister Herman, assistente di mister J. Bond, il comandante del Campo, e venivano messi in fila da Paolino Pisacane, un abitante del luogo soprannominato �mayor� dal comando alleato, che accompagnava gli Ebrei nelle case messe loro a disposizione. I nuovi Ebrei, tra cui scarseggiavano bambini ed anziani come le famiglie al completo, erano adulti di mezza et�, molto diversi dai precedenti profughi, perch� taciturni e tristi, non intenti ad imporsi in nessun modo nel nuovo territorio che li ospitava. Si trattava di Ebrei la cui nazionalit� di provenienza era eterogenea: tra essi vi erano polacchi, austriaci, albanesi, greci, macedoni, rumeni, russi, tedeschi, slavi e ungheresi. Proprio in seguito alla creazione del Campo di accoglienza, sia in estate che in inverno, Santa Maria al Bagno era un luogo sempre popolato, dove i soldati inglesi e americani vivevano con gli abitanti del posto, ciascuno dei quali svolgeva un proprio lavoro, esattamente come accadeva negli altri paesi del Salento. Verso la fine del 1944, nella localit� di Santa Maria al Bagno, i profughi Ebrei si integrarono in modo pi� forte, dal momento che riuscirono a guadagnarsi la fiducia degli abitanti del luogo grazie al loro ammirevole comportamento, ed impegnandosi a scambiarsi con il baratto, beni e alimenti di ogni tipo. Tra il �44 e il �45 in seguito a dei furti in un magazzino, alcuni profughi furono improvvisamente allontanati, mentre i residenti di Santa Maria al Bagno riuscirono a rimanere nel posto. In realt�, nonostante la non confermata colpevolezza di qualche ebreo, l�allontanamento dei profughi in seguito al furto, fu deciso anche per il continuo arrivo di nuovi Ebrei, che nella primavera del 1945 affollarono la frazione di Nard�, subito dopo la liberazione dei campi di sterminio e la fine della guerra. I residenti di Santa Maria al Bagno aiutarono i rimanenti Ebrei a vivere serenamente la loro vita, ormai segnata dalle ultime tragedie belliche, integrandoli nella societ� e facendoli sentire liberi dopo anni di persecuzioni e violenze subite. In quel periodo, Santa Maria al Bagno era diventato un borgo molto signorile non solo dal punto di vista estetico, architettonico e paesaggistico, ma anche e soprattutto dal punto di vista sociale, dal momento che seppur di piccole dimensioni, la frazione neretina era il posto dove gli Ebrei si sentivano al sicuro, come a casa propria, riuscendo a familiarizzare con i giovani salentini e partecipando alle feste e agli eventi locali, con simpatia e disinvoltura. Arrivato il 1947, il Campo di accoglienza fu improvvisamente chiuso e gli Ebrei dovettero abbandonare la localit� neretina, salutando con rammarico tutti i loro amici italiani, scambiandosi con essi gli indirizzi per poter comunicare a distanza. Gli Ebrei che abitavano nel Salento furono mandati in diversi luoghi, tra cui Sud America e Australia, mentre alcuni abitarono in altre zone dell�Italia e dell�Europa. Come testimonianza della presenza degli Ebrei a Santa Maria al Bagno, sono rimasti i murales, che riportano dei disegni simbolici della loro cultura e religione, e raccontano l�esperienza vissuta dopo la liberazione dai campi di concentramento, procedendo nel viaggio in Europa fino ad arrivare a sud dell�Italia, nel Salento, per poi avviarsi nuovamente verso la tanto attesa �Terra Promessa�. Quanto si allena un campione olimpico (di Simone Valtieri, �Focus� n. 346/21) - In occasione dei Giochi di Tokyo, abbiamo chiesto a chi si occupa di scienza sportiva di raccontarci la preparazione atletica che c�� dietro dieci discipline - Quali sono i requisiti per realizzare il sogno di vincere una medaglia olimpica? Ci vuole talento, certo; passione per lo sport, ovviamente; polmoni e muscoli non guastano, anzi. Ma prima di tutto vengono l'impegno e la costanza nella preparazione fisica e negli allenamenti, il tutto condito dal necessario riposo (1-2 giorni a settimana, 3-5 ore al giorno tra una seduta e l'altra). Una lunghissima trafila quotidiana - al netto dei problemi di carattere organizzativo, come gli spostamenti per partecipare alle gare - irta di ostacoli e difficolt� che, quando si presentano, specialmente sotto forma di infortuni, possono sembrare insormontabili. Per prevenirli occorre attuare specifici piani di lavoro in palestra di almeno tre sedute settimanali, mentre per venirne a capo servono soprattutto testa e cuore. Con la collaborazione di Giampiero Pastore (medagliato olimpico nella scherma e oggi responsabile dell'Istituto di Scienza dello Sport del Coni) siamo andati a scoprire i regimi di allenamento ai quali si sono sottoposti i campioni di 10 diverse discipline a cinque cerchi nell'anno che ha preceduto la competizione, con carichi di lavoro pressoch� uguali tra i due sessi. Tuffi - A differenza di quanto si possa immaginare, i tuffatori svolgono la maggior parte del loro allenamento lontano dal trampolino o dalla piattaforma, effettuando esercizi alternativi e lavorando con strumenti come le pedane elastiche della ginnastica o le imbragature con fasce ed elastici per l'apprendimento delle figure acrobatiche. Sono previste anche numerose sessioni in palestra per potenziare i muscoli, sia senza, sia con carichi, e questo fa s� che diminuisca la possibilit� di traumi. In genere, gli infortuni riguardano proprio queste pratiche complementari, alle quali va ad aggiungersi un'altra casistica specifica, fortunatamente molto limitata, che comprende i traumi da impatto con la piattaforma o con il trampolino. Maratona - La corsa di resistenza � probabilmente l'attivit� sportiva che richiede pi� di ogni altra una costanza certosina negli allenamenti. I maratoneti vanno incontro principalmente a infiammazioni del tendine d'Achille o del tendine rotuleo, di conseguenza � importante usare calzature idonee (anche per prevenire fastidiose vesciche), a volte corredate da plantari adatti alla conformazione del piede. Per disputare non pi� di due o tre maratone all'anno, ci si allena dai 330 ai 350 giorni su 365, in genere con una o due sessioni quotidiane di circa tre ore. L'allenamento � personalizzato e i picchi di forma sono solitamente richiesti nelle stagioni fresche (primavera e autunno), con l'eccezione della maratona olimpica che, svolgendosi in estate, rappresenta un impegno ancora maggiore a causa del forte caldo. Velocit� - Gli sprinter concentrano i loro sforzi quotidiani al fine di rendere al meglio per gare di una manciata di secondi e che, nel caso dei Giochi olimpici, si svolgono nell'arco di 2-3 giorni ravvicinati. In sostanza � richiesto un dispendio energetico massimo ma per un tempo molto limitato, fattore che aumenta il rischio di infortuni. Questi atleti-jet sono infatti soggetti a contratture o, pi� spesso, a stiramenti al bicipite femorale, che si prevengono con un corretto allenamento aerobico, con lavori di potenziamento muscolare e, soprattutto, con una corretta procedura di riscaldamento pre-gara. Pi� di rado, le noie riguardano la muscolatura degli adduttori o dei polpacci: in tal caso si interviene con un'adeguata correzione della tecnica di corsa e con un pi� oculato utilizzo degli esercizi ad alta intensit�. Lotta - Il lavoro in palestra assume un'importanza capitale soprattutto per ci� che riguarda le discipline di combattimento come la lotta, che alle Olimpiadi si divide in due varianti: greco-romana e libera. Entrambe non prevedono percussioni (a differenza di boxe o karate, per esempio, e come avviene nel judo) ed � fondamentale lavorare sulla forza e sull'elasticit� dei muscoli, ma anche sulla resistenza, poich� lo sforzo richiesto � s� limitato nel tempo (due round di 3 minuti ogni incontro) ma continuativo e molto intenso. I traumi in questa disciplina sono collegati al contatto con l'avversario e si manifestano prevalentemente con distorsioni della spalla, dei gomiti, dei polsi, delle ginocchia. Si pu� ridurre il rischio solo con un'intensa preparazione, mirata al potenziamento muscolare e alla scioltezza articolare. Ciclismo su strada - L'allenamento su due ruote � il pi� dispendioso e si possono bruciare anche 7.000 kcal al giorno, che vanno reintegrate con una corretta alimentazione ipercalorica. Le sedute sono pressoch� quotidiane, per un totale di circa 35 ore in sella a settimana, ma i picchi di forma richiesti sono due o tre nel corso della stagione. Vi si arriva gradualmente con fasi di carico (caratterizzate da intensi allenamenti in palestra e in altura) e di scarico in vista della gara. Nel caso olimpico, la prova in linea dura 6-7 ore e quella a cronometro una, e, per prepararle, � utile partecipare a gare in prossimit� dell'evento (molti atleti utilizzano il prestigioso Tour de France). Gli infortuni riguardano soprattutto le cadute (fratture della clavicola, dei polsi, lesioni agli arti inferiori) e, solo in secondo luogo, infiammazioni del tendine rotuleo. Nuoto - Nel nuoto, anche chi si dedica a gare brevi (sui 50 o 100 metri) macina quotidianamente chilometri in acqua e deve seguire programmi dettagliati al fine di raggiungere i cosiddetti �picchi� di forma in vista delle gare. A tale scopo sono necessari cicli di lavoro di diversa intensit� a seconda della prossimit� dell'evento, programmando le �fasi di carico� (spesso in altura, per migliorare l'ossigenazione del corpo) lontano dalle gare, per poi �scaricare� (ossia diminuirne l'intensit�) al fine di presentarsi al massimo della forma sui blocchi di partenza. Occhio per� agli infortuni; nel nuoto prevalgono generalmente infiammazioni muscolotendinee alle spalle visto che, mancando un punto fisso per l'applicazione della forza, il resto della muscolatura e del sistema osteotendineo sono meno sollecitati. Equitazione - Essendo l'equitazione il solo sport olimpico che prevede la partecipazione di un animale, allenarsi costantemente rappresenta un problema, poich� occorre badare alla salute sia del cavallo sia del cavaliere. La preparazione fisica non � particolarmente dispendiosa per quest'ultimo, che si allena un paio d'ore al giorno, spesso in sessione singola, ma che deve rinunciare a svariati giorni di esercizio visto che il trasferimento dei cavalli in occasione delle gare comporta non poche complicazioni. A prescindere dai possibili traumi dell'equino, il cavaliere � esposto ai rischi delle cadute dagli esiti imprevedibili e a volte gravi; oltre a ci� � soggetto a infiammazione e lesioni dei muscoli adduttori, per prevenire le quali sono previste specifiche sessioni in palestra. Canottaggio - Quando non ci sono gare, che comportano alcune pause forzate nell'allenamento per via del trasferimento delle imbarcazioni da un luogo all'altro, i canottieri si allenano sei o sette giorni a settimana, dividendo la giornata in due o tre sedute e per un tempo complessivo di quattro ore al giorno. Tutto questo allenamento � richiesto anche dal fatto che tale disciplina � probabilmente quella che mette in moto pi� muscoli in assoluto. Gli infortuni nel canottaggio interessano in particolar modo la colonna vertebrale, sia a causa dell'impegno tipico della vogata, sia come conseguenza dell'utilizzo intenso dell'allenamento con i sovraccarichi. Per ovviare a questo, assumono una grande importanza gli esercizi di allungamento muscolare e di compensazione come, per esempio, quelli di scarico della colonna. Ginnastica artistica � L�allenamento dei ginnasti � concentrato soprattutto sulla coordinazione, sull�elasticit� di articolazioni e muscoli, ma anche sul potenziamento di questi ultimi. A inizio seduta (possono essere anche 3 al giorno da 1-2 ore per 5-6 volte a settimana) si dedica particolare attenzione allo stretching, per attivare nel modo corretto le articolazioni di gambe e braccia, e per risvegliare i muscoli del corpo. Gli infortuni purtroppo sono frequenti e di ogni tipo: riguardano soprattutto i piedi per il trauma da impatto dopo i salti, il tendine d�Achille e quello rotuleo per gli esercizi sulle pedane elastiche, le spalle per gli specialisti degli anelli e della sbarra. L�incidente, per�, pu� verificarsi soprattutto alle parallele asimmetriche e alla trave, poich� possono verificarsi cadute dall�esito imprevedibile, anche dovute all�impatto con l�attrezzo stesso. Pallavolo - Il problema principale nel preparare il torneo olimpico in uno sport di squadra risiede nella disponibilit� degli atleti, spesso impegnati con i rispettivi club. I selezionatori della nazionale hanno comunque a disposizione giocatori ben preparati e che si allenano da 270 a 300 giorni l'anno, con un rischio notevole, per�, di infortuni. I pallavolisti presentano una casistica rilevante di problemi alle spalle per la reiterazione dell'azione di schiacciata, ma anche alle ginocchia e alle caviglie, soprattutto a causa della ricaduta dopo i salti su una superfice dura come il parquet, che ottimizza la prestazione ma non elimina l'impatto violento. Per ridurre il rischio di farsi male � fondamentale l'uso di calzature ben ammortizzate e l'abitudine a esercitarsi nel salto, magari su superfici morbide come l'erba. Claudio Cecchetto: vi dico io qual � il tormentone dell�anno (di Francesco Chignola, �Tv sorrisi e canzoni� n. 35/21 - Abbiamo chiesto a un grande talent scout la formula magica per una hit estiva. E lui� - Quando si parla di torrmentoni estivi, chi meglio di Claudio Cecchetto pu� aiutarci a districare i dubbi su questa imprevedibile estate in cui abbiamo incoronato... Orietta Berti regina delle radio? Quando gli telefono, � a Milano. �Ma sono pronto a ripartire con il tour di Max Pezzali� mi racconta Cecchetto, che produce ancora l'ex 883 da lui scoperto. �Siamo stati fermi per tanti mesi ma questi splendidi concerti, pur con tutti i limiti imposti dalla pandemia, ci stanno ricordando perch� facciamo questo lavoro�. - Cecchetto, chi ha vinto la sfida dei tormentoni? �La verit�? Ora sono tanti �tormentini�... non come un tempo quando tutte le radio puntavano sullo stesso cavallo, come �La canzone del capitano� di Dj Francesco (che Cecchetto produsse nel 2003, ndr). E poi ci sono i torrmentoni �a target��. - In che senso? �Per i giovanissimi ci sono i Maneskin: � un pubblico che non si accontenta della canzone, vuole il look, lo spettacolo. E poi c'� il tormentone pop, come �Mille�. Sono canzoni pi� trasversali, ma � impossibile che ai giovani interessino davvero: per loro Fedez e Achille Lauro sono gi� troppo adulti, figuriamoci Orietta Berti!�. - Per� � una bella trovata. �Bisogna riconoscere anche che l'idea l'aveva gi� avuta quattro anni fa Rovazzi duettando con Gianni Morandi in �Volare��. - Coinvolgere le �vecchie glorie� � gi� una moda? �Penso che siano episodi isolati, piaciuti perch� efficaci. Non credo che ora i produttori si mettano a dire: �Trovatevi un artista vintage altrimenti non vendete!��. - Al posto di Jovanotti, un altro artista che lei ha lanciato, avrebbe regalato una sua canzone a Morandi? �Si vede che Lorenzo aveva voglia di fare musica ma rimanendo dietro le quinte: ha regalato il brano a Gianni per portargli un po' di allegria dopo l'incidente alla mano, e lui in cambio l'ha portata a tutti noi�. - Ma ci sar� stato almeno un tormentone degno dei bei tempi. �L�unico che ne ha tutte le caratteristiche � �Bongo cha cha cha�: il tormentone non pu� essere solo da cantare, deve stimolare in qualche modo il movimento del corpo, ispirarti una coreografia. Ecco, �Borgo cha cha cha� � un tormentone al 100%, anche se tutti lo chiamano �Vongola��. - Oggi il pi� ascoltato in radio � Marco Mengoni. �Il suo singolo � quello che chiamo un �tormentone alla lunga�, � partito piano, qualcuno ha provato a criticarlo, ma poi come le vere canzoni di successo ha conquistato tutti. Con le sue sonorit� Anni 80-90 � una boccata d'aria fresca per non annegare in un mare di reggaeton (ride)�. - Non � che il reggaeton � un po' passato di moda? �Per nulla, in realt� ce ne sono tanti, ma si fanno la guerra tra di loro. Non c'� un titolo che emerge, quindi si notano meno. I ritmi latini ci sono da sempre, ricordo che quando andavo in discoteca da ragazzo c'era la samba�. - Le discoteche chiuse hanno cambiato le regole? �Mi spiace tanto per un settore che � stato penalizzato cos� tanto dalla pandemia. Ma non c'� mai stata cos� tanta musica in giro, dai �chiringuiti� ai ristoranti dove dopo una certa ora si balla sui tavoli. Una volta c'erano solo i jukebox...�. - Che cosa pensa del fatto che cos� tante hit italiane siano un duetto o abbiano un �featuring�, cio� un ospite? �In Italia come al solito siamo arrivati in ritardo, � un fenomeno che ho osservato a lungo all'estero e mi � sempre piaciuto. Mi chiedevo sempre come mai non lo facessimo anche noi: forse gli artisti avevano paura del successo degli altri? Ma la condivisione � nella natura della musica, non a caso �play� in inglese vuol dire sia suonare che giocare�. - Suo figlio Leonardo anni fa incise anonimamente un pezzo che divent� virale sul web, �Le focaccine dell'Esselunga�. Mi racconta come and�? �Aveva fatto per gioco questo pezzo inviandolo agli amici su WhatsApp, e si fecero due risate. Erano gli anni dell'esplosione della trap, ma il suo brano era molto meno serioso. Poi una sera a cena lo vidi turbato...�. - Cos'era successo? �Qualcuno aveva pubblicato il suo pezzo su YouTube. E io gli dissi: �Bene! Cos� se piace te lo riprendi, se non piace nessuno ti criticher� (ride). E invece continu� a macinare visualizzazioni, girammo anche un video�. - Fa ancora musica? �S�, si fa chiamare OEL, che � il contrario di �Leo�. Lo trovate su Spotify. Ora ha iniziato a usare le chitarre, gliel'avevo detto pure io: �Basta con questi suoni campionati tutti uguali��. - E il suo figlio pi� grande, Jody, nel 2019 ha rivisitato il suo �Gioca Jouer�... �Lo ha fatto per una sigla tv (un programma su DeaKids, ndr) ma prima mi ha chiesto il permesso. E io ho detto: �Perch� no?��. - Dopo 40 anni � ancora il tormentone dei tormentoni in decine di villaggi e miniclub. �Da disc jockey volevo fare un pezzo dance tutto mio, ma ero stonato. Cos� ho creato un gioco sul mio supporto preferito, il disco. E trovo che sia naturale che un gioco duri pi� di una canzone�. - Ai suoi figli d� mai consigli �da produttore�? �Per due ragazzi cresciuti immersi nella musica � impossibile non appassionarsi, ma io li lascio andare liberi. Consigli non ne voglio dare, ma pareri s�. E poi che facciano con la loro testa�. - Lei lanci� anche Amadeus, � contento del suo successo a Sanremo? �Il nostro era un laboratorio (parla di Radio Deejay, fondata da Cecchetto nel 1982 e da lui diretta fino al 1994, ndr) ed � bello vedere che le persone che hanno lavorato con me hanno imparato cos� bene. Gli avevo augurato di condurre tre Festival, proprio come quelli che ho fatto io�. - Ha dei consigli in vista del prossimo Sanremo? �� proprio come con i figli: consigli non ne do, ma per un parere ci sono sempre�. - Insomma, esiste una formula per il tormentone perfetto? �� come chiedere alla Coca-Cola la formula della Coca-Cola: se anche la conoscessi non ve la direi (ride). Ma una cosa � certa: il tormentone � come il tartufo, se tutti sapessero dove spunta, tutti lo troverebbero. E non avrebbe pi� valore. Noi produttori dobbiamo essere cos�: dei bravi cani da tartufo.