Ottobre 2016 n. 10 Anno XLVI MINIMONDO Periodico mensile per i giovani Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registrazione 25-11-1971 n. 202 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Massimiliano Cattani Antonietta Fiore Luigia Ricciardone Copia in omaggio Indice 1956: l'Ungheria in fermento Quando i dati mentono L'origine della musica Quando nacque lo "Spaghetti" western Ad ogni pane il suo salame Un weekend in Salento Marco Tardelli: l'urlo e la storia del calcio 1956: l'Ungheria in fermento (di Jennyfer Radulovic, "Focus Storia" n. 119/16) - Sessant'anni fa a Budapest scoppiava la rivolta contro i sovietici. Una fiammata di libert� e democrazia soffocata dai carri armati di Mosca, nell'indifferenza del mondo - Oggi li chiamiamo "fatti d'Ungheria". Ma dietro a questa espressione apparentemente neutra si nasconde una vera e propria rivoluzione, o meglio, un drammatico tentativo di rivolta: quello di studenti e intellettuali nell'Ungheria di sessant'anni fa, represso senza piet� dai carri armati sovietici. Fu il primo segnale di aperto dissenso all'interno del blocco comunista e lasci� un segno profondo in tutto il mondo. Ma per capire come andarono le cose in quelle settimane e comprenderne le conseguenze, bisogna fare un passo indietro e rivivere il clima di allora. Tre anni prima di quel fatale ottobre 1956, il 5 marzo 1953, a Mosca era morto Iosif Stalin, padre padrone dell'Urss. Fu una morte controversa: il dittatore fu trovato agonizzante nel suo studio blindato, dove a lungo nessuno aveva avuto il coraggio di penetrare con la forza, e forse fu avvelenato o lasciato morire. Anche se i suoi funerali furono un ultimo, mastodontico atto di propaganda, con la salma imbalsamata e messa accanto a quella di Lenin, il mito di Stalin non era destinato a durare. Nikita Krusciov, nuovo leader dell'Urss, diede subito segnali di cambiamento. E la grande svolta arriv� proprio in quel fatidico 1956, a febbraio. Durante il XX Congresso del Partito comunista sovietico, Krusciov lesse un rapporto segreto, che per� non rimase tale per molto. Dopo qualche settimana alcuni giornali occidentali lo diffusero per intero. Che cosa aveva detto Krusciov? Aveva ammesso che Stalin era stato un dittatore, che aveva ordinato repressioni e purghe contro presunti "nemici del popolo", in realt� spesso innocenti, fra torture, confino nei campi di prigionia e lavori forzati. Quelle rivelazioni furono uno choc per i Paesi occidentali, alleati dell'Urss contro il nazifascismo. Ma la cosiddetta "destalinizzazione" suscit� pi� di una speranza tra i Paesi satelliti dell'Unione Sovietica, tra i quali l'Ungheria. I primi a muoversi, il 28 giugno 1956, furono i polacchi di Poznan. Il fallimento delle politiche socialiste, l'aumento vertiginoso dei prezzi e le insostenibili condizioni di lavoro convinsero i lavoratori polacchi della citt�, coalizzati in movimenti cattolici, a manifestare contro il regime sovietico. Operai, intellettuali e studenti polacchi, davanti alla politica di destalinizzazione e alle ammissioni di Krusciov, avevano creduto di poter far sentire la propria voce. Lo stesso pensarono i loro colleghi ungheresi. Ma la loro posizione era pi� complicata. Se la Polonia era stata infatti un Paese occupato e liberato dai russi, l'Ungheria alla fine della Seconda guerra mondiale si era trovata tra le file degli sconfitti: nel conflitto, infatti, si era schierata con le potenze dell'Asse (Germania, Italia e Giappone). Cos�, fu affidata a un governo-fantoccio filosovietico, una sostanziale dittatura, guidato dal 1952 da M�ty�s R�kosi. In pi�, per contenere l'espansionismo della Iugoslavia di Tito (che si era liberata da sola, e non grazie ai russi), Krusciov cerc� un avvicinamento con Belgrado. A spese, ancora una volta, della confinante Ungheria. Come ha spiegato lo storico Federigo Argentieri, "nel corso di un decennio esatto, compreso tra il giugno del 1948 e il giugno del 1958, i destini dell'Ungheria furono prevalentemente decisi dai rapporti tra l'Unione Sovietica e la Iugoslavia". Intellettuali e studenti di Budapest, per�, organizzarono lo stesso, nonostante i rischi, un movimento di solidariet� ai dimostranti polacchi. Il primo nucleo di dissidenti era formato dai membri del Circolo Pet�fi: un gruppo che si era dato il nome di un poeta, S�ndor Pet�fi, protagonista della rivoluzione ungherese del 1848. Il 23 ottobre 1956 alla manifestazione pacifica si unirono anche le universit� cittadine, seguite a catena dalla gente comune, dai lavoratori, dalle donne, dai ragazzini. Sulle vetrine dei negozi comparve la scritta "Ruszkik h�za!": "Russi andate a casa!". R�kosi ebbe l'infelice idea di lanciare via radio un comunicato in cui minacciava misure severissime contro i manifestanti. In poche ore la sede dell'emittente radiofonica fu presa d'assalto: la protesta si stava trasformando in rivoluzione. L'insurrezione contro i sovietici e la dittatura di M�ty�s R�kosi fu essenzialmente una rivolta urbana, cio� concentrata soprattutto nella capitale, Budapest. Gli insorti presero subito il controllo dei depositi delle forze dell'ordine, requisendo armi. A loro si un� il questore di Budapest, il parlamentare S�ndor Kop�csi, che aveva gi� denunciato al Pcus i metodi di R�kosi. La tappa successiva fu al quartier generale della Avh, la temutissima polizia politica comunista. Il popolo scopr� allora le disumane prigioni nascoste nei sotterranei, le sale degli interrogatori, gli strumenti di tortura: i prigionieri furono subito liberati. Tra loro c'era un personaggio-simbolo: il cardinale J�zsef Mindszenty, ex primate della Chiesa d'Ungheria, dissidente della prima ora e per un certo periodo in contrasto anche con la Santa Sede. Costretto a firmare denunce e confessioni, aveva avuto la prontezza di aggiungere a quei documenti la sigla latina "C'F.", "Coactus Feci", "lo feci sotto costrizione". Come in ogni rivoluzione, scatt� la giustizia sommaria. Molti aguzzini della Avh furono brutalmente uccisi per le strade, mentre i rivoluzionari caduti rimanevano per le vie, cosparse di ciottoli di porfido per rallentare i movimenti dei mezzi dell'esercito. Ma la rivolta aveva bisogno di una guida, di un capo da seguire. In una totale confusione tentarono di affermarsi in pochi giorni diversi leader politici, alcuni vicini altri lontani da Mosca. Ci fu persino chi chiese l'intervento dei sovietici, ma alla fine riusc� a emergere la figura di Imre Nagy. Era un comunista ed era gi� stato primo ministro nel 1952-53. Ma era anche un idealista e un amante della pace, contrario a R�kosi e disposto a combattere a fianco dei rivoluzionari. Era convinto di riuscire a restituire la libert� agli ungheresi, senza tradire gli ideali socialisti, grazie a un programma di riforme. La guerriglia, intanto, dava i suoi risultati: i carri armati sovietici abbandonarono la capitale, davanti ai bambini e alle donne che avevano difeso Budapest. Il nuovo governo, di cui Imre Nagy era il premier, invi� le sue condizioni a Mosca: nuove elezioni pluripartitiche, vera indipendenza nazionale e autonomia dall'Urss. Quelle richieste, come la rivolta stessa, furono accolte, nel mondo, da un silenzio assordante. L'Occidente sapeva quello che stava accadendo a Budapest. Ma non era intenzionato a mettere becco in una questione che era considerata interna al blocco sovietico. La Guerra fredda stava vivendo una delle sue fasi pi� delicate e una mossa sbagliata avrebbe davvero potuto scatenare un terzo conflitto mondiale, con tanto di minaccia atomica. In quel drammatico 1956 i fronti aperti sullo scacchiere mondiale erano tanti. Negli stessi giorni in cui Budapest era messa a ferro e fuoco, al-Nasser, presidente d'Egitto, annunciava la nazionalizzazione del Canale di Suez. Gli interessi commerciali legati alla strategica via d'acqua erano troppo importanti e, in risposta, Francia, Regno Unito e Israele occuparono militarmente la zona. La tensione sal� alle stelle: l'Urss minacci� di scendere in campo accanto all'Egitto e si sfior� la catastrofe. Per la prima volta dall'inizio della Guerra fredda, nel 1946-48, Usa e Urss si accordarono per la pace. In questo contesto, la rivolta ungherese contro il gigante sovietico (che gli occidentali non volevano indispettire) non valeva nemmeno un granello del deserto egiziano. La situazione degli ungheresi, senza sostegno internazionale, precipit�. Dopo aver simulato una ritirata, i sovietici si riorganizzarono fuori citt�. I comandi dell'Urss mandarono un numero ingente di carri armati, che invasero Budapest il 4 novembre. I mitragliatori e qualche granata non poterono fare molto contro i cingolati. Chi fu presente all'arrivo dei carri a Budapest ha raccontato di un'atmosfera surreale: i cingolati russi avanzavano nelle vie deserte, silenziose e desolate. Poi ci fu qualche colpo sparato contro i carri e qualche pietra lanciata dai marciapiedi: i russi iniziarono a sparare all'impazzata e ad attaccare i palazzi del nuovo potere. Non erano passate nemmeno due settimane dalla manifestazione di protesta del 23 ottobre. Le tragiche notti di quel freddissimo novembre furono rischiarate dai tetri fuochi dei palazzi della citt� che ardevano. Imre Nagy affid� alla radio il suo ultimo accorato discorso, in cui denunciava l'invasione: "Qui parla il Primo ministro Imre Nagy. Oggi all'alba le truppe sovietiche hanno aggredito la nostra capitale con l'evidente intento di rovesciare il governo legale e democratico d'Ungheria. Le nostre truppe sono impegnate nei combattimenti. Il governo � al suo posto. Comunico questo fatto al nostro Paese e al mondo intero". Ma, ancora una volta, il mondo intero si volt� dall'altra parte. Nagy, rifugiatosi nella sede dell'ambasciata iugoslava, fu tradito da Tito, che lo consegn� ai sovietici: Budapest non valeva una rottura con Mosca. Dopo due anni di prigionia e un processo sommario durato poche ore, Nagy fu giustiziato. Lo seppellirono a faccia in gi�, in una fossa senza nome e in una localit� segreta, per evitare che la sua tomba diventasse meta di pellegrinaggio. Insieme a lui furono giustiziati altri componenti della rivolta e migliaia di ungheresi furono imprigionati, torturati e perseguitati dalla polizia politica. Quasi 250-mila persone fuggirono dal Paese, come profughi e rifugiati politici. J�nos K�d�r, fedelissimo di Mosca, divenne capo dello Stato, con poteri illimitati. Rimase in carica fino al 1988. S�ndor Kop�csi fu arrestato e condannato all'ergastolo, ma usc� dal carcere nel 1963 grazie all'amnistia generale concessa da Krusciov. Si dovette invece attendere la caduta del Muro di Berlino, nel 1989, per dare degna sepoltura, con i funerali di Stato, a Nagy e alle altre vittime (il numero totale � rimasto incerto) del 1956. La rivoluzione era stata una sconfitta sul campo, ma restava una vittoria morale. Quando i dati mentono (di Mauro Gaffo, "Focus" n. 283/16) - Siamo in un'era che annega nei numeri. Che a volte si prestano a interpretazioni surreali - Dobbiamo credere ancora alla scienza? Sembrerebbe di no, a giudicare da certi titoli di giornale usciti negli ultimi anni: "Non esporsi mai al Sole aumenta il rischio di tumori"; "Non � vero che fare esercizio fisico sia una prevenzione per l'Alzheimer"; "Dormire pi� di 8 ore per notte fa bene alla salute"; "Dormire pi� di 8 ore per notte accorcia la vita"... Da cosa dipendono le continue contraddizioni e i voltafaccia che ribaltano a suon di statistiche tutto quello che si sapeva prima? Non � solo la gente comune a chiederselo. Da una decina d'anni, anche negli ambienti scientifici si cerca di capire quanto siano affidabili le nuove scoperte. E la risposta � sorprendente: almeno nei casi sottoposti a verifica, oltre la met� delle ricerche sperimentali arriva a conclusioni sbagliate. In parte � colpa del progresso, che ci ha dato computer superveloci capaci di trovare nelle banche dati ogni tipo di rapporto causa-effetto... compresi quelli che non esistono. Per chiarire il concetto, citeremo due casi, uno scherzoso e uno molto serio. Cominciamo dal primo: lo sapevate che la favola dei bambini portati dalle cicogne nacque in seguito a uno studio statistico? A fine Ottocento, nei Paesi Bassi, si scopr� che se in citt� arrivavano pi� cicogne nascevano anche pi� bambini, e fu cos� che si diffuse la ben nota leggenda... In realt�, le case dove c'era un nuovo nato venivano riscaldate di pi� e il calore attirava le cicogne. Il rapporto - in questo caso specifico - c'era, ma era indiretto. Nel 1958, William Phillips, docente di economia a Londra, pubblic� un articolo su inflazione e disoccupazione; i dati parlavano da soli: ad alti livelli di inflazione corrispondevano bassi livelli di disoccupazione, e viceversa. Questo collegamento divent� famoso come "curva di Phillips" e orient� le politiche economiche occidentali almeno fino agli Anni '70... quando esplose la stagflazione (cio� elevata inflazione con forte disoccupazione). Insomma, la relazione "scoperta" da Phillips non esisteva. I due fenomeni si influenzano a vicenda, questo � vero, ma di certo non basta che uno aumenti per far calare l'altro. In altre parole, era stata individuata quella che gli specialisti chiamano una "correlazione spuria". La lezione per� non � bastata, e molti studiosi continuano a fare scoperte che a un secondo esame si rivelano coincidenze dello stesso tipo. Di recente, per esempio, potreste aver letto che i genitori di bell'aspetto hanno una probabilit� pi� alta di avere figlie femmine. Non credeteci: � una correlazione spuria. Uno studente americano della Harvard Law School, di nome Tyler Vigen, ha dimostrato nel suo blog quanto sia facile, partendo da masse di dati abbastanza grandi, trovare correlazioni spurie di ogni tipo. I suoi grafici sono tutti rigorosamente corretti e controllabili, anche se � ovvio che, per esempio, le importazioni di greggio dalla Norvegia negli Stati Uniti non hanno rapporti con le collisioni fra treni e automobili. Secondo Andrew Gelman, uno statistico della Columbia University di New York, al pubblico piacciono i risultati corredati da rigorosi dati statistici, com'� accaduto per la "scoperta" che nel periodo dell'ovulazione le donne preferiscono vestirsi di rosso. Peccato che anche questa sia una correlazione spuria. "� come se la gente prendesse i dati statistici come una scusa per spegnere il cervello", ha detto Gelman al settimanale britannico New Scientist. "Gelman ha ragione", conferma Antonietta Mira, docente di statistica all'Universit� della Svizzera Italiana. "In passato si partiva da un'ipotesi e poi si raccoglievano dati per confermarla o confutarla. Oggi, invece, i dati esistono gi�. Da una parte � un grande vantaggio, ma soltanto se si fa lo sforzo di capire come sono stati generati e gli scopi per cui sono stati raccolti". In questa nuova era, che alcuni chiamano dei Big Data, non c'� solo il guaio delle correlazioni spurie. C'� anche il problema della crescita esponenziale dei ricercatori, tutti che sgomitano per vedere pubblicate le proprie nuovissime ricerche. "Questo significa che nessuno controlla mai i risultati delle ricerche altrui, nemmeno quando ci va di mezzo la salute", pens� qualche anno fa John Ioannidis, oggi docente a Stanford e ormai considerato un esperto mondiale sulla credibilit�, o meno, delle ricerche in campo medico. Nel 2005, Ioannidis scelse le 49 scoperte mediche pi� importanti dei 13 anni precedenti e ne replic� 34. Risultato? Ben 14 degli articoli esaminati (il 41%) erano arrivati a conclusioni errate o esagerate... e se era vero per le ricerche pi� acclamate, quale poteva essere il livello delle ricerche di secondo piano? Per il mondo della medicina fu uno shock, ma almeno divent� chiaro come mai ci fossero cos� tante contraddizioni fra una ricerca e l'altra e forse spieg� anche casi come quello del Vioxx (nome commerciale del rofecoxib), un farmaco contro l'artrosi che 5 anni dopo il lancio fu ritirato dalle farmacie perch� aumentava il rischio di infarto. A peggiorare la situazione, a volte gli stessi statistici intervengono troppo nell'interpretare i dati che raccolgono. "Come avvenne nel 2002 quando scoppi� una polemica tra l'Eurispes e l'Istat sulla situazione economica in Italia", racconta Gian Maria Fara, presidente dell'Eurispes. "L'Istat, ovvero la statistica ufficiale, dava un certo livello di inflazione, mentre la nostra analisi empirico-pratica andava in una direzione diversa. Non erano le voci del paniere a essere sbagliate, ma il loro peso. Per esempio, le spese per la casa pesavano solo per il 9% pur comprendendo l'affitto (o il mutuo), le spese condominiali, le utenze, le ristrutturazioni... Il risultato era che l'inflazione sembrava ferma, mentre invece aveva iniziato a galoppare". L'Istat alla fine riconobbe l'errore e modific� il sistema di pesatura. "Anche se non profondamente come noi ritenevamo necessario", precisa Fara, secondo il quale non c'� che una strada per risolvere problemi simili: "Lo statistico dovrebbe raccogliere i dati e garantire la correttezza della raccolta, nient'altro"; lasciando, cio�, ad altri esperti il compito di interpretarne il significato. Tornando alle ricerche scientifiche, dopo la scoperta fatta da Ioannidis sugli errori degli studi medici, altre discipline sono state analizzate nello stesso modo. Nel 2012, per esempio, alcuni ricercatori di una societ� di biotecnologie, la Amgen, hanno cercato di riprodurre 53 importanti studi sul cancro arrivando a risultati diversi dagli originali ben 47 volte. Nel 2015 � toccato alla psicologia: sono stati replicati 100 esperimenti, che si sono rivelati fallaci nel 60% dei casi. L'ultima conferma riguarda l'economia e risale allo scorso marzo: un articolo di Science descrive il tentativo di replicare 18 esperimenti pubblicati su autorevoli riviste economiche tra il 2011 e il 2014. Anche in questo campo i conti sembrano non tornare: in 7 casi su 18, i risultati si sono rivelati opposti a quelli attesi, e negli altri 11 l'effetto misurato si � rivelato inferiore di un terzo rispetto a quanto dichiarato negli articoli di partenza. Nonostante questi scricchiolii nell'edificio della scienza, l'era dei Big Data porta con s� anche notizie positive. "Per esempio, Google ha creato un sistema per prevedere le epidemie di influenza in 29 Paesi del mondo, basato sulle parole cercate dalla gente", racconta Antonietta Mira. "Tutto sembrava funzionare benissimo finch�, nel 2013, il programma non ha sovrastimato enormemente il picco dell'epidemia". L'errore non era nei dati, ma nel modo di analizzarli, spiega Mira. "Si � trattato di un errore di overfitting: lo sforzo di creare una curva che si adattasse troppo bene ai dati gi� pervenuti (cio� il passato) ha reso inaffidabile la loro proiezione nel futuro". Insomma, la massa di dati che oggi abbiamo a disposizione non � una maledizione che distrugge la scienza, ma un'opportunit� da sfruttare. Solo che dobbiamo imparare a farlo meglio. La rivoluzione dei Big Data costringer� gli scienziati a rivedere tutti i loro protocolli per imparare a lavorare fianco a fianco con gli statistici e con gli specialisti di altre discipline. Ma sar� meglio che imparino in fretta, perch� quella che sta arrivando � un'onda di tsunami, e sta prendendo velocit�. L'origine della musica (di Marco Ferrari, "Focus" n. 284/16) - In ascensore, in camera, negli stadi, le note ci accompagnano ovunque. Ma come nasce quest'arte antica? E cosa suonavano i nostri antenati? - Non abbiamo testimonianze dirette, ma il primo gruppo rock doveva essere composto da un flautista, un percussionista e una voce. Una formazione essenziale, che la trib� ascoltava rapita 40-mila anni fa. L'origine della musica � uno dei misteri pi� affascinanti, e le scoperte archeologiche stanno svelando un mondo che, oltre a essere lontano nel tempo, � anche molto diverso dal nostro. Strumenti semplici, note differenti, "canzoni" che oggi suonerebbero strane. � quasi certo che il punto di partenza della nostra specie sia stata la voce, usata soprattutto in cerimonie sciamaniche o nei momenti particolari della vita della trib�. Secondo gli studiosi, i suoni emessi erano imitazioni di quelli naturali: rumori ripetuti e ritmici, cinguettii di uccelli e gridi di scimmie furono forse le prime ispirazioni per Homo sapiens. � anche possibile, secondo i paleoantropologi, che la musica stessa - cio� le canzoni della trib� - abbia preceduto il linguaggio articolato e complesso della nostra specie. Le antiche melodie avevano sicuramente un valore emozionale molto forte per la vita di quegli uomini. Valore che si � trasmesso fino a noi, dato che canzoni e opere fanno piangere o ridere il pubblico, oggi come allora. Ma se le note sono presenti ovunque e da sempre, non potrebbero essere parte integrante di noi? Forse s�, e lo suggerisce un fatto: nel mondo intero, non esistono culture che ne sono prive. "L'antropologia e l'archeologia raccontano che in tutte le popolazioni umane esiste la musica, da decine di migliaia di anni e forse dall'inizio della nostra storia. Il sospetto � dunque che almeno una parte di tutto questo sia iscritto nei nostri geni", dice Silvia Bencivelli, giornalista e autrice di Perch� ci piace la musica: orecchio, emozione, evoluzione (Sironi editore). Dai Pigmei africani agli Inuit dell'Alaska, tutti suonano e cantano. Per gli aborigeni australiani, in particolare, note e geografia sono strettamente collegate: le canzoni ripercorrono le "tracce del Sogno", cio� i sentieri terrestri o celesti seguiti dai creatori nel momento della nascita del mondo. Chi conosce questi canti � in grado di orientarsi nel territorio ripetendo le parole che descrivono la posizione dei punti di riferimento, come pozzi d'acqua o altri elementi naturali. Alla voce, dopo un po', si aggiunsero gli strumenti musicali. Il primo componente fu costituito, quasi sicuramente, dalle percussioni: tronchi d'albero, pietre, forse (ci sono alcuni indizi) perfino stalattiti, che percosse potevano funzionare come enormi canne d'organo. Peccato che di tutto ci� non sia rimasto niente o quasi. I primi strumenti di cui sono stati trovati i resti sono pezzi di osso di animale (femori o altre ossa lunghe) con buchi pi� o meno naturali, che potrebbero aver funzionato come rudimentali flauti. Uno dei pi� completi � ricavato da un osso di cigno ed � stato rinvenuto a Geissenkl�sterle, in Germania. Risalirebbe a circa 37.000 anni fa, � lungo 12,5 centimetri e ha tre fori a distanze diverse l'uno dall'altro (� simile a un analogo strumento trovato a Hohle Fels, sempre in Germania). Anche oggi, fra l'altro, come racconta Victor Grauer nel suo recentissimo libro Musica dal profondo (Codice Edizioni, 2015), il flauto, pi� o meno complicato, � uno degli strumenti pi� diffusi nelle trib� di tutto il mondo. I paleoantropologi hanno cercato di ricostruire non solo il suo aspetto antico, ma anche come suonasse. Tre studiosi tedeschi (Susanne M�nzel, Friedrich Seeberger e Wulf Hein) hanno realizzato una replica; ne � risultato uno strumento di circa 15 centimetri, in grado di intonare il do, il re, il fa e il si, oltre che il do, il re e il fa all'ottava superiore. Soffiando pi� o meno intensamente, si potevano ottenere anche altre note. In questo modo il nostro gruppo di riferimento, che inizialmente aveva soltanto le percussioni, si arricch� dei fiati. � probabile che a questo punto, pian piano, l'inventiva umana abbia trovato altri strumenti per accompagnare le danze e i racconti degli sciamani. Ecco quindi i pezzi di legno incisi o bucati, in modo da legarli a una corda e produrre un "muggito" se fatti roteare (si chiamano rombi). Poi arrivarono gli scraper, cio� pezzi di legno con striature che producono un rumore raschiante. Le zucche vuote, ripiene di semi, funzionavano come le odierne maracas, e anche i sonagli dei serpenti potevano servire a tenere il ritmo. A questi si aggiunsero strumenti pi� complessi, come i flauti a pi� canne (detti di Pan). Il loro uso accompagn� ovunque il canto, cos� il gruppo musicale della trib� divenne pi� complesso e articolato. Magari a pi� voci alternate e armonizzate, cio� che si sviluppavano seguendo linee melodiche diverse. Ma, a parte qualche strumento, per capire come davvero suonassero e cantassero i nostri antenati, bisogna andare avanti di qualche migliaio di anni, quando apparvero le prime tracce scritte. La prima � il cosiddetto Inno di Hurrian alla dea Nikkal, la pi� antica canzone scritta al mondo, che risale a circa 1.400 anni prima di Cristo. Sulle tavolette di argilla ritrovate a Hugarit, l'odierna Ras Shamra, in Siria, ci sono le istruzioni per il cantante e per l'accordatura della lira; sembrerebbe facile arrivare a un risultato. Purtroppo gli studiosi non sono in accordo: le note (sette, come le nostre, ma con rapporti tra loro diversi) possono essere interpretate in pi� modi, e risultare in melodie differenti. Lo stesso mistero avvolge la musica dei Greci: gli antichi non recitavano l'Iliade o l'Odissea, ma le cantavano. Basandosi sulle sillabe lunghe o corte dei testi, gli archeologi sono riusciti a ricavare il ritmo dei poemi greci. Gli strumenti (flauti, lire e percussioni) possono essere ricostruiti dai dipinti e dai resti archeologici, e si pu� capire quali note producessero. Manca ancora la melodia, che Armand D'Angour, musicista e insegnante della Oxford University (Uk), ha cercato di ricostruire in base a documenti che vanno dal 350 a.C. al 300 d.C.. In questi scritti, le note sono indicate dalle lettere e, in base all'intervallo della voce, si riesce a capire quali siano quelle usate. Ritmo e melodia sono per� diversi da quelli occidentali. David Creese dell'Universit� di Newcastle (Uk) ha musicato un frammento di "canzone" in base a scale e accordi descritti da Tolomeo nel II secolo d.C.. E la canzone suona quasi aliena, diversissima dalle nostre "occidentali"; sembra quasi di provenienza orientale. A questo punto, il complesso che suonava e accompagnava le canzoni era gi� molto ricco: c'erano lire, flauti, percussioni, strumenti a fiato costruiti con conchiglie. E la musica aveva un posto fondamentale nella storia e nella vita di tutti i giorni. Tanto che praticamente ognuno degli d�i, in Grecia come in India, suonava uno strumento. Da allora l'arte del suono � diventata sempre pi� raffinata, e la teoria pi� completa (e complessa). Ma tutto � partito dalle voci della foresta, e da un piccolo flauto in osso di migliaia di anni fa. Quando nacque lo "Spaghetti" western (di Luciano Scarzello, "Focus Storia" n. 120/16) - Memorie e curiosit� dai set dei film di Sergio Leone nella Spagna di Francisco Franco, cinquant'anni dopo - Nel 1964 usc� nelle sale italiane Per un pugno di dollari, il primo film western di Sergio Leone; nessuno, allora, avrebbe scommesso su un successo cos� clamoroso. Forse neppure lo stesso Leone, che aveva a disposizione un budget limitato e un copione che riprendeva un film sui samurai del giapponese Kurosawa (il che ebbe anche uno strascico giudiziario). Ma perch� scegliere il western, genere tipicamente americano? Spiega Cristina Bragaglia, docente di storia del cinema all'Universit� di Bologna: "Il filone del "peplum", i kolossal in costume di ambientazione romana o mitologica, come Gli ultimi giorni di Pompei o Quo Vadis, girati a Cinecitt� e che avevano tenuto alte le sorti economiche del cinema italiano (seppure in mano a registi americani), era entrato in crisi. Serviva trovare nuovi soggetti". Fu Amadeo Tessari, alias Duccio Tessari, a puntare sul western. Ma i produttori nostrani non potevano sperare di ingaggiare attori americani specialisti del genere. Si scelsero volti poco noti, come quello del giovane californiano Clint Eastwood. Leone non cercava un volto da eroe. I suoi personaggi erano cinici, mai idealisti. Accanto a Eastwood, per i film della "Trilogia del dollaro" (oltre a Per un pugno di dollari, Per qualche dollaro in pi� del 1965, Il buono, il brutto, il cattivo del 1966), finirono Lee van Cleef e Eli Wallach. Anche loro erano ben poco "John Wayne". Perch�? "C'era la voglia di reinterpretare in chiave ironica il genere, come dimostrano gli scarni dialoghi, a volte surreali fino all'umoristico", dice la storica. Per la stessa ragione, accanto a questi protagonisti, non c'era spazio per ruoli femminili forti. Unica eccezione, Claudia Cardinale, in C'era una volta il West (1968). Il basso budget imped� di girare negli Stati Uniti. Si scelse, come alternativa, la Spagna, allora sotto la dittatura franchista. Non soltanto i costi l� erano bassissimi ma c'erano anche, tra Castiglia e Andalusia, angoli che parevano scaraventati l� dal Texas o dall'Arizona. In Andalusia fu scelta l'area attorno a Tabernas, oggi un paesino di 4-mila abitanti in mezzo a 280 km quadrati di paesaggio semidertico, dove si possono ancora visitare alcuni set. In Castiglia, il West era invece a Sala de Los Infantes, a 60 km da Burgos. Il governo franchista accolse gli italiani a braccia aperte: concesse le autorizzazioni e diede una mano per la logistica. Furono i soldati spagnoli a realizzare il finto cimitero di 8-mila tombe del finale di Il buono, il brutto, il cattivo, pellicola di cui si celebrano i cinquant'anni (per l'occasione, sar� restaurata una parte del finto camposanto). E fu il genio militare spagnolo a costruire il ponte che, nello stesso film, viene fatto esplodere in una spettacolare sequenza. Al di l� del risultato cinematografico (diventato per� cult nel giro di una generazione), gli "spaghetti western", come li chiamarono con disprezzo gli americani, non erano approssimativi. Anzi. "Il buono, il brutto, il cattivo, capolavoro riconosciuto della Trilogia, rappresenta bene la durissima Guerra di secessione americana", spiega Bragaglia. Leone si document� negli Usa e riusc� a restituire, pi� degli americani, la violenza di quel conflitto. E il regista spieg� che, quando studiava come realizzare una scena con un campo di prigionia nordista, gli passarono per la mente i campi di sterminio nazisti. La violenza dei western all'italiana non era dunque, come alcuni dissero allora, fine a se stessa. In fondo, era la violenza della Storia. Ad ogni pane il suo salame ("RivistAmica" n. 7/16) Pane e salame � una seria candidata al titolo di "coppia pi� bella del mondo", almeno a tavola. Una combinazione semplice ma di grande gusto che ben si adatta a uno spuntino, a una merenda sostanziosa o a un pasto veloce. Il pane per� non � tutto uguale e il salame nemmeno: ci sono combinazioni particolari tra forme di pane e variet� del salume che risultano particolarmente azzeccate, evidenziando ancora di pi� il connubio. Posto che non � un delitto accoppiare casualmente qualunque tipo di pane con qualunque tipo di salame (anzi il risultato resta apprezzabile), ecco una lista di combinazioni gustose. Cascina e rustichello - Al primo posto troviamo una coppia rustica, che sa di scampagnate e picnic all'aria aperta. Il salame scelto � il Cascina, un bergamasco dal sapore deciso da affettare con il coltello. Composto da pregiate carni suine, aromatizzato e lasciato stagionare per qualche mese, conserva tutto l'aroma delle antiche fattorie dove � nato. Il suo compagno perfetto non pu� che essere il pane rustichello, che alla farina tradizionale aggiunge quella integrale, fiocchi di avena e orzo, semi di girasole e sesamo. Perfetto accoppiamento quando si ha voglia di sapori forti. Arabo e salame Milano - Milano incontra l'Oriente nella seconda combinazione: da una parte c'� l'arabo, il soffice panino rotondo schiacciato, dall'altra il salame Milano, a grana fine dal gusto dolce. I nomi per� a volte ingannano: il Milano sembra in realt� essere originario di Codogno, in provincia di Lodi, mentre il pane arabo che si trova nelle nostre panetterie non � esattamente la pita che mangiano in Turchia, nei Balcani e in Medio Oriente. Il gusto dell'abbinamento non ne risente e sembra in grado di insidiare anche la pi� tradizionale coppia michetta-salame Milano, che ha dalla sua un dna 100 per cento lombardo. Salame Felino e pane di semola - Chiariamo subito un possibile equivoco: il salame di Felino non viene fatto con carne di gatto. Si tratta invece della cittadina in provincia di Parma in cui si produce storicamente questo salume, che ha ottenuto il riconoscimento di Indicazione Geografica Protetta. Con le sue fette rosse punteggiate dal bianco del grasso macinato � difficile trovare un pane che non ne esalti le qualit�. La perfezione viene raggiunta per� con il pane bruco di semola. Friabile fuori e morbido dentro, il bruco sembra fatto appositamente per essere tagliato a fette trasversali: quelle alle estremit� del panino potrebbero anche combaciare perfettamente con le fette di salame. Salame a pasta grossa e zoccoletto - I palati che apprezzano i sapori pi� ruspanti si concederanno volentieri uno zoccoletto farcito al salame a pasta grossa. Il primo � un pane a lievitazione rapida dalle dimensioni contenute e dal nome variabile (a Roma ad esempio lo chiamano "cazzotto"). Il salame che gli si abbina ha un trito consistente e non troppo sminuzzato di carne di puro suino. L'importante � affettarlo fine con l'affettatrice. Cacciatore e francesino - Il cacciatore � un salamino squisito prodotto con le migliori carni suine. Ha un gusto delicato e irresistibile e il pane ideale per accompagnarlo � il francesino, croccante e dorato fuori, morbido dentro. Se � fatto a regola d'arte, quando lo si schiaccia ritorna lentamente nella posizione originaria. Ecco gli ingredienti di quella che molti considerano la coppia pi� bella (o pi� buona) del mondo. Un weekend in Salento (di Mattia Scarsi, "Bene Insieme" n. 7/16) - Alla scoperta della costa ionica della bella Puglia - C'� chi vuole il divertimento e chi, invece, � alla disperata ricerca del relax; chi ama lasciarsi trasportare dal folklore e dalle tradizioni, chi perdersi nei luoghi pi� segreti e incontaminati. Che siate degli avventurieri, dei tradizionalisti o dei vacanzieri improvvisati, il Salento � una terra da copertina. Spiagge, mare, cucina, vino e musica: sono tanti, e tutti ottimi, i motivi per andarci in vacanza. A fine estate poi, questa terra, tanto bella quanto vasta, � una delle mete pi� trendy. Per goderne appieno, visitando entrambe le coste, ci vorrebbero 5-6 giorni. Avendone a disposizione solo 2 limitiamoci, per questa volta, a scoprire la costa ionica dove ci aspettano perle come Lecce, Gallipoli e Santa Maria di Leuca. Che ne dite, cominciamo? Se volete arrivare in Salento in aereo, il "capolinea" � l'aeroporto di Brindisi, che si trova a meno di un'ora di distanza da Lecce, oppure la vostra stazione di fine corsa se, invece, sceglierete di muovervi con il treno. Lecce � la citt� capolinea del sud pugliese: i treni pi� veloci vi portano solo fin qui. E proprio Lecce, cos� singolare e irripetibile nella sua bellezza, � il nostro punto di partenza. Cominciate il vostro soggiorno partendo come sempre dal cuore: andatevi a prendere un ottimo caff� da Alvino, con vista su piazza Sant'Oronzo, sulla Colonna del Santo e sull'Anfiteatro. Se la canicola si fa gi� molto sentire, potreste ordinare una specialit� locale: il caff� in ghiaccio con latte di mandorla. Un toccasana che vi sveglier� nel pi� dolce dei modi. Ora siete pronti per la magnificenza del centro storico con le sue guglie, i portali, le chiese, i monumenti e le abitazioni, in una sinfonia calcarea dalle tonalit� calde; ecco le tappe obbligatorie: l'Anfiteatro e il Teatro Romano, la principale testimonianza di epoca romana, risalente al II secolo d.C. e la Basilica di Santa Croce, uno dei massimi edifici religiosi di Lecce nonch� "manifesto" del cosiddetto barocco leccese, in un trionfo di trine e merletti scolpiti in una pietra rosa dorato. Accanto: l'altrettanto ricco Palazzo dei Celestini, attuale sede della Provincia. Infine il Duomo di Lecce: la cattedrale dedicata a Maria SS. Assunta, costruita nel 1144 e poi completamente ricostruita nel '600 da Giuseppe Zimbalo, architetto a cui si deve anche il meraviglioso campanile a cinque piani, sull'ultimo dei quali � posta una statua raffigurante Sant'Oronzo, patrono della citt�. Tutte queste bellezze sono vicine tra loro e raggiungibili direttamente a piedi. Il probabile caldo suggerisce di bere molto e di evitare mangiate luculliane. Restate leggeri magari con qualche focaccina farcita con olio e altre delizie locali, mentre per un rapido dessert c'�, a ridosso di piazza Sant'Oronzo, la Pasticceria Natale, dove consigliamo di assaggiare i pasticciotti. Fino alla fine di settembre, nelle prime ore del pomeriggio (13.30-16.30) la citt� si protegge dal caldo e i negozi chiudono, le piazze si svuotano e aleggia ovunque un'aria di "siesta" simile a quella di Paesi come Messico e Spagna. L'occasione � propizia per spostarvi in qualche vicina localit� balneare, alla scoperta della costa ionica, per esempio San Cataldo distante appena 6 km e scegliere una passeggiata sul lungomare o direttamente un tuffo. Il litorale prevalentemente sabbioso ha favorito il sorgere di numerose localit� turistiche, dalle quali si pu� godere uno splendido mare, dalle innumerevoli tonalit� di azzurro. Andate a caccia della vostra spiaggia perfetta: partendo da Punta Prosciutto, poco pi� avanti si arriva a Riva degli Angeli, altro posto da sogno con tutta la spiaggia incorniciata da alte dune color panna. La sabbia ancor pi� candida la trovate a Torre Lapillo dove molte vie sbucano direttamente sulla spiaggia: alcune abitazioni sono state costruite proprio sulla sabbia a pochi metri dall'acqua. Quando si dice avere il mare a due passi... Se oltre che di tintarella siete appassionati di botanica, non perdetevi Porto Cesareo: 17 km di spiagge dorate che fanno parte di una delle 27 aree naturali marine protette d'Italia, con la presenza di circa 200 specie vegetali di grande interesse. Poco distante da questo lato di costa c'� l'Isola dei Conigli, che non dovreste perdervi anche perch� pu� essere raggiunta tramite servizio navetta in barca o persino a nuoto. Qui il mare, se possibile, � ancora pi� affascinante, coi giochi di luce della flora e della scogliera sottomarina che si alterna ai tratti di sabbia bianca. Il paragone con i fondali caraibici non � affatto fuori luogo. L'isola dei Conigli � tutelata e compresa nel Parco Marino di Porto Cesareo. Proseguite fino a Torre Inserraglio, dove piccole insenature e calette si rincorrono formando delle minuscole oasi. A regnare su questo paradiso � la grande torre che vedete a sud e che sembra quasi sorgere dal mare. Ancora pochi km ed eccovi a Gallipoli, la localit� turistica pi� famosa della costa ionica salentina a cui val la pena dedicare un po' pi� di tempo. Per accedere alla parte vecchia dovete percorrere un ponte: quando siete in cima, guardate sotto di voi, le piccole imbarcazioni dei pescatori ormeggiate nella pittoresca baia! Prima di entrare nella parte vecchia, una serie di pescherie vi danno la possibilit� di fare un aperitivo sui generis a base di pesce freschissimo. Il centro storico � un fiabesco dedalo di viuzze, ricco di storia e di poesia dove lo stile barocco suscita forti emozioni. Oltre alla bella cattedrale di Sant'Agata, fate visita ai tanti negozietti che vendono prodotti di artigianato. Anche la vita notturna offre molto: nei pressi dello stadio sorge poi il parco Gondar, dove ogni estate si organizzano concerti all'aperto con ospiti di fama nazionale e internazionale. Se preferite la pura movida, andate a passeggiare lungo Corso Roma, dove pullulano i locali e le gelaterie. Se invece vi sentite le "scarpette rosse ai piedi" e volete scatenarvi fino all'alba, siete pronti per raggiungere il Samsara Lounge Beach. Uno dei locali simbolo di Gallipoli che di giorno offre servizi di lido balneare mentre di notte cambia volto, passando da cocktail bar per l'aperitivo a lounge bar nel dopocena. Al Samsara si balla e ci si diverte tra cocktail, risate e il beat delle migliori hit dance del momento: tutti i giorni dalle 8.30 alle 3.30. Nel secondo giorno proseguite la "discesa" verso il tacco d'Italia. Scendendo verso Santa Maria di Leuca, attraverserete Torre San Giovanni, che � la marina di Ugento. Nel tratto successivo, si trovano le marine di Torre Mozza, Lido Marini e Torre Pali: caratteristica di questo tratto di costa sono le secche, pericolose per i marinai (su di esse naufrag� la flotta di Pirro, re dell'Epiro), quanto propizie per i pescatori e i subacquei. La Pescoluse, poco oltre Torre Pali, � la spiaggia, in assoluto, fra le pi� grandi di tutta la Puglia. Guardatevi intorno, non sembra di stare nel deserto con tutta quella sabbia a perdita d'occhio? Il paesaggio quasi irreale torna benevolo grazie al mare turchese e placido e ai gigli selvatici. Dovete sapere che questa location al tramonto � fra le pi� gettonate per fare la proposta di matrimonio. A mezzogiorno dovreste aver raggiunto l'ultima tappa del nostro itinerario, ossia Capo Santa Maria di Leuca, noto anche come De finibus terrae, giacch� � l'estremo lembo di terra di questa parte d'Italia. La credenza popolare vuole che lo Ionio e l'Adriatico si incontrino e si scambino un abbraccio di salsedine proprio qui, mentre secondo le cartine nautiche il punto di incontro tra i due mari � a Punta Palascia nelle vicinanze di Otranto (costa adriatica). Punta estrema della Puglia e dell'intero "Stivale", Santa Maria di Leuca � la perfetta destinazione per concludere il nostro soggiorno salentino. In estate il mare smeraldino � tutto un brulichio di vita e vele bianche. A Leuca avrete tante cose da scoprire, alcune delle quali vi lasceranno senza fiato: fra le bellezze locali ecco il Santuario di Santa Maria di Leuca. Il Santuario si trova in posizione prominente in cima a una collina. La vedete quella grande scalinata? Si sa, le scalinate non sono mai amatissime, ma noi vi suggeriamo di fare un'eccezione e di salire con calma i 300 gradini. Il panorama � da urlo e, con un po' di fortuna potrete vedere la Cascata Monumentale dell'Acquedotto (attiva con maggior frequenza nel periodo estivo) con il suo fragoroso tuffo dai 120 metri! Che ne dite di "Una gita al faro"? Scomodiamo il titolo del noto romanzo di Virgina Woolf per questa bellissima possibilit�: un'escursione e visita al caratteristico, per non dire unico, faro portuale di Santa Maria di Leuca, da cui � possibile osservare la baia sottostante da circa cinquanta metri di altezza. Considerato uno dei punti panoramici pi� belli d'Italia, qui gli amanti della fotografia trovano il proprio Eden. La costa di Santa Maria di Leuca pu� offrirvi, per�, anche altri scenari, del tutto inattesi, basta solo un po' di spirito d'avventura per scovare una delle trenta grotte carsiche che si trovano nei paraggi. Una delle pi� note si trova sul versante est ed � chiamata la Porcinara. Pensate che anticamente era un luogo di culto in cui venivano adorate le divinit� locali. La grotta � costituita da tre ambienti contigui e intercomunicanti: sulle pareti interne, per la gioia di archeologi e speleologi sono state trovate numerose testimonianze epigrafiche. Pi� inquietante (o ancor pi� intrigante, dipende dai gusti) � la Grotta delle Striare, ossia delle Streghe che si apre con fare sinistro a pochi metri dal mare, su una maestosa falesia. Che si creda o meno, gli ingredienti ci sono proprio tutti: acque sulfuree, un antro dall'aspetto terrificante, dove artigli di roccia sembrano contorcersi in forme sinistre. La maggior parte di queste grotte sono visitabili solo dal mare, per cui occorre predisporsi per un'escursione in barca. Per celebrare l'ultima serata salentina vi proponiamo due opzioni per la vostra cena: una soluzione un po' pi� elaborata � il ristorante l'Approdo, locale in cui genuinit� e cortesia si uniscono in maniera eccellente, e che fa parte del relativo hotel a 4 stelle. La sala � davvero molto elegante, ma la terrazza, con la brezza marina e il suggestivo teatro delle onde sotto la luna, vince facile su qualunque alternativa. L'Approdo si trova sul lungomare della citt�; durante il periodo estivo, per essere sicuri di trovar posto, meglio prenotare. Una soluzione un po' pi� easy � la trattoria Tatanka, situata lungo la litoranea Leuca-Gallipoli. Anche in questo caso, la location � da favola, poich� il locale � posizionato su una caratteristica collinetta, ed � possibile mangiare su una meravigliosa terrazza in un'atmosfera romantica, ideale soprattutto per le coppie. Il pesce � sempre freschissimo e vi consigliamo le orecchiette al sugo di pesce e i calamari alla griglia. Marco Tardelli: l'urlo e la storia del calcio (di Filippo Nassetti, "Ulisse" n. 9/2016) � stato l'emblema di una notte senza tempo. L'urlo pi� famoso, dopo quello di Munch. Marco Tardelli, 62 anni, campione del mondo 1982, per sette secondi, 175 fotogrammi, ha gridato insieme al Paese in mondovisione. "A dire la verit�, quell'urlo l'ho anche odiato, mi faceva sentire ostaggio di un momento. Dentro di me pensavo: ho fatto anche altro nella vita, perch� mi dovete identificare solo con quella folle corsa di gioia? Ora no. So che, dopo i miei figli, � la cosa pi� bella che ho fatto". � ancora uno degli sportivi pi� popolari e amati del Paese. "Forse perch� non mi sono mai risparmiato. Ho sempre vissuto tutto con grande passione, senza tirarmi mai indietro. Vivevo tutto con grande intensit�". E se chiediamo chi � il calciatore che pi� gli somiglia oggi risponde: "Mi accostano spesso a Claudio Marchisio, effettivamente in qualche cosa in lui mi rivedo. Spero lui non si offenda. Comunque nel calcio di oggi sono sicuro che saprei fare ancora la mia figura". Lo scorso anno ha parlato davanti a duemila ragazzi nel Palazzo di Vetro dell'Onu su etica e sport "ed � stata un'esperienza emozionante. Parlare da un palco cos� prestigioso, dove si sono alternate personalit�. Ho puntato sui sacrifici da fare e la passione da mettere se si vuole arrivare all'obiettivo. Qualunque esso sia. Io avevo come modello familiare mio padre, operaio Anas, e la sua etica del lavoro. Li ho esortati a non avere paura delle zone d'ombra. Gli episodi di razzismo o di doping, ad esempio, rappresentano il contrario della vittoria, il nemico della meritocrazia. E a loro ho detto: le cose che non vi piacciono potete cambiarle. Ne avete la forza".