Novembre 2016 n. 11 Anno XLVI MINIMONDO Periodico mensile per i giovani Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi �Regina Margherita� Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registrazione 25-11-1971 n. 202 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Massimiliano Cattani Antonietta Fiore Luigia Ricciardone Copia in omaggio Indice Comunicato: rinnovo abbonamento riviste Quella pena � un delitto Spese senza testa Tutto il sapere del mondo Parmigiano: una bont� di casa nostra Kranjska Gora: slalom da favola L� dove � sbocciato il rock Comunicato: rinnovo abbonamento riviste Ricordiamo a quanti desiderano continuare a ricevere, a titolo gratuito, le riviste: Minimondo, L'Angolo di Breuss, Parliamo di..., Infolibri, Giorno per giorno, di confermare per iscritto il proprio abbonamento, entro e non oltre il 31 gennaio 2017, tramite lettera Braille o in nero, via fax o e-mail. I periodici possono essere ricevuti in Braille o su supporto informatico. Quella pena � un delitto (di Vito Tartamella, �Focus� n. 274/15) - Carcere pi� lungo, tolleranza zero, esecuzioni: che cosa � pi� efficace nel ridurre i reati? Per i criminologi, nulla di tutto ci�: meglio un castigo moderato purch� certo. Come diceva Beccaria - Femminicidio, omicidi stradali, disastri ambientali... Per combattere questi reati odiosi, negli ultimi tempi i politici hanno deciso un giro di vite: chi sgarra, rischia fino a 20 anni di galera. Ma inasprire le pene serve davvero a diminuire i reati? Il carcere ha un reale effetto deterrente? Non � facile rispondere: per testare l'efficacia di una pena, osserva Andrew Von Hirsch, docente di diritto penale a Cambridge, �non basta studiare l'andamento del crimine prima e dopo l'inasprimento delle pene. Bisognerebbe confrontarlo con un gruppo di controllo: persone, cio�, che continuino a vivere con pene meno dure. Ma � impossibile�. A parte questo ostacolo, comunque, la scienza criminologica non cade nel rischio del buonismo o del giustizialismo, perch� valuta l'efficacia dei diversi sistemi giuridici studiandone l'impatto sui crimini: che cosa li riduce di pi�? I ricercatori hanno scoperto uno scenario complesso: non basta minacciare pene pesanti per ridurre i delitti, perch� questi sono influenzati da molti altri fattori, spesso inaspettati. Come il tasso di aborti o la presenza di controllori sui treni... Vediamo in che senso. Partendo dalla pena pi� grave: la morte. Negli Usa, dove 31 Stati su 50 applicano la pena capitale, il crimine non � stato debellato. Anzi: negli ultimi 22 anni, il tasso di omicidi � pi� alto in media del 30 per cento proprio dove vige l'estrema punizione. E lo stesso scenario si registra in altri Paesi. Perch�? Perch� le esecuzioni avvengono molto dopo la cattura del colpevole, quando ormai si � spento l'orrore per il crimine che ha commesso, quindi non hanno effetto deterrente. E spesso sono giustiziati innocenti, minando la fiducia nella legge. Anzi, �subito dopo un'esecuzione gli omicidi aumentano�, osserva il criminologo Marzio Barbagli in Prevenire la criminalit� (Il Mulino). �Ci� pu� essere dovuto al cattivo esempio: si dimostra che � lecito uccidere qualcuno che ci ha gravemente offeso�. La pena di morte, per�, � un caso estremo. Serve, piuttosto, minacciare il carcere? Per rispondere basta osservare il pi� grande laboratorio criminologico al mondo: ancora una volta gli Usa. Con 698 detenuti su 100 mila abitanti, sono secondi solo alle Seychelles (dove per� finiscono i pirati somali catturati dalle forze internazionali): un tasso d'incarcerazione ben pi� alto di Stati meno democratici come Turkmenistan, Cuba, Russia e Cina. Negli Usa, infatti, � nata la �tolleranza zero�, con lo slogan �tre errori e sei fuori� (cio� �dentro�, in galera). �Questo approccio�, dice Von Hirsch, che ha studiato pi� di 30 anni di ricerche sul tema, �ha effetti deboli sui tassi di criminalit�. Perch�? � un problema di percezione: non tutti sanno quanto siano severe le pene. Spesso, poi, i reati violenti sono frutto dell'impulso o dell'effetto di alcol e droghe, pi� che di valutazioni sul rischio di finire in prigione. E alcuni crimini - violenze domestiche, reati ambientali e finanziari - sono commessi perch� hanno bassa probabilit� di essere scoperti. Poi c'� il problema della soglia: una pena spaventa fino a un certo punto, oltre il quale ulteriori inasprimenti non hanno effetti. Lo si � visto nel 2003 a Zurigo, dove il 3,5 per cento dei passeggeri sui treni viaggiava senza biglietto: le autorit� intensificarono i controlli, e i portoghesi scesero all'1 per cento; ma quando nel 2006 i controlli furono aumentati ancora, non ci furono ulteriori cali. La soglia di deterrenza era stata raggiunta. �Minacciare le pene ha effetto su chi teme di perdere il lavoro o il prestigio sociale: ma questo non vale per chi � povero o � gi� stato in galera�, dice Von Hirsch. Tombale la conclusione dei criminologi Michael Tonry e Joan Petersilia del National Institute of Justice (Usa): puntando sul carcere, �i politici hanno agito alla cieca, prendendo decisioni che sono costate miliardi di dollari e affliggendo milioni di persone senza un'adeguata conoscenza degli effetti collaterali�. Perch� l'hanno fatto? �Oggi lo Stato � impotente davanti alla globalizzazione�, teorizza il sociologo Zygmunt Bauman. �Cos� riafferma la propria supremazia segregando deboli ed emarginati (poveri, drogati, immigrati), cio� chi non riesce a competere nel mercato globale�. Insomma, la tolleranza zero �� un facile slogan per distrarre dalla crisi economica�, argomenta Giovanni Torrente, docente di diritto penale a Torino. Ma se la tolleranza zero non funziona, cos'altro fare per ridurre il crimine? Negli Usa, la lotta all'illegalit� si � basata a lungo sulla teoria delle �finestre rotte�, esposta nel 1982 dai sociologi James Wilson e George Kelling: se una casa ha un vetro rotto e nessuno lo ripara, presto le altre finestre saranno spaccate. Il degrado fisico peggiora pure i comportamenti, creando terreno fertile al crimine. Sulla base di questa ipotesi, New York dichiar� guerra ai graffitari del metr�. Primo ostacolo: i writers arrestati erano subito rimessi in libert� dai tribunali minorili, alle prese con reati pi� gravi. Dipingere i treni con costose vernici anti-imbrattamento fu inutile, e far ripulire i disegni agli autori si rivel� un boomerang: cos� capivano come renderli indelebili. Nel 1984 le autorit� cambiarono strategia: i treni imbrattati erano tolti dal servizio finch� non venivano ripuliti. In 5 anni i graffiti scomparvero: i writers erano stati privati della motivazione principale, mostrare il loro lavoro. Dunque non aveva funzionato la repressione, ma il pragmatismo. Tuttavia, eliminare i graffiti non aveva ridotto le rapine in metr�. Perci� nel 1990 il capo della polizia, William Bratton, cambi� strategia e punt� sui controlli ai passeggeri: chi viaggiava in metr� per commettere un reato, infatti, non pagava il biglietto e spesso girava armato. Con l'arrivo dei controllori, i crimini si ridussero del 22 per cento. Quando nel 1994 Rudolph Giuliani divenne sindaco di New York, promise la �tolleranza zero� contro il crimine. Bratton localizz� le zone con pi� reati, facendole pattugliare pi� spesso. I delitti calarono: e non grazie a pene pi� severe, ma a un approccio mirato. I criminologi, per�, riscontrarono che i crimini erano scesi anche nelle citt� che, a differenza di New York, avevano usato metodi soft. Perch�? �Negli Anni '90 i reati diminuirono negli Usa e in Europa grazie alla crescita economica, che offr� un welfare migliore�, dice Torrente. E qualche merito va alla diffusione di antifurti, metal detector, telecamere di vigilanza. Ma per Steven Levitt, economista di Chicago, i reati calarono grazie ad altre 4 cause: la legalizzazione dell'aborto (1973) che ridusse il numero di figli non voluti, pi� a rischio di devianza; il calo del crack, droga che aveva fatto lievitare gli omicidi; l'incremento dei poliziotti, che permise un monitoraggio pi� capillare delle citt� e l'aumento dei detenuti. � davvero cos�? I criminologi sono d'accordo solo sui primi due punti. �La polizia persegue i reati gi� commessi pi� che prevenirne altri�, dice Barbagli. �In Italia, l'80 per cento dei suoi interventi � per calamit� e soccorsi sanitari�. Ecco perch� aumentare i poliziotti ha effetti scarsi. Anzi, dice Stefano Caneppele in La tolleranza zero: tra palco e realt� (Franco Angeli): �con pi� poteri, la polizia diventa brutale, concentrandosi su poche persone (mendicanti e immigrati), spesso senza ragioni. Ma cos� si riduce la legittimit� della polizia e i cittadini si sentono motivati a delinquere�. Eppure, argomenta Levitt, con pi� criminali dietro le sbarre, i reati calano. � la cosiddetta incapacitazione: avrebbe ridotto del 12 per cento i reati violenti negli Usa. E da noi? Giovanni Mastrobuoni, economista a Essex, ha studiato la criminalit� in Italia fra il 1962 e il 1995 e la pensa proprio come Levitt: �Dopo le amnistie aumentano furti e rapine. Gli sconti di pena riducono la deterrenza: i criminali non si fermano perch� si aspettano altri atti di clemenza. Dunque, la popolazione carceraria in Italia � sotto il livello ottimale. In pi�, un detenuto costa 42 mila euro l'anno; se � liberato, commette crimini con un costo sociale di 77 mila euro�. Ma occorre valutare anche altri costi. �Mantenere molti detenuti diventa insostenibile per lo Stato, che deve costruire pi� carceri e assumere pi� agenti�, riflette il giurista Torrente. Senza contare i costi sociali: la detenzione destabilizza intere famiglie. In realt�, obietta Torrente, �fra i beneficiari dell'indulto 2006, il tasso di recidiva � stato del 33,9 per cento: met� rispetto a quello usuale (68,4 per cento). E fra chi veniva dalle misure alternative (domiciliari, semilibert�, servizi sociali), scendeva al 21,9 per cento. Nel prevenire il crimine, le alternative al carcere sono pi� efficaci della repressione�. A sostegno di questa tesi, il sociologo Luigi Manconi ha appena pubblicato un libro choc, Abolire il carcere (Chiarelettere): la galera non rieduca, anzi, dice, spinge a delinquere ancora, perch� umilia ed emargina. Meglio riservarla ai soli reati gravi, propone, sostituendola negli altri casi con sanzioni amministrative o civili. Le ricerche mostrano che la rieducazione agisce quando insegna un lavoro: � pi� efficace premiare i comportamenti positivi che punire i negativi. E allora, tornando alla domanda iniziale, inasprire le pene serve davvero a diminuire i reati? In realt� hanno dimostrato di funzionare di pi� gli interventi mirati, l'educazione alla legalit�, e, soprattutto, pene limitate purch� certe. Insomma, resta valido quanto scriveva gi� nel 1764 il giurista Cesare Beccaria in Dei delitti e delle pene: �La certezza d'un castigo, bench� moderato, far� sempre pi� impressione che non il timore di un altro pi� terribile, unito con la speranza dell'impunit�; perch� i mali, anche minimi, quando sono certi, spaventano sempre gli animi�. Spese senza testa (di Silvia Bencivelli, �Focus� n. 279/16) - Quanto siamo disposti a pagare qualcosa? Anche se ci illudiamo del contrario, il prezzo dipende pi� dal cuore che dalla ragione - State correndo in aeroporto. Avete perso tempo nel chiudere i bagagli, i vostri familiari vi hanno trattenuto oltre il necessario, avete dovuto rispondere al telefono all'ultimo secondo. E adesso � tardi. Tardissimo. C'� anche traffico. Per quanto chiediate al tassista di correre, arrivate con mezz'ora di ritardo. L'aereo, ovviamente, � gi� partito. Siete arrabbiati e delusi: se vi foste sbrigati, sareste riusciti a prendere quel volo. E adesso state andando in aeroporto, in ritardo per le stesse ragioni, a bordo dello stesso taxi perso nel traffico. Arrivate con la solita mezz'ora di ritardo, ma una volta l� scoprite che anche l'aereo era in ritardo. Ed � partito da un paio di minuti appena. Siete arrabbiati e delusi... Ma pi� o meno di prima? Se possibile, ancora di pi�. Ce l'avevate quasi fatta. Cos� adesso siete di nuovo l�, al banco dei biglietti, a pagare per un altro volo. In entrambe le situazioni l'aereo � perso, la colpa � vostra, e soprattutto il nuovo biglietto ha lo stesso prezzo: 200 euro. Ma i vostri sentimenti sono diversi. E quei 200 euro nel secondo caso vi �costano� di pi�. Seconda situazione: adesso state andando a teatro. Avete il biglietto in tasca: costa 10 euro e lo avete comprato il giorno prima. Quando arrivate l� vi accorgete di averlo perso. Lo ricomprate? E se invece non avevate il biglietto in tasca, ma qualche banconota: arrivati in biglietteria vi accorgete di aver perso proprio dieci euro. In questo caso comprate ugualmente il biglietto oppure no? Molto probabilmente nel primo caso ve la prendete con voi stessi e non ricomprate il biglietto. Nel secondo caso, invece, vi dite: �pazienza�. E tirate fuori altri 10 euro. Eppure, 10 euro sono comunque 10 euro: perch� nel secondo caso li considerate di minor valore? Questi due esempi dimostrano che a decidere delle nostre scelte in fatto di soldi non � il cervello razionale, ma quello emotivo. E, attenzione, non sono affatto eccezioni. Sono due dei tantissimi esperimenti mentali studiati a partire dagli Anni '70 dagli psicologi israeliani Daniel Kahneman e Amos Tversky. E sono la ragione per cui Kahneman (Tversky purtroppo era gi� morto da qualche anno) ricevette il premio Nobel per l'economia nel 2002. S�, per l'economia. Con la seguente motivazione: �Aver integrato i risultati della ricerca psicologica nella scienza economica, specialmente per quanto riguarda il giudizio umano e le scelte in condizioni di incertezza�. Da allora, gli studiosi di economia hanno dovuto accettare che accanto all'aritmetica e ai calcoli ci sia qualcosa di difficile da calcolare, cio� la nostra sistematica irrazionalit�. Con Kahneman e Tversky era l'inizio di quella che qualcuno oggi chiama �neuro economia�, cio� una disciplina nata all'intersezione tra gli studi sul cervello e quelli sui soldi, o meglio sulle scelte economiche. Oggi gli scienziati che seguono le loro orme hanno a disposizione un nuovo strumento: le neuroscienze e le loro immagini sempre pi� precise del cervello in azione. Grazie a questi studi si � visto per esempio che, quando dobbiamo spendere, e magari lo stiamo facendo volentieri perch� siamo nel pieno di un weekend di saldi oppure stiamo facendo beneficenza e ci sentiamo molto buoni, entrano in gioco alcune parti della corteccia cerebrale che si trovano nella zona anteriore del cervello e che sono coinvolte nei comportamenti piacevoli. � come se il nostro cervello ci premiasse. Non solo: si � visto anche che in quelle stesse parti di cervello esistono singoli neuroni preposti ad assegnare un valore alle cose. Sono quelli che qualcuno, per l'esattezza lo scopritore Camillo Padoa Schioppa, allora all'Harvard Medical School ha chiamato �neuroni dello shopping�, perch� ci fanno valutare un oggetto e ce lo fanno desiderare di pi� o di meno. Per qualcuno, aver cominciato a vedere da vicino il cervello spendaccione significa che in un futuro non lontano potremmo �leggere i pensieri� delle persone e indirizzarle negli acquisti. Cio� potremmo trasformare il marketing in neuromarketing: uno strumento pi� potente della tradizionale pubblicit�, basato su dati pi� oggettivi di quelli che si possono rilevare con una normale indagine di mercato perch� letti direttamente tra le pieghe del cervello. Ma se questo sia o no il classico passo pi� lungo della gamba, lo scopriremo nei prossimi anni. Intanto accontentiamoci di aver capito che, Kahneman e Tversky compresi (per loro stessa ammissione), noi esseri umani siamo tutt'altro che lucidi e razionali. E cominciamo ad accettare che la vecchia idea di un homo oeconomicus, capace di calcolare lucidamente i pro e i contro di ogni propria decisione, per molti aspetti della vita reale non vale affatto. E per di pi� a volte non � neppure un buon modello della nostra complessit�, utile a capire l'andamento dell'economia di una nazione e il suo futuro. La sorpresa successiva � che in questo non siamo diversi dalle nostre cugine scimmie, che non usano scambiarsi banconote e non hanno problemi di spread, ma che di fronte a certe scelte su mele e banane si comportano proprio come noi. Le ricerche che lo hanno mostrato - a cominciare da quelle di Laurie Santos, psicologa dell'Universit� di Yale, negli Stati Uniti - vengono talvolta chiamate �monkeynomics�. Per esempio, in giochi di scambio tra noccioline e pezzi di frutta, le scimmie come noi tendono a evitare i rischi. E vivono malissimo il sentirsi imbrogliate, quando ricevono meno pezzi di banana della volta precedente, a parit� di valore in noccioline. Cos� come si sentono vittime di ingiustizia sapendo di aver ricevuto meno frutta di una compagna. Oppure prendiamo il classico gioco in cui si deve eliminare una scatola tra tante tutte uguali e tutte chiuse. Come si pu� vedere in tv, in programmi come Affari tuoi, quando noi uomini facciamo una scelta di questo tipo - che in realt� � totalmente arbitraria - tendiamo a motivarla in modo illogico, per esempio in base all'istinto o a circostanze come l'anniversario di matrimonio. La scimmia, invece, sceglie e basta. Se poi a entrambi, uomini e scimmie, viene data una nuova scatola, in competizione con quella eliminata prima, n� noi n� loro cambiamo idea. La scatola scartata � gi� stata scartata. Cio� sia noi sia le scimmie decidiamo, in maniera del tutto arbitraria, che quella ha un valore pi� basso. E non la vogliamo pi�. Un problema molto simile a questo viene chiamato problema di Monty Hall, dal nome del conduttore americano che presentava l'antenato del gioco dei pacchi in tv. Eccovi dimostrato che, se a lui aveste dato concorrenti pelosi e con la coda, invece che esseri umani, il risultato non sarebbe cambiato molto. A che cosa ci serve tutto questo? A capire che la nostra natura � molto pi� complicata di quanto credessimo un tempo, quando pensavamo che un cervello umano fosse sempre meravigliosamente capace di fare scelte logiche, ben calcolate. E anche che, se � cos�, � perch� siamo frutto di un'evoluzione che ci ha resi animali sociali, che non vivono solo di pensieri razionali ma anche di emozioni. Ci spiega anche che non sbagliamo soltanto quando dobbiamo tirare fuori il portafogli. A volte, infatti, la nostra fallibilit� rende i nostri giudizi molto sensibili alle cornici con cui i fatti ci vengono presentati. E ci induce all'errore in molte circostanze. Un'ultima storia lo spiega molto bene. Nel 2007, un bel ragazzo in jeans e berretto da baseball si present� con un violino in mano nei sotterranei della metropolitana di Washington, negli Stati Uniti. Suon� per tre quarti d'ora ignorato da quasi tutti, e raccolse poco pi� di trentadue dollari. Peccato che non fosse un musicista di strada, ma l'arcifamoso e strapagato Joshua Bell, uno dei violinisti pi� quotati del mondo, che col suo Stradivari del 1713 aveva suonato la Ciaccona di Bach. Qualche sera prima gli americani avevano pagato anche centinaia di dollari per sentirlo a teatro. Ma chi se lo aspettava che nella metropolitana ci fosse Bell in persona? In genere, in quella cornice cos� poco invitante per un musicista, ci suonano girovaghi squattrinati. E quasi tutti i passanti devono aver pensato la stessa cosa di lui. La morale � che se esistono gli specchietti per le allodole, � perch� esistono le allodole. Che poi siamo tutti noi, cio� gli imperfetti esseri umani. Tutto il sapere del mondo (di Maria Leonarda Leone, �Focus Storia� n. 93/14) - Come funzionava la biblioteca di Alessandria, per secoli scrigno di tesori (perduti) della conoscenza antica - �Quanto ai libri che tu hai nominato, ecco la risposta: se il loro contenuto si accorda con il libro di Allah, noi possiamo farne a meno, dal momento che in tal caso il libro di Allah � pi� che sufficiente. Se invece contengono qualcosa di difforme rispetto al libro di Allah, non c'� alcun bisogno di conservarli. Procedi e distruggili�. Per pi� di sei mesi i 4 mila bagni pubblici della citt� conquistata dai musulmani furono riscaldati dal prezioso contenuto della pi� celebrata biblioteca dell'antichit�: cos�, nel 642 d.C., secondo il cronista arabo Al-Qifti, dopo la conquista araba dell'Egitto il secondo califfo Omar segn� la fine della biblioteca di Alessandria, per mano del suo generale Amr ibn al-As. Poche sono le notizie su questa meraviglia d'Egitto, come venne definita, alla sua nascita, dal poeta Eroda nel III secolo a.C. Di sicuro per�, se volete immaginarvela, dovete dimenticare tessere d'iscrizione e prestito al pubblico. Quella di Alessandria non era una biblioteca come la intendiamo oggi: in greco biblioth�ke era la �teca dei libri�, in pratica lo scaffale in cui i sovrani della dinastia tolemaica fecero disporre la loro enorme raccolta di rotoli di papiro. La collezione era destinata a pochi fortunati studiosi, scelti dal sovrano d'Alessandria e mantenuti a sue spese in quel favoloso contenitore di sapienza che i Greci chiamavano Museo, cio� �tempio delle Muse�, le divinit� protettrici delle arti e della cultura. �Numerosi mouseia esistevano in Grecia sin dall'epoca arcaica e classica: in origine si trattava di santuari all'aperto, ma la sfera di influenza delle Muse fu molto vasta e la parola mouseion giunse a comprendere anche le istituzioni e le attivit� culturali�, spiega Monica Berti, storico dell'antichit� all'Universit� Tor Vergata di Roma e coautrice del saggio La biblioteca di Alessandria (Tored). Il Museo di Alessandria che era stato costruito intorno al III secolo a.C. nel quartiere reale, si rifaceva, per architettura e organizzazione, ai due �musei� pi� importanti d'Atene: l'Accademia di Platone e il Peripato di Aristotele. Molto pi� simile a un prestigioso centro di ricerca che a un'affollata biblioteca per studenti, era popolato da una squadra di grammatici, scienziati e filologi circondati da ripiani zeppi di rotoli di papiro ammucchiati in modo precario e riconoscibili solo grazie a una targhetta con il titolo e l'autore dell'opera. L� i dotti dissertavano di matematica e filosofia passeggiando all'ombra del portico, curavano le edizioni critiche dei testi, cercavano di ricostruire i papiri danneggiati confrontando le versioni presenti nella biblioteca. Pane quotidiano per i filologi, che all'epoca, quando era ora di mettere pane vero sotto i denti, si riunivano in un grande refettorio, antenato di lusso del corridoio con le macchinette per snack e caff�. Tenevano in comune anche i loro beni, come avrebbero fatto poi i docenti delle prime universit� medioevali. Ma a differenza di questi, essendo dispensati dal pagamento delle tasse, non erano costretti a guadagnarsi da vivere con l'insegnamento, un compito che, da bravi topi di biblioteca, consideravano gravoso. Ecco perch� chi non aveva un posto nel tempio delle Muse, come il filosofo e poeta satirico Timone di Fliunte, li disprezzava definendoli �eruditi cinti da palizzate di libri, [che] si beccano senza fine nella gabbia delle Muse�. Il primo �allevatore� di questi preziosi volatili fu Tolomeo I Sotere, l'ex generale di Alessandro Magno che ambiva a raccogliere nella capitale del regno tolemaico tutto il sapere del mondo. Per farlo si appoggi� a Demetrio Falereo, filosofo aristotelico e protagonista della politica ateniese di quegli anni, esiliato ad Alessandria all'inizio del III secolo a.C. Come ricorda Plutarco, �Demetrio Falereo aiut� il re Tolomeo ad acquistare e a leggere libri riguardanti la regalit� e il potere: quello che gli amici non hanno il coraggio di consigliare al re, � scritto nei libri�. Il sovrano fin� per dargli carta bianca e ogni mezzo per accrescere il patrimonio librario di Alessandria. Perch� si imbarc� in questa grandiosa impresa? �Le ragioni furono sia culturali che politiche. Tolomeo Sotere era figlio di un generale macedone e in giovent� probabilmente studi� con Alessandro Magno�, risponde Berti. �Amava le lettere e scriveva lui stesso. Non stupisce quindi che abbia deciso di dar vita alla collezione. C'erano anche buone ragioni politiche: la rivalit� culturale con gli altri sovrani e, all'interno dell'Egitto, la necessit� di legittimare e rafforzare il proprio dominio su un Paese straniero�. La propaganda contava anche allora, e Demetrio propose al re di tradurre in greco persino le maggiori opere in lingua straniera, prima fra tutte la Torah, il testo sacro degli Ebrei. Settantadue saggi venuti apposta da Gerusalemme portarono a termine il lavoro, cos� dice la leggenda, in 72 giorni: la cosiddetta �Bibbia dei Settanta� fece felice l'importante comunit� ebraica alessandrina, che ormai non sapeva pi� leggere la lingua d'origine, e di riflesso aument� il consenso per la dinastia al potere. Tolomeo II Filadelfo prosegu� persino con maggior foga l'opera paterna. Il ricordo della caccia al libro esplosa in quel periodo era ancora vivo sette secoli dopo, nel IV secolo d.C., negli scritti del vescovo Epifanio di Salamina: �fece pressione su tutti i re e i governanti della terra affinch� non esitassero a inviargli i libri che avevano nel proprio regno e nel proprio dominio�. Pochi, per�, li riebbero indietro. Ogni mezzo, anche il pi� abietto, era giustificato dal fine dell'impresa: come l'editto per la confisca di tutti i libri a bordo delle navi attraccate nel porto cittadino. Illegittimi proprietari se ne tornavano a casa con delle copie, mentre gli originali confluivano nel cosiddetto �fondo delle navi�. A fare la fortuna della biblioteca di Alessandria non fu per� la quantit� dei suoi papiri (circa 500 mila secondo gli antichi, solo un decimo per gli studiosi moderni), ma la qualit� dei dotti che, studiando e copiando quei testi, riuscirono a creare e tramandare ulteriore conoscenza. Fra i tanti spiccano Euclide, bestia nera degli studenti di geometria; il geografo e matematico Eratostene; il poeta Callimaco, Zenodoto di Efeso, primo commentatore di Omero e primo direttore della biblioteca. Nonch� Aristarco di Samotracia, il pi� famoso grammatico di Alessandria, oltre che l'ultimo direttore prima della cacciata dei sapienti. �L'influsso dei Tolomei sulla biblioteca di Alessandria era molto importante: la biblioteca era riservata agli studiosi da loro invitati ad Alessandria ed era parte integrante del complesso dei palazzi reali. Era in qualche modo propriet� della dinastia e diretta espressione di un potere centralizzato: il declino dei Tolomei � senz'altro una delle ragioni che portarono alla sua fine�, precisa Berti. Nel 145 a.C., quando sal� al trono Tolomeo VIII Evergete, l'epoca d'oro del Museo si chiuse in modo brusco: il sovrano si attir� l'astio dei sapienti. Ai perfidi nomignoli affibbiatigli, come kakergh�tes (�colui che fa del male�) opposto al suo attributo di euergh�tes (�colui che fa del bene�), rispose senza autoironia, esiliando o uccidendo gli ospiti del Museo. La lunga distruzione era cominciata: l'attivit� del Museo non si interruppe fino al IV secolo d.C., ma il suo declino fu inesorabile, complici fuoco, guerra e violenza. Alcuni storici sostengono che nel 48 a.C. molti papiri bruciarono nell'incendio appiccato da Giulio Cesare alla flotta egizia. Chi smentisce l'ipotesi basandosi sulle fonti e sulla topografia della citt� punta invece il dito sull'imperatore romano Aureliano. Nel 273 d.C. le sue legioni distrussero il quartiere reale per sedare la rivolta scoppiata dopo la cattura della ribelle Zenobia, regina di Palmira, che aveva preso Alessandria. Per la prima volta dopo quasi 600 anni, i dotti alessandrini si ritrovarono senza casa. �� un fatto che dopo il passaggio di Aureliano non si hanno pi� notizie della biblioteca reale, anche se � possibile che dopo il 273 sia sopravvissuto un Museo senza Museo, cio� un circolo di studiosi che ispirandosi all'originale ne riprese la denominazione�, conclude l'esperta. Quanto alla preziosa collezione, neppure la parte conservata nella cosiddetta �biblioteca figlia�, fondata da Tolomeo III nel tempio del dio Serapide, si salv�: opera dei cristiani, nel 391. Qualunque sia la verit� nascosta nel racconto di Al-Qifti, purtroppo o per fortuna quando l'esercito di Amr entr� ad Alessandria due secoli e mezzo dopo, la maggior parte dei primi, fragili rotoli di papiro era diventata cenere gi� da un pezzo. Parmigiano: una bont� di casa nostra (�Meridiani� n. 233/16) Hanno inventato lo champagne, molti importanti rimedi della farmacopea ne portano la firma e non c'� liquore arrivato fino a noi che non sia stato concepito da loro. Ma una delle invenzioni meglio riuscite dei monaci � il parmigiano reggiano. Oggi 50 mila addetti ne producono quasi 133 mila tonnellate (cio� 3 milioni e 302 mila forme). Un terzo � esportato. Ma come ha avuto origine? Nel Medioevo, i monaci delle abbazie benedettine e cistercensi bonificarono la pianura parmense e reggiana, quindi cominciarono ad allevare vacche per i lavori agricoli e la produzione del latte. La presenza di molta acqua, la vicinanza alle saline di Salsomaggiore, il foraggio di buona qualit� e l'intuito dei monaci, che impararono a fare il formaggio e ad �asciugarlo� padroneggiando la stagionatura, contribuirono alla nascita di un alimento in grado di durare nel tempo, e quindi viaggiare. Nel 1254 un atto notarile redatto a Genova conferma come il caseus parmensis (il formaggio di Parma) fosse gi� conosciuto, mentre la testimonianza letteraria pi� nota ci porta al 1344, quando Giovanni Boccaccio nel Decameron parla del Paese del Bengodi e di una montagna di �parmigiano grattugiato� su cui rotolare �maccheroni e ravioli�. Sono trascorsi nove secoli, ma gli ingredienti non sono cambiati: latte, sale, caglio, miscelati ogni giorno nella zona d'origine. � un formaggio a pasta dura e a lunga stagionatura, con un contenuto d'acqua pari al 30 per cento circa, molto meno rispetto agli altri formaggi che ne hanno in media il 50 per cento. Ne deriva un'elevata concentrazione di sostanze nutritive. � un prodotto semi-grasso, ottenuto dalla parziale scrematura del latte, pieno di calcio e di fosforo (50 grammi coprono met� del fabbisogno giornaliero di un adulto), molto digeribile perch� ricchissimo di aminoacidi liberi, immediatamente assimilabili da parte dell'organismo. Ed � l'ideale per le persone intolleranti al lattosio, visto che ne � privo. Naturalmente, il merito � anche delle mucche. A fornire il latte per la produzione del parmigiano sono oggi circa 244 mila vacche. La loro alimentazione � fondamentale: gi� nel 1957 un regolamento imponeva agli allevatori di usare esclusivamente fieni controllati della zona d'origine secondo disciplinare, senza assumere altri alimenti (come i foraggi fermentati e gli insilati di mais), di qualit� inferiore, che causano problemi nella stagionatura. Ma come si fabbrica? Il latte della mungitura della sera viene lasciato riposare fino al mattino in ampie vasche, dove affiora la parte grassa, dalla quale si otterr� il burro. Le tipiche caldaie di rame a forma di campana capovolta ricevono il latte intero che proviene dalla mungitura del mattino, insieme con il latte scremato della sera, il caglio di vitello e il �siero innesto�. Il latte coagula in pochi minuti e la cagliata viene frammentata dal casaro in granuli caseosi, poi portata a 55 gradi, fino a quando i granuli precipitano sul fondo della caldaia andando a formare un'unica massa. Dopo circa cinquanta minuti, il casaro estrae questa massa e la taglia in due parti, avvolgendola in una tela e ponendola in una fascera che conferir� la classica forma. Ogni forma ancora �fresca� verr� contrassegnata da una placca di caseina, con un numero unico e progressivo che rappresenta la carta d'identit� della forma. Il disciplinare impone che si possa chiamare parmigiano reggiano un formaggio che raggiunga il dodicesimo mese, ma procedere a un'ulteriore stagionatura conferisce caratteristiche di complessit� e piacevolezza notevoli. Secondo gli esperti, per raggiungere la piena maturazione, il parmigiano deve trascorrere due estati, sottoponendosi dunque a due anni di trasformazioni enzimatiche particolarmente intense, tipiche del caldo estivo. Secondo alcuni il picco di fragranza e tipicit� organolettica si colloca dai 24 ai 36 mesi, durante i quali il prodotto � sorvegliato dal casaro, che �batte� periodicamente ogni forma. Negli ultimi anni alcuni produttori hanno scelto questa strada, investendo sul tempo di permanenza delle forme nei magazzini. Ma � una corrente di pensiero che ha diversi detrattori secondo i quali, superata una certa soglia, la struttura, grazie ai processi di scomposizione proteica, diventa gessosa e solubile, i profumi diminuiscono e il sapore evolve decisamente verso il piccante. Nei suoi nove secoli di vita, gli estimatori sono stati moltissimi. Moli�re prima di morire volle una scaglia di parmigiano reggiano, che i biografi raccontano fosse parte della sua dieta. Alexandre Dumas offriva ai suoi ospiti maccheroni al sugo cosparsi di parmigiano. Napoleone Bonaparte si faceva preparare, dal cuoco personale, un'insalata di fagiolini verdi e parmigiano. Ma la testimonianza pi� celebre � forse quella di Robert Louis Stevenson, al capitolo 19 de L'isola del tesoro (1883): i nostri eroi ritrovano sull'isola l'ex pirata Ben Gunn, che era stato abbandonato l� anni addietro. E il dottor Livesey, come primo intervento, estrae da una tabacchiera alcune scaglie di parmigiano e gliele mette in bocca: �Parmesan cheese, a cheese made in Italy, very nutritious�. Kranjska Gora: slalom da favola (di Elena Del Savio, �Meridiani� n. 231/16) - Su queste nevi si disputano le gare della Coppa del Mondo di sci alpino e ci si immerge nel cuore mitico della Slovenia - Marcel Hirscher, il campione del mondo di sci alpino in carica, Kranjska Gora ha portato fortuna. � infatti sui pendii del Vitranc, che sovrastano la localit� sciistica slovena nelle Alpi Giulie orientali, che il giovane austriaco ha realizzato il suo triplete lo scorso 5 marzo, con due settimane d'anticipo sulla conclusione del torneo. Non solo ha vinto la gara di slalom gigante, competizione con la quale Kranjska Gora ha esordito nel 1969 nel circuito dei campionati mondiali di sci. Ma con quella vittoria Hirscher si � aggiudicato anche il titolo della disciplina e, seppur non ancora matematicamente, la quinta Coppa del Mondo di fila. A fine gara, dopo aver compiuto le sue manche sotto una fitta nevicata, su un terreno reso difficile da condizioni meteo estreme, ha definito la pista del Vitranc �la pi� difficile della stagione�. Ma ha aggiunto: �Mi sono divertito moltissimo!�. Una cosa che non manca a Kranjska Gora � l'ottimo innevamento, che ha sempre permesso lo svolgimento delle prove della Coppa del Mondo, saltate in diverse altre localit� proprio per mancanza di neve. Le campagne di promozione turistica puntano proprio su quello: 90 giorni bianchi garantiti all'anno, da met� dicembre a met� marzo. Nonostante ospiti stabilmente il cosiddetto �circo bianco� dei campioni, Kranjska Gora � considerata una localit� adatta soprattutto agli sciatori meno esperti, specie ai principianti. La stragrande maggioranza dei 20 chilometri di discese del comprensorio (che include l'insediamento di Podkoren e si spinge a sudovest fino alla valle di Planica) � infatti costituita da piste �blu� e �rosse�. Le �nere� sono limitate a un paio di chilometri. A queste si aggiungono quaranta chilometri di tracciati per il fondo. Il tutto su un'area di oltre 120 ettari, estesa sui morbidi fianchi del Vitranc, serviti da 13 skilift e sei seggiovie. Abbondano naturalmente le scuole di sci per ogni specialit� e tutti i livelli, con particolare attenzione ai bambini. Insomma, una destinazione per famiglie, come sintetizza la guida turistica online Wikivoyage, in inglese, con lo sbrigativo commento �pochi bar a Kranjska Gora�. Probabilmente un fattore secondario per molti degli oltre 700 mila visitatori che annualmente arrivano da queste parti. Pi� della mondanit� - concentrata prevalentemente nelle frenetiche giornate della Coppa, quando il mondo degli atleti, appassionati e commentatori di sci � tutto riunito qui - quello che conta � la felice combinazione di un ambiente naturale da cartolina, ma non sofisticato, in qualunque stagione e un'offerta di servizi e attivit� efficiente e diversificata. La localit� � relativamente giovane, anche se di un remoto villaggio con il nome di Chrainow in questo luogo si hanno notizie a partire dal XIV secolo, epoca della quale restano alcune tracce nel piccolo centro storico: come il campanile della chiesetta dell'Assunzione della Vergine Maria (Device Marije Vnebovzete), arricchito pi� tardi di una cipolla sulla sommit�. Ma la vocazione turistica pot� realizzarsi solo dopo la costruzione della ferrovia tra Lubiana e Tarvisio lungo la valle del Sava, nella seconda met� del XIX secolo, grazie alla quale Kranjska Gora fu strappata dal suo isolamento di villaggio di pastori. Soltanto allora le sue attrattive naturali la resero una ricercata meta di villeggiatura: all'inizio esclusivamente nel periodo estivo, come ovunque all'epoca; dal principio del Novecento anche in inverno. La prima scuola di sci - non solo della cittadina, ma di tutta la Jugoslavia - nasce nel 1931 e porta subito al proliferare degli alberghi. La localit� si afferma anche come sede di attivit� agonistiche, con l'apertura nel 1934 del primo trampolino per il salto con gli sci nella vicina Planica (rimpiazzato nel 2012 da uno pi� lungo, adatto anche al volo), cui negli anni se ne affiancarono altri. Oggi chiunque voglia pu� scendere, in calzoncini e maglietta, appeso al cavo d'acciaio della Planica Zipline sospesa sopra il trampolino pi� grande. La posizione geografica continua a essere uno degli elementi di maggiore attrattiva: una piccola conca a circa 800 metri d'altitudine nell'alta valle del Sava, tra foreste di conifere, protetta a nord dalla catena delle Karavanke e a sud da una chiostra di vette che spuntano come creste seghettate oltre la cima rassicurante del Vitranc. Il monte Razor con i suoi 2.601 metri, il Prisank o Prisojnik (2.547), le due cuspidi del Mojstrovka (2.332-2.366) e il maestoso Jalovec (2.645) costituiscono l'ossatura della storica regione della Carniola, Kranjska appunto in sloveno, da cui Kranjska Gora, cio� �montagna della Carniola�. Incuneata fra l'Austria e l'Italia, � molto pi� vicina a Villach e a Tarvisio di quanto lo sia a Lubiana (che sta a quasi 90 chilometri) e morfologicamente, oltre che toponomasticamente, la Carniola Superiore costituisce un tutt'uno con le contigue Carnia e Carinzia. Ancora pi� a sud, invisibile dal paese, il Triglav � - con i suoi 2.864 metri - la vetta pi� alta della Slovenia (e di tutte le Alpi Giulie) e costituisce il centro del Triglavski Narodni Park, l'unico parco nazionale del Paese. Il Triglav � il simbolo della nazione, effigiato anche sullo stemma e sulla moneta da 50 centesimi di euro sloveni (proprio come la Carniola, gi� uno degli Stati del Sacro Romano Impero con la sua storica capitale Lubiana, � considerata il nucleo originario della Slovenia). Le sue pareti di granito, spoglie oltre i 1.500 metri e incise dall'erosione, incutono timore reverenziale. Un'aura magica lo avvolge di un romanticismo sturm und drang, incentrato su leggende truculente, che per� oggi, opportunamente edulcorate, costituiscono il tema di una delle tante iniziative estive per i bambini e famiglie, le �passeggiate sulle tracce delle fiabe�. La leggenda pi� importante e conosciuta ha per protagonista lo Zlatorog, l'�Auricorno�, il camoscio bianco con le corna d'oro mitico signore del regno di Triglav. Una figura benevola, che insieme con tre fate vagabondava sulle pendici allora rigogliose di queste montagne, mantenendo verdi i pascoli, soccorrendo i viandanti in difficolt� e custodendo un tesoro nelle viscere del monte Bogatin. Fino a quando un cacciatore, deciso a conquistare l'amore di una fanciulla che le lusinghe di un ricco mercante veneziano tentavano di insidiargli, fer� lo Zlatorog per impossessarsi del tesoro. Ma il camoscio, mangiando il fiore spuntato dalla neve bagnata dal suo sangue, scamp� alla morte e riacquistate prontamente le forze riprese ad arrampicarsi, sempre pi� in alto, facendo sbocciare corolle a ogni passo, sempre inseguito dal cacciatore. Che infine, abbagliato dal riflesso del sole sulle corna d'oro dell'animale, precipit� in un dirupo e mor�. Mentre lo Zlatorog, in preda alla rabbia per l'affronto subito, prese a colpire con le sue corna tutto quello che gli capitava a tiro, devastando i verdi pascoli e rendendo il Triglav brullo come lo vediamo ora. � una leggenda dalla simbologia tanto forte - la lotta della natura contro l'avidit� umana - che lo Zlatorog si pu� considerare una sorta di nume tutelare del Triglavski Narodni Park, nato come area di conservazione nel 1924 (� uno dei pi� vecchi parchi in Europa) e ricco di foreste e valli anguste e profonde, laghetti carsici e cascate ghiacciate, palestra di arrampicata per i pi� audaci. O artificiali come quello di Jasna, nella valle del Pisnica subito fuori Kranjska Gora. � una delle pi� frequentate mete estive per gli escursionisti, che si fanno fotografare a cavallo della statua di uno stambecco che si specchia nelle acque. Dall'altra parte del massiccio montuoso, a sud, sulle rive del lago di Bohinj si staglia la figura dell'Auricorno, che in Slovenia � ancora tanto popolare da aver dato il nome a una squadra di basket di Lasko, nella regione orientale della Savinja. La squadra � sponsorizzata dalla pi� nota fabbrica di birra slovena, che sulle etichette appone l'effigie dell'animale e ha chiamato Zlatorog una delle sue bionde. Pi� concretamente del camoscio bianco, chi si � speso con maggior determinazione per il patrimonio naturale delle montagne slovene � stato Jakob Aljaz. Sacerdote cattolico, compositore, ma soprattutto arrampicatore nativo della Gorenjska, tracci� sentieri e costru� rifugi in questo tratto delle Alpi Giulie e contribu� alla nascita dell'attivit� alpinistica slovena (a questa epopea � dedicato un museo a Mojstrana). Nel 1895, animato dall'intenzione di affermare la �slovenit� del monte, acquist� con il proprio denaro la vetta del Triglav e vi fece costruire una piccola torre cilindrica di ferro e lamiera zincata. Che resiste ancora, ricovero in caso di maltempo, stazione di triangolazione e anche forte simbolo nazionale: sulla sua cuspide a cono una banderuola metallica reca la data della costruzione: accanto a questa nel 1991, anno della dichiarazione d'indipendenza, fu issata la bandiera slovena. E comunque gi� due anni prima il governo di Belgrado aveva eretto all'energico sacerdote una statua commemorativa, visibile sulla strada che da Mojstrana entra a Kranjska Gora. Sia la torre sia la scultura sono indicate nei d�pliant turistici come mete culturali, ma la prima - nonostante la notevole altitudine alla quale si trova - � anche una destinazione molto popolare per gli escursionisti estivi in cerca di natura dall'ampio respiro, che arrivano fino a qui lungo uno dei sentieri che si diramano per oltre 50 chilometri a diverse altitudini e con varie difficolt� tecniche, per tour che possono durare da poche ore a un'intera giornata o pi�. Un'opportunit�, quella delle camminate guidate, che raggiunge la massima offerta durante l'annuale Festival dell'escursionismo nella valle del Soca - Isonzo in italiano - che nasce proprio dal fianco occidentale del Triglav e scorre verso sud. Quest'anno si � svolto dal 16 settembre al 2 ottobre, fornendo anche l'occasione per provare l'ebbrezza del passo della Moistrocca (Vrsic), aperto per sette mesi all'anno. Mette in comunicazione la valle del Sava con quella del Soca e tocca i 1.611 metri: la sella si raggiunge e si ridiscende lungo i 50 stretti tornanti della cosiddetta �Strada russa�, 24 chilometri tracciati nel 1916 da prigionieri di guerra russi per unire Kranjska Gora all'Italia e facilitare gli spostamenti delle armate austroungariche. Ne morirono a centinaia, per le estreme condizioni del lavoro e per le valanghe, e furono sepolti in un piccolo cimitero non lontano dalla strada: in loro ricordo i compagni eressero una piccola cappella ortodossa in legno, con due campanili sormontati da cupolette a bulbo in puro stile russo. Ma storia e mito s'incrociano sempre, intorno al Triglav. Nel fianco del Prisojnik, la cima che domina il passo, sulla parete rocciosa sembra scolpito un volto di giovinetta. � nota come Ajdovska Deklica ed � facilmente visibile con un'escursione dal rifugio postale (Postarski), a 1.688 metri di quota, raggiungibile dal passo. Secondo la leggenda sarebbe stata lei a predire al cacciatore che avrebbe abbattuto l'Auricorno. E per questa tremenda profezia sarebbe stata punita e trasformata in un simulacro di pietra. L� dove � sbocciato il rock (di Alba Solaro, �Meridiani� n. 233/16) - C'erano una volta il Kiwi, il Marab�, il Tarantola e il Picchio Rosso... Fra Parma e Modena, in centinaia di maxi-discoteche, negli anni Settanta � nata l�, la musica del futuro - Rino Giugni guid� fino a Montecarlo, dove quella sera si teneva il Ballo della Rosa. Aveva una missione: agganciare Frank Sinatra per convincerlo ad andare a cantare sul palco del Kiwi Cathedral di Tiumazzo, nei pressi delle colline fra Modena e Bologna. Riusc� a parlargli, ma non a fargli dire di s� e questo � l'unico rimpianto per il fondatore (oggi ottantenne) di uno dei pi� leggendari locali italiani degli anni Settanta e Ottanta. Perch�, a eccezione di The Voice e di Mina, su quel palco ci sono saliti tutti: Donna Summer, Adriano Celentano, Barry White, Charles Aznavour, Gloria Gaynor, Vasco Rossi... Migliaia e migliaia di ragazzi si sono innamorati della musica nell'Emilia degli anni d'oro, quando sulle tre piste del Kiwi, e su quelle del Ritz a Novellara, del Dream a Correggio o del Tuwat a Carpi, intere generazioni si svezzavano alla voglia di stare insieme. Qui, lungo la via Emilia, si ballava pi� che nei locali della celebratissima riviera romagnola. E basta prendere una carta geografica e puntare il dito su un qualsiasi paese per scoprire che l� � nato un gruppo o un cantante. Al Kiwi (che in zona tutti pronunciano rigorosamente �Chivi�), Francesco Guccini ha registrato nel 1984 parte del doppio dal vivo Fra la via Emilia e il West. Il titolo, da un verso di Piccola citt�, � la sintesi pi� efficace per raccontare uno spirito in bilico fra le radici e un sogno d'importazione. L'Emilia si era rimboccata le maniche per costruire il benessere dopo la guerra: partendo dalle feste nelle aie e da quelle nelle Case del Popolo trasformate in balere (ogni cittadina fra Parma e Reggio ne aveva una), si era arrivati alle maxi-discoteche degli anni Settanta. Le orchestrine venivano sostituite dai disk jockey, tutto diventava spettacolare, esagerato. A Formigine, nel Modenese, gi� nel marzo del 1956 aveva aperto i battenti il Picchio Rosso con i suoi neon gialli, i divani rossi, la pista che a fatica conteneva le quattro-cinquemila persone che ogni fine settimana arrivavano da tutta la regione, chi in auto, chi in corriera. Entrare costava dalle 5 mila alle 10 mila lire (e c'erano polisportive che mettevano in palio i biglietti d'ingresso). Molti dei ragazzi che andavano l� per ballare o per gli show di Lucio Dalla, dei Pooh (nati come gruppo a Bologna), di Zucchero (da Roncocesi, frazione di Reggio), ma anche di James Brown e Renato Zero, sarebbero poi saliti a loro volta su quei palchi per suonare. Spingendosi verso Parma, l'altro grande tempio della musica padana era il Jumbo, a Sanguinaro presso Fontanellato. Lo aveva aperto un gruppo di imprenditori della ceramica e dei trasporti, perch� in quegli anni il ballo e il divertimento fatturavano pi� delle piastrelle. In precedenza i locali erano in centro, ma l'esigenza di spazi pi� ampi aveva spinto a recuperare capannoni industriali o a costruire edifici che somigliavano a navi spaziali. Inconfondibile anche da lontano, il Marab� - l'immensa discoteca di Cella, Reggio - � stato il simbolo dell'epoca, inaugurato nell'autunno del 1977 quando nei cinema arrivava La febbre del sabato sera. L'ingresso a tunnel portava ai 350 metri quadrati di pista, c'erano tre bar e il parcheggio ospitava fino a 1.500 auto. L�, nel 1982, alla tredicesima edizione del premio �Il Paroliere�, vinse il titolo di �rivelazione dell'anno� il giovane Vasco Rossi (da Zocca, sull'Appennino modenese, dove prima di cantare aveva fondato un'emittente indipendente, Punto Radio). Qualche anno pi� tardi, nel 1988, allo stesso Marab� una band chiamata Orazero avrebbe vinto il concorso �Terremoto Rock�: il cantante era un certo Luciano Ligabue, scovato dagli altri musicisti (di San Martino in Rio) a Correggio, dove faceva il disk jockey. Il mondo in cui sarebbe cresciuto � quello che ha poi raccontato in Certe notti, colonna sonora per ragazzi affamati di emozioni quando la gente va a dormire, �fra cosce e zanzare e nebbia e locali a cui dai del tu�. Del glorioso Marab�, chiuso nel Duemila, rimane oggi solo lo scheletro abbandonato e invaso dalle erbacce: nel parcheggio fanno pratica gli allievi di una scuola guida. Ma non c'� pi� nemmeno il Tarantola di Reggio, dove il 15 aprile del 1961 si tenne il concorso �Voci Nuove Disco d'Oro�: lo vinse Paola Neri, seconda Iva Zanicchi da Ligonchio (Reggio), sesta Orietta Berti da Cavriago (sempre Reggio) e nono Gianni Morandi da Monghidoro (Bologna). Quest'ultimo gi� da adolescente si era fatto una fama cantando alle Feste de L'Unit�, quotidiano di cui il padre era un diffusore militante. Tutti questi locali, che hanno fatto da culla a generazioni di popstar nazionali, oggi non esistono pi� (nemmeno il Kiwi), ma non sono stati dimenticati, anzi. Fioccano infatti le serate �Remember�, che celebrano l'epopea di questo o quel posto, sempre prese d'assalto, visto che la nostalgia resiste pi� degli edifici. Lo scorso maggio il festival �Fotografia Europea� a Reggio ha voluto ricordare quelle atmosfere con la mostra �Disco Emilia�, immagini vintage firmate da Gabriele Basilico e molti altri. Pochi anni fa il regista bolognese Riccardo Marchesini ha girato con un furgone la provincia emiliana battendo i luoghi di origine di molti artisti (Morandi, Guccini, Ligabue, Rossi, Zucchero...). Voleva capire che cosa ci fosse di speciale in una terra che in Italia � seconda solo a Napoli per la musica che ha generato. Il risultato � un documentario molto bello, Paese mio, del 2014. �In Emilia c'� un terreno culturale che ha favorito tutto questo: ci sono balere in ogni paese e spazi, orchestre, scuole di musica�, spiega Marchesini. E c'� anche la noia, le poche alternative che la provincia offre, la voglia di andare oltre i limiti almeno con la fantasia, che spinge a prendere uno strumento in mano. Cos� proprio l'Emilia-Romagna detiene il numero record di balere e ancora oggi, mentre tutte le amministrazioni tagliano, la Regione investe su questa voce: lo scorso febbraio � stato annunciato lo stanziamento di 2,4 milioni di euro per la formazione nello �spettacolo dal vivo� lungo la via Emilia e per le scuole civiche di musica. Modena � la nostra Liverpool. L'ondata di gruppi beat che ha prodotto negli anni Sessanta e nei primi Settanta non ha paragoni. Massimo Masini nel libro Avanzi di balera (Anniversary Books) ne ha messi in fila pi� di cento: Equipe 84 e Nomadi, ma anche gruppi oggi dimenticati, come Johnny e i Marines, o Le Scimmie, cinque ragazze allieve di una scuola di musica che nel 1965, determinate �a non essere delle bamboline�, portavano in tourn�e energiche interpretazioni di canzoni dei Beatles e dei Rolling Stones. Da citt� amante della lirica e delle auto da corsa, Modena scopriva una nuova vocazione. Il protagonismo giovanile unito alla straordinaria concentrazione di locali fece scattare il cortocircuito. Il 22 novembre del 1963, il giorno passato alla storia per l'assassinio di John Fitzgerald Kennedy, all'Eden di Modena debuttano i Sei Nomadi, ex Monelli, guidati da Beppe Carletti e Augusto Da Olio. Poco dopo, a dicembre, alla Grotta Azzurra di Carpi (gioco di parole non casuale) fa il suo esordio l'Equipe 84 di Maurizio Vandelli: �Volevamo un nome al femminile, in modo da essere diversi dagli altri. E 84 era la somma delle nostre et�. Il bar Grand'Italia, in largo Porta Bologna, era il ritrovo abituale dei ragazzi con lo sguardo puntato alle novit�. Che potevano essere anche i pantaloni a zampa d'elefante che la mamma di Caterina Caselli non voleva farle indossare (inutilmente) quando lei correva a cantare Tutto nero (versione italiana di Paint It Black dei Rolling Stones) alle feste studentesche. Nata a Modena, cresciuta a Sassuolo, il futuro �casco d'oro� suonava il basso nelle balere. Molti anni dopo sarebbe diventata una dirigente discografica con molto fiuto e avrebbe lanciato, fra gli altri, un cantautore sassolese: Pierangelo Bertoli. Anche Filippo Neviani, in arte Nek, ha lo stesso paese nel cuore: grande tifoso del Sassuolo Calcio per il quale ha composto l'inno ufficiale, nel 2014 � stato fra i pi� attivi nelle iniziative per aiutare i paesini della provincia colpiti dall'alluvione. Ma anche Bologna canta Anche Bologna ha avuto un ruolo musicale di primo piano, e citazioni a partire da quella �Piazza Grande�, ballata del senzatetto che Lucio Dalla port� al festival di Sanremo nel 1972 (e non parlava di Piazza Maggiore, bens� dell'ottocentesca Piazza Cavour, con portici e i giardinetti). Verso la periferia, poi, capita ancora di incrociare le �Osterie di fuori porta� dove ci si ubriacava di vino e di discussioni, esaltate da Francesco Guccini che a Bologna si era trasferito nel 1960, in via Paolo Fabbri 43, scappando da Modena (�piccola citt� bastardo posto�). Bologna � citt� universitaria, e la presenza del Dams ancora oggi attira un esercito di fuori sede: da sempre � un laboratorio culturale dove si sono incrociate le esperienze delle radio libere, della sperimentazione, delle etichette indipendenti. Roberto Freak Antoni con gli Skiantos lanci� la prolifica stagione del �rock demenziale�, mentre gruppi come i Gaznevada e label come l'Italian Records battezzarono la new wave italiana. Tanti fuori sede sono poi rimasti l� a vivere, come i Massimo Volume di Emidio Clementi, musicista e scrittore.