Novembre 2020 n. 11 Anno L MINIMONDO Periodico mensile per i giovani Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registrazione 25-11-1971 n. 202 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Pietro Piscitelli Massimiliano Cattani Luigia Ricciardone Copia in omaggio Rivista realizzata anche grazie al contributo annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del MiBACT. Indice L'ONU di tutti Le distorsioni comunicative online L'utilit� della febbre Trucchi e segreti sonori nel cinema Verza, la regina d'inverno Alla scoperta delle meraviglie di Praga Gianni Min�: una vita in mezzo alla storia L'ONU di tutti (di Francesca Ghirardelli, "Focus Storia" n. 169/20) - Le Nazioni Unite hanno 75 anni: nacquero nell'ottobre 1945 per garantire pace e sicurezza dopo i disastri delle due guerre mondiali - Cinquantuno Paesi alla fondazione, 193 oggi, riuniti nel segno della cooperazione e del mantenimento della pace, 80 trattati e dichiarazioni per la tutela dei diritti umani, numerose agenzie e oltre 70 operazioni di peacekeeping in tutto il mondo: � il bilancio delle Nazioni Unite, che a ottobre hanno compiuto 75 anni. Una lunga storia di confronti e scontri tra Stati membri, di scelte condivise, controverse o mancate, di missioni di successo e fasi di stallo. "Noi, popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all'umanit�, [...] abbiamo risoluto di unire i nostri sforzi": cos� � scritto nel preambolo dello Statuto fondativo redatto nell'aprile del 1945. Allora il mondo era in ginocchio, sotto le macerie lasciate dal conflitto mondiale che andava concludendosi. Quando il nome di "Nazioni Unite", formulato dal presidente americano Franklin D. Roosevelt, comparve per la prima volta in un documento ufficiale era il 1942 e non indicava l'organismo internazionale che conosciamo oggi. Nel mezzo del conflitto mondiale, 26 nazioni, guidate dagli Alleati Usa, Urss e Gran Bretagna, si erano "unite" contro altre nazioni, quelle dell'Asse di Adolf Hitler. Tre anni dopo, durante i preparativi per la Conferenza di San Francisco in cui venne redatto lo Statuto della futura organizzazione, a prendere parte ai lavori furono invitati solo gli Stati che avevano dichiarato guerra a Germania e Giappone e che avevano sottoscritto quel primo documento ufficiale del '42. Cos�, il 24 ottobre del 1945, alla nascita ufficiale delle Nazioni Unite, Italia, Germania, Giappone, Spagna e Svizzera furono escluse dal processo di fondazione. L'Italia aspett� fino al 1955 per diventare uno Stato membro. Fra i ranghi di questa alleanza post-bellica, per�, esistevano gi� significative divisioni. Il fatto che all'interno dell'organismo pi� importante, il Consiglio di sicurezza, i cinque membri permanenti, cio� Stati Uniti, Gran Bretagna, Cina, Francia e Urss, potessero (e ancora possano) porre il veto a qualsiasi misura "fu il risultato e il riflesso della diffidenza reciproca che a quell'epoca esisteva tra grandi potenze", spiega Amy Sayward, esperta di storia dell'Onu e docente della materia alla Middle Tennessee State University. Il Consiglio di sicurezza risult� bloccato sin quasi dall'inizio, in stallo gi� nel 1946. Solo in un breve lasso di tempo, dopo il crollo dell'Urss, nei primi Anni '90, l'allentarsi delle tensioni tra superpotenze diede spazio a una stagione di intensa attivit�: dalla creazione del Tribunale penale internazionale per l'ex-Iugoslavia, all'intervento per l'espulsione dell'Iraq dal Kuwait, alle azioni per elezioni libere in Cambogia. Dal 1946 nove persone, tutti uomini, hanno ricoperto la massima carica di segretario generale. "Eppure, a incidere davvero non sono stati un segretario generale o l'altro, bens� l'atteggiamento di collaborazione o opposizione dei singoli leader delle maggiori potenze", spiega Amy Sayward. "Cos�, se Ronald Reagan, che non era un fan dell'Onu, fece ritirare gli Usa dall'Unesco e dirad� i pagamenti all'organizzazione, il suo successore George H.W. Bush (padre), convinto del valore delle Nazioni Unite, fu disponibile a lavorare con il Consiglio di Sicurezza". Uno dei simboli pi� noti delle Nazioni Unite sono le Forze internazionali di pace Onu, i Caschi Blu. La prima attivit� di peacekeeping risale al 1948 con il dispiegamento di osservatori militari in Medio Oriente per monitorare l'armistizio tra Israele e i vicini arabi. "Le missioni pi� riuscite sono quelle di cui si sente meno parlare: significa che hanno mantenuto la tensione bassa. Cos� � stato per la missione pi� lunga, ancora in corso, a Cipro", spiega la studiosa. Di rado i Caschi Blu sono stati coinvolti in azioni di guerra: � accaduto in Corea (1950-53) e durante l'espulsione dell'Iraq in Kuwait (1990-91). "Tra le operazioni pi� controverse e fallimentari, ci sono quella dei primi Anni '90 in Somalia e quella del 1994 in Rwanda con i Caschi Blu belgi che non riuscirono a prevedere il genocidio", prosegue Amy Sayward. "Poi nel 1995 fall� la creazione di zone di sicurezza in ex Iugoslavia: a Srebrenica i Caschi blu olandesi non riuscirono a proteggere la minoranza musulmana: un massacro". Ancora oggi si cercano i resti delle vittime nelle fosse comuni dell'area. Esiste, per�, anche un lavoro quotidiano che, pur di successo, non fa notizia. � quello di coordinamento di affari e questioni internazionali. Per esempio, � grazie all'Unione postale universale, fondata nell'Ottocento ed entrata a far parte delle Nazioni Unite, che la corrispondenza viene recapitata in giro per il mondo: Internet � in parte eredit� dell'Unione internazionale del telegrafo e se nei cieli il traffico aereo � ordinato � grazie all'Organizzazione internazionale dell'aviazione civile, entrambe parte della galassia Onu. Esistono, poi, successi indiscutibili ottenuti grazie all'operato dell'Assemblea generale, l'organismo di rappresentanza universale, dove nazioni piccole e grandi, ricche e povere, tutte titolari di un voto, sono state forze motrici di cambiamenti epocali. "� attraverso l'Assemblea generale che si � sprigionata la vera spinta alla decolonizzazione, con la legittimazione di diverse lotte per l'indipendenza", dichiara Amy Sayward. "� stato cos� per gli algerini che usarono le Nazioni Unite come arena per il loro riconoscimento, ma anche per i palestinesi: malgrado ancora si battano, hanno avuto nell'Onu un alleato chiave". Altro risultato rilevante fu quello prodotto dalla pressione politica contro la segregazione razziale: per cinquant'anni, a suon di risoluzioni le Nazioni Unite presero posizione contro l'iniquo sistema di apartheid in Sudafrica. "Due rilevanti esempi", conclude la studiosa, "che dimostrano come le Nazioni Unite siano un organismo, forse l'unico, in grado di dare impulso a grandi cambiamenti reali. � questo lo scopo per cui le organizzazioni internazionali vengono fondate: intervenire quando un singolo Stato da solo non ce la fa". Le distorsioni comunicative online (di Alessio Beltrami, "Psicologia contemporanea" n. 282/20) - In rete ci sono scambi di messaggi alterati, frutto di un dialogo inficiato da pregiudizi e negativit�. Impariamo a non farci catturare - Comunicare significa costruire e consolidare relazioni, sempre. Forse per questo chi ha la capacit� di costruire relazioni sane offline ci riesce anche online, e i contenuti online sono un magnete con la forza di generare attenzione e avvicinare le persone al nostro messaggio. Attrarre � il loro lavoro. Attrarre � una virt�, ma esiste anche qualche controindicazione. Ed � qui che dobbiamo diventare vigili. Esporci, regalare informazioni, fornire risposte e diventare divulgatori nel nostro campo pu� anche generare relazioni che poco hanno a che vedere con il concetto di relazione sana. Questa dinamica � facilitata dalla possibilit� di comunicare attraverso piattaforme di messaggistica, commenti, blogging, app e social network. In pratica, comunicando non condividiamo solo il nostro pensiero e la nostra conoscenza, ma diventiamo raggiungibili con un click esponendoci a una connessione diretta e intima come quella della messaggistica privata. Arrivati a questo punto � facile cadere in un equivoco pericoloso, perch� la risposta ai rischi di un contatto sgradevole non � la chiusura, bens� lo sviluppo di quella sensibilit� che ci permette di identificare a prima vista se la persona che sta tentando di stabilire un contatto con noi � animata da intenzioni sane o tossiche. Va specificato perch� � facile sentire professionisti che giustificano la loro assenza dal mondo online motivandola come una difesa necessaria. La verit� sta nel mezzo: se � vero che lasciando aperta la porta potrebbe avvicinarsi qualche malintenzionato, � vero anche che quella porta aperta ci permette di costruire relazioni preziose. Inoltre non � mai esistito un periodo storico cos� ricco di opportunit� per costruire relazioni sane, non dimentichiamolo. Resta una componente di rischio, e allora come gestire la presenza di quei soggetti che non hanno intenzione di stabilire con noi una relazione sana? Il primo passo � riconoscerli, ed esistono alcuni atteggiamenti che costituiscono un campanello d'allarme. Nei casi che seguono, riconoscere di trovarci in una situazione critica ci aiuter� a uscirne indenni. Vena polemica. Ogni confronto nato all'insegna della polemica e della puntualizzazione non promette bene. Non facciamoci confondere, per�. Il punto non � il messaggio (per esempio, abbiamo sbagliato a inserire una data e ce lo fanno notare), ma il tono e l'intento con cui questa comunicazione nasce. In sintesi, potremmo dire che la vena polemica emerge quando l'intento non � quello di aiutare, ma quello di correggere facendo notare l'errore. Non a caso, questo tipo di interazione avviene volutamente in pubblico. Ringraziare senza alimentare il confronto � il modo migliore per smorzare ogni complicazione sul nascere. Provocazione esplicita. L'arte della provocazione - se ben padroneggiata - pu� far perdere la calma anche alle persone pi� equilibrate. Online in molti la praticano. Lo vediamo in ogni commento o messaggio che volutamente isola un elemento per distorcerlo ed esasperarlo a favore della tesi che l'interlocutore vuole sostenere. Quando fiutiamo la chiara intenzione di provocare dovremmo stare alla larga dal dialogo perch� � chiaro che chi distorce di proposito la realt� non ritorner� in carreggiata dopo una nostra risposta dettagliata, precisa e logica. Al contrario, tutte le discussioni online che vediamo degenerare sono alimentate dalla buona fede di chi cerca di spiegare e argomentare, laddove le intenzioni della controparte sono chiaramente distruttive sin dall'inizio. Offesa gratuita. � pi� rara di ci� che si possa pensare e anche pi� innocua. L'offesa gratuita, infatti, fa meno danni di una provocazione o di una polemica perch� di fronte all'offesa quasi tutti capiamo che non esistono i presupposti per dialogare. Lunghezza (richiesta eccessiva di tempo). Quarto campanello d'allarme da non sottovalutare per non inciampare in relazioni tossiche, anche se le valutazioni che seguono richiederebbero molti distinguo. Di base, di fronte a un primo messaggio eccessivamente lungo dovremmo stare attenti. Se l'interlocutore manca del buon senso per capire che lo spazio altrui non si pu� invadere con una richiesta di tempo eccessiva, � probabile che ci saranno problemi. Nel mondo offline tali anomalie le avremmo riconosciute a occhio nudo perch� una persona che si presenta in studio senza appuntamento pretendendo di essere ricevuta o una persona che ci raggiunge per la prima volta al telefono incalzando con una telefonata che fatichiamo a interrompere ci avrebbero fatto capire molto. Online, invece, � facile fare confusione. Attenzione, non significa che online, via email o messaggistica, non si possano creare confronti corposi, ma pensare di eludere la naturale costruzione a step di una relazione ci fa capire che l'interlocutore non ha intenzione di rispettare le regole e questo � un indicatore preciso. Chiaramente ci sono anche molti messaggi che nascono da buone intenzioni, ma quando per la prima volta ci presentiamo a una persona e ipotechiamo arbitrariamente 10-15 minuti del suo tempo dando per scontato che esistano gi� i presupposti per instaurare un dialogo, stiamo dimenticando che anche le relazioni pi� importanti nascono per gradi. Quando queste casistiche diventano un problema? Quando ne sottovalutiamo l'importanza. Non esistono assoluti e nessuno di tali indicatori presi singolarmente potrebbe diventare una regola, ma ignorare quanto descritto e aspettarsi che vada tutto bene � esattamente ci� che � stato fatto da tutti coloro che si sono poi ritrovati a dover gestire relazioni online problematiche. L'utilit� della febbre (di Elena Meli, "Focus" n. 337/20) - Di solito non fa male, anzi: � fondamentale all'organismo per difendersi dalle infezioni. Ecco perch� e come agisce - Sta diventando l'incubo di ogni genitore: tutte le mattine, fra il caff� e la fila al bagno, bisogna trovare il tempo per misurare la temperatura ai figli prima che vadano a scuola. Perch� se c'� febbre si sta a casa: basta superare i 37,5�C per far scattare la chiamata al medico. Ma perch� questo valore � diventato il discrimine fra ansia e tranquillit� e soprattutto a che serve la febbre, cos� temuta nonostante sia un fenomeno tutt'altro che inutile per la salute? Tutti sanno che la febbre � un rialzo della temperatura corporea oltre un livello definito "normale" per la nostra specie; � stato fissato attorno ai 37�C da Carl Wunderlich, un medico tedesco che nel 1851, dopo aver valutato migliaia di persone in innumerevoli situazioni diverse, stabil� che la temperatura interna umana oscilla fra i 36,4 e i 37,2�C, con una media appunto a 37�C. Il valore infatti non � graniticamente uguale nell'arco della giornata e oggi si ritiene che siano normali scostamenti fino a mezzo grado sopra e sotto la media (da cui l'assenza a scuola necessaria solo se il termometro supera i 37,5�C). Le variazioni dipendono dal ritmo quotidiano del metabolismo, responsabile della produzione di calore da parte del corpo e non sempre uguale: ha infatti un minimo di notte, quando l'organismo si trova in una specie di "letargo", ed � invece al massimo nel tardo pomeriggio, quando tutta la macchina-corpo funziona a pieni giri e si registra il picco quotidiano della temperatura. Che sale anche dopo aver mangiato, se facciamo attivit� fisica o siamo sotto stress, e nelle donne nei pressi dell'ovulazione: per tutti questi motivi � giustificato lasciare un po' di margine oltre i 37�C prima di far scattare l'allarme-febbre. Secondo alcuni studi, per�, in un prossimo futuro la soglia di normalit� potrebbe abbassarsi: la nostra specie si sta infatti "raffreddando". Lo dimostra una ricerca condotta da Julie Parsonnet della Stanford University (Usa): confrontando le misure di temperatura di quasi 700-mila persone rilevate dal 1862 al 2017, la ricercatrice ha verificato che chi � nato nel 2000 ha una temperatura media di mezzo grado pi� bassa rispetto a chi � vissuto a fine '800. "L'ambiente attorno a noi � cambiato: viviamo in case ben riscaldate e siamo a contatto con meno microrganismi, per cui il livello medio di infiammazione e di "calore" interno sta diminuendo", osserva Parsonnet. "Scaldarsi" infatti serve proprio per combattere meglio le infezioni: � questo lo scopo della febbre, che � definita come un innalzamento stabile della temperatura oltre la soglia della normalit� per distinguerla dai picchi temporanei dovuti all'attivit� sportiva o ad altri sforzi. Quando viene la febbre il nostro termostato interno (l'ipotalamo, una struttura che si trova in una regione profonda del cervello) si tara su una temperatura pi� alta e l� resta per un po', innescando i meccanismi che consentono di produrre pi� calore e disperderne meno, come i brividi o la vasocostrizione periferica. Una saggia decisione, come spiega Fabrizio Pregliasco, virologo dell'Universit� di Milano: "La febbre � la risposta fisiologica a uno stato di infiammazione, dovuto in genere a un'infezione respiratoria, gastrointestinale, urinaria e cos� via. Il calore interno sale e questo raggiunge due scopi: i germi entrano in difficolt�, perch� oltre 37�C molti non si moltiplicano pi� bene, inoltre si crea la necessit� di raffreddare il corpo perch� per stare bene la temperatura interna va mantenuta entro un intervallo ristretto. Per tornare alla normalit� allora il cuore batte pi� veloce (quando non c'� un termometro a portata di mano infatti basta premere sull'interno del polso per sentire le pulsazioni accelerate e capire che c'� febbre, ndr), per mandare tanto sangue in periferia e disperdere cos� pi� calore all'esterno. Pi� sangue ai tessuti significa anche pi� globuli bianchi nel punto dove c'� da combattere un'infezione. Ci� aumenta la capacit� di risposta". Il caldo, inoltre, aumenta la velocit� del metabolismo e delle reazioni chimiche che avvengono all'interno delle cellule, favorendo in questo modo una reazione veloce ed efficace. La febbre quindi non "fa male", � solo il prezzo da pagare per avere la meglio su virus, batteri, stati infiammatori localizzati: del resto il filosofo greco Parmenide gi� 2.500 anni fa diceva: "Datemi il potere di indurre la febbre e curer� qualsiasi malattia". Un potere cos� grande che se ne servono tutti gli animali, perfino i rettili o i pesci che non possono mantenere una temperatura interna costante ma dipendono da quella esterna: per combattere meglio le infezioni, si fanno venire la cosiddetta "febbre comportamentale", ovvero cercano attivamente di stare dov'� pi� caldo. Succede per esempio alle lucertole, che quando vengono infettate da batteri restano di pi� al sole, o perfino ai pesci, come ha scoperto Joanne Cable dell'inglese Cardiff University: se sono attaccati da parassiti e possono scegliere fra vasche d'acqua a diversa temperatura, i pesci si dirigono senza dubbi nell'acquario pi� caldo, dove � stato verificato che il loro sistema immunitario lavora meglio. � un'arma cos� efficace che alcuni patogeni si sono attrezzati per neutralizzarla: l'Herpesvirus ciprinide 3, che colpisce varie specie di carpe, trasporta un gene che inibisce la febbre comportamentale dell'ospite, provocando letargia e nuoto senza meta, in modo che il pesce se ne stia lontano da acque calde. E c'� perfino chi, come Michael Logan, biologo evoluzionista dell'Universit� del Nevada a Reno (Usa), sostiene che gli animali a sangue caldo siano comparsi e abbiano avuto successo evolutivo proprio perch� riescono meglio e pi� facilmente a procurarsi la febbre per combattere i germi. Certo se per� la febbre � troppo alta o resta elevata per tanto tempo (oltre i 39�C per tre giorni), l'organismo ne risente: per produrre calore le cellule infatti accelerano i processi detti "catabolici", ovvero la distruzione di proteine, zuccheri e grassi e questo pu� portare ad alterazioni della funzionalit� di cuore e reni, inoltre il sistema nervoso centrale va in sofferenza un po' per gli effetti diretti del calore, un po' per la carenza di energia perch� tutte le scorte vengono usate per mantenere alta la temperatura. Le conseguenze sul cervello sono infatti quelle pi� temute dai medici: il rischio di danni permanenti si ha oltre i 40�C, ma diventa una certezza se si sta a lungo con la febbre oltre 42�C o si superano i 43�C, soglia oltre la quale la sopravvivenza � a forte rischio. La febbre insomma ha due facce e secondo alcuni biologi evoluzionisti c'� un motivo anche per questo: favorirebbe infatti la sopravvivenza di chi � colpito da infezioni lievi, in cui di solito la febbre non � eccessiva, ma accelererebbe invece la morte di chi ha problemi gravi, quando in genere la temperatura sale parecchio, riducendo cos� il pericolo di una diffusione su larga scala di contagi troppo pericolosi. C'� tuttavia chi di fronte ai febbroni � pi� fragile a prescindere: "In un anziano con il cuore malandato l'incremento dei battiti dovuto all'aumento di temperatura pu� essere pericoloso", spiega Pregliasco. "E nei bambini la febbre alta, oltre 39�C, pu� alterare a tal punto il funzionamento cerebrale da indurre le convulsioni. Ecco perch� nei pi� piccoli � sempre opportuno farla scendere quando va oltre i 38,5". Anche perch� non � vero che li fa crescere: febbri prolungate nel periodo del massimo sviluppo possono far sembrare che ci sia stata una crescita, ma non c'� alcuna prova che la febbre di per s� "allunghi" bambini e ragazzi. Che fare allora quando il termometro sale, al netto della preoccupazione di questo autunno per il possibile contagio da Covid-19 che la febbre potrebbe nascondere? "In un adulto sano ha senso ridurla ma non per forza azzerarla, anche per seguirne meglio l'evoluzione e non ritardare la diagnosi di un'infezione pi� seria, che magari necessita di un antibiotico per risolversi", dice il virologo. "Esagerando con gli antipiretici da un lato facciamo il gioco dei virus, che possono replicarsi meglio, dall'altro potremmo continuare a uscire e cos�, essendo "sotto attacco" e con le difese ridotte, rischieremmo di prenderci qualche altro germe peggiorando la situazione". Per non sbagliare � bene chiedere al medico, soprattutto quest'anno in cui occorre contenere la diffusione del SARS-Cov-2, ma in generale � opportuno non stroncare la febbre sul nascere ed evitare la febbre-fobia, il terrore che stando a un'indagine dell'Universit� del Kansas attanaglia un genitore su due quando un bambino ha la febbre (con tanto di termometri sotto l'ascella ogni ora e stress che s'impenna anche nei piccoli). Se serve farla scendere perch� � troppo fastidiosa si possono usare paracetamolo, acido acetilsalicilico o altri antinfiammatori non steroidei, perch� tutti agiscono rapidamente facendo sudare in abbondanza e si possono prendere pi� volte al giorno, basta avere lo stomaco pieno; se per� la febbre � parecchio alta o si accompagna a sintomi molto intensi, come tremori, nausea forte, dolore o eruzioni cutanee insolite potrebbe esserci sotto qualcosa di diverso da un'infezione "banale" ed � bene indagare al pi� presto. Trucchi e segreti sonori nel cinema (di Marco Consoli, "Focus" n. 332/20) - Come riprodurre il rumore dello scudo di Captain America, di un pugno in faccia, di una scena di sesso o di un lampo di Star Wars? Con la tecnologia ma anche con molta, molta inventiva - "Il rumore di un pugno sulla mascella � secco e molto breve. Ma al cinema un suono del genere non ha alcun impatto emotivo. Ecco perch� si ricrea artificialmente sovrapponendo quattro livelli: due mani che applaudono, un guantone da boxe appesantito sbattuto a terra, una pila di libri avvolti in una giacca di pelle che cade e un colpo dato con una lattuga congelata, in grado di produrre quelle frequenze frizzanti che fanno pensare a un osso rotto". Mauro Eusepi, 37 anni, fa il rumorista e ha realizzato i suoni di decine di film tra cui La grande bellezza, Dogman e serie tv come The New Pope e Diavoli. "Quando si riprende un film, i microfoni sono puntati sulle bocche degli attori per il dialogo", spiega, "quindi tutti gli altri suoni sono sbiaditi e fuori fuoco. Per questo bisogna rifarli da capo e renderli cinematografici". Mentre il tecnico del suono si occupa dei dialoghi, registrati in presa diretta o doppiati, e il compositore crea le musiche, Eusepi lavora in coppia con un sound designer: "Lui crea la parte ambientale come auto che passano, mare, uccellini. Per alcuni film in cui c'� suspense lavora su effetti in grado di accentuare l'emotivit� di una scena, come per i suoni che per esempio in un horror accompagnano l'apparizione improvvisa e inattesa di una persona. Io invece creo tutti i rumori fatti dai personaggi, quindi i passi, gli oggetti che muovono o toccano, i vestiti che indossano, lo zampett�o degli animali e cos� via". In America, dove queste professioni sono nate col cinema, il rumorista si chiama "Foley artist", in onore di Jack Foley che per primo nel 1929 realizz� i suoni di Show Boat, uno dei primi film muti trasformati in sonori, registrando i rumori su nastro in sincrono mentre guardava scorrere le immagini della pellicola, in maniera simile a come venivano creati i suoni per i radiodrammi. Col tempo le professioni si sono specializzate e cos� al Foley si � aggiunto il sound designer, che realizza ad esempio i grugniti di una creatura fantastica o il sibilo di un'astronave. "Per Star Wars: L'ascesa di Skywalker dovevamo realizzare i fulmini della forza e perci� siamo usciti per una registrazione sul campo", spiega David Acord, sound designer che lavora nello Skywalker Sound, uno dei centri di eccellenza mondiali per la sonorizzazione di film, creato da George Lucas e poi acquistato da Disney. "In studio abbiamo un archivio sconfinato di effetti sonori, ma non sempre si trova ci� di cui c'� bisogno e in questo caso volevamo un suono specifico. Cos�, su indicazione di Ben Burtt, l'inventore dei suoni del primo Guerre stellari, sono andato in Colorado da un tizio che aveva un vecchio saldatore ad arco di carbonio, un tempo usato in teatro per creare scintille. Oggi l'immagine dei fulmini si realizza al computer, ma quel suono registrato dal vivo era impareggiabile". Se c'� da fare un'esplosione o il rumore di un tornado, il sound designer dunque registra l'originale, o per effetti pi� fantasiosi, come quello della sirena dell'auto dei Ghostbusters, parte da suoni reali come il ringhio di un leopardo, elaborato poi per cambiare la sensazione di chi ascolta, oppure da rumori creati ad hoc. "Quando le persone mi chiedono cosa facciamo, dico sempre che creiamo suoni a met� tra quelli reali e ci� in cui vuoi credere, perch� non sempre un oggetto suona come vorresti", racconta Ronni Brown, Foley artist americana che ha lavorato a vari Star Wars, ma anche a film di supereroi come Iron Man e Captain America oltre a film d'autore come Il filo nascosto. "Per esempio delle forbici possono suonare in maniera diversa a seconda del materiale con cui sono fatte, e magari dobbiamo ingegnarci per trovare qualcosa che coincida con ci� che immaginiamo, anche perch� il suono da realizzare dipende dal contesto emotivo: sono forbici che producono una vibrazione sinistra o sono in mano a un bambino in una commedia?". Nel dialogo di sound designer e rumorista col regista, nascono gli effetti sonori del film: ma mentre il lavoro del primo ha molto a che fare con il computer, il secondo � pi� artigianale, perch� richiede di muovere e toccare oggetti o di usare il corpo per registrare i suoni con perfetta sincronia rispetto alle immagini sullo schermo. "Per fare questo mestiere ci vuole un connubio tra tempismo e artigianato per realizzare i rumori", spiega Eusepi. "Naturalmente tutti i suoni si ricreano in base al proprio gusto e qui vale soprattutto l'esperienza che ha il tuo orecchio nell'accoppiare un suono a quella immagine". All'inizio probabilmente Jack Foley e i suoi primi emuli si affidavano all'istinto, ma dopo decenni di pratica della professione, alcune tecniche si sono standardizzate, con libri come The Foley Grail (ovvero il Santo Graal del rumorista) che spiegano come vengono realizzati i suoni pi� comuni: ad esempio, spiega Eusepi, lo zampett�o dei cani si ottiene sbattendo graffette attaccate ai polpastrelli di mani guantate, i passi sulla neve fresca camminando su sacchi pieni di amido di mais, mentre uno scarpone strofinato su plastica rigida d� lo scricchiolio del ghiaccio che si spacca. "I rumori che ossessionano i registi", dice il rumorista, "sono soprattutto i passi degli attori: a volte vogliono sentire di pi� il tacco che la punta oppure chiedono che i passi esprimano un senso di superiorit�. La parte divertente arriva quando devi realizzare rumori di squartamenti: in quel caso mi sbizzarrisco spappolando cocomeri e pomodori, o spezzando sedani per dare l'idea di ossa rotte. Anche i suoni viscidi come le coltellate, creati con fogli di giornali e stracci bagnati danno soddisfazione". La sfida diventa pi� ardua se anzich� a un film drammatico, ancorato alla realt�, si lavora a uno di animazione o fantasy. "Nei cartoon non hai i rumori del set cui ispirarti", spiega Brown, "quindi devi inventarti tutto, anche se hai pi� libert� creativa su come far suonare i personaggi: i cattivi pi� minacciosi, i buoni pi� edificanti. Lo stesso vale nel caso dei film di supereroi: chi sa che rumore fa lo scudo di Capitan America? In quel caso si cerca di creare il suono di un metallo che il regista vuole futuristico, super resistente e magico". Alcune sfide richiedono impegno fisico, come nel caso di Il re leone: "C'erano talmente tanti animali da far camminare che � stata durissima fisicamente", dice Brown, che durante la lavorazione rivela di essersi rotta un dito. In altri casi ci vuole immaginazione e un orecchio capace di squarciare letteralmente il silenzio: "Ne Il filo nascosto ci sono molte scene di sartoria, ma cucire non fa nessun rumore", spiega, "eppure abbiamo sovrapposto vari suoni per far credere a chi guarda che quell'azione stia accadendo davvero. In un altro film mi hanno chiesto di riprodurre un battito di ciglia. Sa come l'ho fatto? Aprendo la bocca e registrando il suono delle labbra che si chiudono". "Spesso bisogna ingegnarsi", fa eco Eusepi. "Se non posso avere una carrozza in studio, per ricrearne i rumori prendo un vecchio sgabello di legno che scricchiola, lo metto sopra a un palco di legno, a sua volta appoggiato a un altro livello di legno vuoto. Muovendo tutto insieme si ricrea un'ampiezza sonora analoga o anche maggiore dell'originale, perch� i suoni registrati devono essere cinematografici, cio� un po' esagerati rispetto alla realt�". Senza contare che questi suoni spesso devono farsi sentire in mezzo a dialoghi, esplosioni, musica. "Un segreto", dice Brown, "� di registrare su frequenze alternative a quelle degli altri elementi, anche perch� il cervello umano pu� assorbire fino a un certo grado di complessit� sonora". Molti sound designer studiano scienza del suono, e lo stesso accade ad alcuni rumoristi come Eusepi o Brown, che poi si specializzano, anche perch� scuole vere e proprie per Foley non ce ne sono: magari si fa un corso e poi ci si fa le ossa lavorando. L'esperienza e la creativit� sono la chiave per rispondere a pretese talvolta bizzarre dei registi: "Paolo Sorrentino per Youth mi ha chiesto di replicare i suoni di un amplesso, specificando che dovevano essere viscidi e umidi", ride Eusepi. "Me la sono cavata usando carne fresca e stracci bagnati". "Non si conta quante volte mi � stato chiesto, in film indipendenti, di sonorizzare scene di sesso, come quella in Palo Alto dove una ragazza apre la zip dei pantaloni di un ragazzo", conferma Brown, "oppure come per gli strusciamenti di un rapporto. Non esiste cosa meno sexy al mondo che stare a guardare quelle immagini e registrarsi mentre ti accarezzi il braccio o la spalla". Verza, la regina d'inverno ("RivistAmica" n. 1/19) - Un ortaggio da scoprire, tra varianti e benefici - I piatti dell'inverno devono essere in grado di soddisfare il palato ma anche di ritemprare tutto il corpo provato dalle condizioni atmosferiche. Per questo le parole d'ordine sono sostanziosit� (senza eccedere), gusto e calore. Caratteristiche che si adattano perfettamente alla verza, ingrediente tipico di numerose ricette del periodo e sfruttabile in cucina in molti modi differenti, dalle zuppe e altri primi brodosi fino a secondi di carne e ai contorni caldi o freschi. Conosciuta fin dall'antichit� - era ad esempio gi� apprezzata dai Greci e dai Romani, anche per le sue qualit� curative - la verza ha caratteristiche che la rendono adatta ai pi� differenti regimi alimentari, con un limitato apporto calorico e di grassi e un notevole potere saziante. Questo, unito al significativo contenuto di sali minerali, vitamine ed elementi antiossidanti, la fa rientrare tra le alternative nutrizionali valide anche per gli sportivi o per chi � semplicemente pi� attento alla linea. La verza � detta anche "cavolo di Milano" (nome che si ritiene possa essere legato anche alla sua diffusione sulle tavole dell'Italia settentrionale, in particolare in Lombardia e Piemonte) ed � largamente consumata in inverno e nelle regioni dello Stivale a clima meno temperato, grazie alla sua capacit� di resistenza alle intemperie. Una caratteristica che trova un suo corrispettivo anche nell'aspetto finale dell'ortaggio, con le sue foglie grandi, grinzose, attraversate da evidenti nervature ma molto compatte, che spesso devono essere tagliate a pezzi per essere cucinate con praticit�: il colore, a seconda delle diverse variet�, tocca le differenti tonalit� del verde, talvolta con riflessi rosa-violacei. Questo consente alla verza di essere sfruttata in tutte le sue versioni. A partire da quella cruda (ben lavata e sgocciolata), che pu� essere protagonista di insalate in cui, tagliata in piccole listarelle, conferisce una nota croccante accanto ad altre verdure ma anche in contorni variegati da acciughe, noci o olive. Ancora pi� tipico dell'inverno � poi sottoporla a cottura, anche lunga, grazie alla quale si ammorbidisce senza perdere compattezza, sposandosi con il suo sapore ben definito ma non troppo invasivo a ingredienti dalle caratteristiche molto diverse, come dimostrano specialit� della tradizione lombarda, dai pizzoccheri o la cassoeula. E per una cena importante la foglia intera pu� essere sfruttata anche nel buffet degli antipasti come sfizioso involucro di involtini: al naturale, con all'interno salumi o formaggio morbido spalmabile, o cotta in forno con ripieni pi� sostanziosi come riso, carne macinata, scamorza resa filante o, per un abbinamento pi� inconsueto, pesce di lago come il persico. Contro i malanni di stagione La duttilit� della verza � dimostrata anche dalla possibilit� di utilizzarla per una bevanda che avrebbe propriet� lenitive dei tipici malanni di stagione legati alle vie respiratorie (e un effetto benefico anche su quelli dell'apparato digerente). Per metterne alla prova queste qualit� preparate un decotto con le foglie dell'ortaggio da consumare ben caldo, addolcendone il sapore con un cucchiaino di miele. Prelibatezza d'Europa La verza � apprezzata anche fuori dai confini italiani tanto da essere diventata l'ingrediente di piatti tipici in diversi Paesi. In Grecia pu� sostituire le foglie di vite in una variante dei dolmades, involtini che contengono del riso aromatizzato; mentre nei sarma (o sarmale) balcanici al riso si aggiunge anche la carne tritata. In Olanda, infine, sono tra i condimenti classici, insieme alle patate, delle salsicce locali, anche stufate. Alla scoperta delle meraviglie di Praga (di Valerio Barbieri e Beatrice Caldovino, latitudeslife.com) La citt� di Praga sorge sulle rive della Moldava che, passando sotto ben 16 ponti, la attraversa da una parte all'altra. La sua storia ebbe inizio prima dell'Anno Mille, con la costruzione del Castello, che comprende numerosi palazzi, chiese e strade che costituiscono tutte insieme uno dei pi� bei centri storici del mondo, dichiarato Patrimonio dell'Umanit� UNESCO. Gli edifici sono costruiti in differenti stili, che vanno dal rinascimentale all'art nouveau, che ospitano ristoranti, musei, gallerie d'arte, negozi, caff� alla moda e locali notturni. Il nucleo del centro storico � la Piazza della Citt� Vecchia (Staromstsk� n�mst�) che offre al visitatore un caleidoscopio di caratteristiche bancarelle e artisti di strada, sparsi tutt'intorno alla splendida Torre del Municipio, col suo strabiliante orologio astronomico, capolavoro della meccanica costruito all'inizio del XV secolo. Quest'ultimo rappresenta il vero fulcro della citt�: il quadrante a forma di astrolabio (che indica, oltre all'ora, le orbite del Sole e della Luna intorno alla Terra, nonch� i loro percorsi nei segni zodiacali) � fiancheggiato da quattro figure - Morte, Lussuria, Vanit� e Avarizia - le quali si muovono allo scoccare di ogni ora. Da due finestrelle si affacciano a turno i dodici apostoli che si inchinano alla immancabile folla, mentre il gallo dorato che le sormonta canta scandendo l'ora indicata. La leggenda narra che, all'orologiaio Hanus, artefice del perfetto meccanismo, furono bruciati gli occhi dalle autorit�, timorose che potesse progettare un orologio simile per altre citt�. Quando il maestro riusc� a riprendersi, avendo scoperto il motivo per cui era stato accecato, si fece portare all'orologio e lo danneggi� a tal punto che, per molti anni, nessuno riusc� ad aggiustarlo. A qualche centinaio di metri dalla piazza, un'altra meta immancabile � il Ponte Carlo, un ponte di pietra lungo mezzo chilometro in stile gotico con un continuo viavai di adolescenti al loro primo viaggio senza genitori, di coppiette in luna di miele e di scapoli impenitenti in cerca di avventure, tutti intenti a farsi fotografare accanto ad una delle sue 30 statue, che rappresenta anche la miglior vetrina a cielo aperto per tutti gli artisti di strada che hanno ottenuto il permesso di esibirsi nelle loro performance o di mettere in mostra le loro opere su questo magico palcoscenico. Al tramonto poi, lo spettacolo si moltiplica, quando il magnifico Castello sullo sfondo si illumina di mille luci colorate, che diventano sempre pi� suggestive man mano che il cielo infuocato si spegne nell'oscurit�. Alcuni piloni del ponte poggiano sulla deliziosa isoletta di Kampa, un piccolo gioiello dove il tempo sembra essersi fermato, con le sue casette colorate e gli antichi mulini, e in cui � possibile concedersi dei momenti di relax sdraiandosi su uno dei numerosi prati che la ricoprono o passeggiando tra i pittoreschi viali che l'attraversano. Alle pendici del Castello � sorto, a met� del XIII secolo, il Piccolo Quartiere (Mala Strana), ricco di sontuosi palazzi barocchi - contraddistinti da splendide insegne che rappresentavano le origini dei proprietari o l'attivit� che vi si svolgeva - affacciati su pittoresche piazzette e vicoli i quali, grazie al fatto che a partire dall'Ottocento non furono pi� costruiti nuovi edifici, riescono ancora a dare il senso dell'atmosfera originaria, allo stesso tempo romantica e misteriosa. Insomma, una citt� che incanta con il suo fascino, sospeso tra storia, arte e leggenda, e che resta nel cuore di chi l'ha visitata, lasciando il desiderio di tornarci. Gianni Min�: una vita in mezzo alla storia (di Andrea Di Quarto, "Tv sorrisi e canzoni" n. 40/20) Per scrivere il suo nome, Gianni Min�, bastano dieci caratteri, ma per raccontare chi � non basta un intero libro, neppure quello che ha scritto su se stesso. 82 anni, torinese, giornalista, scrittore, conduttore televisivo, ha collaborato con quotidiani e settimanali italiani e stranieri, ha realizzato decine di reportage per la Rai, ideato e presentato programmi televisivi di culto, girato documentari su Che Guevara, Muhammad Ali, Fidel Castro, Diego Maradona. � stato direttore del quotidiano "Tuttosport", della rivista letteraria "Latinoamerica e tutti i sud del mondo" e della collana "Continente desaparecido" di Sperling & Kupfer, dedicata agli autori latinoamericani. Ha pubblicato numerosi libri, molti dei quali sull'America Latina. - La sua autobiografia, uscita pochi mesi fa, l'ha intitolata "Storia di un boxeur latino". Perch�? "Perch� il boxeur latino � colui che sfida qualunque situazione, gradevole o sgradevole, ma � leale nelle risposte che d�. Sono uno di quelli sempre pronti a dipanare qualunque interrogativo e poi, come un pugile, tengo sempre la guardia alta". - Spieghi chi � Gianni Min� a un quindicenne che sta leggendo questa intervista. "� un personaggio curioso che a vent'anni gi� lavorava per un giornale. � un giornalista che ha sempre inseguito il "vero", sia nei fatti che nelle persone, tralasciando l'apparenza. La prima impressione � un sentimento che detesto. Ho basato la mia carriera sulla scoperta delle cronache e dei personaggi... Non ho avuto paura di sfidare il contesto, temo molto la stupidit�". - Che tipo di famiglia era la sua? "Mio padre era avvocato della Reale Mutua Assicurazioni e mia madre era maestra e casalinga". - Dopo gli inizi a "Tuttosport" ha collaborato con la Rai lavorando in programmi che hanno fatto la storia della tv: "Tv7", "AZ: un fatto come e perch�", "Dribbling", "Odeon", "Gulliver"... "Ho cominciato a collaborare con la Rai a rubriche che hanno cambiato il linguaggio giornalistico della comunicazione, ora � pi� difficile il lavoro di "rottura" di un modo di scrivere e raccontare. A quei tempi c'era un'apertura ai nuovi linguaggi, ma � stato comunque un percorso molto combattuto". - Ha conosciuto personaggi grandissimi. Di alcuni � anche diventato amico. Qual � il segreto? "Il rispetto assoluto delle persone che ho di fronte, anche con quelle pi� polemiche, che non mi hanno mai fatto paura... e ne ho affrontate di cose, non certo facili. Ma la mia curiosit� ha fatto in modo che riuscissi a far intendere a molti protagonisti che erano tutelati". - Alcuni non erano proprio dei santi. Si offende se le dicono che Fidel Castro era un dittatore? "Bisognerebbe domandarsi piuttosto perch� Castro � stato una persona leale quando gli Stati Uniti non lo sono stati pi� con Cuba. Alla fine c'� stata una rivincita di Castro, al contrario del comunismo e del marxismo che hanno visto finire il loro tempo". - Come nacque il suo rapporto con il "L�der M�ximo"? "Per sette, otto anni ho continuato a fare la domanda per poterlo intervistare. Questo � il segreto che mi ha condotto a lui: non mollare mai. L'intervista di 16 ore che ho fatto con Fidel Castro � stato uno scoop che � stato riconosciuto nel mondo e che mi ha dato una forte popolarit� all'estero, ma non � stato riconosciuto qui in Italia, ovviamente". - E Ali? Altro personaggio non facile da maneggiare... "Molto pi� facile da maneggiare di quanto sia stato scritto o detto, anche se il primo approccio non fu idilliaco. Finita la nostra prima intervista, organizzata dal suo avvocato, si sono accorti in molti che Ali aveva dei pregiudizi nei miei confronti, tant'� che fu un fiasco. Ma lui si rese conto dell'onest� della persona che aveva davanti e mi promise una seconda intervista". - E poi c'� Diego... "Riguardo a lui, sono sempre stato convinto che fosse il pi� grande calciatore mai nato". - Il talento di un personaggio cancella tutto il resto o la grandezza va pesata anche alla luce della sua condotta nella vita? "Io, come giornalista, faccio emergere luci e ombre delle persone che intervisto. Poi, per�, chi sono io per giudicare il comportamento di un altro uomo?". - Da dove nasce la sua passione per il Sud America? "Dal samba, dalla bossa nova e dal piacere di coltivare questo folclore e questi ritmi". - Amore non sempre ricambiato. Ai Mondiali argentini del 1978 la cacciarono per via di una domanda sgradita sui desaparecidos. "Superficialit� giovanile...". - � entrato in Rai dopo 17 anni di precariato. "� palese che hanno riconosciuto i miei meriti sul campo". - Qual � il programma pi� "suo" che ha fatto? ""Blitz", perch� fra una puntata e l'altra abbiamo creato uno stile di giornalismo televisivo". - Un programma cos� oggi si potrebbe ancora fare? "No, per mancanza di autori, inventiva e audacia". - Ha detto spesso che tra i grandi personaggi che ha intervistato manca Nelson Mandela. Che cosa avrebbe voluto chiedergli? "Che sentimenti nutriva per chi l'ha tenuto trent'anni in galera". - Ha avuto grandi successi anche come documentarista. � un altro mestiere rispetto al giornalismo o cambia solo il linguaggio? "� un altro mestiere, perch� devi costruire una storia con immagini, parole e musica, e tutto da solo". - Chi � oggi il pi� bravo giornalista? "Sono rimasto a Enzo Biagi, credo che si sia perso il marchio". - Nessuna delle sue tre figlie ha seguito le sue orme. Le � dispiaciuto? "Ai figli bisogna lasciar fare quello che li rende felici e li appassiona". - C'� una cosa che Gianni Min� avrebbe voluto saper fare e in cui � proprio negato? "Suonare uno strumento, ho sempre apprezzato molto la musica". - Da anni si batte perch� venga creato un archivio con i suoi programmi. A che punto siamo? "Ho chiesto pi� e pi� volte di mettere in sicurezza programmi come "Blitz" e altri degli anni passati. Ho chiesto di mettere mano alle pi� di 600 ore di programmi e servizi tv che ho prodotto per la Rai e che sono in Cineteca, per dare un senso compiuto alla memoria, ma sono state, le mie, richieste inutili... Per ora sono solo sconfitte. Ma devo avere fiducia. Perch�, si dice, il tempo � galantuomo. Giusto?".