Novembre 2021 n. 11 Anno LI MINIMONDO Periodico mensile per i giovani Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi �Regina Margherita� Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registrazione 25-11-1971 n. 202 Dir. Resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Pietro Piscitelli Massimiliano Cattani Luigia Ricciardone Copia in omaggio Rivista realizzata anche grazie al contributo annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del MiBACT. Indice Se portassimo sempre le mascherine Siamo tutti complottisti Grassi e derisi Alla conquista dell�Everest Vin brul�: le inaspettate origini di una bevanda invernale Alla scoperta di Assisi tra arte, storia e vedute mozzafiato Charlie Watts: era l�anima tranquilla dei Rolling Stones Se portassimo sempre le mascherine (di Elena Meli, �Focus� n. 348/21) - Ci hanno aiutato a limitare i danni dell�emergenza Covid, eppure a lungo andare non mancherebbero gli effetti collaterali - Sapete che le vendite dei rossetti sono un indicatore delle crisi? Durante la Grande Depressione del 1929 le vendite crebbero del 25%; Winston Churchill in piena Seconda guerra mondiale non li incluse fra i beni razionati perch� un filo di rosso sulle labbra �Mette il buonumore a chi lo indossa e a chi lo vede�; dopo l'attentato alle Torri Gemelle del 2001 e un'altra impennata di acquisti fu addirittura coniato il termine �lipstick index� per indicare la corsa ai rossetti tipica dei periodi di crisi. Quella provocata dalla pandemia per� fa eccezione: vendite crollate del 75%, labbra al naturale sotto le mascherine. Ma se dovessimo portare le protezioni per naso e bocca sempre, fuorch� per bere e mangiare, l'addio alle bocche color carminio non sarebbe l'unica conseguenza. �Certamente in generale dovremmo truccarci di meno�, osserva Gabriella Fabbrocini, direttrice dell'Unit� di Dermatologia del Policlinico Universitario Federico II di Napoli e membro del consiglio direttivo della Societ� italiana di dermatologia medica, chirurgica, estetica e delle Malattie sessualmente trasmesse. �Make-up e mascherina fanno �respirare� meno la pelle, che ha bisogno di restare scoperta: se portassimo sempre la protezione il trucco alla lunga diventerebbe troppo occlusivo e irritante. La mascherina stessa poi, sfregando la cute, in chi gi� soffre di acne o rosacea potrebbe stimolare la comparsa di nuove lesioni�. Lo ha dimostrato Giovanni Damiani dell'Irccs Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano: nelle persone con acne o rosacea indossare la mascherina oltre sei ore al giorno nel giro di sei settimane peggiora i sintomi cutanei. La cosiddetta �maskne�, termine coniato in pandemia per definire un'acne meccanica localizzata all'area coperta, potrebbe perci� diventare pi� frequente. �Sotto la mascherina la pelle �soffre� non solo per la frizione, la pressione e l'occlusione, ma anche perch� cambia il microclima (cio� elementi come il grado di acidit� della pelle, la temperatura, l'umidit�, ndr) e di conseguenza il microbiota, ovvero la popolazione di batteri che vivono sulla cute: questo pu� favorire l'acne�, precisa Fabbrocini. �Portando sempre le mascherine dovremmo quindi avere qualche accortezza in pi� per la cura della pelle, ma ne trarremmo anche vantaggi: saremmo pi� protetti dai raggi ultravioletti e dal particolato atmosferico, che fanno invecchiare la cute. Come risultato, dopo qualche anno passato con le mascherine sempre addosso potremmo avere per esempio meno rughe attorno alla bocca�. La minor esposizione allo smog � un �effetto collaterale� positivo delle mascherine non di poco conto: Simon Peltier, docente di scienze ambientali dell'Universit� del Massachusetts ad Amherst (Usa), ha scoperto che quelle in cotone o chirurgiche bloccano il particolato pi� sottile fino al 3%, con le Ffp2 si arriva a filtrare il 95% delle particelle. Non ci sarebbe da preoccuparsi per i temuti danni alla respirazione paventati da qualcuno: anche portarle sempre non pregiudica la funzionalit� dei polmoni, neppure se facessimo sport con naso e bocca coperti. Lo ha verificato di recente Susan Hopkins dell'Universit� della California a San Diego (Usa) su alcuni volontari a cui ha fatto praticare sport da �mascherati�: �L'energia spesa per respirare, i livelli di ossigeno e anidride carbonica nel sangue e altri parametri fisiologici non cambiano in maniera significativa, anche con sforzi intensi e indipendentemente da sesso, et� o tipo di mascherina�, dice Hopkins. �Fa eccezione chi ha malattie cardiopolmonari gravi, dove la mancanza di fiato pu� farsi sentire molto facilmente e intaccare la capacit� di esercizio. Indossare la mascherina per allenarsi pu� essere fastidioso, perch� il viso diventa pi� caldo e umido e aumenta la resistenza alla respirazione, ma � una percezione: di certo non fa male ai polmoni�. Secondo i ricercatori della Cleveland Clinic in Ohio (Usa) la mascherina potrebbe forse non essere il massimo per naso e gola: portarla per ore oltre a peggiorare l'alito pu� seccare e irritare le mucose del naso e soprattutto della gola, se si parla a voce sempre troppo alta per farsi sentire (con la mascherina tendiamo ad aumentare il volume in molte situazioni) e soprattutto se non se ne ha abbastanza cura, riponendola in una confezione di plastica pulita quando si mangia o si beve. Ficcarla in borsa o lasciarla in auto la rende un ricettacolo di germi e sostanze irritanti, che poi vengono respirate e irritano le vie aeree. Nessun guaio sarebbe inevitabile insomma, con qualche precauzione: le paure per l'apparato respiratorio sarebbero per lo pi� ingiustificate. Anche il sistema immunitario sarebbe al sicuro, perch� non incontrare germi grazie all'uso costante della protezione non lo renderebbe meno �forte�. �Appena nati il sistema immunitario � gi� in grado di difenderci dai patogeni e pu� riconoscere decine di migliaia di molecole�, spiega Enrico Maggi, gi� responsabile della Struttura di immunologia e terapie cellulari del Policlinico Careggi di Firenze e past-president della Societ� Italiana di Allergologia, Asma e Immunologia Clinica. �Nei primi tre anni e soprattutto durante i primi dodici mesi grazie al contatto con cibi, germi e con tutto ci� che troviamo nell'ambiente avviene il �condizionamento immunitario� cio� si crea la memoria di ci� contro cui occorre reagire e ci� che va tollerato: in teoria l'uso continuo della mascherina potrebbe essere critico in questa fase della vita, ma il condizionale � d'obbligo perch� comunque verremmo in contatto con i microbi attraverso graffi, tramite il cibo e cos� via�. Non vivere in un ambiente sterile non deve far paura, anzi: entrare in contatto con germi vari nell'infanzia � importante per �allenare� la risposta immunitaria a rispondere ai patogeni, se non li incontriamo mai il rischio di rivolgere le armi contro nemici �immaginari� � reale. Si sviluppano proprio cos� le allergie, risposte esagerate a sostanze altrimenti innocue: sono in aumento proprio come diretta conseguenza di un sistema immunitario non sollecitato abbastanza da virus e batteri, che quindi deraglia e colpisce �a caso�. Proteggerci sempre con le mascherine potrebbe allora favorirle? �No, perch� ci� che le provoca � lo stile di vita in generale: oggi i bambini sono spesso figli unici, gli ambienti di casa sono ultrapuliti, la catena del freddo ci porta in tavola cibi meno contaminati, pochi hanno un animale domestico�, risponde Maggi. �Le mascherine aggiungerebbero ben poco a questo quadro, anche se le indossassero i bimbi; dall'adolescenza in poi, l'effetto sarebbe nullo�. Qualcosa per� sarebbe forse davvero difficile da tollerare: non poter vedere mai il viso degli altri per intero. Questo, come ha dimostrato Fausto Caruana dell'Istituto di Neuroscienze del Cnr di Parma, oltre a rendere complicato distinguere perfino amici e conoscenti dagli sconosciuti, compromette la possibilit� di interpretare le emozioni e attenua la fiducia nei confronti dell'altro, riducendo l'empatia. �L'uomo non ha perso i peli sulla faccia per caso: nel cervello abbiamo un'area specIfica per riconoscere i volti e proprio dalle informazioni che raccogliamo dai visi altrui capiamo chi abbiamo di fronte e come comportarci�, aggiunge Kang Lee, del Development Lab dell'Universit� di Toronto. �Riconosciamo il viso della mamma entro il primo mese di vita, abbiamo un'abilit� innata di dirigere lo sguardo sui volti: trovare uno �schermo� potrebbe complicare la nostra vita da animali sociali�. Soprattutto da piccoli, come dimostrano gli esperimenti condotti da Ashley Ruba dell'Universit� del Wisconsin a Madison (Usa): perdere informazioni emotive �confonde� i bimbi che tuttavia, grazie alla loro adattabilit�, se fossero sempre di fronte a persone mascherate imparerebbero a fidarsi di pi� di altri indizi che provengono da gesti, tono di voce, informazioni verbali. Ne � convinta Ruba, che osserva: �Lo sviluppo sociale e cognitivo dei bambini � compromesso non tanto dalla mascherina, quanto dall'isolamento sociale indotto dalla pandemia�. Ci si augura che non sia necessario, ma se portare sempre la mascherina fosse la condizione per tornare a stare assieme si tratterebbe quindi di un compromesso tutto sommato accettabile. Siamo tutti complottisti (di Massimo Polidoro, �Focus� n. 347/21) - Le teorie del complotto fanno leva su paure, dubbi, preoccupazioni che sono in ognuno di noi. E il nostro cervello cade in trappole di cui non ci accorgiamo - �Di certo non tutti pensiamo che l'allunaggio sia un falso cinematografico, che la Terra sia piatta o che il Pianeta sia governato in segreto da una stirpe di lucertoloni extraterrestri, ma il pensiero cospirativo � un'abitudine quotidiana�, dice Rob Brotherton, psicologo al Barnard College della Columbia University, a New York, e autore di Menti sospettose (Bollati Boringhieri), considerato uno dei principali testi per capire la mentalit� complottista. �Spesso non ce ne accorgiamo, perch� i nostri complottismi non riguardano le idee pi� assurde, ma il meccanismo di molti pensieri � del tutto simile�. �Noi tutti, ogni giorno, cerchiamo di spiegare il mondo che ci circonda e lo facciamo con gli strumenti che abbiamo a disposizione�, continua lo psicologo. �Cerchiamo significati nelle cose, cerchiamo collegamenti, perch� la nostra mente si � evoluta proprio per questo scopo, e li troviamo praticamente sempre. � un meccanismo che funziona benissimo, il pi� delle volte. Il problema, per�, � che ogni tanto scoviamo connessioni anche dove non ci sono�. Il nostro cervello � infatti il prodotto di un lunghissimo processo evolutivo. I nostri antenati sapiens che trovavano spiegazioni e soluzioni ai problemi che li circondavano riuscivano a sopravvivere meglio e, cos�, trasmettevano ai discendenti lo stesso tipo di atteggiamento. Anche la scienza, cos� come l'arte, nasce dalla capacit� umana di vedere e intuire connessioni e collegamenti tra cose che sembrano del tutto scollegate. Solo che, in certe situazioni, questa tendenza pu� portarci fuori strada. �Tutti ricorriamo a scorciatoie cognitive che, spesso, altro non sono che bias, trappole mentali in cui caschiamo senza nemmeno accorgercene�, dice Brotherton. �Siamo portati per esempio a pensare che dietro ogni cosa ci sia un'intenzione, una volont�: � molto pi� difficile pensare che a volte le cose capitino semplicemente per caso. Preferiamo credere che se qualcosa succede � perch� qualcuno ha fatto in modo che succedesse. In particolare, se capita qualcosa di grosso nel mondo, allora tendiamo a pensare che dietro ci debba essere sempre qualcosa di grosso. Accettare che dietro l'assassinio di un presidente, come accaduto con Kennedy, possa esserci semplicemente uno squilibrato di cui nessuno sapeva nulla � per molti inaccettabile. Cos� come � inconcepibile pensare che una principessa amatissima come Diana possa essere morta in un banale incidente automobilistico o che l'11 settembre un gruppetto di terroristi possa avere messo in ginocchio la pi� forte potenza mondiale�. � in azione il bias di proporzionalit� e spiega, tra l'altro, come mai non ci sia praticamente nessuna teoria del complotto dietro un altro attentato a un presidente americano. Quando uno squilibrato spar� a Ronald Reagan nel 1981, infatti, nessuno ipotizz� complotti globali che coinvolgevano la Cia, il Kgb o la mafia. Come mai? Per un semplice motivo: Reagan scamp� all'attentato e il suo attentatore fin� in un ospedale psichiatrico. Fine della storia. Il fallito attentato non ebbe conseguenze e, dunque, nessuno sent� il bisogno di immaginare grandi manovre occulte. La morte di Kennedy, invece, ebbe conseguenze importanti e le teorie del complotto continuano a fiorire ancora oggi, sessant'anni dopo i fatti. Le teorie del complotto nascono in un mondo che ha buoni motivi per essere sospettoso nei confronti di chi detiene il potere. La storia e la cronaca ci dimostrano che presidenti possono mentire, amministrazioni e aziende possono complottare per raggiungere i propri scopi o per garantirsi guadagni illeciti, generali possono falsificare prove per scatenare guerre, servizi segreti possono spiare i propri cittadini o assassinare leader rivali o scomodi per toglierli di mezzo, o rimpiazzarli con altri pi� manovrabili. Dunque, essere sospettosi non � necessariamente un male. �Non � vero, come si sosteneva un tempo, che chi crede alle teorie del complotto debba necessariamente essere un paranoico�, continua Brotherton. �Possiamo crederci tutti, proprio perch� queste teorie fanno leva su paure, dubbi, preoccupazioni e sospetti che tutti possiamo nutrire e che non di rado sono fondati. � anche vero che, in chi sostiene le idee pi� estreme, si possono trovare alcuni tratti comuni. Spesso c'� il desiderio di abbracciare posizioni che sfidano il mainstream e che sembrano regalare una patente di �pensatore indipendente�. Ma se uniamo questa aspirazione, umanamente comprensibile, alla nostra tendenza a trovare significati ovunque, ecco che il risultato � un'illusione di comprensione�. Sovrastimando il poco che si sa veramente circa un dato problema, cio�, ci si illude di avere �visto la luce�, di avere capito tutto e di avere scoperchiato qualche enorme segreto gelosamente custodito dai potenti. Ci si sente come eroi, novelli Robin Hood che combattono contro il malvagio sceriffo di Nottingham, senza accorgersi che, come Don Chisciotte, probabilmente si sta solo agitando la spada contro banalissimi mulini a vento. Si pu� contrastare la tendenza a vedere ovunque teorie del complotto? �Tentare di smontarle � un po' come cercare di inchiodare al muro un budino�, dice Brotherton. �Una caratteristica costante delle teorie del complotto � che non si possono dimostrare e cambiano forma ogni volta che si cerca di affrontarle. D'altra parte, � vero che credere ad alcune teorie pu� avere conseguenze gravi, come quelle provocate da chi decide di non vaccinare i propri figli sulla base di qualche idea infondata o da chi nega i cambiamenti climatici o l'esistenza stessa della Covid-19, ma molte altre sono innocue�. Spesso, infatti, anche gli scettici si lasciano incantare dagli aspetti pi� coloriti ma superficiali di una vicenda. �Prendiamo l'assalto al Congresso americano dello scorso 6 gennaio�, dice ancora lo psicologo. �Tutti hanno messo in prima pagina la foto dello Sciamano, l'uomo con la faccia dipinta, che indossava un copricapo con due grandi corna e che diceva di appartenere al culto di QAnon, una diffusa e assurda teoria del complotto americana. Certo, era un'immagine curiosa, ma ci ha distratto dalle cose pi� importanti. A partire dal fatto che i capi dei gruppi che hanno organizzato l'attacco erano suprematisti bianchi come i Proud Boys o gli Oath Keepers, gente che sfrutta le teorie del complotto per i propri scopi. Ecco perch� concentrarsi solo sul complottismo � un errore�. Il debunking fine a se stesso, poi, pu� essere poco efficace. Quando si sfata un mito, si crea un vuoto nella mente di una persona: solo se si colma questa lacuna la demistificazione � efficace. Non basta dire che a uccidere Kennedy � stato Lee Harvey Oswald, per esempio. Bisogna anche spiegare nel dettaglio la personalit� e la storia di Oswald e come una serie di circostanze sfortunate ha fatto s� che l'assassino si venisse a trovare nel posto �giusto� al momento �giusto�. �In generale, trovo che non si possa pensare di sradicare la mentalit� complottista ridicolizzando o offendendo chi crede a certe cose�, conclude Brotherton. �Un atteggiamento pi� utile � invece quello di iniziare la discussione con un teorico del complotto cercando di capire che cosa abbiamo in comune. Studiare certe teorie, poi, pu� aiutarci a capire meglio il modo in cui funziona la mente. La mente di tutti, intendo. Perch� dobbiamo ricordarci che, volenti o nolenti, siamo un po' tutti complottisti nati. L'unica differenza � che alcuni lo nascondono meglio di altri�. Grassi e derisi (di Claudia Giammatteo, �Focus Storia� n. 179/21) - Dietro il body shaming di oggi ci sono secoli di pregiudizi contro il sovrappeso - Da una parte i corpi affusolati e tonici di pochi eletti. Dall'altra una distesa di volti paffuti e forme burrose. I primi destano ammirazione e invidia, i secondi disapprovazione, compatimento, spesso derisione. Il body shaming verso pancette e rotondit� varie (ma anche altri tipi di imperfezioni fisiche, nei tritacarne dei social pu� finire di tutto) non � l'ennesima stortura di questi anni. �, al contrario, frutto di un pregiudizio antico quanto l'uomo. Perch� il sovrappeso, fatta salva qualche epoca particolare, � sempre stato visto come un difetto caratteriale (debolezza, ingordigia) se non addirittura una colpa da espiare. Che senso ha e da dove arriva la condanna verso questa specifica condizione fisica? �Guai a voi, uomini pingui�, tuon� il profeta Amos settecento anni prima di Cristo. Mentre il severo profeta Isaia mise gli obesi tra i malvagi, �perch� la loro voracit� oltrepassa i limiti del lecito�. La demonizzazione del sovrappeso affonda le sue radici nelle Sacre Scritture. �La mollezza, l'apatia, associate al grasso sono parti integranti delle culture antiche occidentali e hanno generato stereotipi duraturi�, chiarisce lo storico Christopher E. Forth nel libro Grassi. Una storia culturale della materia della vita (Espress Edizioni). Ripercorrere a ritroso le vicende di quegli stereotipi regala alcune sorprese. �Se oggi sono le donne a essere vittima di body shaming, per molti secoli lo stigma � stato rivolto ai corpi maschili. Nell'ideale greco kal�s kai agath�s (�bello e buono�), secondo cui colui che � bello possiede tutte le virt�, la cedevolezza del grasso non era solo un'impressione tattile: era sintomo della stessa �mollezza morale� delle donne, ritenute inferiori e perci� escluse dal governo della polis. Per il filosofo Platone la �gastrimargia� (l'ingordigia) era nemica delle Muse; nel trattato aristotelico Fisiognomica gli ingordi erano ritenuti insensibili, visto che i sensi erano oppressi a causa dell'eccesso di riserva alimentare. Umiliante, secondo le cronache dell'epoca, il trattamento che gli Spartani riservavano ai grassi: ogni dieci giorni i giovani dovevano presentarsi nudi al cospetto degli efori (i magistrati), i quali ne esaminavano il fisico cercando segni di fiacca effeminatezza, tra cui un ventre sporgente. Per correre ai ripari il medico Ippocrate di Coo (V secolo a.C.) prescriveva i seguenti rimedi: smaltire i grassi dedicandosi alla corsa o alla lotta, provocarsi il vomito (con purganti a base di acqua, aceto e sale) e astenersi dai rapporti sessuali perch� inducevano pigrizia. A loro volta, salvo rare eccezioni, i Romani estesero lo stigma dei grassi (dal latino crassus, �ottuso�) dalla mollezza morale alla sfera cognitiva. Se il sarcasmo non risparmiava le donne corpulente, a essere presi di mira erano soprattutto �gli altri�, gli stranieri: il �grasso etrusco�, l'�umbrio sazio�, i pingui e pigri soldati persiani, gli obesi tiranni. Fra questi ultimi, il greco Dionisio di Eraclea (361-306 a.C.), ribattezzato nelle fonti �maiale lardoso�, o Magas di Cirene (320-250 a.C.) che non faceva mai esercizio fisico e mangiava, mangiava... In et� imperiale anche l'uomo pi� potente dell'impero doveva preoccuparsi del suo aspetto. Quando i Romani si rivoltarono contro gli imperatori Nerone, Vitellio (�dall'esofago senza fondo� secondo lo storiografo Svetonio) e Domiziano per il modo di governare, non risparmiarono frecciatine alla loro obesitas ventris del tutto incompatibile con i valori latini della gravitas, ovvero dignit� e autorit�. A volte erano per� gli imperatori a deridere i poveri oversize. Uno degli spassi dello stravagante Eliogabalo era chiedere a otto �grassoni� di sedere su un solo divano, suscitando l'ilarit� generale perch� non c'era spazio per tutti. Una forma di bullismo ante-litteram. Da dove proveniva tanto sarcasmo? �Per i Greci e i Romani il disprezzo non era questione di estetica, ma di status: l'uomo grasso si abbassava al livello degli schiavi, delle donne e degli animali�, risponde Forth. Ma il carico da novanta arriv� con l'avvento del cristianesimo, che introdusse il concetto di disgusto verso il grasso. Nell'ottica cristiana i peccati di gola e lussuria riportavano alla condizione bestiale persino le anime pi� nobili. Mentre il corpo magro era una corazza in grado di intercedere persino di fronte al tribunale divino. Cos�, se per l'apologeta cristiano Tertulliano, vissuto nel II secolo, il corpo denutrito passava pi� facilmente attraverso le strette grate del Paradiso e resuscitava prima nel Giorno del Giudizio, il posteriore San Giovanni Crisostomo in un'omelia sulla Lettera di san Paolo ai Corinzi chiedeva ai fedeli di astenersi da peccati di gola in vista di ci� che li aspettava nell'aldil�: �Qui sudiciume e obesit�, l� vermi e fuoco�. Molti, per�, predicavano bene e razzolavano male. Perch� tra digiuni sacri e carestie, mangiare a crepapelle appena possibile era questione di sopravvivenza. Persino per i religiosi, che in fondo tenevano anche alla vita terrena. Nacquero cos� detti come �grasso come un monaco� e raccolte come il Baldus di Teofilo Folengo (1517), che dileggiavano la voracit� dei frati cappuccini. Flagellato da pesti, guerre e carestie, il Medioevo si trasform� per certi versi nell'et� dell'oro per le rotondit�. Come spiega lo storico dell'alimentazione Massimo Montanari, �il grasso maschile e quello femminile erano segno di benessere, sicurezza e ricchezza�. Lo dimostrano i termini coniati in quel periodo: �Bologna la grassa�, cio� felice; e �popolo grasso�, a intendere la parte pi� ricca di Firenze. E anche la gotta, malattia circolatoria dovuta all'eccesso di carne, in certe epoche fu quasi un segno del privilegio di classe. Fatta esclusione per i poveri magri e affamati e per i guerrieri: �Colui che � troppo grasso non pu� esercitare l'ufficio di cavaliere�, tuonava il teologo catalano Raimondo Lullo ai tempi di Dante. Di fronte ai sontuosi banchetti rinascimentali e agli anatemi lanciati dai medici (�si muore pi� di ingordigia che di peste�, si lamentavano alla corte inglese dei Tudor) iniziarono a circolare i primi trattati dietetici, molto simili agli attuali manuali per dimagrire. Fra questi, i Discorsi della vita sobria (1550) scritto dal nobile veneziano Luigi Alvise Cornaro. Nel 1602 il frate domenicano Tommaso Campanella immagin� una societ� utopica in cui alla fine le persone grasse sarebbero state eliminate. Nella sua �citt� del sole�, repubblica platonica della virt�, uomini e donne dovevano mostrare ai magistrati incaricati di decidere quali coppie avrebbero dovuto accoppiarsi per garantire una discendenza pi� attraente. �Ingrassare � fastidioso, malsano e sgraziato�, scriveva il politico inglese Philip Dormer Stanhope, conte di Chesterfield, a suo figlio nel 1748, invitandolo a fingersi malato �piuttosto che indulgere nella ricca cucina di Parigi�. Con l'Illuminismo la critica sociale del grasso (che il fisiologo scozzese Malcolm Flemyng nel 1769 associava all'idea di �sudiciume che si accumulava nell'organismo�) invest� la nobilt� e il clero e la retorica rivoluzionaria prese di mira il corpulento re Luigi XVI: �l'uomo che � ingrassato affamando il popolo�. Con la Rivoluzione industriale lo stigma del grasso si spost� sul corpo delle donne. Il punto pi� basso fu toccato nella seconda met� dell'Ottocento con le teorie razziste di Cesare Lombroso. L�antropologo associ� la pinguedine femminile a un'immoralit� innata, soprattutto di �ottentotte, africane ed abissine, che ricche e pigre diventano immensamente grasse.� La catena di associazioni culmin� nella tesi secondo la quale �nelle carceri e nei manicomi le pazze sono spesso assai pi� corpulente degli uomini�. �Non siamo lontani da quanto profess� nel 1926 il medico americano Leonard Williams, autore del best seller Obesity, che boll� di egoismo le persone troppo grasse perch� imponevano agli altri lo spettacolo indecente della loro taglia�, sottolinea l'antropologo culturale Marino Niola nel saggio Umiliati ed obesi. N� i movimenti femministi degli Anni '70 n�, ancora prima, quello suffragista che rappresentava donne magre, bianche e di bell'aspetto �sopraffatte da poliziotti corpulenti�, riuscirono a sviare la mentalit� comune dalla trappola del pregiudizio. Cos� il Novecento, che ha imposto a uomini e donne il valore della magrezza e della forma fisica come modello estetico, ha semplicemente inasprito stereotipi gi� radicati. E non solo. Gli antichi pregiudizi hanno trasmesso l'idea che la mancanza di autodisciplina e di autocontrollo sia una �colpa� da espiare i cui costi medici ricadono sulla collettivit�. Il rischio � trasformare, come accaduto in passato, la derisione verso le persone in sovrappeso in una nuova forma di razzismo. Alla luce dei secoli passati, � una prospettiva che merita tutta la nostra attenzione. Chili e misure Per molti secoli nessuno ha mai avuto la pi� pallida idea del proprio peso. A scatenare l'ansia della misurazione furono due innovazioni scientifiche. La prima, nel 1615, fu la messa a punto da parte del medico Santorio Santorio, dell'Universit� di Padova, della bilancia pesapersone, uno scranno di legno sospeso a una fune legata a un gigantesco bilanciere. La seconda fu la diffusione dell'indice di Quetelet, il rapporto fra peso e altezza sviluppato nel 1832 dall'accademico belga Adolphe Quetelet. La correlazione fu ribattezzata nel 1972 �indice di massa corporea� dal fisiologo americano Ancel Keys e da allora � usata come sistema di valutazione del peso e del rischio di malattia. Il dato curioso � che l'indice di Quetelet, tarato su un campione composto da reclute francesi e scozzesi, non � nato con lo scopo per cui � diventato famoso. Il suo obiettivo originario era individuare le misure dell'uomo medio dell'epoca. Furono i sostenitori dell'eugenetica e la pressione delle compagnie di assicurazione sulla vita a voler trasformare il �peso medio� del campione maschile di razza bianca in �peso ideale�. Il peso del potere Grassi, adorati e vincenti. In particolari momenti storici l'immagine del potere � andata in controtendenza, elevando l'opulenza delle forme a segno di distinzione. Doppi menti e pance soffici accompagnate a ostentazioni di ricchezza rientrarono addirittura in un'accurata strategia di propaganda politica. Nell'antico Egitto fu il caso degli obesi Amenofi II e Ramses III, della oversize regina Hatshepsut e, molti secoli dopo, di Tolomeo VIII il Fiscone, cio� �pancione�, cos� straripante da poter camminare soltanto appoggiandosi a due persone. Riveriti �uomini di panza� furono Carlo III detto il Grosso, ultimo imperatore carolingio, il ghiotto Sancho I del Regno di Le�n, che non riusciva a montare a cavallo, il capetingio Luigi VI il Grosso, primogenito del monumentale Filippo I. Il pi� grosso di tutti fu il potentissimo Enrico VIII Tudor, a un certo punto incapace di spostarsi tra i suoi numerosi palazzi senza una portantina. Alla conquista dell�Everest (di Fabio Dalmasso, �Focus Storia� n. 176/21) - Cent�anni di tentativi per raggiungere il tetto del mondo, fino al successo del 1953 - Maggio 1921, Darjeeling: una delle pi� importanti citt� indiane dell�Impero britannico, ai piedi dell�Himalaya nel Bengala Occidentale, � diventata la capitale della produzione di t�. Dalle prime piantine messe a dimora nel 1850, gli appezzamenti si sono moltiplicati e la coltivazione, ormai quasi su scala industriale, ha attirato lavoratori provenienti dal vicino Nepal. Tra di loro molti sono sherpa, il �popolo dell�Est� (shar significa �est� e pa �popolo�). Sono uomini e donne dediti all�allevamento di vacche e yak, alla coltivazione di orzo e patate nei terreni d�alta quota e addetti alle carovane che fanno la spola tra Nepal e Tibet: �Trasportano lana, pelli e salgemma verso sud, e riso, stoffe e spezie in senso inverso�, spiega Stefano Ardito nel suo libro Everest. Una storia lunga 100 anni (Laterza). E proprio da qui e da loro, esattamente un secolo fa, inizia la grande avventura della conquista dell�Everest. A Darjeeling arrivavano anche i turisti, soprattutto gli inglesi che da Calcutta e dalle altre citt� del Bengala salivano agli oltre 2.000 metri di questa zona per ammirare l�Himalaya, l�imponente catena montuosa che gli sherpa conoscevano e frequentavano da sempre. All�Himalaya l�Impero britannico stava letteralmente prendendo le misure grazie al Survey of India, l�ufficio trigonometrico e geodetico che mappava il Paese da oltre un secolo. Tra quei monti che sovrastavano le piantagioni di t�, uno colp� i geografi britannici: in tibetano lo chiamavano Chomolungma (�madre dell�universo�), le cartine geografiche nel 1852 l�avevano denominato Peak XV e nel 1865 assunse il nome di Everest (dal cognome di uno dei primi direttori del Survey of India, il cartografo George Everest). Era la montagna pi� alta del mondo, con i suoi 8.848 metri sul livello del mare. In quel 1921, gli echi della Prima guerra d'indipendenza indiana (1857-1858) soffocata dai britannici erano ormai lontani e la pace dopo il primo conflitto mondiale permise alla Corona inglese di concentrarsi su un obiettivo: raggiungere la vetta di quel gigante. Fu per questo che quattro alpinisti (Harold Raeburn, Alexander Kellas, George Mallory e Guy Bullock) e quattro scienziati (il naturalista e medico Sandy Wollaston, il geologo Alexander Heron e i cartografi Henry Morshead ed Edward Wheeler), guidati dal capo-spedizione, il colonnello Charles Howard-Bury, lasciarono Darjeeling il 18 maggio, per quella che sarebbe passata alla Storia come la prima spedizione per tentare la conquista dell'Everest. Ad accompagnarli c'erano una quarantina di sherpa, assoldati per la secolare conoscenza di queste montagne e destinati a diventare i co-protagonisti spesso dimenticati. La spedizione, organizzata dalla Royal Geographical Society e dall'Alpine Club britannico riuniti nel Mount Everest Committee, aveva richiesto mesi di preparazione tecnica, ma non solo: fondamentale, infatti, fu l'opera diplomatica culminata nel dicembre del 1920 con il permesso di attraversare il territorio del Tibet, concesso dal Dalai Lama. La marcia di avvicinamento all'Everest si svolse senza intoppi, ma superati i 5.000 metri Alexander Kellas, in difficolt� fin dai primi giorni, si accasci� e mor�, probabilmente per un attacco cardiaco. Era il 6 giugno 1921. �Venne sepolto l'indomani, con una semplice cerimonia�, racconta Stefano Ardito. Non ci si poteva fermare: George Mallory, alpinista destinato a legare il suo destino all'Everest, e il compagno Guy Bullock riuscirono, dopo diversi tentativi, a raggiungere i 7.000 metri del Colle Nord. A costringere la spedizione a tornare sui propri passi furono il vento e la temperatura proibitiva. L'Everest aveva vinto, ma �la via verso la cima era stata scoperta�, sottolinea Ardito. Dopo quella prima impresa, la sfida per conquistare l�Everest non conobbe sosta e nel 1922 part� una seconda spedizione con una grande novit�: George Finch, fisico australiano e provetto alpinista, aveva messo a punto �il primo respiratore della Storia� ovvero uno zaino con quattro bombole d'acciaio fissate ai lati. Peso totale: pi� di 14 chilogrammi. Non sarebbe servito a raggiungere la vetta dell'Everest, ma fu fondamentale nel segnare il nuovo record di quota: 8.326 metri. �Finch, maltrattato come uno scienziato eccentrico e un rompiscatole arrivato dalle colonie, ha cambiato la storia dell'alpinismo�, ha scritto al riguardo lo storico canadese Wade Davis. Due anni dopo fu l'inglese Edward Norton a raggiungere gli 8.580 metri, durante la terza grande spedizione. Quest'ultima impresa pass� alla Storia anche per la scomparsa di George Mallory (l'unico a essere sempre presente, nel '21, nel '22 e nel '24) e Andrew Irvine: furono avvistati per l'ultima volta l'8 giugno 1924 prima di far perdere per sempre le proprie tracce, avvolti da una bufera di neve. Nessuno sa se la coppia di alpinisti abbia raggiunto la vetta. Nemmeno il ritrovamento del corpo di Mallory, avvenuto nel 1999 grazie all'alpinista statunitense Conrad Anker, ha fornito indizi utili. Che potrebbero venire invece dalla macchina fotografica che aveva con s� Irvine, il cui corpo per� non � ancora stato rinvenuto. Dopo la tragedia del 1924 ci fu una battuta d'arresto. Le spedizioni si fecero pi� rare e bisogn� aspettare la fine della Seconda guerra mondiale perch� si riprendesse la corsa, favorita anche dall'apertura delle frontiere nepalesi, ma non solo. �Le spedizioni degli Anni '50 avevano un equipaggiamento infinitamente migliore e il merito, va detto, fu del terribile conflitto che si era appena concluso�, precisa Ardito. Gli strati di maglioni di lana e i giacconi di tweed degli Anni '30 furono sostituiti da giacche termiche in piumino d'oca, mentre le corde di canapa lasciarono il posto a quelle di nylon. �Per consentire ai piloti dei bombardieri di sopravvivere al gelo e alla mancanza di ossigeno ad alta quota ci fu bisogno di un abbigliamento termico e di respiratori efficienti. Per muoversi all'interno degli aerei erano state messe a punto delle bombole leggere, che potevano essere trasportate�, continua Ardito. �Dopo il ritorno della pace queste tecnologie, trasferite sull'Himalaya, facilitarono la conquista dell'Everest e delle cime pi� alte�. I risultati non tardarono ad arrivare: nel 1952 l'alpinista svizzero Raymond Lambert e lo sherpa nepalese Tenzing Norgay segnarono un nuovo record toccando quota 8.600. L'anno successivo fu quello della conquista. Alle 11:30 del 29 maggio 1953, lo stesso Tenzing Norgay ed Edmund Hillary, apicoltore neozelandese che da un paio di anni si dedicava quasi a tempo pieno all'alpinismo, raggiunsero la cima dell'Everest. �Dopo trent'anni e pi� di tentativi falliti, e dopo la morte di una ventina di alpinisti stranieri e di sherpa, i due uomini furono i primi a mettere piede sugli 8.848 metri della cima pi� alta del mondo�, racconta Ardito. �Dopo il Polo Nord e il Polo Sud, toccati rispettivamente nel 1908 e nel 1912, anche il �terzo Polo� della Terra era stato raggiunto dall'uomo�. Hillary scatt� allora la fotografia pi� famosa nella storia dell'alpinismo, quella con Tenzing che alza al cielo in segno di vittoria una piccozza alla quale sono legate le bandiere del Regno Unito (la spedizione era britannica), del Nepal, dell'India e delle Nazioni Unite. Dopodich� Hillary scese di qualche passo fino alla Cresta Nord-Est: sperava di trovare tracce lasciate nel 1924 da Mallory e Irvine, magari anche i loro corpi, ma non trov� nulla. Tenzing invece scav� una piccola buca nella neve e vi depose cioccolato e altro cibo, un'offerta per gli d�i che secondo i tibetani e gli sherpa abitavano il Chomolungma. Hillary lasci� il crocifisso che il capo-spedizione, John Hunt, aveva ricevuto in Inghilterra prima della partenza. I due alpinisti affrontarono quindi la lunga e pericolosa discesa. Solo il giorno dopo la notizia della conquista raggiunse il campo base avanzato posto a 6.400 metri. James (poi Jan) Morris, corrispondente del Times al seguito della spedizione, mise cos� a segno un memorabile scoop: scrisse un messaggio e lo affid� a un runner che raggiunse Namche Bazaar, il villaggio sherpa dove funzionava l'unica radio della regione. Il messaggio era cifrato per evitare che altri giornali potessero rubare la notizia, ma alla redazione del Times era tutto chiaro: �Vetta dell'Everest raggiunta il 29 maggio da Hillary e Tenzing�. La notizia fece il giro del mondo e quei due nomi diventarono familiari anche a chi non aveva mai sentito parlare di ramponi, creste e seracchi. �Hillary, memore dell'indispensabile aiuto ricevuto dagli sherpa, dedic� molti anni della sua vita a raccogliere fondi e a costruire nelle valli degli sherpa scuole, ponti, ospedali e persino il piccolo aeroporto di Lukla (porta di accesso alla montagna)�, conclude Ardito. �Fu lui, da ambasciatore della Nuova Zelanda a Kathmandu, a far nascere il Sagarmatha National Park, il parco nazionale dell'Everest (in nepalese Sagarmatha, �dio del cielo�)�. �La montagna e la sua gente mi hanno dato tutto. Io ho solo cercato di ricambiare�, amava ripetere. Vin brul�: le inaspettate origini di una bevanda invernale (Spaghettiemandolino.it) Il vin brul� � una bevanda deliziosa dal gusto speziato e fruttato, tipica delle zone montane italiane e dell'Europa continentale, che va servita calda. Solitamente la troviamo nei mercatini di paese durante le feste natalizie ed � ideale da bere per scaldarsi durante il periodo invernale. Viene preparato con spezie, scorze di agrumi ed ovviamente l'ingrediente principale � il vino rosso, rigorosamente corposo e di alta qualit�. Questa bevanda calda risale all'antica Grecia per arrivare fino ai Romani che la denominarono conditum paradoxum. Una delle prime testimonianze del vin brul� risale ad Apicio che nel �De re Coquinaria� racconta di un vino scaldato e aromatizzato con spezie. Solitamente si usava il pepe e veniva dolcificato con del miele e si offriva a fine pasto come digestivo. Il vinum conditum dei Romani rientra nella vasta sezione dei vina aromaties, ovvero i vini corretti e aromatizzati con erbe e cereali, fiori essiccati, frutta fresca, bacche e spezie. Nell'antichit� il pepe nero veniva utilizzato molto sia nelle pietanze che nelle bevande, ma venne poi sostituito con l'avvento della cannella. Questa spezia dal sapore intenso e deciso cominci� ad essere utilizzata per la preparazione di pietanze e bevande. Si pensa che l'introduzione della cannella nella preparazione del vin brul� sia collegata al medico Ippocrate, un grande sostenitore delle propriet� mediche delle spezie. Secondo lui, le spezie avevano propriet� lenitive, disinfettanti e il vino risultava quindi corroborante. In questo periodo venne anche modificato il processo di preparazione della �manica di ippocrate� ovvero lo strumento attinente alle pratiche medico-farmaceutiche da cui si ricavava anche il �vino ippocratico�. Il vino ippocratico era un vino preparato con spezie e zucchero, utilizzato come rimedio naturale per alcune malattie. Il vino caldo con le spezie e zucchero si diffuse in tutta Europa e cominciarono a nascere differenti ricette, tipiche di ogni regione in base ai prodotti ed ai gusti locali. In Inghilterra viene nominato mulled wine, in Francia vin chaud, in Germania gl�hwein e nei Paesi Scandinavi glogg. Tanti pensano che la ricetta del vin brul� sia tipica del veneto, ma come abbiamo visto, la storia alle sue spalle � molto pi� articolata. In Italia questa bevanda viene chiamata vin brul�, un termine francese che significa �vino bruciato�. In Francia invece, viene nominato �vin chaud� che in italiano vuol dire vino caldo. Curioso, vero? Peraltro, non esiste una singola ricetta vin brul� perch� essendo una bevanda tipica di pi� regioni, ogni singolo paese ha dato vita alla propria ricetta in base ai propri gusti e ai frutti del territorio. Solitamente gli ingredienti che vengono utilizzati per la ricetta del vin brul� sono, oltre al vino (che deve essere rosso, corposo e di prima qualit�), lo zucchero, la cannella, l'anice stellato, i chiodi di garofano, scorze d'agrumi e bacche di ginepro. Tuttavia, esistono alcune varianti che prevedono l'aggiunta dello zenzero e del cardamomo, due spezie molto forti. Un'altra ricetta invece prevede l'utilizzo della mela, tagliata a fette sottili ed inserita nella pentola assieme agli altri ingredienti. Si prevede anche che questa bevanda calda venga bevuta assieme a delle castagne o ad uno strudel per accentuare ancor pi� i suoi sapori. Alla scoperta di Assisi tra arte, storia e vedute mozzafiato (di Piero Abrate, Valoreitaliano.it) Assisi � per eccellenza uno dei centri medioevali pi� belli e pi� amati d�Italia. Luogo magico e unico al mondo, legato alla storia di San Francesco, che qui visse e oper�, � un piccolo borgo medievale rimasto intatto per secoli. Ancora oggi � avvolto da una massiccia cinta muraria ed � dominato dalla mole della Rocca Maggiore e della grande Basilica. Qui, davanti alla bellezza delle piccole stradine, sembra che il tempo non sia mai trascorso. Se di santi dobbiamo parlare va menzionata anche Santa Chiara, che consum�, anche lei, la sua intera vita all�interno delle cinte murarie di Assisi. Ecco perch� non deve stupire sia meta imperdibile per molti pellegrini: le molte chiese, i luoghi natali dei santi sono tappe imperdibili per i seguaci della vita religiosa. Nella citt� di San Francesco un posto di grande rilievo spetta alla Basilica, per il grande valore artistico e religioso che essa rappresenta. San Francesco mor� nel 1226 e un anno dopo il papa Gregorio IX ordin� a frate Elia di edificare una chiesa da dedicare al Santo. Venne realizzata prima la parte inferiore e solo successivamente fu realizzata la Basilica superiore. Nelle Vele delle quattro campate della Basilica Superiore sono rappresentati i propagatori del messaggio di Ges�: i Quattro evangelisti di Cimabue; sue anche la Crocifissione, le Scene dell�Apocalisse e le Storie di San Pietro. Lungo la navata nelle due zone a lato si sviluppano gli episodi del Vecchio Testamento, a sinistra, e del Nuovo Testamento a destra. L�interno di una navata ospita gli affreschi allegorici di Giotto e i Cinque Santi di Simone Marchini e le Stigmate del Lorenzetti. Nel 1818 a seguito di scavi sotto l�altare furono riportate alla luce, analizzate e ufficialmente attribuite le spoglie del Santo e solo in seguito, fu deciso di realizzare una cripta in stile neoclassico che le contenesse e che fu posta nella Basilica Inferiore. Oltre alla Basilica intitolata al poverello d�Assisi vi sono comunque molti altri siti francescani che insieme alla citt� di Assisi sono stati dichiarati Patrimonio dell�Umanit� dall�Unesco: dalla Chiesa di San Damiano dove si realizz� la conversione del Santo, all�Eremo delle Carceri alle pendici del Subasio che sorse intorno ad una grotta dove il Santo amava rifugiarsi per pregare; dalla Chiesa di Santa Maria di Rivotorto a Santa Maria degli Angeli con all�interno la cappella della Porziuncola dove Francesco stabil� di vivere intorno al 1205 e dove fond� l�Ordine. In ogni angolo della cittadina si respira aria di santit�, storia e arte e da non perdere � la Rocca Maggiore, che domina tutta Assisi con la sua posizione di privilegio in cima a una collina e le molte porte che consentono l�ingresso alla citt�. Ma Assisi non si esaurisce qui: storia, miti, leggende si intrecciano e si sposano in questa suggestiva citt�. Le sue origini sono da collegare intorno al II secolo a.C, anche se si pensa che insediamenti in questa zona fossero presenti gi� dall�epoca preistorica. Dal I secolo divenne municipium romano ed � a quel periodo che risalgono le cinte murarie che ancora oggi sono visibili. La struttura che la citt� presenta oggi � sostanzialmente rimasta invariata rispetto a quella medioevale, anche se essa � stata pi� volte colpita da terremoti che nel corso degli anni ne hanno rovinato in parte l�assetto. Charlie Watts: era l�anima tranquilla dei Rolling Stones (di Enrico Casarini, �Tv sorrisi e canzoni� n. 35/21) - Il rock piange uno dei suoi miti: un batterista che amava i cavalli e il jazz. E suonava solo in tour - Charlie Watts non ha mai avuto una batteria in casa. Ad Halsdon Manor, la sua residenza nel villaggio di Dolton, 350 chilometri a ovest del centro di Londra, ha potuto costruire un rinomato allevamento di poderosi cavalli arabi polacchi; ha allestito un immenso guardaroba per gli infiniti vestiti che il suo animo dandy gli imponeva di acquistare e sfoggiare; ha raccolto una pregevole collezione di auto d'epoca che non ha mai guidato, perch� non aveva la patente e dunque si limitava ad ascoltare il rombo dei loro motori... Ma non ha mai fatto ci� che dal gennaio del 1963, quando entr� nei Rolling Stones, lo ha reso uno dei musicisti pi� popolari e amati del rock: suonare. Sua moglie Shirley odiava il rumore e dunque voleva cos�. E lui, che l'aveva sposata nel 1964 e, dice la leggenda, non l'ha mai �delusa�, si � adeguato. Magari non proprio di buon grado, come spieg� con ironica flemma: �Se voglio suonare devo andare in tourn�e. Ma se vado in tourn�e non posso starmene a casa, e io odio fare le valigie e dormire fuori. E infatti penso che ogni tour sia l'ultimo, che sia quello in cui saluto la band... Eh, la mia vita � sempre stata un terribile circolo vizioso�. Il circolo vizioso si � rotto il 4 agosto, quando Charlie per la prima volta ha detto �passo� alla chiamata della band. Gli Stones erano pronti a riprendere il �No filter tour�, iniziato nel 2017, sospeso in tempo di pandemia, e destinato a ripartire il 26 settembre per le ultime date negli Stati Uniti. Watts non stava bene, aveva sub�to un improvviso intervento al cuore (�Per una volta sono andato un po' fuori tempo� aveva detto) e, accettato l'invito dei medici a riposarsi, aveva suggerito ai compagni d'avventura anche il nome del sostituto, il suo amico Steve Jordan. Dopo aver vinto la tossicodipendenza, l'alcolismo e un tumore alla gola, da quest'ultima battaglia � uscito sconfitto. � morto 20 giorni dopo, il 24 agosto, a 80 anni, nella tranquillit� di un ignoto ospedale di Londra, per cause che rimangono ancora imprecisate. E il mondo del rock � rimasto sospeso nel silenzio triste che accompagna la caduta di un gigante rispettato da tutti. La vita di Charlie Watts � stata un inno alla bellezza crudele dei fuochi d'artificio. Le incredibili gesta del duo Jagger-Richards hanno sempre riempito il cielo di botti, luci e colori. E nel buio che intorno a quei fuochi si faceva ancora pi� buio, ecco che si perdeva lo spettacolo di Charlie, che su mille palcoscenici in mille stadi del mondo li guardava da dietro, standosene tranquillo a picchiare con garbo e precisione da metronomo sulla sua batteria minimale, apparentemente adatta tutt'al pi� a quei club dove andava a suonare jazz, un'eterna passione, con il suo quintetto, la sua big band, gli ABC & D of Boogie Woogie. Con i musicisti che, come ebbe a dire, non suonavano il rock, quella �musica da ballo, mai stata capace di crescere�... Eppure non c'� canzone degli Stones dove non si senta la sua locomotiva ritmica andare a tutto vapore. Ascoltate �Satisfaction�, per dire: attacca la chitarra di Richards, s'infila il basso di Bill Wyman (il primo dei Rolling fondatori a mollare tutto, nel 1993), ma poi � il tamburo di Charlie che ti martella nel cuore la canzone. Ora il martello ha smesso di battere. Charlie non far� pi� i curiosi balletti da soubrettina da jazz club con cui si scaldava prima di entrare in scena e poter finalmente suonare. Della sua vita nella pi� grande macchina da spettacolo della storia del rock rimane per� un tesoro ancora nascosto: il �diario illustrato� che ha tenuto dal 1968, notte dopo notte, disegnando ogni camera d'albergo dove i tour lo costringevano a dormire. Lui che sognava di riposare solo nel suo lettone, ma non riusciva a smettere di aver voglia di batteria.