Dicembre 2017 n. 12 Anno XLVII MINIMONDO Periodico mensile per i giovani Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registrazione 25-11-1971 n. 202 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Massimiliano Cattani Antonietta Fiore Luigia Ricciardone Copia in omaggio Indice Rinnovo abbonamento riviste Catalogna: all'origine della protesta Mi scusi, anzi no Cari, vecchi fumetti Frutta secca che bont� Alto Piemonte da scoprire Sabrina Salerno si racconta Novant'anni di Mille Miglia Comunicato: Chiusura per ferie Rinnovo abbonamento riviste Ricordiamo a quanti desiderano continuare a ricevere, a titolo gratuito, le riviste: Minimondo L'Angolo di Breuss Parliamo di... Giorno per giorno Suoni Infolibri di confermare per iscritto il proprio abbonamento, entro e non oltre il 31 gennaio 2018, tramite lettera Braille o in nero, via fax o e-mail. I periodici possono essere ricevuti in Braille o su supporto informatico, salvo Suoni, che viene recapitato soltanto in Braille. Catalogna: all'origine della protesta (di Riccardo Michelucci, "Focus Storia" n. 134/17) - Dietro il rferendum catalano che ha dato fuoco alle polveri, c'� un braccio di ferro che dura da secoli - "Ascolta Spagna, la voce di un figlio che ti parla in voce non castigliana/ ti parlo nella lingua che mi ha insegnato questa terra aspra/ in questa lingua con cui pochi ti parlano/ Dove sei Spagna? Non riesco a vederti/ Non senti la mia voce tonante?/ Non senti questa lingua che ti parlo?/ Forse hai smesso di capire i tuoi figli?/ Addio, Spagna!". Nel 1898, questi versi del grande poeta catalano Joan Maragall suonarono come il definitivo atto di sfida nei confronti del centralismo spagnolo. Maragall era uno dei principali esponenti della Renaixen�a ("Rinascimento"), la corrente letteraria nata alla fine del XIX secolo per riscattare la letteratura catalana da una lunga fase di decadenza. Dopo la Guerra di successione spagnola (1701-1714), le antiche istituzioni catalane erano state soppresse, causando anche la progressiva decadenza della lingua. Quel movimento letterario fu la scintilla del moderno nazionalismo catalano, che individu� in una data - l'11 settembre 1714 - l'inizio della propria rinascita. Quel giorno Barcellona, dopo quattordici mesi d'assedio, era stata riconquistata dalle truppe spagnole del duca di Berwick (dalla parte del re di Spagna Filippo V), ponendo fine a una lunga guerra dinastica che aveva coinvolto anche le grandi potenze del Vecchio continente. Dopo aver sconfitto il pretendente al trono, Carlo d'Asburgo, il nuovo re Filippo V di Borbone (nipote di Luigi XIV) dette vita a uno Stato centralista simile a quello francese. Per punire i "traditori" catalani - colpevoli di aver appoggiato il nemico - impose i Decreti di Nueva Planta che cancellarono la sovranit� politica della Catalogna e posero fine al suo autogoverno di origine medievale. Il catalano, fino ad allora considerato la lingua ufficiale della regione, fu privato di ogni validit� legale e conobbe, da quel momento in poi, un lento declino. I moderni nazionalisti catalani hanno dunque identificato lo spartiacque della loro lotta con la data di un'epocale sconfitta: per ricordare il giorno in cui la Coronela, la milizia incaricata di difendere Barcellona, venne costretta alla resa nel 1714, l'11 settembre di ogni anno in Catalogna si celebra la "Diada" (la festa nazionale catalana) e al minuto 17 e 14 secondi delle partite di calcio del Barcellona i tifosi della squadra intonano cori per l'indipendenza. Il termine "Catalonia" apparve per la prima volta nel XII secolo all'interno del Liber Maiolichinus, una cronaca epica medievale che narrava in latino le gesta di Ramon Berenguer III, considerato il primo eroe catalano della Storia. Per secoli il territorio fece parte del Regno d'Aragona, la cui struttura tripartita (Aragona, Catalogna e Valencia) lasciava spazio a una parziale autonomia. I primi contrasti nacquero alla fine del XV secolo, in seguito all'unificazione delle corone di Castiglia e Aragona e alla conclusione della Reconquista nel 1492. Il Paese iberico fu unito, ma in condizioni diverse da quelle altamente centralizzate di altri Stati contemporanei, a cominciare dalla Francia. La capitale fu stabilita in via definitiva a Madrid soltanto alla met� del secolo successivo: fino ad allora la corte si riun� a Toledo e in altre citt�, mentre le comunit� locali godevano di un ampio grado di autonomia dal quale scaturivano spesso conflitti col potere centrale. Nel 1518, ad esempio, per contrastare il potere mercantile di Barcellona, la Corona di Spagna le viet� di commerciare direttamente con l'America. Ma fu alla met� del XVII secolo che i contadini catalani si sollevarono contro le tasse imposte da Madrid, proclamando l'indipendenza e facendo scoppiare un lungo e cruento conflitto. La rivolta divamp� nel giorno del Corpus Domini del 1640, causando la morte del vicer� spagnolo e di molti funzionari; nel gennaio dell'anno successivo il presidente della Generalitat de Catalunya (il governo), Pau Claris i Casademunt, proclam� la Repubblica catalana indipendente sotto il protettorato della Francia. Da quel momento in poi, la Catalogna divenne il campo di battaglia tra francesi e spagnoli nella Guerra dei trent'anni finch�, nel 1652, gli eserciti di Filippo IV di Spagna non prevalsero sulle truppe franco-catalane riconquistando il territorio intorno a Barcellona. Oggi, i sostenitori della separazione dalla Spagna sostengono che gi� in epoca medievale la Catalogna avesse sperimentato forme di sovranit� e indipendenza, ad esempio con le corti catalane create durante l'impero carolingio, alle quali fu riconosciuta una sovranit� di fatto che dur� per secoli e termin� nel fatale 1714. Ma molti storici ritengono che associare l'esperienza delle "contee" di epoca carolingia al moderno concetto d'indipendenza auspicato dagli indipendentisti sia una forzatura. Resta il fatto che da quell'11 settembre di tre secoli fa, incastrare la "nazione" catalana all'interno della Spagna � sempre stato difficile e i problemi sono aumentati nella seconda met� del XIX secolo, ai tempi dell'industrializzazione, con la nascita del moderno nazionalismo catalano. "Essere catalano � la maggior fortuna di fronte all'avvenire", sosteneva uno dei pi� famosi figli di Catalogna di sempre, il pittore surrealista Salvador Dal�. Nel 1931 fu fondato quello che � ancora oggi il pi� antico partito indipendentista catalano in attivit�, l'Esquerra Republicana de Catalunya (Sinistra repubblicana di Catalogna), il cui primo leader, Llu�s Companys, � stato anche l'ultimo presidente del governo autonomo che proclam� l'indipendenza dello Stato catalano. "In nome del popolo e del parlamento - dichiar� la sera del 6 ottobre 1934 - il governo che presiedo si assume tutte le cariche del potere e, serrando i ranghi di coloro che sono uniti nella comune protesta contro il fascismo, li invita a sostenere il governo provvisorio della Repubblica catalana". L'indipendenza dur� in realt� soltanto poche ore: il mattino successivo le truppe spagnole fecero irruzione nel palazzo del governo catalano e scatenarono una dura repressione che port� in carcere circa tremila persone. Barcellona sarebbe diventata una roccaforte repubblicana nella guerra civile che scoppi� di l� a poco, e Companys fu costretto a rifugiarsi in Francia. Nel 1940 venne catturato dalla Gestapo e consegnato ai franchisti, che lo fucilarono all'interno della fortezza di Montjuic, a Barcellona, dichiarando la Catalogna "una regione nemica". Durante il successivo regime del generale Francisco Franco (1939-1975), la repressione di tutte le autonomie locali spagnole raggiunse livelli parossistici: l'autogoverno catalano fu abolito e tutti i simboli della Catalogna furono soppressi a cominciare dalla lingua, il cui uso divenne illegale, con dure pene carcerarie per chi la parlava in pubblico. Lo statuto d'autonomia fu ripristinato soltanto nel 1979, dopo la morte di Franco e la fine della dittatura. � rimasto in vigore fino al 2006, quando i catalani approvarono con un referendum un nuovo statuto che garantiva alla "nazione" catalana maggiori poteri, soprattutto in campo finanziario. Ma quattro anni dopo, la Corte Costituzionale spagnola dichiar� l'incostituzionalit� di diversi articoli del nuovo statuto, affermando che il diritto internazionale prevede l'autodeterminazione solo in caso di dominio coloniale od occupazione straniera. Il governo autonomo respinse la decisione del tribunale, accusando i giudici di essere al servizio dell'esecutivo di Madrid e l'11 settembre 2012, in occasione della tradizionale festa della "Diada", due milioni di persone scesero in piazza a Barcellona dietro allo striscione "Catalogna, nuovo Stato d'Europa", in quella che � considerata la pi� grande manifestazione indipendentista dalla fine del franchismo. Due anni pi� tardi le rivendicazioni trovarono sfogo nel primo referendum per l'autodeterminazione che, pur anch'esso dichiarato illegittimo dal tribunale costituzionale spagnolo, vide la partecipazione del 36% degli elettori, l'81% dei quali si espresse per l'indipendenza. Da allora si sono susseguite le mobilitazioni ma � mancato fatalmente il dialogo politico, da entrambe le parti, con le conseguenze che abbiamo visto nelle ultime settimane. Mi scusi, anzi no (di Paola Maraone, "Focus" n. 299/17) - Ci scusiamo in continuazione, anche e soprattutto quando non sarebbe necessario. Dobbiamo proprio farlo? - Lividi e contusioni per amore della scienza: l'antropologa sociale Kate Fox, studiosa dell'Universit� di Oxford, se ne � procurati parecchi andando deliberatamente a sbattere contro centinaia di persone, di diverse nazionalit�, in tutta l'Inghilterra. Voleva misurare, in questo modo, la tendenza che molti condividono a scusarsi pi� del necessario. E a farlo perfino, come nel caso in cui sia qualcun altro ad urtarci, quando siamo totalmente innocenti. Il risultato? Sorprendente: "Circa l'80% dei soggetti mi ha chiesto scusa, nonostante fosse chiaramente colpa mia. Lo hanno fatto le donne pi� degli uomini, gli anglosassoni (e anglofoni) pi� di tutti gli altri: gli unici a tener loro testa erano i giapponesi, che per� erano cos� attenti da riuscire quasi sempre a evitarmi". Certo, non si trattava di scuse "vere": non stiamo parlando, infatti, del profondo e sincero atto di contrizione che segue al torto, o al danno, che abbiamo inflitto a qualcuno. Quello che la coraggiosa antropologa voleva indagare erano invece le cosiddette "scuse sociali", gli automatismi che ci spingono a biascicare "mi spiace" in ogni occasione. Ma se non servono a niente, e non dobbiamo pentirci di nulla, perch� le porgiamo tanto spesso? Forse perch� "scusarsi a prescindere" porta comunque dei vantaggi: uno studio della Harvard Business School mostra che funziona persino se le scuse non sono legate a qualcosa che dipende da noi. Un attore, in una stazione, chiedeva in prestito agli altri viaggiatori un cellulare. Se prima diceva "Mi spiace che oggi piova", otteneva molto pi� spesso il prestito. Il motivo? Persino quelle che gli studiosi di Harvard definiscono "scuse superflue" ci fanno sembrare persone pi� affidabili e sensibili. In ogni caso, per avere la massima efficacia la scusa sociale va accompagnata da appropriate espressioni corrucciate del volto e, se il contesto lo permette, anche da una brevissima spiegazione del perch� diciamo "Mi spiace". Sempre che ne valga la pena, visto che magari il destinatario ha un'importanza relativa, o nulla: pu� essere il gatto a cui abbiamo pestato la coda, o un oggetto urtato. Ma i buoni motivi per scusarsi non sono finiti. "La ragione delle scuse sociali", spiega la psicoterapeuta Annalisa Corbo, esperta in comunicazione, "� anche quella di stemperare le tensioni, trasformare in incontri i potenziali scontri, "mettere le mani avanti" assumendo una posizione di sottomissione che impedisce a un potenziale avversario di attaccarci". Insomma, per quanto sciocche possano sembrare in alcuni casi, queste scuse rituali hanno evidentemente una funzione sociale, di adattamento all'ambiente. "Per comprendere quale sia, dobbiamo chiederci di volta in volta cosa c'� dietro ai "mi scusi" che tutti usiamo, o che ci vengono rivolti ogni giorno", spiega Amedeo Bozino Resmini, psicologo e psicoterapeuta del centro Psicologia della Famiglia. "Per esempio, se al check-in in aeroporto sentiamo la classica frase "Ci scusiamo, ma per un problema tecnico potrebbero esserci dei ritardi...", quelle non sono vere scuse, ma il tentativo di esercitare un'azione di "contenimento" e ridurre la tensione. Invece, la signora che per farsi largo con le sue valigie tra la gente comincia a dire "Scusate, scusate", con un sorriso sfavillante e costruito, non vuole il reale perdono di nessuno, ma ottenere un beneficio immediato a fronte del piccolo sforzo di chiedere scusa. Infine, se mi scuso quando sto involontariamente ostruendo il cammino di qualcuno, non lo faccio perch� ho commesso un errore, ma per ben disporre nei miei confronti la persona che ho davanti, e della quale non so nulla; ma che per il mio cervello primitivo, quella parte del cervello cio� che da milioni di anni si occupa della sopravvivenza umana, potrebbe essere un potenziale "nemico"". Probabilmente per questo le scuse, con diverse sfumature, sono un istituto sociale presente in tutte le culture, e sono "essenziali per mantenere buoni rapporti fra i membri di una comunit�", conclude Bozino Resmini. Dunque, la regola �: nel dubbio, meglio scusarsi che tacere. Tanto pi� che, secondo uno studio pubblicato sul Journal of Experimental Psychology, scusarsi � tanto pi� facile quanto meno � necessario. La vittima di un torto, infatti, sente pi� bisogno di ricevere scuse se vive lo sgarbo come intenzionale; il "colpevole", al contrario, � pi� disposto a presentarle quando l'atto � stato involontario. "Sembra paradossale ma a ben pensarci non lo �", spiega Annalisa Corbo. "La vittima, attraverso le scuse ricevute, si sente rassicurata sul fatto che il torto non si ripeter�. Il colpevole, invece, si scusa pi� facilmente quando si sente in colpa per un danno che non voleva infliggere. Se invece l'azione era intenzionale, il suo autore normalmente pensa di aver avuto buone ragioni per compierla, il che diminuisce il suo senso di colpa". Scuse eccessive, per�, possono essere interpretate anche come una manifestazione di inibizione e insicurezza, e tra i "Sorry man", c'� chi davvero esagera. "Tutti ne abbiamo incontrato qualcuno, specie sui luoghi di lavoro", continua Annalisa Corbo. "Cominciano ogni frase con "Scusa se ti disturbo", o "Mi dispiace interromperti, ma...". Vorrebbero benevolenza, ma generano irritazione". Un tipo di situazione in cui le donne sono pi� spesso protagoniste, visto che, come testimoniano le ricerche ma anche l'esperienza comune, chiedono scusa molto pi� frequentemente di quanto facciano gli uomini. Karina Schumann, psicologa dell'Universit� di Pittsburgh, ha svolto uno studio sperimentale per indagare il perch�, concludendo che, semplicemente, in una serie di eventi quotidiani (ordinare qualcosa in un locale pubblico, trovare posto su un autobus ecc'), le donne valutano molte pi� situazioni come potenzialmente imbarazzanti o fonte di disagio di quanto facciano gli uomini. Insomma, non � che le donne amino scusarsi e gli uomini no. � che i maschi spesso proprio non si rendono conto di dare fastidio a qualcuno, per esempio quando si appoggiano con i gomiti aperti al bancone di un bar affollato. Questa maggiore "sensibilit�" femminile, per�, pu� anche tradursi in un freno alla carriera. Secondo Mika Brzezinski, giornalista statunitense e fondatrice del movimento "I'm not sorry", per l'empowerment femminile, cominciare una frase con "scusa" "equivale a far segnare all'avversario un goal a porta vuota: ti mette immediatamente in una posizione di svantaggio, soprattutto se accompagni le parole con una postura ingobbita, le spalle chiuse, la testa bassa". Cos�, c'� anche chi ha cercato di aiutare le donne in un modo molto pratico. L'imprenditrice Tami Reiss e la linguista Deborah Tannen hanno ideato un plugin chiamato appunto "Just not sorry": il programmino, come fosse un correttore automatico, sottolinea in rosso nelle e-mail che si stanno per inviare tutte le espressioni di scusa, con l'obiettivo di insegnare a scrivere in modo pi� diretto. Unico neo: per il momento � disponibile solo in inglese. In effetti, per ragioni culturali e anche linguistiche, sono proprio gli anglosassoni e gli anglofoni a scusarsi di pi�. A cominciare dai canadesi, spiega Michael Hiscock, giornalista di Toronto. "In nessun altro Paese del mondo troverete persone in grado di scusarsi dopo essere state tamponate. Noi canadesi chiediamo "scusa" a chi ci fa cadere di mano un oggetto, a chi occupa con il suo zaino il nostro posto in treno, alla squadra rivale che abbiamo sconfitto in partita...". I canadesi sono cos� pronti al dirsi dispiaciuti che in Ontario, dal 2009, � in vigore il cosiddetto Apology act: una legge che ricorda ai giudici che il chiedere scusa per un reato commesso non significa automaticamente passare dalla parte della ragione. "La scusa sociale, comunque, ha poco o nulla a che vedere con quella profonda", conclude Annalisa Corbo, "ovvero quel che chiamiamo "andare a Canossa" ispirandoci alla storia di Enrico IV, che nel gennaio 1077, per ottenere udienza dal papa Gregorio VII che l'aveva scomunicato, lo attese inginocchiato per tre giorni e tre notti davanti all'ingresso del castello di Matilde di Canossa, scalzo e vestito solo di un saio, mentre infuriava la bufera. "La richiesta di perdono dell'imperatore, anche se legata a questioni politiche, era un atto di contrizione autentica. La capacit� di scusarsi davvero, non solo in senso sociale, � invece tipica delle persone forti". Ma questa � tutta un'altra storia. Cari, vecchi fumetti (di Gian Domenico Iachini, "Focus Storia" n. 134/17) - Tutto nascque nel 1896, quando l'editore del New York World sul supplemento illustrato della domenica pubblic� le avventure di un bambino dei bassifondi della metrpoli - Sembrer� strano ma i fumetti non sono nati con Topolino. Quando comparve il famoso roditore, nel 1928, i comics avevano gi� una trentina di anni. E, per certi versi, anche di pi�. I primi esperimenti risalgono infatti alla met� dell'800: sono le cosiddette picture-story (storie per immagini) dello svizzero Rodolphe T�pffer (Histoire de monsieur Jabot, 1833) e quelle del tedesco Wilhelm Busch (Max e Moritz, 1865). Ma, nonostante questi primi tentativi, fu solo alla fine del secolo che in America esplose il fumetto come fenomeno artistico, sociale e culturale, come nuovo linguaggio e soprattutto alla portata di tutti. Tutto ebbe inizio a New York, quando nei supplementi della domenica di alcuni quotidiani iniziarono a comparire brevi storie umoristiche disegnate dai colori sfavillanti che fino a quel momento erano state un'esclusiva dei periodici costosi. La reazione del pubblico fu immediata: i lettori erano entusiasti, affascinati dalla innovativa rappresentazione grafica del movimento e da un impatto visivo fuori dal comune, che dava sfogo a tutta la potenzialit� di macchine tipografiche all'avanguardia. In meno di un decennio stili e generi si moltiplicarono mentre i quotidiani facevano a gara per mandare in edicola la comic section pi� bella. Ancora oggi, dopo pi� di un secolo, gran parte dei quotidiani d'oltreoceano la domenica esce con una sezione a fumetti. Correva l'anno 1896 quando, sul supplemento domenicale del New York World, quotidiano di Joseph Pulitzer (il giornalista ed editore a cui � intitolato l'omonimo premio), un giovanissimo e malconcio monello tutto giallo cattur� l'attenzione del pubblico. Yellow Kid, nonostante un aspetto poco raccomandabile, ebbe un successo tale da attirare subito anche l'attenzione del rivale di Pulitzer, William Randolph Hearst, editore del New York Journal. Questi, per contrastare Pulitzer, prima dimezz� il prezzo del Journal, poi assunse in blocco lo staff del supplemento del World, compreso Richard Felton Outcault, creatore di Yellow Kid. Per mesi a Manhattan la domenica mattina girarono due versioni del bambino giallo, che ognuno dei due quotidiani, il World e il Journal, rivendicava come autentico. Gli altri editori, che ritenevano volgare e ridicola questa gara, li soprannominarono "i giornali di Yellow Kid", etichettandoli sarcasticamente come quotidiani da "giornalismo giallo", per indicare, in modo dispregiativo, lo stile sensazionalistico che caratterizzava l'informazione delle testate di Pulitzer e Hearst. Il personaggio di Yellow Kid era ispirato a uno dei tanti bambini che si potevano vedere per le strade delle zone pi� povere di Manhattan, abitate soprattutto da immigrati europei. Negli anni Novanta dell'Ottocento, circa la met� della popolazione di New York viveva infatti ancora nei tenement, caseggiati popolari dalle pessime condizioni abitative di cui si occuparono anche alcuni giornalisti come Jacob Riis, che ne dette testimonianza con fotografie poi passate alla Storia. Outcault, in particolare, riusc� a cogliere l'atmosfera festosa di quei quartieri, al punto da trasformarla in un divertimento per i newyorchesi. Yellow Kid aveva un'aria simpatica e spigliata, a tratti irriverente, nel commentare i fatti pi� importanti del momento insieme alla banda di monelli dell'isolato in cui viveva. Il piccolo si rivolgeva al lettore attraverso cartelli oppure scrivendo messaggi pieni di errori sul suo sdrucito camicione giallo. Pur presentando un cast fisso di personaggi ricorrenti, la serie non somigliava per� ai fumetti di oggi. Senza nuvolette o immagini in sequenza, presentava una singola grande scena allegramente affollata o movimentata. Yellow Kid visse solo qualche anno, ma non i fumetti, che nel giro di un decennio si moltiplicarono: molti editori da una costa all'altra del Paese non poterono pi� fare a meno di una comic section. Per milioni di lettori americani, infatti, i fumetti erano ormai un piacevole rito della domenica. A partire dal 1897 si ebbero importanti sviluppi grafici, con la nuova serie The Katzenjammer Kids (Bib� e Bib�, in Italia), due piccole pesti sempre impegnate a fare scherzi agli adulti. Il loro creatore, il disegnatore Rudolph Dirks, per raccontare le malefatte dei suoi personaggi si avvalse di riquadri in sequenza, dando movimento all'azione e introducendo quelli che poi sono diventati clich� visivi, come le stellette per il dolore o le strisce cinetiche (segni che rendono in modo grafico il movimento). Ma a sfruttare appieno l'elemento forse pi� caratteristico del fumetto, ossia la nuvoletta dei dialoghi o del pensiero, in inglese balloon, fu soprattutto un disegnatore altrettanto attento alla vita di strada: Frederick Burr Opper. Dalla sua matita nel 1899 usc� Happy Hooligan, il senzatetto di buon cuore, ispirato dai numerosi disperati sempre pi� presenti nella realt� urbana del tempo, al quale si sarebbe richiamata anche la figura del vagabondo cara a Charlie Chaplin. L'homeless, nonostante le buone intenzioni, a causa del suo aspetto trasandato si ritrovava sempre sotto il manganello di qualche poliziotto che lo aveva frainteso. Grazie alla spiccata loquacit� di Fortunello - questo fu il nome scelto in Italia per il personaggio - il balloon divenne un punto centrale nella fruizione del fumetto. L'uso della nuvoletta non era una novit� assoluta, tuttavia in precedenza la sua lettura non era indispensabile per la comprensione di ci� che stava accadendo. La trovata di Opper ebbe da subito largo seguito tra i disegnatori dell'epoca e i supplementi a fumetti cominciarono a riempirsi di nuvolette. Il fumetto delle origini non si limit� alle miserie della grande citt�. E quotidiani come il New York Herald, che non apprezzavano l'umorismo grossolano e manesco dei supplementi del World e del Journal, tentarono di ricorrere a uno spirito pi� fine e a una grafica pi� elegante per accompagnare complesse avventure fantastiche, che non avevano precedenti nei fumetti. Nella sezione comics dell'Herald approd� anche il pap� di Yellow Kid e raggiunse la fama internazionale col personaggio di Buster Brown. In questa nuova serie, Outcault dava spazio a immagini in sequenza e balloon usando un umorismo pi� vivace e storie pi� dinamiche rispetto ai suoi primi fumetti. Punta di diamante della comic section dell'Herald fu la serie di Little Nemo, disegnato da Winsor McCay a partire dal 1905. Le stupefacenti storie di questo personaggio si svolgevano nel mondo dei sogni, fino a quando nell'ultimo riquadro il bambino si svegliava, interrompendo la sua onirica avventura. Un'altra innovativa serie fu quella di Gustave Verbeek, che in The Upside Downs of Little Lady Lovekins and Old Man Muffaroo ogni settimana raccontava le avventure di due innamorati, ma con un escamotage pi� che sorprendente: una volta alla fine della pagina, il lettore per continuare la storia doveva capovolgere il giornale. Anche fuori da New York nacquero nuovi personaggi a fumetti: come le serie dei Kin-der-Kids e di Wee Willie Winkle's World disegnate da Lyonel Feininger e pubblicate a Chicago dal Tribune nel 1906. Le storie di Feininger, oltre a introdurre una maggiore continuit� narrativa tra una settimana e l'altra brillavano per una qualit� grafica straordinaria e un'inventiva decisamente personale. I suoi fumetti per� non piacquero al pubblico ed ebbero vita breve, tanto da convincere il loro creatore a dedicarsi alla pittura. In seguito Feininger divenne uno dei maggiori protagonisti delle avanguardie artistiche del Novecento. Tutti i fumetti avevano caratteristiche simili: si esaurivano in mezza o, al massimo, una pagina; erano fruibili rapidamente quasi a colpo d'occhio, essendo prima di tutto un fenomeno visivo; e spesso i protagonisti erano bambini, anche se le storie non erano rivolte ai pi� piccoli, ma anzi offrivano un buon intrattenimento per i lettori adulti che compravano il giornale. Nel giro di un decennio i cartoonist avevano messo a punto un linguaggio quasi completo che i lettori avevano imparato presto e senza troppa fatica a interpretare. La comic strip, o striscia a fumetti, era un linguaggio ormai pronto a conquistare il resto del mondo. E anche maggiore spazio sui giornali. Se fino al 1906 si poteva leggere solo la domenica sui supplementi dei quotidiani, dall'anno successivo le occasioni di lettura si moltiplicarono: esord� infatti la striscia quotidiana, la cosiddetta daily strip. Oltre che sulle pagine a colori della domenica, finalmente i lettori potevano seguire le avventure dei loro personaggi preferiti ogni giorno della settimana. A soli dieci anni dalla nascita, la nuova forma di intrattenimento del fumetto era diventata grande, pronta a esplorare nuovi orizzonti. Neologismi: comics e fumetti Quando nei primi anni Novanta dell'Ottocento, il New York World di Joseph Pulitzer aggiunse un supplemento a colori all'edizione della domenica del suo quotidiano, nell'intento di ampliarne il pubblico, copi� l'idea dai giornali umoristici illustrati come Puck, Judge e Life. Queste erano per� riviste satiriche settimanali piuttosto costose e pubblicate da anni per un pubblico ristretto, apprezzate in primo luogo per le loro efficaci vignette politiche a colori e indicate come comic papers o comic weeklies. Il World chiam� il suo nuovo supplemento Sunday Comic Weekly e quando nel giro di pochi anni altri quotidiani ne seguirono l'esempio, ormai il termine comics era usato per indicare la forma d'arte in s�, piuttosto che il supplemento dal quale era veicolata. Entr� quindi nell'uso comune indipendentemente dal tipo di fumetti a cui si riferiva, che gi� all'epoca non erano soltanto di natura "comica". In Italia invece ci volle molto pi� tempo perch� si diffondesse un neologismo con cui chiamare la novit� d'oltreoceano. Prendendo spunto dalla caratteristica nuvoletta che usciva dalla bocca dei personaggi quando parlavano, in maniera simile al fumo, le strisce e gli albi disegnati sarebbero diventati popolari come "fumetti". Le nuvolette, in effetti, apparvero da noi negli Anni '30 e si cominci� a parlare di fumetti non prima degli Anni '50. Frutta secca che bont� (di Luca Borelli, "Bene Insieme" n. 10/17) - Quanta mangiarne e quando per godere dei suoi benefici nutrizionali - Oggi, pi� di ieri, consumiamo la frutta secca consapevoli che faccia bene al nostro organismo perch� sono tanti gli studi scientifici a confermarlo e a renderlo noto, ma nonostante questo � bene mantenere un atteggiamento di prudenza dovuta al contenuto calorico di questo alimento. Se poi pensiamo che la frutta secca spesso viene servita durante i periodi di festa, come il Natale, in cui si eccede un po' di pi� a tavola, � importante sapere come assumere nel modo giusto questo "super alimento". Conosciamo meglio allora la frutta secca e facciamo il punto sulla quantit� corretta per godere delle sue caratteristiche benefiche. Frutta secca o essiccata - Innanzitutto � bene specificare che quella che generalmente chiamiamo "frutta secca", ovvero le noci, le mandorle, le nocciole e via dicendo, non sono frutti, ma semi. Mentre i fichi, l'uva, le albicocche, i datteri... sono sottoposti a un processo di essiccazione che li priva della maggior parte dell'acqua. Questo fa s� che le sostanze nutritive si concentrino e si ottengano frutti che, a parit� di peso, sono particolarmente ricchi di nutrienti. Perch� fa bene? - I semi e la frutta secca o quella oleosa contengono grandi quantit� di grassi "buoni" (grassi monoinsaturi e polinsaturi) protettivi a livello cardiovascolare. Anche la presenza di vitamine, come la A, E, C, K, contribuisce a rendere noci, mandorle, pistacchi e simili ottimi alleati per la salute, insieme al contenuto di fibra e ai minerali, quali zinco, magnesio, ferro, potassio, fosforo e calcio. Quanta frutta secca mangiare al giorno? - Si consiglia una dose giornaliera di circa 30 grammi, ma a quante unit� di prodotto corrispondono 30 grammi? 18 anacardi, 23 mandorle, 7 noci, 19 noci pecan, 21 nocciole, 49 pistacchi. Quando mangiare la frutta secca? - Sarebbe meglio evitare di sgranocchiare noccioline o pistacchi la sera davanti alla tv o al cinema, oppure durante un aperitivo, quando le calorie si sommerebbero con quelle dei drink facendovi ingrassare pi� velocemente. Come avviene per la frutta fresca, i momenti migliori per consumare frutta secca sono al mattino: a colazione, in aggiunta a uno yogurt contenente anche frutta fresca e cereali integrali, oppure in alternativa come snack di met� mattinata, in quanto il contenuto proteico � altamente saziante. Potete quindi decidere di preparare delle piccole porzioni gi� misurate da mangiare durante il giorno, magari in un contenitore ermetico da tenere anche in borsa (anche quella della palestra o dello sport in generale) o in ufficio. Alto Piemonte da scoprire (di Mattia Scarsi, "Bene Insieme" n. 9/17) - Una gita in Valsesia, nei due meravigliosi borghi d'Italia: Orta e Varallo Sesia - Il territorio del Piemonte, cos� ampio e variegato, sembra non smettere mai di offrire spunti per essere raggiunto da chi come noi, ha il viaggio nel DNA. Cos�, in questo numero, torniamo in una regione meravigliosamente ricca e precisamente nell'alto Piemonte, nella provincia vercellese, percorsa dal fiume Sesia che, senza fretta, ancheggia sulle sue anse, incuneandosi tra la fascia prealpina e le Alpi fino ai piedi del Monte Rosa. Qui potremo rilassarci sulle sponde dell'incantevole Lago d'Orta, scoprire un villaggio religioso ammirato in mezza Europa, apprezzare lo storico capoluogo della zona ossia Varallo Sesia, cittadina che si fregia del logo di Bandiera Arancione del Touring Club Italiano, e farci avvolgere dalla sincerit� di questa valle, dedicandoci un weekend di pura e meritata slow life. Il primo giorno, dopo aver preparato lo zaino e aver indossato abbigliamento comodo e sportivo, prendete la macchina e spostatevi nella valle, in direzione nord-ovest, verso la prima meta odierna: il Parco Naturale Alta Valsesia. Noterete subito la penuria di veicoli sulle strade e i ridenti paesini che incontrerete lungo il percorso, sono come avvolti da una pace benefica, un silenzio ovattato che ristora. I monti sembrano avvicinarsi, il girotondo della natura si stringe intorno a voi, fino a formare una gola che di colpo si apre sulla prima tappa: il paesino di Carcoforo. Siamo a 1300 metri e, se siete fortunati, troverete qualche spruzzata di neve e la cascata ghiacciata. Per la sua particolare estensione in alta quota che lo rende uno dei parchi pi� alti d'Europa, si registra la presenza di aree microclimatiche assai differenti tra loro e un'ampia variet� di specie sia per quanto riguarda la flora (si passa dalle genziane ai larici), sia per la fauna che annovera fra gli altri marmotte, stambecchi, camosci, donnole, lepri, volpi, aquile reali. Percorrete a piedi qualche mulattiera che parte dai centri abitati e raggiungete borghi minuscoli che sono un tutt'uno con il bosco intorno. Poi fermatevi per un po' a respirare l'aria frizzantina del paesaggio alpestre e a godere del silenzio che, dalle cime delle montagne circostanti, scende fra voi. Dopo un bel pieno di aria buona e di silenzio, rimettetevi in marcia verso la prossima destinazione: il Lago D'Orta. Dalle campagne settentrionali della provincia novarese il Lago d'Orta si allunga fino alle pendici del Mottarone, il monte che lo divide dal suo fratellastro pi� famoso (e pi� caotico): il Lago Maggiore. Pur godendo di minor fama, il Lago d'Orta � uno specchio d'acqua di rara bellezza incorniciato da fitti boschi di betulle, castagni, faggi e pini silvestri che offrono straordinari scorci. Ad annunciare il lago, come un ambasciatore, � il borgo di Gozzano. L'estremit� meridionale dello specchio d'acqua giunge fin sul lido di questo piccolo paese dove un tempo i vescovi di Novara s'imbarcavano per raggiungere l'Isola di San Giulio. L'isola � un posto incredibile, il cuore del bacino lacustre e l'elemento che pi� lo caratterizza. Prima possedimento del ducato longobardo e poi dei vescovi di Novara, l'isola era un tempo abitata solo da canonici, mentre oggi ci vivono alcune suore di clausura benedettine. Sorge a pochi passi dal promontorio sul quale trovate il minuscolo borgo di Orta. Se � gi� ora di pranzo, un tagliere di salumi locali, tra cui la tipica mortadella ortese e il gustoso prosciutto affumicato della vicina Val Vigezzo con l'immancabile torta del Mottarone, vi aiuteranno ancor di pi� a calarvi in questo angolo del nord del Piemonte. La giornata sulla sponda orientale del lago pu� proseguire nella pittoresca e colorata piazza Motta, un grazioso salotto affacciato sulle acque, dove sorge anche il porticciolo. Che ne dite adesso di guadagnare l'altra sponda del lago? Forza allora, si parte dal porticciolo di Orta per una bella gita sulle placide acque poggiando prima lo sguardo e poi i piedi sulla sponda pi� "selvaggia" del lago. Qui a dominare � la Basilica di San Giulio che prende il nome dal santo predicatore che, con il fratello Giuliano, qui giunse nel IV secolo. Si tratta di un vero gioiello del romanico con la facciata e la scalinata che danno direttamente sull'acqua. Entrate a guardare dipinti e affreschi: nell'abside ci sono le parti pi� antiche del complesso, mentre le tre navate, le due torrette che sovrastano la facciata e il campanile, distaccato dalla chiesa, risalgono invece al XII secolo. Il Santo fondatore � sepolto all'interno della basilica e le sue spoglie sono custodite in un'urna del XVII secolo nella cripta sotto l'altare maggiore. Ancora da non perdere in riva al lago, c'� il pittoresco borgo di Pella, all'ombra della vertiginosa parete granitica che sostiene il santuario della Madonna del Sasso. Come detto fin dal principio, questi sono luoghi in cui se si viene in cerca di quella bellezza semplice, essenziale, di quella eleganza struggente, senza fronzoli, le si trova sparse su tutto il paesaggio. Come gran finale prenotate una cenetta in uno dei ristorantini sul lungo lago: un buon involtino di persico ripieno oppure un filetto di lavarello alla mugnaia, da accompagnare con un buon bianco piemontese. E dopo cena le calde luci dell'isola possono scortare con discrezione la vostra passeggiata sul lungolago, per congedarvi nel migliore dei modi. Il secondo giorno dedicatelo inizialmente a Varallo, lo storico capoluogo della Valsesia: vi imbatterete in diversi palazzotti storici e piazzette su cui si affacciano botteghe artigianali che vivono da tre o quattro generazioni. Piazza Vittorio Emanuele II � la piazza principale della citt�: il centro viario e di ritrovo per cittadini e turisti. Non potrete non notare, dato che si erge su una vera e propria rupe, la collegiata di San Gaudenzio, risalente al XVIII secolo, che presenta un elegante loggiato esterno e all'interno, molte testimonianze artistiche, tra cui spicca nell'abside il polittico di Gaudenzio Ferrari. Nella parte opposta della piazza si trova il Teatro Civico, costruito dove un tempo sorgeva il Palazzo della Vicinanza, sede dell'organo che governava l'intera valle. A proposito di arte e fede, c'� poi la Chiesa della Madonna delle Grazie, ornata da un importante ciclo di affreschi sulla Vita e Passione di Cristo, tra i quali spicca la Crocifissione. E neppure i musei mancano, anzi: l'Ecomuseo del territorio e della cultura materiale contadina della bassa Valsesia � un manifesto che imprimer� dentro di voi tutta la fierezza, la dignit� ed ogni ardua conquista di questa valle e della sua gente. Il Museo Calderini, fondato nel 1867 dal naturalista varallese Pietro Calderini, contiene invece, interessanti collezioni botaniche, zoologiche, minerali e reperti archeologici. Dopo un primo contatto concreto con le piccole amenit� locali, � il momento di alzare l'asticella e di prendere visione della perla di Varallo, del luogo magico che prevalentemente attira i turisti qui: parliamo del Sacro MOnte, il pi� antico, il pi� celebre e il pi� importante dei Sacri Monti conosciuti, l'unico a essere stato riconosciuto nel 2003, patrimonio mondiale dell'UNESCO. Questo complesso religioso � uno dei classici esempi di come alcune ricchezze nostrane siano pi� conosciute e apprezzate dai turisti stranieri: ammettiamolo, spesso non ci rendiamo conto di quante meraviglie storiche e culturali si trovino nei nostri confini. Dato che il complesso si trova a circa 600 metri di altitudine, per arrivarci ci sono fondamentalmente due modi: la funivia o la strada carraia. La funivia � stata riaperta da qualche anno, � perfettamente funzionante ma, lo diciamo per chi potrebbe soffrirne, � fra le pi� ripide d'Europa. Se opterete per l'automobile, una volta in cima troverete un ampio parcheggio a pagamento ed una ventina di posti gratuiti. Sacro Monte di Varallo � una vera e propria cittadella accococcolata su una sorta di ripiano della montagna che sovrasta il borgo, costituita da una basilica e 45 cappelle affrescate, inserite armoniosamente nel paesaggio: ognuna di esse � popolata da decine di statue policrome di terracotta che riproducono a grandezza naturale personaggi ed eventi della vita di Ges�. Le sensazioni che si respirano tra queste mura antiche 500 anni sono uniche, al di l� dell'aspetto puramente religioso e di fede. Il percorso pedonale � diviso in due parti: una prima con le cappelle che vanno dalla n. 1 alla n. 19 immersa nel verde del parco, una seconda sulla sommit� del monte con le rimanenti cappelle a formare una vera e propria cittadina con piazze, palazzi e porticati. Per chi vuole si pu� visitare anche la Riserva Naturale del Sacro Monte rivolgendosi al personale di guida che si trova all'ingresso, in piazza Testori. Prendete parte all'atmosfera mistica, quasi magica che solo luoghi come questi sanno regalare. Dopo la visita al Sacro Monte, sulla via del ritorno, consigliamo di abbandonare la statale che corre verso la pianura e puntare, oltre la chiesetta di Loreto, verso il valico della Colma. Poco sopra Varallo un'altra sorpresa vi aspetta: il borgo appartato di Civiasco, piccolo e curatissimo con le sue stradine selciate, � da vedere. Infine scendete nuovamente a Varallo ed attendete l'imminente crepuscolo passeggiando ancora per il centro storico, tra le vie medievali come la Contrada del Burro su cui si affacciamo numerose botteghe. Se non � troppo tardi e non siete ancora sazi d'arte c'� una piccola ma ben fornita Pinacoteca che conserva opere di Gaudenzio Ferrari e dei fratelli d'Enrico. Bicciolani, una golosit� della Valsesia Delicatissima � la pastafrolla dei Bicciolani, probabilmente uno dei pochi lasciti piacevoli degli austriaci, ai tempi delle guerre d'indipendenza. I Bicciolani sono biscotti friabili, aromatizzati con cannella, cacao e chiodi di garofano: un vero simbolo della tavola vercellese. La Tartufata invece, sembra fatta per soddisfare i pi� golosi: una torta di panna e crema, con la base guarnita con granella di nocciole, e ricoperta da vaporose sfoglie di cioccolato spolverate con zucchero a velo. Sabrina Salerno si racconta (di Nanni Delbecchi, "Millennium" n. 7/17) Niente � come sembra, nemmeno Sabrina Salerno. Che fine ha fatto la nostranissima Bel�n degli anni '80, la risposta italiana a Samantha Fox, l'icona della dance e del berlusconismo trionfante? Dieci ani di successi, e poi all'improvviso l'eclissi. Ma senza troppi misteri. La carriera prosegue per lo pi� all'estero (tourn�e in tutta Europa, dove con 20 milioni di dischi venduti � tutt'ora acclamata come una star); ma la vera vita di Sabrina Salerno � quella di una insospettabile signora di provincia, legata da 25 anni all'imprenditore Enrico Monti, sposata da 10 e da 12 mamma di Luca Maria; una signora di 49 anni che ti accoglie in jeans e dolcevita nera nella dimora di campagna nei pressi di Mogliano Veneto, la cittadina della Benetton ma anche di Giuseppe Berto; e che in tutti questi anni, lavoro a parte, ha fatto come Robert De Niro in C'era una volta in America: � andata a letto presto. - Quanto conta la famiglia per lei? "� il mio pi� grande successo, considerato quanto mi sia mancata da bambina. La mia nascita non era prevista, il classico incidente, ma mia madre scelse coraggiosamente di portare avanti la gravidanza pur senza un compagno. Sono cresciuta a Sanremo, dai nonni". - Con il successo i rapporti con suo padre sono migliorati? "Nessun rapporto, al di l� del riconoscimento legale. Tutta Italia mi applaudiva, ma per lui era come se non esistessi". - C'� stato chi si � preso cura di lei, a partire da Claudio Cecchetto. "Per fortuna s�. Nel 1985 avevo 17 anni, avevo appena vinto Miss Liguria, stavo facendo Premiatissima con Johnny Dorelli e volevo bruciare le tappe. L'incontro con Claudio � stato decisivo". - Il produttore del destino. "Ma il destino l'ho aiutato parecchio. Sono entrata nel suo ufficio come un ciclone e senza nemmeno lasciarlo parlare mi sono messa a cantare Wild Boys dei Duran Duran di cui ero una grande fan". - Voleva sposare Simon Le Bon? "A dire il vero no. Mi sarei accontentata di duettare con lui". - E Cecchetto? "Pi� che dalla mia voce credo sia rimasto colpito dalla mia faccia tosta, anche se dentro di me morivo di paura". - Ha funzionato alla grande. Il suo nome si � legato indissolubilmente alla musica di quegli anni. "Mi riconosco in pieno in quella musica solare. Non l'ho mai tradita e in Francia riempio regolarmente i palazzetti con il mio repertorio di sempre". - D'accordo, ma in quegli anni � diventata anche un'icona pop. Come si vive da sex-symbol? "Non saprei dirlo perch� non mi � mai interessato vivere da sex-symbol. Esserlo era una recita, e quando ero sotto i riflettori stavo al gioco, ma finiva l�". - Sicura? Chiss� quanti corteggiatori, famosi e non. "Mica cos� tanti. Una se vuole essere corteggiata si fa corteggiare, se non vuole basta uno sguardo per scoraggiare. E io sono bravissima a scoraggiare". - Allora chiss� quanti due di picche. "Non c'� nemmeno bisogno del due di picche. Basta non dare le carte". - O nascondere le prove. Con lei i giornali di gossip hanno avuto vita dura. "Mi creda, non sono mai stata una mangiatrice di uomini, n� una che scendeva a compromessi. Non subisco particolarmente il fascino dell'uomo famoso; ma soprattutto non ho mai avuto bisogno di avere un fidanzato famoso per lavorare". - Come si fa a dare il due di picche ai paparazzi? "Basta volere. Quando si vive un amore vero difendere la propria privacy � la cosa pi� naturale del mondo, non le pare"? - A meno che non sia un amore segreto. "Un vero amore � sempre meglio viverlo al riparo dal mondo". - Vuol dire che certi amori sempre in copertina puzzano? "Questo non lo so. Di sicuro dal gossip arriva una gran pubblicit�, ma a me quel tipo di pubblicit� non � mai interessata". - Mi sta cadendo un mito. Non sembra per niente frivola come gli anni di cui � stata il simbolo. "A volte le apparenze ingannano. Ho anch'io le mie inquietudini, ma ho imparato a tenerle a bada". - Con quante delle persone di quel momento magico � rimasta amica? "Ero giovanissima, nella maggior parte dei casi ci siamo persi di vista. A parte Claudio Cecchetto, sono ancora in ottimi rapporti con Samantha Fox. Poi ho adorato Sandra e Raimondo, e ricordo con affetto anche Johnny Dorelli. Paolo Villaggio meno, non dovevo stargli molto simpatica, e francamente l'antipatia era ricambiata". - Nel '91 l'indimenticabile partecipazione a Sanremo in coppia con Jo Squillo: "Siamo donne, oltre le gambe c'� di pi�..." Poi che succede negli anni '90? Crisi artistica o personale? "I generi emergenti li ho certamente sentiti meno nelle mie corde sotto tutti i punti di vista. Non sono tipo da house music. Ma soprattutto volevo lasciare l'Italia e andare negli Stati Uniti; c'era in ballo un album con Nile Rodgers, il mio sogno, e all'ultimo momento sono stata bloccata da questioni legali. � stato il momento pi� difficile della mia vita. Ma a quel punto ho conosciuto l'uomo che sarebbe diventato mio marito e la vita ha preso un'altra direzione". - E finalmente si � riconciliata con il genere maschile... "Come ha detto, scusi"? - Per la prima volta la vedo esitare. "Perch� credo che non mi riconcilier� mai con il genere maschile, e dire che ho anche un figlio maschio". - Siamo uomini, oltre ai muscoli c'� di meno? "Questo l'ha detto lei..." - Era una domanda. "C'� una categoria di maschi con cui ho il dente avvelenato, i vigliacchi allergici alle responsabilit�. Non vorrei generalizzare, ma ne ho incontrati cos� tanti... Mi fido pi� delle donne. Molto di pi�". - Per fortuna ci sono le eccezioni. "Certo. Mio marito � diventato il mio centro di gravit� permanente, quello che mi mancava prima che lo incontrassi". - La vera trasgressione � il matrimonio perfetto? "Il matrimonio perfetto non esiste; per� saperlo proteggere e fargli superare gli alti e bassi � una bella trasgressione". - I sex-symbol oggi non la pensano cos�. Il vero show � la loro vita privata. "Mamma mia, che fatica mostruosa. Non so quanto ci sia di pilotato e quanto di autentico, ma io non ce la potrei fare". - Com'� che non abbiamo ancora parlato di politica? "Non ne parlo mai. � un'altra zona del mio privato da difendere, trovo che sia sbagliato esporsi. E poi, diciamo la verit�: forse i politici sono l'unica categoria che mi ha deluso pi� degli uomini". - Proprio tutti? La sua immagine � associata agli anni del craxismo e del berlusconismo nascente... "Mi ripeto, le apparenze ingannano". - Come giudica i politici in tv? "Non li giudico perch� televisione ne vedo molto poca. E comunque credo che farebbero bene a starci meno". - A proposito di tv, che cosa pensa della musica al tempo dei talent? "I talenti ci sono, ma quanto durano? Io sono passata per una meteora, ma sfido chiunque oggi ad avere un successo durato quanto il mio. Questi talent show servono soprattutto a chi li fa". - In tv ci va pochissimo. Non la invitano? "Tutt'altro. Non c'� quasi programma al quale non sia stata invitata: a cominciare dai reality, nessuno escluso. Ma a me interessa andare in video solo se ho qualcosa da promuovere". - Sui social invece � attivissima. "Ma i social sono un'altra cosa, una forma di dialogo vero. Decidi tu come e quando entrare in contatto con gli altri. Sei tu a tenere in mano il pallino". - I cinquant'anni bussano alla porta. "Ta-dah"! - Paura? "L'importante � arrivarci bene. Mantenersi in forma nel modo giusto, curandosi ma senza stravolgersi con la chirurgia. Per� l'et� che incalza fa paura a tutti..." - Forse a una donna bella di pi�. "Forse s�". - In questi casi conviene essere un uomo brutto. "Sono d'accordo. Ma purtroppo non � il mio caso". Novant'anni di Mille Miglia ("Ulisse" n. 397/17) - A maggio 2018 la nuova edizione che rievoca la celebre corsa - Ha celebrato il suo novantesimo anniversario, in occasione dell'evento rievocativo dello scorso maggio, la storica corsa automobilistica dall'inconfondibile simbolo della freccia rossa, nata nel 1927: la Mille Miglia. E dal 16 al 19 maggio 2018 andr� in scena la trentaseiesima rievocazione storica: un meraviglioso viaggio sulle strade italiane, tra i paesaggi unici del Bel Paese, lungo il tradizionale percorso di 1600 chilometri Brescia-Roma-Brescia che, ogni anno, presenta nuovi luoghi e localit� da scoprire. Come per le recenti edizioni, saranno 450 gli equipaggi da tutto il mondo a contendersi il titolo della gara di regolarit� definita da molti come la pi� bella del mondo. La partecipazione � riservata ai possessori di auto d'epoca purch� i modelli di vettura abbiano partecipato ad almeno una delle edizioni storiche (1927-1957). Per il sesto anno consecutivo, la regia dell'evento sar� curata da 1000 Miglia S.r.l., societ� fondata nel 2012 e totalmente partecipata dall'Automobile Club di Brescia. La gestione delle ultime cinque edizioni ha garantito risultati eccellenti sia in termini economici che d'immagine favorendo di molto la diffusione del marchio della freccia rossa che si propone come simbolo dell'eccellenza italiana e un brand del made in Italy a tutti gli effetti. Comunicato: Chiusura per ferie Informiamo i nostri gentili lettori che la Biblioteca rimarr� chiusa per le festivit� di fine anno nei giorni dal 27 al 29 dicembre 2017 e riaprir� il giorno 2 gennaio 2018. Con l'occasione, porgiamo a tutti i nostri pi� sinceri auguri di buone feste.