Dicembre 2019 n. 12 Anno XLIX MINIMONDO Periodico mensile per i giovani Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registrazione 25-11-1971 n. 202 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Pietro Piscitelli Massimiliano Cattani Luigia Ricciardone Copia in omaggio Rivista realizzata anche grazie al contributo annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del MiBACT. Indice Comunicato: chiusura per ferie La starge impunita Se smettessimo di dormire... Il veleno: l'arma invisibile Bollito: il piatto che scalda la tavola Festoso Salento Due chiacchiere con Massimo Gramellini Comunicato: chiusura per ferie Informiamo i nostri gentili lettori che la Biblioteca rimarr� chiusa per le festivit� natalizie e di fine anno nei giorni dal 24 al 31 dicembre 2019 e riaprir� il giorno 2 gennaio 2020. Con l'occasione auguriamo a tutti buone Feste. La starge impunita (di Pino Casamassima, "Focus Storia n. 158/19) - Cinquant'anni fa l'attentato di Piazza Fontana, a Milano - Milano, venerd� 12 dicembre 1969, ore 16:37. In piazza Fontana una violenta esplosione devasta la Banca Nazionale dell'Agricoltura. Pi� o meno contemporaneamente anche a Roma esplodono degli ordigni. Nella capitale si contano alcuni feriti. A Milano � strage: 17 morti e 88 feriti. Le vittime sono tutti esponenti della piccola borghesia agraria delle campagne padane: imprenditori agricoli, allevatori, intermediari. Gli unici giovanissimi sono i fratelli Patrizia ed Enrico Pizzamiglio, 16 e 12 anni. Sopravvivono, ma i loro corpi mutilati e ustionati dall'ordigno dovranno subire un lungo calvario di interventi e amputazioni. Oggi, a distanza di 50 anni, dopo un contorto iter investigativo e giudiziario, i colpevoli hanno nome e cognome. Ma non hanno mai pagato. Appena cinque giorni prima della strage, il settimanale britannico The Observer pubblicava un articolo della giornalista Leslie Finer (1922-2010) che per la prima volta usava l'espressione "Strategy of tension" riferita all'Italia. Basandosi su documenti dei servizi inglesi, tratteggiava un progetto politico statunitense volto a destabilizzare l'area mediterranea per estendere il modello dittatoriale instaurato in Grecia nel 1967, con l'Italia come perno centrale grazie alla sua posizione strategica. Una teoria che, pur annoverando negli anni a venire molti sostenitori, non avrebbe mai trovato riscontri. Anche se il movente della strage, organizzata da forze di estrema destra, era proprio quello di favorire, attraverso una "strategia della tensione", l'insediamento di un governo autoritario in Italia. Ma questo non era chiaro, in quei giorni. Nell'immediatezza della strage, l'opinione pubblica, sotto shock, reclamava giustizia, subito. E la caccia al mostro ebbe inizio. La macchina investigativa punt� dritto agli ambienti anarchici. Pietro Valpreda (1933-2002), un ballerino, due giorni dopo la strage fin� in prima pagina: era lui "il mostro" di piazza Fontana, inchiodato dalla testimonianza di un tassista che si ricord� di averlo accompagnato col suo taxi sul luogo della strage. In ballo c'era anche una taglia da 50 milioni, promessa a chiunque fornisse informazioni utili. Cornelio Rolandi, il tassista, si present� quindi spontaneamente per la sua denuncia e, subito dopo, per un confronto. Valpreda, barba lunga e occhiaie per i lunghi interrogatori appena subiti, fu mostrato al testimone accanto a quattro poliziotti in borghese pettinati e ben vestiti. "L'� l�" disse Rolandi in dialetto milanese. Valpreda si fece tre anni a Regina Coeli, dopo di che fu rimesso in libert� (provvisoria) per decorrenza dei termini di durata delle misure cautelari. Poi, dopo una lunga stagione processuale, nel 1985 arriv� l'assoluzione per insufficienza di prove. Insieme a lui, ironia della sorte, venivano assolti anche Franco Freda (oggi settantottenne) e Giovanni Ventura (1941-2010): loro s�, colpevoli. Nuovo rewind: sempre nei giorni successivi la strage, si consum� un'altra tragedia. Il 15 dicembre 1969, mentre in piazza Duomo si celebravano i funerali delle vittime, il 41-enne Pino Pinelli, ferroviere anarchico del circolo XXII Marzo, viveva le sue ultime drammatiche ore di vita. Anche lui era fra gli 84 sospettati tradotti in questura subito dopo l'eccidio. Era gi� al terzo interrogatorio di fila sotto la direzione del commissario Luigi Calabresi e la responsabilit� di Antonino Allegra, capo dell'ufficio politico della questura milanese. Alle 21:30, una telefonata alla moglie di Pinelli l'avvertiva di preparare il libretto ferroviario del marito: serviva a studiarne gli spostamenti. Il libretto venne consegnato verso le 23. Un'ora dopo, la signora Licia ricevette un'altra telefonata, stavolta di ben altro tenore: suo marito era caduto da una finestra dell'ufficio. Al quarto piano. La notizia aument� esponenzialmente il clima di tensione e gli occhi di tutto il Paese si puntarono sulla questura milanese. Quello di Pinelli � stato un suicidio, spiegavano. Il ferroviere si sarebbe gettato gridando: "� la fine dell'anarchia!". A questa versione ne segu� un'altra, secondo la quale Pinelli si sarebbe sentito male per la tensione e, dopo aver aperto la finestra per prendere un po' d'aria, avrebbe perso i sensi, precipitando. Per il settimanale comunista Vie nuove, l'uomo era stato malmenato e poi ucciso con un colpo di karate alla nuca, con il corpo gettato dalla finestra per camuffare i segni della violenza. Una ricostruzione priva di riscontri, ma sufficiente per esacerbare gli animi. A fare le spese del clima di odio innescato dall'episodio sar� nel 1972 il commissario Luigi Calabresi (tra l'altro nemmeno presente al momento della tragedia) che venne assassinato da un commando di Lotta continua. Dal Veneto arrivava intanto una notizia destinata a sconvolgere lo scenario investigativo. A progettare la strage sarebbe stato Ordine nuovo, un'organizzazione neofascista. A scompaginare le carte fu Guido Lorenzon, segretario trevigiano della locale sezione della Democrazia cristiana, che accus� Giovanni Ventura, un neofascista affiliato a Ordine nuovo gi� inquisito per un attentato a un rettore ebreo dell'Universit� di Padova. Ventura venne arrestato il 13 aprile 1971 insieme a Franco Freda, un sedicente nazimaoista. In manette fin� pure Marco Pozzan, il pi� stretto collaboratore di Freda nella sua casa editrice, che inguai� tutti. Confess� infatti di aver partecipato alla riunione in cui era stata progettata la strage. Anarchici o neofascisti, allora? Da questo momento la macchina investigativa e processuale avanzer� su un doppio binario. Il primo processo si apr� a Roma, nel 1972, e sul banco degli imputati vide i rappresentanti sia del filone anarchico sia di quello fascista. L'iter giudiziario fu lungo, tormentato ed estenuante per i parenti delle vittime, costretti a spostarsi da Roma a Milano, a Catanzaro, dove and� a finire il processo per "motivi di ordine pubblico e legittimo sospetto". Il primo pronunciamento in corte d'Assise fu di condanna per Freda, Ventura e Guido Giannettini (collaboratore dei Servizi con il nome in codice di Agente Zeta). Ma il nuovo dibattimento in Appello, che si svolse a Bari nel 1985, si concluse con l'assoluzione di tutti, anarchici e neofascisti, per insufficienza di prove. Poi una nuova istruttoria port� alla sbarra i neofascisti Stefano Delle Chiaie (organizzatore) e Massimiliano Fachini (esecutore): entrambi assolti. Negli anni Novanta il giudice Guido Salvini, avanzando un sospetto di connessione fra il fallito golpe Borghese (tentativo di colpo di Stato del 1970) e la strage, raccolse le testimonianze di Martino Siciliano e Carlo Digilio, due neofascisti dell'ormai disciolto Ordine nuovo, che oltre a confermare la progettazione dell'eccidio da parte di Ventura e Freda, indicarono in Delfo Zorzi il neofascista che aveva materialmente piazzato la bomba. Il nuovo processo inizi� a Milano nel febbraio del 2000 e nel giugno dell'anno dopo vennero riconosciuti colpevoli Zorzi, Carlo Maria Maggi (che sar� poi condannato all'ergastolo per la strage di Brescia del 1974) e Giancarlo Rognoni come basista. Sentenze poi cancellate dalla Cassazione. Alla fine del processo del maggio 2005, i parenti delle vittime dovettero pure pagare le spese processuali. La Cassazione addebit� definitivamente l'eccidio a Ordine nuovo nelle figure di Freda e Ventura: peccato che a quel punto non fossero pi� processabili, in quanto gi� assolti con sentenza definitiva nel 1985. Finiva cos�, dopo 36 anni, la pi� brutta pagina di storia giudiziaria scritta in Italia dal Dopoguerra a oggi. Se smettessimo di dormire... (di Elena Meli, "Focus" n. 325/19) - Forse non moriremmo, perlomeno non subito. Ma avremmo notevoli problemi - Gli occhi iniettati di sangue e cerchiati di blu. La testa che ciondola, i nervi a fior di pelle; basta lo squillo del cellulare per saltare sulla sedia. Dopo una notte passata svegli, chi non � uno straccio? Eppure il sonno a parecchi sembra tempo perso: oggi che il mondo corre veloce, anche il sonno lo consumiamo con velocit�, e infatti dormiamo sempre meno e sempre peggio. Ma che succederebbe se non dormissimo mai? L'espressione "morto di sonno" � pi� un modo di dire che una verit� scientifica perch� nessuno risulta essere mai passato all'altro mondo per aver saltato qualche notte (anche se non risultano persone che abbiano davvero "smesso"). Certo, ad alcuni animali � successo: gi� nel 1898 i due fisiologi italiani Lamberto Daddi e Giulio Tarozzi dimostrarono che i cani muoiono entro un paio di settimane se viene impedito loro di dormire, mentre Allan Rechtschaffen del Mount Sinai Hospital di New York verific� negli anni '80 che pure per i topolini la mancanza di sonno pu� essere letale. A noi probabilmente non potrebbe accadere, forse perch� siamo capaci di adattarci facendo micro-sonni di pochi secondi di cui non ci accorgiamo e che per�, secondo uno studio dell'Universit� di Singapore, ci aiuterebbero a "spegnere" alternativamente pezzetti di cervello e quindi a non andare in tilt quando ci spingiamo oltre i limiti: saremmo insomma un po' emuli dei delfini, che in pratica non dormono mai per davvero perch� lo fanno solo con met� cervello alla volta. Forse non moriremmo, quindi, e staremmo anche meno male di quel che si teme, almeno a giudicare da chi ha provato a resistere sveglio a lungo. "A parte casi non ben documentati, come il contadino vietnamita che asserisce di non dormire dal 1973 ma che non � stato studiato davvero a fondo, il record � di Randy Gardner: nel 1964, a diciassette anni, durante un esperimento condotto all'Universit� californiana di Stanford � rimasto sveglio per 264 ore, undici notti", racconta Luigi De Gennaro, segretario dell'Associazione Italiana di Medicina del Sonno. "Ma non ha avuto conseguenze permanenti: allucinazioni e alterazioni della sensibilit� durante l'esperimento, ma nessun danno nel lungo periodo. E neppure ha dormito giorni e giorni di seguito per recuperare: in totale aveva perso circa 4-mila minuti di sonno, ma la prima notte ha dormito 500 minuti in pi� rispetto al normale e gi� dopo la terza notte � tornato a una durata di riposo consueta". E non se la passava male l'infermiera settantenne inglese studiata da Ray Meddis, della Essex University, che per una vita ha dormito ogni notte appena 40 minuti: il suo per� era un sonno super-concentrato, con le stesse fasi di quello normale. Soltanto, rapidissime. Ma allora, tirando un po' la corda, si potrebbe davvero non dormire mai? La risposta � che, almeno nel breve periodo, senza sonno probabilmente non avremmo danni irreversibili. "Per�, farne a meno del tutto e sempre non si pu�", fa notare De Gennaro. Perch� il sonno � indispensabile per il cervello, che mentre dorme "fa le pulizie" eliminando sostanze di scarto e scegliendo quali informazioni e ricordi trattenere; ed � fondamentale per l'organismo, che va in pausa riducendo i ritmi e il metabolismo per poi tornare pienamente attivo il mattino successivo. Detto questo, per�, ipotizziamo lo stesso di riuscire a non far cadere mai la palpebra: come diventeremmo? E come sarebbe una societ� in cui non si dorme mai? Non saremmo molto vispi, va detto. "Dopo 24 ore filate passate svegli, l'effetto sul cervello � simile ad avere un tasso di alcol nel sangue pari almeno allo 0,1 per cento, quindi allo stato di ebbrezza", spiega Joseph Ojile, del Clayton Sleep Institute di St. Louis (Usa). Dire che si � ubriachi di sonno insomma non � sbagliato: a furia di non dormire saremmo tutti alticci, incapaci di movimenti coordinati, che sembrerebbero "rallentati". Nel Pianeta dei senza sonno vagheremmo per le strade stanchi e in preda a vuoti di memoria, di umore depresso e incapaci di comunicare con gli altri o prendere decisioni sensate; magari non ci sembrerebbe neanche troppo drammatico, perch� saremmo pure in preda a paranoia e allucinazioni e chiss� che impressione avremmo del mondo intorno. Tutti effetti dei micro-sonni che il cervello farebbe per non impazzire del tutto. "Non a caso la deprivazione di sonno � un metodo di tortura: non si muore, ma si fiacca la capacit� di giudizio e di resistenza e i prigionieri prima o poi finiscono per crollare psicologicamente", fa notare De Gennaro. Costantemente ubriachi e un po' allucinati, quindi, dovremmo forse passare in massa alle auto a guida autonoma, perch� senza dormire non saremmo in grado di metterci al volante: farlo significherebbe provocare incidenti a catena perch� avremmo l'attenzione al minimo e i riflessi di un bradipo. Dello zombie avremmo anche l'aspetto: senza dormire la pelle peggiora a vista d'occhio e uno studio del Karolinska Institute svedese ha dimostrato che bastano "appena" 31 ore svegli per avere la cute pi� pallida e grigiastra, le rughe pi� marcate come fossimo invecchiati di cinque anni, perfino un'espressione pi� triste. Saremmo bruttini insomma, e pure grassi: perdendo il sonno si altererebbero in via definitiva gli ormoni della fame e della saziet�, finiremmo per depredare il frigorifero a tutte le ore e mangiando di notte tenderemmo a metter su ciccia, perch� col buio il nostro organismo � programmato per stare digiuno e il fegato, per esempio, non riesce a gestire bene i grassi che arrivano dal cibo. Per giunta saremmo diabetici e ipertesi: di notte la resistenza all'insulina cresce (non � il momento in cui � previsto che si usi l'energia dagli zuccheri) e cos� la glicemia tenderebbe inesorabilmente a salire, cos� come la pressione che non calerebbe mai, come invece normalmente succede nel corso del riposo notturno. E se scampassimo a infarti e ictus provocati dal mix di ipertensione e diabete, potremmo ammalarci di tumore al seno o alla prostata. In una vita da insonni, infatti, il corpo risulterebbe sempre "acceso" e questo provocherebbe un caos metabolico a livello ormonale, che ci renderebbe pi� a rischio per questi tipi di cancro, tutti molto sensibili alle variazioni ormonali. Se invece, miracolosamente, restassimo sani e altrettanto miracolosamente, pur essendo brutti e ciccioni, trovassimo un'anima gemella? Non passeremmo 24 ore su 24 fra le gioie del sesso, tutt'altro: Eve Van Cauter, dell'Universit� di Chicago (Usa), ha dimostrato che agli uomini basta anche solo dormire poco (tre ore in meno ogni notte, per una settimana appena), per veder crollare la concentrazione di testosterone nel sangue e quindi il desiderio sessuale. "Morale, non dovremmo augurarci una societ� che non dorme mai", sintetizza De Gennaro. "N� provare ad arrivare a questo risultato usando stimolanti, dalla caffeina alle droghe, come del resto molti gi� fanno: il prezzo da pagare sarebbe ancora pi� alto, perch� agli effetti deleteri della privazione di sonno si aggiungerebbero quelli legati alla dipendenza dalle sostanze". Il veleno: l'arma invisibile (di Elisa Venco, "Focus Storia" n. 158/19) - � lo strumento del delitto perfetto: garantisce discrezione e rende difficile risalire al mandante - Per secoli il delitto perfetto si � servito del veleno. Arsenico, cicuta, belladonna hanno tolto di mezzo molti personaggi scomodi, lasciando ai vivi poche prove su cui indagare. Il veleno, infatti, rendeva difficile risalire alla mano assassina. Inoltre, a piccole dosi, molte sostanze causano una debilitazione che, almeno fino al secolo scorso, era facilmente interpretabile come malattia. "Il veleno � stata l'arma di chi agisce nell'ombra e vuole nascondere la propria responsabilit�", sostiene lo storico francese Georges Minois, autore del saggio Il pugnale e il veleno - L'assassinio politico in Europa (Utet). Di conseguenza, mentre "Chi uccide con il pugnale o con la spada lo fa pubblicamente, assumendosene la responsabilit� e rivendicando i motivi dell'atto violento, nella storia l'avvelenamento � considerato un mezzo poco nobile, utilizzato da chi agisce per motivi abietti, in nome di una causa ingiustificabile". Per i Romani, infatti, i venefici erano una faccenda da codardi o, nella logica misogina dell'epoca, da donne. Una legge risalente all'imperatore Antonino Pio (II secolo d.C.) enunciava chiaramente che "Plus est hominem extinguere veneno, quam occidere gladio" ("� pi� grave uccidere un uomo con il veleno che con la spada"). Eppure nelle insidiose corti imperiali i veleni giravano, eccome. Solo che era difficile distinguere gli avvelenamenti dai decessi provocati da qualche morbo o da medicinali successivamente rivelatisi tossici. Col beneficio del dubbio, quindi, vanno considerati la morte dell'imperatore Augusto, che secondo lo storico Tacito sarebbe stato avvelenato dalla moglie Livia; quella dell'imperatore Claudio, presunta vittima della consorte Agrippina; o quella di Germanico, probabilmente fatto assassinare dal governatore di Siria Pisone, uomo di fiducia dell'imperatore Tiberio. Meno dubbi sulla fine di Britannico, ucciso con una zuppa letale offertagli dal fratellastro Nerone, che per i suoi delitti si serviva addirittura di un'avvelenatrice professionista, la gallica Locusta. E sempre da Nerone arriv� l'"invito" a Seneca, filosofo e suo ex precettore, a suicidarsi: il malcapitato non ebbe alternativa che trangugiare una bella dose di cicuta e poi tagliarsi le vene. Del resto anche Socrate era passato a miglior vita attraverso la cicuta: era la versione edulcorata della pena capitale che i Greci riservavano a personaggi degni di rispetto. Durante il Medioevo gli avvelenamenti si ridussero perch�, spiega Minois, "i potenti avevano altri mezzi per sopprimere gli avversari, a cominciare dalla guerra privata. Ma subito dopo, con la nascita e il rafforzamento degli Stati nazionali, nei quali inizia a delinearsi lo Stato di diritto, il potente che voleva sbarazzarsi di un nemico non poteva che utilizzare mezzi illegali, come il veleno, lo strumento che lascia meno tracce e rende pi� difficile l'identificazione del colpevole". A partire dal XV secolo, dunque, l'avvelenamento divent� una pratica diffusa nelle corti europee e italiane in particolare: a Firenze, per esempio, nel 1548, il duca Cosimo I de' Medici ide� un complotto per avvelenare Piero Strozzi, capo militare di una fazione avversa, chiedendo "qualcosa che potesse avvelenare la sua acqua o vino, con le istruzioni su come mescolarlo". A Venezia, il Consiglio dei Dieci, uno dei principali organi di governo della Repubblica dal 1310 al 1797, ordin� assassini con "mezzi segreti, attenti e abili", un chiaro riferimento al veleno. Lo storico Matthew Lubin della Duke University ha fatto un po' di conti: sono stati ben 34 i casi di avvelenamento politico sponsorizzato dall'intelligence veneziana tra il 1431 e il 1767. Non che a Milano si andasse leggeri: di omicidio in omicidio, nell'arco di un secolo la citt� vide avvicendarsi al comando della Signoria (diventata Ducato nel 1395) diversi zii, nipoti e figli. Matteo II Visconti (1319-1355) mor� come suo padre Stefano: avvelenato. Mandanti furono i fratelli Galeazzo II e Bernab�, con i quali aveva gi� condiviso, anni prima, il tentativo di uccidere lo zio Luchino Visconti, co-signore di Milano. In un clima del genere, non stupisce che i due assassini abbiano fatto a loro volta una brutta fine. Il figlio di Galeazzo, Gian Galeazzo Visconti (1351-1402), scipp� il posto allo zio nel 1385, sette anni dopo la morte del proprio padre: imprigion� Bernab� con entrambi i suoi figli e lasci� che morisse poco dopo per una scodella di fagioli avvelenati. I geni del primo duca di Milano rispuntarono nel sadico Giovanni Maria Visconti (1388-1412): al potere dal 1402, avvelen� sua madre che gli faceva da reggente. E poi c'� la spregiudicata famiglia dei Borgia, col papa Alessandro VI in testa, che conquist� e conserv� il potere anche attraverso l'omicidio. Fra pugnalate e strangolamenti, che non risparmiarono i loro stessi familiari (Giovanni fu fatto assassinare dal fratello Cesare), ricorsero ancora pi� volentieri al pi� discreto veleno. Leggenda vuole che avessero una predilezione per la cantarella, una pozione ottenuta facendo evaporare urina in un contenitore di rame e mescolando i sali cos� ottenuti con arsenico. In questo modo nel 1503 fu tolto di mezzo il cardinale Giovanni Michieli, i cui beni facevano gola al solito Cesare. Nello stesso anno, per�, a morire molto probabilmente avvelenato fu proprio il papa, vittima, secondo la tesi dello storico coevo Francesco Guicciardini, della sua stessa trappola: nel corso di un pranzo presso la dimora del cardinale Adriano Castellesi, Rodrigo Borgia bevve per errore il vino malefico destinato al prelato. Il veleno poteva colpire anche indirettamente, come effetto collaterale di terapie mal dosate: arsenico, mercurio, digitale sono alcune delle sostanze con propriet� terapeutiche che venivano usate come medicine. Fra le tante vittime eccellenti, una cura finita male fu quella che uccise Enrico VII di Lussemburgo, imperatore del Sacro romano impero che l'8 agosto 1313 marci� a sud di Pisa con il suo imponente esercito. Sedici giorni pi� tardi il sovrano, accolto con speranza da Dante che nella sua figura vedeva la fine della contesa tra guelfi e ghibellini, era morto: avvelenato col suo vino della comunione, si diceva. Ma i ricercatori dell'Universit� di Pisa che nel 2013 hanno analizzato il corpo del sovrano hanno trovato nelle sue ossa una quantit� tale di arsenico che solo mesi di assunzione avrebbero potuto provocare. L'ipotesi � che, anzich� dal vino, il sovrano sia stato ucciso da un farmaco, a base di arsenico e mercurio, usato contro le lesioni cutanee da antrace (una malattia trasmessa da capre e cavalli). Il rimedio funzion� fin troppo bene, uccidendo tanto i batteri, quanto il corpo ospitante. Ancora in dubbio se si sia trattato di omicidio o errore la morte del condottierio Cangrande della Scala, che nel 1329 pass� a miglior vita a causa della digitale, sostanza benefica per il cuore ma mortale in caso di sovradosaggio. Nelle corti europee si affermarono nel Cinquecento le figure degli alchimisti, eruditi a caccia della "pietra filosofale" e grandi esperti, fra le altre cose, di veleni. Fu anche a causa loro, e del pericolo che rappresentavano, che in Europa si scaten� una vera e propria psicosi, tanto che tra i personaggi pi� altolocati si diffuse l'usanza dell'assaggiatore di corte (anche se i praegustatores esistevano gi� presso gli imperatori romani). Alcuni sovrani furono particolarmente sospettosi: il francese Luigi XI pass� gli anni prima della morte, avvenuta nel 1483, in isolamento nel castello di Plessis-les-Tours, mangiando solo uova sode. Per uccidere il diffidente Ladislao I di Napoli, detto il Magnanimo, che faceva assaggiare tutto quello che ingeriva, secondo le voci fu infettata l'unica cosa che non avrebbe mai fatto testare. Per quanto gli storici riconducano la sua morte a un'infezione forse alla prostata, leggenda vuole che il re morisse nel 1414, a 38 anni, dopo un incontro con una sua amante di Perugia: sugli organi genitali della donna era stata spalmata una sostanza letale. Bollito: il piatto che scalda la tavola ("RivistAmica" n. 1/19) - Sostanzioso e ricco di sapore, perfetto per il periodo invernale. Ecco quale carne scegliere e come prepararlo per un risultato perfetto - Carne selezionata e ammorbidita da una lunga cottura, accompagnata da salse variopinte e sfiziose o da gustose verdure: il bollito � uno di quei piatti invernali in grado di mettere d'accordo tutti i commensali con la ricchezza del suo sapore. Inoltre si tratta di una pietanza all'insegna del non spreco: se dovesse avanzare del brodo, si pu� sfruttarlo per un risotto o un altro primo, mentre la carne pu� essere la base ideale per sostanziose polpette che accontenteranno anche i bambini. Innanzitutto bisogna decidere con quali tipi e tagli di carne fare il bollito. Solitamente la base � il manzo (e in questo caso il consiglio � di puntare sulla pregiata scottona, particolarmente adatta per la sua consistenza), ma si pu� allargare il campo anche ad altre variet�. In generale, per il bovino sono da preferire tagli di carne ricchi di tessuti connettivi e venature di grasso che si scioglieranno in cottura, dando sapore e morbidezza. Tra questi il muscolo, il fusello, la punta di petto, il reale o la polpa di spalla, ma anche il biancostato e il cappello del prete sono tutte ottime opzioni. La lunga cottura consentir� a queste porzioni meno comuni di diventare tenere e irresistibili. In aggiunta, per rendere mista la vostra pietanza, potete aggiungere della gallina o del cappone (o, se lo preferite in alternativa, il pollo, anche se pi� distante dagli ingredienti tradizionali), del vitello, del cotechino o del salame da pentola e, qualora vi piacciano, anche lingua o mortadella di fegato cruda. Per fare un bollito davvero appetitoso occorrono alcune accortezze. Innanzitutto la carne va sempre immersa in acqua bollente (viceversa, se volete un ottimo brodo partite da acqua fredda) e cotta per circa 3 ore a fuoco molto basso, con 3 litri di acqua per ogni chilo di carne e un cucchiaio di sale grosso. A questi ingredienti aggiungete anche una carota e una cipolla, del sedano, alloro, timo, gambi di prezzemolo (non le foglie, che "colorano" troppo il brodo), chiodi di garofano e pepe in grani. Portate a bollore l'acqua con le verdure e una volta raggiunta la temperatura, aggiungete il sale e la carne. Durante i primi minuti di cottura "schiumate" spesso il brodo, ovvero togliete eventuali impurit� che emergono in superficie con un mestolo forato, per ottenere un liquido limpido. A questo punto aggiungete anche le erbe aromatiche, pepe e chiodi di garofano, abbassate il fuoco al minimo e fate cuocere con il coperchio leggermente scostato per 2-3 ore. La carne deve raggiungere una consistenza che consente alla forchetta di penetrare senza alcuna resistenza. Per il bollito misto, in particolare, sarebbe opportuno dedicare una pentola ad ogni tipologia di carne. Al massimo, per facilitare il procedimento, si possono unire al manzo la gallina o il cappone (ma anche del vitello, se vi piace), mentre andrebbero cotti a parte tagli come cotechino e lingua per evitare che il brodo diventi pi� torbido e con un sapore meno definito. Salse e verdure d'accompanamento La tradizione vuole che il bollito si porti in tavola nella sua pentola e si serva rimettendo poi subito nel brodo la carne per non farla asciugare. Come accompagnamento potete puntare su salse come quella verde, rossa, al cren o la variante ai capperi brianzola e sulla mostarda, accanto a pur� di patate, lenticchie, giardiniera o maionese. Tra le verdure optate invece per rape, patate, verza o carote lesse oppure zucchine, finocchi e cipolline. Mondeghili, polpette del riciclo milanesi Un piatto tipicamente meneghino sono i mondeghili, polpette delle dimensioni di una noce nate per "recuperare" gli avanzi di carne lessa. Per prepararli, impastate 300 g di carne con un uovo, un cucchiaio di Grana Padano, mollica di pane (ideale la rosetta) bagnata nel latte e strizzata, prezzemolo, sale e scorza di limone. Potete anche arricchire il tutto con mortadella (di fegato, secondo la tradizione) o salsiccia. Impanate le polpette e friggetele nel burro. Festoso Salento (di Mattia Scarsi, "Bene Insieme" n. 10/18) - Una gita per assaporare una suggestiva e calda atmosfera natalizia tra mercatini, fiere e presepi - Dove avete trascorso le vostre ultime vacanze di Natale? A sciare in Trentino? A ciaspolare in Val d'Aosta? Alloggiando in una malga sulle Dolomiti oppure in una baita in Piemonte? Perch� per questo fine anno non vi orientate su una meta inattesa, il Salento per esempio? I primi a capire che non fosse una destinazione perfetta esclusivamente per le vacanze estive sono stati i turisti del nord Europa (Scandinavia e Repubbliche baltiche) che in numero sempre crescente lo hanno scelto per una vacanza al "caldo" durante i mesi invernali. Si d� il caso per� che la penisola salentina sia sempre pi� apprezzata, anche a dicembre, per come si trasforma e per tutti gli appuntamenti che offre durante le festivit� natalizie. Andiamo controcorrente insieme, raggiungiamo Lecce e la sua provincia per vedere da vicino tutti questi piccoli grandi eventi. Insomma, il Natale nel Salento � davvero magico! Manca solo la neve, ma non � detto... Appena svegli basta il primo sguardo su Lecce per capire che � meravigliosa. Dal giorno dell'Immacolata (8 dicembre) con tutti gli eventi a tema presenti sul territorio (tutto un susseguirsi di stand, bancarelle e mercatini natalizi), lo � ancora di pi�. L'incanto che sa donare la festivit� pi� attesa dell'anno � cosa nota a ogni latitudine: a essa aggiungete i colori e la multietnicit� dei popoli del Mediterraneo che qui, nel "tacco d'Italia", hanno lasciato segni del loro fondersi e otterrete un cocktail di bellezza irripetibile. Chi � appassionato di mercatini trover� di che stupirsi lungo il permanente Mercatino delle arti e delle etnie in Viale Moro. � una sorta di suq: esotico, un po' confusionario certo, ma fascinoso dove si mescolano le eccellenze alimentari e artigianali locali con quelle dei continenti africano, asiatico e sudamericano. Le prelibatezze culinarie non mancano di certo, ma si trovano anche piccole ceste fatte da rami d'ulivo intrecciati, agili soprammobili realizzati con la pietra leccese, statuette in pietra leccese o ceramica, merletti e pizzi lavorati finemente, tutto l'occorrente per realizzare o completare un presepe o un albero di Natale e tanto altro ancora. Tutto questo, passeggiando fra le meraviglie che il tempo, generoso con queste terre, ha lasciato intatte. Trascorrendo qualche giorno di dicembre qui, vi accorgerete di come la Nativit� ogni anno accenda l'estro e la manualit� di grandi artigiani e di come il Natale costituisca un'occasione unica per conoscere il loro operato nelle varie declinazioni. Un altro esempio? La Fiera dei Pupi durante il mese di dicembre, da quest'anno presso il Castello di Carlo V, dove le opere dei maestri cartapestai si possono anche comprare per dare un tocco sublime al proprio presepe. Vi lasceranno a bocca aperta. Nella centralissima ed elegante piazza Sant'Oronzo, c'� un intero accampamento, costituito da decine di casupole di legno, tutto da esplorare: il Natale Artigiano giunto ormai alla VII edizione � una sorta di villaggio di Natale, patrocinato dal Comune alla cui costruzione collaborano anche la Camera di Commercio e il Confartigianato di Lecce. Anche qui la proposta artigianale/culinaria (tutta da km 0) � assai ampia, sicch� potrete non solo fare acquisti, ma anche degustare specialit� locali. La particolarit� per quel che riguarda i manufatti � che potrete seguire istantaneamente il processo di lavorazione dei materiali: dalla pietra leccese, al legno, dalla ceramica alla cartapesta ecc... Se non vi basta restare a guardare, grazie a un'iniziativa chiamata "artigiano per un giorno" potete cimentarvi in prima persona con una o pi� di queste specialit�; mettetevi alla prova! In vostro aiuto alcuni maestri locali da cui dovrete esser bravi a carpire qualche segreto del mestiere. L'ingresso a Natale Artigiano � libero: un motivo in pi� per non farselo scappare. Nel primo pomeriggio (soprattutto se siete in compagnia di bimbi) dedichiamoci ai pi� piccoli; in fondo il Natale � soprattutto la loro festa, no? Mettetevi in viaggio verso S. Maria di Leuca. Puntate dritti all'estremo sud dove vi aspetta la Casa di Babbo Natale. Non siamo impazziti, alla fine dell'Italia negli ultimi giorni dell'anno, avviene qualcosa che � persino difficile descrivere. Proviamoci: immaginate di poter viaggiare alla velocit� del pensiero dal Polo Nord al Mediterraneo. Ecco fatto, siete pronti a varcare la soglia del Salento Santa Claus Village che, dal 25 novembre fino al 30 dicembre, ricrea con stupendi e fantasiosi dettagli, la citt� immacolata del primo grande eroe dei vostri figli: Babbo Natale. C'� la stanza dei racconti, l'ufficio postale ricolmo di letterine, la sua camera da letto, la cucina e l'officina dove insieme agli operosi elfi assembla i giocattoli da distribuire ai bimbi di tutto il pianeta. Visitare il Santa Claus Village � un'esperienza straordinaria dove si mescolano fantasia e dolcezza, incantesimo e tradizione con tanti giochi, indovinelli, spettacoli e momenti creativi organizzati in questa ambientazione fantastica. Il villaggio � una cuccagna anche per il palato e lungo le sue viuzze trovate zucchero filato, caldarroste, pittule calde e cioccolata. Se nella prima giornata vi siete progressivamente allontanati da Lecce, nella seconda, in cui andrete a caccia di sagre e presepi, risalirete il tacco d'Italia fino a far ritorno nello splendido capoluogo salentino. Partiamo! Da S. Maria di Leuca dove vi sarete addormentati sognando la slitta di Santa Claus colma di doni, muovetevi in direzione di Tricase, piccola cittadina del basso Salento in localit� Monte Orco, un declivio collinare ricco di olivi e querce. Qui troverete un presepe vivente che da quattro decenni attira sempre pi� turisti e si estende nei boschi dell'entroterra per pi� di tre ettari. Una superficie che percorrerete in compagnia dello stupore di ritrovarvi in un antico villaggio dell'anno 0 animato da fabbri, contadini, falegnami, ciabattini, filatrici, pastori, impersonati da centinaia di figuranti. Il tutto in un amalgama assai riuscito di storia, tradizione, spiritualit� e valorizzazione del territorio. Il gran finale del presepe vivente � previsto ovviamente il 6 gennaio quando tutte le "statuine viventi" sfilano con i loro costumi d'epoca, partendo dal Castello di Tricase per raggiungere la Grotta della Nativit� con i Re Magi, per rendere grazie al bambinello. A poco pi� di 10 km ecco Vignacastrisi dove � il centro storico stesso ad accogliere il presepe; qui quasi ogni abitante mette a disposizione della comunit�, una stanza per completare la sacra rappresentazione. Per rendere tutto ancora pi� veritiero e suggestivo, l'unica illuminazione presente � quella data dalle fiaccole e lungo tutto il borgo risuonano i martelli dei fabbri, i canti delle massaie operose, gli antichi mestieri fatti di sapienza e concentrazione (tessitura, ricamo ecc...). Perdetevi in questa fiumana silenziosa: tutto sembra pi� modesto, raccolto, pronto ad attendere il Redentore. Se non date troppa importanza alla filologia e passate sopra a qualche anacronismo, anche il presepe di Castro (nelle vicinanze) merita di essere visto. Anch'esso viene allestito all'interno del centro storico, ma l'impronta data al villaggio � identificabile con il Medioevo. Al posto dei pastori e contadini, troverete cavalieri, dame, cantastorie e sbandieratori, tutti a sfilare nel corteo che invade la cittadina fra danze, canzoni e stornelli. L'atmosfera natalizia non manca e il palese falso storico passa in secondo piano. A contendersi la palma della celebrit� con il presepe di Tricase c'� quello che ogni anno, ad inizio dicembre, viene allestito nell'agrumeto del cortile del Centro diurno Stella Orientis di Maglie. Una rappresentazione cos� caratteristica della Nativit� ha fatto fare all'intero paese il giro del mondo tanto da essere citato nei siti internazionali specializzati e da guadagnare una fama crescente ad ogni Natale. Per creare e rifinire questa meraviglia lavorano, gi� dalla met� di settembre, circa 150 volontari. C'� chi si occupa di costruire le scene, chi le dipinge, chi pensa ai costumi, come in un grande laboratorio teatrale. Se pensate che tutto questo contorno possa sminuire la spiritualit� dell'evento vi sbagliate. Al centro di tutto c'� la capanna della Nativit� e il lavoro di squadra di queste persone fortifica la fratellanza e lo spirito natalizio. Andate con discrezione a seguire le fasi finali del lavoro: fatevi raccontare i segreti di uno dei presepi pi� ammirati d'Italia e non solo. Come detto ormai Maglie � noto in tutto il mondo come il Paese delle Luminarie. Ogni anno, nella prima settimana di maggio i riti religiosi e civili legati al Santo protettore, San Nicola, coinvolgono sempre pi� turisti in arrivo da ogni parte del mondo per godersi le spettacolari scenografie luminose. Queste sono create grazie agli innovativi impianti di luce realizzati dalle ditte salentine pi� all'avanguardia nella illuminazione scenica. Qualche numero delle precedenti edizioni? 400-mila le luci a led, 35-mila le lampade. Uno spettacolo nello spettacolo! Torniamo sulla strada maestra, seguendo la scia della nostra cometa natalizia. Nei giorni che precedono S. Lucia (13 dicembre) a Stematia (15 km da Lecce) tutto il paese � in fibrillazione perch� oltre ad attendere la Nativit�, ci si prepara alla Focara di Santa Lucia, un grande fuoco che viene acceso dalla comunit� per celebrare la tradizione contadina, sancire la chiusura dei lavori nei campi e l'attesa del ritorno della primavera. Al calar del sole, il 13 dicembre, la Focara viene alimentata con i rami ottenuti a seguito della potatura degli alberi d'ulivo e ben presto intorno al fuoco troverete centinaia di persone che brindano, bevono, cantano canzoni popolari e danzano la coinvolgente pizzica: potrebbe essere l'occasione giusta per impararla. Lungo le bancarelle non sar� difficile imbattersi in un cupetaro che nel suo banchetto, armato di un lungo coltello, con una sorta di coreografia calibratissima, assembla l'impasto a base di mandorle, miele e zucchero che costituisce la cupeta, un dolce tipico salentino. Dopo una merenda cos� dolce, arrivate alle porte di Lecce in tempo per godervi un'altra meraviglia. Che siano artistici o viventi, fatti di cartapesta o ceramica, i presepi impressionano tutti per la dedizione con cui vengono realizzati e per la cura dei dettagli. A tutto ci� sommate le scenografie naturali perfette e avrete pura magia. Dopo molti anni anche il presepe di Lecce, realizzato all'interno dell'Anfiteatro Romano in Piazza Sant'Oronzo, era diventato un must. Tra i gradoni romani, scenografia di chiss� quali epiche pagine di storia, si poteva ammirare un villaggio in miniatura, con case realizzate con la tecnica del muretto a secco, piccoli torrenti artificiali e altri incredibili particolari fra cui tantissimi personaggi, tutti rigorosamente in cartapesta secondo l'antica sapienza salentina. Niente paura, il presepe � sempre visitabile ma da un paio di anni ha cambiato location. Le istituzioni locali hanno deciso di renderlo fruibile a molte pi� persone, compresi i disabili e cos� questo capolavoro di artigianato, passione e pazienza, � stato situato l'anno scorso fra le mura del Castello di Carlo V, in viale Marconi vicino alla Fontana dell'Armonia. Quest'anno sar� ammirabile in Piazza Duomo. Il buono del paese Le orecchiette - Piccole cupole dalla superficie ruvida, con bordo pi� spesso e centro sottile, nate dall'incontro di farina di grano, acqua e olio d'oliva. Diffusa in tutta la Puglia tra il XII e il XIII secolo, questa pasta � divenuta una vera bandiera della regione. Come si dice in gergo "la morte sua" � condita con le cime di rapa, ingrediente fortemente identitario delle terre pugliesi. I taralli - Golosi e irresistibili anelli di pasta di misura variabile preparati con farina di grano tenero, olio, semi di finocchio e uno spruzzo di vino bianco. Qualunque sia il diametro (in genere fra 1 e 5 cm) sono perfetti anche come stuzzichini da aperitivo. Due chiacchiere con Massimo Gramellini (di Solange Savagnone, "Tv sorrisi e canzoni" n. 39/19) Le parole, per Massimo Gramellini, sono come note musicali. E lui le maneggia con l'abilit� di un direttore d'orchestra. Lo vediamo nel suo talk show "Le parole della settimana", che � ripartito sabato 5 ottobre su Raitre. Lo schema non cambia: scava nell'attualit� servendosi, appunto, di termini e definizioni. E di ospiti da intervistare. Ora per� quello sotto torchio � lui: gli abbiamo chiesto di raccontarci le parole della sua vita. - Massimo, cosa le piace delle parole? "Mi piace quando evocano un'emozione o un sentimento. Quando non raccontano tutto e lasciano uno spiraglio alla libera interpretazione: sono come note musicali che ti creano dentro un movimento, una musica". - La prima parola che ha detto? "Immagino sia stata "mamma", ma non ricordo. Per�, avendo un figlio di sei mesi, sto aspettando che dica la sua prima parola. Io spero sia "pap�", e per questo gliela ripeto in continuazione. Ma interpretando i versetti che ha iniziato a fare mi sa che sar� "mamma"...". - Quelle che dice appena sveglio? ""Ho sonno", "Voglio dormire" o "Ancora 10 minuti". Mi alzo presto perch� ho in casa un bimbo di 7 anni, Diego (il primo figlio della moglie Simona, ndr), che vuol fare colazione con me e mi apre gli occhi "manualmente" alle 7.15". - Quando si guarda allo specchio la prima parola che le viene in mente �... ""Odd�o", "Aiuto!". Per� non � neanche pi� cos� vero: sono dimagrito di otto chili negli ultimi sei mesi...". - Come ha fatto? "Ho smesso di mangiare i dolci, di cui vivevo. � bastato questo per cambiare metabolismo. Li ho aboliti per motivi di salute perch� avevo i trigliceridi alti. Ora si sono dimezzati e posso confermarlo: gli zuccheri fanno male! Ma mi mancano tanto, ogni tanto me li sogno...". - Come far� ogni anno il 2 ottobre, giorno del suo suo compleanno? "Non posso ricadere nel vizio e quindi eviter� di fare una festa con la torta, anche perch� se ne mangio una fetta, il giorno dopo finisce che ne mangio dieci. Magari far� una torta salata per mettere due candeline "a numero", visto che ormai quelle corrispondenti alla mia et� non ci starebbero. Sono felice, per�, perch� tanti mi dicono che non dimostro la mia et�, forse perch� ho i lineamenti da bambino. Quando ero un ragazzino questo per me era un disastro, ora invece � un vantaggio". - Torniamo alle parole: quale usa per chiamare sua moglie? "La chiamo per nome: Simona (Sparaco, scrittrice, ndr). Per� il giorno in cui ha vinto il premio letterario DeA Planeta per il libro "Nel silenzio delle nostre parole", nella rubrica del telefono ho associato al suo numero il nome: "DeA". Ma non la chiamo cos�, ovviamente". - Visti i rispettivi lavori, le parole sono state galeotte nel vostro amore? "Hanno influito. Ci siamo conosciuti con le parole e solo in seguito di persona. La nostra prima comunicazione, vivendo lontani, � avvenuta via mail. Poi al telefono ci siamo raccontati tante cose. Quando ci siamo conosciuti di persona sapevamo gi� tutto l'uno dell'altro. Mi chiedevo solo se mi sarebbe piaciuto il suo odore, � molto importante in una coppia. Il naso � un senso fondamentale, molto intimo. Mi � capitato di intervistare donne bellissime che per� avevano un odore che non mi piaceva, respingente". - Per vostro figlio usa un nomignolo? "Si chiama Tommaso e temo verr� naturale prima o poi chiamarlo Tom o Tommy. Ma per ora uso il nome per esteso. Mi sono anche imposto di non fargli la vocina scema. Anche se poi quando si sveglia, mi guarda serio e dopo cinque secondi mi mette a fuoco e ride, io mi sciolgo come un bign�". - La parola che usa pi� spesso? "Nei momenti di vuoto e silenzio dico "allora". Me ne sono accorto rivedendomi in tv. Quest'anno mi impegner� a farlo meno!". - Ha un intercalare tipico? "Ho alcuni tormentoni che mi piacciono e che uso in trasmissione. In particolare ho una domanda che ho fatto per la prima volta a Giuseppe Fiorello e che ora pongo spesso ai miei ospiti: "Quando � stata l'ultima volta che hai fatto qualcosa per la prima volta?". Non � marzulliana, � un modo per risalire all'ultima volta in cui ci si � sentiti bambini. Tutti gli ospiti ridono all'inizio, poi ci pensano e tirano fuori cose pazzesche". - Lei cosa risponderebbe? "Non ci sono dubbi: un figlio alla mia et� � una bella scommessa". - Qual � la parola che ha il suono pi� piacevole? "La mia amica, la scrittrice Chiara Gamberale, dice sempre che le piace la parola "annu�". Gliela rubo". - Quella dal significato pi� bello? "Rimane "amore". Anche se la usiamo troppo e a sproposito, � il suono pi� bello. Ed � magico. Ma andrebbe pi� pensata che detta". - Citando il film "Love story", in amore non si dovrebbe mai dire... "� colpa tua". Non � mai colpa di nessuno, e i problemi dipendono da entrambi. Non ci sono vittime se non nei casi limite o di cronaca nera. Dire questa frase fa solo chiudere l'altro in se stesso e blocca la comunicazione. Il problema delle parole � che sono sempre interpretabili in base al tono e al contesto in cui vengono pronunciate. A Diego, quando si lamenta con Simona perch� esce e le dice: "Mamma, te ne vai?" spiego che fra dieci anni user� quella stessa frase, ma cambier� il tono e quindi il significato". - La parola che ama sentirsi ripetere? "Mi piace che mi dicano "bravo", perch� in fondo sono un insicuro. Quando l'insicurezza non � cronica ti permette di non prenderti mai troppo sul serio, ed � un bene. Da anni curo una rubrica per il Corriere della Sera, eppure ogni volta che mando il pezzo al giornale ho la stessa ansia della prima volta. Forse per� � il segreto per vivere bene". - Sulla porta del suo ufficio cosa scriverebbe? "Portatemi solo problemi gi� risolti". - Conta fino a 10 prima di parlare? "Dovrei farlo pi� spesso. Ogni tanto faccio delle gaffe. Il silenzio a volte � l'arma migliore. L'ideale sarebbe parlare solo quando non si hanno altri modi per comunicare". - � pi� bravo a parlare o ad ascoltare? "Per me � uno sforzo ascoltare, per� quando l'ho fatto nella vita ho avuto grandi soddisfazioni. Una mia insegnante diceva che non � un caso se abbiamo una bocca sola e due orecchie. Siamo nell'epoca del narcisismo e proprio per questo conquisti gli altri semplicemente ascoltandoli. Anche in tv mi rendo conto che le interviste pi� belle sono quelle in cui mi interessa quello che racconta l'ospite". - Le parole che non ha mai detto? "Come tutti ho il rimpianto di non avere detto certe parole a persone che non ci sono pi�. Penso a mio padre, scomparso 20 anni fa. Quando una persona se ne va lentamente, per scaramanzia rimandi quello che vorresti dirle, ma la verit� � che il tempo non c'�. Avrei voluto chiarire alcune cose, farmene raccontare altre. Invece era gi� sul letto di morte e ogni volta che cercava di parlarmi glielo impedivo dicendo che avremmo avuto tempo. Mi ingannavo. Nelle ultime settimane sono stato tanto tempo con lui, ore e ore a guardare la tv. Se solo avessi abbassato il volume... ma forse avevamo paura entrambi". - Le parole con le quali vorrebbe essere ricordato? ""Fai bei sogni". Una bella frase, oltre che il titolo del mio libro. In realt� non c'� una parola precisa, per� mi piacerebbe che l'ultima parola a uscire dalle mie labbra fosse "grazie"".