Dicembre 2020 n. 12 Anno L MINIMONDO Periodico mensile per i giovani Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registrazione 25-11-1971 n. 202 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Pietro Piscitelli Massimiliano Cattani Luigia Ricciardone Copia in omaggio Rivista realizzata anche grazie al contributo annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del MiBACT. Indice Chiusura per ferie Accadde il 25 dicembre A lezione dal virus Meglio ordine o disordine? Se non ci fosse la neve Magnesio: minerale indispensabile e tuttofare Cotechino e zampone: la bont� continua dopo le feste Claudio Baglioni: una vita in 14 canzoni Chiusura per ferie Informiamo i nostri gentili lettori che la Biblioteca rimarr� chiusa per le festivit� natalizie e di fine anno nei giorni dal 24 al 31 dicembre 2020 e riaprir� il giorno 4 gennaio 2021. Con l'occasione auguriamo a tutti buone Feste. Accadde il 25 dicembre (di Roberto Roveda, "Focus Storia" n. 159/20) - Secondo la tradizione, Natale � il giorno della nascita di Ges�, ma questa data � legata anche a tanti altri curiosi eventi storici... - Dalle fonti storiche sappiamo che l'imperatore Aureliano nell'anno 274, volendo unificare culturalmente il mondo romano, istitu� per decreto un dio uguale per tutti i sudditi dell'impero (ovvero il Sol invictus) e ne fiss� la festa (Dies natalis) dopo il solstizio d'inverno. Nel 352, quando il cristianesimo era legale da meno di quarant'anni, papa Giulio I fiss� la celebrazione della nascita di Ges� a fine dicembre. Cos�, quando nel 380 l'imperatore Teodosio I eman� un editto che faceva del cristianesimo l'unica religione ammessa nell'impero, i fedeli, sostituite le festivit� pagane con quelle cristiane, si trovarono il Natale del Dio Unico gi� pronto e fecero presto a rimpiazzare il Sole con Ges�. Anche se quella data non � mai citata nei Vangeli. Lo scambio sembr� pi� che lecito e la fatidica data, nei secoli, assunse un valore simbolico diventando uno scenario ideale da "sfruttare" per suggellare incoronazioni, buone azioni, ma anche plateali esecuzioni. In ginocchio davanti alla Chiesa - Teodosio fu l'ultimo imperatore a governare su tutto l'impero romano. Era un grande generale e un uomo spietato, ma il 25 dicembre del 390 dovette inginocchiarsi di fronte al vescovo di Milano Ambrogio, oggi santo patrono della metropoli lombarda. Il sovrano aveva fatto massacrare migliaia di persone a Tessalonica, in Grecia, per vendicare l'uccisione di un suo funzionario. Ambrogio critic� la condotta imperiale e invoc� la penitenza pubblica. Imperatori divini - Uno dei giorni pi� importanti della storia occidentale � il 25 dicembre dell'anno 800, quando durante la messa di Natale, papa Leone III incoron� imperatore Carlo Magno. Fu l'inzio del Sacro romano Impero destinato a incidere profondamente sulla storia d'Europa per tutto il Medioevo e a durare pi� di mille anni. L'ultimo "sacro romano imperatore" fu, infatti, Francesco II d'Asburgo che rinunci� al titolo il 2 agosto 1806. Il 25 dicembre 1926, Hirohito divenne il 124-esimo imperatore del Giappone. Fu l'ultimo sovrano a essere considerato di origine divina e guid� l'Impero del Sol Levante durante la Seconda guerra mondiale. Vide le bombe atomiche americane distruggere Hiroshima e Nagasaki e dopo la capitolazione del Giappone nel 1945 dovette rinunciare alle sue prerogative di sovrano assoluto e riconoscere pubblicamente di essere un uomo come gli altri. Rimase sul trono fino al 1989. Sapore di mare - Cristoforo Colombo voleva a tutti i costi celebrare il Natale a terra durante il viaggio che lo aveva portato a scoprire l'America. Si avvicin� alle coste dell'isola da lui chiamata Hispaniola (oggi Haiti) ma una delle caravelle si incagli� sulla barriera corallina. Era il 25 dicembre 1492 e Colombo, una volta tratti in salvo i naufraghi, li fece sbarcare sulla terraferma. Qui, con i resti della caravella venne costruito un forte, il primo insediamento europeo nel Nuovo Mondo. Colombo lo chiam� Navidad, cio� "Natale". Il 25 dicembre 1643, invece, il capitano di una nave della Compagnia inglese delle Indie Orientali avvist� una piccola isola nell'oceano Indiano, al largo dell'Indonesia. Venne chiamata l'Isola di Natale, oggi appartiene all'Australia ed � uno dei luoghi pi� incontaminati della Terra. Infine, il 25 dicembre 1938 alcuni pescatori sudafricani trovarono nelle loro reti un pesce sconosciuto. Si trattava di un celacanto, specie creduta estinta da milioni di anni, quindi si trattava di un fossile vivente! Le buone azioni - Nel 1551 il re d'Inghilterra Edoardo VI (figlio di Enrico VIII) fece rinviare la condanna a morte del duca di Somerset, Edward Seymour, perch� l'esecuzione era fissata per il 25 dicembre. In realt� il condannato era lo zio del sovrano ed Edoardo us� questo stratagemma sperando di salvarlo. Fu inutile perch� Seymour fu giustiziato comunque, per volere del Parlamento inglese, il 22 gennaio 1552. Invece il giorno di Natale del 1868 il presidente Usa Andrew Johnson decise di concedere la grazia a tutti coloro che avevano combattuto per la Confederazione degli Stati del Sud durante la Guerra di secessione. Fu il primo, vero tentativo di rappacificare nordisti e sudisti. Il 25 dicembre 1977 si ricorda la prima visita di un presidente d'Israele in un Paese arabo. Il leader israeliano Begin si rec� al Cairo per incontrare il presidente egiziano Sadat. Giorno nero per il comunismo - Il 1989 fu l'anno della caduta dei regimi comunisti dell'Europa Orientale e del crollo del Muro di Berlino. In Romania il dittatore Nicolae Ceausescu cerc� di reprimere con la forza i tentativi di rovesciare il suo regime, ma i suoi collaboratori lo fecero arrestare con la moglie Elena. I due furono condannati a morte in un processo sommario che dur� meno di un'ora. Il 25 dicembre 1989 furono uccisi a colpi di kalashnikov. Due anni dopo, sempre nel giorno di Natale, Michail Gorbaciov rassegn� le sue dimissioni da presidente dell'Urss. Fu l'evento che segn� la fine dell'Unione Sovietica, lo Stato nato al posto della Russia dopo la Rivoluzione bolscevica del 1917. A lezione dal virus (di Margherita Fronte "Focus" n. 338/20) - mSiamo nell'era delle pandemie. Quali insegnamenti possiamo trarre da Covid-19, per ridurre l'impatto delle malattie emergenti? - "Uno storico assalto alla specie umana, inimmaginabile fino a pochi mesi prima, capace di mettere in discussione le nostre conoscenze e le nostre certezze sul futuro". Cos�, in settembre, due fra i massimi esperti mondiali di malattie infettive - gli statunitensi Anthony Fauci e David Morens - definivano la pandemia di Covid-19 in un articolo pubblicato dalla rivista Cell. Comparsa alla fine dello scorso anno, e diffusasi a un ritmo crescente, la nuova malattia ci ha infatti catapultato in uno scenario che pareva possibile soltanto nei film di fantascienza. Uno scenario che potrebbe per� ripetersi, se non impareremo ad "addomesticare" i virus che verranno. Nel loro articolo, Fauci e Morens lo sottolineano con grande efficacia: "I passaggi di agenti infettivi dall'animale all'uomo hanno caratterizzato tutta la nostra storia. Ma l'accelerazione alla quale stiamo assistendo negli ultimi decenni non ha precedenti". Delle 18 pandemie che hanno colpito la specie umana, 11 si sono verificate nel XX secolo e ben 8 negli ultimi 40 anni. Non solo: alle pandemie - termine che indica la diffusione a tutto il mondo di agenti infettivi nuovi - si aggiunge una miriade di altre epidemie che sono rimaste per ora confinate a livello locale. "Siamo entrati nell'era delle pandemie", scrivono i due esperti. "Le cause di questa nuova situazione sono molteplici, complesse e vanno valutate con grande attenzione". Il primo insegnamento di Covid-19 riguarda il rapporto fra noi e la natura. Infatti, la probabilit� che si verifichi uno spillover (il passaggio di un agente infettivo dall'animale all'uomo) aumenta con la frequenza dei contatti fra noi e le specie portatrici di virus. Gli animali sotto osservazione sono numerosi, ma i pi� pericolosi sono i pipistrelli del genere Rhinolophus, da cui � arrivata Covid-19, ma anche la SARS, e la MERS (diffusa in Medio Oriente); i maiali, vettori dell'influenza suina del 2009; i polli, a rischio per l'aviaria; i primati, che ci hanno trasmesso l'Aids; e le zanzare, portatrici di molte malattie. I contesti pi� critici sono invece gli allevamenti intensivi, i mercati di animali vivi e le aree deforestate. La deforestazione, in particolare, ha un ruolo rilevantissimo, perch� ci mette a contatto con animali che, perdendo il loro habitat, si avvicinano pericolosamente a villaggi e citt�, con tutto il loro carico di virus. Recentemente, sulla rivista Science, un gruppo di ecologi ed economisti ha stimato che un investimento annuo di appena 9,6 miliardi di dollari potrebbe dimezzare il ritmo della deforestazione nelle aree pi� a rischio (Sud-est asiatico, Amazzonia, alcune parti dell'Africa) e ridurrebbe del 40% la probabilit� di spillover. Ma finch� la situazione rester� quella che �, l'arma che dobbiamo imparare a usare meglio � il monitoraggio. L'istituzione di sistemi di sorveglianza, capaci di identificare gli spillover, � stata tentata pi� volte; la pandemia in corso ne testimonia il fallimento, legato a finanziamenti inadeguati e, in un caso, anche a una clamorosa marcia indietro. Ce la racconta Paolo Vineis, epidemiologo dell'Imperial College di Londra e autore, con Luca Carra e Roberto Cingolani, del libro Prevenire: "Dopo l'epidemia di Ebola, che ha colpito l'Africa Occidentale fra il 2013 e il 2016, spaventando molto anche gli Usa, l'allora presidente Obama aveva predisposto un sistema di sorveglianza globale, istituendo una rete di esperti in diversi Paesi, che avrebbero dovuto a loro volta attivare dei piani locali. Questo sistema � per� stato smantellato da Trump poco dopo essersi insediato". Peraltro, organizzare un sistema di sorveglianza globale � tutt'altro che banale. Servono piani internazionali e obiettivi condivisi, che possono cozzare con gli interessi economici di tanti Paesi; in Cina, per esempio, lo stop al consumo di carne di animali selvatici costerebbe 19,4 miliardi di dollari all'anno. Serve, inoltre, personale con competenze multidisciplinari, capace di individuare situazioni di rischio che possono sfuggire a un osservatore meno esperto. Situazioni come quella che, nel 1998-1999 ha determinato lo spillover del Nipah virus in Malesia. Questo agente infettivo arriva dai pipistrelli del genere Pteropus e determina una malattia che ha un tasso di letalit� particolarmente elevato (40-75%). Nella vicenda malese, la deforestazione, attuata per ottenere nuove terre da coltivare, spinse i pipistrelli a migrare sugli alberi che facevano ombra agli allevamenti intensivi di maiali, presenti nella zona. Il passaggio del virus dai volatili ai suini avvenne attraverso le feci. La carne dei maiali infett� gli allevatori. La sorveglianza pu� per� basarsi anche sull'identificazione dei focolai epidemici che, se presi sul nascere, possono essere controllati con relativa facilit�. Il monitoraggio pu� coinvolgere medici sentinella, che rilevano aumenti anomali nella frequenza di sintomi collegabili a malattie infettive (disturbi respiratori, gastrointestinali e cos� via). Ma i sistemi di analisi dei big data potrebbero essere altrettanto validi, e meno costosi. "L'idea � quella di raccogliere le ricerche fatte su Internet da persone malate, che interrogano la rete per sapere che cosa potrebbero avere", spiega Vineis. "In questo modo si possono identificare le aree in cui sta accadendo qualcosa che va indagato. Studi condotti all'Imperial College di Londra, e anche dall'italiano Alessandro Vespignani, alla Northeastern University di Boston, mostrano che si tratta di un metodo affidabile". Una volta individuato il focolaio, le misure di contenimento sono le stesse che, su scala molto pi� vasta, stiamo attuando da mesi per limitare la circolazione di SARS-Cov2. Sul piano dei comportamenti individuali, l'uso delle mascherine e il distanziamento riducono sensibilmente il rischio di ammalarsi, come confermano numerosi studi. L'ultimo, pubblicato da Nature Medicine, ha stimato che negli Usa, il Paese che conta il maggior numero di vittime per Covid-19, l'impiego universale delle mascherine potrebbe evitare 130.000 dei 500.000 decessi previsti dai modelli matematici entro la fine di febbraio. Ma per "abbassare la curva" contano moltissimo anche la capacit� dei singoli Stati di identificare i casi e tracciare i contatti, e le caratteristiche dell'assistenza sanitaria. A settembre, una ricerca pubblicata su Lancet ha valutato secondo questi parametri i risultati ottenuti da 9 Paesi durante la prima ondata. In generale, hanno fatto meglio i Paesi che gi� avevano un'efficace medicina del territorio, che hanno potuto assistere i malati nelle loro abitazioni, o in strutture dedicate, riservando gli ospedali ai casi pi� gravi. La mortalit� � stata poi influenzata dalla disponibilit� di posti letto nelle terapie intensive (per esempio, la Germania ne aveva 34 ogni 100.000 abitanti, contro i 9,7 della Spagna). Mentre sistemi di tracciamento come quello della Corea del Sud, capace di seguire i singoli individui 24 ore su 24, hanno consentito di controllare la diffusione del virus, ma sarebbero forse improponibili da noi per motivi di privacy. E poi c'� il lockdown, contestatissima misura, che � per� la sola in grado di invertire la tendenza se la curva dei contagi si impenna. Lo abbiamo imparato durante la prima ondata. "Il principale determinante della diffusione del virus � la mobilit� delle persone", riprende Paolo Vineis. "Nelle diverse regioni italiane, il numero di casi nella prima fase � stato direttamente proporzionale al ritardo con cui � avvenuto il lockdown. Il Sud � stato risparmiato perch� il lockdown � stato emesso prima che arrivassero i casi dal Nord. Quello che ha influito sull'attenuazione � stata la tempestivit� del lockdown, e quindi la riduzione di mobilit� e trasporti". L'ultima lezione di Covid-19 riguarda i farmaci e i vaccini. Nell'emergenza, sono infatti saltate tutte le procedure che si seguono normalmente per verificarne l'efficacia e la sicurezza. Anche prima della pandemia, le agenzie regolatorie (la FDA negli Usa, l'Aifa in Italia) disponevano di iter accelerati per l'approvazione di medicinali destinati a malattie particolarmente gravi, per cui non esiste una cura. Queste procedure sono state ampiamente usate per Covid-19, con risultati misti. C'� il caso positivo del desametasone, un antinfiammatorio noto da tempo, che si � mostrato utile nei pazienti pi� gravi. Ma c'� anche la vicenda dell'idrossiclorochina, approvata in emergenza a marzo sulla base di pochissimi dati, ma ritirata poi a fine maggio, quando studi pi� approfonditi hanno mostrato che non serviva contro la malattia, ed era persino tossica. "Da queste vicende possiamo trarre due insegnamenti", dice Antonio Clavenna, responsabile dell'Unit� di farmacoepidemiologia dell'Istituto Mario Negri di Milano. "Il primo � che � importante sostenere la ricerca anche quando non siamo in emergenza. Se non disponiamo di un antivirale efficace � anche perch� i laboratori non hanno ricevuto abbastanza fondi per cercarlo. Il secondo insegnamento riguarda la fretta: in situazioni di emergenza possiamo accettare di usare farmaci, anche in assenza di dati sufficienti su efficacia e sicurezza. Ma dobbiamo sapere che � un rischio, e non va fatta passare l'idea che si sia trovata "la cura"". Lo sottolinea anche un editoriale pubblicato dalla rivista medica Jama, riferito proprio all'idrossiclorochina: "La vicenda illustra bene i problemi delle autorizzazioni di emergenza", vi si legge. "Essi includono: il fatto che si approvino medicinali inefficaci e potenzialmente nocivi; l'interferenza di personaggi politici e di non esperti che generano pressioni sulle agenzie regolatorie; i costi che queste autorizzazioni determinano per la salute delle persone e per la credibilit� delle istituzioni". Le questioni legate all'efficacia e alla sicurezza diventano ancora pi� critiche con i vaccini, che sono dati a persone sane, per prevenire una malattia che magari non avrebbero mai preso. "L'accelerazione alla quale stiamo assistendo per Covid-19 non ha precedenti, ed � stata possibile grazie al grande dispiegamento di forze dei laboratori pubblici e privati", dice Clavenna. Gi� ora ci sono una cinquantina di preparati in fase di sperimentazione, e Cina e Russia hanno persino approvato i loro vaccini, ammettendo tuttavia di non aver completato l'iter sperimentale. "Per prodotti occidentali, i dati sono gi� sufficienti a garantire la sicurezza", prosegue l'esperto. "La valutazione dell'efficacia per� richiede pi� tempo e si far� necessariamente sul campo, una volta che i vaccini saranno disponibili". L'errore da evitare � considerare il vaccino una panacea. "Il vaccino ridurr� la circolazione del virus e ci restituir� una vita pi� normale", conclude Clavenna. "Ma SARS-Cov2 rester� con noi ancora a lungo, e non potremo abbassare la guardia". Meglio ordine o disordine? (di Elena Meli, "Focus" n. 338/20) - Il primo � utile e rende il lavoro pi� semplice. Ma non deve essere eccessivo. Il secondo � meglio non diventi un sistema. Sebbene un po' di caos aiuti - Organizzare scrivanie improvvisate per lavorare o studiare gomito a gomito coi familiari: negli ultimi mesi la pandemia ci ha costretto spesso in spazi pi� ristretti del solito, a fare i conti con la propensione per l'ordine, nostra e altrui. C'� chi lavora sereno solo su un tavolo sgombro e in stanze minimali, chi invece vive circondato da un guazzabuglio di carte, libri e suppellettili. Ma l'ambiente esterno pu� influenzare le prestazioni del cervello? Il disordine in casa o in ufficio pu� essere "creativo" o al contrario ci confonde le idee? La ricerca scientifica per lo pi� d� ragione a Marie Kondo, la guru giapponese dell'arte del riordino che in quattro e quattr'otto rassetta armadi, dispense e case intere con precisione chirurgica: tanto che Elizabeth Sander, psicologa della Bond University in Australia, ha per esempio dimostrato che l'ordine, la bellezza e l'assenza di caos dell'ambiente in cui lavoriamo � correlato a risposte cognitive ed emotive migliori. "La disorganizzazione non piace al cervello perch� drena le sue risorse e riduce la capacit� di concentrazione: pile di fogli, tazze sporche, oggetti buttati alla rinfusa sulla scrivania distraggono la mente, creano una specie di sovraccarico di informazioni visive che compromette anche la memoria di lavoro". La produttivit� e la chiarezza di pensiero ne risentono, come ha confermato uno studio del Princeton Neuroscience Institute: indagando l'attivit� cerebrale di alcuni volontari in ambienti domestici e lavorativi pi� o meno confusionari, Stephanie McMains ha verificato che fare ordine regala una miglior capacit� di attenzione e di elaborazione delle informazioni, con un beneficio netto sulla resa cognitiva. Come se non bastasse, un ambiente disorganizzato e caotico porta anche a rimandare di pi� le incombenze: chi ha una scrivania sommersa di carte e faldoni buttati l� senza un criterio preciso tende a procrastinare pi� di chi lavora fra fascicoli impilati per priorit�. "La disorganizzazione e la tendenza a temporeggiare hanno un fondo comune: mettere a posto le proprie cose scegliendo che cosa buttare o meno richiede tempo ed � un compito che molti non amano", spiega Joseph Ferrari, docente di psicologia alla DePaul University di Chicago (Usa) che ha dimostrato come chi � pi� disordinato tenda a rinviare gli impegni in ufficio, finendo per� per essere anche pi� insoddisfatto delle proprie performance lavorative. L'effetto negativo sul cervello della disorganizzazione degli ambienti sembra dipendere dallo stress indotto dal caos: volenti o nolenti, una stanza confusa e disordinata ci mette inconsciamente in allarme. Aumenta infatti il livello dell'ormone dello stress, il cortisolo, con un effetto ancora pi� evidente nel sesso femminile che forse dipende dal retaggio culturale. "Le donne si sentono spesso responsabili dell'ordine e quando non riescono provano maggior disagio", specifica Darby Saxbe, psicologa dell'Universit� della California del Sud (Usa) che ha studiato gli effetti del disordine sul grado di stress. Tutto questo ha conseguenze non solo sull'attivit� cognitiva, che peggiora, ma anche sul benessere in generale: alcune ricerche dimostrano che dormire in stanze disordinate per esempio facilita la comparsa di disturbi del sonno, rendendo pi� difficile addormentarsi o favorendo brutti sogni, e vivere in una casa caotica fa ingrassare perch� si tende a mangiucchiare di pi�. Un ambiente confusionario pu� poi mettere alla prova le relazioni personali, perch�, stando a dati raccolti da ricercatori del Dipartimento di Psicologia della Cornell University statunitense, il disordine impedisce di interpretare correttamente le espressioni e le emozioni dell'altro, finendo per provocare pure pi� litigi e discussioni. Gli altri per giunta ci giudicano proprio in base all'organizzazione dei nostri spazi: uno studio statunitense dell'Universit� del Michigan ha dimostrato che entrare in un ufficio ordinato (libri sugli scaffali, carte ben impilate, cartacce nel cestino) porta a giudicarne il proprietario pi� coscienzioso e affidabile rispetto a chi lavora in uno spazio disorganizzato (con libri per terra, fogli sparsi e cos� via). L'apparenza conta insomma: l'impressione, spiegano gli autori della ricerca, � che si tratti di una persona negligente e pure pi� irritabile e difficile da gestire. Vale perfino per l'abbigliamento: chi � poco curato viene considerato meno preparato, competente e perfino intelligente di chi si presenta in ordine, stando a dati raccolti da Eldar Shafir dell'Universit� di Princeton. Quindi il cosiddetto "decluttering", ovvero rimettere in ordine i propri spazi di vita, ha effetti positivi sul benessere e la produttivit�? Pare proprio di s�: studi del Dipartimento di Psichiatria e Scienze Comportamentali dell'Universit� di Washington (Usa) hanno mostrato che riordinare aiuta a concentrarsi perch� toglie il rumore di fondo che compromette la capacit� di attenzione del cervello. Come sottolinea l'autrice, Brenna Renn, "Pensiamo di essere multitasking, ma in realt� passiamo soltanto da un compito all'altro: cos�, se lo sfondo all'home office � un lavello colmo di piatti o una lavatrice di panni da piegare, la nostra mente sa di doversene occupare prima o poi e fatica di pi� a focalizzarsi sugli altri compiti. Riordinare � la soluzione, ancora di pi� per chi soffre d'ansia ed � quindi costantemente in stato di iper-vigilanza: per queste persone gli oggetti fuori posto possono essere una fonte di disagio ancora maggiore". Secondo la psicologa, perfino i disordinati pi� impenitenti possono riuscire nel decluttering: spesso il disordine deriva dall'eccesso di cose e dall'iper-attaccamento che proviamo per ci� che possediamo, che ci impedisce di separarci dagli oggetti e cos� rassettare stanze e scrivanie. La soluzione? "Innanzitutto acquistare di meno, poi iniziare a mettere ordine un mobile o una stanza alla volta", consiglia lo psicologo Joseph Ferrari. Anche l'ordine, per�, � negli occhi di chi guarda: per qualcuno il mucchietto di posta sul mobile all'ingresso non � disordine, per altri le chiavi di casa fuori posto possono gi� suscitare fastidio. E ci sono poi momenti della vita in cui il caos sembra quasi la norma: chi ha un adolescente in casa sa che spesso � bene non aprire la porta della sua camera. In effetti i giovanissimi sembrano convivere senza difficolt� con libri accatastati, panni sporchi e residui di cibo. "La confusione che circonda gli adolescenti � un problema solo per i genitori: � spesso uno dei mezzi scelti per prendere le distanze dalla famiglia e si presenta in un momento cognitivo particolare, in cui c'� disordine anche fra le connessioni nervose, che durante l'adolescenza vengono continuamente modificate e rimaneggiate", risponde Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di Neuroscienze all'Ospedale Fatebenefratelli di Milano. "Dovrebbe far riflettere di pi� l'assenza di oggetti e l'ordine estremo, che spesso � una corazza nei confronti dell'emotivit�". In generale � proprio dagli eccessi che bisogna guardarsi, come aggiunge Massimo Di Giannantonio, presidente della Societ� Italiana di Psichiatria: "I segnali di disagio sono sempre quelli estremi: il disordine che diventa confusione e accumulo di oggetti, l'ordine che diventa ossessione maniacale per la pulizia e il "vuoto" attorno. In questi casi � opportuno chiedersi se ci sia un disturbo emotivo, altrimenti il disordine, adolescenziale o meno, non deve preoccupare troppo. Intanto perch� comunque esistono profili di personalit� campo-indipendenti, ovvero chi � poco influenzato dalle componenti ambientali per la performance mentale: queste persone hanno buone prestazioni di attenzione, memoria di lavoro ed elaborazione cognitiva pure in ambienti dove c'� confusione, visiva o sonora (anche il rumore � considerato disordine dal cervello, ndr). Inoltre l'ordine estremo di chi vuole fogli e penne allineate sulla scrivania pu� essere indice di rigidit�, mentre la flessibilit� nell'organizzazione degli spazi, che a un osservatore esterno pu� sembrare disordine, a volte sottintende creativit�. Se naturalmente non si scivola in un caos in cui ci si perde". C'� insomma spazio per un piccolo elogio del disordine: uno studio di Kathleen Vohs dell'Universit� del Minnesota (Usa) ha sottolineato che qualche volta lavorare in uno spazio disordinato pu� avere i suoi vantaggi, perch� favorisce la generosit� e il pensiero non convenzionale oltre a stimolare nuove idee. Invece chi ha scrivanie impeccabili tende a fare quel che ci si aspetta da lui ma non di pi�. Del resto se lo chiedeva anche Albert Einstein, che lavorava sempre immerso in una babele di fogli e libri: "Se una scrivania ingombra di cose � segno di una mente ingombra di pensieri, di cosa � segno una scrivania completamente vuota?". Se non ci fosse la neve (di Giovanna Camardo, "Focus" n. 329/20) - Serbatoio, protezione, "condizionatore": il manto candido ha una funzione essenziale per noi e l'ambiente. In sua assenza, la nostra vita cambierebbe - Al posto della settimana bianca, non ci resterebbe che partire per la "settimana verde": una vacanza sui pendii alpini dove praticare sci d'erba. Racchette da neve e slittini li potremmo usare, al massimo, come decorazione delle baite. Come magra consolazione, almeno non dovremmo andare dal gommista a mettere gli pneumatici invernali. Possibile, se... non ci fosse la neve. Che cosa succederebbe, infatti, se non cadessero pi� fiocchi? Che cosa accadrebbe al paesaggio e agli esseri viventi? E quali problemi avremmo, oltre all'estinzione della settimana bianca? Abbiamo provato a immaginare un mondo senza neve, con l'aiuto degli esperti. Come sarebbe, nel complesso? "Molto pi� caldo", dice subito Antonello Provenzale, direttore dell'Istituto di geoscienze e georisorse del Cnr. "La quantit� d'acqua sulla Terra � la stessa, ma pi� caldo fa, meno rimane nello stato solido e pi� passa allo stato liquido e gassoso. Per essere senza neve - ovvero con tutte le precipitazioni in forma liquida - il mondo dovrebbe quindi essere pi� caldo. Con molta umidit� nell'atmosfera e grandi piogge". Questo scenario non � soltanto una fantaipotesi. "Per vedere una Terra senza neve ci basterebbe andare indietro nel tempo", dice Provenzale. "Il clima del nostro Pianeta ha oscillato pi� volte: � passato da condizioni in cui la Terra era quasi, o forse del tutto, coperta dai ghiacci, a fasi senza neve. Circa 55 milioni di anni fa, c'� stato un periodo molto caldo in cui non c'era ghiaccio, o al massimo pochissimo sulle cime pi� alte; le temperature erano ben pi� alte di quelle odierne, soprattutto nelle aree polari. Poi la temperatura media � diminuita, fino a 8-10�C in meno". Abbastanza perch� l'Antartide, circa 34 milioni di anni fa, iniziasse a diventare il continente gelato che conosciamo. "Ma 10 milioni di anni fa i ghiacci delle zone artiche erano ancora pochi", aggiunge Provenzale. "Solo circa 3 milioni di anni fa, l'Artico si � del tutto imbiancato e siamo entrati in un'era "fredda", con un'alternanza di ere glaciali e periodi interglaciali come quello in cui ci troviamo". Detto ci�, � inevitabile una domanda: il riscaldamento globale causato dall'uomo sta rendendo la nostra fantaipotesi non cos� "fanta"? No, per�... "I modelli climatici non prevedono una scomparsa totale delle precipitazioni nevose", puntualizza Fabrizio de Blasi, dell'Istituto di scienze polari del Cnr. "Ma una loro diminuzione s�: nello scenario peggiore (quello senza drastica riduzione della CO2, con entro il 2100 un innalzamento di temperatura di 4�C rispetto alla seconda met� dell'800), si prevede una fortissima riduzione della neve sul totale delle precipitazioni. Peraltro, la stagione della neve si � gi� ridotta molto: comincia pi� tardi e finisce prima". Tornando al nostro mondo ipotetico, per�, immaginiamo che la stagione bianca sia solo un ricordo. La conseguenza pi� appariscente (anche se meno traumatica di altre, come vedremo)? Niente neve, niente piste: dovremmo rassegnarci ad appendere al chiodo sci, ciaspole e slittini. O potremmo cercare altre soluzioni. Per esempio, sviluppando quelle discipline che gi� usano supporti "alternativi": lo sci d'erba, come dicevamo all'inizio, o lo snowboard su sabbia. "Oppure, anche se allo scialpinismo diremmo addio, per le piste potremmo ricorrere alla neve artificiale, come gi� succede: produrla, per�, costa e consuma molta energia", dice de Blasi. E in pi� i cannoni sparaneve (che spruzzano acqua e aria compressa) richiedono temperature basse. Altrimenti si dovrebbero mantenere le giuste condizioni in impianti indoor, che gi� oggi permettono di sciare in qualsiasi clima e stagione. Ce n'� persino uno, particolarmente impressionante visto che dentro la temperatura � tra -1 e 2�C e fuori di 35, a Dubai: � lo Ski Dubai, nel Mall of the Emirates. Pure le Olimpiadi invernali dovrebbero ripiegare su surrogati tecnici. Del resto, anche nella realt� qualche problemino potrebbe esserci. Daniel Scott, della University of Waterloo (Canada), ha analizzato le localit� dove si sono svolti i Giochi invernali: 9 su 21 rischiano di essere troppo calde, nel 2050, per ospitare nuovamente le competizioni. Chiss�, magari dopo i Mondiali di calcio 2022 in Qatar, le Olimpiadi invernali potrebbero essere assegnate a Dubai e ai suoi impianti indoor... Sull'ambiente, la scomparsa della neve avrebbe per� effetti ben pi� radicali. "Con il tempo tutti i ghiacciai fonderebbero. La neve � infatti l'unico "ingrediente" di un ghiacciaio: quella che si accumula in inverno e non si fonde in estate, compressa dai nuovi strati caduti, si trasforma in ghiaccio", spiega de Blasi. "Senza neve, i ghiacciai perderebbero sempre pi� volume fino alla loro totale scomparsa". La conseguenza sarebbe, tanto per cominciare, un cambio radicale del paesaggio: immaginiamoci le Alpi senza pi� bianco o la Groenlandia spoglia. "Sulle rocce e sui detriti lasciati dal ritiro dei ghiacci si formerebbe nuovo suolo, nell'arco di centinaia di anni, pronto per ospitare le piante. Inoltre, dove prima c'erano i ghiacciai nascerebbero nuovi laghi, che occuperebbero gli avvallamenti e potrebbero essere alimentati dalle piogge", dice Michele Freppaz, docente di nivologia e pedologia (lo studio del suolo) all'Universit� di Torino. Pi� devastante l'effetto indiretto sulle coste, che finirebbero sott'acqua. "Se tutto il volume di neve e ghiaccio presente sulle terre dovesse fondere, il livello medio dei mari si alzerebbe di 70 metri: abbastanza perch� il Mediterraneo allaghi la Pianura Padana fino a Pavia", afferma de Blasi. Ma i problemi non sarebbero finiti. "Un mondo senza neve � un mondo con meno acqua disponibile, in cui rischiamo di non averla quando pi� ne abbiamo bisogno", avverte Elisa Palazzi, dell'Istituto di scienze dell'atmosfera e del clima del Cnr. Su questo gli esperti sono concordi. "La neve e il ghiaccio sono oggi una fondamentale riserva d'acqua: i nevai sulle montagne sono come "dighe" in quota, da cui l'acqua verr� rilasciata pi� o meno lentamente con la fusione nel periodo primaverile-estivo", conferma Fabrizio de Blasi. "I ghiacciai inoltre svolgono un importante "effetto tampone", cio� forniscono acqua nei periodi di lunga siccit� estiva: nell'estate secca del 2003, in agosto, il 30% dell'acqua del Po derivava dalla fusione glaciale". Che cosa succederebbe invece nel nostro mondo senza neve? "La stessa acqua cadrebbe come pioggia, finendo subito nei torrenti e via via nel mare", chiarisce de Blasi. La portata dei corsi d'acqua sarebbe legata solo alla pioggia che li alimenta: i temporali, anche d'inverno, potrebbero portare a valle grandi quantit� d'acqua, che invece mancherebbe con la siccit�. Concorda Provenzale, ipotizzando che "per sostituire i "serbatoi glaciali" dovremmo probabilmente costruire pi� dighe", per trattenere l'acqua piovana e rilasciarla quando serve. "Oppure dovremmo prendere l'acqua dal mare, con costosi impianti di desalinizzazione", aggiunge Palazzi. Insomma, dovremmo adattarci. Ma la flora e la fauna degli ambienti innevati per mesi? I loro ecosistemi sarebbero rivoluzionati. Gi�, perch� la neve non � un manto freddo e sterile. Per le piante fa da coperta, concime, irrigazione. "� un ottimo isolante e protegge la vegetazione che resta sotto di essa: funziona come un piumino, l'aria sopra pu� essere a -20�C, ma il suolo sotto non congela. Oggi stiamo verificando che, dove la neve non c'� pi�, il suolo � pi� freddo e la vegetazione esposta al gelo", spiega Freppaz. "In pi�, la neve quando cade raccoglie sostanze chimiche dall'atmosfera e le rilascia all'inizio della fusione: per le piante, � un prezioso apporto di acqua e sostanze nutritive". Negli ex ecosistemi "innevati" si stabilirebbero altri adattamenti. Nuove specie arriverebbero. "Con un'espansione delle praterie e una risalita degli alberi a quote pi� alte", dice Palazzi. Altre, pi� legate alla neve, potrebbero non farcela. "Rischierebbero di estinguersi piante come il salice erbaceo (Salix herbacea), piantina che cresce ad alte quote o nell'Artico: ama stare sotto tanta neve e quando questa fonde si sveglia e si riproduce velocemente. O un'alga come Chlamydomonas nivalis: si sviluppa proprio sulla neve e le d� un colore rossastro", spiega Freppaz. "E, senza pi� valanghe, con i rischi per noi scomparirebbero per� particolari "microambienti", quelli che si formano dove le valanghe arrivano, portando terra, semi, neve". Bisogna poi considerare che l'assenza di neve non sarebbe solo un effetto, ma una causa dell'aumento di temperatura. "La neve contribuisce a tenere fresco il Pianeta: la sua assenza amplifica il riscaldamento. Questo perch� riflette molto la radiazione solare che giunge sulla Terra, riducendo quindi la quantit� che "entra" nel sistema e lo scalda", spiega Palazzi. "La neve appena caduta, bianca, riflette quasi tutta la luce; le superfici scure, come la vegetazione, molto meno. Quindi se diventasse spoglia l'enorme superficie coperta dalla neve in inverno - che � quasi tutta nell'emisfero nord - meno radiazione solare sarebbe riflessa e pi� calore sarebbe prodotto". In una simulazione, Stephen Vavrus della University of Wisconsin-Madison (Usa) ha tolto la neve dalla superficie terrestre, convertendola in pioggia. "Il mondo � risultato pi� caldo in media di 0,84�C. Ma con un riscaldamento ben maggiore in Nord America ed Eurasia (5�C) e in inverno (8-10�C). E soprattutto in zone con estesa copertura nevosa, come Siberia e Canada: rimuovere la neve ha causato un forte riscaldamento dell'aria su queste aree", spiega Vavrus. Questo potrebbe portare a cambi in circolazione atmosferica e meteo: pensiamo che ora la neve in Siberia raffredda l'aria e influenza il meteo in altre regioni. "E le masse di aria estremamente fredda, come quelle che si creano nell'Artico, non si formavano senza l'effetto raffreddante del manto nevoso", dice Vavrus. Insomma, ricordiamoci sempre che tutto sommato non dovremmo essere cos� seccati quando ci tocca mettere le catene... Magnesio: minerale indispensabile e tuttofare ("RivistAmica" n. 10/19) - Questo elemento supporta molteplici preziose attivit� a livello organico: ecco quali sono, in quali alimenti trovarlo e quando pu� essere necessaria un'integrazione - Tra i numerosi minerali con funzioni benefiche importanti per l'organismo, il magnesio merita una considerazione particolare: "� un minerale indispensabile, e partecipa alla produzione dell'energia, al metabolismo di proteine e carboidrati e al controllo di muscoli, nervi, glicemia e pressione, oltre a essere fondamentale per la salute ossea. Si trova in molti alimenti, soprattutto in frutta e verdura", spiega la dottoressa Alice Cancellato, nutrizionista di Milano che lavora come libera professionista e collabora con l'IRCCS Ospedale San Raffaele. I minerali sono dei nutrienti essenziali, ovvero non vengono sintetizzati dal nostro organismo, ma partecipano a numerose funzioni che il nostro corpo porta avanti in ogni momento della giornata. Si trovano sia in alimenti vegetali che in quelli di origine animale, perci� per assicurarsi il corretto apporto di tutti i minerali necessari alla propria salute, la regola base � quella che abbiamo imparato a seguire nelle 10 "puntate" di questa rubrica: optare per una dieta sana e variegata. Le linee guida raccomandano di assumere almeno 300 mg di magnesio al giorno: "Questo fabbisogno si copre tranquillamente tramite l'acqua che beviamo e l'alimentazione", rassicura la dottoressa Cancellato. "Non ci sono, inoltre, particolari accortezze da seguire per assimilarne il pi� possibile dagli alimenti. Il magnesio infatti non � un minerale che si deteriora con il calore, oppure che necessita di essere abbinato ad altri nutrienti per essere pi� "biodisponibile"". Il magnesio � particolarmente abbondante nei vegetali a foglia verde, nei legumi, nei cereali integrali, nella frutta fresca e secca e nei semi. Nello specifico, tra i cibi pi� ricchi di questo minerale si possono citare il miglio, carciofi e spinaci crudi, fagioli cannellini, gamberi, fichi d'india, cacao amaro e cioccolato fondente al 70%, noci brasiliane, noci di macadamia e pinoli. � difficile che venga diagnosticata una carenza di magnesio, a meno che non si soffra di patologie specifiche come celiachia, diabete o morbo di Crohn. Ci� nonostante � abbastanza diffusa la pratica di prendere un integratore di magnesio, per altre sue funzioni: "Questo minerale, infatti, si � rivelato utile nel contrastare crampi mestruali o muscolari in generale, ma anche mal di testa o stitichezza grazie alla sua efficacia nel rilassare nervi e muscoli". La formulazione da assumere va stabilita per� insieme al proprio medico, che deve poter valutare quale forma chimica � la pi� adatta al disturbo che si tenta di alleviare. Anche perch� un eccesso di magnesio potrebbe provocare dissenteria e portare pure ad infezioni delle vie urinarie. Cotechino e zampone: la bont� continua dopo le feste ("RivistAmica" n. 10/19) - Protagonisti di Natale e Capodanno, queste specialit� dei cenoni e i loro avanzi possono diventare ingredienti di ricette "di recupero", per ridurre gli sprechi e sorprendere i commensali - Al termine del periodo delle feste non � raro che il frigorifero trabocchi di avanzi rimasti dopo i cenoni e le numerose occasioni conviviali che caratterizzano queste giornate. Tra questi spesso ci sono anche rimanenze di cotechino e zampone, due specialit� classiche di Natale e Capodanno. Fortunatamente basta solo un po' d'inventiva in cucina per "recuperarli" riducendo gli sprechi alimentari e portare in tavola piatti appetitosi che col loro sapore ricco soddisferanno tutti i commensali, bambini compresi. Vol au vent con crema di lenticchie e cotechino - Questa ricetta � perfetta dopo Capodanno, quando avanzano anche le lenticchie, altro classico delle feste, soprattutto insieme al cotechino. Per prepararli baster� frullare le lenticchie fino ad ottenere una crema densa e tagliare il cotechino a cubetti. Farcite i vol au vent gi� pronti con un mix di questi due ingredienti e scaldateli leggermente prima di portarli in tavola. Polpette di zampone - Impossibile resistere alle polpette, ancora pi� appetitose se confezionate con lo zampone rimasto, che potrete cos� proporre in una versione originale, eventualmente da cuocere all'interno di un sugo di pomodoro. Per prepararle fate ammorbidire del pane a piccoli tocchetti nel latte e poi strizzatelo bene, quindi unitelo allo zampone sbriciolato, Parmigiano o Grana grattugiato (per una variante dal gusto pi� intenso potete aggiungere anche del pecorino), uovo sbattuto, sale, pepe e pangrattato (se necessario). Amalgamate l'impasto, mettetelo in frigo 10-15 minuti per farlo compattare e formate poi le polpette. A questo punto potete procedere alla cottura in forno o in padella. Ravioli o tortellini in brodo - La pasta fresca ben si presta a essere personalizzata con i ripieni pi� diversi. Il cotechino o lo zampone rimasti sbriciolati, fatti rosolare in padella senza aggiungere altri grassi e poi mescolati con della patata lessa e schiacciata con una forchetta sono un'ottima farcitura. Inseritela in un sottile involucro di pasta all'uovo, preparata con la ricetta classica, ovvero con un uovo per ogni 100 g di farina. Servite con un brodo di carne per una perfetta cena invernale. Fagottini con spinaci e cotechino - La pasta sfoglia o quella bris� gi� pronte sono una soluzione pratica e sfiziosa per trasformare qualsiasi avanzo in un piatto gourmet. Baster� tagliarle a quadretti, praticando delle piccole incisioni sul fondo con i rebbi di una forchetta, e farcirle ad esempio con spinaci saltati in padella, una fetta di cotechino e Parmigiano o Grana grattugiati. Ripiegate poi i bordi della pasta verso l'interno per creare dei "fagottini" attorno al ripieno e cuocete in forno per circa 30 minuti a 180�C. Una pietanza facile da preparare e perfetta sia tra gli antipasti di una cena che per l'aperitivo. Rag� di zampone Il rag� classico pu� sembrare imbattibile, ma anche la variante preparata con lo zampone � da provare. Come per la ricetta classica, tritate sedano, carota e cipolla e fate stufare gli aromi con un filo d'olio. Aggiungete lo zampone cotto e sbriciolato, fatelo rosolare e sfumate con del vino bianco. Una volta che l'alcol � evaporato, aggiungete la salsa di pomodoro e fate cuocere fino a raggiungere la densit� desiderata. Regolate di sale e portate in tavola in un fumante piatto di gnocchi o di tagliatelle. Differenze e analogie Carne di maiale macinata a grana grossa, sale, pepe, noce moscata, ma anche chiodi di garofano, cannella o vino: le ricette base del cotechino e dello zampone sono molto simili, ma esistono anche alcune differenze. Tra queste quella pi� evidente � che il cotechino � racchiuso in un budello naturale o artificiale, mentre lo zampone prende il nome dalla zampa anteriore del maiale che funge da involucro e in cottura contribuisce ad arricchire il gusto del suo contenuto. Claudio Baglioni: una vita in 14 canzoni (di Stefania Zizzari, "Tv sorrisi e canzoni" n. 49/20) - "In questa storia che � la mia" � un'autobiografia in musica. E racconta di quando era famoso solo... in Polonia - Ci ha messo sette anni a "incidere" come dice lui il nuovo disco. E finalmente, "In questa storia che � la mia" � uscito. Claudio Baglioni si racconta attraverso i 14 brani inediti che compongono l'album, in una sorta di autobiografia in musica. - Claudio, ci ha fatto attendere a lungo... "� vero. Le distanze tra un album e un altro cominciano ad aumentare. Un po' perch� hai meno da dire, dal momento che hai gi� detto tanto. Un po' perch� quello che vuoi dire cerchi di dirlo nel miglior modo possibile". - Cominciamo dall'inizio. Anzi, dagli inizi. Nel brano che cuce un po' come un filo tutti gli altri, "Uomo di varie et�", lei racconta di quando era "accompagnato da mamma a far concorsi e audizioni col risultato di un altro no...". Qual � stato il primo no della sua vita? "Era il 1967, feci il primissimo provino alla RCA in via Tiburtina a Roma: era una struttura immensa. All'ingresso il portiere aveva la livrea, l'ascensore era enorme perch� ci trasportavano i pianoforti a coda. Ricordo i tecnici con i camici bianchi come se fossero scienziati: io non avevo ancora 16 anni e il cuore me lo sentivo in gola. Cantai "Signora Lia". Mi chiesero nome, cognome e mi dissero: "Le faremo sapere". Quello fu il primo no. E pensare che poi la RCA � diventata la mia casa discografica e lo � tuttora. Non � stato amore a prima vista, per� poi � durato pi� di 50 anni... (ride)". - Ci sono stati altri no? "Eccome! Nel 1968 tornai alla carica. Feci un'altra audizione e l� proprio non ci fu ombra di dubbio: sul mio provino il direttore artistico scrisse di suo pugno con un pennarello: "Tanto questo non far� mai niente". Una sentenza, in pratica". - Ma lei non si � scoraggiato. "Per la verit� un po' s�. Poi avevo questi occhiali grossi, molto spessi, che mi separavano dal resto del mondo, avevo una timidezza che mi divorava, che non ho mai smesso di avere ma che poi nella vita ho imparato a gestire. Tutto contribuiva alla convinzione che non fossi poi cos� adatto a fare questo mestiere". - Qual � stato il no pi� bruciante? "Nel 1970 partecipai alla Mostra internazionale di Venezia nella categoria Giovani, con la canzone "Notte di Natale". La giuria era una ciurma di marinai di una nave ormeggiata a Venezia. La sera ci sarebbe stata la votazione, in palio c'era la "Gondola d'argento". Il pomeriggio feci le prove e alla fine i giornalisti e gli addetti ai lavori si complimentarono con me: ero piaciuto. Avevo grandi aspettative". - E invece? "Arrivai 16-esimo. Ultimo". - Come reag�? "Mi prese una tale malinconia che mi ripetevo: "Questa strada non � la mia". Mi incamminai da solo, nella pioggia del Lido di Venezia, e vedevo queste acque limacciose. Mi sentivo come se stessi annaspando l� in mezzo. Fu bruciante". - Poi finalmente sar� arrivato il s�. "Non ancora. Tre mesi dopo feci un altro concorso a Bari, al teatro Petruzzelli. L� ebbi l'idea di portare una sedia sul palco e di cantare la canzone seduto, mentre gli altri erano tutti impalati davanti al microfono". - E funzion�? "Macch�. Arrivai ultimo pure l�. Due ultimi posti a distanza di tre mesi: mica � da tutti, eh (ride)?". - In effetti... "E poi, quando tutto faceva pensare che non c'era "trippa per gatti", mi arriv� l'occasione di partecipare a un festival internazionale in Polonia. Vinsi il primo premio della critica con il pezzo "E ci sei tu", sempre di quel primo album che si chiamava, con un enorme sforzo di fantasia, "Claudio Baglioni". L� cambi� tutto. Passai quattro mesi in tourn�e in Polonia e in Cecoslovacchia e diventai pure famoso. Guadagnavo un sacco di soldi, avevo un pubblico di ragazze... Si stava realizzando il mio sogno, ma non in patria. Era una meravigliosa vita rock'n roll. C'era ancora la Cortina di ferro, quella moneta valeva solamente l� e ricordo che l'ultima sera avevo cos� tanti contanti che offrii la cena a 300 persone. Poi quando rientrai a Roma fin� tutto, e persino una pizza da offrire torn� a essere impegnativa". - La vera svolta quando arriv�? "Subito dopo. Ripresi in mano "Questo piccolo grande amore" che avevo cominciato ma che fino ad allora avevo lasciato da parte. Ma ero convinto che non avrebbe avuto successo, lo finii quasi come fosse un testamento, per dire a tutti: "Non mi avete capito"". - E invece. "Dopo poco l'album divent� primo in classifica. Ricordo che camminando guardavo le finestre e mi dicevo: "Forse dietro quel vetro c'� qualcuno che mi conosce, che ha sentito la mia voce alla radio". Mi faceva una sensazione stranissima. E quello fu il primo, incontrovertibile, s�!". - Sempre nella canzone "Uomo di varie et�" parla di rimpianti e di rimorsi. Quali sono? "A proposito di rimpianti, c'� quello di non aver mai scritto un musical, un'opera pop. Ci sono andato vicino tante volte, ma non l'ho mai fatto. Chiss� che prima o poi... potrebbe anche essere l'ultima cosa che far� (sorride)". - E un rimorso? "Qualche volta temo di avere esagerato con la manomissione dei miei brani pi� conosciuti, nel tentativo di renderli attuali. Una volta in un concerto del tour "Assolo" a Palermo feci "Questo piccolo grande amore" in una versione acustica molto strana, cambiando la parte armonica e forse anche un po' la melodia. Alla fine venni affrontato a male parole da una signora che mi disse: "Lei non si deve permettere di toccare queste canzoni, perch� non sono pi� sue, sono di tutti noi!". Al momento risposi rasentando la rissa verbale: "L'ho scritta io e ne faccio quello che voglio!". Ripensandoci, la signora non aveva tutti i torti. Le canzoni hanno un potere evocativo, si legano ai ricordi e sono come delle fotografie di un tempo: eccessivi ritocchi possono sembrare una violenza". - Claudio, ha venduto oltre 60 milioni di dischi: qual � il "metodo Baglioni" per scrivere canzoni? "Un metodo vero e proprio non c'� ma ci sono delle abitudini. Preferisco la notte al giorno perch� ho pi� la percezione delle cose. Spesso prendo appunti su fogli imbrattati di parole e di note. Poi li metto nel cassetto". - Scrive con carta e penna? "S�. I testi, quando li vado a cantare in studio li scrivo a mano, perch� stampati al computer mi sembrano meno espressivi quando li canto. Raccolgo molti appunti e quando arriva il momento di fare il disco divento schizofrenico". - Cosa intende per schizofrenico? "La parte musicale mi commuove, mi rapisce e mi d� gioia. Quando devo affrontare le parole, l� comincio a penare. Mi sembra che tutto sia gi� stato detto. C'� la notte in cui sono felice perch� mi sembra di avere scritto un testo che � un capolavoro e la mattina dopo lo rileggo e mi dico: "Ma come ho fatto a scrivere una schifezza del genere?". E cos�, tra alti e bassi, si arriva alla fine. Che poi la fine pure mi fa paura perch� vuol dire che non ci posso pi� rimettere le mani". - Dove compone? "Il movimento mi d� pi� ispirazione, mi sembra pi� vitale: in tourn�e mi metto dietro in macchina con la chitarra. Vale anche per il treno: ho scritto tanto viaggiando". - Si mette al piano o alla chitarra? "Quasi sempre scrivo i brani lenti col piano e i brani dinamici con la chitarra". - Quali momenti dei due Festival di Sanremo in cui era direttore artistico ricorda con pi� piacere? "Quando ho detto: "� finito!". Avevo portato fino in fondo la nave intatta, con tutto l'equipaggio: avevamo lavorato bene. E poi c'� stata anche la benevolenza della fortuna, che ha benedetto il risultato". - Cosa le ha lasciato Sanremo? "Mi ha insegnato l'umilt� di mettersi al servizio e sapere che il Festival esiste a prescindere da chi sei e da come lo puoi fare: � lui il pi� forte, perch� � una istituzione. Questo ti insegna a fare un passo indietro". - Lo rifarebbe? "Sanremo � cos� speciale che assomiglia a un lusso. Il lusso non lo puoi avere per sempre, altrimenti non � pi� un lusso, quindi credo che fare il tris sia impensabile". - Ma la televisione le manca? � vero che sta preparando uno show con Pierfrancesco Favino? "Quando ci siamo congedati, dopo il Festival, � rimasta la voglia di fare una cosa insieme: un tour che mischi parole e musica. Ma al momento � poco pi� che una boutade, con il pensiero di portarlo anche in tv, perch� no? � possibile, mi auguro anche che sia probabile, ma non c'� ancora nulla di ufficiale". - Il nuovo disco, la tourn�e il prossimo anno... ma quando vuole rilassarsi cosa fa? "Io sono una specie di pesce. Il mio relax � concedermi di stare quanto pi� possibile vicino al mare. Anzi, quando si pu� dentro al mare, ficcato in acqua per ore e ore. Quello � il mio luogo sicuro, in cui sto con me stesso. A volte neanche con me stesso. Sto. E basta".