Marzo 2017 n. 03 Anno II Parliamo di... Periodico mensile di approfondimento culturale Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registraz. n. 19 del 14-10-2015 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Massimiliano Cattani Antonietta Fiore Luigia Ricciardone Copia in omaggio Indice Che cosa intendiamo quando parliamo di crisi della democrazia Il Gaslighting: una violenza subdola e sottile Da Calimero a Papalla, nascita e morte di Carosello Che cosa intendiamo quando parliamo di crisi della democrazia (di Nadia Urbinati, "Il Mulino" n. 6/16) Il XXI secolo � cominciato nel nome della "crisi della democrazia", oggetto di un numero notevole di volumi e di discussioni sul suo significato, se � da intendersi come stato di "sofferenza" o come stato di "declino". Gli indicatori addotti risiedono nella caduta di credibilit� dei leader eletti e nella diminuita capacit� delle istituzioni democratiche di mediare tra le esigenze dei molti (il crescente impoverimento delle classi medie) e le pretese dei pochi (certi di potere influenzare le decisioni), e di individuare risposte che diano priorit� agli interessi della larga maggioranza (spina dorsale della democrazia), per esempio arginando la disoccupazione e l'erosione del Welfare. Come negli anni Settanta, molti studiosi dubitano che la democrazia politica sia capace di far fronte al deficit di legittimit� delle sue istituzioni provocato dall'alleanza con l'economia capitalistica. Ma a differenza di quel periodo, oggi a questa diagnosi non fa seguito la strategia dell'organizzazione degli interessi e delle alleanze delle classi, bens� una retorica nazionalistica e protezionistica (la semplificazione del filo spinato in alcuni Paesi europei). L'inquietante successo di partiti e movimenti anti-migranti, non solo nel vecchio continente, non � di buon auspicio per chi diagnostica la "crisi della democrazia". Il contesto � accidentato sia per il declino di autorit� dello Stato-nazione (sul quale la democrazia moderna � stata edificata a partire dal Settecento), sia per i problemi creati dal capitalismo globalizzato, poco adatto a cooperare con la democrazia sulla base del principio di uguaglianza di opportunit� (A. Przeworski, Democracy and the Limits of Self-Government, Cambridge University Press, 2010). La dimensione politico-democratica � su base statal-nazionale; la dimensione economico-finanziaria � su base globale: questa divergenza gioca ora a tutto vantaggio della seconda, con l'incremento di un potere arbitrario di attori non politici (le agenzie finanziarie e le multinazionali) e l'asfissia delle istituzioni rette sull'imparzialit� della legge e la sovranit� dello Stato. Claus Offe, che negli anni Settanta parlava dell'inevitabilit� del deficit di razionalit� nel capitalismo multinazionale, ha di recente sostenuto (Democracy in crisis: two and a half theories about the operation of democratic capitalism, "OpenDemocracy" 9-7-2012) che questo deficit si manifesta oggi nel fallimento dei due paradigmi di governo della societ� complessa messi a punto nel secondo dopoguerra: quello della solidariet� e integrazione sociale (social-democrazia) e quello della competizione e dell'aggregazione elettorale (liberal-democrazia). Il declino di legittimit� simbolica dell'ordine democratico investe sia i modelli di matrice socialista che quelli di matrice liberale. � questo il complesso contesto sociale nel quale si alimenta il discorso sulla "crisi della democrazia", i cui indicatori sono appunto l'insoddisfazione dei cittadini per la capacit� dei governi di risolvere in maniera soddisfacente i problemi che la crisi economica ha ingigantito (giudizio negativo sull'output) e la loro scontentezza per il modo con cui i rappresentanti riflettono le loro preferenze e per che cosa scelgono di portare nella sfera pubblica della decisione (giudizio negativo sull'input). Tenendo ferme queste premesse, penso che ci dobbiamo molto preoccupare. In quel che segue cercher� di spiegare perch�. Mi concentrer� essenzialmente sulla dimensione politica della crisi che investe la democrazia rappresentativa. Sono due i grandi schemi interpretativi a questo riguardo: leggere il declino di partecipazione elettorale, di iscrizione ai partiti, di fiducia nei politici e di interesse per la politica come sintomo della fine della politica rappresentativa stessa; pensare che questo declino di fiducia non riguardi il governo rappresentativo in s� ma una sua forma specifica, quella parlamentare. La seconda lettura � quella che propongo in questo articolo. Un'ultima premessa: il discorso sulla crisi, se non circoscritto, non porta da nessuna parte, perch� democrazia e crisi sono difficilmente dissociabili (D. Runciman, The Confidence Trap: A History of Democracy in Crisis from World War I to the Present, Princeton University Press, 2013). In Europa, soprattutto, il viaggio della democrazia moderna � cominciato con una crisi radicale, la cui soluzione costituzionale ha funzionato per alcuni decenni per essere abbattuta negli anni Venti del secolo scorso. Oggi non sembra che la democrazia stia attraversando una crisi istituzionale; quel che appare disfunzionale sono invece alcune forme operative della deliberazione collettiva e della decisione politica nei sistemi rappresentativi. Delimitare l'uso del termine "crisi" � essenziale prima di tutto per evitare semplificazioni emotive, per contestare le quali Reinhart Koselleck ha ricostruito anni fa una storia del concetto di Krise (Crisis, "Journal of the History of Ideas", vol. LXVII, n. 2, 2006, pp. 357-400), concludendo che nelle democrazie costituzionali la crisi finisce per essere uno slogan destituito di valore scientifico. Per evitare la caduta nello slogan occorre porsi domande che ci aiutino a circoscrivere la questione: che cosa intendiamo dire quando parliamo oggi di "crisi della democrazia"? O meglio, a quale tipo di democrazia ci riferiamo quando sosteniamo che la democrazia � in crisi? Koselleck ha isolato tre famiglie semantiche del termine "crisi" nelle lingue europee. La prima deriva dal linguaggio medico e designa una svolta o mutamento nel decorso della malattia e presume la definizione e la conoscenza dello stato di salute ottimale. La seconda � pi� direttamente connessa all'origine greca, dove krisis ha due possibili diramazioni di senso: come decisione designa un'interruzione della normale progressione di uno stato di cose, che significa che ogni volta che dobbiamo decidere ci troviamo in una condizione di crisi perch� interrompiamo una sequenza comportamentale mediante un atto di volont� che imprime un mutamento (come nel caso di un divorzio, una dichiarazione di guerra ecc.) il quale pu�, in casi estremi, implicare una scelta tra alternative irriducibili e senza possibilit� di mediazione (aut/aut); come deliberazione o giudizio e quindi con significato meno radicale nelle implicazioni e direttamente legata alla politica ordinaria. In quest'ultimo senso "crisi" � associabile all'agire politico pubblico come esercizio di giudizio o come azione regolata da un processo volto a decidere con giustizia. Nella Politica, Aristotele usa "crisi" in questo senso quando parla della decisione nelle giurie di comunit� nelle quali i cittadini hanno autorit� di scelta: "giustizia" come elemento dello Stato, nel senso che la decisione su ci� che � giusto per legge � la regola della cittadinanza. "Critica" (quindi giudizio) e "crisi" stanno insieme a libert� politica, che risulta essere una vera e propria diarchia di discussione/deliberazione e decisione/risoluzione (diremmo oggi di potere della voce e potere del voto). L'implicazione � che la krisis � parte della politica, segno di ci� che aspira al giusto. Infine, la terza famiglia di significato proviene dall'innesto dell'idea antica di crisi come giudizio nella tradizione giudaica e monoteista, dove si assiste a una identificazione della crisi con un giudizio di tipo particolare, quello universale e inappellabile di Dio. In questa tradizione, la giustizia � legata a Dio, simultaneamente signore e giudice, e veicola promessa di salvezza o di dannazione; il concetto di "crisi" acquista qui il significato di "attesa apocalittica". Tenendo conto di questa ricchezza semantica, il termine "crisi" pu� avere implicazioni feconde quando applicato alla politica. Pu� significare: a) una rottura radicale come in una situazione di guerra, di interruzione di un ordine, di rivoluzione (pensiamo alla definizione schmittiana del sovrano come colui che decide su chi � il nemico); b) un processo politico di giudizio e decisione, normale in un governo costituzionale e radicato nella libert� politica; e infine c) un giudizio teleologico in ragione di un fine dato o in vista di nuova epoca o di un nuovo ordine. Venendo alla democrazia, possiamo tentare due inferenze da questa tassonomia delle forme della politica associata ai significati di crisi. In un senso, la crisi � endogena a una democrazia costituzionale in quanto denota la politica nel suo proprio significato (arte per mezzo della quale liberi cittadini giudicano le azioni dei loro simili, discutono in pubblico delle esigenze della citt�, propongono, dissentono, decidono secondo procedure condivise che consentono di mutare sempre le decisioni prese). Nell'altro senso, crisi denota una rottura o un atto di decisione, magari in una situazione di eccezionalit� o di emergenza, che a volte pu� prendere vie catastrofiche (un'evenienza che non appartiene a una democrazia costituzionale). In breve, da un lato "crisi" si sovrappone in larga parte a "politica"; dall'altro "crisi" denota un'interruzione rispetto alle procedure della politica ordinaria. Nell'un caso, implica processi deliberativi collettivi; nell'altro interventi decisionali. Come si intuisce, l'uso del concetto di "crisi" convoglia due complessive concezioni della politica: una discorsiva o deliberativa e una tecnica e operativa o come soluzione di problemi. La prima � espressione di una valutazione normativa che regola giudizi di parte (dei cittadini e dei loro magistrati e politici) in un clima di libert� e pluralismo, con procedure adatte a collazionare opinioni in contesti di scelta collettiva: per intenderci, la dimensione della politica rappresentativa, con Parlamenti e partiti. La democrazia cos� concepita � una diarchia di opinione (che viene dalla societ�) e di decisione (che viene dalle istituzioni), in un rapporto di inevitabile collegamento/tensione. La seconda � espressione di una concezione mono-archica della politica che conferisce una valenza centrale alla decisione come problem solving; la realt� � interpretata come un insieme semplificato di problemi oggettivamente definibili e misurabili, risolvibili per competenza funzionale. "Crisi" e "politica" si intrecciano in questa cornice semantica duale, la quale ci pu� guidare nell'interpretazione delle diagnosi di "crisi della democrazia" proprio in quanto ci consente di formulare una domanda non generica: a quale tipo di democrazia ci riferiamo quando parliamo di crisi? La letteratura sulla crisi della democrazia non � recente. Ha cominciato a prendere corpo a partire dagli anni Settanta del secolo scorso. La prima e pi� esplicita dichiarazione di crisi � venuta dagli ideologi che dicevano di perorare una concezione minimalista adatta a un modello politico di problem solving contro uno partecipativo. Michael Crozier, Samuel P. Huntington e Joji Watanuki, membri della Trilateral Commission, pubblicarono nel 1975 il Report on the Governability of Democracies con il titolo: The Crisis of Democracy. Crisi causata dalla crescita dei movimenti di cittadini in tutte le democrazie occidentali, che rivendicavano diritti civili e sociali, volevano governi in grado di ascoltare i loro bisogni. Crisi di "governabilit�" appunto, per l'incapacit� delle istituzioni statali di dominare le pressioni della societ� senza capitolare alle richieste. La "crisi di governabilit�" come crisi di autorit�, a causa di governi democratici parlamentari che per ragioni elettoralistiche fanno politiche sociali, appesantendo lo Stato burocratico e aumentando costi e tasse; in una spirale infernale di richieste: lo Stato paternale non riesce a contenere le rimostranze dei cittadini e inoltre decade in autorit�. � difficile capire come gli autori della Trilaterale potessero fare questa diagnosi di crisi restando coerenti al minimalismo procedurale. La loro opposizione alla democrazia partecipativa e ai movimenti sociali si traduceva in una critica alla democrazia stessa perch� "sovraccarica di partecipanti e di domande" la politica e lo Stato. La social-democrazia, la Great Society, era il loro obiettivo polemico; lo scopo era di bloccare l'"eccesso di democrazia" diminuendo la pressione fiscale e decurtando le politiche sociali per, infine, deprimere le richieste dei cittadini dirottate, grazie alla privatizzazione, verso agenzie di gestione private o semi-private. Il paradosso di questa visione "minimalista" � di essere perfezionista; un paradosso che rivela una limitata comprensione del ruolo del consenso nel governo rappresentativo, il quale implica sia il diritto di voto che il diritto di formulare ed esprimere giudizi sui rappresentanti e i governi, di fare pressioni e rivendicare. Perch� eleggere rappresentanti se ad essi non possono essere rivolte richieste? La selezione elettorale � essa stessa responsabile di provocare domande e critiche da parte dei cittadini. Per cui l'"eccesso di democrazia" fa parte del gioco, non � una patologia; la democrazia � permanente crisi di governabilit�. Il secondo discorso sulla "crisi" � emerso come reazione alla concezione minimalista, nel nome di una visione del proceduralismo democratico deliberativo e naturalmente portato a fare del concetto di crisi uno strumento di conoscenza. Applicata all'analisi delle istituzioni democratiche, la teoria critica di J�rgen Habermas contiene una visione ideale dell'agire democratico che metabolizza la crisi nella misura in cui agevola una trasformazione della societ� moderna cos� da renderla meno conflittuale e progressivamente pi� integrata. Se la democrazia � linguaggio, regole della formazione e dello scambio di buone ragioni tra cittadini che si rispettano come eguali e autonomi e che ricusano la segretezza e la doppiezza, e se queste condizioni devono essere istituzionalizzate con procedure di discorso pubblico volto al perseguimento del bene comune, allora si pu� dire che la democrazia � permanentemente in uno stato critico o di crisi. Perch� in permanente tensione verso una cittadinanza che ha meno bisogno di politica come cinghia di trasmissione degli interessi privati organizzati in quanto pi� egualitaria, con cittadini non costretti dalla pressione economica al punto di non riuscire ad essere capaci di imparzialit�, a entrare nel discorso pubblico senza pregiudizi, ad accettare di cambiare idea nel corso di un dialogo ragionato. Una societ� democratica ben integrata dovrebbe alla lunga ampliare la comunicazione razionale e disincentivare la razionalit� strumentale. � evidente che questo pu� avvenire solo perch� la societ� ha una bassa conflittualit� perch� non socialmente polarizzata. Rispetto a questa visione normativa, la partigianeria, le parti e i gruppi organizzati intorno a interessi sono un problema di comunicazione razionale e quindi la massima espressione di crisi perch� sintomi di una societ� ineguale, dove la deliberazione imparziale diventa un'utopia. Ecco quindi la diagnosi di crisi, che corrisponde a una societ� nella quale la forza integrativa � tanto bassa quanto le sue forze politiche sono radicalizzate. Conflitti sociali, forme di intolleranza o di tensione tra classi e interessi sono segni di una crisi di integrazione. Bench� Habermas abbia in diverse occasioni sostenuto che la teoria deliberativa supera il dualismo tra democrazia "ideale" e democrazia "reale", il suo discorso della crisi ci invita a considerare la democrazia elettorale e dei partiti come una democrazia non-ideale, anche se un meccanismo funzionale che sostiene le istituzioni democratiche. Lo stato normativo della democrazia � quello di una societ� ben integrata nella quale la giustificazione delle richieste � un dovere reciproco da attuarsi secondo i criteri che operano gi� nel giudizio pubblico: imparzialit�, libert� da influenze personali o economiche, autonomia nella formazione della volont� pubblica. Il terzo discorso sulla crisi � esterno al proceduralismo, sia esso schumpeteriano che habermasiano, e presume una visione "sostanziale" della comunit� nazionale sulla quale si regge la democrazia. Rientra in una filosofia finalistica e propone una interpretazione catastrofica della politica. La sua attenzione non � rivolta alle procedure e alle istituzioni, ma al "corpo" della nazione. Per riprendere la tassonomia di Koselleck, qui si assiste a una riedizione della crisi come "giudizio finale" che proietta la storia verso l'escatologia della salvezza o la catastrofe della dannazione. La teoria dello scontro di civilt�, resa celebre da Samuel Huntington, � rappresentativa di questa retorica, che � ideologica e assume che la democrazia dipenda da condizioni esterne ad essa, per esempio la cultura nazionale, una religione ospitale della separazione tra pubblico e privato ecc.. N� la questione della classe che preoccupava la Trilaterale, n� quella degli interessi di parte che preoccupa Habermas, sono qui responsabili della crisi, ma invece la rinascita del tribalismo, la cultura del conflitto dentro la nazione a causa prima di tutto della secolarizzazione e infine dell'immigrazione di forze non cristiane, come quelle islamiche, che non solo non hanno una base nazionale sulla quale poter incardinare le democrazie (e sono quindi destabilizzanti di ogni struttura nazionale) ma contribuiscono a radicalizzare i conflitti dentro le democrazie occidentali stesse. Non sembra esserci scampo alla crisi dell'omogeneit� nazionale perch� la democrazia � tendenzialmente una societ� aperta. Questi tre discorsi sulla "crisi" hanno in comune l'interpretazione della "crisi" come il fallimento della democrazia esistente di aderire ad un modello o una norma di democrazia come dovrebbe essere. Al fondo, nessuna di esse accetta di fatto l'idea della democrazia come governo della crisi, e nessuna considera la procedura democratica come contenta di se stessa, se cos� si pu� dire, non mossa da un fine da raggiungere che sta sopra o sotto di essa. Questi discorsi, a loro modo perfezionistici, non riescono a dirci molto sulla diagnosi di crisi registrata dai cittadini da cui questo articolo � partito. Non ci assistono a comprendere i mutamenti che l'espressione "crisi della democrazia" denota, e che si riferiscono ad una specifica forma di polis democratica, quella nata in Europa dopo la Seconda guerra in reazione a governi dirigistici e dispotici. Quella alla quale assistiamo, in alcuni Paesi europei pi� che in altri, � una crisi della democrazia parlamentare costruita sulle elezioni gestite dai partiti politici, organi di partecipazione, non semplicemente di selezione, del personale politico (come sta scritto in alcune costituzioni europee). La disaffezione dei cittadini � verso l'istituzione parlamentare, la sua politica del compromesso e della mediazione e verso le procedure e le istituzioni che la rendono possibile, in primis i partiti. Le implicazioni di questa critica possono essere meglio comprese qualora interpretiamo le procedure democratiche da una prospettiva diarchica di deliberazione decisione. Lo scopo di questa comprensione � di assisterci nella ricerca delle strategie con le quali rispondere alla trasformazione in corso, ideando contrappesi per contenere il potere costituito e valorizzare la voce dei cittadini - obiettivi classici della democrazia. La struttura parlamentare, ci insegnano l'esperienza storica e gli scritti di Hans Kelsen, non pu� essere tenuta in vita senza partiti e, aggiungiamo, senza che i partiti siano associazioni di cittadini e non solo di eletti (come sono oggi i cartel parties). Ogni azione volta a screditare i partiti � un'azione che scredita la democrazia rappresentativa. Ma nello stesso tempo, riformare i partiti � una condizione sine qua non per rispondere alla sfida della "democrazia dell'esecutivo" come chiama Pierre Rosanvallon (Le bon gouvernement, Seuil, 2015) l'attuale fase di mutamento del modello parlamentare. Vediamo di capire in che cosa consiste questo mutamento. Esso va visto nelle quattro componenti del governo rappresentativo: 1) le elezioni a intervalli regolari; 2) gli eletti con un grado di indipendenza dagli elettori; 3) i cittadini che danno libera espressione delle loro opinioni e richieste; 4) le decisioni che sono pubbliche e sottoposte al giudizio pubblico. Le prime due pertengono all'organizzazione delle istituzioni, mentre le seconde due all'azione politica che coinvolge i cittadini - la correlazione dei due livelli � quel che chiamo diarchia. Lo sbilanciamento verso un pubblico senza partiti, dove l'audience indistinta (senza parti e partigiani) svolge il lavoro della legittimazione via consenso mostra un ordine politico nel quale la fiducia nel leader-candidato, e poi governante, e la sua richiesta di avere pi� potere di decisione, vanno insieme. Che cosa cambia nella "democrazia dell'audience", come l'ha definita Bernard Manin (The Principles of Representative Government, Cambridge University Press, 1997)? Cambia lo stile - meno deliberativo, pi� dichiarativo; cambia la valenza delle elezioni, che divide due mondi - quello degli eletti e quello degli esterni - pi� che semplicemente consentire la divisione del lavoro politico tra cittadini e governanti; cambia infine il significato delle elezioni - facendole simili a plebisciti che certificano identificazione e fedelt�. Qui emerge il valore euristico dell'idea di democrazia come diarchia. Se accettiamo che "crisi" e democrazia siano inseparabili, dobbiamo concludere che la transizione da democrazia parlamentare dei partiti (a suo modo diarchica) a una democrazia dell'esecutivo (mono-archica) retta su un indistinto pubblico comporta un'incrinatura dell'equilibrio di relazione interno alla diarchia, con l'esito di deprimere il ruolo dei cittadini, anche se l'ordine costituzionale resta a tutti gli effetti lo stesso. Quando i cittadini usavano il voto per scegliere un partito, oltre all'elemento di fede vi poteva essere quello riflessivo (sulla piattaforma programmatica messa di fronte al loro giudizio) - vi era cio� posto tanto per chi votava per fedelt� al leader o al partito quanto per chi votava per convinzione ragionata. Nella democrazia dell'audience questa opzione perde di senso, anche perch� l'organizzazione del partito � essenzialmente in funzione della creazione del consenso dell'audience. Infine, anche le aspettative dei votanti, il confronto futuro su quel che era il programma passato, ovvero l'accountability, appaiono meno rilevanti. In conclusione, il discorso della crisi non � in contrasto con una visione di politica come deliberazione e decisione che un sistema di diritti e di procedure garantisce. Quel che oggi denotiamo come "in crisi" � proprio la diarchia democratica, nel senso che assistiamo ad una riorganizzazione della relazione nelle sue due componenti e al declino del tipo di democrazia che l'aveva fin qui resa possibile. Questo mutamento non giunge senza costi; si traduce in un rafforzamento della voce del potere delegato e nella priorit� del momento decisionale. Data questa diagnosi della specificit� della crisi, � sensato pensare che la democrazia abbia bisogno di una manutenzione che ristabilisca la relazione diarchica, evitando scorciatoie semplificatrici. Il Gaslighting: una violenza subdola e sottile (di Jolanda Stevani, "Psicologia contemporanea" n. 238/13) - Nei rapporti tra due persone pu� annidarsi e prendere corpo una violenza non eclatante, ma non per questo meno dolorosa, intensa ed estenuante, che spesso pu� rappresentare l'inizio di manifestazioni pi� visibili e talvolta irreversibili. - Nel 1944 il regista americano George Cukor produsse il film Gaslight, interpretato da Ingrid Bergman e Charles Boyer e tratto dall'opera teatrale Angel Street di Patrick Hamilton (1938). Il film, tradotto in italiano con il titolo Angoscia, � un dramma psicologico ambientato nella Londra vittoriana e incentrato sul rapporto tra due coniugi, nel quale il marito Gregory, uomo misterioso e carismatico, attraverso una sottile e diabolica strategia psicologica, conduce la pi� giovane moglie Paula sull'orlo della pazzia. Nel film, infatti, il perverso protagonista, attuando una manipolazione mentale lucida e costante, finalizzata a far dubitare la donna delle proprie facolt� mentali e del proprio esame di realt�, abbassa e alza le luci a gas (gaslight, appunto) della casa, attribuendo il fenomeno ad allucinazioni visive della moglie, della quale riesce a confondere il giudizio fino al punto di condurla alla convinzione di non essere pi� in grado di fidarsi delle proprie percezioni e di essere malata. Sar� soltanto grazie al fortuito intervento di un detective, il quale far� affiorare la verit� scoprendo l'indole psicopatica del marito e il suo intento criminale, che la vittima della sinistra manipolazione potr� alla fine salvarsi e riacquistare la propria lucidit�. Una circolarit� perversa Il Gaslighting � inquadrabile in una forma di violenza psicologica e di abuso emozionale di cui la vittima difficilmente acquisisce consapevolezza e che, seppure tenda a manifestarsi prevalentemente nei rapporti di coppia, pu� svilupparsi anche in ambiti diversi, quali quello familiare, lavorativo oppure amicale e pare non conoscere distinzioni di classe sociale e livello culturale. In sintesi, si tratta di una sottile forma di violenza che pu� essere definita come un insieme di comportamenti che un manipolatore agisce nei confronti di una persona per confonderla, renderla dipendente, farle perdere la fiducia in se stessa e nel proprio giudizio di realt� fino a farla dubitare della propria sanit� mentale. L'obiettivo del gaslighter � quello di privare la vittima dell'autonomia del suo Io, della sua autostima e della sua competenza decisionale, riducendola a una condizione di dipendenza sia fisica che psicologica, esercitando e mantenendo su di essa controllo e potere. Lo stato di soggezione psicologica in cui arriva a trovarsi imprigionata la vittima alimenta a sua volta, in una circolarit� perversa, l'esigenza di rinforzare il suo legame con il carnefice, il pi� delle volte significativamente idealizzato e percepito come potente e sicuro, a fronte della propria vulnerabilit� e insicurezza, alimentando cos� la spirale di dipendenza e ponendo le basi per la prosecuzione del comportamento manipolativo. Sulla psicologia del gaslighting si sono pronunciati anche gli psicoanalisti Victor Calef ed Edward M. Weinshel (1981), inquadrandolo come una variante della relazione sadomasochistica. Gli effetti sulla vittima Dal punto di vista degli effetti prodotti sulla vittima, il fenomeno del Gaslighting � caratterizzato da tre fasi: - La fase dell'incredulit�, nella quale la vittima, mantenendo ancora una sufficiente sicurezza di s� e conservando un'adeguata dose di obiettivit�, non attribuisce grande credito ai messaggi provenienti dal gaslighter. - La fase della difesa, che interviene dopo che la strategia manipolativa del gaslighter si � gi� sviluppata attraverso molteplici espressioni vessatorie e che la vittima, abbandonando la sua precedente incredulit� e, soprattutto, perdendo i residui della sua sicurezza, inizia a difendersi, confermando cos� che gli affondi del suo aguzzino hanno prodotto i risultati auspicati. In tale fase dilaga nella vittima anche la confusione, mentre il gaslighter si trova perfettamente a suo agio in quella che pu� essere definita una caccia del gatto con il topo. L'ultima fase, definita della depressione, rappresenta lo stadio della resa: la vittima ha raggiunto la convinzione di essere "sbagliata" e accetta passivamente la realt� che le viene comunicata dal suo torturatore come l'unica vera e possibile, sprofondando in balia di vissuti di insicurezza, autosvalutazione e dipendenza. � in questa fase che interviene la cronicizzazione della violenza e la vittima diventa cos� dipendente dal suo aguzzino da isolarsi anche a livello sociale; da ci� deriva l'estrema difficolt� che essa riesca da sola a rendersi conto della trappola perversa nella quale � imprigionata e a chiedere aiuto. Due abiti fatti su misura Come ci mostra il film, Gregory ha bisogno di sedurre Paula per sen tirsi potente e capace di esercitare dominio e controllo, ma d'altro canto anche Paula � desiderosa di essere sedotta: idealizzandolo, vede in lui un uomo forte e attraente e desidera disperatamente credere che sia dolce e protettivo nei suoi confronti. L'insicurezza e la scarsa autostima di Paula, insieme all'idealizzazione che ha costruito del marito, da una parte, e le caratteristiche di personalit� di Gregory, dall'altra, rappresentano l'alchimia perfetta per la messa in atto e la riuscita della strategia manipolativa del protagonista. Quale che sia l'ambito nel quale questo fenomeno si manifesta, ci� che importa sottolineare � che il Gaslighting riguarda sempre e comunque non solo due persone, ma anche la loro relazione. In un'ottica sistemica, che sottolinea l'importanza delle interazioni tra le persone, piuttosto che le singole caratteristiche individuali, il circuito perverso in cui si concretizza questa forma di subdola violenza � il frutto dell'intreccio sia di fattori legati alla personalit�, sia di elementi comunicativi provenienti da entrambe le parti, che contribuiscono a forgiare e a dare un significato particolare a quella specifica relazione. La scelta reciproca dei due partner avviene attraverso una coesione psicologica ed emotiva che realizza un nuovo sistema, appunto il "sistema coppia", nel quale il comportamento di ciascuno rappresenta contemporaneamente causa ed effetto di quello dell'altro, innescando cos� una circolarit� reciproca. D'altra parte, la relazione di coppia costituisce anche il soddisfacimento di alcuni bisogni fondamentali: la scelta del partner va a soddisfare aspettative profonde e inconsce della personalit�, come l'esigenza di ottenere una conferma rispetto alla percezione di se stessi e degli altri e ai modelli relazionali. Anche il gaslighting pu� essere quindi considerato una perversione relazionale basata sulla manipolazione psicologica, nella quale si realizza un incastro tra la personalit� del gaslighter e quella della sua vittima. Tre tipologie di gaslighter Per essere un gaslighter � necessario in primo luogo essere un bravo manipolatore; al riguardo sono state identificate tre tipologie: - il tipico bravo ragazzo, che in apparenza sembra interessarsi e darsi da fare solo per il bene della vittima, sostenendola e incoraggiandola, mentre in realt� tutte le sue azioni sono mirate al soddisfacimento delle sue necessit�; - l'adulatore, ossia colui che fa della lusinga il suo strumento manipolativo principale, per indurre la vittima alla vicinanza emotiva e alla totale fiducia: la vittima rimane preda dell'incanto del gaslighter, il quale non fa che sottolineare quanto lei sia superiore agli altri per cultura, bellezza, capacit� e via dicendo; - l'intimidatore � invece chi esprime la violenza esplicitamente con un'aggressivit� diretta, ma anche attraverso la critica continua oppure il sarcasmo. Dato che raramente � possibile dare una definizione univoca di tipologia psicologica, anche in questo caso pu� capitare che il manipolatore presenti in diversi momenti i differenti aspetti sopra citati, magari presentandosi nelle vesti di adulatore in una fase iniziale della relazione, per conquistare la vittima e convincerla dei propri sentimenti, per passare poi a quelle del bravo ragazzo, mostrandosi attento e premuroso e indossare infine l'abito dell'intimidatore, allorch� la vittima � ormai invischiata nella tela. D'altronde i manipolatori sono estremamente abili nel rendersi affascinanti, e in un primo tempo pu� essere difficile riuscire ad avvertire note stonate in comportamenti che appaiono del tutto analoghi a quelli di un vero innamorato. Oltre alla capacit� di fingere nei sentimenti, e quindi di porsi da attore consumato nel ruolo di innamorato irriducibile e premuroso, un altro elemento che rende il gaslighter degno di questa definizione � la distorsione della realt� che riesce a produrre, non solo per manipolare la sua vittima, ma anche per gratificare se stesso, creando scenari nei quali assaporare un vissuto di importanza e di potere controbilanciando sentimenti di inferiorit� e un'autostima deficitaria. Il gaslighter avverte prepotentemente l'esigenza di dominare e controllare l'altro prosciugandone le energie da vero parassita psicologico e proiettando sulla vittima le sue inettitudini, e lo fa per dare un senso alla propria esistenza, altrimenti percepita come insignificante e inadeguata. Senza via d'uscita Tuttavia, cos� come per essere gaslighter occorrono alcune caratteristiche particolari di personalit�, anche per cadere nella rete di questa violenza psicologica, realizzando la circolarit� perversa alla quale abbiamo accennato, � necessario che la vittima presenti determinate peculiarit� soggettive, che accrescono la sua vulnerabilit� e influenzabilit�. Fattori come una scarsa autostima, vissuti di insicurezza e una propensione alla dipendenza costituiscono elementi che possono favorire la caduta in una spirale di violenza psicologica ad opera di un partner, per non parlare di esperienze pregresse di maltrattamento e abuso: � soprattutto in casi simili che pu� realizzarsi quell'epilogo apparentemente paradossale per cui, spogliata delle sue residue capacit� di resistenza e completamente alla merc� del suo aguzzino, la vittima lo riconosce come unico sostegno e fonte di protezione, rinforzando sempre di pi� le maglie della sua catena psicologica. � a questo punto che il vissuto di potenza ed esultanza derivante al gaslighter dalla condizione della vittima rappresenta veramente la chiusura di un cerchio, simbolo di un equilibrio che non concede spazio ad opposizioni e rotture, nel quale le estremit� della linea tracciata attraverso la dinamica relazionale perversa tornano a ricongiungersi precludendo ogni via d'uscita. Dalla finzione alla realt� Irene e Federico (i nomi sono inventati) hanno rispettivamente 26 e 36 anni e sono sposati; all'epoca del loro incontro, Irene ne ha 22, non si � mai allontanata da casa ed � appena uscita dall'universit�, mentre Federico, pi� grande di dieci anni, le si � mostrato da subito come una persona affascinante, a suo agio tra la gente, simpatico, con sette lingue parlate e un bagaglio di esperienze di vario tipo. Egli inoltre esibisce nei confronti della ragazza un atteggiamento attento, premuroso e protettivo, facendola sentire accolta e nello stesso tempo attribuendole un'importanza significativa nella sua esistenza, dichiarandole costantemente che � la donna della sua vita. Irene si affida totalmente a Federico, ma progressivamente l'uomo inizia una campagna svalutante e denigratoria, accusandola per esempio di non essere capace di cucinare e di tenere la casa, oppure dicendole che la sua � una "laurea da handicappati", ma anche definendola una "attacca cerotti" in relazione al suo lavoro di infermiera. Arriva persino a costringerla a scaldare con il phon una stanza della casa, poich� Irene non � riuscita a farsi cambiare un climatizzatore che non funziona. Allo stesso tempo, comunque, egli conserva nei confronti di Irene un atteggiamento accudente, che mantiene in lei la percezione di essere nonostante tutto amata e protetta. Col passare del tempo per� l'isolamento della ragazza aumenta, in quanto Federico fa terra bruciata intorno a Irene, allontanandola dai familiari e impedendole l'accesso anche ai pi� comuni mezzi di comunicazione come Facebook. Irene, giorno dopo giorno, sprofonda in uno stato di confusione, del quale tuttavia tende ad incolpare se stessa, giustificando Federico; arriva a pesare quaranta chili e comincia a ricorrere ad un'assunzione arbitraria e autogestita di Tavor. � solo da un paio di mesi che la ragazza, grazie all'intervento fortuito di uno psichiatra, sta cominciando a riprendere faticosamente le redini della propria realt�. Da Calimero a Papalla, nascita e morte di Carosello (di Aldo Grasso, "Vita e Pensiero" n. 6/16) - Per 20 anni, dal 2 febbraio 1957 al 1� gennaio 1977, fu un laboratorio di linguaggi televisivi, un'officina dove si potevano sperimentare soluzioni che la programmazione normale non poteva permettersi. Lo specchio di cambiamenti epocali nel costume degli italiani. - "Tutti a nanna dopo Carosello" � stato uno degli ordini pi� dolcemente perentori che le mamme italiane - dal 2 febbraio 1957 al 1� gennaio 1977, alle 20,50 - abbiano avuto a disposizione per barattare la chiusura della giornata. Subito dopo il telegiornale e prima del momento della buonanotte c'era infatti quella magica decina di minuti di r�clame. In questa attesa era racchiusa l'impronta dell'unicit� e dell'inimitabile. Per questo, malgrado il linguaggio a volte banale, l'obbligo del bianco e nero, l'ingenuit� delle animazioni, la chiusura di Carosello � stata vissuta come un freddo delitto. Oggi si rimpiange molto Carosello, specie di fronte all'invasivit� della pubblicit� moderna. In realt�, come sempre, rimpiangiamo soprattutto quegli anni, rimpiangiamo gli anni in meno che avevamo. L'indimenticabile rubrica quotidiana raggruppava quattro o cinque filmati pubblicitari, divisi tra loro da siparietti disegnati da Artioli; ogni telecomunicato era suddiviso in due parti: nella prima, una piccola scenetta o una breve storia in cui non era mai nominato il prodotto reclamizzato; nella seconda, il cosiddetto codino, il messaggio pubblicitario. Un'orecchiabile tarantella attinta al repertorio napoletano e arrangiata dal maestro Raffaele Gervasio faceva da sigla alla rubrica. "Chiunque avesse inventato Carosello, aveva visto bene. Non era solo pubblicit�, era un programma assolutamente anomalo che si nutriva di ogni tipo di spettacolo. E dove era possibile, pur passando sotto i rigidi controlli della Sacis, fare di tutto, dal cartone animato sperimentale a quello pi� classico, dal variet� al filmetto industriale artistico. E dove tutto poteva convivere. Cos� Carosello and� avanti per venti anni" (Marco Giusti), rendendo famosi diversi personaggi di fantasia, come Caballero e Carmencita, Calimero, Il gigante buono, Papalla, la Linea e molti altri. Ogni televisione crea e stabilisce le proprie modalit� di visione; il segreto di Carosello � di essere stato omologo al tipo di programmazione "pesante" e sacrale che lo ha generato e di aver avviato morbidamente la nazione verso l'esecrata "societ� dei consumi". Carosello non era solo pubblicit�, era uno spettacolo, un "raccontino d'autore" cui nessuno disdegnava di partecipare (magari in segreto), sia in veste di autore sia di regista o di attore; la lista � lunga e i nomi eccellenti, basti citare Age e Scarpelli, Luigi Magni, Gillo Pontecorvo, Ermanno Olmi, Sergio Leone, Tot�, Macario, Vittorio Gassman, l'eretico Dario Fo, perfino Eduardo. Carosello nacque per senso di vergogna. La Rai delle origini si vergognava di trasmettere la pubblicit�, riteneva l'occasione redditizia ma, nello stesso tempo, poco appropriata all'idea di una Tv pedagogica. A quell'epoca si pensava che la pubblicit� fosse il frutto malvagio dei persuasori occulti e che, orrore!, avviasse il pubblico sulla cattiva strada del consumismo! Carosello nacque dunque come "recinto dorato", come pubblicit� mascherata da spettacolo, tanto che il nome del prodotto lo si poteva nominare solo nel codino finale. Insomma i pubblicitari erano ritenuti dei loschi signori che avevano inventato tecniche manipolatorie. Bisognava porre una cintura di sicurezza, mascherare la pubblicit� da spettacolo innocente, adatto soprattutto ai bambini. Fuori da quel recinto era proibito dare consigli per gli acquisti. Il mito di Carosello vive anche su un grande equivoco che consiste, appunto, nel considerare queste restrizioni temporali come un limite. Le sue invenzioni linguistiche, le sue frizzanti sintesi narrative, i suoi ritmi nascerebbero dal fatto di dover comprimere in pochi secondi messaggi convincenti, storie di senso compiuto, componimenti liricizzanti. Quel corpo estraneo, dominato da regole ferree, � stato per anni un laboratorio di linguaggi televisivi, un'officina dove si potevano sperimentare soluzioni che la programmazione normale non era in grado di concepire ma solo di assorbire, con lentezza e cautela. La Tv italiana delle origini aveva grande necessit� di darsi un tempo; lo spazio lo aveva scoperto (si sarebbe addirittura proposta agli italiani non solo come "una finestra aperta sul mondo" ma anche come nuovo ambiente, nuovo terreno di conquista), bisognava ora trovare un ritmo, una cadenza di marcia. Era lenta, molto lenta, la Tv delle origini; camminava adagio in cerca di identit�, guardando ora al cinema, ora alla radio, ora al teatro. Quasi mai a se stessa. Provvidenziale pertanto fu l'avvento di Carosello, che � stato per la Tv una sorta di metronomo, una strabiliante invenzione milanese che sembrava uscita dai padiglioni della Fiera Campionaria. Ha avuto tantissimi meriti, si � subito proposto come un galateo del consumo, ma il pregio che lo ha reso unico e inimitabile � stato proprio quello della sintesi narrativa. I 135 secondi di durata di ogni scenetta sembrano infiniti in confronto ai 30, addirittura ai 15 o ai 5 degli spot moderni; in realt� Carosello ha rappresentato per la Tv il concetto stesso di brevit�. Le restrizioni temporali, anzich� rivelarsi un limite alla creativit�, diventavano vere e proprie formule retoriche, costruzioni metriche, "poetica" scansione di strofe e cesure. La pubblicit� di oggi, sebbene si sia ormai impadronita di ogni forma di espressione artistica, non incide pi� sulla percezione del tempo cos� come ha inciso Carosello. Quel "teatrino" ha accompagnato per mano gli italiani nel processo di modernizzazione, ne ha rispecchiato i problemi e le aspirazioni all'emergere della societ� dei consumi. Ha regalato loro, se cos� si pu� dire, un orologio interno, circadiano. Come ha scritto Arturo Carlo Quintavalle, "l'idea di Carosello, quella antica e originaria, era di dare una radice nella tradizione nazionale alle immagini dispersive della "societ� dei consumi", come allora si cominciava a dire. Ecco quindi le pubblicit� trasformate in bozzetti, in intermezzi scenici, ecco le pubblicit� considerate come la "satira" nel contesto della rappresentazione delle tragedie greche, momento di riflessione "morale" sugli eventi". Di questi cambiamenti "epocali", Carosello � stato lo specchio, magari un po' deformante; ma ha anche svolto una indubbia funzione di prefigurazione, anticipazione, legittimazione di modelli che, per la loro accessibilit�, frequenza, piacevolezza, hanno finito poi con l'assumere lo statuto dell'ovviet�, della naturalezza. La pubblicit� � una grande fabbricatrice di "luoghi comuni", intesi nel senso sociologico di sapere collettivo dato per scontato, di presupposti non tematizzati, di categorie che orientano il rapporto con la realt� e le relazioni sociali. Attraverso la pubblicit� passa poi quel processo fondamentale per comprendere i mutamenti sociali che va sotto il nome di socializzazione anticipatoria, e che consiste nell'identificazione con modelli, stili di vita, identit� collettive che non rientrano nella sfera diretta di esperienza del soggetto, ma con le quali questi viene a contatto attraverso i media (e la pubblicit� in particolare). Il "realismo commerciale" della pubblicit�, pur presentando caratteristiche iperboliche o stereotipate, pu� svolgere, e ha certamente svolto nel passato, la funzione di sanzionare ci� che � socialmente accettabile (dal modo di vestirsi e di parlare in determinate occasioni all'atteggiamento da tenere con i figli, il marito, i colleghi di lavoro, al modo in cui arredare la casa o trascorrere il tempo libero e cos� via). La pubblicit� rappresenta altres� un imprescindibile fattore di svi�luppo economico, sociale e aziendale (si pensi solo a come il consumo costituisca uno dei pi� cruciali fattori di crescita delle economie moderne) e diventa quindi necessario mettere in rapporto gli investimenti pubblicitari con il mercato, con i mezzi, con tutte le ricerche che si occupano di analizzare il pubblico destinatario della pubblicit�. La pubblicit� condiziona infatti il buon funzionamento dei mercati fornendo informazioni ai consumatori e influenzando le loro scelte di consumo. Inoltre, com'� noto, i ricavi pubblicitari costituiscono una quota rilevante dei media, in primo luogo della televisione, e dunque influenzano le modalit� stesse dell'informazione. � decisivo analizzare questo mercato sia sul versante delle imprese che investono in pubblicit� sia su quello dei media che dalla pubblicit� ricavano una parte rilevante dei loro introiti. La domanda di spazi pubblicitari ha ormai le caratteristiche della domanda di un fattore di produzione che le imprese utenti impiegano assieme ad altri fattori nella loro specifica funzione di produzione. Per questo fondamentale motivo, nel 1977 Carosello � stato chiuso per dare spazio ad altre forme di pubblicit� pi� "moderne" e svincolate.