Marzo 2018 n. 3 Anno III Parliamo di... Periodico mensile di approfondimento culturale Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registraz. n. 19 del 14-10-2015 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Massimiliano Cattani Antonietta Fiore Luigia Ricciardone Copia in omaggio Indice La nuova generazione fragile e critica Sicurezza sul lavoro La funzione del sonno La nuova generazione fragile e critica (di Luigi Zoja, "Vita e Pensiero" n. 6/17) - Negli ultimi decenni si sono verificati, nel pianeta giovani, cambiamenti pi� radicali di quanti ne ha portati l'intero XX secolo. Ma in realt� essi si rivelano anticonformisti, quasi degli eremiti urbani. Ecco qual � la psicologia dei Neet. - In diverse occasioni mi � stato chiesto, come psicanalista, un parere sulla nuova psicologia giovanile. Quasi con sorpresa, quasi all'ultimo momento, in questi dibattiti ci si accorgeva che non disponiamo di studi organici su un fenomeno fondamentale come il ricambio di mentalit�: eppure, anche i profani intuiscono che negli ultimi dieci o venti anni vi sono stati, nella comunicazione e socializzazione giovanile, cambiamenti pi� radicali ancora di quanti ne avesse portati l'intero XX secolo. Quasi improvvisamente, le nuove generazioni scambiano fra loro pi� parole per cellulare o per Internet che discorrendo di persona. L'apprendere a essere adulti consiste sempre pi� in questa comunicazione tecnologica con coetanei che, a loro volta, lo vogliono imparare. Il fatto che l'iniziazione alla maggiore et� di tipo "verticale" sia stata sostituita con un "apprendimento orizzontale" non dipende dunque soltanto dalla scomparsa dell'attaccamento patriarcale, di cui i decenni precedenti avevano discusso (sono stato spesso coinvolto in questi dibattiti dalla pubblicazione del mio libro Il gesto di Ettore. Preistoria, storia, attualit� e scomparsa del padre), ma dalla centralit� ineludibile delle nuove tecnologie con cui si comunica. In un numero crescente di casi (ben difficile da quantificare, ma che a seconda delle stime e dei Paesi pu� raggiungere i milioni), per i giovani questi modi di comunicazione corrispondono ormai, in pratica, alla totalit� della comunicazione. Naturalmente anche i loro genitori, i "grandi" (� interessante come oggi, a differenza di una generazione fa, il trentenne non dica di un quarantenne: "Ha pi� anni di me" ma: "� pi� grande di me", come se l'altro abitasse in una dimensione per lui "altra", che non viene raggiunta semplicemente lasciando passare il tempo), sanno a loro volta usare il telefono portatile e il computer. Ma questo significa ben poco: gli adulti li impiegano soltanto come strumenti, cos� come, seguendo il progresso, dopo il treno hanno imparato a prendere l'aereo. I giovani invece non hanno semplicemente comprato quegli strumenti: sono stati educati, iniziati, alla vita da essi. Sono figli della comunicazione elettronica almeno quanto sono figli dei propri genitori. Sono usciti da quell'utero tecnologico. Su questa sconvolgente novit� abbiamo ben pochi studi proprio perch� lo sconvolgimento � radicale e continuo: la psicanalisi o la sociologia non fanno a tempo a condurre studi approfonditi che le condizioni gi� sono cambiate. Anch'io, dunque, potr� fare solo limitato riferimento a studi complessivi esistenti. Cercher� di offrire punti di vista non verificati, tuttavia vero-simili. Tra conformismo e capacit� critica: meglio il Che o Saviano? Alla crescita quantitativa dei mezzi di comunicazione ha indubbiamente corrisposto, soprattutto in Italia, un loro peggioramento qualitativo. Cos�, chi appartiene a una generazione precedente e oggi si china sui ventenni per capirli teme spesso di incontrare una nuova classe anagrafica pi� conformista, disinformata e passiva delle precedenti. Entrando in dialogo con loro, pu� invece rimanere sorpreso dalla capacit� di critica autonoma. Personalmente credo che, nell'insieme dei giovani, la percentuale dei conformisti sia maggioritaria come in ogni epoca, ma lo sia meno che in passato. La porzione di temperamenti critici sul totale dei ventenni potrebbe anzi essere superiore a quella della generazione degli anni Settanta, considerata un po' affrettatamente prototipo della rottura generazionale e del rinnovamento critico. All'interno della "generazione critica" di oggi, tuttavia, sono molto forti anche la frammentazione, l'isolamento e una componente auto-critica, che finisce coll'associarsi a una forte passivit�. I "movimenti" degli anni Sessanta, Settanta e Ottanta erano estroversi e collettivizzanti. Fra i "giovani critici" di oggi prevalgono invece i temperamenti introversi e le tendenze individualizzanti (non sono, cio�, individualisti, ma impegnati in un cambiamento che comincia da loro stessi). Non appartengono a organizzazioni. Proprio per la loro discrezione, spesso non ci si accorge di quanto siano numerosi. Il fenomeno � comune a tutta l'Europa, ma � sorprendentemente vasto in Italia. Il nostro Paese, campione dell'inerzia mediterranea descritta da Braudel nella classe politica e in quella accademica, mostra invece fra i giovani un bisogno di rinnovamento particolarmente diffuso. Notiamo qui un rovesciamento della piramide. I grandi movimenti di rinnovamento, che si tratti della Rivoluzione bolscevica o del Risorgimento italiano, partono sempre da un'�lite intellettuale, per poi cercare, ed entro i concreti limiti trovare, una base. Qui � come se la base si fosse espansa orizzontalmente con facilit� grazie alla tecnologia, ma stesse ancora cercando l'�lite e i soggetti che la guidino. � ormai una massa che, direbbero gli americani, costituisce un vasto grass-roots movement: ma, restando in gran parte chiusa in casa e adunandosi solo in modo virtuale, le manca l'autopercezione della propria unit� e quindi difficilmente si sente "massa critica". Ho spesso sentito dire che il nuovo modello � Saviano, come un tempo lo era il Che Guevara. Naturalmente c'� in questo una certa verit� psicologica, ma il parallelo resta debole per diversi aspetti. Il Che, pur essendo anche un personaggio colto, per i giovani del movimento era prototipo di un "tutto e subito": era un invito all'azione, estroversa e rivoluzionaria. Saviano � un modello che stimola la riflessione e l'introversione. Fatti i conti con gli errori delle generazioni precedenti, il nuovo modello � psicologicamente pi� differenziato, quindi convincente in senso pi� duraturo. Imparare a sparare � molto facile ma molto pericoloso. Soddisfa un bisogno che � di breve termine e prevalentemente narcisistico; quasi mai � costruttivo nel lungo termine e nell'interesse di tutta la societ�. Prendendo a modello un guerrigliero si pu� diventare combattenti. Prendendo a modello uno scrittore critico, invece, si � solo compiuto un primo, minimo passo. Quasi tutto resta ancora da fare: riuscir a scrivere (cio� volger il proprio spirito critico in qualcosa di significativo) � e rimane molto difficile. Deve sgorgare da ispirazioni interiori, non da imitazioni esterne. Il comandamento non � pi�: "Sii parte della nuova onda, combatti per cambiare la societ�"; bens�: "Porta avanti le tue riflessioni, combatti per cambiare te stesso e cerca di comunicarlo". I giovani isolati e inabissati: l'esclusione dal lavoro Il risultato paradossale � che, a questo punto, i giovani pi� critici, anzich� scendere in strada, si ritirano nella loro stanza chiudendo la porta alle spalle. Qui incontriamo la zona, oggi sempre pi� vasta, in cui lo spirito critico individuale e la sensazione, pure individuale, di fallimento si sovrappongono. Oggi gran parte della giovent� non adattata � cos� introversa e, contemporaneamente, inconsapevole della propria condizione da viverla come fallimento. Scelgono di essere eremiti urbani, non perch� insensibili al mondo, ma perch� troppo sensibili alle differenze che da esso le separano. La tecnologia, il forte declino di produttivit� dell'Europa nei settori non di punta, l'avanzata di molti Paesi del Terzo mondo (che si trasforma addirittura in trionfo per quelli del Brics), si sono da tempo combinati con le difficolt� nel trovare un primo impiego e hanno spinto fuori dal mercato del lavoro proprio quelli che non erano ancora riusciti a entrarvi. Li hanno serrati in un circolo vizioso. In Italia questo problema comune dei Paesi ricchi ha assunto un aspetto estremo. I figli - anzi, il figlio, sempre pi� spesso unico, sempre pi� protetto dal mondo, soprattutto se maschio - anche quando cresciuti in famiglie di lavoratori manuali sono stati ormai "programmati" per entrare nel ceto medio e svolgere attivit� ritenute pi� prestigiose (andrebbe notato che in Paesi ben pi� ricchi come la Svizzera il lavoro manuale di qualit� ha conservato un prestigio e una buona remunerazione, anche attraverso protezioni legali come quella destinata all'apprendistato). Ma il XXI secolo non � il XIX di Marx ed Engels, in cui le nuove tecniche eliminano il lavoro manuale dalle fabbriche strangolando gli operai. Nell'attuale mondo la tecnica - soprattutto l'informatica - pi� che le catene di montaggio elimina ormai le scrivanie: dopo aver ridotto al minimo i colletti blu sta compiendo un "genocidio" dei colletti bianchi. Purtroppo il genitore italiano se n'� accorto meno ancora che in altri Paesi: ha continuato ad affidare al figlio il suo riscatto piccolo borghese, condannandolo alla ricerca di un'occupazione e di un prestigio sociale che gi� stavano evaporando quando le sognava. A questa esclusione oggettiva si aggiunge (ancora una volta: in Europa, ma in Italia in misure estreme) un fattore soggettivo e psicologico, che in molti casi gli si sovrappone: quantit� crescenti di giovani sembrano infatti auto-escludersi. Questo gruppo di Neet (in inglese: Not in Employment, Education or Training) � spaventato dalla competitivit� crescente. Spesso � anche iperprotetto dalla tradizionale madre italica: la quale inconsciamente si vendica del maschilismo che la circonda impedendo al figlio maschio di crescere e sequestrandone il futuro, per rappresaglia verso un marito che ha sequestrato lei nel passato. In buona parte, questo figlio incapace di varcare la soglia famigliare rinuncia a rischiare nella societ�; comunica col mondo soprattutto attraverso Internet e il cellulare: anche se, in genere, attraverso questi strumenti virtuali conserva una dose di quella che �, sempre pi� falsamente, detta "vita sociale". In questo modo il Neet europeo (e soprattutto mediterraneo, soprattutto italiano) non appare vistosamente patologico come i suoi corrispondenti asiatici (soprattutto giapponesi, detti hikikomori). I ragazzi cinesi, coreani, giapponesi, sottoposti a norme non scritte dove dominano un culto del silenzio e un forte senso di vergogna, si isolano in modo radicale. Paradossalmente, in questo modo diventano visibili: entrano nelle statistiche della patologia psichica. Il ragazzo italiano, invece, conserva un certo grado di adattamento e per questo entra quasi esclusivamente nelle statistiche dei fenomeni economico-sociali. � il nuovo, inatteso disoccupato permanente. Il problema, per�, non � legato solo alla condizione economica dei singoli Paesi: ha anche una forte componente psicologica, a sua volta derivante da tradizioni nazionali. � vero che milioni di giovani non trovano neppure il primo impiego: ma sono ormai masse sterminate anche quelli che non lo cercano veramente. Una sorte che non riguarda solo quelli meno dotati, gi� sofferenti di sensi d'inferiorit�: spesso chi prendeva i migliori voti all'universit� esita in seguito a presentarsi dove ci sono opportunit� di lavoro. Uno dei pi� autorevoli osservatori di questi fenomeni, Nadio Delai, ha parlato di un sostanziale doppio inabissamento dei giovani italiani: in una dimensione locale e in una virtuale. Il termine Neet viene dal Regno Unito, il Paese europeo che pi� ha compiuto studi sul problema. Come si � detto, l'acronimo si riferiva originariamente ai giovani di 16, 17 e 18 anni non impegnati in lavoro, scuola o apprendistato. Le stesse autorit� inglesi che l'hanno fatto circolare riconoscono per� che si tratta di una definizione generica e puramente statistica, che ha gi� assunto un impatto negativo: purtroppo, quello che voleva essere un concetto unicamente descrittivo diventa un marchio che pu� segnare in modo permanente chi ricade nella categoria. Le stesse istituzioni inglesi che hanno analizzato il fenomeno riconoscono che, nonostante importanti coinvolgimenti pubblici, negli ultimi 10-15 anni la sua entit� � addirittura aumentata, anche se di poco. Questo incoraggia una visione pessimista: per molti adolescenti sembra che la condizione di minorit� e dipendenza tenda a prolungarsi all'infinito nella maggiore et�, senza orizzonti per ora visibili. Dobbiamo a nostra volta prolungare questo punto di vista e immaginarci che il trentenne la cui condizione di Neet � ormai stabile da 10 o 15 anni, fra un decennio sar� semplicemente un Neet quarantenne? In alcune occasioni (Gli invisibili: la generazione dell'assenza, in Giovani e futuro, a cura di Ivan Rizzi, Fondazione Banca Europa, Milano 2010) ho suggerito poi che si dovrebbe cominciar a distinguere tra Neet esogeni, causati dalle condizioni di mercato, e Neet endogeni, giovani che rinunciano al lavoro e all'inserimento sociale per motivi psicologici complessi. Questa distinzione mi sembra particolarmente importante per quel che riguarda l'Italia, dove l'analisi � resa difficile dalla sovrapposizione tra drammatiche condizioni economiche recenti e atavici condizionamenti familiari che influenzano la psicologia dei giovani. Naturalmente la vita reale dei giovani apparterr� spesso a entrambe queste categorie e il singolo avr� difficolt� a distinguere sinceramente fino a che punto non � attivo per scelta personale o perch� glielo impediscono le condizioni esterne. Ma chi studia il fenomeno dovrebbe cercar di distinguere la nuova patologia psichica dai pi� tradizionali limiti imposti dal mercato. Le stime del fenomeno dei Neet: le femmine pi� numerose Secondo le ricerche relative sia all'Italia (cfr. I giovani neet in Italia: un'analisi territoriale, "Il monitor", www.italialavoro.it) sia all'insieme Oecd (cfr. Glenda Quintini - S�bastien Martin, Starting Well or Losing their Way? The position of youth in the labour market in OECD countries, www.oecd.org.els), fra i Neet le femmine sono quasi sempre pi� numerose dei maschi. Bench� non esistano veri studi sull'argomento, gli psicanalisti sanno invece che, fra gli adolescenti, i maschi bisognosi di terapia tendono a prevalere sulle femmine (fra gli adulti le proporzioni si rovesciano): da un punto di vista psicologico � ragionevole collegare in buona misura la loro difficolt� all'assenza dei padri, che in una societ� tradizionale costituivano contenimento ed esempio per i giovani maschi. Una delle caratteristiche strutturali della societ� urbana e post-industriale � infatti l'elevatissima percentuale di madri single (in qualche caso vicina o addirittura superiore al 50%) cui � sostanzialmente affidata l'educazione dei figli. In assenza del padre l'inserimento e l'autonomizzazione dei giovani maschi diventano particolarmente difficili. Le conseguenze sono visibili nella maggior parte degli indicatori: nei Paesi pi� diversi, anche a parit� di classe sociale o di livello di istruzione, i maschi senza padre presentano frequenze maggiori di patologie psichiche, di tossicodipendenza, di criminalit�, di mancato inserimento lavorativo e cos� via. Tutto questo ci porta a una inevitabile considerazione: se nelle statistiche ufficiali i Neet maschi sono un po' meno numerosi delle femmine, ci� � dovuto, soprattutto in un Paese come l'Italia, non a una loro maggior capacit� di rendersi indipendenti n� a minori difficolt� psicologiche, ma al fatto che nella ricerca di lavoro essi sono favoriti sia da circostanze economiche sia da tradizioni famigliari. Se riuscissimo a separare chi � escluso da circostanze economiche da chi invece si autoesclude dal lavoro, ci accorgeremmo che questi ultimi, che abbiamo chiamato Neet endogeni, sono invece prevalentemente maschi. Gli studi sugli hikikomori in Giappone (dove, come si � accennato, il fenomeno � stato affrontato da tempo come difficolt� psicologica pi� che lavorativa) ancora una volta ce lo confermano. I paragoni tra Paesi diversi sono ardui, data la diversa durata degli obblighi scolastici, le diversit� del mercato del lavoro, delle classificazioni che fanno rientrare fra i disoccupati e cos� via. In ogni caso l'Oecd sottolinea come esistano Paesi con alto tasso di Neet ma bassa disoccupazione giovanile; altri con elevata disoccupazione giovanile ma pochi Neet; e, infine, un terzo gruppo con grandi percentuali sia di Neet sia di giovani disoccupati. A quest'ultimo appartiene l'Italia, insieme a diversi Paesi dell'Europa dell'Est, alla Grecia e alla Turchia. Con gli anni la percentuale dei Neet � calata in Europa orientale e Grecia, ma non in Italia. Nell'Oecd, l'Italia � preceduta solo dalla Turchia quanto a proporzione di giovani che sono Neet malgrado abbiano un'educazione universitaria (oltre il 30%). L'Italia poi precede tutti gli altri Paesi nella percentuale di coloro che, cinque anni dopo esser stati classificati Neet, sono ancora tali: il 30% (solo la Grecia raggiunge un 20%, anche gli altri Paesi con cattivo piazzamento superano di poco il 10%). Infine, secondo la citata ricerca di Italia Lavoro, la percentuale di Neet � molto diseguale sul territorio italiano: da un 7,7% a Lucca cresce man mano che ci si sposta a sud, sino al 36,4 di Catania. Pur nell'impossibilit� di disaggregare dati cos� complessi, � molto probabile che un moltiplicatore della difficolt� di mercato sia paradossalmente prodotto dalla solidariet� familiare che, nell'area mediterranea e italiana, ha sempre supplito alle carenze dello Stato. Essa da un lato offre un terreno favorevole alla condizione Neet; dall'altro, con la sua vitalit�, con la sua natura di certezza millenaria e assoluta rispetto ai valori effimeri o generazionali della modernit�, dopo aver promosso la nascita del fenomeno, potrebbe esserne un custode e un alimento. Pi� si va a sud - cos� si pu� presumere - pi� i Neet crescono perch� aumenta la fiducia in questa protezione, mentre decresce quella nel libero mercato del lavoro e nell'intervento istituzionale. Sorge istintiva una domanda, che forse meriterebbe uno studio a s�: siamo qui di fronte a una specifica forza morale della famiglia italiana o, al contrario, considerati i risultati, a una rimanifestazione di quel familismo amorale proposto e accettato fin troppo facilmente come chiave di lettura dei mali nazionali da un paio di generazioni? Il versante creativo: verso la slow culture? Sarebbe comunque riduttivo classificare la nuova generazione di auto-esclusi considerando questi ultimi solo come un'inedita forma di psicopatologia. Per capire una condizione cos� generalizzata bisogna prima di tutto interrogarsi sul suo senso. Qualunque nevrosi non � solo una fuga da certe difficolt�. La domanda profonda �: "verso quale direzione" questi giovani cercano di andare? Prima di essere una patologia, la nevrosi �, ricorda Jung sulle tracce di Freud, un tentativo di movimento, di creazione di una realt� nuova che fallisce per insufficiente consapevolezza. In un'epoca storica che premiava qualit� appartate (per esempio nel Medioevo) molti dei giovani introversi, autoriflessivi, spesso apparentemente lenti come quelli oggi esclusi dal mercato del lavoro sarebbero stati premiati dalla cultura circostante diventando teologi. Oggi appaiono giovani delicati ma inutili: non perch� costituzionalmente fragili, ma perch� la loro forza riflessiva ha poco peso rispetto ai valori dominanti. Molti dei giovani di cui stiamo parlando soffrono di scarsa visibilit� perch�, in un ambiente dominato dai consumi esibitivi, hanno poco da esibire. Naturalmente la loro (auto)esclusione dal mercato del lavoro mortifica le loro possibilit� economiche: e questo diviene un motivo di umiliazione che, a circolo vizioso, li porta ad autoescludersi ancora di pi�. Uno sguardo pi� attento, per�, ci permette di vedere come anche molti di quanti hanno trovato un buon lavoro e dispongono sia di tempo sia di denaro da spendere non abbandonano affatto l'introversione ma, se possibile, ancor pi� la rafforzano in senso esistenziale e culturale. L'Italia ha seguito con ritardo il boom europeo dei festival culturali, ma poi ha assistito a un loro progresso ininterrotto, malgrado la crisi economica e malgrado buona parte dei frequentatori siano giovani, e fanno quindi i maggiori sacrifici per assistervi. Non a caso proprio questo nuovo gruppo giovanile legge pi� delle generazioni precedenti. Gli studi su questo tema (mi riferisco soprattutto all'approfondito testo di Giovanni Solimine, L'Italia che legge, 2010) mettono in guardia da frettolosi ottimismi. Chi gi� leggeva legge anche di pi�, chi non leggeva, se possibile, legge ancora di meno. Ma in linea di massima gli attuali ventenni leggono pi� dei trentenni, questi pi� dei quarantenni, e cos� via (dati Istat 2009). Da decenni, gli studi condotti dal Nea (National Endowment for the Arts) negli Stati Uniti dicono che le abitudini alla lettura si acquisiscono in giovent� e restano relativamente stabili. Quindi, � molto probabile che, quando i trentenni saranno quarantenni, e i ventenni trentenni, si leggeranno pi� libri (o, col loro diffondersi, pi� ebooks). Al contempo sta sorgendo una generazione per la quale il monopolio dei media diventa sempre meno rilevante. Gruppi crescenti usano con estrema agilit� il cellulare, i libri, la televisione, i quotidiani, il computer, passando dall'uno all'altro infinite volte al giorno. Sono molto pi� interessati dei loro genitori a capire le diverse possibilit� che i diversi media offrono; ma sono meno coinvolti di loro nel dibattito sugli abusi compiuti dai monopoli dell'informazione. Sono troppo liberi nella scelta dei media, quindi non si sentono abusabili e tanto meno schiacciati da Murdoch o Berlusconi. Per loro la fine del murdochismo, e del suo clone mediterraneo, � comunque inevitabile: non perch� i due tycoons non sono pi� quelli di prima, avendo raggiunto la quarta et�, ma perch� i consumatori mediatici non sono pi� quelli di prima. Non sono pi� galline in batteria che ingoiano mangimi prefissati nei tempi prefissati, bens� soggetti esigenti che alternano i diversi media senza esser dipendenti da nessuno in particolare. Se mai un mezzo � per loro centrale, si tratta di Internet, quello che, almeno in Occidente, nessun monopolista riesce a controllare. Ma c'� una considerazione pi� propriamente psicologica da fare. La parte avanzata della nuova generazione ha dato luogo di fatto a un movimento di base la cui forza aggregante non � stata guidata dall'alto e neppure da un programma cosciente, ma dall'inconscio collettivo. Questo inconscio crea, per cos� dire, una subcultura che reagisce ai ritmi sempre pi� affrettati e meno approfonditi imposti dalla competizione economica. Pur utilizzando ampiamente la tecnica, essa rifiuta la definitiva sostituzione dei rapporti umani con le presenze virtuali offerte dalla tecnologia. Vuole rallentamento e decompressione. Non � affatto un caso che questo gruppo, nato col computer, abbia anche assicurato il successo della Moleskine e di altri oggetti su cui si torna a scrivere lentamente e a mano. � riduttivo classificare queste tendenze solo come contro-tendenze: prima di essere contro, sono a favore di qualit� umane cui si rischia di rinunciare troppo presto. � anche affrettato qualificare questa generazione per quello che le manca e che certamente non si � tolta da sola (il Censis ha denunciato nei giovani un nichilismo digitale). Uno degli italiani oggi pi� noti nel mondo �, in questo momento, Carlo Petrini, creatore dello slow food, e che oggi, oltre alla biodiversit�, propone un'opera di salvataggio di riti e costumi. Non � esagerato immaginare che, dopo quella gastronomica, la parte buona delle tradizioni italiche, il cosiddetto inconscio collettivo, stia gradualmente proponendo anche una dieta mediatica alternativa, che potremmo chiamare slow culture: una gastronomia dello spirito e una alimentazione della conoscenza, basata non solo sull'elettronica, ma anche su una preservazione del rapporto umano e su ritmi in ogni senso biologici, di cui le menti non potranno mai fare a meno. Sicurezza sul lavoro (di Santo Di Nuovo e Giuseppe Santisi, _ "Psicologia contemporanea" n. 219/10) - Assai spesso la cronaca ci mette al corrente di tragici incidenti sul lavoro che accadono un po' in tutta Italia. - La legge 81 del 2008 prescrive che le aziende valutino i rischi da "stress lavoro-correlato" mettendo in atto azioni di prevenzione, riduzione ed eliminazione delle fonti di rischio di incidenti. Purtroppo l'Associazione dei mutilati e invalidi del lavoro lamenta una scarsa e inefficace opera di prevenzione e parla di una vera e propria "guerra che si svolge nell'ombra e nel silenzio". Diverse ricerche hanno evidenziato le varie fonti dello stress lavorativo: da quelle insite nella mansione (condizioni fisiche del lavoro, eccesso di carico, pressioni temporali), a quelle connesse al ruolo, alla struttura e al "clima" organizzativo. Atteggiamenti e percezioni dei soggetti pi� a rischio, invece, che costituiscono il cosiddetto "fattore umano" della sicurezza, dopo un periodo in cui furono fortemente enfatizzati a scapito delle condizioni oggettive del lavoro, sono oggi meno considerati dalla ricerca psicologica, centrata maggiormente sulla relazione fra fattori personali e contesto lavorativo. Va detto per� che gli studi di psicologia organizzativa riguardano soprattutto le aziende di grandi e medie dimensioni, mentre una rilevante quota di incidenti si verificano nelle piccole imprese o a conduzione familiare o nel lavoro in proprio, dove gli interventi organizzativi sono meno realizzabili e quindi meno frequenti. In questo articolo ci vogliamo soffermare sul rischio dal punto di vista soggettivo del lavoratore e sulle condizioni che possono incrementare la sicurezza personale, senza ovviamente sottovalutare l'importanza delle componenti contestuali e organizzative. Perch� si rischia? L'accettazione del rischio � connessa a diversi fattori di tipo psicologico e soggettivo. In particolare: - percezione di utilit� dell'obiettivo per il quale si rischia. Si pensi all'assunzione di rischi economici, che vanno dalla puntata in un gioco d'azzardo, agli investimenti in borsa o in altre imprese economiche. Nel caso del lavoro, pi� guadagno in tempi brevi, pi� concorrenza, ecc.; - la percezione di controllo sulla situazione. Accetta maggiormente il rischio chi � consapevole di essere capace di padroneggiare bene i mezzi tecnici di cui dispone. L'accettazione � indipendente dal fatto che questa percezione soggettiva sia pi� o meno adeguata alla realt�, e questo rende la situazione oggettivamente pi� rischiosa; - la ricerca di sensazioni "forti". Per certe persone l'assunzione di rischio pu� essere accompagnata anche da eccitazione: la ricerca di situazioni eccitanti comporta una componente di "sfida", di sperimentazione delle possibilit� e dei limiti. Non bisogna, inoltre, dimenticare la presenza di un rischio di tipo ludico, come in certi sport o nelle imprese "estreme", ad esempio alpinistiche, dove una persona � consapevole del fatto che per raggiungere l'obiettivo � necessario rischiare l'integrit� fisica o la vita stessa. E c'� infine un rischio prosociale: si accetta il rischio nel proprio lavoro per salvare altre persone, come avviene per vigili del fuoco o poliziotti. Ridurre il rischio, aumentare la sicurezza Il rischio � eliminatile? In che misura la sicurezza pu� essere incrementata? Sono queste le domande che si pone chi si occupa di prevenzione del rischio sul lavoro. Certamente alcune componenti, molto rilevanti, di rischio possono essere prevenute mediante una produzione di macchine e condizioni di lavoro sempre pi� sicure da un punto di vista tecnico. Questo aumento di sicurezza basato sull'eliminazione tecnologica del rischio � senza dubbio la base necessaria, ma da sola non � sufficiente. Esiste, infatti, una componente di rischio che pu� essere controllata solo mediante un miglioramento delle condizioni del contesto e dell'ambiente: nei contesti lavorativi il "clima" psicologico e relazionale, oltre che, ovviamente, l'ambiente fisico, contribuisce alla riduzione degli incidenti. Non bisogna dimenticare, infine, anche una componente di rischio "residuo", attribuibile ai fattori umani e a quelli che nella letteratura anglosassone si chiamano safety attitudes, cio� "atteggiamenti di sicurezza". Le principali fonti di incidenti, dal punto di vista soggettivo del lavoratore, sono: - la ripetizione di gesti pericolosi: aumenta la probabilit� che uno di essi sfoci in un incidente; - le iniziative oggettivamente rischiose, senza che il soggetto ne percepisca la reale pericolosit�; ad esempio, tenere un ritmo lavorativo eccessivo in relazione alle possibilit� della macchina e alle condizioni esterne; lavorare in stato di forte stanchezza; - l'assuefazione e il calo dell'attenzione controllata. Quest'ultimo aspetto merita un approfondimento. L'attenzione � caratterizzata da un'alternanza di fasi in cui il monitoraggio degli stimoli esterni e delle proprie reazioni � molto alto e di fasi in cui queste reazioni sono in gran parte automatizzate. L'automatizzazione comporta un risparmio di energie per il sistema neuromotorio dell'organismo, le cui capacit� sono limitate; ma l'attenzione controllata deve essere riattivata prontamente ogni qual volta le circostanze lo richiedano. Cos� una persona che apprende a lavorare con una certa macchina usa molto l'attenzione controllata quando non padroneggia ancora bene lo strumento e i suoi comandi; quando, invece, ha imparato in misura adeguata, pu� automatizzare molte funzioni "tecniche" e dedicare l'attenzione ad altre stimolazioni esterne o interne. Mentre un lavoratore esperto, ad esempio, pu� anche parlare con i colleghi durante il lavoro, per un principiante qualunque fonte di distrazione � potenzialmente pericolosa. Occorre per� che le funzioni automatizzate tornino ad essere controllate quando le circostanze lo richiedono: ad esempio, in condizioni atmosferiche o contestuali avverse o pericolose. La mancata attivazione di questi processi "controllati" � la fonte di tanti errori e di tanti incidenti che potrebbero essere evitati. La formazione del lavoratore non pu� prescindere da questi meccanismi di attivazione/riattivazione dell'attenzione controllata, che ad esempio nell'addestramento di piloti di aereo o controllori del traffico sono ben note e insegnate con grande accuratezza. La sicurezza come assunzione di responsabilit� Una corretta educazione alla sicurezza riguarda, per le componenti legate al "fattore umano", un'azione di informazione/formazione che implica l'assunzione di atteggiamenti e comportamenti responsabili. In particolare, occorre migliorare: - le capacit� attentive e di corretta percezione degli stimoli provenienti dall'ambiente: segnalazioni di pericolo, comportamenti di altri lavoratori; - la corretta attribuzione di causalit�, che rende attendibile prevedere quello che gli altri faranno favorendo l'assunzione di opportune contromanovre; - la consapevolezza dei processi che avvengono durante il lavoro, inclusi gli aspetti emotivi che portano all'irritabilit� e all'aggressivit�, ed � noto che le persone ansiose e aggressive sono le pi� soggette a incidenti; - la comprensione e valutazione delle dinamiche e delle cause degli incidenti cui si assiste o di cui si apprendono i resoconti: se questi messaggi non sono correttamente decodificati, il lavoratore si forma teorie sbagliate che poi influenzano il comportamento. Parallelamente, va evitata l'interpretazione del lavoro come "sfida", che conduce a testare i limiti delle possibilit� delle macchine e delle proprie capacit� di usarle. Dare il massimo nella propria mansione diventa cos� una messa alla prova di s� (self-testing) nelle difficolt�, confrontandosi con gli altri lavoratori. La soddisfazione in questo caso avviene su un piano solo personale; quando invece si fa sfoggio delle proprie abilit�, dimostrando agli altri di saperli lasciare indietro, il lavoro viene usato come dimostrazione di potenza. Un'altra fonte di rischio � anche un comportamento egocentrico e aggressivo, come se gli altri lavoratori fossero degli avversari con cui scontrarsi. Due fattori importanti per favorire la responsabilizzazione sono l'opinione che il lavoratore ha di s�, vale a dire la propria autostima generale, e l'auto-efficacia intesa come sensazione di poter riuscire bene nel proprio compito. Se tali fattori sono troppo bassi, si avr� un comportamento ansioso e insicuro; se troppo elevati, si pu� arrivare a trascurare o sottovalutare i rischi obiettivi, attivando quell'ottimismo irrealistico sulle proprie capacit� e possibilit� che � spesso causa di incidenti. Bisogna contrastare, durante la formazione ma anche sul lavoro, le convinzioni (irrazionali) del tipo: "Tanto a me non capita"; "Se uno sa come fare, non corre pericoli"; "Se si dispone di un mezzo efficiente, i rischi sono minimi"; "Certe infrazioni si possono fare, tanto lo fanno tutti", e cos� via. Una convinzione inappropriata, ma purtroppo diffusa, � quella che riguarda l'attribuzione di causalit� degli eventi a fattori incontrollabili e indipendenti dalla padronanza del soggetto: caso, fortuna o sfortuna. � l'atteggiamento che viene definito "aspettativa esterna del rinforzo" (external locus of control) e che riduce notevolmente la responsabilit� personale, in quanto tende ad attribuire all'esterno del soggetto stesso la causa di ci� che capita. Per concludere Quanto detto sugli aspetti soggettivi della percezione del rischio non vuole certo sminuire l'importanza della prevenzione sul piano tecnico e organizzativo, creando un alibi per quelle aziende che non rispettano le elementari norme di sicurezza o creano climi lavorativi stressanti. Aspetti tecnici e aspetti psicologici della riduzione del rischio vanno integrati per far crescere il livello generale di sicurezza. Gli elementi tecnologici e organizzativi possono e devono funzionare da ammortizzatori del rischio, prescindendo dalla responsabilit� del lavoratore. Ma quest'ultima � essenziale affinch� altre componenti tecniche - dal vecchio casco ai recenti sofisticati sistemi di controllo automatico - vengano correttamente utilizzate, e siano evitati i possibili comportamenti a rischio derivanti da fattori psicologici non controllati. La funzione del sonno (di Giulio Tononi e Chiara Cirelli, "Le Scienze" n. 542/13) - Durante il sonno il cervello lavora freneticamente, riducendo il numero di connessioni tra i neuroni. � un'attivit� di "potatura" essenziale per l'apprendimento e la memoria, oltre che per conservare l'energia indispensabile ai neuroni. - Ogni notte, mentre siamo addormentati - ciechi, muti e quasi paralizzati - il nostro cervello lavora a pieno regime. Durante il sonno i neuroni scaricano con una frequenza paragonabile a quella dello stato di veglia e consumano un'energia quasi equivalente. A che serve tutta questa attivit� in una fase della giornata in cui in teoria stiamo riposando? Per quale ragione la mente cosciente si scollega cos� completamente dal mondo, e invece il cervello continua a "chiacchierare"? � probabile che la sua attivit� durante il nostro riposo svolga alcune funzioni essenziali. La prima prova di questa importanza � la diffusione del sonno: quasi ogni animale dorme, bench� incoscienza e passivit� aumentino il rischio di finire in pasto a un predatore. Gli uccelli dormono, le api dormono, dormono le iguane, gli scarafaggi e persino i moscerini della frutta. In pi� l'evoluzione ha concepito adattamenti straordinari che favoriscono il sonno. Per esempio i delfini e altri mammiferi marini, che sono costretti a risalire spesso in superficie per respirare, dormono disattivando alternativamente un emisfero cerebrale, lasciando sveglio l'altro. Come molti, anche noi ci chiediamo da tempo quali siano i vantaggi che rendono il sonno cos� determinante per gli esseri viventi. Oltre vent'anni fa, quando lavoravamo insieme alla Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa, abbiamo ipotizzato che l'attivit� del cervello nel sonno riportasse al livello basale i miliardi di connessioni neurali modificate dagli eventi della veglia. Secondo la nostra teoria il sonno preserverebbe la capacit� dei circuiti cerebrali di formare nuovi ricordi per tutta la vita, senza saturarsi n� cancellare quelli precedenti. Ci siamo anche fatti un'idea del perch� sia necessario disattivare la consapevolezza dell'ambiente esterno durante il sonno. Pensiamo che l'esperienza cosciente del qui e ora si debba interrompere affinch� il cervello integri i ricordi nuovi con i vecchi. Il sonno garantisce questa pausa. La nostra ipotesi � abbastanza discussa fra i neuroscienziati che studiano il ruolo del sonno nell'apprendimento e nella memoria. Noi ipotizziamo infatti che il ritorno al livello basale derivi dall'indebolimento dei collegamenti tra i neuroni attivi nel sonno. Invece l'idea prevalente � che l'attivit� cerebrale nel sonno rafforzi le connessioni neurali coinvolte nell'archiviazione dei nuovi ricordi. Eppure anni di ricerca sugli organismi pi� diversi - dai moscerini all'uomo - avvalorano la nostra teoria. Lezioni notturne L'importanza del sonno per la memoria � stata ipotizzata quasi un secolo fa. Da allora, numerosi esperimenti hanno dimostrato che, dopo una notte di sonno e talvolta dopo un semplice sonnellino, le memorie appena formate "attecchiscono" meglio che trascorrendo lo stesso tempo equivalente da svegli. Questo modello vale sia per le memorie dichiarative - come liste di parole e associazioni tra disegni e luoghi - sia per le memorie procedurali, alla base delle abilit� percettive e motorie come, per esempio, suonare uno strumento. Le prove che il sonno � un toccasana per la memoria hanno indotto a cercare i segni del fatto che il cervello rielabora nottetempo il materiale appena imparato. Questi segni sono stati trovati: studi degli ultimi vent'anni - nei roditori e poi nell'uomo - mostrano che l'attivit� neurale nel sonno ha una struttura simile all'attivit� registrata nei soggetti da svegli. Per esempio quando un ratto impara a orientarsi in un labirinto specifici neuroni di una parte del suo cervello, l'ippocampo, scaricano, o si attivano, seguendo sequenze specifiche. Durante il sonno successivo, i ratti "rieseguono" queste sequenze pi� spesso di quanto sarebbe prevedibile in base al caso. Grazie a questi risultati, molti ricercatori ipotizzano che la "riesecuzione" nel sonno consolidi i ricordi potenziando ulteriormente le sinapsi gi� rafforzate da svegli. L'idea � che, quando i neuroni collegati scaricano ripetutamente le sinapsi che li connettono, pi� tempestivamente trasmettono i segnali da un neurone al successivo, aiutando i circuiti neuronali a codificare i ricordi nel cervello. Questo processo di rinforzo selettivo � detto potenziamento sinaptico, ed � il meccanismo d'elezione grazie al quale il cervello impara e ricorda. Ma bench� sappiamo che la riesecuzione e il potenziamento avvengono da svegli, non ci sono prove che le sinapsi dei circuiti "rieseguiti" si rafforzino nel sonno. Questa assenza di prove non ci stupisce. Anzi � coerente con il nostro sospetto che, mentre siamo addormentati e inconsapevoli, quella frenetica attivit� cerebrale - la "riesecuzione" e altre attivit� neuronali apparentemente casuali - stia indebolendo le connessioni neurali, non rinforzandole. Il costo della plasticit� Molte valide ragioni favoriscono la teoria che le sinapsi debbano indebolirsi, oltre che rafforzarsi, affinch� il cervello funzioni correttamente. Per prima cosa, le sinapsi forti consumano pi� energia di quelle deboli, e le riserve energetiche del cervello non sono infinite. Nell'uomo, il cervello consuma quasi il 20 per cento dell'energia dell'organismo, almeno due terzi della quale alimentano l'attivit� sinaptica. Inoltre, costruire e rinforzare le sinapsi � una fonte significativa di stress cellulare. Queste attivit� richiedono infatti alle cellule la sintesi e l'invio di diverse componenti: dai mitocondri (le centrali energetiche della cellula) alle vescicole sinaptiche (che traghettano le molecole segnale) a una serie di proteine e lipidi necessari per la comunicazione sinaptica. Sembra chiaro che questa richiesta di risorse � insostenibile: il cervello non pu� rafforzare e alimentare giorno e notte, vita natural durante, sinapsi frenetiche. Non mettiamo in dubbio che il potenziamento sinaptico influenzi l'apprendimento. Ma dubitiamo che continui anche nel sonno. Viceversa, l'indebolimento sinaptico nel sonno riporterebbe i circuiti cerebrali a una forza e a un'efficacia di base, evitando un consumo eccessivo di energia e lo stress cellulare. Definiamo questa finzione di ripristino svolta dal sonno "conservazione dell'omeostasi sinaptica", e "ipotesi dell'omeostasi sinaptica" - SHY, dall'acronimo inglese - la nostra ipotesi generale sul ruolo del sonno. In linea di principio, la SHY spiega lo scopo essenziale, universale del sonno: riportare il cervello a uno stato in cui pu� imparare e adattarsi da sveglio. I rischi di scollegarsi dall'ambiente per molte ore alla volta sono il prezzo di questa ricalibrazione neurale. Pi� in generale, il sonno � il prezzo della plasticit� del cervello, ovvero della sua capacit� di modificare i circuiti in risposta alle esperienze. Come spiega la SHY gli effetti salutari del sonno sull'apprendimento e la memoria? Come fanno le sinapsi indebolite a conservare meglio le capacit� e i fatti? Va considerato che, in una giornata qualunque, quasi ogni esperienza lascia una traccia nel cervello e gli eventi significativi - conoscere una persona o imparare un brano alla chitarra - sono una parte trascurabile di quella codificazione neurale. Per aumentare la memoria, il cervello addormentato deve distinguere il "rumore" dell'informazione trascurabile dal "segnale" degli avvenimenti significativi. Noi suggeriamo che, nel sonno, la scarica spontanea dei neuroni attivi molti circuiti differenti e in molte differenti combinazioni, di cui fanno parte le nuove tracce mnestiche ma anche le vecchie reti di associazioni apprese. (Un indizio di questa attivit� neurale disorganizzata si coglie nei sogni). L'attivit� spontanea permette al cervello di provare quali nuove memorie si adattano meglio a quelle in archivio rivelatesi significative, e indebolisce le sinapsi che stonano nel grande disegno della memoria. Insieme ad altri ricercatori stiamo indagando i meccanismi mediante i quali l'attivit� cerebrale indebolirebbe selettivamente le sinapsi che codificano il "rumore", preservando al contempo le sinapsi corrispondenti al "segnale". Mentre il cervello prova questi scenari immaginari e inscena l'indebolimento dove � appropriato, sarebbe meglio che fossimo inconsapevoli dell'ambiente circostante e incapaci di agire su di esso: in altre parole, addormentati. Allo stesso modo il ristabilimento dell'omeostasi sinaptica non dovrebbe avvenire da svegli, quando gli eventi del giorno avrebbero il sopravvento, mettendo in risalto i segnali pi� recenti, a scapito delle conoscenze accumulate nel cervello nel corso di tutta la vita. Il profondo scollegamento tipico del sonno libera il cervello dalla tirannia del presente, creando le circostanze ideali per integrare e consolidare i ricordi. Una debole connessione La nostra proposta, ossia che il cervello usi le scariche neuronali nel sonno per indebolire, anzich� rafforzare, le sinapsi, � sostenuta in parte da un'analisi dei dati generati con uno strumento classico nelle ricerche sul sonno: l'elettroencefalogramma, o EEG. L'EEG registra il pattern dell'attivit� elettrica della corteccia cerebrale mediante elettrodi applicati al cranio. Qualche decennio fa le registrazioni con l'EEG del cervello addormentato avevano rivelato due categorie principali di sonno, chiamate rispettivamente REM (movimenti oculari rapidi) e NREM, o non REM, che si alternano durante la notte. Ciascuno dei due sonni ha un pattern di onde cerebrali caratteristico. Oltre al tremolio dei bulbi oculari sotto le palpebre chiuse, da cui il nome di sonno REM, in questa fase prevalgono oscillazioni relativamente veloci: rapide salite e discese delle curve del tracciato EEG, simili alle registrazioni EEG dello stato di veglia. Viceversa, il carattere pi� evidente del sonno NREM sono oscillazioni lente, di frequenza pari a circa un ciclo al secondo. Dieci anni fa Mircea Steriade, dell'Universit� Laval, nel Quebec, aveva scoperto che le oscillazioni lente del sonno NREM insorgono quando gruppi di neuroni scaricano insieme per un breve periodo (i cosiddetti periodi on), diventano silenti per una frazione di secondo (periodi off), e riacquistano infine lo stato sincronizzato. � stata una delle scoperte fondamentali nelle ricerche sul sonno. In seguito si � scoperto che negli uccelli e nei mammiferi le onde lente risultano ampie se sono state precedute da un lungo periodo di veglia e si riducono quando subentra il sonno. Secondo il nostro ragionamento, se le sinapsi sono forti i neuroni aumentano la sincronia delle scariche elettriche generando onde lente pi� ampie, e se le sinapsi sono deboli i neuroni saranno meno sincronizzati e le onde lente pi� piccole. Dai risultati di simulazioni al computer ed esperimenti sull'uomo e su animali abbiamo dedotto che le ampie e ripide onde lente delle prime fasi della notte indicano che le sinapsi sono state rafforzate dal precedente stato di veglia; invece le onde lente piccole e pi� piatte registrate al mattino presto indicano che le sinapsi si sono indebolite nel sonno. Un sostegno diretto alla teoria che le sinapsi si indeboliscono nel sonno, e che subirebbero addirittura una potatura, viene dagli studi sugli animali. Per esempio nel moscerino della frutta riscontriamo che il sonno inverte l'aumento progressivo del numero e delle dimensioni delle sinapsi verificatosi di giorno, in particolare quando i moscerini sono esposti ad ambienti stimolanti. Per inciso, le spine sinaptiche sono protrusioni specializzate su una ramificazione del neurone che riceve i segnali. Quando i moscerini trascorrono la giornata interagendo con i loro simili, la sera i neuroni di ogni parte del loro cervello generano per gemmazione pi� spine sinaptiche di quelle presenti al mattino. E, cosa altrettanto straordinaria, il mattino seguente il numero di spine ritorna al livello basale se - e solo se - i moscerini hanno potuto dormire. Abbiamo osservato un fenomeno simile nella corteccia cerebrale dei topi adolescenti: il numero di spine sinaptiche aumentava quando gli animali erano svegli e si riduceva dopo che avevano dormito. Nei roditori adulti l'esito � stato identico. In questo caso, per�, nello stato di veglia e nel sonno varia non tanto il numero di spine sinaptiche, quanto la diffusione di determinate molecole delle spine, i recettori AMPA, molecole che determinano la forza delle sinapsi. Monitorando i recettori AMPA abbiamo riscontrato che il loro numero per sinapsi aumentava dopo lo stato di veglia e diminuiva dopo il sonno: un numero maggiore di recettori � il segno che le sinapsi sono pi� forti; un numero inferiore che si sono indebolite. La forza sinaptica si pu� misurare direttamente con una sonda elettrica che stimola le fibre neurali della corteccia. I neuroni rispondono con una scarica elettrica indotta, che risulta maggiore quando le sinapsi sono forti, e minore quando le connessioni sono deboli. Abbiamo dimostrato che, nei ratti, i neuroni stimolati scaricano con forza maggiore dopo alcune ore di veglia, e con forza minore dopo il sonno. Marcello Massimini, dell'Universit� di Milano, e Reto Huber, ora all'Universit� di Zurigo, hanno eseguito un esperimento analogo nell'uomo. Invece di una sonda elettrica hanno usato la stimolazione magnetica transcranica - un breve impulso magnetico applicato al cranio - per stimolare i neuroni sottostanti, e hanno poi registrato la forza delle risposte corticali con l'EEG ad alta densit�. I risultati sono stati inequivocabili: pi� a lungo il soggetto rimaneva sveglio, pi� ampie erano le risposte dell'EEG. Era necessaria una notte di sonno affinch� le risposte corticali ritornassero al livello basale. I vantaggi della sobriet� La conclusione comune degli esperimenti da noi eseguiti nell'arco di vent'anni � che l'attivit� corticale spontanea del sonno indebolisce le connessioni sinaptiche nei circuiti neurali sia smorzando la loro capacit� di inviare impulsi elettrici sia eliminandole del tutto. Questo processo, che abbiamo chiamato selezione riduttiva (down selection), garantirebbe la sopravvivenza dei circuiti "pi� idonei", vuoi perch� erano stati attivati con pi� forza e coerenza durante la veglia (per esempio suonando le note giuste sulla chitarra durante l'apprendimento di un nuovo brano), vuoi perch� si sono integrati meglio con i ricordi precedenti, pi� vecchi (come accadrebbe imbattendosi in una nuova parola in una lingua conosciuta). Invece le sinapsi dei circuiti potenziate solo lievemente nello stato di veglia (come le note mancate con la chitarra) o che meno si adattano ai vecchi ricordi (come una nuova parola presentata in una lingua sconosciuta) sarebbero depresse. La selezione riduttiva garantirebbe che gli eventi poco significativi non lascino tracce durevoli nei circuiti neurali, e che invece i ricordi degni di nota siano conservati. Inoltre la selezione riduttiva farebbe spazio a un altro ciclo di rinforzo sinaptico durante lo stato di veglia. In effetti alcuni dati suggeriscono che il sonno, fra i molti altri vantaggi che arreca all'apprendimento e alla memoria, favorisce l'acquisizione successiva di nuovi ricordi (il materiale incontrato prima della fase di sonno successivo). Numerosi studi hanno dimostrato che dopo una notte di sonno impariamo nuovo materiale assai meglio che se fossimo stati svegli per un giorno intero. Bench� manchino ancora le prove dirette di un meccanismo che genera l'indebolimento selettivo delle sinapsi attivate, un'idea di come potrebbe avvenire ce la siamo fatta. Sospettiamo che, nei mammiferi, un ruolo lo svolgano le onde lente del sonno NREM. In esperimenti di laboratorio su tessuto cerebrale di ratto � stato osservato che le cellule nervose perdono efficacia nella trasmissione dei segnali quando sono stimolate imitando i cicli sincronizzati on/off del sonno a onde lente. Nel sonno NREM si modifica anche la chimica del cervello, contribuendo all'indebolimento sinaptico. Nell'individuo in stato di veglia un brodo concentrato di molecole segnale - come l'acetilcolina, la noradrenalina, la dopamina, la serotonina, l'istamina e l'ipocretina - inonda il cervello e predispone le sinapsi a rinforzarsi quando i segnali le attraversano. Tuttavia nel sonno, in particolare in quello NREM, il brodo � molto meno concentrato. Questo ambiente di neuromodulatori diluito predisporrebbe i circuiti neurali a indebolire le sinapsi - invece che a rafforzarle - quando i segnali le attraversano. Questo processo coinvolgerebbe anche il fattore neurotrofico di derivazione cerebrale (BDNF), una sostanza che favorisce il rinforzo sinaptico ed � implicata nell'acquisizione dei ricordi. I livelli di BDNF sono infatti elevati nei neuroni durante lo stato di veglia e minimi durante il sonno. Il sonno locale A prescindere dai meccanismi e dai processi selettivi specifici, ci sono solide prove che, in varie specie animali, la forza sinaptica complessiva aumenta nella veglia e diminuisce nel sonno: proprio il cuore della previsione della SHY. Possiamo mettere ulteriormente alla prova l'ipotesi esaminandone alcune interessanti conseguenze. Per esempio, se l'ipotesi � corretta allora pi� una parte del cervello � plastica nello stato di veglia, pi� avrebbe bisogno di dormire. Il "bisogno di sonno" pu�, a sua volta, essere segnalato da un aumento di ampiezza e di durata delle onde lente NREM. Per verificare questa previsione abbiamo chiesto ad alcuni volontari di imparare un nuovo esercizio. Consisteva nel raggiungere un bersaglio sullo schermo di un computer mentre il cursore (controllato da un mouse) veniva sistematicamente ruotato. La parte del cervello coinvolta in questa forma di apprendimento � la corteccia parietale destra. Come previsto, quando i soggetti dormivano, le onde lente della loro corteccia parietale destra erano pi� ampie al confronto con le onde nella stessa area, registrate per� la sera prima dell'apprendimento. Queste onde ampie si erano appiattite nel corso della notte, proprio come tali oscillazioni. Ma quelle ampie onde localizzate all'inizio della notte ci dicono che una particolare area del cervello � stata esaurita dall'esercizio che avevamo assegnato. Da allora molti altri esperimenti, eseguiti da noi e da altri ricercatori, hanno confermato che l'apprendimento, e pi� in generale l'attivazione delle sinapsi nei circuiti, genera un aumento locale del bisogno di sonno. Recentemente abbiamo addirittura scoperto che l'uso prolungato o intenso di determinati circuiti pu� far "addormentare" gruppi locali di neuroni, persino se il resto del cervello (e pure l'organismo) rimane sveglio. Cos�, se un ratto rimane sveglio pi� a lungo del normale alcuni neuroni corticali mostrano brevi periodi di silenzio, praticamente indistinguibili dai periodi off osservati nel sonno a onde lente. Eppure il ratto continua a fare la sua vita, con gli occhi aperti, come qualunque suo simile sveglio. Questo fenomeno, il sonno locale, � oggetto di studio di altri colleghi. Le nostre ricerche pi� recenti indicano che periodi off localizzati si manifestano anche nel cervello di persone deprivate del sonno, e che questi periodi aumentano di frequenza dopo un apprendimento intenso. Quando rimaniamo svegli troppo a lungo, o quando abbiamo sovraccaricato determinati circuiti, piccoli blocchi del cervello schiacciano un pisolino a nostra insaputa. Viene da chiedersi quanti errori di valutazione, errori banali, risposte irritate e umore nero siano causati dal sonno locale nel cervello di persone esaurite che si credono perfettamente sveglie e nel pieno controllo. La SHY predice, inoltre, che il sonno � di vitale importanza nell'infanzia e nell'adolescenza, che, come dimostrano molti studi, sono periodi di apprendimento concentrato e di intenso rimodellamento delle sinapsi. Nella giovinezza le sinapsi sono formate, rinforzate e potate con una frequenza esplosiva, sconosciuta nell'adulto. � ragionevole che la selezione riduttiva durante il sonno sia decisiva per ridurre al minimo i costi energetici di questo frenetico rimodellamento sinaptico e per favorire la sopravvivenza dei circuiti neurali adattativi in questi stadi della vita. Viene naturale chiedersi che cosa succede quando il sonno � disturbato o insufficiente in periodi decisivi dello sviluppo. Questa carenza potrebbe alterare la rifinitura dei circuiti neurali? In caso affermativo, l'effetto della perdita del sonno sarebbe ben pi� di una dimenticanza o di un errore di giudizio occasionali: sarebbe un cambiamento durevole nei circuiti del cervello. Non vediamo l'ora di verificare le previsioni della SHY e di esplorare ulteriormente le sue implicazioni. Ci auguriamo, per esempio, di scoprire se la deprivazione del sonno durante lo sviluppo neurale genera cambiamenti nella organizzazione dei circuiti cerebrali. Vorremmo anche saperne di pi� sull'effetto del sonno su aree del cervello profondo, come il talamo, il cervelletto, l'ipotalamo e il tronco cerebrale, e sul ruolo del sonno REM nella omeostasi sinaptica. A quel punto forse capiremmo se il sonno � davvero il prezzo della plasticit� nello stato di veglia, un prezzo che ogni cervello e ogni neurone devono pagare.