Marzo 2021 n. 3 Anno VI Parliamo di... Periodico mensile di approfondimento culturale Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registraz. n. 19 del 14-10-2015 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Pietro Piscitelli Massimiliano Cattani Luigia Ricciardone Copia in omaggio Rivista realizzata anche grazie al contributo annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del MiBACT. Indice L'arte dell'ascolto 5 gossip sui Savoia Professione musica? L'arte dell'ascolto (di Giulia Lamarca, "Psicologia contemporanea" n. 283/21) - Oltre ad ascoltare gli altri, dovremmo prenderci del tempo anche per ascoltare noi stessi. Quando lo facciamo scopriamo tante cose. - L'autunno � forse da sempre la stagione dell'anno pi� riflessiva. Ritorniamo a stare a casa, sotto le coperte, sul divano, guardando serie Tv e leggendo libri mentre sorseggiamo una tazza di t� o di caff�. Le giornate iniziano ad essere piovose, il cielo un po' pi� scuro e il rumore del vento e della pioggia portano dentro di noi sempre qualche domanda in pi�. Al di l� del riferimento stagionale, � proprio in momenti cos� che dobbiamo coltivare l'arte dell'ascolto. Quando pensiamo all'ascolto, ci viene subito in mente l'ascoltare gli altri, invece in questo articolo io desidero parlare della coltivazione dell'arte di saper ascoltare noi stessi. Spesso, durante le terapie, accade semplicemente questo: non � solo il terapista ad ascoltare noi, ma soprattutto siamo noi che mentre parliamo, forse per la prima volta, decidiamo di ascoltarci davvero. Questo � quello che dovrebbe accadere anche durante la nostra vita. Sapere ascoltarci, sia mentre stiamo in silenzio sia mentre parliamo. A volte, come psicologa, faccio fare proprio questo esercizio. "Pensa a un evento o a una situazione della tua vita che hai sempre raccontato con facilit� e che reputi di sapere a memoria. Una volta scelta, rinarrala, ma chiediti se la stai davvero raccontando come vuoi tu. Ascolta bene ogni parola che dici e pensa se � davvero quello che volevi dire". La maggior parte delle volte che ho fatto fare questo esercizio, le persone si sono stupite di ci� che stavano raccontando. Si rendevano conto che in realt� andavano "in automatico" e che non si ascoltavano nemmeno pi� per verificare se quanto rievocavano era corretto. Questo � un piccolissimo esempio per far capire che non siamo pi� abituati ad ascoltarci, laddove l'ascolto � un'arma potentissima e anche una delle poche che abbiamo per imparare a conoscerci, riconoscerci e comprenderci. Ma perch� allora � cos� difficile esercitarci ed educarci all'ascolto? Semplice: perch� ascoltare significa "stare intenzionalmente a udire". Se ci soffermiamo anche solo per un attimo su questa descrizione, gi� scopriamo un aspetto nuovo, ossia l'intenzione. Ecco perch� dico che dobbiamo volerci ascoltare e che ascoltare � un atto attivo, una decisione... perch� � intenzionale. Ascoltare significa farsi domande, ma soprattutto cercare e udire risposte. Ed � proprio questa la parte pi� difficile: le risposte. Alle volte, le domande escono semplici, alle volte rimanere nel silenzio ne fa emergere di nuove, ma sicuramente una parte importante del sapersi ascoltare riguarda le risposte che arrivano o non arrivano. Vedete, quando ascoltiamo gli altri, decidiamo di metterci per un attimo volontariamente da parte per far spazio all'altra persona. Fare spazio all'altro significa riconoscerlo e accettarlo, comprendere le sue emozioni e comprendere anche ci� che non viene detto. Tutto questo � facile da pensare verso un'altra persona, ma � difficile, molto difficile, da fare con noi stessi. Invece, non c'� percorso pi� bello che iniziare a usare queste stesse "regole" con noi stessi. Possiamo identificarne qualcuna per iniziare a imparare ad ascoltarci: - metti pace ai tuoi pensieri, non giudicarti subito, non giudicare subito i tuoi pensieri, prima guardali, osservali, ascoltali; - sii gentile ed empatico con te stesso; - impara a riconoscere e conoscere il tuo corpo e i segnali che provengono da esso; - non aver fretta di risolvere il problema, l'ascolto non � un'attivit� di problem-solving. Vedete, anch'io non avevo mai riflettuto cos� tanto su quanto sia importante fermarsi e imparare ad ascoltare noi stessi, ma proprio in questo inizio di anno nuovo mi sono resa conto che siamo in continuo divenire e in continuo cambiamento. Noi non siamo quelli che eravamo ieri e neanche siamo quelli che saremo domani. I nostri tratti, seppur comuni, sono in continuo cambiamento. Ed � proprio da questa consapevolezza che nasce l'importanza di conoscere noi stessi, e l'unico modo che abbiamo per farlo � quello di prenderci del tempo privo di giudizio e appunto ascoltarci, osservarci. In un certo senso, � come se dovessimo diventare osservatori esterni di noi stessi e ascoltarci in modo non giudicante. A volte pu� succedere che ci accorgiamo di essere il frutto di ci� che gli altri pensano o dicono di noi. Questo � l'errore pi� grande che possiamo commettere su noi stessi, cio� costruire una narrazione di noi basata sui racconti e sui desideri di altre persone e cos� credere di conoscerci. Invece, dobbiamo fermarci e dare avvio a un'introspezione profonda, porci domande come: "Cosa voglio davvero? Sono felice di fare quello che sto facendo? Cosa posso fare per me? Cosa mi rende felice?". Sono tutte domande che richiedono di guardare dentro noi stessi e di lasciare la voce degli altri su di noi in lontananza. Come sostiene la grande psicologa Tasha Eurich: "Non dobbiamo chiederci "perch�?", ma "che cosa?"". Mi piace la sua osservazione, in quanto il perch� impone di cercare di risolvere un problema, mentre il che cosa permette un'esplorazione e uno spazio di ascolto. Questo vuol essere un invito a intraprendere un percorso e a sceglierci, dato che non � mai troppo tardi per conoscersi meglio. 5 gossip sui Savoia (di Luigi Grassia, "Focus Storia" n. 172/21) - Sembrano fake news, ma non lo sono. Si tratta semplicemente di fatti poco noti, ma che a modo loro dicono molto sulla dinastia sabauda e sui suoi intrecci con la storia europea. In queste pagine, fra scambi in culla, corone sfiorate e troni mancanti, alcuni succosi "dietro le quinte" della nostra royal family. - 1. Il Madagascar pu� attendere - Pochi lo sanno, ma fra il Cinque e il Seicento casa Savoia assoldava corsari inglesi - Henry Mainwaring, Robert Walsingham, Robert Easton e altri - per far preda nel Mediterraneo e razziare schiavi musulmani in Nordafrica. E nel Settecento i reali stavano per estendere questa attivit� addirittura nell'Oceano Indiano, come potenziali sovrani del Madagascar e delle ciurme di pirati europei e americani che in quell'isola si annidavano. And� cos�: Vittorio Amedeo II fu invitato per iscritto, dagli stessi pirati, a proclamarsi sovrano del Madagascar. Non tutti erano rozzi: fra loro c'erano anche raffinate menti politiche, nobili e letterati capaci di tenere in mano la penna come la spada. La proposta part� in un anno imprecisato fra il 1720 e il 1730. Matrimonio d'interesse. I filibustieri del Madagascar desideravano far carriera e da semplici pirati volevano diventare corsari, grazie a lettere sabaude che certificassero il servizio reso al sovrano; il loro obiettivo era essere trattati come prigionieri di guerra anzich� finire impiccati, in caso di cattura da parte di navi da guerra inglesi, francesi, olandesi ecc'. In cambio, i filibustieri garantivano che re Vittorio Amedeo non avrebbe dovuto sborsare un soldo, perch� sarebbero stati loro, i pirati promossi corsari, a fornirgli gratis la manodopera militare e le navi necessarie a presidiare il Madagascar e le sue acque. Anzi, gli avrebbero pure pagato sostanziose royalty sulle prede fatte in mare. Si prospett� addirittura l'ipotesi di usare il Madagascar come base di conquiste in Etiopia. Come fin�? Vittorio Amedeo ci pens� su, ma non ne fece nulla: era ancora impegnato ad assorbire nei suoi domini la Sardegna (acquisita da poco). La stessa linea segu� il figlio Carlo Emanuele III; il Madagascar appariva favoloso ma un po' troppo impegnativo. 2. La prima corona - In casa Savoia il titolo di conte di Ginevra non luccicava. Veniva attribuito ai secondogeniti maschi del duca; poi ci si aspettava che costoro si dessero da fare, con la spada o con i matrimoni, per trovare una collocazione migliore nel mondo. Nel XV secolo un conte di Ginevra di nome Luigi fu il primo Savoia della Storia a cingere una corona: ci riusc� impalmando Carlotta di Lusignano, erede effettiva del regno di Cipro ed erede teorica anche di molto altro in Oriente. Segnamoci la data: il 7 ottobre 1459 a Nicosia un Savoia viene incoronato re di Cipro, Gerusalemme e Armenia, due secoli e mezzo prima che la dinastia cingesse la corona di Sardegna e quattro secoli prima che assurgesse a quella d'Italia. Luigi non dur� molto come sovrano, soltanto un anno. E anche in quell'anno il suo potere venne contrastato con le armi. Carlotta aveva un fratellastro che aspirava al trono di Cipro, e per raggiungere lo scopo il fedifrago non esit� ad allearsi con il sultano dell'Egitto e a sbarcare sull'isola al comando di un'armata di mercenari arabi. Luigi cerc� aiuto sia in Savoia sia presso le repubbliche marinare italiane, ma quello che ottenne non bast�. Scacciato da Cipro gi� nell'ottobre 1460, vi sbarc� un'altra volta nel 1461 con un nuovo esercito, ma fu respinto, stavolta definitivamente. Nell'impossibilit� di farli valere, cedette i suoi pomposissimi titoli regali al fratello duca, che a sua volta li trasmise agli eredi. Fino a Vittorio Emanuele III: solo allora questa storia fin�. 3. Il figlio del macellaio - Sui Savoia grava un sospetto che a suo tempo fu avvalorato (sottotraccia) da Massimo d'Azeglio, e pi� di recente � stato considerato seriamente dallo storico britannico Denis Mack Smith: l'ipotesi che il primo re d'Italia, Vittorio Emanuele II, non fosse figlio di Carlo Alberto, ma di un macellaio fiorentino. Niente adulterio per�: si tratterebbe di un caso di sostituzione. La notte del 16 settembre 1822, nella Villa del Poggio Imperiale a Firenze - dove Carlo Alberto e la moglie soggiornavano -, il lettino del piccolo Vittorio Emanuele bruci�, assieme alla balia che aveva appiccato involontariamente il fuoco manovrando un lume. La ragazza mor� carbonizzata, ma da quel rogo il prezioso frugolo si sarebbe salvato miracolosamente, senza il minimo danno. Per il Regno di Sardegna la perdita di quell'unico erede al trono sarebbe stata esiziale: gi� re Carlo Felice, vecchio e senza figli, era stato costretto a designare come erede un lontanissimo cugino (di quinto grado), da lui peraltro non amato, e cio� Carlo Alberto. Ma se anche questo erede fosse rimasto senza discendenza, le potenze europee avrebbero potuto dichiarare estinta la dinastia dei Savoia per sostituirla con un'altra. Proprio per il mese successivo (ottobre 1822) era convocato a Verona un Congresso della Santa Alleanza, e se il Regno di Sardegna si fosse presentato con la dinastia sull'orlo dell'estinzione ne sarebbero potute uscire decisioni irreparabili. Da qui la necessit� assoluta di mostrare al mondo un principino in perfetta salute, mentre il lettino era un tizzone e la balia era morta. La vox populi disse che il principino era morto ed era stato sostituito con un altro bambino, figlio di un macellaio soprannominato Maciacca, o Tanaca (vero nome Gaetano Tiburzi). Secondo la testimonianza dell'ex Primo ministro Massimo d'Azeglio, raccolta a viva voce dall'editore e scrittore Gaspero Barbera, il vero figlio di Carlo Alberto sarebbe "rimasto abbruciato nell'incendio"; anche il generale Alfonso La Marmora e altri dignitari espressero dubbi sulla reale paternit� di Vittorio Emanuele II, dubbi poi soffocati. Tutto vero, tutto falso? Per appurarlo servirebbe un esame del Dna, che non � mai stato fatto. E i Savoia non vi sono affatto tenuti: hanno diritto come tutti alla loro privacy genetica. Del resto, la storia di tante famiglie reali sarebbe da riscrivere, se si andasse a scandagliare chi � figlio di chi. 4. Regine in casa d'altri - Casa Savoia non ha avuto imperatori, ma vanta ben due imperatrici, una a Costantinopoli e una in Germania, a testimoniare il prestigio europeo di una dinastia capace di combinare fruttuosi matrimoni per le sue rampolle. Nel 1328 una Giovanna di Savoia si insedi� a Bisanzio come imperatrice consorte, assumendo il nome di Anna Paleologina, ma fece ben di pi� che accasarsi, perch� dopo essere rimasta vedova esercit� da sola il potere nella capitale e nell'impero, e lasci� in Oriente una discendenza che di sangue era anche sabauda. Costantinopoli era un nido di vipere, dove ci si muoveva fra intrighi e tradimenti, ma Giovanna se la cav� egregiamente, pur rivelandosi il ruolo di imperatrice molto complicato: per lei furono decenni di lotte continue. Qualche secolo prima, un'altra vita illustre grazie alle nozze fu quella di Berta di Savoia, che divent� imperatrice d'Occidente sposando un principe tedesco, che poi divent� imperatore del Sacro Romano Impero con il nome di Enrico IV (s�, quello di Canossa e della lotta per le investiture). Tempi pi� burrascosi visse Mafalda di Savoia, diventata regina del Portogallo nel 1146, quando il Paese era per met� occupato dai Mori e vi infuriava la guerra: conflitto che peraltro fin� bene, visto che fu lei, Mafalda, a entrare da trionfatrice a Lisbona, appena conquistata dopo un epico assedio, al fianco di re Alfonso I. Altre Savoia divennero poi regine di Portogallo, di Francia e di Boemia. Ma i nostri ex reali hanno mai conferito il potere a una donna? No, in assenza di figli maschi, le eventuali femmine venivano scavalcate da consanguinei, anche lontanissimi cugini, purch� maschi. 5. Illuminati ma non troppo - Vittorio Amedeo II, il duca di Savoia che divent� re di Sardegna (e lo stesso a cui venne offerta la corona del Madagascar), fu un sovrano intelligente, colto e riformatore. L'arco della sua vita coincise con il primo albeggiare dell'Et� dei lumi, eppure sotto di lui, fra il 1709 e il 1710, Torino fu teatro di un processo per stregoneria seguito da una condanna a morte per squartamento, come nel pi� buio dei Secoli bui. Un carcerato, Giovanni Boccalaro, studi� un piano che nel XXI secolo ci fa sorridere, ma al tempo fu preso sul serio dai suoi contemporanei: con presunte pratiche di magia nera cerc� di far morire Vittorio Amedeo II, contando sul fatto che il duca successore festeggiasse poi l'ascesa al potere con un'amnistia, di cui lo stesso Boccalaro avrebbe beneficiato. Era un sarto, "ospite" del carcere di Torino per omicidio. Il Boccalaro avrebbe confezionato un pupazzo di pezza con le fattezze del re, ma il feticcio cadde in mano alle autorit�, grazie alla soffiata di un compagno di cella. Il Boccalaro prov� a difendersi affermando che il delatore si era inventato tutto per ottenere uno sconto di pena, tuttavia l'accusa aveva in mano una prova, cio� il pupazzetto, e questo port� a una condanna atroce: torturato e mutilato con le tenaglie infuocate ("nei luoghi soliti" dice la sentenza), il poveretto fu smembrato in quattro parti, che vennero appese alle quattro porte di Torino, e la sua testa esposta su una colonna. Fu un caso estremo per truculenza, ma non isolato: sotto Vittorio Amedeo II le condanne per stregoneria, di varia severit�, furono una sessantina. Niente male per un duca illuminato. Professione musica? (di Bruno Bertucci, nonsololink.com) In questo breve articolo vogliamo riportare il primo approccio al mondo della musica da parte di alcuni artisti tra i pi� rappresentativi del panorama musicale internazionale, intervistati in contesti ed epoche diverse. Per molti di loro la famiglia ha svolto un ruolo fondamentale, con la preminenza, a seconda delle situazioni, della figura materna o di quella paterna. In altri casi le occasioni che si sono presentate, fra le pi� varie, hanno permesso questo primo accostamento del musicista ad una realt� artistica; per altri ancora l'iniziazione musicale � avvenuta per gioco. Esperienze differenti, quindi, dimostrano quanto la formazione del musicista possa essere composita o dipendere da molteplici fattori, come, ad esempio, un ambiente stimolante che pu� concorrere a far emergere, in alcuni casi, un talento precocissimo. Quest'articolo vuole svelare aspetti, per la maggior parte, spesso ignorati dal grande pubblico che danno il la a una formazione artistica. Fra le famiglie che hanno avuto un peso determinante nelle scelte delle loro nuove generazioni, citerei due esempi eclatanti: quelli dei direttori Christian Benda, discendente di una vera e propria dinastia di musicisti, e Umberto Benedetti Michelangeli, nipote del grande pianista italiano. Il Maestro Benda cos� espone la sua esperienza: "Ho appreso la musica a casa con i miei genitori e dagli zii, anch'essi musicisti. Quand'ero bambino, io e mio fratello, giocavamo con la musica e, piano piano, essa � diventata per noi una cosa naturale. Chiaramente ho fatto gli studi regolari di conservatorio, ma ci� che realmente penso � che noi dobbiamo immergerci nella musica che � legata alla vita e non alla scuola". A sua volta, Benedetti Michelangeli rievoca il suo approccio in questi termini: "Ho iniziato a studiare musica da bambino con una zia che mi ha seguito i primi anni. In una casa in cui la musica si � sempre masticata, � evidente che il rapporto con essa non si � mai interrotto, nonostante un lasso di tempo abbastanza prolungato in cui non pensavo assolutamente a continuare gli studi musicali in vista di una meta professionale. Ho frequentato il liceo seguendo contemporaneamente quest'inclinazione, ma in forma privata, fortunatamente. Finch�, una volta iscrittomi all'universit�, ho dedotto che tutto sommato la musica era forse il male minore. Da allora ho ripreso cos�, un po' timidamente gli studi, rendendomi conto che mi appassionavo veramente. Mi sono buttato in anni di studio forsennato per recuperare un po' del tempo perduto. � stata una vicenda non totalmente lineare. Forse soltanto in quest'ultimo anno ho cominciato a sentirmi tranquillo nei riguardi di me stesso". Da parte sua, il direttore svizzero Karl Martin si richiama a questo modello di esperienze musicali, scaturite da un primo contatto gi� nel nucleo familiare: "Appartengo a una famiglia ricca di tradizione musicale. Mio padre era un bravo violoncellista e mio fratello � diventato un ottimo pianista, per� la musica nella nostra famiglia era una costante. Dopo la maturit� ho deciso di entrare in conservatorio e mi sono diplomato in teoria e flauto". Sinteticamente, il pianista polacco Krystian Zimerman ci illustra il suo esordio da bambino: "Ho iniziato a suonare il pianoforte a circa cinque anni; mio padre fu il primo insegnante". Un altro esempio di figlio d'arte � quello di Anahi Carfi, gi� primo violino della Scala, che racconta: "La scelta dello strumento � dovuta a mio padre, che ha studiato all'Accademia di Santa Cecilia a Roma. Io, in realt�, avrei voluto fare la ballerina classica o la biochimica e, quanto a strumenti, avrei preferito l'arpa, lo strumento di mia madre, che allora mi sembrava pi� femminile del violino. All'inizio � stata un po' dura, ma poi ho cominciato ad amarlo e adesso sono felice di suonare il violino". Da un violino argentino a quello spagnolo di Montserrat Cervera, che illustra in breve i suoi primi incontri con la musica. Anche in questo caso, l'ambiente familiare ha giocato un ruolo molto importante: "Ho iniziato a suonare all'et� di tre anni: i miei genitori erano musicisti, pianisti entrambi, e sia io che mio fratello, abbiamo cominciato con un giocattolo, uno strumento di latta. All'et� di sei anni ci siamo messi seriamente a studiare e il fatto che la mia famiglia era composta da musicisti c'ha facilitato molto. Non ricordo il primo giorno che ho toccato uno strumento: troppo piccola". Anche Marco Fiorini sottolinea l'importanza della figura materna: "Innanzitutto ho avuto la fortuna di avere una madre violinista, Montserrat Cervera, che mi ha introdotto nell'ambiente musicale. Sicuramente questa � la prima tappa fondamentale della mia carriera. Dopodich� l'avventura in conservatorio � stata molto importante. Anche l� sono stato molto fortunato con la mia insegnante. In fondo, direi anche che si sono dimostrati di particolare interesse, e fondamentali per la prosecuzione di questo lavoro, i corsi di musica da camera, che penso siano stati i pi� belli che abbia mai seguito, a Lerici, con Maestri come Beyerle e Hurvitz, e soprattutto l'aver conosciuto a Portogruaro Pavel Vernikov, che veramente mi ha aiutato". Esperienze simili ci vengono riferite da Joaquin Achucarro e Patrick Gallois. Il primo cos� racconta il suo esordio da bambino: "Ricordo che piccolo allungavo le braccia per arrivare a toccare i tasti del pianoforte e con le dita provavo a "suonare" quell'immenso strumento; quindi, verso i tre-quattro anni ho iniziato a studiare, ma senza aver mai l'idea di fare il professionista. In famiglia c'erano mio padre e mio nonno che erano dei bravi musicisti amatori. Allora, per sentire la musica, bisognava produrla da s�. Quello che vorrei sottolineare �, appunto, la tradizione familiare. Pare che abbia dimostrato un certo talento e quindi ho fatto progressi quasi senza studiare". Patrick Gallois riporta un inizio molto simpatico: "Quando ero bambino vendevano dei flauti con caramelle che, come tutti i bambini, adoravo. Avevo tre-quattro anni quando ho incominciato a soffiarvi dentro. Questo accadeva in Belgio. Mio padre era un musicista dilettante, mi ha proposto di andare a scuola di musica (si andava a scuola di musica come i cattolici a catechismo), di solito il gioved�, e la domenica si andava in chiesa. Nel nord della Francia esistono molte piccole scuole di musica: ho suonato un po' di pianoforte, ho praticato un po' di solfeggio, e cos� via. Mio padre voleva che suonassi la tromba, ma io ho sempre desiderato studiare il flauto, perch� ha un suono che, secondo me, � la proiezione del sole verso l'acqua; e penso di aver capito una cosa: nell'Orfeo di Gluck il suono del flauto accarezza l'anima dei morti, consola le anime della gente appena defunta, per aiutarla a passare dall'altra parte. Credo che quest'idea fosse importante per me, perch� nel timbro del flauto c'� un'elevazione molto grande. Prendiamo l'esempio di uno strumento a corde: tutti i suoni sono diretti verso il basso: do (alto) si la sol fa mi re do (basso); per il violino vale la stessa cosa. Se parliamo del flauto, invece, � contrario: � una proiezione verso l'alto, e ci� evidentemente mi ha colpito." L'esperienza del giovane direttore d'orchestra Daniele Gatti dimostra come un ambiente favorevole agli interessi musicali riesca a far superare anche piccoli traumi, creando le premesse per l'accesso a un corso di studi regolare: "Ho avuto la fortuna di nascere in una famiglia dove la musica � sempre stata la cosa pi� amata. Mio padre, che aveva una bellissima voce da tenore, ebbe la possibilit� di studiare con Aureliano Pertile, in anni molto difficili. Purtroppo, non fu fortunato. Mia madre, a sua volta, si dilettava al pianoforte. Ricordo che fin da bambino ascoltavo l'organo in chiesa e prediligevo tra i giocattoli gli strumenti musicali, come tamburi e pianoforte. Ero dotato di un ottimo orecchio e riproducevo subito le canzoni che ascoltavo con un'intonazione infallibile. All'et� di nove anni intrapresi lo studio del pianoforte privatamente. Per me fu un'esperienza non dico traumatica ma quasi, perch� andavo a lezione da una vecchia signorina a Milano che mi riceveva in una casa buia, con un odore piuttosto sgradevole di chiuso, di muffa, di stantio. Allora non ero cosciente di quel che avrei voluto fare. Comunque ho sostenuto l'esame di ammissione al conservatorio e l'ho superato". Il Maestro Accardo ricorda che a tre anni cominci� ad ascoltare suo padre, un incisore di cammei che era anche violinista dilettante. Ad un certo punto gli chiese di comprargli un violino "vero", venne accontentato e cominci� a suonare. Un iter scolastico ci viene riferito invece dalla violinista rumena Mariana Sirbu: "A sei anni ho provato a suonare il violino aiutata dai miei genitori che erano musicisti. Successivamente ho studiato con il Maestro Gheorghiu, noto anche in Italia, e ho terminato all'Accademia di Bucarest". Il pianista Andr�s Schiff, nel corso di un'intervista molto interessante, racconta come anche il suo inizio sia stato precocissimo e influenzato dall'esempio della madre, che lo ha aiutato a sviluppare quello che si sarebbe rivelato un talento naturale: "Ho scelto il pianoforte perch� mia madre lo ha studiato; a casa mia c'era un pianoforte ed io ero figlio unico e molto vivace, quindi era importante che fossi impegnato in qualcosa. Ho cominciato a cantare a due anni, prima di parlare. Ero un vero talento musicale". Anche la pianista Maria Tipo racconta della sua precocit�: "Ho cominciato a suonare a circa tre anni e mezzo, riprendendo ad orecchio la musica che avevo sentito. In effetti, questo non � un metodo applicabile a tutti. In seguito mia madre, che aveva capito il mio talento, mi ha fatto seguire un corso pratico. Lei aveva studiato pianoforte con una maestra che era stata allieva di Arthur Rubinstein". Dall'Impero del Sol Levante il Maestro Kazuki Sasaki ci propone un tipo di esperienza che si richiama alle precedenti citate da artisti occidentali: "Ho iniziato a quattro anni con l'arpa giapponese, studiando con mia madre, che insegnava, appunto, il koto. Naturalmente, non sapevo leggere le note, ed inoltre questo strumento � molto pi� difficile di altri poich� ha una scala diversa. Fin dall'inizio avevo imparato il solfeggio; ho cominciato proprio come un bambino che impara a parlare, e anche dopo ho studiato solfeggio, senza fare teoria". Ben diverso l'ambiente che ha giocato un ruolo nella vita di un altro grande violinista, Uto Ughi, che in un'intervista si � espresso con queste parole: "La mia � stata una scelta mitteleuropea della famiglia, che � di origine austriaca. Mio padre era un violinista dilettante molto amico del primo violino della scala, allora diretta da Toscanini. Ascoltavo moltissima musica da camera e mia madre � riuscita a comunicarmi la passione per la musica lirica. Il violino � molto vicino alla voce umana, come strumento, e la sua vocalit� mi ha sempre attratto". Per il violinista Franco Gulli, scomparso nel novembre del 2001 a Boomington, fu determinante la figura paterna: "A cinque anni ho ricevuto in regalo il violino di mio padre, che � stato anche il mio principale insegnante. Immediatamente ho dimostrato un certo talento, tanto che sono stato considerato quello che si pu� definire un fanciullo prodigio". Anche un oboista illustre come Maurice Bourgue venne indotto dal padre ad interessarsi alla musica, e spiega cos� la sua realt�: "Mio padre era un clarinettista; da quando avevo sette anni mi impose di apprendere la musica in forma teorica. A nove anni, ascoltando la radio, scelsi in modo del tutto spontaneo l'oboe". Anche il pianista Gerhard Oppitz, dal canto suo, riporta l'influenza avuta dalla famiglia nella sua formazione musicale: "Ho cominciato a suonare il pianoforte quando avevo cinque anni. Sono cresciuto in una famiglia dove la musica ha giocato un ruolo importante, sebbene i miei genitori non fossero dei professionisti. Loro non premettero per lo studio della musica e avrebbero avuto piacere anche se avessi fatto un'altra scelta; naturalmente, oggi, sono molto felici che abbia deciso di intraprendere questa professione". Il cembalista Bob van Asperen si sofferma sul ruolo della figura materna: "Dir� semplicemente che � stata mia madre a mettermi davanti al pianoforte. In seguito ho scoperto la passione per un altro strumento, il clavicembalo, per cui gi� provavo un certo interesse, ed � per questo che ho preso lezioni da un altro eccellente professore. Da allora � proseguito il mio cammino". Il giovane pianista Fabio Parrini ci racconta del suo approccio fortuito all'arte dei suoni: "La mia passione per la musica deriva da un vecchio pianoforte che si trovava nella casa di mio nonno, quando ero bambino, e che � stato forse il primo strumento cui mi sono accostato. Successivamente la passione per la musica si � sviluppata anche attraverso i concerti che ho avuto occasione di seguire a Padova, direi soprattutto grazie all'ascolto di buoni musicisti, nonch� di buoni esecutori". Una replica molto originale ci viene presentata dal pianista Vladimir Ashkenazy, che riporta il suo sentimento interiore come input per la sua professione. Egli infatti afferma: "� impossibile esporre in modo riduttivo le motivazioni che mi hanno portato a iniziare a suonare; qualcosa in me voleva che lo facessi; avevo sei anni. Dovevo creare un grande desiderio di essere con la musica". Prendiamo ora in esame alcuni esempi di professionalit� e successo raggiunti grazie ad uno studio serio in conservatorio. Inizia questa breve carrellata il Maestro Giuseppe Grazioli: "Ho avuto un iter di studio normale, prima al conservatorio, poi sono stato assistente in giro per l'Europa, quindi ho conosciuto due persone fondamentali per me: Franco Ferrara, con il quale ho avuto un corso all'Opera di Roma, e Leonard Bernstein, che nel giugno 1989 ha tenuto un seminario a Santa Cecilia. Questa � stata senz'altro la svolta determinante, perch� ho avuto modo di seguirlo l'anno successivo nei suoi concerti europei. Seguire le sue prove e parlare con lui sono state lunghe e utilissime lezioni di direzione d'orchestra". L'oboista Paolo Brunello ci d� l'idea di un percorso prettamente accademico da parte di uno studente di conservatorio: "Ho cominciato a suonare perch� i miei genitori lo desideravano; ho studiato pianoforte all'istituto Morello di Castelfranco Veneto dove, quando frequentavo la prima media, � stato aperto il conservatorio, che allora era sede distaccata. Durante la scuola media ho continuato a studiare il pianoforte, ma non mi piaceva molto. Volevo cambiare a tutti i costi. In quel periodo sono venuti a Castelfranco i Solisti Veneti, che hanno eseguito il concerto per oboe di Benedetto Marcello. Mi � piaciuto molto. Allora ho iniziato con l'oboe, che per un anno ho studiato insieme al pianoforte, lasciato poi definitivamente per questo strumento". Anche il flautista Michele Marasco ci ha sintetizzato con parole semplici il suo iter, che lo ha portato, attraverso uno studio approfondito in conservatorio, alla notoriet�: "Ho iniziato a suonare il flauto a dieci anni al Conservatorio di Firenze, con la guida del Maestro Giorgio Fantini. Qui ho compiuto tutti gli studi. Sono arrivato al diploma a diciassette anni. Dopo una parentesi "di riflessione", ho proseguito in Svizzera, sotto la guida di Conrad Klemm e ho avuto lezioni da Jaunet e da Nicolet". Un altro esempio di successo ottenuto da un conservatorio con un proprio allievo � quello del fortepianista Andreas Staier, che ha seguito un percorso tra i pi� normali, cos� illustrato: "Ho iniziato con il piano moderno, naturalmente, frequentando il Conservatorio di Hannover. Ad un certo punto mi sono appassionato al clavicembalo, studiando per questo molta musica da camera, tant'� che oggi suono questo strumento come basso continuo. Solo successivamente mi sono avvicinato al repertorio del fortepiano. Conclusi gli studi di pianoforte, ho continuato quelli per clavicembalo, prima in Germania poi ad Amsterdam. Il violinista Jaime Laredo si rif� all'esperienza di un concorso vinto da ragazzo, che ha dato avvio alla sua carriera: "Nel 1959, a diciassette anni, ho vinto il primo premio al concorso "Regina Isabella" di Bruxelles. Questo fu l'inizio della mia carriera. Ma la cosa pi� importante, per me, sono stati i musicisti che ho conosciuto, ed in ci� mi ritengo molto fortunato, giacch� ho passato molti anni con Pablo Casals". Dall'America all'Europa le cose non cambiano per chi ha talento. Infatti, la severa scuola russa a Odessa ha prodotto un violinista come Pavel Vernikov, che, grazie all'intuizione del suo educatore, inizi� precocemente ad avvicinarsi alla musica. "Fra i cinque e i sei anni il mio educatore not� che ero piuttosto reattivo verso l'arte musicale e mi consigli� di praticarla; cos� dopo un difficile esame di ammissione, ho frequentato dai sette ai diciotto anni la celebre scuola Stoliarski, per bambini dotati, famosa per la sua severit�. Quindi ho frequentato il conservatorio per cinque anni, e ancora altri due di perfezionamento (Sperantura) a Mosca, dove ho ricevuto un diploma per fare il solista. Sottolineo come il sistema russo sia molto severo e complesso". Sempre dalla scuola russa proviene l'esperienza di un'altra giovane violinista, vincitrice del premio "Rodolfo Lipizer" 1992, Anastasia Tchebotariova, che ci riassume cos� la sua breve ma intensa carriera violinistica: "Ho iniziato a dodici anni a Mosca, continuando poi a San Pietroburgo: in Russia, insomma. Inoltre, sono stata in Germania, a Londra, a Parigi e a Genova, dove ho partecipato al concorso "Nicol� Paganini", ottenendo il quarto premio". Un altro violinista russo, Vladimir Spivakov, riporta queste atmosfere: "Quando avevo tredici anni suonai nella competizione di Leningrado (oggi San Pietroburgo, ndr) "White nights"; ero fuori concorso perch� normalmente la gente comincia a sedici anni. Ne fui il vincitore, ed � stato forse questo il mio primo passo come artista". Un caso del tutto anomalo � rappresentato dal Maestro Aldo Ciccolini, il quale, anche se debutt� giovanissimo, aveva compreso fin da allora che suonare di nuovo in pubblico sarebbe stato prematuro prima di aver raggiunto la maturit� musicale necessaria per potersi esprimere. In sintesi, ecco come egli inizi�: "Per passione quando ero veramente molto piccolo ho continuato a suonare e ad un certo punto i miei genitori hanno deciso di affidarmi ad una maestra molto stimata di Napoli, che ha "creato" le mie mani, nel vero senso della parola. Ho iniziato con lei a cinque anni e, grazie al suo insegnamento, ho potuto dare il mio primo concerto a otto anni al Circolo della Stampa, a Napoli, nella stagione regolare. Questo concerto � piaciuto molto ed � stato seguito da un secondo; per� devo dire che l'idea di suonare in pubblico non mi piaceva; avevo capito, nella mia mente di bambino, che bisognava suonare quando si era grandi, e per me essere grandi voleva dire avere vent'anni". Il cornista Bruno Schneider rivela come la sua scelta sia stata del tutto casuale: "� stato un concorso di circostanze. Quando mi sono trasferito con la mia famiglia a Chaux-de-Fonds, una cittadina svizzera vicino Neuch�tel, avevo nove anni e conoscevo gi� il solfeggio e la ritmica. Era arrivato il momento di fare una scelta e pertanto andai con mia madre ad ascoltare il suono di vari strumenti a fiato, come il clarinetto, l'oboe, la tromba, il trombone. Il direttore del conservatorio era un insegnante di corno. Mi trovavo in ospedale con un braccio rotto quando mio padre ebbe un contatto personale con questo direttore, che mi invit� a presentarmi nel suo ufficio. In fin dei conti, credo di aver scelto questo strumento sotto l'influsso della sua forte personalit�". Fortuito � stato pure l'avvio alla musica di un altro cornista, Danilo Marchello: "Mio padre ha comperato un corno da un rigattiere e l'ha portato a casa. Io avevo otto anni ed ho cominciato, come tutti i bambini, a giocare con questo strumento; poi ho iniziato a suonarlo". Un'analoga esperienza ha fatto da innesco all'avvio dei "giochi musicali" del chitarrista Domenico Lafasciano: "Quando ero bambino, all'et� di sette anni, mio padre mi regal� una chitarra in occasione di una festa. Diciamo, quindi, che si � trattato di una vera casualit�. Un regalo. � iniziata cos�". Mauro Maur, gi� prima tromba del Teatro dell'Opera di Roma, riassume cos� il primo incontro con il suo strumento: "� la tromba che ha scelto me; a sette anni nel mio ricreatorio aprirono una sezione di musica. Io arrivai tardi ad iscrivermi perch� mi interessava di pi� giocare a pallacanestro e stare con gli amici piuttosto che studiare musica: l'unico strumento che trovai a disposizione fu una vecchia tromba tedesca, tutta ammaccata. Mi dettero un metodo di solfeggio e cos� cominciai a suonare". Il trombettista americano David Short racconta come il suo incontro sia stato in linea con quello di gran parte degli strumentisti a fiato del suo paese e pone l'accento sull'importanza di una certa selezione naturale: "Ho iniziato all'et� di undici anni, come la maggior parte dei trombettisti americani, con la banda della scuola elementare. In America ogni scuola ha una banda giovanile. Si suona nella banda perch� cos� si riesce ad andare a vedere gratis le partite di basket. Nessuno pensa seriamente a diventare musicista. Se ci� accade in tutte le scuole della citt�, vuol dire che c'� una vasta scelta di strumentisti. Ovviamente, solo una piccola parte di questi hanno molta passione, e perch� no, talento: ne vengono fuori giovani promettenti. Non � quindi tanto la scuola a creare il metodo di studio, quando il forte numero di partecipanti a creare una certa concorrenza". Il clarinettista Vincenzo Mariozzi ci racconta, invece, di come abbia iniziato suonando nella banda del suo paese: "� una storia che risale all'infanzia. Sono nato in un paesino nei dintorni di Roma e, come quasi tutti gli strumentisti a fiato, ho iniziato a suonare in una banda. Evidentemente avevo delle qualit� e mi sono applicato cominciando a frequentare il conservatorio per uno studio pi� serio, che mi ha motivato a intraprendere questa professione". Luca Vignali, primo oboe dell'orchestra del Teatro dell'Opera di Roma, ha vissuto un'esperienza simile. Ecco quanto potrebbe capitare a chi � innamorato del clarinetto: "Sono stato un clarinettista, prima di essere un oboista, perch� ho iniziato piccolissimo a suonare nella banda del paese, come la maggior parte degli strumentisti italiani. Fra i ragazzi pi� dotati, il maestro individuava il bambino un po' "pi� musicale" degli altri e gli proponeva di entrare in conservatorio. Naturalmente, all'esame di ammissione non si poteva sempre scegliere lo strumento perch� molte classi erano gi� sature. Per questo motivo sono entrato in conservatorio con l'oboe: le classi di clarinetto erano gi� complete dal momento che in Emilia c'� una grande tradizione del liscio. Da quando, per�, ho iniziato a suonare questo strumento mi � piaciuto talmente che in seguito non ho voluto pi� cambiare". Per il violoncellista Mario Brunello le cose andarono diversamente: "Ho iniziato per caso. Il mio vecchio insegnante di chitarra, dopo avermi avviato alla musica, mi disse che il mio strumento avrebbe dovuto essere il violoncello". Pi� complesse le motivazioni che hanno avviato una ex violinista, Lucia Fiori, componente del Duo Cameristico Italiano, allo strumento "voce": "Il meccanismo preciso non lo conosco e penso che ognuno abbia il suo momento. Per me � nato casualmente: sono rimasta affascinata dal fatto di poter fare musica con il corpo, senza l'ausilio di alcuno strumento, di poter diventare io stessa uno strumento. Mi sono trovata ad apprendere le prime lezioni di canto in conservatorio e la sensazione che ho provato � stata veramente particolare, una sensazione diversa: soprattutto se si � avuto in mano un altro strumento, ci si accorge di questa differenza a livello emozionale. Non dico che cantare sia pi� bello del suonare altri strumenti, ma si tratta di un sentimento immediato, nato con l'uomo, qualcosa di primordiale". Il giovane violinista Domenico Nordio ci racconta il suo particolare approccio al mondo della musica: "Ho iniziato quasi per caso, grazie anche a mio cugino, insegnante al Conservatorio di Rovigo, che mi sugger� di provare a suonare il violino. Tornato a casa, incominciai le prime vere lezioni. Ma i miei genitori sostengono che gi� a due o tre anni riuscivo a battere piuttosto facilmente il tempo: ad esempio, quando sentivo il suono delle campane, vi associavo un certo ritmo. Quindi, anche se l'approccio allo strumento � stato casuale, credo di aver dimostrato delle doti fin da piccolo". Come si � potuto constatare da queste brevi, ma significative testimonianze, diverse e varie sono le situazioni che possono portare allo sviluppo di doti precoci o innate, anche se non sempre rilevabili immediatamente e coltivabili in modo corretto. Quel che emerge con nitidezza dalle dichiarazioni di questi artisti � la relazione particolare instauratasi tra l'elemento trainante e fascinante della loro vita.