Maggio 2016 n. 5 Anno I Parliamo di... Periodico mensile di approfondimento culturale Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registraz. n. 19 del 14-10-2015 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Massimiliano Cattani Antonietta Fiore Luigia Ricciardone Copia in omaggio Indice Lavoro ed evoluzione tecnologica Orchi virtuali: l'adescamento minorile sul web Aiutini pericolosi L'ultimo questore fascista Lavoro ed evoluzione tecnologica (di Carlo Carboni, "il Mulino" n. 2/16) La letteratura economica ha evidenziato i benefici, in termini di produttivit� e crescita, derivati dalla graduale applicazione dell'intelligenza artificiale e dell'automazione alla produzione di beni e servizi (E. Brynjolfsson e A. McAfee, The Second Machine Age, Norton, 2014). Di recente, ne hanno parlato anche i media a margine dell'incontro delle �lite mondiali a Davos (la sola robotica avr� un valore di 151,7 miliardi di dollari entro il 2020; oggi ne vale 27). Le nuove tecnologie garantiscono precisione, qualit� e rapidit� nell'esercizio delle attivit� economiche. Mind, media and technologies hanno creato una nuova societ� popolata da macchine che possono ascoltare, parlare, operare e persino apprendere. Il progresso tecnico-scientifico programmato non solo � divenuto indiscutibilmente la prima forza produttiva da cui dipende la crescita economica, ma costituisce il fondamento stesso della legittimit� del sistema (J. Habermas, Teoria e prassi nella societ� tecnologica, Laterza, 1967, capp. VII-VIII). Tuttavia, sono in molti (di recente, M. Ford, Rise the Robots, Basic Books, 2015) a vedere un futuro nero per il mercato del lavoro a causa dell'impatto delle nuove tecnologie, accusate di sottrarre lavoro agli umani e di alimentare crescenti disuguaglianze socioeconomiche. Carl Benedikt Frey e Michael Osborne, vagliando 702 tipi di occupazione (The Future of Employment. How Susceptible Are Jobs to Computerisation, E24paper, University of Oxford, 2013), hanno calcolato che, nei prossimi quindici anni, negli Stati Uniti sar� a rischio di computerizzazione il 47% dei posti di lavoro. Altrettanto accadr� in Europa nei prossimi vent'anni, secondo una stima della Fondazione Bruegel. Del resto, se si pensa all'information technology, in anni recenti Google ha comprato YouTube (65 occupati) per 1,65 miliardi di dollari (25 milioni a occupato); Facebook e Instagram (13 occupati) per un miliardo di dollari (77 milioni a impiegato) e, nel 2014, WhatsApp (55 occupati) per 19 miliardi di dollari (345 milioni a occupato). Queste acquisizioni riguardanti i social media testimoniano che le nuove tecnologie necessitano di un basso apporto di lavoro umano e, al tempo stesso, spingono alla concentrazione di ricchezza in poche mani, contribuendo all'aumento delle disuguaglianze. Declino di lavoro umano necessario e deterioramento della sua retribuzione media s'intrecciano nel futuro della societ� tecnologica. Nel Nord America e in Europa, gi� da vent'anni � in atto una veloce sostituzione di tute blu e colletti bianchi, di professioni e mestieri con robot e macchine automatiche. In un futuro di medio periodo, l'accelerazione prevista della biomedica colpir� anche professioni non di routine, molto delicate e potenti nei sistemi sociali (G.D. Clifford e D. Clifton, Wireless Technology in Disease Management and Medicine, "Annual Review of Medicine", vol. 63, 2012, pp. 479-492), come gi� sta avvenendo per le diagnosi di malattie mediante intelligenza artificiale o nel trattamento delle informazioni. Posti di lavoro sono stati cancellati e rimpiazzati da nuove tecnologie nell'industria, nella logistica, nell'intermediazione finanziaria e commerciale. Sembrerebbe pi� minacciosa la predizione di Keynes della disoccupazione tecnologica (descritta, oltre ottant'anni fa, come malattia del futuro) di quanto non sia rassicurante la teoria - di oltre sessant'anni fa - del residuo di Solow (per cui 14/5 della crescita economica degli Stati Uniti andavano attribuiti al progresso tecnologico, protagonista della nuova economia odierna). In Nord America e in Europa, il technological change (D. Acemoglu, Technical Change, Inequality, and the Labor Market, "Journal of Economic Literature", vol. 40, 2002) condiziona anche la stratificazione sociale: l'uso delle nuove tecnologie ha aumentato il divario tra chi � in grado di abilitarle e chi no, con inevitabile deterioramento delle retribuzioni medie dei lavoratori routinari in odore di "computerizzazione". Ne ha fatto le spese un'ampia parte di lavoratori manuali e dei ceti medi. Tra gli studiosi circolano ipotesi divergenti sull'impatto che le nuove tecnologie potranno avere nel medio-lungo periodo sull'occupazione. Anzi, da pi� parti, si sostiene che non esiste alcuna evidenza empirica che esse distruggano pi� lavoro di quanto ne creino: l'occupazione appare pi� condizionata da shock istituzionali che tecnologici, come sottolineano Enrico Saltari e Giuseppe Travaglini (Le radici del declino economico, Utet, 2006). In effetti, se consideriamo la crisi dei ceti medi in Europa, molta parte di essa � imputabile pi� al declino dei sistemi di Welfare (fondamento dell'appartenenza al ceto medio di cittadinanza) che alla computerisation, come invece avvenuto negli Stati Uniti. Le incertezze della teoria economica e delle sue verifiche empiriche danno via libera a due ipotesi opposte. Da un canto, c'� chi sostiene che nel medio-lungo termine le tecnologie, come avvenuto in passato per le rivoluzioni tecnoindustriali, creeranno pi� opportunit� di lavoro di prima. Il displacement occupazionale attuale sarebbe simile a quello che si verific� nel secolo scorso con la Grande Crisi e il passaggio dall'agricoltura all'industria (J. Stiglitz, The Great Divide, Norton, 2015). Una situazione analoga oggi si verificherebbe con la transizione dall'industria ai servizi, i quali sempre pi� assolvono la funzione sociale di domanda di posti di lavoro. In questa visione, il technological change sarebbe parte del ciclo di "distruzione creativa" di Schumpeter. Su sponda opposta, si ritiene che il passato storico non sia un riferimento credibile perch� entro il 2030 le nostre economie e societ� saranno zeppe di robot e intelligenza artificiale, grandi risparmiatori di lavoro umano in tutti i settori: uno scenario di societ� tecnologica mai sperimentato, in cui la distruzione dei posti di lavoro non riguarda solo un settore (nel secolo scorso l'agricoltura, oggi l'industria), ma colpisce trasversalmente tutti i settori e una gran quantit� di mestieri e professioni. Un'ipotesi gi� messa in pista da Jeremy Rifkin nel suo The End of Work (Putnam's Sons, 1994). C'� per� anche una "terza via" interpretativa che non nega l'effetto labour saving dell'introduzione delle nuove tecnologie, ma ritiene che gli effetti negativi sull'occupazione, soprattutto a breve-medio termine, possano essere gestiti e contenuti con politiche attente alla crescita di high skill workers e delle occupazioni a essi di supporto. Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee, in Race against the Machine (Digital Frontier Press, 2011), hanno dimostrato che negli Stati Uniti la produttivit� (che dipende dal progresso tecnologico) e l'occupazione sono cresciute insieme dalla seconda met� del Novecento fino al 2000, quando � iniziato un loro "grande disaccoppiamento". Dal 2000 al 2012 la produttivit� statunitense � cresciuta in modo prorompente, mentre l'occupazione stagna o si riduce e le disuguaglianze aumentano. L'accentuazione di queste tendenze, sostengono i due professori del Mit, � inevitabile in futuro, ma i governi possono gestire questo passaggio da una societ� industriale a una tecnologica. In una lettera aperta sull'economia digitale, apparsa sulla "Mit Technology Review" nel giugno 2015, Brynjolfsson e McAfee - insieme ad altri firmatari - rifiutano l'idea che non possiamo far nulla per attenuare gli effetti del technological change sul mondo del lavoro e suggeriscono una serie di soluzioni che accenneremo in conclusione: prima proviamo a tratteggiare le prospettive europee e statunitensi. Il futuro del lavoro si presenta, se possibile, pi� incerto nei grandi Paesi europei a industrializzazione "matura" per tecnologia e qualit� dei manufatti, ma in relativo ritardo nei settori di high technology rispetto ai Paesi angloamericani. Germania, Francia e Italia non sono state protagoniste della rivoluzione informatica e telematica che ha caratterizzato i Paesi anglosassoni (gli "innovatori" nello scorcio di fine secolo). Gli Stati Uniti hanno usufruito della loro posizione dominante in questa rivoluzione tecno-scientifica che ha consentito loro di recuperare in parte l'occupazione persa in processi di deindustrializzazione e di disintermediazione. Grazie anche ai nuovi motori tecnologici e d'innovazione a trazione finanziaria, gli Stati Uniti per primi hanno recuperato quanto perso nella crisi in termini di reddito (-5,6%) e d'occupazione (a maggio 2015 la disoccupazione si era ridotta al 5,5%, contro il 9,6% della Ue e il 12,4% dell'Italia). Anche il Regno Unito ha beneficiato della rivoluzione informatica e telematica a trazione globale, poich� le sue attivit� finanziarie, commerciali, assicurative e culturali (in breve, di servizio), per prime, negli anni Novanta, hanno cavalcato l'innovazione, con grandi margini di espansione in valore, occupazione ed efficienza. Il Regno Unito, nonostante l'austerit� delle sue politiche pubbliche negli anni di crisi, � oggi tra i Paesi nei quali � pi� promettente un rapido recupero dei valori reddituali e occupazionali (disoccupazione al 5,4% nel febbraio 2015). Al contrario, la Uem ha vissuto la rivoluzione informatica da "colonizzata" in termini di consumo interno e ha conosciuto l'effetto labour killing dell'automazione nel settore manifatturiero, nella logistica, nei servizi d'intermediazione e nel trattamento dati, tutti settori che, seppur gradualmente, hanno perso occupazione. Le nuove tecnologie dotano i consumatori europei di protesi (mobile, computer, iPad ecc.) che consentono "superpoteri personali" (un empowerment dell'individuo, seppur limitato dall'attuale condizione di autonomia individuale sotto sorveglianza). Per l'economia europea, la metabolizzazione delle nuove tecnologie si � verificata in settori tradizionali e se ne ha incrementato la produttivit� e il potenziale di crescita ne ha per� ridotto l'occupazione. La Uem nel suo complesso, rispetto agli Stati Uniti, non � stata capace d'innovare e creare in modo diffuso nuove professionalit�, di cogliere le nuove opportunit� di lavoro offerte dal technological change. Oggi, nella Ue i settori ad alta tecnologia contano poco meno di 2 milioni di posti di lavoro che aumenteranno a circa 5 nel 2018. La forza lavoro super skilled nella Ue ammonta a circa il 10% e ogni unit� � sopportata da 4 posti di lavoro di routine, "ordinari". Il valore prodotto nell'high tech europeo passer� da 7,5 miliardi di euro attuali a 63 nel 2018 (ma il Pil europeo � gi� oltre 13 mila miliardi di euro, di cui il 71% ad appannaggio dei cinque Stati pi� grandi). Si tratta di piccoli numeri al cospetto di livelli record di disoccupazione in grandi Paesi europei fragili, come Italia e Spagna, dove la disoccupazione tecnologica (da domanda insufficiente) � un arido deserto da attraversare, con la rivoluzione informatica e tecnologica in gran parte da realizzare. Piuttosto che la "traversata del deserto" molti giovani italiani (ma un po' da tutta l'Europa del Sud) emigrano all'estero per cercare lavoro: ogni anno, lasciano l'Italia circa 50.000 giovani, in gran parte laureati (come sparisse ogni anno una citt� come Siena zeppa di giovani!). I Paesi occidentali avevano gi� conosciuto una jobless growth negli anni Ottanta, ai tempi della prima ondata d'automazione che ha coinvolto i settori pi� importanti dell'industria manifatturiera. Anche allora, la disoccupazione giovanile in Italia raggiunse il traguardo negativo del 40%, poco meno dei livelli attuali. Oggi, in uscita dalla crisi, in Paesi come Italia, Germania, Francia, il rischio � la riproposizione della jobless growth, di una nuova ondata di deindustrializzazione occupazionale e di disintermediazione, aggravata dal ritardo che essi accusano sulla rivoluzione informatica, sulla creazione di nuove professioni di high skill jobs. Cortocircuiti tra de-industrializzazione occupazionale e ritardi in R&S in Italia provocano disoccupazione (giovanile) tecnologica. Questa � minore in Germania, anche perch� in parte statisticamente nascosta da una "piena sotto-occupazione", raggiunta con la diffusione di mini-job, soprattutto sul mercato del lavoro giovanile. La situazione sociale si rivela difficile soprattutto in Italia, dove per altro � ancora fragile la protezione pubblica per la condizione di disoccupazione strutturale di lungo periodo. Italia, Francia e Germania negli ultimi vent'anni si son trovate di fronte al technological change con dinamiche e tempistiche analoghe a quelle che seguirono la rivoluzione taylorista-fordista industriale dei primi due decenni del Novecento negli Stati Uniti. La via migliore all'industrializzazione (one company, one town) fu adottata dagli europei su larga scala solo alcuni decenni pi� tardi, ma non prima di aver sperimentato radicali eventi come la Grande Crisi e una guerra mondiale. Se la rivoluzione informatica e telematica degli anni Novanta non ha visto gli europei protagonisti, la bolla finanziaria partita dagli Stati Uniti ha per� coinvolto le loro economie e le loro politiche pubbliche. � dunque difficile gestire questo passaggio d'uscita dalla crisi con elevata disoccupazione: il turnaround tecnologico e organizzativo che molte imprese richiederebbero per rimanere competitive certamente non creer� occupazione aggiuntiva nel breve-medio termine. � quindi del tutto improbabile che l'industria manifatturiera di Paesi come Germania e Italia nei prossimi vent'anni riuscir� a mantenere la funzione sociale di generare posti di lavoro aggiuntivi come fu nel secondo Novecento. Per non parlare degli Stati Uniti, dove l'incidenza dell'occupazione manifatturiera � scesa dal 22,5% del 1980 all'attuale 10%, e si ridurr� a poco meno del 3% entro il 2030. La Commissione europea � ben consapevole che prevenire la disoccupazione tecnologica � un compito difficile da assolvere soprattutto in sede intergovernativa, nel cui ambito le asimmetrie tra Paesi, le differenti velocit� delle economie degli Stati membri si riverberano sulle decisioni da adottare. La disoccupazione tecnologica in Europa conosce diverse intensit� e sfumature, a seconda dei contesti nazionali e regionali. I pi� penalizzati sono i Paesi "meridionali" fiaccati dalla crisi, perch� possono accumulare ritardi su ritardi nei prossimi anni e, quindi, incrementare la loro distanza dalla frontiera tecno-economica. Per altro, gli studiosi danno per scontato un innalzamento dell'asticella dell'high tech entro il 2030, quando l'intelligenza artificiale, l'automazione e la nuova rivoluzione biologica e biomedica avranno maggiore diffusione. Ci si chiede come nel medio-lungo periodo potr� esserci sufficiente lavoro umano in un mondo affollato da robot e da intelligenza artificiale. Non sono solo i Paesi europei in ritardo (soprattutto i pi� deboli) a essere colpiti sul piano occupazionale. Negli Stati Uniti la veloce riduzione della disoccupazione � in qualche modo occultata dall'eccezionale aumento d'incidenza di contratti part time e da una flessibilit� del lavoro senza precedenti. Secondo la Banca mondiale, entro il 2030 il pianeta perder� due miliardi di posti di lavoro, mentre nei prossimi dieci anni un miliardo di persone entrer� nel mercato del lavoro. Se si avverasse l'impatto di questi fenomeni previsti da grandi organizzazioni mondiali, se si realizzasse l'ipotesi di una diminuzione d'incidenza dell'occupazione, che far� il resto della popolazione per vivere? Che tipo di balcanizzazione del mercato del lavoro si creerebbe soprattutto nei Paesi in cui � previsto un allungamento della longevit� (aumento dell'et� pensionabile), come in Francia, Germania e Italia? Dovremmo provvedere a una disoccupazione eccedente di medio periodo soprattutto tra i giovani? Di che Welfare avrebbe bisogno un mondo del lavoro marcatamente segmentato dall'et�, dalle retribuzioni e dalle competenze? Che cosa fare di fronte alle inevitabili disuguaglianze sociali e reddituali tra un battaglione tecnologico attivo e produttivo ben delimitato (race with the machine) e un esercito di disoccupati e di sottoccupati in lavori routinari? � sperabile che la consapevolezza del rischio in cui il Primo mondo pu� incorrere spinga i governanti europei a varare una politica espansiva dei settori high tech, una scelta in grado di stimolare il potenziale di nuovo lavoro di questi settori, soprattutto nei servizi, nell'intermediazione, nella logistica, ecc.. Questa scelta consentirebbe uno scenario in cui anche in Europa si diffonderebbe la rivoluzione informatica che implicherebbe generare e mobilitare lavoro, e in particolare lavoro autonomo. Non ci sarebbe un displacement del lavoro e, come sostengono gli ottimisti, l'alta tecnologia indurrebbe a cascata posti di lavoro e nuova imprenditorialit� anche in dimensioni "altre", come il tempo libero, la cultura, la sostenibilit� ambientale ecc.. In questo scenario, saranno pi� necessarie le sinergie e le connessioni di coordinamento che la competizione. L'accesso, come da tempo sostiene Rifkin, diverr� prioritario rispetto all'ownership: sar� the dawn of postmarket era, come recita il sottotitolo del suo libro forse pi� famoso? Tuttavia, anche se si avverasse uno scenario ottimistico di lungo termine (occupazione in parte compensata da private and public policies) non sparirebbero le incertezze. La prima � se l'innovazione tecno-scientifica consentir� di accrescere non solo la domanda di super skill workers, ma anche di lavoro ordinario di supporto, come ad esempio avviene nei call center o nell'e-commerce. La seconda � che comunque anche in questa prospettiva positiva rimarrebbe il gap tra un mondo minoritario super skilled e uno ordinario di supporto, questo secondo alimentato dalla sottoccupazione, con basse retribuzioni per la pressione esercitata da mercati del lavoro sempre pi� globalizzati. La segmentazione insisterebbe in modo particolare non solo sulle retribuzioni, ma anche sulla qualit� del lavoro svolto, che sar� di migliore qualit� per una cerchia pi� ristretta di occupati. La terza incertezza � che se la produttivit� continua a crescere e l'occupazione non riprende a sufficienza, ci� comporter� una crisi sociale suscettibile a imprevedibili manifestazioni ed esiti. Crescerebbero le disuguaglianze economiche e sociali. Con l'occupazione calante, gran parte dei benefici della crescita di produttivit� andrebbe ai pi� ricchi. Gi�, perch�, dietro le quinte, c'� un tema per ora lasciato nell'irrilevanza, ma che Marx non avrebbe certo trascurato: chi possiede i robot (e non solo) comanda e comander� il mondo. Nessuno ha la sfera di cristallo in grado di prevedere quel che accadr�: tuttavia, � certo che il futuro (migliore) ce lo dobbiamo costruire (e anche meritare), comprendendo che sul presente esso ha influenza come il passato. Pi� in dettaglio, le soluzioni per sventare disoccupazione e disuguaglianze da tecnologia dipendono dalla competenza e dalla vision delle nostre classi dirigenti e dalla conseguente trasformazione del capitalismo democratico in Europa e negli Stati Uniti. Sul tema della tecnologia che minaccia il lavoro, Brynjolfsson e McAfee, nella lettera aperta citata, raccomandano un set di politiche pubbliche, una trasformazione dell'imprenditorialit� con funzioni maggiormente inclusive e uno studio attento dei fenomeni tecno-socio-economici di lungo termine. Agli occhi dei ricercatori del Mit appaiono necessarie politiche per l'istruzione, le infrastrutture, l'immigrazione e la ricerca di base, ma anche stimoli per young business entrepreneurs: i nuovi sistemi di produzione (le cosiddette economie additive) del resto si prestano a far espandere il self-employment. In tal senso, � prevedibile che il mondo tecnologico futuro sar� pi� imprenditoriale del passato industriale. L'obiettivo di queste politiche complesse del lavoro � diluire e dilazionare la disoccupazione tecnologica, respingendola in un futuro pi� lontano. In ogni caso, occorrer� prepararsi a questo futuro nel quale un'enorme quantit� di lavoratori diverr� superflua. Il Welfare dovr� essere radicalmente ripensato in relazione alla semplice domanda: come mantenere una popolazione che non trova lavoro? Nell'agenda dei governi, sovrapposta a questa domanda, c'� anche la ricerca di soluzioni riguardanti le disuguaglianze di reddito crescenti, sempre pi� influenzate dalla coppia produttivit�-tecnologia. C'� quindi la necessit� di un ri-centraggio non solo delle politiche del lavoro, ma anche di un cambio radicale del Welfare ai tempi della societ� tecnologica. Le modalit� con le quali le nuove tecnologie impattano sia il mondo del lavoro sia le disuguaglianze possono essere condizionate da politiche appropriate e inclusive da parte dei governi e, soprattutto, da chi possiede queste tecnologie. Se le disuguaglianze continuassero ad approfondirsi, in particolare la tendenza a ridistribuire reddito dalle classi medie a favore dei super-ricchi con un contemporaneo aumento di disoccupazione tecnologica, si andrebbe incontro a un nuovo feudalesimo e la democrazia difficilmente potrebbe sopravvivere se non come formale facciata. Senza politiche adeguate, i proprietari delle nuove machines saranno destinatari di gran parte dei benefici del progresso tecnologico che gi� oggi costituisce un acceleratore della disuguaglianza. Questo non � certo il risultato che la gente si aspetta dal technological change. Sono quindi vitali sia private che public policies per evitare una societ� diseguale e senza lavoro. Tuttavia, tutte le possibili soluzioni appaiono difficili. � improbabile, ad esempio, che i sindacati, in molti Paesi occidentali indeboliti fino all'irrilevanza, potranno riuscire a far lievitare le retribuzioni e a difendere con efficacia i livelli occupazionali, rendendo in tal modo i lavoratori partecipi della pi� elevata produttivit�. Complicati appaiono anche il "dividendo di cittadinanza" raccomandato da Martin Ford o lo stesso profit sharing dei lavoratori, grazie all'incremento dell'autoimpiego e alle forme di partecipazioni azionarie dei lavoratori dipendenti. In definitiva, una correzione migliorativa del futuro impervio che si prospetta appare difficile perch�, per ora, la societ� perde, la politica � accessoria all'economia e chi possiede le tecnologie pi� avanzate comanda il mondo. Correggere questo assetto non � facile, ma � parte di un futuro plausibile. Orchi virtuali: l'adescamento minorile sul web (di Nicola Chemello, "Psicologia contemporanea" n. 237/13) - Questo ha la malaugurata sfortuna di essere sentito come un fenomeno lontano, la cui esistenza � limitata ai media e ai vari telegiornali. Purtroppo invece � molto vicino e pericoloso. Che cosa si pu� fare? - La ratifica nell'ottobre 2012 della convenzione di Lanzarote, inserisce nel nostro Codice penale l'articolo 609 undicies: "Adescamento di minorenni. Chiunque, allo scopo di abusare o sfruttare sessualmente un minore di anni sedici o un incapace, ovvero di indurlo alla prostituzione o ad esibizioni pornografiche o alla produzione del materiale di cui all'articolo 600-ter, intrattiene con lui, anche attraverso l'utilizzazione della rete Internet o di altre reti o mezzi di comunicazione, una relazione tale da condurre a un incontro, � punito con la reclusione da uno a tre anni". Ben si comprende perch�, da qualche mese e con sempre pi� insistenza, abbiano cominciato ad apparire articoli riguardanti questi temi e il trend � destinato ad aumentare nei prossimi tempi. Che cosa si dovrebbe sapere Dall'analisi dei reperti informatici degli adescati, attivit� che conduciamo principalmente come consulenti della Procura, emerge che il fenomeno � favorito da alcuni precisi elementi, che gli adulti, siano questi competenti o meno sui temi dell'informatica, dovrebbero tenere in maggiore considerazione. Non � possibile, oggi, utilizzare l'alibi dell'io non so utilizzare il computer, per non preoccuparsi dei rischi collegati. Tra le varie concause si possono citare: - la curiosit� e l'ingenuit� dei ragazzi, che troppo spesso non sono adeguatamente sensibilizzati sulle problematicit� che emergono durante una normale sessione di navigazione online; - l'utilizzo sconsiderato dei dispositivi informatici (tablet, telefoni e computer); - il sentimento di sicurezza che avvolge, sovente per ignoranza, il navigante. L'approccio con cui viene utilizzato lo strumento informatico spesso � contaminato da una falsa sensazione di "mantenere l'anonimato". Talvolta anche gli adulti, che dovrebbero monitorare costantemente l'attivit� online dei figli, credono che il contatto virtuale sia una sorta di gioco, che non possa interferire con la vita reale. Tutti questi elementi facilitano il bieco lavoro dell'adescatore che cerca di arrivare ad un coinvolgimento del minore in un'attivit� sessuale, inizialmente ricercando la fiducia del giovane navigante, proseguendo con l'instaurare un rapporto di amicizia virtuale e concludendo con la ricerca di un incontro offline. L'informatica forense Le perizie svolte su computer e telefoni cellulari, che si eseguono qualora l'adescatore sia stato "pizzicato" dalle Forze dell'Ordine, dimostra che questi si comportano essenzialmente in due modi: nel primo caso cercano di fingersi coetanei dei giovani da adescare mirando a stringere un rapporto di amicizia virtuale; nella seconda modalit�, invece, dichiarano la loro reale et� e cercano di essere un appoggio morale ed economico, fingendosi degli ottimi ascoltatori o rendendosi attenti alle esigenze dei ragazzi. Frasi del tipo: "Loro non ti capiscono", "Ho gi� vissuto la tua situazione e potrei aiutarti" sono strumenti che riescono spesso ad attirare le attenzioni dei giovani. Le ricerche effettuate sui dispositivi informatici a fini giudiziari sono parte della digital forensics (informatica forense), la scienza che studia l'individuazione, la conservazione, la protezione, l'estrazione, la documentazione, l'impiego e ogni altra forma di trattamento del dato informatico al fine di poterlo valutare in un processo giuridico. Durante le procedure di ricerca, molto spesso le informazioni sono nascoste all'interno di particolari posizioni del sistema operativo oppure sono parzialmente cancellate; sta ad un buon investigatore il compito di portarle alla luce e di contestualizzarle, ricordando che concetti della vita quotidiana, come la cancellazione, in questo ambito assumono un significato leggermente differente. L'innovazione del processo di ricerca, particolarmente utilizzato proprio nella disamina di reati quali l'adescamento minorile, � data dalla correlazione dei log, in particolare dei tabulati telefonici. Con appositi software, quali Phonelog, si possono mettere in evidenza situazioni o peculiarit� che potrebbero passare in secondo piano, o potrebbero addirittura perdersi, tra le centinaia di migliaia di record relativi, per esempio, al traffico di cella di una metropoli. L'educazione civica digitale Come per altri reati digitali, non � necessario attendere che si presenti il problema per agire. I genitori, gli insegnanti e i tutori in genere dovrebbero partecipare alla "navigazione" dei ragazzi, al fine di formarli e di ammonirli sui potenziali rischi. Il "chiudere la porta", impostando solamente filtri di navigazione, rimane una soluzione palliativa che, pur essendo efficace per soggetti molto piccoli, � facilmente eludibile da un ragazzo esposto ai rischi dell'adescamento online. L'utilizzo consapevole degli strumenti, congiuntamente ad una costante formazione dei tutori, � l'arma vincente. L'introduzione di una nuova materia che si potrebbe definire Educazione civica digitale, o Etica informatica, potrebbe mettere in luce aspetti necessari a tutti i cittadini utilizzatori di Internet, siano questi sotto o sopra i 14 anni d'et�. A questo punto risulta necessario tener presente che Internet non deve assolutamente essere demonizzato: � la quotidianit� e deve continuare ad esserlo, non � tempo di utopie che pretenderebbero fosse bandito per i ragazzi. La formazione, anche degli adulti, il dialogo con i ragazzi, l'uso consapevole degli strumenti informatici, la consapevolezza che le Forze dell'Ordine hanno mirati programmi di prevenzione e repressione dei reati possono aiutare, in maniera efficace, a diminuire tutti i reati online. 10 consigli per navigare sicuri sul web In occasione del Safer Internet Day 2013, la giornata europea dedicata alla sicurezza in rete dei ragazzi, celebratasi il 5 febbraio e giunta alla sua decima edizione, Google ha lanciato un vademecum con questi suggerimenti: 1. Utilizza una password lunga, composta da numeri, lettere e simboli e differente per ciascuno dei tuoi account. Per esempio, non usare mai la stessa password per il conto bancario e l'e-mail. 2. Non inviare mai la password via e-mail e non condividerla con altri, nemmeno gli amici pi� intimi. 3. Imposta le opzioni di ripristino della password e mantienile sempre aggiornate. Se ci sono domande per il ripristino della password, non scegliere come risposta informazioni che hai reso pubbliche per esempio su social network, perch� sarebbero facilmente intuibili. 4. Evita le truffe. Non rispondere a e-mail o a messaggi istantanei che ti chiedono dati personali, password o numero di carta di credito. 5. Segnala i contenuti che ritieni essere inappropriati o illegali. 6. Controlla frequentemente le impostazioni di privacy e sicurezza e non dimenticare di personalizzare le modalit� di condivisione dei contenuti. 7. Sii consapevole della tua reputazione digitale: rifletti con attenzione prima di pubblicare contenuti imbarazzanti, dannosi o inappropriati. 8. Tieni aggiornati i sistemi operativi e i browser dei vari dispositivi che utilizzi per accedere a Internet. E quando installi il software, assicurati che la fonte sia attendibile. 9. Presta particolare attenzione alle registrazioni online, verifica che l'indirizzo web inizi con https://. La "s" indica che la connessione al sito � crittografata e quindi pi� sicura. 10. Blocca sempre lo schermo quando non utilizzi il computer, il tablet o il telefono, e per una maggiore sicurezza imposta tutti i dispositivi in modo tale che si blocchino automaticamente dopo un po' che non li usi. Attualmente � attivo il sito "Buono a sapersi. Una guida per la sicurezza online" in cui si possono trovare suggerimenti e procedure per la sicurezza sul web (www.google.it/buonoasapersi). Aiutini pericolosi (di Alberto Oliverio, "Psicologia contemporanea" n. 235/13) - L'uso dei farmaci che rendono intelligenti, anche detti potenziatori della mente, � molto diffuso, soprattutto negli Stati Uniti. Un fenomeno che, oltre a dare dipendenza, pone alcuni problemi di bioetica. - Circa dieci anni fa i genitori di un ragazzino di 12 anni che frequentava una scuola del New Hampshire si opposero alla richiesta del direttore scolastico di trattare il piccolo con il Ritalin, in quanto la sua iperattivit� lo avrebbe reso inadatto a frequentare la scuola e a raggiungere un livello cognitivo soddisfacente (Luebbert, Malone e Rieser, 2000). La sentenza dell'Alta Corte dello Stato del Connecticut diede ragione ai genitori e condann� la scuola, ritenendo che questi avessero il diritto di opporsi al trattamento farmacologico del ragazzino, anche nel caso in cui il metilfenidato (Ritalin) avesse avuto l'effetto di migliorare la resa scolastica dell'allievo, che si presupponeva affetto da ADHD (deficit dell'attenzione e iperattivit�). Da allora, questo e altri casi simili sono stati al centro di numerosi dibattiti bioetici che hanno preso in esame le due facce di una possibile discriminazione: quella legata alla sollecitazione ad adeguarsi alle richieste scolastiche e quella pi� generale relativa alle disparit� che si verrebbero a creare tra chi assumesse farmaci potenziatori cognitivi e chi, non facendone uso, sarebbe svantaggiato rispetto a quanti praticassero questa forma di doping. I farmaci che rendono intelligenti L'uso "terapeutico" del metilfenidato e di sostanze con un'azione simile a quella dell'amfetamina (per esempio, la feniletilamina) rappresenta per� soltanto una faccia della medaglia: l'altra faccia, infatti, riguarda il crescente impiego di queste sostanze, definite nello slang statunitense "smart drugs" (farmaci che rendono intelligenti) o "mind boosters" (potenziatori della mente), da parte di studenti che vogliono raggiungere prestazioni cognitive pi� elevate per far fronte agli esami di ammissione a college e universit� selettive o per migliorare il proprio rendimento accademico. Su questo argomento � apparso di recente un lungo articolo del New York Times che ha svolto un'approfondita inchiesta sui giovani studenti americani e sull'abuso di smart drugs. L'articolo � partito dalla denuncia di uno studente liceale della Virginia che confessava di aver fatto largo uso di Adderal (feniletilamina) ritenendola una sostanza "sicura" e priva di effetti collaterali, ma che aveva dovuto ricorrere a una terapia di disintossicazione per la dipendenza dalla sostanza che gli aveva creato turbe dell'umore e manifestazioni di tipo depressivo, oltre a seri disturbi del sonno. L'articolo del New York Times ha avuto l'effetto di scoperchiare una pentola che ormai bolliva da tempo: le statistiche indicavano gi� da qualche anno che la percentuale di giovani che ricorrono alle smart drugs varia dal 15 al 40%, a seconda del tipo di college o universit�: � in quelle pi� prestigiose e selettive che vengono raggiunti i livelli pi� alti di consumo in quanto la pressione scolastica � pi� elevata, il senso di inadeguatezza o il timore di non farcela � pi� forte. L'uso dell'amfetamina (il capostipite delle smart drugs) in ambito scolastico risale agli anni Trenta del Novecento, quando un buon numero di ragazzi ricorreva a questa sostanza (nota anche come simpamina) per contrastare la sonnolenza e la fatica imposta dal sostenimento della prova finale (l'allora licenza liceale), basata sul programma di tutti gli anni di corso. A quei tempi si trattava di un uso episodico, limitato cio� al periodo precedente gli esami. Ora, invece, il consumo di smart drugs � pi� diffuso, duraturo nel tempo, finalizzato a potenziare le proprie risorse cognitive. Rischi di dipendenza Qual � il meccanismo d'azione di queste sostanze? Il metilfenidato aumenta la memoria di lavoro, consentendo in tal modo di mantenere in memoria una maggior quantit� di informazioni e di favorirne la trasformazione in memorie durature. Attraverso la PET (tomografia a emissione di positroni) si � osservato che il metilfenidato induce una maggiore attivit� di strutture, quali l'ippocampo e il lobo temporale, entrambi coinvolti nella memoria di lavoro e in quella spaziale. Anche la bromocriptina (come il metilfenidato � un agonista della funzione dopaminergica) ha un'azione simile. Pi� recentemente � stato appurato che anche il modafinil, un farmaco usato nella narcolessia, contrasta il sonno, aumenta la vigilanza, ha effetti simili a quelli delle altre smart drugs. Negli USA tutte queste sostanze sono classificate in "tabella", vale a dire fanno parte della Classe 2 nella lista delle sostanze che la Drug Enforcement Agency (DEA) considera in grado di produrre dipendenza, come la cocaina e la morfina. Procurarsele dovrebbe essere quindi difficile, almeno in apparenza, ma i ragazzi ricorrono a canali illegali, postali (negli USA � possibile ordinare farmaci per posta), o addirittura possono fingersi iperattivi, affetti dal discusso disturbo ADHD, per farsele prescrivere dal medico, magari pi� o meno compiacente. Ma i ragazzi non sono gli unici consumatori di smart drugs: nel 2008, un'inchiesta realizzata dalla rivista scientifica Nature, su un campione di 1400 scienziati, indicava che circa un quinto di loro dichiarava di aver fatto ricorso a queste sostanze. Che le smart drugs possano essere un (rischioso) aiutino allo studio, permettendo una migliore resa scolastica grazie anche alla riduzione delle ore spese a dormire, � fuori discussione. Il problema riguarda i rischi di dipendenza, le turbe dell'umore, i pericoli legati agli incidenti prodotti dalla mancanza di sonno. Problemi etici La diffusione di queste sostanze tra gli studenti ha messo in evidenza, oltre alle eventuali conseguenze sulla salute dell'abuso degli stimolanti dopaminergici, anche alcuni problemi etici. Da un lato, infatti, si sostiene che se il farmaco comportasse un reale beneficio si verificherebbe una "discriminazione cognitiva" tra chi lo assume e chi non ne fa uso. Dall'altro, vi � chi sottolinea che se si adottasse una posizione proibizionista verrebbe paradossalmente negata alle persone la libert� di automiglioramento (Farah et al., 2004). Se il tema di un "accesso diseguale" ai potenziatori cognitivi � uno dei numerosi nuovi aspetti del dibattito bioetico, esso pone un interrogativo pi� vasto sul significato e sui valori della persona. Modificare il cervello significa modificare la persona. Cosa significa quindi essere una persona? E che impatto hanno le concezioni e gli interventi sulla mente sull'immagine della persona umana? Probabilmente questi interrogativi avranno un maggior peso nel momento in cui aumenter� la capacit� di potenziare la memoria attraverso interventi farmacologici, come l'impiego di sostanze quali le ampakine, che favoriscono il passaggio da una forma di memoria a breve termine e instabile a una forma a lungo termine e stabile. Come si vede, il dibattito investe diverse discipline, dalla psicologia alla medicina, dal diritto alla filosofia: ma esiste anche una componente sociologica, legata a quello che viene giudicato un valore positivo nelle societ� tecnologiche, vale a dire l'efficienza. E i potenziatori cognitivi si pongono in quest'ambito, il che indica ancora una volta come gli atteggiamenti nei confronti della psiche e del corpo sono anche determinati dalla cultura in cui viviamo. L'ultimo questore fascista (di Pier Mario Fasanotti, "Focus Storia" n. 114/16) - Quale fu il ruolo di Pietro Caruso, questore nella Roma del 1944, negli ultimi drammatici mesi della capitale occupata? - "Cos� fu troncata nella piena maturit� la vita di un uomo nato per una vita mediocrissima, senza preparazione, di scarsa intelligenza e cultura, che aveva tutti i numeri di un gerarca, ma non fu tigre o delinquente, ma una povera creatura umana riabilitata dal pentimento e da una santa morte, che ha meritato il perdono di Dio come quello degli uomini". Cos� nel 1944 l'avvocato Francesco Spezzano, il suo difensore al processo, comment� l'esecuzione capitale del suo cliente: Pietro Caruso, ultimo questore della Roma fascista. Parole dure, anche se ammorbidite dall'enfasi. Con la liberazione della capitale da parte delle truppe alleate Caruso, nato in Campania nel 1899 e fucilato (alla schiena) il 22 settembre 1944, fu arrestato a Viterbo, dove aveva avuto un incidente stradale durante la fuga. Caruso era scappato a bordo di un'Alfa Romeo seguita da una "colonna" di agenti speciali fascisti, aguzzini, spie e carnefici. Gente che aveva voluto accanto a s� nei tragici nove mesi precedenti. Il convoglio in fuga da Roma portava anche un carico prezioso: oro, denaro frutto dei saccheggi e dei rastrellamenti. Il viaggio verso nord fin� contro un albero. L'Alfa Romeo, mitragliata da aerei della Raf, aveva perso il controllo. In soccorso arriv� poco dopo un'ambulanza tedesca. Caruso fu trasportato, assieme all'ambiguo ex brigadiere portuale Roberto Occhetto (un sabotatore al soldo delle Ss), prima all'ospedale di Viterbo e poi in quello di Bagnoregio. Aveva una gamba rotta. Caruso viaggiava con documenti falsi, ma fu comunque intercettato e arrestato dalla polizia anglo-americana, avvisata dai partigiani. Cos�, l'ultimo questore fascista fin� nel carcere di Regina Coeli. L'accusa era pesante: rispondere della compilazione dell'elenco di persone, cinquanta come gli aveva ordinato il capitano delle Ss Herbert Kappler, da destinare alla morte alle Fosse Ardeatine, dove furono stroncate le vite di 335 uomini e ragazzi in risposta all'attentato dei partigiani in via Rasella contro una colonna tedesca, nel quale erano morti 42 soldati tedeschi e alcuni civili. A Caruso fu attribuita anche la responsabilit� del brutale rastrellamento del 3-4 febbraio 1944 nella Basilica di San Paolo Fuori le Mura (territorio della Santa Sede), dove furono malmenati e depredati 65 italiani, in aperta violazione delle leggi internazionali. In questo caso le accuse arrivarono da un vescovo. Caruso, quella volta, era rimasto impassibile sul sagrato della basilica mentre, come risulter� dalle carte processuali, un ufficiale di polizia gli fece notare che una retata del genere "non si poteva proprio fare". Il questore, irritato e imbarazzato, rispose che l'ordine era venuto dall'alto. Una delle sue tipiche frasi da Don Abbondio. Come terzo capo d'accusa figuravano le direttive date a poliziotti, agenti segreti e delatori che arrestarono e derubarono centinaia di romani, alcuni dei quali ebrei. Durante il dibattimento, Caruso disse che molte di quelle operazioni scattavano praticamente a sua insaputa, su pressione dei tedeschi e per iniziativa di Pietro Koch, poi a capo di un reparto speciale della polizia della Repubblica sociale italiana. Caruso ammise che molti di quegli assalti erano dettati dall'odio razziale: il feldmaresciallo Albert Kesselring voleva radunare in poco tempo almeno cinquemila prigionieri, destinati alla deportazione per poi diventare "schiavi di Hitler". Caruso fu condannato a morte dall'Alta Corte di Giustizia. Ma prima, durante il processo, sfilarono molti testimoni. Furono ricostruite cos� alcune tra le pagine pi� buie di una dittatura agonizzante: violenze e morti, ma anche meschini giochi di potere e corriuzione, piccole e grandi ruberie. In quello scenario uno come Pietro Caruso era un attore perfetto. La sua personalit� fragile, il carattere esitante, la predisposizione a diventare succubo dei potenti ne fecero un burattino, quasi mai un burattinaio. Soffriva di disturbi e tic nervosi ed era facilmente emozionabile. Malvagio? No, semmai Caruso era un misto di ignoranza, codardia e opportunismo. Nel processo si fece anche l'ipotesi che soffrisse di qualche malattia nervosa di origine ereditaria. Ma forse era soltanto una linea difensiva. A insinuare l'interrogativo fu infatti il suo avvocato, in un contro-interrogatorio: "Nella sua famiglia vi sono stati casi dolorosi. Specifico meglio. Lo zio Lorenzo si � suicidato nel 1904 per nevrastenia; la sorella Ada vive ad Altavilla Irpina, quasi demente, e l'altro fratello Ruggiero si trova ricoverato per malattia mentale in una clinica di Napoli. Lei conferma?". Risposta: "S�". Caruso, anni prima, era stato anche truffato per 70-mila lire (circa 50-mila euro di oggi). Aveva agito da credulone, offrendo forse la prima prova della sua vocazione a essere il pupazzo di gente pi� furba di lui. Il legale cerc� cos� di ispirare clemenza nei confronti dell'imputato. Gli chiese: "In questo momento in cui le accuse sono state precisate all'imputato, egli sente tutto il dolore per quanto attraverso la sua opera si � operato, specialmente alle Fosse Ardeatine?". Caruso spieg� senza esitare: "I testi che mi videro in quel giorno potranno dire in che stato mi trovavo". Caruso si era recato il giorno dopo nel luogo della rappresaglia. Uno dei suoi uomini l'aveva avvisato che nei pressi delle catacombe di San Callisto, dove era avvenuto l'eccidio, si avvertiva un forte puzzo di cadaveri e aggiunse che la cosa poteva turbare e agitare gli animi dei romani. Avvisato Kappler, che prese atto dell'"inconveniente", si decise di sigillare l'entrata del corridoio della morte. Questo episodio dimostra, pi� che il pentimento di Caruso, i suoi stretti rapporti con i tedeschi. Del resto, dopo un brevissimo periodo a Verona da questore (nei giorni del processo e della sentenza di morte contro Galeazzo Ciano), Caruso era stato trasferito a Roma. Perch�? Proprio in quanto "uomo fidato". Ma gli fu affidata una responsabilit� che non era proprio in grado di gestire. Non ci sapeva fare, confondeva ruoli e gradi gerarchici, continuava a chiedere istruzioni al ministro degli Interni Buffarini-Guidi. In quei giorni concitati, con gli Alleati alle porte della citt�, anche gli alti papaveri erano sballottati dal vento dell'indecisione. Cominci� la corsa allo scaricabarile, che a sua volta rese sempre pi� pressanti i diktat tedeschi. Caruso non fu comunque tanto ingenuo da non accorgersi che l'uomo forte a Roma era Pietro Koch, al comando delle famigerate squadre di assalitori e torturatori (in via Tasso a Roma e a "Villa Triste" a Milano). Caruso, con una Realpolitik che sfiorava l'incoscienza, si mise in pratica agli ordini di Koch, uomo dei tedeschi e dei repubblichini pi� fanatici: sempre alla ricerca di elogi da parte nazista, Koch era per� una mina vagante per gli amici. Si legge nell'interrogatorio dell'ex questore: "Il tenente Koch, quando io sono venuto a Roma, aveva gi� una squadra composta da elementi suoi. Ignoro quali operazioni egli abbia condotto a termine prima della mia venuta, ma successivamente a essa egli mi riferiva oralmente e molto sommariamente ci� che faceva, lasciando inevase tutte le mie richieste di conoscere grado per grado l'andamento delle varie operazioni, per l'invio di verbali di arresto, di interrogatorio o di sequestro". E prosegu�: "Ignoro altres� quale trattamento usasse ai suoi detenuti". Davvero Caruso ebbe soltanto la colpa di non sapere, di non poter sapere o di non voler sapere? Se anche cos� fu, quella colpa lo port� dritto davanti al plotone di esecuzione.