Maggio 2018 n. 5 Anno III Parliamo di... Periodico mensile di approfondimento culturale Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registraz. n. 19 del 14-10-2015 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Massimiliano Cattani Antonietta Fiore Luigia Ricciardone Copia in omaggio Indice Il Sessantotto tra storia e retorica Dalla storia il solare che vorremmo Intelligenti, ma incapaci di apprendere Il Sessantotto tra storia e retorica (di Paolo Pombeni, "il Mulino" n. 1/18) Tanto per cominciare, chiediamoci se sia possibile parlare del Sessantotto, del suo mito e di quello che ci ha lasciato in eredit� evitando di cadere sia nelle nostalgie romanticheggianti del reducismo sia nell'avanguardismo postumo che giudica arretrato e poco significativo tutto ci� che � successo prima. L'artificio retorico serve per concludere che � possibile farlo, ma � onesto ammettere che � piuttosto difficile. Si pu� partire ricordando banalmente che il Sessantotto � una di quelle date simbolo che si usano come spartiacque, ma che in realt� sono semplicemente un punto di arrivo non meno che un punto di partenza, in una certa vicenda storica. C'� una storia prima di quell'anno divenuto fatale nella rappresentazione della nostra memoria. E c'� stata una storia che � continuata anche dopo. Quel che era accaduto prima conflu� nel tumultuoso svolgersi di quei mesi e quel che accadde allora continu� a scorrere nelle vicende che vennero dopo. Nulla di particolarmente nuovo sotto il sole. La storia europea aveva conosciuto altri anni simbolici. Siccome il Sessantotto fu da tanti punti di vista una rivoluzione di intellettuali, sarebbe naturale riandare a quell'altra "rivoluzione degli intellettuali" che fu il 1848 (la definizione � dello storico britannico sir Lewis Namier). Anche allora i moti di quel marzo vennero poi monumentalizzati come una frattura, ma gli storici hanno mostrato come nascessero da una evoluzione precedente che l� trovo sbocco, tanto che la storiografia tedesca ha elaborato una categoria per questo e l'ha chiamata il Vorm�rz (il pre-marzo). Anche in quel caso i giovani che furono protagonisti di quei momenti divenuti poi "gloriosi" si trasformarono in classe dirigente degli anni seguenti e quelli che non vi riuscirono divennero reduci pronti a censurare tutto ci� che sarebbe stato fatto dopo dall'alto delle loro passate militanze nelle giornate cruciali (erano le "vecchie barbe", come venivano chiamati in Francia). Dunque anche per il Sessantotto si possono elencare prodromi senza difficolt�. La stabilizzazione post 1945 era stata inizialmente piena di speranze creative, si era poi irrigidita nella spirale della guerra fredda, aveva ripreso slancio con la svolta che era sembrata affacciarsi in Europa e negli Stati Uniti fra gli ultimi anni Cinquanta e i primi anni Sessanta, per poi di nuovo arenarsi nella palude conservatrice apertasi dopo la met� di quel decennio. I ventenni che animarono i sommovimenti del Sessantotto erano i discepoli della delusione che stava attanagliando una parte dei loro maestri per le speranze tradite della loro giovinezza, ed erano il prodotto della volont� di ripresa che quella stessa delusione aveva prodotto negli allievi formati dalla riflessione su quelle speranze. Il dato generazionale � fondamentale. Avevamo vent'anni: potrebbe iniziare cos� la nostra riflessione e potrebbe riproporre, per similitudine neppur troppo forzata, le parole di una canzone che Italo Calvino scrisse per descrivere la Resistenza: "Avevamo vent'anni e oltre il ponte / oltre il ponte ch'� in mano nemica / vedevam l'altra riva, la vita / tutto il bene del mondo oltre il ponte. / Tutto il male avevamo di fronte / tutto il bene avevamo nel cuore / a vent'anni la vita � oltre il ponte / oltre il fuoco comincia l'amore". Anche nel frangente del 1968 la generazione dei nati fra il 1943-44 e il 1948-49 in parte eredit� e in parte si costru� l'immagine di stare davanti a un "ponte" che si ergeva tra due epoche e che un nemico subdolo teneva sbarrato, impedendo di passare oltre e di entrare nella nuova era. Cos� davvero si fin� per credere che tutto il male fosse di fronte e che la vita vera sarebbe iniziata solo dopo che si fosse sbloccato l'attraversamento di quel ponte. � una rappresentazione troppo romantica? Ma il Sessantotto fu da tanti punti di vista romanticismo e scapigliatura, prodotto di ventenni che si illusero di poter conquistare un futuro che sembrava a portata di mano oltre quel mitico ponte: nelle rivolte dell'America Latina, nella Cina e nelle risaie del Vietnam, nella mitica "chiesa dei poveri" che si credeva fosse stata impiantata dal Concilio Vaticano II, nella riscoperta della centralit� della classe operaia come classe chiave dell'evoluzione storica, nei "dannati della terra" che dall'Africa e dal Terzo mondo annunciavano il secolo nuovo, nella promozione di un nuovo ruolo per le donne, l'altra met� del cielo. Siate realisti, chiedete l'impossibile, si scriveva con baldanza sui muri. Troppo facile a cinquant'anni di distanza smontare quei miti. Il "Che" non ha sollevato il Sud America; Cuba, la Cina, il Vietnam liberato dalla presenza americana non divennero paradisi della nuova democrazia libertaria; la classe operaia ha perso centralit� e identit� e non � andata in paradiso; i "dannati della terra" del Terzo mondo non hanno guadagnato libert� con la sconfitta del colonialismo, ma preso la via delle migrazioni di massa; la religione o � in difficolt� o si � trasformata in fanatismo integralista. Si potrebbe naturalmente continuare. Sarebbe per� altrettanto facile mostrare come quel che � rimasto in piedi dopo il crollo di quei miti non � affatto il vecchio mondo che, per continuare nella nostra metafora, sbarrava la strada del "ponte" ai ventenni delle universit� occupate. Per paradossale che possa sembrare, quel mitico ponte alla fine furono costretti ad attraversarlo tutti, i giovani di allora, i meno giovani, tutti quelli che vennero dopo, e solo per scoprire che si sarebbero trovati in una terra incognita di cui n� la pseudo-saggezza delle vecchie classi dirigenti n� l'ingenuo illuminismo dei ventenni sessantottini possedevano le mappe. Sarebbero dovuti andare avanti navigando a vista, magari fondendo nostalgie e rimpianti per le bussole passate e perdute, illusioni di potersi fermare accampandosi nel privato, velleit� di presentarsi come i nuovi Mos� che sapevano bene che oltre il deserto c'era inevitabilmente la Terra Promessa, anche se non sapevano come raggiungerla. A cinquant'anni di distanza varrebbe la pena di chiedersi come mai sia accaduto tutto questo, e anzi cosa sia davvero accaduto allora e dopo di allora. Se torniamo indietro con l'analisi, facilmente ci accorgiamo che ci si era resi conto di due fenomeni che maturavano da tempo. Il primo era la trasformazione del sistema di vita occidentale, indotto da quella che si chiama "economia dell'opulenza": una disponibilit� notevole di risorse che potevano essere distribuite con una certa larghezza e che trasformavano le coordinate di vita delle popolazioni. L'accesso al benessere diveniva possibile per la maggior parte della popolazione e significava contemporaneamente l'ampliamento delle possibilit� di fruizione dei benefici culturali e sociali (a partire dall'istruzione che ormai arrivava fino ad allargare le maglie di accesso alle universit�) e l'incremento dei redditi disponibili per i consumi personali. Questo faceva crollare l'esclusivit� dei canali di formazione legati agli ambienti di nascita e affidava ai consumi la formazione della cultura, intesa nel senso antropologico del termine (la cultura come lo strumento per relazionarsi alla societ� e per comprenderla), in primis a quel nuovo consumo di massa che era la televisione. In Italia ci� volle dire che la generazione dei ventenni non era pi� segmentata secondo gli storici "steccati" delle subculture politico-sociali del nostro Paese, ma condivideva parametri interpretativi e strumenti di interazione veicolati dalla fruizione per tutti della stessa televisione (ma anche del cinema, dei consumi di vestiario e di cibo ecc.). Il secondo elemento che venne a maturazione in quella svolta storica fu la crisi del sistema liberaldemocratico classico. Per la verit� quella era una crisi annunciata e propagandata da tempo: se ne parlava gi� alla fine dell'Ottocento e i fascismi avevano prosperato sfruttandola. Tuttavia la vittoria delle potenze "democratiche" nella Seconda guerra mondiale e la rapida esclusione da queste dell'Urss, che aveva scelto definitivamente la via del "totalitarismo" (secondo la nota tesi della Arendt), aveva fatto credere per un certo tempo che il modello del costituzionalismo democratico, magari corretto con un po' di socialismo, garantisse davvero quella "circolazione delle �lite" che sola pu� vivificare una democrazia competitiva. Anche in questo caso si era per� visto che, come era gi� successo, la circolazione si fermava quasi subito, appena la prima ondata di "circolanti" aveva raggiunto il potere, perch� questi non � che poi avessero tanta voglia di cedere rapidamente il passo. E per contenere e controllare quel tanto di ricambio che pure era inevitabile non si recedeva dall'usare gli antichi strumenti del monopolio nel controllo delle istanze di selezione. I grandi partiti ideologici e di massa, che erano stati la speranza della rinascita della democrazia, tornarono all'antico vezzo che Michels aveva descritto rozzamente come "la ferrea legge delle oligarchie". Non accadde subito, ma certo nella seconda met� degli anni Sessanta il fenomeno si era ripresentato in forma accentuata, complice la paura che avevano le classi dirigenti (e non solo quelle politiche) del cambiamento in vista. Una preoccupazione che si estendeva anche alle nuove classi medie, che avevano visto migliorare la loro posizione con gli inizi della affluent society e che si sentivano messe in questione (e che vennero poi schematicamente etichettate, per il gioco delle trasposizioni letterarie, come "la borghesia"). Oggi l'abbiamo dimenticato, ma basterebbe andarsi a rileggere la stampa dell'epoca per trovare messi confusamente uno accanto all'altro i fenomeni pi� diversi, accomunati solo dall'annuncio che non si sarebbe pi� andati avanti come prima: si passava dalle preoccupazioni per la "congiuntura" (economica) che sembrava sfidare la tenuta del benessere allo choc di un Concilio che aveva dimostrato che la Chiesa, l'istituzione quasi immutabile per eccellenza, aveva preso in seria considerazione la svolta storica che per pi� di un secolo aveva sia negato sia condannato, al trauma di una giovent� che viveva fuori dalle consuete regole, fra cambiamenti nei rapporti sessuali (un terreno altamente simbolico per la conservazione) e libert� sino alla trasgressione nella fruizione di un tempo libero con disponibilit� di risorse (chi si ricorda oggi del fenomeno dei "teddy boys"?). Non risponde a verit� sostenere che di questi cambiamenti non ci fosse consapevolezza: anzi, ne discuteva una buona letteratura, in parte allarmistica, ma in parte razionalmente fondata su analisi sociologiche. Non ci si aspettava per� che i giovani prendessero direttamente in mano queste analisi con le prospettive che aprivano e pretendessero di gestirle in proprio. Con il senno di poi (ma con cosa si fa la storia se non con quello?) mi pare di poter dire che il cortocircuito che fin� per bruciare il Sessantotto riducendolo a un evento in gran parte simbolico e catartico fu l'impossibilit� per i giovani di allora di trovare una controparte capace di costringerli a dialettizzare le loro sensibilit�, a razionalizzare le loro intuizioni, a reindirizzare il loro volontarismo togliendolo dai vicoli ciechi dell'utopia per metterli sulla strada del riformismo. Si � scritto spesso della rilevanza del fatto che fossero le universit� la culla di questi sommovimenti, cio� le sedi che istituzionalmente erano deputate alla trasmissione del sapere critico. Andrebbe sottolineato che proprio il fatto che scuola secondaria (specie i licei) e universit� avessero parzialmente fatto bene quel mestiere stava alla base della rivolta giovanile. � vero che gli studenti protestavano contro un modo di trasmissione del sapere "autoritario" che dava poco spazio alle creativit� individuali. Non � meno vero per� che, per autoritaria e limitata che fosse, quella trasmissione del sapere esisteva e fu approfittando di quella che i giovani poterono imporsi come soggetti della dialettica intellettuale. I giovani di allora erano stati abituati a imparare le riflessioni degli altri, fossero i "classici" o quel che dei classici avevano manipolato i loro docenti, ma avevano imparato comunque a riflettere: sapevano leggere libri e li leggevano (anche quelli che non erano "libri di testo per l'esame"), usavano la stampa con la sua presenza non di rado di qualit�, si misuravano con un dibattito pubblico perch� inseriti in una ricca rete di "organizzazioni giovanili" che erano pensate come incubatori di classe dirigente e che dunque li abituavano alla dialettica e all'agire in pubblico. Si pu� certo rilevare che si trattava di �lite e non dei giovani genericamente intesi, ma questa � la normale vicenda storica: quelle �lite si tirarono dietro i loro compagni e poterono farlo perch� si mostrarono in grado di conquistarsi uno spazio di qualche "autorevolezza" sociale e politica (usiamo pure questo termine con tutte le cautele del caso). Il problema � che questa generazione vinse troppo facilmente la sua battaglia per il protagonismo. Contro di lei si alzarono le forze di una conservazione ottusa e di un potere impaurito che credette solo un po' nella repressione e molto di pi� nel far passare la nottata. A fianco, per�, le componenti politiche e sociali pi� aperte usarono quel sommovimento per guadagnare spazi per s�, cooptando direttamente o in maniera mediata le �lite della contestazione in quello che per esse era il disprezzato "sistema". Uno sguardo anche superficiale alla fine fatta dalle �lite sessantottine pu� facilmente confermare questa asserzione. Il che per� non deve farci ignorare tre fatti, che hanno, a mio avviso, grande importanza. Il primo � quello che definisco la monumentalizzazione del Sessantotto. Proprio la necessit� di separare il destino delle �lite dirigenti di quella fase da quello delle "masse" che li avevano seguiti poneva il tema di cosa offrire a chi dopo aver fatto "la rivoluzione" (immaginaria) non ne aveva cavato un gran guadagno. A essi si offriva la tradizionale medaglia da reduci di un'avventura storica, il che, mi si perdoni la banalit�, dava loro diritto a impancarsi nei dibattiti da bar e assimilati, come quelli che "c'erano stati" e che in quanto tali potevano dispensare giudizi e ricette su come si doveva fare per adeguarsi a ogni svolta, vera o presunta, davanti alla quale credevano di trovarsi. � la generazione di genitori (e poi nonni) che ha contribuito a disarticolare il sistema scolastico, opportunamente supportata da insegnanti anch'essi reduci da quelle patrie battaglie; dei funzionari sindacali pi� o meno "di base"; dei dipendenti del pubblico impiego cos� solleciti verso i diritti del lavoro (il loro); dei seguaci di tutti i movimenti possibili purch� "di protesta", perch� solo protestare fornisce la patente "di sinistra", ma poi pi� in generale quella di attori protagonisti della storia, una cosa che si pu� fare anche "da destra". Naturalmente quella generazione ha fatto figli e questi li hanno fatti a loro volta, producendo la perpetuazione delle liturgie post-sessantottine come le "occupazioni" di scuole e universit�, i blocchi stradali e via dicendo, svuotando tutto in un solipsismo con sempre minori contenuti fino a non lasciarne quasi pi�. Perch� promuovere l'espressione delle idee degli studenti � ottima cosa se si danno loro gli strumenti per averne, che possono essere solo quelli di cominciare a familiarizzare con le idee di chi le ha veramente avute prima di loro; altrimenti si producono persone che pensano che il mare si svuoti con un cucchiaio e che le idee che trasformano una societ� possano essere aeroplanini di carta digitale da far volare sulle ali del web. Il secondo fatto a cui prestare attenzione � la preservazione giustificazionista che una parte (larga) delle �lite sessantottine transitate nelle classi dirigenti ha fatto della propria esperienza giovanile per dimostrare che "in fondo noi avevamo ragione e abbiamo continuato quella lotta con altri mezzi", e se poi il mondo � cambiato e noi ne abbiamo tenuto il debito conto questo conferma solo quanto intelligenti siamo rimasti. La rappresentazione � un po' farsesca, ma non pi� di tanto. Ci� su cui vorrei attirare l'attenzione � il fatto che cos� facendo si � introdotta nel sistema della comunicazione intellettuale politica una sorta di deriva escatologizzante che, a mio giudizio, ha prodotto non pochi guai. � la tendenza alla ricerca continua di eventi che possano essere presentati come l'annuncio dell'arrivo di una sorta di giudizio universale, di apocalisse che ci travolger� tutti, ma che non pu� essere evitata. Ne � nato un atteggiamento intellettuale in cui il "giudicare" viene prima del "capire" e questo, mi si consenta, non � un buon modo per produrre soluzioni ai problemi con cui si viene in contatto. Anche negli esponenti delle �lite sessantottine che hanno scelto l'impegno politico, anzich� quello di "censori pubblici" dei mali italiani, la predilezione per l'annuncio delle visioni rispetto al lavoro di paziente costruzione delle alternative riformatrici sembra la cifra dominante. Per l'autorevolezza che queste �lite hanno guadagnato, indubbiamente anche per meriti, va pure riconosciuto, quella predilezione � divenuta un modo di organizzazione della riflessione e dell'azione politica che ora tende a dominare. Il terzo fatto che voglio ricordare � l'imposizione, in parallelo a quanto appena detto, dell'utopia come metro della credibilit� politica. Si potrebbe pensare che ci� sia in contraddizione con quel che si � appena affermato, ma non mi pare sia cos�. L'utopia convive tranquillamente con il pessimismo cinico circa l'impossibilit� di redenzione prima del giudizio finale, perch� proietta la tensione politica verso quell'"attesa della venuta del Redentore e del suo Regno" che � propria di molte religioni e che indubbiamente ha un retaggio culturale forte nelle nostre societ�, storicamente plasmate anche da questa interpretazione del cristianesimo. Si tratta di uno strumento attraverso cui si costruisce, o, meglio, si crede di costruire, il consenso attorno alle proprie posizioni, che � ci� di cui le �lite hanno strutturalmente bisogno. A coloro ai quali si propone una visione pessimistica di un presente che non sarebbe mai veramente emendabile dalle sue colpe bisogna offrire poi lo sbocco di un futuro in cui avverr� il miracolo del sorgere del sole dell'avvenire. Si dir� che si tratta di una vecchia storia, ed � ovviamente cos�, non fosse che per un punto. Un tempo quell'avvenire era collocato in un futuro incerto, comunque lontano, che il "fedele" doveva sapere che non avrebbe personalmente visto durante la sua vita. Nel nostro presente, che � sempre pi� privo di profondit� temporale, un tale modo di intendere non � proponibile, e dunque l'utopia � ambiguamente presentata come qualcosa che dovrebbe realizzarsi "presto". Se ci� non avviene � per colpa di qualche impuro che impedisce il verificarsi del miracolo, ma comunque si pu� ovviare alla cosa riducendo il mondo alla propria cerchia. � la dinamica delle aggregazioni settarie e pu� essere strano darne la colpa ai cascami di un fenomeno storico come il sommovimento del Sessantotto. A parte frange marginali, che peraltro dettero vita a una stagione tragica come quella degli "anni di piombo", i movimenti studenteschi di allora erano rimasti nel vago quanto agli obiettivi finali che ci si poneva: essendo movimenti di ventenni era normale che si guardasse al futuro come a una pagina bianca e aperta su cui sarebbe stato possibile incidere. Allora per� vigeva una cultura storicista, e accanto a essa una lettura del presente che consentiva questa vaghezza. La storia insegnava che le rivoluzioni erano possibili, sempre tradite, si capisce, ma insomma anche sempre portatrici di qualche passo avanti pi� o meno significativo. Il presente mostrava un mondo che sembrava ribollire di possibilit� per un cambio radicale di passo: come si � gi� accennato, c'erano Cuba, la Cina della Rivoluzione culturale, le lotte in America Latina, il risveglio dell'Africa. In seguito questi elementi non sono stati pi� disponibili. Lo sviluppo delle tecnologie, avvenuto a ritmi allora impensabili (si pensi alla rivoluzione dell'informatica), nel modo di sentire collettivo cancellava il senso della continuit� storica: il passato non aveva nulla da insegnare, l'evoluzione nasceva dall'applicarsi all'ultimo frammento di presente. L'ipotesi del sacrificare se stessi per un mondo che verr� non veniva pi� presa in considerazione: si pensi al fallimento di tutte le strategie per riportare sotto controllo i sistemi pensionistici basate sul vecchio assunto del chiedere ai padri responsabilit� per un loro privilegio la cui conservazione avrebbe distrutto la fruizione di un diritto per i propri figli. Laddove questo meccanismo di annullamento di s� in nome di un ipotetico futuro da costruire ancora viveva o avrebbe ripreso a vivere lo si liquidava come fanatismo. In parallelo la realizzabilit� storica di mondi nuovi e diversi in quei contesti che avevano colpito le fantasie sessantottine era smentita da quanto avvenuto negli anni seguenti: basta richiamare il caso della Cina per capire subito a che cosa ci si riferisce. Letto cinquant'anni, dopo il Sessantotto ha molte ragioni per far riflettere. Non serve esercitarsi in uno sforzo di eroicizzazione di quell'epoca, n� lasciarsi andare a una sua demonizzazione. Quello non fu che un inizio della consapevolezza che ci si avviava a percorrere una complicata et� di transizione storica: inizio fondato pi� su intuizioni che su razionalit�, ma certamente avvio di un punto di svolta. Che poi le strade su cui ci si � mossi nei cinquant'anni seguenti siano state tortuose e spesso scivolose fa parte della normalit� della storia dell'umanit�, come le peripezie e le vanit� delle donne e degli uomini che le percorsero dopo aver attraversato quel mitico "ponte". Dalla storia il solare che vorremmo (di Giorgio Nebbia, "Prometeo" n. 141/18) - Tutto quello che � possibile costruire e inventare con l'aiuto dell'energia solare. - L'energia solare si presenta sulla Terra come fonte di calore e come radiazione elettromagnetica, in quantit� grandissime, di circa tre milioni di esajoule all'anno; il milione di esajoule che arriva sulle terre emerse corrisponde a circa 2000 volte la quantit� totale di energia "usata" dagli esseri umani in un anno. L'energia solare � stata "la" fonte di energia per gli esseri umani fin dall'inizio della comparsa dell'Homo sapiens, un paio di centinaia di migliaia di anni fa, e ancora pi� dopo la rivoluzione agricola di circa diecimila anni fa. In tutto questo lungo cammino l'energia solare ha fornito la biomassa vegetale necessaria per l'alimentazione degli umani e degli animali, che hanno rappresentato le prime forme di "lavoro" economico, in ragione di circa 150 chilowattore all'anno per un lavoratore umano e di circa 1000 chilowattore all'anno per un animale da lavoro. La biomassa vegetale ha fornito il legno per il riscaldamento e l'illuminazione notturna; i venti, generati dal differente riscaldamento solare di grandi superfici di terre emerse e di mari, hanno spinto le navi e, in tempi molto pi� vicini a noi, mezzo millennio fa, sono stati utilizzati per far girare le ruote di "macchine"; il moto dell'acqua nei fiumi, assicurato dal ciclo di evaporazioni e condensazioni dell'acqua provocato dal Sole, da oltre un millennio � stato utilizzato per azionare ruote meccaniche. In tempi recenti sono state "inventate" macchine per utilizzare meglio l'energia solare come fonte di lavoro e di calore utile, � stato un lungo cammino pieno di successi ed errori e invenzioni dimenticate; alcune possono essere riscoperte per cercare soluzioni "solari" adatte oggi sia ai paesi industrializzati sia a quelli poveri, alla luce della disponibilit� di nuove conoscenze chimiche e fisiche sui materiali. Una analisi delle prospettive dell'energia solare per i paesi industrializzati come l'Italia e per i paesi in via di industrializzazione o arretrati � stata l'oggetto di un incontro che si � tenuto il 10 ottobre 2014 a Rodengo Salano (Brescia) presso il Museo dell'Industria e del Lavoro MusIL, della Fondazione Luigi Micheletti di Brescia, in collaborazione con il Gruppo per la Storia dell'Energia Solare (GSES). Tanto per cominciare, oggi i pi� grandi collettori solari sono le saline, grandi vasche poco profonde nelle quali il Sole fa evaporare l'acqua di mare fino a far precipitare il cloruro di sodio, il sale comune. Nel mondo la loro superficie � di circa 2000 milioni di metri quadrati, circa venti volte la superficie di tutti i pannelli solari termici e fotovoltaici e centrali a concentrazione in funzione nel mondo, e producono circa 70 milioni di tonnellate all'anno di cloruro di sodio. La stessa tecnologia viene adesso utilizzata nei salar degli altopiani di Cile, Bolivia e Argentina, per concentrare le soluzioni di sali di litio e recuperare il cloruro di litio, materia strategica per la produzione di batterie elettriche. Qualsiasi corpo esposto alla radiazione solare si scalda di alcuni gradi al di sopra della temperatura ambiente, pochi perch� perde gran parte del suo calore per conduzione e convezione verso l'aria esterna e per irraggiamento verso il cielo "freddo". Nel 1767 fu scoperto che un corpo, per esempio acqua, posto in una scatola coperta con una lastra di vetro ed esposta al Sole, poteva raggiungere una temperatura di molte diecine di gradi Celsius perch� il vetro non lasciava passare la radiazione infrarossa di lunghezza d'onda di circa 10 micrometri, emessa da un corpo a 30-60 gradi Celsius di temperatura, e tratteneva al suo interno l'aria scaldata, limitando le perdite di calore per convezione e conduzione. Un'osservazione che ha dato origine alla diffusissima tecnologia degli scaldacqua solari, un ingegnoso sistema di accumulo del calore solare basato su un semplice fenomeno fisico: l'acqua scaldata nel collettore solare "sale" in un serbatoio posto in alto e sposta la pi� pesante acqua fredda che entra dal basso nel collettore. L'acqua calda nella caldaia sovrastante � disponibile anche quando il Sole non c'� pi�. Inoltre al riscaldamento contribuisce la radiazione solare sia diretta (col Sole nel cielo sereno), sia diffusa, quando il cielo � coperto. Con simili semplici dispositivi � possibile inoltre essiccare molti prodotti agricoli, una evoluzione pi� igienica dell'antichissima pratica di essiccazione per esposizione al Sole. Sulla base dello stesso principio, se si pone dell'acqua salmastra in una simile "scatola" o vasca, chiusa da una lastra di vetro (o di qualsiasi altro materiale trasparente) inclinata, una parte dell'acqua evapora e il vapore si condensa come acqua liquida, priva di sali, sulla superficie interna del tetto e pu� essere raccolta. Un tale distillatore solare riproduce, in piccolo, il ciclo di evaporazione e condensazione dell'acqua che il Sole svolge su scala molto pi� grande nell'intero pianeta. I primi distillatori solari sono stati costruiti nella seconda met� dell'Ottocento sull'altipiano cileno per assicurare un po' di acqua potabile ai minatori in una zona dove esisteva soltanto acqua salina. Da allora sono stati costruiti migliaia di distillatori solari, progettati soprattutto per dare acqua nelle zone aride e assolate della Terra, capaci di fornire, d'estate, quando � maggiore la richiesta di acqua, circa sei litri al giorno per ogni metro quadrato di superficie della vasca. Col calore solare a bassa temperatura � possibile scaldare abitazioni, con soluzioni architettoniche anche eleganti, sperimentate oltre mezzo secolo fa dal francese Felix Trombe e dall'americana Maria Telkes. Quest'ultima ha progettato un sistema di accumulo del calore solare diurno, per renderlo disponibile di notte, basato sulla fusione di una massa di solfato sodico decaidrato; di giorno il sale fonde, assorbendo il calore del Sole; di notte il sale passa dallo stato fuso a quello solido restituendo il calore latente di fusione all'ambiente circostante. Col calore solare a bassa temperatura, raccolto da speciali fluidi posti entro tubi o piastre coperti da una lastra di vetro, cio� con dispositivi relativamente semplici e costruibili con un gran numero di diversi materiali e accorgimenti tecnici, � possibile azionare motori con il ciclo di evaporazione e condensazione di un fluido: l'ammoniaca nei motori costruiti dal francese Tellier nel 1889, l'anidride solforosa nei motori costruiti negli anni quaranta del Novecento dalla ditta italiana Somor, i pi� moderni fluidi frigoriferi oggi. Sempre col ciclo di evaporazione e condensazione, il calore solare a bassa temperatura pu� azionare frigoriferi ad assorbimento, inventati negli anni venti del Novecento. Un brevetto del 1923 porta, niente meno, il nome di Albert Einstein e di Leo Szilard. Se si vuole ottenere calore a temperatura superiore a circa 100�C bisogna procedere alla concentrazione della radiazione solare; per usi specialissimi si possono usare delle sfere di materiale trasparente, come avevano capito i matematici greci e arabi che hanno studiato i fenomeni di rifrazione della luce proprio per capire come funzionavano le sfere "ustorie", con cui accendere fuochi mediante la luce del Sole. Normalmente per ottenere temperature superiori bisogna concentrare l'energia solare mediante specchi. Con semplici specchi, fatti di lamiere di metalli riflettenti, � possibile realizzare delle cucine solari con cui cuocere in maniera pulita, proprio nelle ore di massima insolazione, i cibi a temperature fra 150 e 250�C, un problema molto sentito nei paesi poveri dove il cibo � spesso scaldato bruciando, con sgradevoli fumi, legna o sterco essiccato. La conoscenza di fornelli solari, costruibili anche con soluzioni molto semplici, usando come specchi dei pezzi di lamiera, � diffusa da associazioni che si occupano di tecnologie appropriate per i paesi in via di sviluppo. Se invece con il Sole si vogliono ottenere temperature pi� elevate, capaci di far funzionare macchine e turbine per la produzione di energia elettrica, occorrono dispositivi a specchi pi� complicati. Intanto gli specchi riflettono soltanto la radiazione solare diretta, quella disponibile quando il cielo � sereno; poi gli specchi devono essere orientati continuamente per "seguire" il Sole nel suo moto apparente nel cielo; infine gli specchi perdono parte del loro potere riflettente se sono sporchi di polvere e richiedono quindi una periodica pulizia. Le macchine termiche hanno bisogno di un apporto di calore continuo a temperatura abbastanza costante; il calore solare, la cui intensit� varia continuamente nelle varie ore del giorno e nelle varie stagioni dell'anno, deve quindi essere trasferito ad un fluido che deve a sua volta essere immagazzinato. Bench� il calore solare non sia proprio adatto a sostituire quello che pu� essere fornito dai combustibili, sono state costruite numerose ingegnose centrali termoelettriche solari, anche di potenze di molte migliaia di chilowatt, di costosa e non facile gestione, capaci di produrre anche 1000 chilowattore all'anno con circa 6-10 metri quadrati di specchi, usando come fluidi vapore acqueo, oli diatermici, sali fusi. L'unica ingegnosa proposta di "cattura" del calore solare ad alta temperatura con strutture stazionarie a nido d'ape trasparenti, capaci di evitare le perdite di calore per irraggiamento, conduzione e convezione, � stata fatta nel 1961 dall'italiano Giovanni Francia; una idea che merita di essere perfezionata. Al di fuori dei progetti di centrali termoelettriche commerciali, adatti specchi solari consentono di scaldare, a fini scientifici, ad altissima temperatura, in uno spazio chiuso, materiali di cui si vogliono studiare le propriet�, evitando la contaminazione dovuta all'uso di combustibili fossili e al contatto con l'esterno. Molto maggiore successo hanno invece le utilizzazioni della radiazione solare basate su alcune strane propriet� della materia. Fin dagli inizi dell'Ottocento � stato scoperto che si genera elettricit� se le "saldature" fra certe coppie di metalli sono esposte alla radiazione solare (fotoelettricit�) e al calore solare (termoelettricit�). Le applicazioni commerciali si sono per� avute soltanto dopo la scoperta, nel 1952, dei semiconduttori a base di silicio. Le celle fotovoltaiche attuali utilizzano soltanto la parte ultravioletta e visibile della radiazione elettromagnetica solare, circa la met� di quella totale disponibile; "si perde" quindi circa la met�, quella infrarossa, di tale radiazione. Con le celle fotovoltaiche � comunque possibile ottenere direttamente elettricit� in ragione di circa 1200 chilowattore all'anno per ogni chilowatt di potenza nominale che richiede una superficie di circa 10 metri quadrati di fotocelle. Non tutto � facile, comunque; la fabbricazione dei semiconduttori richiede tecnologie chimiche sofisticate; le celle fotovoltaiche devono essere dotate di un sistema di dispersione del calore, forniscono elettricit� a basso voltaggio e richiedono sistemi di conversione da circa un volt alle diecine e centinaia di volt richieste dalla maggior parte dei macchinari elettrici. Ormai con pannelli fotovoltaici vengono costruite centrali della potenza di migliaia di chilowatt; poich�, per�, l'elettricit� che viene prodotta in alcune ore del giorno e diversamente nelle varie stagioni, per essere disponibile quando occorre, deve essere accumulata in speciali batterie oppure deve essere integrata con l'elettricit� di origine fossile in speciali reti di distribuzione, "intelligenti" ma di scomoda gestione. Gli impianti fotovoltaici trovano invece utile applicazione in piccole unit� adatte ai paesi poveri e capaci di risolvere, con modesti accumulatori, problemi come l'alimentazione di frigoriferi per conservare cibo e medicinali, di sistemi locali di telecomunicazioni e di illuminazione, dove finora non sono arrivate le reti di distribuzione dell'elettricit�. L'altra forma della "forza" del Sole adatta a fini pratici � quella del vento, il movimento di grandi masse di aria provocato dal fatto che l'energia solare scalda diversamente vaste zone di continenti e di mari. Anche qui sono state proposte centinaia di soluzioni, che vanno dai motori eolici utilizzati in moltissime zone agricole, soprattutto per sollevare l'acqua dai pozzi, fino alle grandi macchine eoliche a pale rotanti, con potenze fino a centinaia o anche migliaia di chilowatt, con produzione di circa 1200-1800 chilowattore all'anno per ogni chilowatt di potenza nominale; anche in questo caso si tratta di elettricit� disponibile con imprevedibili discontinuit�. Il vento genera anche il moto ondoso, disponibile soprattutto lungo le coste degli oceani, proprio dove abitano tante popolazioni finora prive di elettricit�. Lo "sfruttamento" del moto ondoso per ottenere energia meccanica o elettrica ha stimolato moltissime invenzioni che possono ora essere "riscoperte" e utilizzate, ma solo in particolari condizioni geografiche, come sulle coste lungo i grandi oceani, grazie anche ai nuovi materiali divenuti disponibili. Sempre legata al Sole, che tiene in moto il grande ciclo di evaporazioni e precipitazioni delle acque sul pianeta, � l'energia che pu� essere ricavata dal flusso delle acque sulla superficie dei continenti, in ragione di 40.000 miliardi di metri cubi all'anno che scendono dalle montagne e colline verso il mare. Il "contenuto energetico" di tale acqua in continuo movimento � circa 15-20 volte superiore all'energia idroelettrica prodotta nel mondo, circa 3.300 miliardi di chilowattore all'anno. Dei potenziali 200 miliardi di chilowattore "contenuti" nel moto di un anno delle acque dei fiumi italiani, soltanto appena 45 miliardi di chilowattore all'anno sono trasformati in elettricit� nelle grandi centrali idroelettriche. Almeno altrettanti potrebbero essere ottenuti con impianti ad acqua corrente, con limitato effetto sull'ambiente, localizzati nelle valli dove motori ad acqua hanno funzionato per secoli, anzi sono stati la fonte di energia per l'avvio dell'industrializzazione italiana, spesso poi abbandonati. Il Museo dell'Industria e del Lavoro MusIL di Brescia ha in corso una inventario delle risorse di energia idrica di molte valli e delle centrali e macchine a energia idrica suscettibili, con nuove tecnologie, di risolvere molti problemi energetici locali. Infine della biomassa vegetale, "fabbricata" ogni anno dalla fotosintesi solare, la parte che non ha uso alimentare, costituita dagli scarti e residui agricoli e forestali, stimabile nel mondo in alcuni miliardi di tonnellate all'anno, in Italia in alcune diecine di milioni di tonnellate all'anno, pu� essere trasformata in carburanti per autoveicoli o motori, meno inquinanti, le cui emissioni di anidride carbonica, durante il funzionamento, corrispondono, pi� o meno alla quantit� di anidride carbonica assorbita durante la fotosintesi dalla biomassa vegetale da cui sono stati tratti i carburanti. Le fonti di energia fossili hanno alta densit� energetica, disponibilit� in qualsiasi momento, ma le loro riserve non si estendono al di l� di decenni o secoli, e il loro uso immette nell'ambiente agenti inquinanti, anche quelli gassosi responsabili delle modificazioni climatiche. La tecnologia � destinata a cambiare a favore delle attuali e soprattutto delle nuove soluzioni "solari", a condizione che al Sole si chieda di fare quello che sa fare sulla base dei suoi caratteri fisici: variazione durante le ore del giorno e i giorni dell'anno, variazione a seconda delle condizioni meteorologiche, bassa densit� energetica per unit� di superficie. E se ne considerino i vantaggi consistenti nel ritorno, ogni anno, nelle stesse quantit� e con gli stessi caratteri, per sempre, e "pulizia" nei confronti dell'ambiente. Tenendo conto che il Sole sa fare molte altre cose, oltre a quelle che gli chiediamo oggi, cose studiate in passato e dimenticate e che possono essere riscoperte e migliorate con i progressi delle conoscenze scientifiche e con la disponibilit� di nuovi materiali. D'altra parte le varie forme in cui il Sole si manifesta sulla Terra, come calore, radiazione, moto del vento e delle acque, anche nella loro semplicit� e lentezza, si prestano a soddisfare molti bisogni umani e attendono nuove invenzioni e nuove imprese. Essenziali soprattutto per aiutare nel loro sviluppo i paesi oggi afflitti dalla miseria per mancanza non solo di alimenti e di acqua di buona qualit�, ma anche di energia, pur avendo a disposizione grandi spazi, una elevata intensit� dell'energia solare, risorse naturali che proprio le forze del Sole possono valorizzare. Si tratta di un potenziale "mercato" di un miliardo di persone, centinaia di migliaia di famiglie. Il professor Giacomo Ciamician, oltre un secolo fa, scrisse che un giorno la "civilt�", grazie all'energia solare e alle conoscenze della chimica e della biologia, sarebbe tornata nei paesi africani dove era nata, in alternativa alle fumose e inquinate citt� industriali. Una alternativa alla pressione che milioni di persone, per sfuggire alla miseria e alla mancanza di servizi e di energia dei loro paesi, esercitano, spesso respinte, alle porte dei paesi oggi opulenti. Intelligenti, ma incapaci di apprendere (di Cesare Cornoldi, "Psicologia contemporanea" n. 221/10) - Com'� possibile che a volte bambini con capacit� intellettive sopra la media incontrino difficolt� di apprendimento a scuola? - Quando lo psicologo francese Alfred Binet, a inizio '900, fu impegnato nell'individuare bambini che avrebbero potuto incontrare insuccessi e difficolt� nell'apprendimento, il suo ragionamento fu molto semplice. Gli apprendimenti fondamentali proposti dalla scuola si basano sulle capacit� intellettive generali del bambino: pi� queste sono alte, pi� egli potr� raggiungere traguardi elevati. Al contrario, bambini con capacit� ridotte incontreranno severi problemi di apprendimento. Fu in base a questi ragionamenti che Binet, con l'aiuto di Simon, cre� i suoi celebri test di intelligenza che, una volta proposti nelle scuole francesi, servirono a confermare largamente le sue ipotesi. Cent'anni di ricerca hanno ormai dimostrato che una stima dell'intelligenza di un individuo (di solito espressa con un indice di QI) � l'indice che meglio predice il successo scolastico e anche quello lavorativo. Ma questa relazione, di solito descritta da indici statistici elevati di correlazione, non deve ingannarci. Le correlazioni, soprattutto se raccolte su numeri ampi di soggetti, tendono infatti a nasconderci le specificit�. � vero, ad esempio, che c'� una correlazione positiva fra altezza e successo nel basket, ma ci sono eccezioni rappresentate da "stangoni" che non riescono a prendere al volo una palla e "tappi" che creano magie sotto canestro. Ugualmente, nell'ambito del rapporto fra livello intellettivo generale e successo nell'apprendimento, ci sono delle eccezioni molto significative e fra esse la pi� nota � costituita dal caso dei Disturbi specifici di Apprendimento (DSA). I disturbi specifici di apprendimento Le teorie unitarie dell'intelligenza, che assumono l'esistenza di un fattore unico al di sotto di tutte le manifestazioni intellettive, trovano una clamorosa smentita nei casi di dislessia, discalculia, disgrafia, ecc., in cui si incontrano bambini con spiccate capacit� intellettive, accompagnate da un singolo sconcertante problema. Ad esempio, consideriamo il seguente caso. Roberto � arrivato in quarta elementare dalla scuola di un'altra citt� e ha messo in imbarazzo gli insegnanti. Infatti, � brillante, ricco di interessi, riesce molto bene in matematica, ma, quando deve affrontare lo studio di un testo, diventa svogliato, non si applica a sufficienza, ricorda poco. La mamma lo trova ciondolante fra televisore, libro di studio e videogiochi e non sa come riuscire a impegnarlo. Gli insegnanti si sono domandati se si tratta di un problema di adattamento alla nuova scuola (ma allora perch� in matematica riesce cos� bene?), di scarso interesse e poco impegno o se ci sia sotto un qualche nodo. Portato al nostro Servizio sui disturbi dell'apprendimento, possiamo immediatamente riconoscere che Roberto non sa leggere adeguatamente: un brano che viene letto dai suoi coetanei in due minuti e mezzo gli richiede pi� di quattro minuti e comporta una serie di errori di lettura. La difficolt� risulta ancora pi� evidente quando Roberto � invitato a leggere delle parole senza senso, in cui non pu� aiutarsi con l'anticipazione del significato trasmesso dal testo. Un bambino con una pura dislessia, come nel caso di Roberto, � competente non solo nei compiti di ragionamento, ma anche negli apprendimenti scolastici, con la sola eccezione del leggere. Il testo scritto si presenta per lui come una accozzaglia di lettere cui cercare di dare un senso in base alle proprie capacit� di pensiero. Ma questa difficolt�, bench� specifica, crea un problema scolastico generale, perch� ogni giorno Roberto deve leggere e studiare righe e righe di testo. Come � possibile che un bambino con intelligenza sopra la media incontri difficolt� cos� cospicue? La specificit� di disturbo aveva portato in auge, in passato, una visione modulare della mente (Fodor, 1983) che diversificava le operazioni cognitive e le considerava del tutto indipendenti. Questa posizione � pi� radicale, ma sicuramente condivide l'ispirazione di fondo della teoria delle intelligenze multiple (nota soprattutto grazie al carismatico contributo di Howard Gardner, 1983), ove tuttavia l'accento viene messo su un numero limitato di intelligenze. La teoria gerarchica Tanto la teoria modulare, quanto la teoria delle intelligenze multiple sono oggi ritenute da molti psicologi cognitivi eccessivamente radicali, sia perch� non riconoscono le relazioni fra diverse operazioni mentali, sia perch� portano alla conseguenza poco sostenibile per cui tutte le operazioni della mente sarebbero su uno stesso piano di centralit� di funzionamento intellettivo. Ad esempio, intelligenza logica e intelligenza musicale pesano in modo diverso nella vita di un individuo: una persona priva di capacit� di ragionamento logico (come accade nelle disabilit� intellettive gravi) incontrer� difficolt� in gran parte delle sfide, piccole e grandi, propostegli dalla vita e questo indipendentemente dal fatto di vivere in una societ� o in un'altra; al contrario, la perdita o la carenza di forme di intelligenza specifica, come quella musicale o quella prassica, portano a problemi di adattamento molto pi� ridotti. Si dice che il grande Benedetto Croce fosse amusico, cio� incapace di riconoscere la musica, e pare che molti grandi pensatori fossero goffi e scoordinati, ma questi limiti non hanno impedito loro non solo di passare sostanzialmente indenni per le difficolt� della vita, ma anche di pervenire a prodotti intellettuali eccezionali. In realt� si pu� concettualizzare l'intellifgenza in modelli gerarchici che ammettono l'esistenza di forme differenti di intelligenza, ma, in primo luogo, non le considerano del tutto indipendenti, in secondo luogo non le considerano tutte di uguale importanza. Nel quadro concettuale da noi adottato (Cornoldi, 2007) le varie forme dell'intelligenza sono pensate come distribuite, senza soluzioni di continuit�, in un cono che ha ai vertici le abilit� che richiedono il controllo massimo e, alla base, le abilit� che implicano la maggiore specificit� e il minore coinvolgimento delle strutture intellettive centrali. Alla base, ove l'esperienza conta in modo massiccio, essendo le abilit� altamente specifiche, vi � una forte diversificazione fra abilit� che riguardano contenuti differenti: il linguaggio, la visualizzazione, i numeri, ecc.. Questa specificit� si riduce invece verso i vertici del cono, che risultano d'altra parte sensibili ai fattori che influenzano il controllo mentale, come le emozioni e gli stati di consapevolezza metacognitiva. Teoria gerarchica e disturbi dell'apprendimento La teoria gerarchica si applica molto bene al caso degli apprendimenti scolastici e delle loro difficolt�. Abbiamo gi� osservato che il bambino che non riesce a leggere, ma capisce bene quello che gli viene letto, � privo di una competenza che non sembra compromettere il funzionamento intellettivo e che � altamente specifica: la lettura strumentale (e il suo disturbo) pu� quindi essere collocata al livello basso del cono, nell'ambito delle abilit� semplici o di quelle specifiche: una sua mancanza non � in relazione con un deficit intellettivo maggiore. Invece, gi� � diverso il caso di un bambino che sa leggere, ma fatica a capire quello che legge. Siamo ancora nell'ambito delle abilit� che hanno una specificit� di contenuto (riguardano prevalentemente il linguaggio), ma le operazioni intellettive richieste hanno un carattere pi� generale (bisogna riconoscere il significato delle parole, delle frasi, delle relazioni fra le frasi; occorre crearsi una rappresentazione del significato trasmesso dal testo, ecc.). Una difficolt� di comprensione del testo si colloca dunque dalla stessa parte di una difficolt� di lettura tecnica, ma in un punto pi� elevato del cono, cio� pi� vicino alle strutture centrali dell'intelligenza. Possiamo pensare a una diversificazione fra processi altamente specifici (e che la mente deve, attraverso l'esperienza ripetuta, automatizzare) e processi che continuano a richiedere un controllo mentale. La lettura strumentale � un processo specifico che richiede automatizzazione, la comprensione del testo � un processo generale che implica processi centrali. Allo stesso modo, in ambito matematico, il calcolo deve essere automatizzato, il problem solving richiede controllo. Le abilit� di calcolo per un ragazzino di scuola media vengono quindi a collocarsi in una parte pi� bassa del cono (livello delle abilit� specifiche) e incidono meno sul funzionamento dell'intelligenza. Un discalculico pu� essere molto intelligente, mentre � pi� difficile succeda la stessa cosa per un ragazzino che non sa risolvere problemi (livello delle abilit� generali). La teoria delle orchidee Negli ultimi tempi si � diffusa una teoria che ha associato produzioni intellettive elevate a individui che avevano manifestato per altri versi difficolt� intellettive. Questa teoria, che ha usato talora la metafora dell'orchidea, fiore meraviglioso che cresce in condizioni di difficolt�, ha numerosissimi antecedenti storici. Ad esempio, ci � capitato di imbatterci recentemente (paradossalmente attraverso lo stimolo di colleghi stranieri) nella teoria della melanconia dell'umanista rinascimentale Marsilio Ficino, che sosteneva che la genialit� � necessariamente associata con delle turbe psicologiche. In questo contesto non desidero mirare cos� in alto, ma far notare alcune prerogative intellettive ed emotive dei DSA. Consideriamo il caso di un bambino DSA. Il bambino � stato cos� diagnosticato, perch� � risultato possedere un'intelligenza nella media (o addirittura superiore) ma con una serie di difficolt�. Come � stata stimata la sua intelligenza? Con una serie di prove in grado di valutare tutti gli aspetti del cono dell'intelligenza, quindi anche aspetti relati alla sua difficolt�. Per ottenere una stima di intelligenza pari ai suoi coetanei, il bambino DSA deve quindi aver compensato la sua difficolt� specifica con una prestazione superiore ai suoi coetanei in altri ambiti di funzionamento intellettivo. Quindi il bambino DSA potrebbe avere dei particolari talenti, ovvero specifiche abilit� sopra la media. Talenti superiori portano ovviamente a prestazioni superiori, sia pur limitate agli specifici ambiti di competenza interessati dal talento, e questo risultato pu� essere enfatizzato dal fatto che il bambino preferir� tendenzialmente coltivare il suo talento e sfuggire a compiti che lo mettono in difficolt�. Questa riflessione pu� essere esemplificata anche in altro modo. Molti anni fa mi ero divertito ad analizzare la presenza di profili "piatti" (omogenei) e disomogenei in bambini DSA e bambini con normale apprendimento. Per fare ci�, avevamo proposto a molti bambini una ventina di prove cognitive e avevamo calcolato in che misura i loro punteggi si allontanavano dalla prestazione tipica attesa alla loro et�. Cosa avevamo osservato? Che i bambini DSA avevano una variabilit� doppia rispetto agli altri: se, ad esempio, trovavamo che, ad una prova di memoria, tipicamente i bambini "normali" oscillavano moderatamente nei punteggi, avevano cio� un profilo "piatto" senza punte e senza cadute, riscontravamo ben pi� grandi variazioni nei bambini DSA. Quali bambini si troveranno meglio in una scuola che richiede di cavarsela in misura uguale in tutte le materie (che addirittura - ultime circolari - richiede che per essere promossi si debba avere la sufficienza dappertutto)? Non c'� dubbio: il bambino a profilo piatto. Da quale bambino, invece, possiamo aspettarci risultati originali e, a fianco di prestazioni negative, punte di prestazione talentosa? Penso che, anche in questo caso, non ci siano dubbi per la risposta. Avevamo cominciato con Alfred Binet ed � giusto concludere proprio con un riferimento a questo importantissimo psicologo francese. Avevamo detto che Binet era interessato, attraverso i test di intelligenza, a riconoscere quali bambini avrebbero potuto raggiungere traguardi elevati di apprendimento e quali no. Avevamo per� detto che i bambini con DSA rappresentano un'eccezione a questo principio perch�, pur essendo intelligenti, presentano difficolt� di apprendimento. Ma queste difficolt� di apprendimento riguardano tempi brevi e prestazioni scolastiche specifiche. Se andiamo a vedere risultati a lungo termine di molti bambini intelligenti con DSA, anche senza fare gli esempi sempre citati di Leonardo da Vinci, Thomas Edison, Albert Einstein, scopriremo che, ancora una volta, la stima del livello intellettivo pu� essere un utile riferimento. E questo era proprio il messaggio originario di Binet: non possiamo perdere per strada tanti bambini solo perch� vanno male a scuola. Potrebbero essere proprio loro ad avere una fioritura eccezionale.