Maggio 2020 n. 5 Anno V Parliamo di... Periodico mensile di approfondimento culturale Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registraz. n. 19 del 14-10-2015 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Pietro Piscitelli Massimiliano Cattani Luigia Ricciardone Copia in omaggio Rivista realizzata anche grazie al contributo annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del MiBACT. Indice La scoperta dell'immunit� Hammamet: i chiaroscuri del potere Raffaello: il divin pittore La scoperta dell'immunit� (di Arnaldo D'Amico, "Le Scienze" n. 620/20) - L'idea di un sistema di difesa del corpo � vecchia di millenni, ma la conferma scientifica della sua esistenza arriver� quasi alla fine dell'Ottocento. - Un uomo cammina rasente il muro. Piove, � l'alba, non si vede bene che fa. Tocca il muro, sotto il mantello forse ha un foglio. E un vasetto dove sembra intingere qualcosa. Si ferma all'angolo tra via Vetra e corso di Porta Ticinese. Da casa lo osserva Caterina Rosa e, quando l'uomo gira l'angolo, cambia finestra per vedere ancora che fa. Stessi gesti tranquilli, accurati. Poi torna indietro, saluta un passante e con la calma con cui � arrivato se ne va. Caterina esce, rincorre il passante, chiede dell'uomo col mantello. Lo conosce di vista, non sa il nome. � un commissario di sanit�, di quelli che controllano l'applicazione delle norme igieniche. Richiamata dal vociare, esce Ottavia Bono. Lo ha visto. No, non le sembra che abbia toccato i muri, ma � preoccupata anche lei. Esce infine Giangiacomo Mora dalla sua bottega. Lo sconosciuto? Non lo ha visto. Per� indica qualcosa che lo terrorizza. Oltre a fare il barbiere, produce e vende unguenti contro la peste e, intorno alla sua porta, vede quelli che la fanno venire. � il 21 giugno 1630, a Milano il "nero morbo" � tornato: sta falciando 140.000 dei 250.000 abitanti. Non sa il barbiere che poco dopo, il 1� agosto, proprio in piazza della Vetra, sar� giustiziato con il commissario di sanit� Guglielmo Piazza, perch� sono untori. Lo hanno confessato. E hanno fatto i nomi dei complici. Dove � oggi il civico 1 di via Giangiacomo Mora, la casa e la bottega del barbiere sono rase al suolo ed � (stata) eretta una colonna a eterno monito del delitto, la Colonna Infame. Mentre viene eseguita la sentenza ("Sieno attanagliati con ferro rovente... tagliata la mano destra... spezzate l'ossa con la rota, e in quella intrecciati vivi, e alzati da terra; dopo sei ore, scannati; bruciati i cadaveri, e le ceneri buttate nel fiume.") Piazza e Mora, capito che non � pi� la sceneggiata promessa in cambio delle confessioni e delazioni, urlano alla folla acclamante che non sono colpevoli. Solo per fermare le torture hanno detto di essere untori e indicato altri 11 innocenti. Saranno giustiziati nei mesi seguenti. Nel 1778, ormai monito della cieca ferocia del popolo e delle istituzioni, la colonna viene abbattuta, la lapide con i nomi dei "colpevoli" e il "delitto" commesso portata nel Castello Sforzesco, dov'� ora. Alessandro Manzoni scrive il saggio storico Storia della Colonna Infame per condannare la tortura, strumento di indagine inaffidabile oltre che disumano. E la connivenza dei giudici con la brama popolare di capri espiatori per esorcizzare la peste. I giudici sanno, dimostrano le carte processuali, che gli imputati sono innocenti. "Sciagurata credenza" sono invece le poche parole che Manzoni dedica al motivo della condanna. Nel 1840, quando esce il saggio, � chiaro che la peste non si pu� diffondere con alcuna sostanza. Come, all'epoca del processo, non ci crede gi� la maggioranza dei cittadini istruiti. Ma quando arriva la "morte nera", preceduta spesso da una guerra e una carestia, qualcosa bisogna fare. Nei quattro secoli in cui la peste flagella l'Europa, dal XIV al XVIII secolo, si giustiziano streghe (50.000 solo nel Seicento) e untori perch� colpevoli dell'epidemia di turno (le streghe anche di orge col diavolo). Una massa eterogenea di capri espiatori con un elemento ricorrente: non hanno paura. Il terrore dilaga, scompaiono parenti e amici, neanche un luogo per ricordarli, finiti in chiss� quale fossa comune senza croci e nomi. Ci si affretta quando si deve uscire. Soprattutto ci si evita. Si sa di gente morta il giorno dopo aver parlato con uno fulminato all'improvviso la sera stessa. Notai e medici raccolgono testamenti e sintomi gridati dalla finestra dai parenti. Invece i principali sospettati, i monatti, entrano nelle case dei morti, li toccano, li prendono. Anche il barbiere non ha paura se per vendere i suoi unguenti tratta con appestati e loro parenti. Pure quel commissario di sanit�, che cammina tranquillo, addirittura, si ferma a parlare con un passante, crea sospetti. Rafforzati proprio dal suo essere competente perch� saprebbe come diffondere il morbo. E calamaio, penna e dita sporche di inchiostro pulite sul muro diventano, con la complicit� dei giudici, strumenti e riti da untore. Proprio la ciclicit� della peste (un'epidemia ogni 10-20 anni) gli ha fatto scoprire il fenomeno del "non ritorno". Scampati a una o pi� epidemie (guarendo da un'infezione conclamata o silente) capiscono che sono diventati invulnerabili. Ma l'immunit� non � ancora un fenomeno misterioso, da indagare, neanche per la medicina. Come la malattia, anche la salvezza viene da Dio, dagli astri o da un riequilibrio degli umori attribuito a cure mai verificate. Come le cause. Astri e umori Dal 430 a.C., l'anno a cui risale la prima traccia scritta del sospetto dell'esistenza del sistema immunitario, al 1883, quando lo si rende noto, dando il via alla conquista della medicina che pi� benefici ha dato e dar� all'umanit�, passano oltre due millenni: 2313 anni, per essere precisi. Atene perde la guerra contro Sparta perch� la peste falcia cittadini, soldati, marinai, generali e lo stesso Pericle. "Peste" per secoli indica un'epidemia qualsiasi, e quella del 430 a.C. sembra tifo, forse vaiolo. C'� anche Ippocrate nella citt� assediata, ma da Tucidide arrivano le informazioni pi� utili a capire che succede. Osserva e riporta sintomi e fatti, e tra questi "il male non colpisce due volte la stessa persona". Il "padre" degli storici si limita a sottolineare lo strano fenomeno senza poi parlare di astri e umori. Del divino, addirittura, esclude ogni intervento in base alle osservazioni. � il primo testo che parla di malattia e morte, per di pi� spaventosa, senza accompagnarle con la rassicurazione di un perch�. � quel "non lo so", semplice, inquietante, che mette in moto la ricerca delle cause. Ma Tucidide � una meteora, per secoli si continuer� a cercare il perch�, e la rassicurazione, nel cielo o in teorie suggestive. Che danno una risposta subito, non "chiss� se e quando" come fa la scienza. La prima testimonianza scritta del ricorso al soprannaturale in medicina � in cuneiforme. Seimila i demoni della Mesopotamia del II millennio a.C. tra cui un medico deve scoprire la causa dello shertu (significa sia malattia sia peccato) del suo paziente. Poi prescrive la cura a base di preghiere ed esorcismi specifici. Il demone giusto lo diagnostica con la posizione degli astri, il volo degli uccelli e il fegato degli animali sacrificali. Per i successivi 3000 anni le cose non cambiano molto. Londra, 1424. In un processo per malpratica un paziente denuncia il chirurgo, insoddisfatto dell'esito dell'intervento sul suo pollice. Il giudice chiede il parere di tre chirurghi che, dopo lungo e attento studio del caso, scrivono: "Un miracolo che quel paziente fosse ancora vivo... Nel giorno dell'operazione, il 31 gennaio, la Luna aveva un colore del sangue e si era in Acquario, che notoriamente � una costellazione molto malevola". E, errore ancora pi� grave, il salasso pre-operatorio (qualsiasi tipo di trattamento contemplava anche un salasso) deve essere eseguito, spiegano al giudice, in momenti precisi dell'anno. Che indicano anche i punti del corpo dove praticare l'incisione o applicare la sanguisuga. Punti il cui elenco era ormai arrivato a 39. Insomma, il collega era stato superficiale e ignorante. E molto fortunato. Il giudice d� ragione al paziente. Bologna, 1544, oltre un secolo dopo. Nella Facolt� di medicina tra le pi� antiche e prestigiose del tempo arriva Andreas van Wesel, noto anche come Andrea Vesalio. � una star della medicina e cura l'imperatore Carlo V d'Asburgo. La sala settoria dell'Universit� di Bologna � gremita di colleghi. Con una dissezione accurata Vesalio dimostra la scoperta del sistema venoso. La discussione scivola in una dotta disputa su chi avesse pi� meriti verso la medicina tra Ippocrate, Galeno, Aristotele e cos� via. Annoiato e sconsolato, Vesalio, padre della moderna anatomia, abbandona l'aula. Nei quattro secoli dal XIV al XVIII, martoriati dalla peste, c'� il Rinascimento, la Riforma di Lutero (nel 1505 scampa alla peste, prende i voti e scopre la corruzione del Vaticano), la rivoluzione di Niccol� Copernico, Galileo Galilei partorisce la scienza sperimentale (c'� la peste mentre viaggia verso l'Inquisizione), Isaac Newton la fisica (la peste flagella Londra mentre scrive sulla gravitazione universale). E il mondo conosciuto raddoppia. Teoria e pratica della medicina, invece, rimangono pi� o meno le stesse. Dalla dottrina degli umori, continuamente reinterpretata e aggiornata, e da alcuni principi variamente declinati (dei simili, degli opposti, della simpatia e antipatia e altro ancora) fioriscono tantissimi trattamenti. Il salasso � il fulcro. L'efficacia di queste cure poggia su quanto � convincente il ragionamento che parte da postulati naturali o divini. Nessuno verifica gli effetti. Appena si fa, nel XIX secolo, si scopre che le cure non danno benefici se va bene, spesso sono dannose. Intanto muoiono milioni di malati per il salasso. E tra questi personaggi illustri, come il cardinale Richelieu, George Washington, Raffaello. Ci and� molto vicino il Re Sole, come raccontano i medici di corte, colto da grave collasso cardiocircolatorio in un bagno bollente, atto finale di una lunga cura di salassi e purganti. Tutto cambia lentamente Poco dopo la fine del Seicento, il secolo secondo Manzoni "sfarzoso e lurido" (a proposito: i vettori della peste, cio� pulci e ratti, sono sotto gli occhi di tutti ma nessuno li prende in considerazione), una serie di eventi innesca una lenta, contraddittoria, altalenante rivoluzione copernicana della medicina. Il ragionamento, centro del sistema di conoscenza e quindi della pratica medica, lascia, pur se con alterne vicende, il posto all'esperimento. Anche quando contraddice le teorie, la religione, il senso comune. Il vaiolo sostituisce la peste nel ruolo di flagello dominante sull'onda della trasformazione economica e sociale del Settecento. In questo secolo si intensifica lo spostamento della popolazione verso le citt� dove la densit� abitativa favorisce il vaiolo. Il virus, a differenza del batterio Yersinia pestis, che arriva da lontano, � sempre presente in piccoli focolai da dove esplode al ricrearsi di una popolazione nuova, non immunizzata dalla precedente ondata. Anche il vaiolo ha un ciclo. � pi� breve, intorno ai cinque anni, et� al di sotto della quale periodicamente fa strage, i bambini nati dopo l'ultima ondata le vittime predilette. La mortalit� arriva anche al 60 per cento della popolazione infantile. Uccide in modo atroce, ricoprendo il corpo di pustole suppuranti. I sopravvissuti sono sfigurati, a volte ciechi. Il pilastro della bellezza femminile � la pelle liscia, tanto � rara. Stavolta l'esistenza di una memoria del nemico � avvistata. Siamo a un passo dallo scoprirla. E invece... Lady Mary Montague, giovane nobildonna inglese, giunge a Costantinopoli al seguito del marito ambasciatore nel 1716. A Londra il vaiolo le ha appena portato via il fratello e la sua bellezza leggendaria. Scopre che qui il male non fa paura. Le donne mettono il pus dei malati sulla pelle dei figli, ci fanno dei taglietti, dopo qualche giorno compaiono poche pustole da cui prendono altro pus per altri innesti. Ogni tanto la malattia dilaga, e il bimbo muore o rimane deturpato. Ma la stragrande maggioranza non prende pi� il vaiolo. Rientrata a Londra nel 1718 Lady Mary si fa paladina della "variolizzazione", ma la classe medica boccia questa pratica popolare e per di pi� orientale. Tre anni dopo riesplode il vaiolo e Lady Mary fa variolizzare la figlia, seguita dalla principessa del Galles e poi da tutta la casa reale, la nobilt�, i ricchi e poi le case reali e i nobili di tutta Europa. Sulla variolizzazione si fanno i primi studi clinici in assoluto, confrontando dati precisi su malati e deceduti. Risultato: l'innesto del vaiolo al massimo uccide il 5 per cento dei soggetti, le epidemie ogni volta uccidono il 30 per cento in media (con picchi del 60) dei non variolizzati e lasciano i sopravvissuti orrendamente sfigurati. Questa pratica da popoli primitivi non convince la maggioranza dei medici, come l'altra, il chinino degli indiani americani che salva dalla malaria, altro flagello che non stava a guardare. E nonostante si schierino a favore di ambedue intellettuali famosi e stimati come Voltaire. Nel 1763 a Parigi avvengono due guai, grossi: si riaccende il vaiolo e due dei 100 variolizzati muoiono, gettando gli altri nel panico. Sono ministri, parenti del re e membri della corte. Gli innesti li ha fatti Angelo Gatti, docente di medicina a Pisa e medico personale di Luigi XV. Il professore toscano si � conquistato la fiducia della Parigi che conta grazie ai suoi modi controcorrente. I colleghi sono distanti dai pazienti, che si perdono nelle loro teorie farraginose. Somministrano farmaci sgradevoli fatti con preparazioni lunghe e complicate e un elenco sterminato di componenti. Gatti invece � affabile con tutti, chiaro nello spiegare che fa e che cosa d�. Il trattamento � "semplice, facile, comodo e sicuro", l'opposto della penitenza ricordata nel detto "la medicina � amara". I colleghi della Sorbona lo accusano di aver causato la morte dei due illustri parigini. E anche l'epidemia. Le terribili accuse sono plausibili. L'aumento degli innesti e relativi casi infausti e incidenti vari sposta l'attenzione sui danni. Il pus del malato a volte � vecchio e non attiva il non ritorno del nemico. Oppure trasmette altre infezioni, come la sifilide. L'innesto � poco profondo, e il virus non attecchisce. O attecchisce troppo, innescando un'infezione violenta, a volte mortale e contagiosa. Gli studi clinici avevano evidenziato queste complicanze che, a conti fatti, non cancellavano il vantaggio della variolizzazione. Dalla variolizzazione alla vaccinazione Come se tutto questo non si sapesse gi�, gli accademici parigini si ergono a paladini del panico popolare, fanno pressioni sul re che scarica la questione al Parlamento che la scarica alla Sorbona che la scarica alla Facolt� di medicina e teologia. Nei cinque anni che la Sorbona impiega per pronunciarsi l'Europa � col fiato sospeso. La pratica � diffusa, ma l'eventuale decisione negativa di Parigi non potr� che ostacolarla. Intanto il vaiolo fa 1077 morti a Berlino e 60.000 a Napoli e si compattano due fronti contrapposti. Per quello del "no" gli insuccessi dimostrano che il vaiolo non deriva da un contagio ma � un umore maligno congenito, una materia peccans che viene finalmente spurgata, processo su cui non si deve interferire. Mentre l'origine popolare dell'innesto e per di pi� di infedeli selvaggi basta per rifiutarlo. Quello del "s�" sottolinea solo i benefici. Il nascente spirito illuminista introduce un'argomentazione rivoluzionaria: i nuovi rimedi funzionano, il resto non interessa. Dopo cinque anni la Sorbona sentenzia: "la variolizzazione non � autorizzata, non � condannata, � tollerata". La pratica dell'innesto subisce una battuta d'arresto. Rimane volontaria per la popolazione, obbligatoria in alcuni eserciti, come quello americano. Gatti nel frattempo contrattacca. Analizza il metodo della variolizzazione, individua i passaggi rischiosi, stabilisce modalit� di sicurezza, semplifica le procedure. Pubblica trattati in cui ammette le responsabilit� e propone che l'inoculazione, ora standardizzata e con regole semplici da seguire per evitare i rischi, sia messa nelle mani di chiunque, dopo opportuno addestramento, come le donne circasse da cui si era appresa. Solo superando il monopolio dei pochi medici si eseguiranno in sicurezza i milioni di innesti della prima prevenzione di massa. Gatti costruisce la base teorica e pratica anche per lo sviluppo di una nuova figura sanitaria, il paramedico: sar� fondamentale per la diffusione, qualche decennio dopo, di un nuovo innesto contro il vaiolo, fatto con quello bovino. Mentre alla Sorbona elaborano la sentenza salomonica, qualche centinaio di chilometri a nord, dopo il mare, inizia la liberazione dalla prima causa di morte dell'umanit�, le epidemie. Anche se non si capisce come funzioni, come ancora capita in medicina. I protagonisti: Blossom, una vacca di razza Gloucester, Sarah Nelmes, una mungitrice, James Phipps, un bambino di otto anni, i contadini di Berkeley, paesino 200 chilometri a ovest di Londra e una spina, forse di rosa. Infine il medico condotto di Berkeley con cui i protagonisti hanno a che fare. Edward Jenner ritorna nel 1775 nel paese natio. Viene da Londra, dove si � laureato in medicina con l'incarico governativo di variolizzare la contea. Ogni tanto i suoi innesti non attecchiscono. Chiede allora se il paziente ha gi� avuto il vaiolo. No. Ripete l'innesto. Non attecchisce di nuovo. Inizia a registrare i casi e, continuando a fare innesti, scopre che i refrattari hanno tutti avuto qualche pustola sulle mani del vaiolo vaccino. A uno stupito Jenner alcuni contadini rivelano di essersi accorti molti anni fa di questo "non ritorno". Per i successivi vent'anni Jenner batte in lungo e largo le campagne per accumulare il pi� possibile altri casi. Gli � venuta un'idea, ma vuole essere sicuro che funzioni. L'occasione arriva nella primavera del 1796, quando Sarah Nelmes lo consulta per un'eruzione sulla mano. Jenner riconosce il vaiolo vaccino, interroga la contadina e apprende che munge la mucca Blossom che ha quelle pustole sulle mammelle. Qualche giorno prima una spina le ha graffiato la mano, dove � l'eruzione. Il vaiolo delle vacche sbarra la strada a quello degli uomini. Ed � innocuo. Ora ci vuole la dimostrazione che questa ipotesi sia vera. Jenner innesta il pus di Sarah sulla mano di James Phipps, il figlio di otto anni del giardiniere, perch� "non ha mai avuto il vaiolo, � robusto e in piena salute". Annota Jenner che il veleno (come si � creduto per secoli la causa anche delle malattie infettive, che in latino si dice virus) provoca qualche pustola e poca febbre, poi James torna in salute. Tre settimane dopo, Jenner lo contagia col vaiolo umano. Che non prende. Un colpo di fortuna, tre settimane � il tempo minimo per attivare una difesa immunitaria completa. Prima il piccolo James sarebbe morto di vaiolo. E il grande storico della medicina Mirko Grmek, scomparso nel 2000, non avrebbe scritto: "� molto difficile per uno storico ammettere - e tutta la sua educazione si oppone - che la scoperta della vaccinazione contro il vaiolo di Jenner ha avuto pi� conseguenze per il destino dell'umanit� di tutte le conquiste del suo contemporaneo Napoleone". Una memoria misteriosa Il termine vaccino lo conia Jenner, e in seguito il francese Louis Pasteur lo estende ai metodi di immunizzazione in genere. Jenner vive ancora a lungo e assiste alla diffusione della sua scoperta in patria e nel mondo. L'accademia inglese, pur ostile a questa commistione di umori animali e umani, pu� poco. Il medico-naturalista gode gi� del favore dell'opinione pubblica per aver scoperto che il nido del cuculo non esiste perch� usa quello degli altri. Nel resto del mondo solo in Francia l'opposizione accademica trova sostegno nell'antica rivalit� con l'Inghilterra. Fino a che Napoleone ordina di vaccinare l'esercito prima della conquista dell'Italia. Infine Jenner si dedica ai fossili, il cui studio si � intensificato dopo la scoperta prima negli Stati Uniti e in seguito in Inghilterra di animali pietrificati e poi di ossa gigantesche. Le dimensioni dicono subito che sono organismi scomparsi. Ma l'estinzione delle specie, come la loro creazione, sono impensabili, un mistero ingestibile prima di Charles Darwin. Un osso enorme salta fuori nel 1787 nel New Jersey e dopo varie peregrinazioni tra esperti finisce in un ripostiglio, poi dimenticato, infine perso. Ci sono voluti centinaia di ossa e poi di scheletri completi di animali mai visti prima per arrivare a capire nel 1855 che erano dinosauri, ed erano estinti. Jenner mor� senza saperlo, il 26 gennaio 1823. Con Jenner si conferma quanto visto con la variolizzazione: il "non ritorno" pu� essere attivato e controllato. Perch� avvenga rimane per� un mistero inesplorato. N� si prova ad attivare il "non ritorno" in altri tipi di epidemie. Si riaffaccia infatti l'approccio trascendente alla malattia. Anche il vaccino non fa che spurgare la materia peccans, e per questo non ritorna. La scoperta di Jenner non porta a sospettare di aver scatenato una funzione del corpo umano. Un regalo della natura che, come tanti altri, se ben conosciuto pu� diventare un'arma da mettere a frutto in tante altre applicazioni. Bisogner� scoprire il nemico per cercarne la memoria dentro di noi. Piccoli nemici I microbi, compresi quelli che aggrediscono gli esseri umani, sono la forma di vita pi� ingombrante sulla Terra, oltre che la pi� antica. Virus, funghi, protozoi e soprattutto batteri hanno conquistato il pianeta 3 miliardi di anni prima degli animali e sono la maggioranza, il 60 per cento della massa vivente. Dei 100.000 miliardi di cellule che abbiamo, il 90 per cento sono microbi, infinitamente pi� piccoli, tappezzano superfici esterne e interne, quando escono sono un terzo delle feci. Una coabitazione affinata in milioni di anni di convivenza in cui gli organismi superiori hanno imparato a fermare le invasioni dei microbi senza distruggerli del tutto, perch� sono utili. Come i batteri che digeriscono la cellulosa nell'intestino degli erbivori o nel nostro degradano i sali biliari e producono vitamine. O, semplicemente, tappezzano intestino e pelle impedendo ai microbi dannosi di impiantarsi. Dalla fine del Seicento, con la nascita del microscopio, sono avvistati varie volte. Questa nuova vita invisibile spiega finalmente due fenomeni con cui l'essere umano ha avuto da sempre a che fare, combattendo il primo e mettendo a frutto il secondo: putrefazione e fermentazione. Fino a met� dell'Ottocento si realizza una serie di ricerche che finalmente prepara il terreno. Tre quelle che hanno dato una svolta. Nel 1765 Lazzaro Spallanzani dimostra che i microbi sono nell'aria e non si generano spontaneamente perch� la materia organica non si degrada se � bollita e poi sigillata in un contenitore. Nel 1834 Agostino Bassi, indagando su un morbo epidemico del baco da seta, scopre che il contagio non � altro che il passaggio di microbi da un organismo a un altro. Anche negli esseri umani. La terza mette la ricerca nella direzione giusta. Ma lo si capir� una volta tagliato il traguardo. Un uomo sta facendo le valigie. Ha 64 anni, capelli, baffi e barba bianchi, occhiali a pince-nez, giacca scura a doppio petto e papillon. � lo scienziato che sta conoscendo pi� fama, onori e gratitudine in vita del passato, presente e futuro. Un magnate francese gli ha messo a disposizione la sua villa a Bordighera, dove il chimico passer� con la famiglia l'autunno e l'inverno, al riparo dal freddo di Parigi, e dalle invidie e polemiche da cui � bersagliato. Le chiazze colorate di batteri che crescono in contenitori di vetro hanno fatto vedere la vita invisibile a tutti, senza guardare in un microscopio. Ha moltiplicato la produttivit� agricola francese (tra i suoi successi, il primo vaccino per animali, quello contro il colera dei polli che aveva distrutto gli allevamenti), fatto esplodere l'industria conserviera abbattendo i costi alimentari, creato una supremazia scientifica da opporre a quella degli odiati tedeschi. Il governo lo ha mandato a rappresentare la Francia al primo congresso mondiale di medicina a Londra, e ha appena autorizzato la costruzione del pi� grande e avanzato istituto di biotecnologie del mondo che reca il suo nome, l'Institut Pasteur. Ma nonostante ci� (o forse proprio per questo) tra i medici ha nemici potenti e feroci. Gli rimproverano di occuparsi di bambini, esseri umani e cani col suo vaccino antirabbico. Lui che � un chimico e non sa, n� pu�, curare esseri umani e animali. Pasteur ha gi� avuto un ictus, � logorato dalle notti in laboratorio, i viaggi, le conferenze. Si � circondato di collaboratori capaci a cui pu� lasciare la gestione del laboratorio: meglio svernare per un po'. A pochi giorni dalla partenza per la Liguria, il 20 ottobre 1886, un uomo si precipita nel laboratorio trascinando per mano il figlio di dieci anni. Inizia cos� "l'affaire Rouyer", che per mesi occuper� i giornali. Il piccolo Jules � stato morso da un cane, rabbioso, il padre non ha dubbi. E come i 349 precedenti � andato di corsa a Parigi. Da tre anni, da quando il chimico ha salvato il primo, il mondo sa che al morso di un animale rabbioso, evento allora frequente, non segue pi� una morte certa e orrenda, tra convulsioni, iperaggressivit�, sete e spasmi della gola che impediscono di bere (idrofobia). Stavolta Pasteur ha tanti dubbi. Forse il morso � stato molto tempo prima che negli altri casi. Il cane non si sa se fosse rabbioso. Il vaccino quindi potrebbe non essere pi� efficace o far correre rischi inutili, dato che � ancora sperimentale. Il padre Napol�on implora. Si inizia il ciclo di iniezioni. Pasteur parte per l'Italia. Un mese dopo la fine delle iniezioni (allora erano 13 in 10 giorni), il bambino si ricovera per forti dolori lombari seguiti a dei calci nella schiena. La rabbia lo avrebbe ucciso prima, e non con quei sintomi. Comunque ha ricevuto il vaccino. Il caso 350, l'unico, muore mentre Pasteur � a Bordighera. Napol�on lo denuncia. L'autopsia accerta che la causa di morte � una insufficienza renale traumatica. Ma i frammenti di cervello del bambino iniettati nei conigli li uccidono con la rabbia. � stato il vaccino a infettare e uccidere il piccolo Jules? Oppure il padre aveva barato sui tempi del morso? Di fatto il virus ha avuto il tempo di entrare nel sistema nervoso, dove gli anticorpi non lo possono pi� raggiungere. Che necessitano di dieci giorni, in media, per essere messi in circolo in abbondanza. Queste e tante altre ipotesi possono spiegare il decesso, ma la stampa ne ha una sola. "Ucciso dal vaccino di Pasteur?". Titoli come questo fioccano sui giornali, col punto interrogativo che salva il giornale dalla condanna per diffamazione anche se la fa. Insinua un dubbio che, se il tema � la morte, diventa certezza in chi legge. Gli articoli riportano le accuse di "imprudenza", "faciloneria" e "superbia". Le spiegazioni scientifiche di Pasteur e di altri scienziati, chiare, ma pi� faticose da comprendere dei giudizi sommari, servono a poco. Pasteur � amareggiato, interrompe le ricerche sulla rabbia, vuole ritirarsi a vita privata. Il sostegno di allievi, colleghi e parte dell'opinione pubblica lo convince a rimanere alla guida dell'istituto. Una fortuna per l'umanit�: poco dopo offre un laboratorio di ricerca nel suo istituto allo zoologo russo Ilya Ilyich Mechnikov, lo scopritore del sistema immunitario. Pasteur aveva capito tutto delle infezioni, tranne il perch� del "non ritorno". Lo spiegava con una teoria metabolica: i microbi, dopo il contagio naturale o con un vaccino, si moltiplicano nutrendosi di varie sostanze del corpo. Tra queste, alcune si esauriscono e, quando il microbo ritorna, non sopravvive. Il chimico francese appartiene a quella classe di scienziati di razza pronti a mettere in dubbio le proprie teorie. Anzi, quando in un congresso a Vienna incontra un tal Mechnikov che gli racconta un'altra spiegazione, centrata finalmente su una funzione del corpo umano, � un colpo di fulmine. I due non potrebbero essere pi� diversi. Pasteur con la sua aria da signore parigino benestante, il volto serio e gentile, raramente attraversato da un sorriso malinconico. Mechnikov gesticola, la faccia sommersa da barba, baffi e capelli lunghi e incolti, sormontati da un cappello deformato su cui si siede distratto, le tasche traboccanti di appunti, ombrello e soprascarpe anche in una giornata di sole. Pasteur � il metodo scientifico fatto persona, osserva, ipotizza ed elabora lunghi e meticolosi protocolli sperimentali. Anche Mechnikov approda ai protocolli sperimentali rigorosi, ma prima rischia la morte iniettandosi i microbi della febbre ricorrente, poi ingerisce quelli dello yogurt scoprendo i benefici sulla flora intestinale o infila spine di mandarino in embrioni di stella marina. Ascoltando quest'ultimo esperimento, il chimico intuisce che l'ingombrante zoologo � sbarcato in un nuovo continente della vita. E, a differenza di lui, ha competenze, energie ed entusiasmo per esplorarlo. Gli offre uno stipendio e un laboratorio nel nuovo istituto. "A Parigi sto vivendo i migliori anni della mia vita", ripeter� spesso Mechnikov. Un'area da record L'esperimento che affascina Pasteur, e frutta il Nobel per la medicina del 1908 allo zoologo, viene condotto a Messina nel 1882. Mechnikov fugge da Odessa, dove il governo reazionario istituito dopo l'assassinio dello zar Alessandro II gli crea problemi all'universit�. Nella citt� siciliana trova embrioni di animali acquatici in abbondanza dove rintracciare i passaggi comuni dello sviluppo della vita e un clima per raccogliere il materiale tutto l'anno. Negli embrioni di stella marina, trasparenti e che pu� osservare vivi al microscopio, nota cellule che, a differenza di tutte le altre saldate tra di loro, sono libere di muoversi. In precedenza ha osservato in animali con sistema circolatorio l'uscita dai capillari di cellule e il loro accumularsi nelle zone infiammate. Ipotizza sia una sorta di reazione difensiva dell'organismo. E che le cellule mobili nell'embrione della stella marina abbiano la stessa funzione. Ma ci vuole una conferma. Serve un nemico visibile, un corpo estraneo, meglio se di materia vivente. Il mandarino portato in casa e addobbato come albero di Natale per i figli ha le spine, ne stacca una, la infila nella stella marina e va a dormire. La mattina la trova circondata da cellule. Il risultato dell'esperimento non lascia dubbi a Mechnikov: gli organismi viventi, dai pi� semplici fino all'essere umano, riconoscono e aggrediscono gli estranei, batteri compresi. E quelle cellule mobili, che in futuro si capir� essere i globuli bianchi, sono i protagonisti di un sistema di difesa molto complesso ancora da svelare ma che gi� spiega i principali misteri, la guarigione dalle infezioni, che ormai � chiaro non � merito dei farmaci fino ad allora somministrati, e il loro "non ritorno" nei guariti e nei vaccinati, umani o animali, come i polli di Pasteur. Sul finire del secolo si scopre che anche il siero, la parte liquida del sangue privata di ogni cellula, uccide i microbi. Contiene la prima arma che la memoria immunitaria riattiva. Sono gli anticorpi, a cui seguiranno altre armi la cui scoperta ancora continua. L'immunologia � l'area della medicina con i record di premi Nobel, di ricerche pure, e di rapidit� in cui trovano applicazioni pratiche. Non c'� oggi malattia che non benefici di conoscenze nate dall'immunologia, innanzitutto infarto e cancro, i due big killer dei nostri tempi. Quelli del passato, le grandi epidemie, la scienza le ha sconfitte con i vaccini, il cui compito sembrava finito. Ma la natura, e l'essere umano, non stanno mai fermi. Nuovi microbi arrivano in continuazione, dagli animali, dalle mutazioni o chiss� come. SARS-CoV-2 l'ultimo. E il passato ritorna in scena tra capri espiatori, cordoni sanitari, speculatori, ordinanze di salute pubblica e cos� via. Ma la medicina ora non guarda pi� al cielo, combatte a colpi di dimostrazioni, non di ragionamenti. Hammamet: i chiaroscuri del potere (di Roberto Escobar, "Psicologia contemporanea" n. 279/20) - Il Presidente del film di Gianni Amelio non � semplicemente Bettino Craxi. � piuttosto la maschera antropologica di un uomo che ha raggiunto un grande potere e che poi lo ha perduto. - Nell'ombra della notte si sentono colpi d'arma da fuoco. Qualcuno ha scavalcato il muro di cinta della villa tunisina del Presidente. Cos�, "Presidente", � chiamato Bettino Craxi (Pierfrancesco Favino, sempre pi� bravo) in Hammamet (Italia, 2020). I militari di guardia cercano l'intruso, lo braccano. Sapremo poi che si chiama Fausto (Luca Filippi). Per ora non � che una presenza estranea, qualcuno o qualcosa che irrompe dal nulla. D'un tratto la macchina da presa lo inquadra. Si potrebbe dire che lo scopre. � rannicchiato nell'angolo di una piscina, nell'acqua sporca rimasta sul fondo, che le luci puntate dai militari rendono color del fango e quasi rossiccia. Chi � Fausto? E perch� il Presidente lo vorr� sempre vicino? In un film i cui personaggi rimandano in maniera pi� o meno diretta a figure della realt� storica, o quantomeno della cronaca italiana degli ultimi venticinque anni del Novecento, Gianni Amelio e il cosceneggiatore Alberto Taraglio lo hanno "inventato", traendolo appunto dal nulla. In questo senso, Fausto eccede vistosamente, ma non inutilmente, la misura del racconto di Hammamet. Per quanto i loro nomi siano stati cambiati o vengano taciuti, attorno al Presidente ci sono gli uomini e le donne legati alla sua vicenda pubblica e famigliare. Ma Fausto non � uno di loro. Eppure lui cerca pi� volte la sua approvazione e gli confida quello che non dice neanche alla figlia Anita (Livia Rossi). Per la verit�, c'� un altro personaggio che eccede il racconto di Hammamet. Si tratta del ragazzino dal viso strafottente che nelle prime immagini del film tende la sua fionda contro una vetrata. Subito, la macchina da presa passa al di l� del cristallo in frantumi, portando i nostri occhi nel trionfo del quarantacinquesimo congresso socialista. � il maggio del 1989. Tre anni pi� tardi, il trionfo si capovolge in sconfitta. Ma non della vicenda giudiziaria di Craxi racconta Amelio, e certo non del suo immediato senso politico. Il suo � un film d'autore, profondo e complesso, non un saggio storico n�, ancor meno, una sentenza di condanna o d'assoluzione. Il Presidente di Hammamet non � Craxi, o non � semplicemente Craxi. � invece un uomo che ha raggiunto e gestito il potere, e che lo ha perso. Non � per� un cinico come l'Andreotti di Paolo Sorrentino (Il divo, 2008) e neppure un visionario eroico come l'Aldo Moro di Marco Bellocchio (Buongiorno, notte, 2003). � invece un politico con molti difetti. O con molti pregi, come lui stesso si giudica con ironia compiaciuta, intendendo che non si pu� essere capi se non si � aggressivi, se non si � prepotenti, se si ascoltano troppo le ragioni degli altri. � strafottente, come quel tale ragazzino che manda volentieri in frantumi vetrate e cristalli. � un accentratore, sicuro di essere il solo a conoscere sia la meta sia la strada per raggiungerla. Ed � convinto che ai costi della democrazia debba e possa provvedere nello stesso modo e con gli stessi mezzi di tutti gli altri. Si tratta di essere realistici. Per raggiungere la meta, per averne il potere, questo conta in politica, non le regole, nemmeno quelle che gli verrebbero dalla tradizione del suo partito. Il Presidente di Amelio � sincero. E se non lo �, � per� sicuro di esserlo. Nel suo esilio tunisino - cos� lo chiama - mai si rammarica di aver commesso errori. Si rammarica piuttosto di non aver saputo vedere la congiura di un sistema che aveva minacciato di mandare in frantumi. Cos� � stato sconfitto, sostiene, cos� � stato scacciato dal potere al pari di un cane in chiesa. Se � concesso uscire da Hammamet per ricordare il Fran�ois Mitterrand di Robert Gu�diguian (Le passeggiate al Campo di Marte, 2005), si pu� supporre che soffra la sconfitta nel suo stesso corpo, come il presidente francese. O almeno si pu� supporre che il suo orgoglio, non solo politico, gli suggerirebbe questa analogia. In ogni caso non cede. Mai lascer� l'esilio, mai torner� in Italia, mai si piegher� all'ipocrisia di chi in lui ha voluto punire difetti (o pregi) anche propri. C'� per� Fausto, c'� la sua eccedenza rispetto al racconto immediato di Hammamet, e ancor pi� rispetto al racconto che il Presidente ama fare di s� stesso. Fausto � entrato nel chiuso della sua villa, e nel chiuso della sua coscienza, come una memoria rinnovata e come un rimpianto. O anche come un'angoscia muta, la stessa che si manifesta in un sogno, verso la fine del film. Tornato a Milano, il Presidente percorre i camminamenti tra le guglie del Duomo. Non ha scarpe, � a piedi nudi, come talvolta accade nei sogni, e come se qualcosa, forse un rimorso, gli gravasse sul cuore. Nello zaino che porta sempre con s�, Fausto tiene una telecamera e una pistola. Davanti alla prima il Presidente rivela segreti che - dice - solo lui conosce. Quanto alla seconda, potrebbe essere la giusta pena per aver tradito le ragioni della politica, per averle ridotte a quelle del potere. Chi � Fausto? Forse l'ombra di un antico ragazzino con la fionda che scopre di s� pi� di quanto avrebbe amato scoprire. Raffaello: il divin pittore (di Federica Campanelli, "Focus Storia" n. 162/20) - A 500 anni dalla morte, avvenuta a soli 37 anni, l'artista � celebrato da Urbino a Londra, da Roma a Berlino. Noi vi raccontiamo il segreto del suo successo. - "Qui giace quel Raffaello dal quale, quand'era in vita, Madre Natura temette di essere vinta e, mentre moriva, di morire con lui". Queste le parole incise sulla tomba di Raffaello Sanzio al Pantheon di Roma, il tempio di tutti gli d�i. Non poteva d'altronde esserci luogo migliore per accogliere il "divin pittore" di Urbino, capace con la sua grazia e perfezione di competere persino con il Creato. E oggi, a 500 anni dalla scomparsa, avvenuta il 6 aprile 1520, il mondo si prepara a rendere omaggio a questo immenso artista, dotato di un talento precocissimo e di una carismatica personalit�; qualit� che gli valsero le attenzioni di stuoli di committenti e... di donne. Quando Raffaello mor�, aveva solo 37 anni e si trovava all'apice del successo. La sua chiamata a Roma, dove lascer� alcuni dei massimi capolavori della Storia, lo aveva consacrato come uno degli artisti pi� influenti di tutti i tempi. Ma da dove era iniziata una tale ascesa alla gloria? Per scoprirlo bisogna ripartire dalla piccola quanto "autorevole" citt� di Urbino, dove Raffaello venne alla luce nella primavera del 1483 (il 28 marzo o il 6 aprile). "L'Urbino del XV secolo era la corte per eccellenza dell'Europa del tempo", racconta in proposito lo storico dell'arte Claudio Strinati. "La famiglia dei Montefeltro, la cui rilevanza intellettuale e politica era molto alta, aveva reso quella citt� un irresistibile attrattore culturale, tanto che vi approdarono le firme pi� influenti della pittura italiana del Quattrocento, come Paolo Uccello, Piero della Francesca e Francesco di Giorgio Martini, maestri che Raffaello ebbe modo di osservare sin da bambino". La sua vera fortuna fu per� quella di avere un padre ben inserito nell'ambiente artistico: il pittore Giovanni Santi. "Non era un semplice pittore, ma uno stimato direttore di bottega, grande esperto d'arte e tra i pi� insigni letterati di Urbino", continua Strinati. "Fu lui a fornire a Raffaello i primi rudimenti del mestiere, morendo peraltro molto presto, quando il figlio aveva solo 11 anni". La morte del padre, nel 1494, apre un capitolo "oscuro" nella biografia di Raffaello: delle vicende immediatamente seguenti si sa ben poco. Per esempio, non sappiamo chi si sia preso cura di lui n� chi ebbe come maestro in campo artistico. Nelle sue Vite (1550), il Vasari racconta che Pietro Vannucci, detto il Perugino, lo prese a bottega con s� quando era bimbo, ma � improbabile. "Il loro rapporto inizi� solo intorno al 1500, e non si tratt� di un alunnato nel senso tradizionale del termine", chiarisce Strinati. "Il Perugino, quindi, fu s� un maestro per Raffaello, ma solo in qualit� di "ispiratore", come attesta il dipinto Sposalizio della Vergine, del 1504, il cui stile � esplicitamente peruginesco". Tra tanti dubbi, una cosa per� � certa: a 17 anni Raffaello raggiunse un livello professionale cos� elevato da essere chiamato magister. Il che voleva dire che lavorava gi� in maniera autonoma, e proprio per questo gli storici d'arte amano ricordarlo come l'enfant prodige della pittura. Terminato lo Sposalizio della Vergine, Raffaello era ormai pronto a compiere il passo successivo: raggiungere Firenze. "Sapeva che nella citt� toscana avrebbe potuto ricevere commissioni importanti e fare il salto di qualit�", racconta Strinati. "E ci riusc� in un modo tipicamente italiano: tramite una lettera di raccomandazione redatta da Giovanna Felicita Feltria, sorella del duca di Urbino, che present� il ventunenne Raffaello come un artista affermato e degno di alti incarichi". Quello trascorso a Firenze fu in effetti uno dei periodi pi� felici della sua carriera. Qui realizz� la serie delle sue memorabili Madonne, si perfezion� nel ritratto e conobbe le opere di due illustri colleghi: Leonardo e Michelangelo. Quando lasci� la citt�, nel 1508, aveva 25 anni e circa una sessantina di opere all'attivo. Un numero incredibile! Ma il segreto di tanto successo non poteva risiedere solamente nella sua abilit�. Raffaello aveva una marcia in pi�: il suo carattere. Lo stesso Vasari scrisse che in lui "risplendevano tutte le egregie virt� dell'animo [...] grazia, studio, bellezza, modestia e costumi buoni". Proprio queste qualit� lo aiutarono a entrare nel giro delle grandi committenze fiorentine, per poi farlo emergere anche in un ambiente competitivo come quello di Roma. Fu Giulio II (papa dal 1503 al 1513), nel 1508, a chiamare Raffaello presso la corte papale di Palazzo Apostolico, al fine di affrescare le cosiddette "Stanze Vaticane". All'epoca l'Urbe era diventata l'indiscussa capitale dell'arte europea, complice l'ambizione dei pontefici che volevano ripristinare la gloriosa immagine di Roma caput mundi. E per realizzare questo sogno venivano ingaggiati i migliori professionisti che il mondo delle arti potesse offrire. Oltre a Raffaello, nello stesso periodo ritroviamo Michelangelo, Bramante, Luca Signorelli, il Sodoma, Lorenzo Lotto e Sebastiano del Piombo (solo per citarne alcuni), tutti presenti contemporaneamente nella grande "officina romana". Ora, in un simile contesto, invidie e gelosie erano inevitabili. E anche Raffaello ne fu coinvolto, trovando il suo principale antagonista in Michelangelo, impegnato ad affrescare la Cappella Sistina. I due erano d'altro canto molto diversi. L'uno poneva al centro della sua pittura armonia, equilibrio di composizione e grazia, seguendo al massimo gli ideali del Rinascimento; l'altro aveva invece uno stile pittorico pi� drammatico e "dirompente". Raffaello, inoltre, con il suo spiccato savoir-faire, riusc� subito a catturare la piena simpatia del papa, mentre Michelangelo, noto per il caratteraccio burbero e irascibile, ebbe con Giulio II rapporti sempre turbolenti. A piantare il seme della discordia contribu� anche Bramante, architetto di corte e concittadino di Raffaello. Egli, che non guardava di buon occhio Michelangelo, tent� pi� volte di mettere il Buonarroti in cattiva luce fino a fargli addirittura perdere un lavoro (il primo progetto del mausoleo per Giulio II). E se da un lato denigrava l'artista toscano, dall'altro spingeva in alto il giovane urbinate. Fu infatti Bramante a raccomandare Raffaello a papa Giulio II, forse sperando di gettare ombra su Michelangelo. Il Buonarroti ne era consapevole, tanto che in una lettera di molti anni dopo scriver�: "Tutte le discordie che nacquero tra papa Julio e me fu la invidia di Bramante e di Raffaello da Urbino". Eppure, nella Scuola di Atene (1509-1511), realizzato nella Sala della Segnatura delle Stanze Vaticane, Raffaello ha ritratto il suo rivale nei panni di Eraclito. Un modo per dire "sotterriamo l'ascia di guerra"? In realt�, intorno a questo ritratto aleggiarono delle malelingue: Eraclito Michelangelo � infatti l'unico personaggio dell'affresco a indossare gli stivali, e pare che Raffaello volesse cos� prendere in giro il collega, che amava indossare le pesanti calzature giorno e notte, sottolineandone quindi lo scarso senso dell'igiene! La carriera di Raffaello proseguiva a vele spiegate. Leone X (papa dal 1513 al 1521), successore di Giulio II, gli aveva confermato l'incarico per gli appartamenti papali, e dopo la morte del Bramante (1514) lo nomin� soprintendente alla Fabbrica di San Pietro. Nello stesso periodo, l'urbinate avvi� anche uno dei suoi pi� celebri capolavori: il ciclo di affreschi della villa romana di Agostino Chigi (1511-1518), pi� tardi nota come Villa Farnesina. Peraltro, sembra che l'artista abbia minacciato il Chigi di lasciare l'opera incompiuta se non avesse esaudito un suo particolarissimo desiderio: permettere alla sua amante prediletta di stargli accanto durante il lavoro. Quella donna era la figlia di un fornaio di Roma, Margherita Luti, il cui volto � stato riconosciuto in molti dipinti di Raffaello, tra cui il Trionfo di Galatea alla Farnesina (1512) e La Fornarina (1519). Vero o no, questo aneddoto mette in risalto un aspetto saliente della personalit� di Raffaello: la passione per il gentil sesso. Il solito Vasari afferma che, in quanto a donne, il divin pittore era un vero esperto, tanto da essere "osservato con rispetto da' suoi grandissimi amici". E fu forse questa dedizione al sesso a stroncare la giovane vita di Raffaello Sanzio, morto secondo alcune ricostruzioni a causa di una malattia venerea. Stando ai racconti del Vasari, infatti, l'artista avrebbe accusato una febbre altissima proprio in seguito a una notte di "eccessi amorosi". A nulla valsero gli impegni dei medici: Raffaello trascorse terribili giorni tra spasmi e salassi, finch� non chiuse gli occhi per sempre la notte del 6 aprile 1520. L'eredit� nei secoli Nel panorama del Rinascimento, Raffaello fu il pi� prolifico tra i suoi contemporanei e contribu� a formare un ideale di bellezza classica - quindi "immortale" - basato sulla ricerca della massima armonia possibile. In proposito, come scrisse lo storico dell'arte Bernard Berenson (1865-1959), vale il detto: "Bella come una Madonna di Raffaello". Insieme a Leonardo e Michelangelo, Raffaello fu inoltre il punto di partenza di una corrente artistica che attraverser� tutto il XVI secolo: il Manierismo, in cui gli artisti si prefiggevano di dipingere appunto "alla maniera" dei maestri rinascimentali. Nei secoli successivi entusiasm� tra i tanti l'artista francese neoclassico Jean-Auguste Dominique Ingres (1780-1867) mentre influenz�, sebbene indirettamente, la corrente ottocentesca dei preraffaelliti, che accusavano il Sanzio di aver tradito la verit� pur di inseguire la bellezza. Infine, lo adorava Salvador Dal� (1904-1989), il principe del Surrealismo che sognava di essere "il Raffaello della sua epoca". E arriv� persino ad assumerne le sembianze, come spieg� nel libro La mia vita segreta (1941): "Mi ero lasciato crescere i capelli, ormai lunghi come quelli di una fanciulla e guardandomi allo specchio amavo assumere l'espressione di malinconia, l'affascinante atteggiamento di Raffaello".