Giugno 2016 n. 6 Anno I Parliamo di... Periodico mensile di approfondimento culturale Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registraz. n. 19 del 14-10-2015 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Massimiliano Cattani Antonietta Fiore Luigia Ricciardone Copia in omaggio Indice Tsunami: quando colpiscono il Mediterraneo Autismo: quali terapie? Bresci l'anarchico Tsunami: quando colpiscono il Mediterraneo (di Anna Rita Longo, "Le Scienze" n. 574/16) - Testimonianze storiche e ricerca scientifica dimostrano che il nostro mare � a rischio tsunami. Quanto siamo preparati a fronteggiare il pericolo? - Le onde di maremoto seguirono di pochi minuti le scosse sismiche. In un primo momento il mare si ritrasse notevolmente, accompagnato da un intenso frastuono, e poi si rivers� in devastanti onde alte fino a 12-13 metri, che si abbatterono per almeno tre volte sul litorale. Imbarcazioni, edifici, vagoni ferroviari e persone vennero travolti e risucchiati dalla furia delle acque, che ribollivano paurosamente. Circa 2000 vittime si aggiungevano al computo di quelle del terremoto. L'immagine, terrificante, � quella di un maremoto che si abbatte con violenza su un luogo, seminando distruzione e morte. Il pensiero corre spontaneo a tragici episodi della storia recente, come lo tsunami del Sudest asiatico del 2004, oppure quello che ha colpito il Giappone nel 2011, causando il disastro di Fukushima. La descrizione non riguarda, per�, un drammatico episodio verificatosi nell'Oceano Pacifico o Indiano, ma il catastrofico maremoto dello stretto di Messina del 1908, ricostruito sulla base delle relazioni scientifiche del tempo e degli studi pi� recenti. Il Mare Nostrum non �, dunque, al riparo dal rischio tsunami, come la storia insegna. Ma che cosa accadrebbe oggi se un maremoto si abbattesse sulle nostre coste? Per poter rispondere � necessario conoscere meglio il fenomeno, per poi calarlo nel contesto del Mediterraneo, e seguire gli sviluppi della ricerca scientifica. Anatomia di un fenomeno Anche se, a voler sottilizzare, ci sarebbero differenze di significato tra i due termini, oggi � invalso l'uso - accettato anche dagli enti di ricerca - di considerare "maremoto" e "tsunami" come sinonimi. Mentre la prima parola, di origine latina, mette solo in evidenza il movimento (motus, -us) del mare (mare, -is), la seconda � una parola giapponese composta da tsu, cio� "porto", e nami, ovvero "onda", a sottolineare l'impatto devastante che il movimento di un'onda anomala pu� avere su porti e zone costiere. La maggior parte degli tsunami si forma in seguito a un intenso terremoto sottomarino, ma questo da solo non basta. Uno tsunami � il devastante prodotto di tre condizioni. La prima � che il terremoto presenti un'energia (tecnicamente si parla di magnitudo) molto elevata; la seconda � che il sisma non abbia un ipocentro (ovvero il punto di origine) molto profondo; la terza, e la pi� importante, � che il sisma sia in grado di produrre un forte spostamento verticale del fondale. Questo "sobbalzo" provoca un considerevole e quasi istantaneo spostamento della massa d'acqua, che, non essendo pi� in equilibrio, d� origine a onde. La differenza pi� importante tra le comuni onde marine (anche quelle pi� alte) causate dal vento e le onde di tsunami consiste nel fatto che le prime comportano un movimento solo della parte superficiale della colonna d'acqua, mentre le seconde, anche quando non sono particolarmente alte (possono essere pi� basse di un metro in mare aperto), muovono l'intera colonna d'acqua fin dalla base e questo fa s� che abbiano una velocit� e una forza di penetrazione nell'entroterra davvero impressionanti. Dal punto di vista fisico, lo tsunami ha una lunghezza d'onda elevata (anche centinaia di chilometri) e forte velocit� di propagazione in mare aperto (in determinate condizioni 700-800 chilometri all'ora, come un aereo di linea), per rallentare via via che la profondit� del fondo del mare diminuisce, aumentando l'altezza dell'onda. Le caratteristiche degli tsunami rendono talvolta possibile il loro propagarsi su coste molto lontane dal punto di origine. A parte i sismi, sono causa di tsunami anche le frane che inducono il riversamento di blocchi rocciosi o sedimenti nel fondale marino. I maremoti cos� originati possono essere molto intensi e distruttivi, ma di solito non sono in grado di propagarsi in zone molto lontane da quella di partenza. Vi sono poi maremoti di origine vulcanica. La presenza di un vulcano sottomarino pu� provocare onde di tsunami in seguito a un'eruzione che induce un movimento della colonna d'acqua sovrastante. In generale � possibile che un'eruzione vulcanica generi un'onda anomala attraverso la caduta in mare di materiale piroclastico o, nel caso delle eruzioni in mare molto intense, quando si verifica il collasso della caldera a seguito dello svuotamento della camera magmatica. Ma anche la caduta di meteoriti o asteroidi pu� portare a uno tsunami: l'esempio pi� noto � il gigantesco maremoto testimoniato dal cratere da impatto di Chicxulub, nello Yucat�n, in Messico, collegato all'estinzione dei dinosauri avvenuta 66 milioni di anni fa. La definizione stessa di tsunami rende chiaro perch� questo fenomeno sia pi� frequente in alcune parti del mondo. Il collegamento con i fenomeni sismici e vulcanici fa s� che siano particolarmente esposte le zone che si trovano lungo le cosiddette "cicatrici della Terra", cio� quelle situate al confine delle placche tettoniche, come la "cintura di fuoco" del Pacifico e l'Oceano Indiano. Ma, sebbene colpito pi� raramente, anche il bacino del Mediterraneo � a rischio. Punto di convergenza della placca africana e di quella eurasiatica, presenta le tipiche cicatrici che indicano un'intensa attivit� endogena, come i vulcani (sottomarini e superficiali) e le faglie attive in Grecia, a Cipro, nel Mar di Marmara, nello stretto di Messina, lungo la costa algerina e altro ancora. Mappare il rischio "Il 14 per cento degli tsunami presenti nel catalogo compilato dalla National Oceanic and Atmospheric Administration degli Stati Uniti si � verificato nel Mediterraneo", sottolinea Alessandro Amato, dirigente di ricerca presso l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV). La percentuale cos� "importante" sar� anche dovuta al fatto che per quest'area abbiamo notizie pi� complete e precise, ma i numeri parlano comunque di un rischio non trascurabile. Per l'importanza predittiva che ha l'analisi storica (gli tsunami tendono a concentrarsi in determinate aree soggette a fattori di rischio), l'INGV si � fatto promotore dell'unificazione in un solo catalogo di tutti i repertori di tsunami realizzati a livello regionale, rendendo omogenei i dati in termini di formato e accuratezza. � nato cos� il Catalogo degli Tsunami Euro-Mediterranei, che al momento riporta 290 eventi, classificati, secondo il livello di affidabilit� della notizia, con un valore numerico da 0 (tsunami molto improbabile) a 4 (tsunami certo) e corredati di informazioni su fonti, intensit� e cos� via. La maggior parte degli eventi registrati presenta valore 3 o 4, sottolineando, cos�, la grande affidabilit� predittiva dello strumento. L'evento pi� antico registrato nel catalogo � l'intenso maremoto del Mar del Nord al largo della Norvegia nel 6150 a.C., mentre tra quelli pi� forti vi � lo tsunami, causato da un terremoto di magnitudo pari a 8.5 o pi�, originatosi nel mare a ovest di Creta nel 365 d.C., che provoc� ingenti danni nelle attuali Grecia, Italia, Egitto e Libia. "Uno sguardo al catalogo ci permette di individuare le aree del Mediterraneo pi� esposte al pericolo maremoti. Si tratta di quelle in cui si sono concentrati gli eventi pi� numerosi e intensi", aggiunge Amato. Possiamo quindi elencare le zone che la storia ci raccomanda di monitorare con particolare attenzione. Vi � la costa algerina, soggetta a terremoti importanti; il Mar Ligure; la costa della Sicilia tirrenica, zona sismicamente attiva con terremoti che hanno raggiunto e superato magnitudo 6. Poi lo stretto di Messina; lo Ionio (soprattutto verso Grecia e Albania); il Mar Adriatico sul lato italiano (soggetto a terremoti al largo delle Marche e dell'Abruzzo, non molto forti ma potenzialmente dannosi) e su quello orientale (Montenegro, Albania, Croazia), dove in passato si sono verificati eventi sismici di magnitudo superiori a 6.5. Poi le isole greche, in particolare quelle ioniche, Creta e quelle del Dodecaneso, sede dei pi� grandi terremoti storici del Mediterraneo con relativi tsunami; e infine Cipro e le altre zone del Mediterraneo orientale. Per gli tsunami dovuti ad attivit� vulcanica, le isole Eolie e quelle del canale di Sicilia (inclusa la ex isola Ferdinandea), le isole greche (per esempio Santorini) e i vulcani sommersi Marsili e Palinuro. Gli tsunami italiani Anche il nostro paese � dunque stato ripetutamente investito dal fenomeno tsunami. D'altra parte la sua posizione geografica rende l'Italia una sorta di spartiacque, e questo la espone a tsunami provenienti sia da est sia da ovest. Il Catalogo dei maremoti italiani (elaborato sempre dall'INGV, come versione ampliata e aggiornata del precedente catalogo compilato da Stefano Tinti dell'Universit� di Bologna e Alessandra Maramai dell'INGV) ne riporta 72, a partire da quello causato dall'eruzione del Vesuvio del 79 d.C., che sommerse Pompei, Oplontis, Ercolano e Stabia. L'evento che ha colpito di pi� l'immaginario collettivo � il gi� citato terremoto-maremoto dello stretto di Messina del 1908, causa di sgomento e commozione in molte nazioni del mondo (a tal riguardo si pu� vedere il saggio La citt� ferita. Il terremoto dello Stretto e la comunit� internazionale, a cura di Giovanna Motta, pubblicato da Franco Angeli nel 2008). Per restare sempre sulle coste siciliane e calabresi, si possono ricordare anche il maremoto che colp� la Sicilia orientale nel 1693 e i nove tsunami che si abbatterono sulla Calabria tirrenica tra il 1783 e il 1784, tra i quali l'evento pi� tragico, quello del 6 febbraio 1783, che provoc� oltre 1500 vittime. La Liguria � la regione italiana dove � stato registrato il maggior numero di maremoti, anche se quasi tutti di lieve entit�. La principale eccezione � il maremoto che colp� la riviera di ponente nel 1887, causando ingenti danni. Nell'Adriatico l'evento pi� rilevante � quello verificatosi nel Gargano nel 1627, che prosciug� il lago di Lesina. La zona era soggetta anche in passato a fenomeni di questo tipo, che hanno lasciato segni nelle tradizioni popolari. In tema di rischio � bene fare attenzione a evitare facili errori di valutazione. Un chiaro esempio pu� essere il Salento, zona considerata a bassa pericolosit� sismica, il che potrebbe farla percepire come poco esposta al pericolo tsunami. Basta per� allargare lo sguardo per constatare come sia circondata da zone caratterizzate da sismicit� elevata (per esempio Grecia e Albania), che la espongono al rapidissimo arrivo di onde di tsunami che partono dalle aree limitrofe. "In effetti, le coste salentine sono disseminate di testimonianze di maremoti verificatisi nel corso della storia. Tra le pi� macroscopiche si possono citare i grossi blocchi rocciosi che si trovano in localit� Torre Sant'Emiliano, a sud di Otranto, il maggiore dei quali pesa addirittura 70 tonnellate, testimonianza del maremoto del 1743, come dimostrano le datazioni al radiocarbonio eseguite sui gusci degli organismi ritrovati all'interno dell'accumulo detritico. Segnalazioni di un repentino abbassamento del livello del mare nel porto di Brindisi in concomitanza di questo evento sismico sono riportate da fonti storiche coeve", afferma Paolo Sans�, geologo dell'Universit� del Salento che, insieme a Giuseppe Mastronuzzi dell'Universit� di Bari, ha effettuato studi sui maremoti storici pugliesi. Il monitoraggio delle coste "Per valutare l'esposizione della penisola italiana - ricorda Giovanni Arena, responsabile della rete mareografica nazionale del Dipartimento tutela acque interne e marine dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) - basta dare un'occhiata ai numeri. L'Italia ha 8300 chilometri di coste, 639 comuni costieri, 208 porti turistici e 31 porti commerciali. Il 30 per cento della popolazione vive sulle coste". A dispetto degli avvertimenti dei geologi, i centri abitati pericolosamente a ridosso del mare sono ancora moltissimi, a testimonianza della scarsa penetrazione dell'educazione ambientale nel nostro paese. Inoltre c'� un documentato aumento della popolazione costiera nella stagione estiva. Quindi eventuali tsunami si andrebbero a riversare su zone densamente abitate o comunque interessate da un'intensa attivit� umana, con esiti potenzialmente distruttivi. Che cosa fare, dunque? Un primo, importante aiuto proviene dalla rete mareografica nazionale gestita dall'ISPRA, che si estende lungo tutte le coste italiane. "La rete mareografica dell'ISPRA - aggiunge Arena - ha misurato costantemente negli ultimi decenni il livello del mare, favorendo l'analisi dei dati di onde lunghe causate da fenomeni sottomarini. I dati sul livello del mare, forniti dai mareografi, sono una parte indispensabile per il sistema di allarme maremoti, perch� possono dare conferma della generazione di un'onda lunga e monitorare in tempo reale il fenomeno". Il principale problema � rappresentato dal fatto che i mareografi sono collocati soprattutto nelle aree portuali e perci� le misurazioni potrebbero giungere troppo tardi perch� l'allarme risulti efficace. Ma qualcosa gi� si muove, come sottolinea Arena: "Negli ultimi anni ISPRA ha potenziato la rete mareografica nazionale con altri strumenti installati su isole minori, per attivare sentinelle di misura in mare aperto e migliorare, cos�, il tempo di preavviso. Allo stato attuale, la rete mareografica italiana risulta, insieme a quella francese, la pi� attendibile. I dati italiani entrano a far parte di quelli raccolti dalla rete mareografica internazionale dell'Intergovemmental Oceanographic Commission (IOC), la commissione oceanografica intergovernativa dell'UNESCO, e sono trasmessi con una latenza di pochi minuti. � in corso un ulteriore miglioramento dei tempi di trasporto e consegna dei dati". Nel frattempo, si eseguono monitoraggi di alcune zone chiave, come i vulcani attivi e le faglie. Una conoscenza pi� approfondita del complesso sistema di faglie attive nello stretto di Messina � stata possibile grazie agli studi effettuati dal Consiglio nazionale delle ricerche a bordo della nave oceanografica Urania. L'INGV ha in progetto di avviare anche un monitoraggio del vulcano sottomarino Marsili, nel Tirreno meridionale, di cui si sa ancora troppo poco. Verso un sistema di allerta Un notevole aiuto potrebbe giungere dalla realizzazione di un sistema di allerta tsunami per l'area euro-mediterranea. "Il progetto � nato in seguito allo shock causato dal terremoto-maremoto di Sumatra del 2004", ricorda Alberto Michelini, direttore del Centro nazionale terremoti dell'INGV. "Oggi l'INGV � Candidate Tsunami Service Provider (cTSP) per l'intero bacino del Mediterraneo, e per questo ha costituito il Centro allerta tsunami, che dal 1o ottobre 2014 agisce in modalit� pre-operativa nei confronti della Protezione civile e di tutti i paesi del Mediterraneo che hanno richiesto il servizio di allerta per gli tsunami generati da terremoti", specifica Michelini. Ma vediamo come funziona in pratica il sistema, che � ancora in corso di realizzazione. Ci troviamo nella sala sismica dell'INGV di Roma. Qui convergono i dati di circa 400 stazioni sismiche nel mondo, che sono elaborati e analizzati nell'ambito del cosiddetto sistema di detezione sismica rapida EARLY-Est (che sta per EArthquake Rapid Location sYstem with Estimation of Tsunamigenesis). Il punto di forza di questo sistema � la rapidit�: in brevissimo tempo sono disponibili dati sulla localizzazione e la magnitudo del terremoto, nonch� parametri specifici sulla sua tsunamigenicit�. Al momento questi ultimi non sono ancora usati per diramare l'allerta, che viene decisa tramite pochi parametri base. La sfida del futuro � realizzare scenari rapidi di propagazione delle onde di tsunami, che soppianteranno la metodologia oggi adottata, basata soltanto su magnitudo e profondit� dell'evento sismico. Nel Mediterraneo il problema principale � rappresentato dai tempi brevissimi imposti dalle ridotte dimensioni del mare, che rendono difficile studiare un efficace protocollo di comunicazione del rischio a livello locale, che � ancora lontano dall'essere realizzato. Nonostante questa oggettiva difficolt�, il sistema di allerta resta importante, anche perch� le onde di tsunami non sono mai singole e spesso la prima non � la pi� alta. Nel tempo che intercorre tra la prima e le altre, la diramazione dell'allerta pu� fare la differenza. "Nel frattempo si cerca di lavorare sul miglioramento delle procedure di ricezione dei dati dalle reti mareografiche e sismometriche e sui programmi che elaborano e trasmettono i dati", aggiunge Michelini, auspicando una piena operativit� del sistema italiano di allerta nel prossimo futuro. L'UNESCO ha anche avviato progetti per installare nel Mediterraneo sensori di profondit� in mare aperto. Sono le famose boe DART, presenti nel Pacifico, il cui costo proibitivo (diverse centinaia di migliaia di euro l'una) costituisce al momento un notevole ostacolo. "La resistenza a finanziare l'acquisto di questi strumenti - sottolinea Amato - � dovuta al fatto che il rischio tsunami � considerato remoto. E in effetti in un certo senso lo �, se confrontato con i terremoti e con gli incidenti d'auto. Stiamo studiando sistemi alternativi da qualche anno con il nostro osservatorio di Gibilmanna in Sicilia, per strumenti home-made che costerebbero parecchio meno. Altrove si investono ben altri capitali. Per fare un paragone, dopo l'evento Tohoku-Fukushima del 2011, il Giappone ha investito miliardi di dollari per costruire un array sottomarino di sensori, stendendo 5800 chilometri di cavi nel Pacifico, con circa 150 sismometri e sensori di pressione sul fondo del mare. Questo in aggiunta alle boe DART, naturalmente. Il problema � che nessuno valuta il fatto che un investimento di qualche milione di euro oggi, se pure servisse in una sola occasione tra dieci anni, potrebbe essere abbondantemente compensato, perch� i danni sarebbero di qualche ordine di grandezza maggiori. Costruire una cultura della prevenzione non � facile. Come ha osservato l'ex segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan, i costi della prevenzione devono essere pagati nel presente, mentre i suoi benefici risiedono in un futuro lontano, e non sono tangibili: sono i disastri che non sono avvenuti". Un importante passo nella gestione dell'emergenza tsunami, come delle altre catastrofi naturali, potrebbe essere il progetto europeo ARISTOTLE, avviato di recente, che coinvolge 15 paesi sotto la guida dell'INGV e ha l'obiettivo di ridurre gli effetti dei fenomeni naturali estremi attraverso un'azione integrata e tempestiva. Informare per prevenire In ogni caso le dimensioni del Mediterraneo rendono chiaro come il sistema di allerta non possa da solo garantire un livello di sicurezza accettabile. La prevenzione dei rischi connessi ai maremoti passa soprattutto attraverso l'informazione. Tra le principali iniziative che, sul territorio nazionale, si occupano di informare i cittadini ricordiamo Io Non Rischio, campagna promossa dall'Associazione nazionale pubbliche assistenze (ANPAS) e subito recepita da Protezione civile, INGV, Rete dei laboratori universitari di ingegneria sismica (ReLUIS), in collaborazione con ISPRA e Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale (OGS) di Trieste. Dopo essere stati adeguatamente formati, i volontari della Protezione civile incontrano i cittadini per informarli sui rischi collegati a terremoti, maremoti e alluvioni, distribuendo materiale chiaro e sintetico in italiano e inglese. I due documenti dedicati al maremoto inquadrano brevemente ma efficacemente il problema e spiegano quali sono i rischi per l'Italia. Molto opportunamente si pone l'accento sulla attuale impossibilit� di prevedere un maremoto e sulle oggettive difficolt� di allertare in tempo la popolazione, per la scarsa ampiezza del mare, che rende talvolta brevissimo il tempo di arrivo delle onde sulla costa. Molto utile, sul piano pratico, il prospetto che riassume le norme di comportamento da mettere rapidamente in pratica. Anno dopo anno la campagna, attiva anche sui social network, sta raggiungendo sempre pi� Comuni, contribuendo a formare cittadini in grado di reagire con prontezza ai segnali che provengono dall'ambiente. Purtroppo, fino al momento in cui queste conoscenze non saranno capillari presso la popolazione e i sistemi di allerta resi completi e operativi, la domanda che ci siamo posti all'inizio non potr� avere una risposta rassicurante. Autismo: quali terapie? (di Nicholas Lange, Christopher J. McDougle, "Le Scienze" n. 544/13) - � una patologia misteriosa, per cui non esistono cure definitive. Ma alcune terapie danno benefici duraturi, e altre sono all'orizzonte. - Quando Jayden, il secondogenito di Adrianna e Jermaine Hannon, aveva 14 mesi, i genitori cominciarono ad allarmarsi. Il bambino si comportava in modo strano: aveva il chiodo fisso delle macchinine, le capottava e ne faceva girare le ruote fino alla nausea, bench� di norma a quell'et� i bambini passino da un'attivit� all'altra. A Jayden piaceva molto anche allineare automobiline, giornaletti o mattoncini sul pavimento o sul tavolo, disponendoli in righe il pi� dritte possibile; e non metteva mai un oggetto sopra l'altro, come avrebbero fatto invece gli altri bambini. A 16 mesi, un po' alla volta Jayden smise di pronunciare le brevi frasi che aveva cominciato a usare quattro o cinque mesi prima, come "su, mamma" "prendilo", o "Abby", il nome della sorella maggiore, ed era raro che guardasse verso i familiari quando lo chiamavano. Un giorno, circa alla stessa et�, un grosso vaso cadde vicino a dov'era seduto, senza che avesse la minima reazione. Ma il pediatra rassicur� Adrianna: lo sviluppo dei bambini - spieg� - in genere avviene a ondate, specie nei maschi, nei quali il linguaggio si sviluppa quasi sempre pi� tardi rispetto alle bambine. Dietro sua indicazione, Adrianna e Jermaine portarono il bambino da un otorinolaringoiatra, ma il suo udito risult� normale. La situazione di Jayden peggior� a 18 mesi, quando un febbrone lo fece finire al pronto soccorso. Malgrado un check up medico completo, la fonte della febbre non fu scoperta, e il bambino venne rimandato a casa. La febbre poi scomparve, ma da allora Jayden non pronunci� pi� nemmeno una sola parola; n� rispose pi� quando veniva chiamato per nome, e l'unica persona che continu� a guardare negli occhi fu la madre. A 22 mesi questa allarmante situazione non era cambiata. Se voleva qualcosa prendeva Adrianna o Jermaine per mano e li conduceva all'oggetto desiderato. La sua attenzione continuava a essere calamitata dalle ruote delle automobiline, che faceva girare senza interruzione. Lo incantava anche un video di Topolino, che guardava e riguardava fino a quando non gli si chiedeva di smettere. Jayden, poi, adorava Thomas, la scoppiettante locomotiva a vapore dei cartoni animati, e i suoi catastrofici effetti sonori. A quel punto i genitori decisero di portarlo in una clinica di intervento preventivo per bambini con sospetto di autismo, o di disturbo dello spettro autistico, per usare l'esatta definizione clinica, una patologia caratterizzata, in vario grado, da deficit persistenti della comunicazione e dell'interazione con il prossimo e dalla tendenza a impegnarsi in interessi, attivit� e comportamenti ripetitivi, come dondolarsi o ripetere in continuazione alcuni suoni. Basandosi su un'osservazione attenta del bambino e sui dettagli forniti dai genitori, uno psicologo della clinica diede ad Adrianna e Jermaine il devastante responso: Jayden era autistico. All'inizio entrambi i genitori si chiesero se avevano fatto qualcosa per causare la malattia. Come ricorda Adrianna, Jermaine - di professione ingegnere - ci mise un po' a "farsi una ragione" della conferma clinica dei loro timori. Adrianna, che aveva insegnato per 12 anni in classi per bambini con esigenze speciali, invece non si perse d'animo: "se non posso dargli io tutta me stessa, come posso aspettarmi che glielo dia qualcun altro?", ripeteva dentro di s�. L'esperienza di Adrianna e Jermaine � simile a quella di migliaia di genitori i cui figli ricevono ogni anno una diagnosi di disturbo dello spettro autistico. E, come nel caso di Jayden, la patologia rimane un enigma frustrante, che mette alla prova le capacit� diagnostiche dei medici. A distanza di settant'anni da quando lo psichiatra Leo Kanner coni� il termine "autismo infantile precoce", bisogna ancora trovare una misura oggettiva del disturbo - una molecola, un gene, l'attivit� elettrica in un circuito cerebrale o una differenza evidente nelle dimensioni del cervello - che permetta di individuarne l'origine. Gli scienziati cercano con ogni mezzo di identificare questi indizi biologici, nella speranza che questo faciliti la diagnosi e lo sviluppo di cure pi� efficaci. Per ora alcuni farmaci sono in grado di controllare l'ansia, la depressione e gli scatti d'ira che affliggono i bambini autistici. Ma nessuna sostanza approvata dalla Food and Drug Administration (FDA), l'agenzia statunitense di vigilanza su cibi e farmaci, agisce sui sintomi fondamentali: il linguaggio, i problemi di socialit� e i gesti ripetitivi. La situazione � serissima. Nei soli Stati Uniti circa 800.000 persone con meno di 18 anni sono affette da un disturbo dello spettro autistico. E la cifra � in aumento. In parte questo � dovuto a uno screening migliore: l'accademia statunitense di pediatria raccomanda ormai da sei anni di esaminare tutti i bambini tra i 18 e i 24 mesi alla ricerca di segni rivelatori. Un'altra ragione � l'allargamento dei criteri diagnostici del disturbo dello spettro autistico. Ma anche senza questi cambiamenti il numero di famiglie che hanno bisogno di aiuto sarebbe comunque grande. Questa prospettiva sconfortante � controbilanciata da alcuni incoraggianti sviluppi recenti. Da qualche anno infatti gli operatori sanitari diffondono l'importante messaggio che alcuni trattamenti non farmacologici possono aiutare moltissimo i bambini come Jayden. Iniziate precocemente, le terapie che insegnano al bambino autistico forme appropriate di comportamento sociale - come guardare in volto la madre mentre parla - potrebbero significare la differenza tra anni in una scuola o in un'istituzione speciali e un percorso normale nella scuola primaria e secondaria, con la speranza finale di una vita adulta con un lavoro e una famiglia. Per di pi�, in un prossimo futuro le terapie comportamentali potrebbero essere integrate da nuove tecnologie che forniscano una diagnosi definitiva prima dei due anni di et�, e da farmaci che correggano gli squilibri biochimici alla base del disturbo. Intervenire presto Aspettare dieci anni prima di vedere approvato un nuovo farmaco � una prospettiva straziante per i genitori di un bambino che ha appena ricevuto la diagnosi. Tuttavia la disperazione pu� essere alleviata sapendo che esistono gi� alcuni trattamenti validi. Secondo le ultime ricerche il cervello di un bambino autistico pu� imparare e cambiare in risposta a terapie comportamentali che aumentano le sue abilit� sociali o linguistiche o che affrontano un altro problema comune: la difficolt� a impegnarsi nel gioco e in altre attivit� tipiche della sua et�. La flessibilit� dimostrata dal cervello dei bambini piccoli apre nuove possibilit� di una terapia intensiva individuale, dove operatori esperti e genitori collaborano per mitigare le difficolt� di linguaggio e interazione sociale caratteristiche del disturbo. Un metodo di intervento precoce derivato dalla psicologia dello sviluppo e dall'analisi comportamentale applicata (una tecnica per migliorare le abilit� cognitive, linguistiche e sociali) � nota come Early Start Denver Model (ESDM). Il terapeuta ESDM affronta la difficolt� del bambino autistico nel registrare i segnali sociali, come la mimica facciale, i gesti e le parole. L'ESDM e altri programmi - come l'attenzione condivisa, il coinvolgimento nel gioco simbolico e l'approccio della regolazione emotiva - attirano l'attenzione dei bambini verso i volti e le voci. I bambini piccoli normali reagiscono pi� intensamente a un volto che a un cubo, uno schema di comportamento che si inverte nei bambini autistici, pi� inclini a rispondere a un oggetto che allo sguardo del genitore. Un terapeuta ESDM stimola il bambino a concentrare l'attenzione. Gli presenta un giocattolo, magari gli attribuisce un nome invitante e, appena il bambino lo guarda, lo condivide con lui, e cominciano a giocarci insieme. Il terapeuta cerca di tenere vivo il coinvolgimento del bambino in turni di gioco, con l'intento di coltivarne il piacere delle attivit� sociali, insegnandogli contemporaneamente abilit� sociali e comunicative. L'efficacia della terapia ESDM � stata confermata da studi scientifici rigorosi. Grazie a finanziamenti dei National Institutes of Health (NIH), Geraldine Dawson, della Duke University, e Sally J. Rogers, dell'Universit� della California a Davis, hanno valutato la tecnica, e poco tempo fa hanno pubblicato le prove pi� solide finora disponibili circa l'efficacia di un intervento precoce nell'autismo. Dopo due anni di addestramento intensivo iniziato tra i 18 e i 30 mesi, i bambini che avevano seguito l'ESDM prestavano pi� attenzione ai volti rispetto ai coetanei autistici che avevano seguito altri programmi comportamentali. Inoltre i bambini sottoposti all'ESDM registravano punteggi superiori nei test cognitivi: il loro quoziente di sviluppo (un test di intelligenza per i bambini molto piccoli) era aumentato in media di 10,6 punti in pi�. La gravit� dei deficit sociali e i comportamenti ripetitivi erano diminuiti, anche se permanevano alcuni sintomi non direttamente correlati all'autismo, come l'ansia e la depressione. Gli studi con le neuroimmagini mostrano che anche il cervello subisce cambiamenti in positivo. Le aree cerebrali attivate quando un bambino guarda i volti si attivano maggiormente nei bambini autistici che seguono il programma ESDM rispetto ai non ESDM. In effetti, la risposta cerebrale dei piccoli addestrati con la ESDM era identica a quella di un tipico bambino di quattro anni. Registrando l'attivit� cerebrale con l'elettroencefalografia (EEG) si � rilevato un aumento della potenza spettrale (la quantit� di energia del segnale) di particolari onde cerebrali - le onde theta - in un'area sottostante alla superficie del cervello, l'ippocampo. L'aumento della potenza spettrale nella frequenza theta � correlato a un'attenzione pi� focalizzata e al funzionamento della memoria a breve termine. Si � poi riscontrata in diverse regioni, incluso l'ippocampo, una riduzione della potenza spettrale delle oscillazioni alfa, che nell'EEG hanno cicli pi� rapidi rispetto alle onde theta. Un livello inferiore di potenza alfa indicava che il cervello stava entrando maggiormente in sintonia con i volti delle persone. Insieme, l'aumento delle onde theta e la diminuzione delle onde alfa riflettono livelli superiori di attivit� elettrica nella superficie del cervello, la corteccia cerebrale, e in particolare nella corteccia prefrontale e in quella cingolata anteriore, coinvolte nella percezione dei volti. Osservando questi cambiamenti, i ricercatori ritengono che l'ESDM inneschi nel cervello dei bambini trattati cambiamenti che spiegherebbero i loro punteggi pi� elevati nei test cognitivi. La terapia ESDM genera questi cambiamenti soltanto dopo oltre 2000 ore di terapia intensiva, distribuita nell'arco di due anni, un tour de force di due ore, due volte al giorno, cinque giorni alla settimana. Un farmaco che sostituisse o accelerasse questo processo sarebbe un enorme salto di qualit� per i bambini e per le loro famiglie. Nel mirino delle ultime ricerche c'� una gamma di farmaci che colpisce i sintomi, quali il difetto di comunicazione sociale, l'iperattivit� e l'inattenzione, ma anche i comportamenti ripetitivi e ritualistici, come pure i disturbi del sonno. In prima fila tra i farmaci che potrebbero imitare i vantaggi dell'ESDM c'� l'ossitocina, l'ormone cerebrale definito nei titoli dei giornali sostanza "delle coccole", "molecola della morale" e "ormone della fiducia". Conosciuta nei testi di medicina per il suo ruolo nella gravidanza, l'ossitocina prepara l'organismo della donna al parto: quando il suo livello aumenta, il seno s'inturgidisce e si riempie di latte, e successivamente scatena il travaglio. Da 25 anni sappiamo che l'ossitocina, presente anche nei maschi, promuove il legame tra la madre e il neonato, e cementa la fiducia tra gli amici. L'ormone potrebbe inoltre indurre un senso di attaccamento al bambino nei futuri padri. La speranza che questa sostanza aiuti i bambini autistici deriva dall'osservazione che, quando il composto viene somministrato in singole dosi - per via endovenosa o attraverso le cavit� nasali - il bambino autistico, che di regola non distingue se un nuovo conoscente � "malvagio" oppure "amichevole", coglie al volo la differenza. Studi genetici rinforzano la teoria del ruolo dell'ossitocina come sostanza capace di migliorare la sensibilit� sociale generale, in modo pi� marcato negli autistici. Topi geneticamente modificati per disattivare il gene CD38, coinvolto nella produzione di ossitocina, manifestano una fiducia e una capacit� di riconoscimento inferiori verso altri animali. Inoltre i pazienti autistici hanno meno "recettori" dell'ossitocina - proteine che si legano all'ossitocina e trasmettono i suoi messaggi dentro specifiche cellule nervose - e dunque hanno livelli inferiori dell'ormone. Questi risultati aprono la strada a studi pi� ampi. I National Institutes of Health stanno finanziando cinque istituti di ricerca che effettueranno un trial clinico con ossitocina intranasale, nel quale i pazienti saranno assegnati in modo casuale al gruppo di trattamento o a quello di controllo. Lo "Studio dell'ossitocina nell'autismo per migliorare i comportamenti sociali reciproci" (SOARS-B, l'acronimo inglese) dovrebbe determinare entro pochi anni se l'ossitocina far� parte del trattamento di routine. Stabilire se l'ormone � un farmaco efficace � importante perch� un numero cospicuo di genitori gi� somministra l'ossitocina ai figli autistici, usando le prescrizioni di medici legati al progetto DAN! (Defeat Autism Now!, "sconfiggiamo l'autismo ora!"). Ma le prove non sono cos� conclusive da giustificare la pratica. Se lo studio confermer� il ruolo dell'ossitocina, questa sostanza potrebbe poi essere raccomandata per agevolare l'ESDM. Essa infatti predisporr� il bambino a rispondere all'aiuto del terapeuta. Indizi genetici La lunga strada verso una cura, o almeno verso terapie migliori, richieder� una conoscenza pi� profonda delle cause dei sintomi mentali e fisici dell'autismo. I fondamenti genetici, che sono un fattore importante, rimangono misteriosi: identificare le mutazioni rilevanti � un compito improbo. Secondo alcune ricerche la predisposizione individuale ha le sue radici in un numero di geni compreso tra i 400 e gli 800. Secondo altri studi, invece, questo disturbo coinvolgerebbe le cosiddette varianti del numero di copie del genoma, ossia l'aggiunta o la delezione di ampi frammenti di DNA contenenti in potenza numerosi geni. Le ricerche di base sullo sviluppo dell'autismo intendono districare questa complessa rete genetica. Un'entusiasmante scoperta risale allo scorso gennaio, e suggerisce che la genetica straordinariamente complessa dell'autismo potrebbe essere meno astrusa di quanto si credeva. Il progetto ha esaminato la genetica di 55 pazienti, tutti membri di nove famiglie dello Utah. Collettivamente risultava che essi recassero 153 varianti del numero di copie, assenti nei bambini senza autismo, e 185 varianti del numero di copie che, secondo la letteratura scientifica, sono associate con l'autismo. I genetisti sono andati alla ricerca di quelle stesse varianti del numero di copie in 1544 bambini affetti da autismo, ricavato dal database genetico Autism Genetic Resource Exchange (AGRE) e dal Children's Hospital di Philadelphia (CHOP), nonch� in 5762 soggetti di controllo, privi di parentela fra loro o con i bambini dello Utah. Una rigorosa procedura di controllo molecolare ha infine ristretto il totale a 15 varianti del numero di copie familiari e a 31 citate in letteratura, che sembravano implicate con maggiore probabilit�. Sar� necessaria un'analisi pi� approfondita per chiarire come queste varianti contribuiscono all'autismo e per spiegare il contributo di altri fattori, non genetici, scatenanti il disturbo: per esempio squilibri ormonali nel ventre materno e l'esposizione a specifiche sostane nell'ambiente. Ma questo studio importante - e la sua esclusione di molte varianti di numero di copie originariamente prese in considerazione - � la prova che un gran numero di fattori genetici, che la letteratura scientifica collega all'autismo, potrebbero in definitiva essere esclusi. Persino con la vagliatura che riduce drasticamente il numero di elementi genetici sospetti, la possibilit� di individuare un singolo gene dell'autismo, capace di svelare il meccanismo a monte della patologia, non si materializzer� in buona parte dei casi. Perch� � certo, perlomeno per la maggior parte del tempo, il coinvolgimento di un manipolo di geni, ciascuno con un ruolo minore nello scatenamento dei sintomi. E molti di questi geni potrebbero contenere mutazioni de novo, che si presentano cio� per la prima volta nell'uovo fecondato. Si � tuttavia dimostrato che alcuni casi di autismo derivano dalla alterazione di un singolo gene. Questi casi si stanno rivelando di importanza vitale per il progresso della ricerca. Per esempio gli scienziati studiano individui con mutazioni molto rare in singoli geni, che spiegano un buon 5 per cento dei casi di autismo. Esplorare i disturbi psicologici e molecolari in questi bambini dovrebbe offrire indicazioni su che cosa va storto nei casi pi� comuni, dove molteplici geni sono attivati in modo da indurre i sintomi dell'autismo. Sono stati scoperti diversi di questi disturbi derivanti da mutazioni in un singolo gene e che favoriscono l'autismo, concomitanti a un insieme di sintomi non correlati. Un esempio � la sindrome di Rett, prevalente nelle bambine, che altera lo sviluppo dei circuiti cerebrali. Il quoziente di intelligenza di questi bambini � difficile da valutare, e talvolta essi manifestano una forma grave di autismo che causa la perdita di qualsiasi abilit� anche rudimentale del linguaggio e di abilit� motorie gi� acquisite. La ricerca si � concentrata su sostanze che possano invertire questi sintomi, nutrendo i circuiti cerebrali "rachitici". Fra esse un ormone, l'IGF-1, il fattore di crescita insulinico-1. Si � dimostrato infatti che i topi con un disturbo simile alla sindrome di Rett manifestano sintomi meno gravi dopo il trattamento con un composto derivato dall'IGF-1; e un trial di piccole dimensioni con un derivato dell'IGF-1 in almeno 50 bambini autistici ha superato il test iniziale di sicurezza. � poi iniziato lo studio per valutare la capacit� dell'ormone di invertire i sintomi. Gli studi futuri dovranno affrontare la complessit� di una malattia con molteplici cause, differenti livelli di gravit� e che coinvolge vaste aree del cervello che regolano i comportamenti sociali di base e le abilit� comunicative. Sar� necessario un approccio sfaccettato, capace di sviluppare nuove vie che rivelino accuratamente l'esordio dei sintomi in un bambino di 18 mesi; e che sappia concepire trattamenti la cui meta sia, addirittura, correggere il funzionamento di cellule cerebrali difettose. Oltre a un'analisi genetica, la caccia a strumenti diagnostici pi� efficaci si rivolge anche alle neuroimmagini. A questo proposito sono stati avviati studi su tecniche che acquisiscono immagini cerebrali di alcuni pazienti autistici con abilit� verbale minima o nulla, i quali rappresentano il 40 per cento del totale. E tutto questo per individuare criteri migliori per una diagnosi di autismo. Ingegneria dei neuroni? Scendiamo ora a livello cellulare. Qui i ricercatori stanno manipolando le cellule staminali in vitro per sviluppare nuovi trattamenti. Questo tipo di cellula ha la capacit� di trasformarsi in tipi cellulari diversi. Per prima cosa i ricercatori trasformano cellule specializzate e facilmente accessibili del paziente - di solito della pelle - in cellule staminali: le cellule staminali pluripotenti indotte. Poi le trattano per convertirle in cellule cerebrali: nei neuroni, ma anche nelle cellule di sostegno, la glia. Oppure esordiscono direttamente da cellule staminali congelate e conservate, ricavate dal sangue del cordone ombelicale del bambino autistico. Oggi i ricercatori hanno l'equivalente dei neuroni o della glia ricavati dal cervello di una persona autistica, con tanto di anomalie genetiche. Un'analisi del particolare corredo genetico - e di quali geni sono attivi nei neuroni nuovi di zecca - permetterebbe di stabilire in quale punto dello spettro autistico classificare un bambino, se sia affetto da una forma lieve del disturbo o se invece sia colpito da una forma grave che gli impedir� di pronunciare anche una sola parola. E se le cellule rispondono positivamente a un farmaco - formando connessioni migliori con altre cellule - i ricercatori hanno ragione di sperare che gli individui possano rispondere altrettanto favorevolmente. Applicando queste tecniche i medici potrebbero riuscire, un giorno, a determinare quali farmaci aiuterebbero meglio ad affrontare sintomi particolari. L'orizzonte pi� lontano prospetta possibilit� di portata addirittura pi� ampia, a un passo dalla fantascienza. Considerate la possibilit� di una cellula trasformata in laboratorio in una cellula neuronale o gliale, che contiene materiale genetico identico a quello del donatore, ma che magari � stato geneticamente modificato per correggere alcuni difetti molecolari propri dell'autismo. In quello che, per ora, � uno scenario ipotetico, un bambino affetto da autismo potrebbe ricevere, come impianto, queste cellule staminali, ed essere poi esposto a esperienze di apprendimento terapeutico, come quelle fornite dalla ESDM. Questa combinazione di terapie genetiche e comportamentali potrebbe allora riplasmare il sistema nervoso a livello cellulare e molecolare e forse migliorare significativamente le difficolt� di comunicazione e i comportamenti ripetitivi. Se questi scenari futuristici si materializzeranno, un giorno potremo dire di essere a un passo dalla cura per bambini come il piccolo Jayden, il figlio di Adrianna e di Jermaine. Bresci l'anarchico (di Pino Casamassima, "Focus Storia" n. 113/16) - Il 29 luglio 1900 Gaetano Bresci assassin� Umberto I. La vicenda � nota, ma sulla fine del regicida resta pi� di un mistero. - "Ho attentato al Capo dello Stato perch� � responsabile di tutte le vittime pallide e sanguinanti del sistema che lui rappresenta e fa difendere. Concepii tale disegnamento dopo le sanguinose repressioni avvenute in Sicilia in seguito agli stati d'assedio emanati per decreto reale. E dopo avvenute le altre repressioni del '98 ancora pi� numerose e pi� barbare, sempre in seguito agli stati d'assedio emanati con decreto reale". Con queste parole, Gaetano Bresci rivendic� l'omicidio di re Umberto I, compiuto alle 22:25 del 29 luglio 1900. Ecco come andarono quei fatti. Era domenica e Monza viveva un clima festoso: era in programma un "concorso ginnico" al quale avrebbe assistito anche il re. Le case, i locali pubblici e le strade erano un tripudio di tricolori, affollati di gente arrivata da ogni parte della Lombardia. Le esibizioni ebbero inizio alle 20:30, al campo sportivo. Re Umberto arriv� un'ora dopo e attorno alle 22 premi� le squadre vincitrici. Quando giunse il turno degli atleti trentini (il Trentino era ancora sotto gli austriaci), pronunci� una frase patriottica che entusiasm� la folla: "Sono contento di stringere la mano a degli italiani". Alle 22:25, quando tutto era finito, il sovrano sal� sulla carrozza reale, sedendosi al fianco di due generali. La carrozza si mosse subito dopo, ma mentre il re era ancora impegnato a rispondere ai saluti echeggiarono quattro colpi di pistola: tre dei quali colpirono Umberto a una spalla, a un polmone e al cuore, mentre l'ultimo colp� la carrozza. Il re cadde in avanti, contro le ginocchia del generale Avogadro di Quinto. "Non credo sia niente", disse Umberto. Si sbagliava di grosso: perse subito i sensi e in pochi minuti mor�. Nel frattempo, l'attentatore fu assalito dalla folla. Se non fossero intervenuti i carabinieri sarebbe stato linciato. Quando gli misero le mani addosso e lo arrestarono, Bresci grid�: "Io non ho ucciso Umberto, ho ucciso un principio". Ma qual era "il principio"? Per rispondere bisogna fare un passo indietro. Tutto era iniziato due anni prima, quando l'ennesimo aumento del costo della farina e del pane aveva esasperato i milanesi, che avevano assaltato i forni cittadini. Era la "protesta dello stomaco". Quei disordini rischiavano di far scricchiolare i gi� fragili equilibri politici dell'Italia da poco unita. Di fronte a quel pericolo, il re aveva ordinato al generale Bava Beccaris di ristabilire l'ordine. E il 9 maggio, dopo sei giorni di tumulti, Fiorenzo Bava Beccaris ubbid� a modo suo, da militare, cannoneggiando la folla. Alla fine di quella giornata i morti furono decine (fonti ufficiali parlarono di 80 vittime, altre di 300) e i feriti non si contarono neppure. Bava Beccaris si guadagn� la Croce di Grand'ufficiale da parte del re per "Il grande servizio che Ella rese alle istituzioni e alla civilt�" e la carica di senatore come "riconoscenza mia e della Patria". Mentre Bava Beccaris sparava sui milanesi, Bresci si trovava a migliaia di chilometri di distanza, in America. Per la precisione a Paterson, New Jersey. Ci era arrivato nel 1896, dopo aver messo incinta in Italia un'operaia che lavorava nella sua stessa fabbrica di filati. Schedato dalla polizia di Prato (era nato a Coiano, nel 1869) come anarchico pericoloso, negli Stati Uniti Bresci entr� subito in contatto con la numerosa comunit� italiana di esuli, entrando subito in un circolo anarchico. A Paterson si rifece una vita, con tanto di moglie e figli. E a Paterson lo raggiunse la notizia che lo fece indignare: il re aveva trasformato il macellaio Bava Beccaris in un eroe nazionale. L'idea del regicidio matur� probabilmente nel febbraio del 1900. Decise di tornare in Italia. Alla moglie raccont� di dover rientrare in patria per regolare alcune faccende ereditarie, si procur� una pistola (sappiamo che la pag� 7 dollari) e, il 17 maggio, dopo aver acquistato per 31 dollari un biglietto per il piroscafo Gascogne diretto a Le Havre, in Francia, part� con 130 dollari in tasca. Raggiunta Coiano, Bresci ci rimase per oltre un mese. Che cosa fece in quelle settimane? Si allenava di nascosto con la pistola, in un campo dietro casa. E aspettava il momento pi� adatto per entrare in azione. Quel momento arriv� quando si seppe che Umberto I avrebbe trascorso una vacanza nella Villa Reale di Monza. Bresci si spost� in Lombardia e arriv� a Monza il 27 luglio. Affitt� una camera e quello stesso giorno cominci� a gironzolare per il Parco Reale, che era aperto al pubblico, chiedendo ai vetturini quando avrebbe potuto vedere di persona il re. Uno di essi gli disse che due giorni dopo Umberto I avrebbe assistito al concorso ginnico di Monza. Quello che avvenne dopo lo sappiamo. L'epilogo della storia, invece, � meno conosciuto. Condannato all'ergastolo, Bresci fu rinchiuso a Porto Azzurro, sull'Isola d'Elba, poi nel carcere di Santo Stefano, a Ventotene, in totale isolamento e sempre con i ceppi ai piedi. Alle 14:55 del 22 maggio 1901, a 10 mesi dal regicidio, un secondino lo trov� appeso all'inferriata della sua cella. Soltanto molti anni dopo, Sandro Pertini, durante una seduta dell'Assemblea Costituente (1947), dichiar� che Bresci aveva subito "il Sant'Antonio": un tipo di pestaggio che poteva portare alla morte. Secondo alcune ricostruzioni tre guardie avrebbero fatto irruzione nella cella, l'avrebbero immobilizzato buttandogli addosso una coperta, e poi lo avrebbero massacrato a pugni. I medici che effettuarono l'autopsia dissero che il cadavere presentava uno stato iniziale di decomposizione, il che significherebbe che Bresci era morto prima di quel 22 maggio, giorno del presunto suicidio. Il mistero s'infitt� quando spar� il dossier che sulla vicenda aveva messo insieme Giovanni Giolitti. Non solo: la famiglia di Bresci fin� a sua volta nel mirino della polizia. Non bastarono le denunce del giornale L'Avanti! (che anzi sub� ritorsioni e attacchi minatori) sulle condizioni degli anarchici in carcere: nessuno fece mai chiarezza sulla morte dell'"anarchico venuto dall'America".