Giugno 2021 n. 6 Anno VI Parliamo di... Periodico mensile di approfondimento culturale Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registraz. n. 19 del 14-10-2015 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Pietro Piscitelli Massimiliano Cattani Luigia Ricciardone Copia in omaggio Rivista realizzata anche grazie al contributo annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del MiBACT. Indice I virus che vivono in noi Che cos'� la politica? I virus che vivono in noi (di David Pride, "Le Scienze" n. 632/21) - Il viroma umano � composto da migliaia di miliardi di virus. Alcuni sono dannosi mentre altri potrebbero aiutarci, se riusciremo a capire come sfruttarli a nostro favore. - Nel 2020 milioni di persone in tutto il mondo hanno cambiato radicalmente il loro stile di vita per evitare contatti con altre persone e, di conseguenza, con il nuovo coronavirus. Nonostante il distanziamento sociale molti si sono comunque ammalati, in parte a causa di altre infezioni virali. Come gli scienziati stanno scoprendo, molti virus abitano nel corpo umano in qualit� di ospiti silenziosi, nascosti nelle cellule dei polmoni, del sangue e dei nervi e all'interno delle moltitudini di microbi che colonizzano l'intestino. Secondo i biologi, circa 380.000 miliardi di virus vivono sulla superficie del nostro organismo e al suo interno, una cifra dieci volte superiore a quella dei batteri. Alcuni virus possono provocare malattie mentre altri possono convivere con gli esseri umani senza problemi. A fine 2019, per esempio, ricercatori dell'Universit� della Pennsylvania hanno scoperto 19 ceppi diversi di redondovirus nel tratto respiratorio; alcuni erano associati a parodontite o malattie polmonari, mentre altri sembravano in grado di combattere le malattie respiratorie. Le continue scoperte degli scienziati indicano chiaramente come il nostro organismo sia non tanto un complesso di cellule "umane" talvolta invase da microbi, bens� un superorganismo in cui convivono cellule, batteri, funghi e virus, questi ultimi i pi� numerosi. Secondo i calcoli pi� recenti, quasi la met� di tutta la materia biologica che compone il nostro corpo non � di origine umana. Fino a un decennio fa, gli scienziati erano quasi all'oscuro dell'esistenza del viroma umano. Oggi invece sappiamo che questo ampio insieme � parte integrante del pi� grande microbioma umano, un incredibile mix di organismi microscopici attivi e passivi che occupano pressoch� ogni angolo del nostro corpo. Abbiamo dedicato gli ultimi dieci anni alla mappatura del viroma, e pi� lo analizziamo pi� ci rendiamo conto di quanto sia in grado di influire sulle nostre vite sia in modo positivo sia in modo negativo. Secondo recenti ricerche, sarebbe addirittura possibile sfruttare il viroma a favore della salute. Alcuni scienziati della Rockefeller University hanno purificato un enzima da un virus che uccide i batteri scoperto in pazienti colpiti da infezioni da stafilococco resistente alla meticillina. I risultati sono talmente incoraggianti che la statunitense Food and Drug Administration ha definito l'enzima, ora alla fase 3 dei trial clinici, una "terapia rivoluzionaria". Oggi parliamo regolarmente di batteri "buoni" o "cattivi"; le stesse categorie valgono per i virus. La sfida consiste nel capire come fermare i virus cattivi e favorire quelli buoni. Infettati alla nascita Il corpo umano � un ambiente ricco di proteine, grassi e carboidrati, e dunque un habitat ideale per i microbi. Molti virus hanno imparato a vivere pacificamente al suo interno senza farci ammalare. Per riprodursi, i virus devono invadere cellule ospiti e sono capaci di sfruttare tutte le opzioni disponibili nel nostro organismo. Una decina di anni fa il sequenziamento del genoma, un'attivit� relativamente poco costosa, ci ha permesso di scoprire un gran numero di virus nel cavo orale e nell'intestino. Verso il 2013 alcuni scienziati hanno poi identificato virus sulla pelle e nel tratto respiratorio, nel sangue e nell'urina. Pi� di recente ne sono stati scoperti in aree del corpo ancora pi� sorprendenti. Nel settembre 2019, per esempio, con Chandrabali Ghose e i nostri colleghi abbiamo pubblicato informazioni dettagliate sui virus scoperti nel liquido cefalorachidiano di adulti sottoposti a test per diverse malattie. I virus appartenevano a diverse famiglie e non erano associati ad alcuna malattia nota. Abbiamo identificato gli stessi virus nel plasma del sangue, nel liquido articolare (o sinoviale) e nel latte materno. Gli scienziati sapevano che alcuni rari virus infettivi, in particolare l'herpes, erano capaci di entrare nel liquido cefalorachidiano, ma incontrare virus in circolazione come se fossero semplici passanti fu una sorpresa. Il sistema nervoso centrale, che si presume essere un ambiente sterile, � colonizzato da una comunit� virale a s� stante. Sembra che il nostro viroma inizi a formarsi fin dalla nascita. Alcuni studi rivelano un'elevata diversit� virale nell'intestino del neonato poco dopo la nascita, il che farebbe risalire la loro provenienza alla madre, e in alcuni casi all'ingestione di latte materno. Il numero di alcuni di questi virus diminuisce con il passare delle settimane o dei mesi, mentre altri entrano nell'organismo attraverso l'aria, l'acqua, il cibo e il contatto con altre persone. Questi virus diventano sempre pi� numerosi e diversi, infettando cellule in cui resteranno per anni. I viromi dei neonati non sono stabili, mentre quelli degli adulti sono relativamente stabili. Gli anelloviridae, una famiglia composta da 200 specie diverse, sono presenti in quasi tutte le persone adulte. Questo corrisponde al comportamento osservato nei batteri. Molti dei virus che vivono nel corpo umano non colpiscono le nostre cellule, ma vanno in cerca dei batteri nel nostro microbioma. Noti come batteriofagi, o fagi, questi virus penetrano le cellule batteriche, usano il loro apparato per moltiplicarsi e spesso esplodono per infettare altri batteri, uccidendo cos� le cellule ospiti. I batteriofagi sono pressoch� onnipresenti in natura. Cercando con attenzione, � possibile trovarli nel suolo, in qualsiasi fonte idrica dagli oceani all'acqua di rubinetto e in ambienti estremi come le miniere acide, l'Artico e le sorgenti termali. Alcuni galleggiano addirittura nell'aria. I fagi resistono in tutti questi ambienti perch� vanno a caccia dei batteri che li popolano. E noi esseri umani non siamo che un ulteriore territorio di caccia. Nel 2017 Sophie Nguyen e Jeremy Barr, che all'epoca lavoravano alla San Diego State University, hanno dimostrato che molti fagi raggiungono la loro posizione finale nel corpo attraversando le membrane mucose. In esperimenti di laboratorio, i fagi penetravano le membrane che rivestono l'intestino, i polmoni, il fegato, i reni e persino il cervello. Ma quando riescono casualmente ad accedere a luoghi come il sistema nervoso centrale, dove pochi batteri possono fungere da ospiti, potrebbero non riuscire a replicarsi e infine morire. A ognuno il suo viroma Il viroma pu� cambiare enormemente a seconda delle parti del corpo. Quando io e Ghose abbiamo cercato virus in parti del corpo inaspettate, abbiamo determinato anche che i virus della bocca sono diversi da quelli dell'intestino, che sono a loro volta diversi da quelli nell'urina o nel sangue. Sapevamo che questa caratteristica era propria dei batteri, ma agli inizi non disponevamo di dati sufficienti sui virus. Non � difficile trovare volontari disposti a cedere un campione di saliva, mentre � molto pi� complesso trovarne di disponibili a fornire campioni di feci o sangue e a convincere le universit� ad autorizzarne la raccolta e l'analisi. Una volta raccolti i campioni, � necessario filtrare i batteri, lasciare minuscole parti di materiale virale esaminabili al microscopio e inserire i campioni cos� trattati in un macchinario che sequenzia gli acidi nucleici che codificano per i geni presenti. Oggi il lavoro effettuato dagli scienziati permette di sapere quale parte del corpo stanno esaminando dalla semplice osservazione dei virus presenti. Insieme alla collega Melissa Ly, dell'Universit� della California a San Diego, abbiamo dimostrato che, confrontando i viromi di persone non imparentate, � possibile determinare se queste siano conviventi o meno. Nonostante persone diverse possano avere viromi nettamente diversi, sembra che le persone conviventi condividano circa il 25 per cento dei virus del loro viroma. I virus possono essere trasmessi da un membro di un nucleo familiare all'altro non solo tramite i classici mezzi di contagio, come un colpo di tosse, ma anche tramite contatti casuali, la condivisione di lavandini, servizi igienici, scrivanie e cibo. Anche se i nostri studi riguardano un numero ridotto di persone, i dati indicano che i coinquilini non legati da una relazione affettiva condividono una percentuale di virus simile a quella dei conviventi in coppia. I contatti intimi sembrerebbero non fare una grande differenza; � sufficiente vivere nello stesso spazio. Il quadro tuttavia � molto complesso. Shira Abeles, un'altra collega dell'Universit� della California a San Diego, ha identificato alcune differenze importanti tra i viromi del cavo orale di uomini e donne; gli ormoni potrebbero esserne i responsabili, ma nessuno ha mai dimostrato una correlazione del genere. Sappiamo che i viromi possono variare notevolmente in base alla geografia delle popolazioni. Per esempio, i viromi degli abitanti dei paesi occidentali sono meno diversi tra loro rispetto a quelli delle popolazioni non occidentali. Queste differenze potrebbero dipendere sia dall'alimentazione che dall'ambiente. Vagabondi o parassiti Molti virus del nostro viroma infettano i batteri, mentre una piccola percentuale colpisce direttamente le cellule dei nostri tessuti. Questi virus potrebbero essere in minoranza perch� soppressi dal nostro sistema immunitario. Mentre era alla Stanford University, Iwijn De Vlaminck (oggi alla Cornell University) ha dimostrato che quando il sistema immunitario di una persona viene messo a dura prova, per esempio in occasione di un trapianto e della conseguente assunzione di immunosoppressori antirigetto, la presenza di alcuni virus aumenta considerevolmente. In questi casi osserviamo un aumento sia dei virus che provocano malattie che di quelli innocui. Questa osservazione suggerisce che in condizioni normali il sistema immunitario sia in grado di tenere sotto controllo il viroma, ma quando l'immunit� � a rischio i virus riescono a moltiplicarsi senza freni. Questo genere di comportamento opportunistico sembrerebbe verificarsi anche con COVID-19. Le persone che si ammalano a causa del virus SARS-CoV-2, specialmente quelle con malattie gravi, possono sviluppare coinfezioni. Le pi� comuni infezioni secondarie sono la polmonite batterica, o la batteriemia (un aumento dei batteri nel flusso sanguigno), causate da organismi come Staphylococcus aureus e Streptococcus pneumoniae. Anche se con minore frequenza, abbiamo rilevato coinfezioni virali da influenza, virus respiratorio sinciziale e adenovirus. I virus che si celano nel viroma potrebbero inoltre riattivarne altri, come il virus di Epstein-Barr e il citomegalovirus. Quando il sistema immunitario � impegnato contro COVID-19, il paziente potrebbe essere pi� vulnerabile ad altri attacchi virali. Molti fagi, pur essendo cacciatori, convivono in armonia con le loro prede. Un virus non � altro che una matassa di proteina che avvolge una molecola contenente istruzioni genetiche, il codice genetico del virus. Quando alcuni fagi infettano un batterio, integrano il loro genoma in quello del batterio ospite. Alcuni virus si riproducono immediatamente uccidendo il batterio ospite, mentre altri fagi restano all'interno dell'ospite, in una sorta di ibernazione silenziosa. Probabilmente si tratta di una strategia di sopravvivenza: al momento della divisione, il batterio ospite non crea solo una copia del proprio genoma, ma anche di quello del fago. In questo modello, la sopravvivenza dell'ospite determina la sopravvivenza del fago; � dunque nell'interesse del fago mantenere vivo il proprio ospite. Il motivo per cui una strategia del genere � vantaggiosa per il fago � evidente, mentre non lo � altrettanto per i batteri. Per qualche strana ragione, sembra che molti batteri nel corpo umano si siano abituati a convivere con i propri fagi. Quando si presenta l'opportunit�, i fagi in ibernazione possono risvegliarsi e produrre numerosi discendenti, uccidendo le cellule ospiti. Talvolta i fagi in uscita portano con s� i geni dei batteri. Questo carico utile pu� in alcuni casi essere vantaggioso per i successivi batteri infettati dai fagi. Per esempio, nella saliva ho rilevato alcuni fagi portatori di geni che aiutano i batteri a eludere il sistema immunitario. Alcuni fagi sono addirittura portatori di geni che favoriscono la resistenza agli antibiotici dei batteri. Ai fagi questi geni non servono, essendo immuni agli antibiotici, quindi nel fornire i loro geni ai batteri favoriscono la sopravvivenza degli ospiti, che equivale alla sopravvivenza dei fagi stessi. Osserviamo spesso questo genere di trasferimenti. I fagi possono spingersi anche oltre nel proteggere i propri ospiti. Il batterio Pseudomonas aeruginosa, noto principalmente come causa della polmonite, pu� scatenare una serie di malattie. Per le persone con malattie polmonari come la fibrosi cistica � quasi impossibile eliminare questo batterio dai polmoni, anche assumendo antibiotici progettati per ucciderlo. Alcuni P' aeruginosa hanno integrato nei loro genomi i cosiddetti fagi filamentosi. Nel 2019 alcuni ricercatori sotto la supervisione di un gruppo della Stanford University, che includeva Elizabeth Burgener e Paul Bollyky, hanno scoperto che i fagi filamentosi possono produrre un mantello protettivo, composto da strati di carboidrati e proteine che aiutano i batteri a nascondersi agli antibiotici. Questo stratagemma permette ai batteri ospiti di mettersi al riparo fino alla scomparsa degli antibiotici e di provocare ulteriori infezioni in un secondo momento. Virus benefici Viene dunque spontaneo chiedersi: � possibile sfruttare i virus nel nostro organismo a vantaggio della salute? Abbiamo gi� osservato alcuni casi in cui questo avviene naturalmente. Nei loro spostamenti all'interno del corpo alla ricerca di batteri, alcuni fagi si legano a cellule sulla superficie delle membrane mucose, come quelle che rivestono il naso, la gola, lo stomaco e l'intestino. L� i fagi non riescono a replicarsi, ma possono rimanere nascosti in attesa del passaggio di un ospite vulnerabile. In teoria questo processo potrebbe proteggerci da alcune malattie. Per esempio, supponiamo che una persona assuma cibo contaminato da batteri del genere Salmonella. Se i batteri si strofinassero contro la membrana dello stomaco, i fagi presenti sulla membrana potrebbero infettarli e ucciderli prima che i batteri possano provocare una malattia. In questo modo i fagi agirebbero come una sorta di sistema immunitario che ci protegge dalle malattie. Questa teoria non � ancora stata confermata, ma nel 2019 un gruppo di ricerca in Finlandia ha dimostrato che nei maiali e nelle trote iridee alcuni fagi si legano alle mucose e vi restano per sette giorni, proteggendo gli animali da un tipo di batterio che tipicamente li colpisce. Un fago che suscita molto interesse � crAssphage, scoperto nel 2014 da Bas Dutilh, del Radboud Institute nei Paesi Bassi. Gli studi effettuati successivamente hanno dimostrato che questo batteriofago vive nell'organismo della maggior parte delle persone in tutto il mondo, fatta eccezione per le popolazioni tradizionali di cacciatori-raccoglitori. Trovare una diffusione cos� ampia dello stesso identico virus � insolito, e nessuno � stato in grado di collegarlo a una malattia in particolare. Secondo gli scienziati, questo fago controllerebbe la prevalenza di un comune batterio intestinale chiamato Bacteroides. Se cos� fosse, potremmo essere in grado di sfruttarlo per migliorare la salute gastrointestinale. Il batterio ha una presenza talmente estesa nelle feci umane da spingere i ricercatori a cercarlo anche nell'acqua potabile, per capire se l'acqua � stata contaminata da liquami. I medici sono particolarmente interessati ai fagi in grado di contrastare il notevole aumento di batteri resistenti agli antibiotici. Lo sviluppo di nuovi antibiotici non � proceduto a un ritmo sufficiente. Secondo le stime dell'Organizzazione mondiale della Sanit�, entro il 2050 questi patogeni provocheranno almeno 10 milioni di vittime l'anno, il che rende indispensabile trovare terapie alternative. I fagi furono scoperti oltre un secolo fa, e i medici tentarono di usarli per curare i batteri responsabili di malattie, ma senza grande successo. Negli anni quaranta gli antibiotici sostituirono i fagi in gran parte del mondo, essendo molto pi� efficaci e facili da usare. Oggi alcuni ricercatori medici, come gli scienziati della Rockefeller University, che hanno usato l'enzima di un fago per combattere le infezioni da stafilococco resistente alla meticillina, stanno considerando i fagi da un nuovo punto di vista. Per anni la maggior parte dei medici ha avuto timore nel somministrare i fagi, non sapendo se il sistema immunitario avrebbe reagito eccessivamente provocando livelli pericolosi di infiammazione. I fagi a uso terapeutico sono sviluppati nei batteri, e se i batteri non venissero rimossi del tutto prima della somministrazione potrebbero scatenare una risposta immunitaria troppo aggressiva. Oggi possiamo contare su metodi pi� sofisticati per la purificazione dei fagi, e le preoccupazioni nei confronti di una risposta avversa sono ampiamente diminuite. Il vero limite all'uso dei fagi per curare le malattie infettive � la difficolt� nel reperire virus davvero efficaci. Per molti anni i ricercatori hanno passato al setaccio gli habitat naturali alla ricerca di fagi potenzialmente attivi contro i batteri responsabili di malattie. Oggi sappiamo che i virus abbondano nelle feci, nella saliva e nell'espettorato; questo ha permesso ai ricercatori di capire che una delle fonti pi� ricche di fagi potrebbero essere gli impianti di trattamento delle acque reflue. Alcuni di questi fagi sono gi� usati in terapie sperimentali. In un caso esemplare del 2016 supervisionato da Robert Schooley, anche lui all'Universit� della California a San Diego, alcuni medici hanno usato fagi estratti dalle acque reflue e da fonti ambientali per curare efficacemente Tom Patterson, un professore dell'ateneo con un'insufficienza multiorgano provocata da Acinetobacter baumannii, un batterio noto per la sua resistenza ai farmaci. Una salute migliore Nell'apprendere i diversi ruoli dei virus nel viroma umano, potremmo scoprire anche nuove opportunit� terapeutiche. Alejandro Reyes, della Washington University a Saint Louis, ha dimostrato che nei topi i fagi sono in grado di plasmare le comunit� batteriche dei roditori, anche se non siamo sicuri su che cosa cambi per primo: i virus o i batteri. Se fossero le comunit� virali a cambiare per prime, potrebbero conformare le comunit� batteriche a loro vantaggio. Se invece fossero le comunit� batteriche a cambiare per prime, probabilmente le comunit� virali si adatterebbero in modo da infiltrare i nuovi batteri. I ricercatori hanno dimostrato che i viromi cambiano notevolmente nelle parodontiti e nelle malattie infiammatorie intestinali. Anche se sar� necessario molto tempo per comprendere i misteri del viroma umano, � importante ricordare gli enormi passi avanti compiuti in un solo decennio. Dieci anni fa molti scienziati ritenevano che il microbioma fosse solo uno strato inerte di minuscoli organismi all'interno del corpo, concentrato soprattutto nell'intestino. Oggi sappiamo invece che, nonostante alcune parti del microbioma siano effettivamente stabili, altre sono attive e in continua evoluzione. E sembra proprio che i protagonisti pi� attivi di questo cambiamento siano i virus. Uno studio del 2018 sui tessuti cerebrali donati da persone morte di Alzheimer ha rilevato un'elevata presenza di herpesvirus. Successivamente, nel maggio 2020, ricercatori della Tufts University e del Massachusetts Institute of Technology hanno infettato con Herpes simplex 1 un tessuto creato in laboratorio e simile a quello cerebrale, e hanno osservato come questo si riempisse di formazioni simili alle placche amiloidi che tappezzano il cervello di persone con Alzheimer. � sorprendente rendersi conto del potenziale di alcuni virus. Mentre guardiamo pi� in profondit�, potremmo scoprire nuove categorie di virus che colpiscono la salute, ma anche nuovi metodi con cui sfruttare i virus per manipolare il nostro microbioma e proteggerci dalle malattie. Se riuscissimo a capire come gestire i virus nocivi e trarre beneficio da quelli buoni, potremmo aiutare noi stessi a diventare superorganismi pi� resistenti. Che cos'� la politica? (di Andrea Millefiorini, "Prometeo" n. 153/21) - � un agire di gruppo finalizzato al perseguimento di certi interessi o all'affermazione di determinati valori col ricorso, in ultima istanza, alla forza fisica entro un dato territorio. - Discuteremo qui, a partire dalla lezione weberiana, del concetto di politica, e del problema di arrivare a darne una definizione attuale, ricomprendendovi non solo l'attivit� propria di istituzioni politiche, ma anche quella di agenzie politiche come partiti e movimenti, siano essi moderati, radicali o anche violenti. Inoltre, considerando le tante e diverse fattezze che la politica ha incarnato nel corso della storia, religiose innanzitutto, ma poi anche assolutistiche, militari, inglobanti l'economia (si pensi al mercantilismo), e poi ancora separandosi da quest'ultima (laissez-faire), e successivamente rendendosene, come oggi, interdipendente, ebbene, vogliamo tracciare un confine nel quale tutte queste diverse "incarnazioni" del fare politica possano essere comunque ricomprese. Come definisce Weber la politica? In La politica come professione la definisce "aspirazione a partecipare al potere o ad influire sulla ripartizione del potere, sia tra gli stati, sia nell'ambito di uno stato tra i gruppi di uomini compresi tra i suoi limiti" (Weber [1919] 1948, pp. 48-49). In Economia e societ�, nell'ultimo tomo, alle ultime pagine, ripeter� la stessa definizione: "Noi definiamo quindi la politica come l'aspirazione a una partecipazione al potere o ad un'influenza sulla distribuzione del potere, sia tra stati che nell'ambito di uno stato, tra i gruppi di uomini che esso comprende" (Weber [1922] 1999 [vol. IV], p. 479). � dunque questa la definizione che Weber predilige, rispetto ad altre che d� nella stessa opera o in altre. Ma a quale potere Weber si riferisce? Se intendiamo il potere in generale, allora varrebbe l'uso comune del termine (politica aziendale, politica condominiale, politica sportiva, politica familiare, ecc.). E questo non ci aiuterebbe affatto ad avvicinarci all'obiettivo che ci siamo proposti. Dovremmo allora dire meglio: "aspirazione a partecipare al potere politico". Se per� procedessimo in questo modo, ci troveremmo di fronte a una definizione circolare, ricorsiva: "La politica � aspirazione a partecipare al potere politico", e saremmo dunque punto e a capo. Se prima dovevamo definire il sostantivo, ora dobbiamo definire l'aggettivo. Tuttavia, l'idea di partire prima dall'aggettivo, per arrivare poi al sostantivo, non � poi cos� campata in aria. Si tratta in altri termini di domandarsi non "Cosa � "politica"?", ma piuttosto "Cosa � "politico"?". E non si tratta affatto, come si vedr�, di una questione oziosa. Gli aggettivi possono infatti essere molto pi� facilmente associabili a "qualcosa". Potremmo cio� risalire al concetto inferendone gli elementi che caratterizzano la sua aggettivazione. L'operazione, sotto uno stretto profilo semantico, non � impropria. Se sullo Zingarelli cerco il termine "avventatezza", per esempio, trovo, come prima definizione, la seguente: "Caratteristica di chi, o di ci�, che � avventato". Seguono, poi, i vari sinonimi. In ogni caso, per avere una corretta idea del termine (il sostantivo "avventatezza"), dovr� andare a cercare l'aggettivo ("avventato"). Abbiamo inoltre un sostegno pi� che autorevole alla nostra impostazione di metodo: tra gli scritti di Carl Schmitt raccolti nell'opera Le categorie del politico (1972), ve n'� uno che si intitola, per volont� dello stesso Schmitt, Il concetto di politico, non gi� "Il concetto di politica". Cominciamo dunque con il cercare di abbozzare una prima definizione del concetto di "politico", cio� di "cosa � politico", cosa risponde all'attributo di "politico". Torniamo a Weber. Per trovare un passaggio nel quale associa l'attributo di politico a un sostantivo, dobbiamo arrivare a p. 48 della Politica come professione, quando tratta il tema dell'associazione politica, dove in questo caso, evidentemente, il termine "politica" � usato come un aggettivo al femminile, riferito ad "associazione", e non come un sostantivo: "Ma che cos'� un'associazione "politica" dal punto di vista sociologico? [...] Quest[a] non pu� definirsi secondo il contenuto del suo agire. Non vi � nessuna funzione che un'associazione politica non abbia una volta o l'altra esercitata, ossia che sempre ed esclusivamente appartenga alle associazioni definite come politiche - e quindi, oggi, come stati - oppure a quelle che storicamente hanno precorso lo stato moderno. Sociologicamente quest[a] pu� piuttosto definirsi in ultima analisi secondo un mezzo specifico che appartiene allo stato come ad ogni associazione politica: la forza fisica" (Weber [1919] 1948, p. 48). Dunque l'associazione � un primo elemento correlabile all'attributo "politico". Nella Politica come professione dobbiamo per� accontentarci di questo solo passaggio. Se vogliamo cercarne altri, dobbiamo prendere in mano il primo volume di Economia e societ� e andare a p. 53, dove si legge: "Il gruppo politico � caratterizzato dalla circostanza che la forza viene impiegata (per lo meno anche) a garanzia di "ordinamenti", e inoltre dal fatto che esso pretende il potere per il proprio apparato amministrativo e per i suoi ordinamenti entro un dato territorio, e lo garantisce con l'uso della forza. In tutti i casi in cui a certi gruppi che impiegano la forza inerisce tale carattere - sia che si tratti di comunit� di villaggio o di particolari comunit� domestiche oppure di gruppi costituiti da corporazioni o da associazioni di lavoratori ("consigli") - essi debbono essere chiamati, in quanto tali, gruppi politici" (Weber [1922] 1999 [vol. I], p. 53). Nel primo volume di Economia e societ� troviamo, oltre che con il concetto di "gruppo", un'associazione dell'aggettivo "politica" anche al termine "comunit�" (comunit� politica). Dunque per Weber il "politico" � concepibile in quanto associato al concetto di gruppo, di associazione oppure di comunit�. Abbiamo poi un quarto elemento che Weber associa al concetto di politico, cio� quello di territorio, inteso in termini di area sempre e comunque ben delimitata, non necessariamente da confini ma almeno da limiti geografici. Perch� parla di limiti geografici e non di confini? Perch� evidentemente, e giustamente, egli ricomprende nella categoria del politico sia comunit� politiche dai confini non ben definiti (et� arcaica) sia Stati (et� antica e moderna). Un gruppo di potere dev'essere chiamato gruppo politico nella misura in cui la sua sussistenza e la validit� dei suoi ordinamenti entro un dato territorio con determinati limiti geografici (si badi: limiti, non confini, N.d.R.) vengono garantite continuativamente mediante l'impiego e la minaccia di una coercizione fisica (ivi, p. 53). In ciascuno dei quattro casi cui pu� essere associabile (gruppo, associazione, comunit�, territorio), il "politico" ha necessariamente a che fare - lo si � visto sopra - con questioni legate all'uso della forza fisica a garanzia di ordinamenti. Abbiamo quindi due primi importanti concetti: (1) Il "politico" afferisce a ci� che riguarda gruppi umani (in senso estensivo, ricomprendendovi anche le associazioni e le comunit�) e (2) contemporaneamente, ha a che fare con l'uso della forza fisica a garanzia di ordinamenti entro un dato territorio. Cerchiamo per�, adesso, di capire bene cosa intende Weber quando parla di comunit� politica o di associazione politica. Qual � la differenza tra questi due termini? "Una relazione sociale deve essere definita "comunit�" se, e nella misura in cui la disposizione dell'agire sociale poggia - nel caso singolo o in media o nel tipo puro - su una comune appartenenza soggettivamente sentita (affettiva o tradizionale) degli individui che ad essa partecipano. Una relazione sociale deve essere definita "associazione" se, e nella misura in cui la disposizione dell'agire sociale poggia su una identit� di interessi, oppure su un legame di interessi motivato razionalmente" (ivi, p. 38). "La grande maggioranza delle relazioni sociali ha per� in parte il carattere di una comunit�, ed in parte il carattere di un'associazione" (ivi, p. 39). Per logica deduttiva, possiamo quindi inferire che la grande maggioranza dei gruppi politici ha sia il carattere di una comunit� (appartenenza), sia il carattere di un'associazione (interessi e risorse). I gruppi politici, cio�, possono essere contraddistinti da comuni interessi (associazioni) e/o da comuni appartenenze (comunit�), appartenenze che poggiano, o si traducono, sempre in comuni valori (questo verr� meglio specificato da David Easton [1963]). Inoltre, spesso dai primi (gli interessi) discendono i secondi (i valori), e ancor pi� spesso i due sono in parte o in tutto sovrapposti e dunque poco distinguibili. Venuti in possesso degli elementi che, secondo Weber, sono denotati dall'attributo "politico", possiamo quindi, adesso, utilizzarli come elementi che connotano, non ovviamente l'attributo, ma il sostantivo, e cio� la politica. La politica � un agire di gruppo finalizzato al perseguimento di interessi o all'affermazione di valori sotto forma di ordinamenti vincolanti per una collettivit�, attraverso il ricorso, in ultima istanza, alla forza fisica entro un dato territorio. Abbiamo detto "un agire", che � espressione abbastanza generica. Stando per� a quanto abbiamo a disposizione del testo weberiano, qui ci dobbiamo fermare. Weber ci dice poco sulle forme e sulle modalit� prevalenti con le quali si presenta tale agire. In altri termini, ci spiega che tipo di agire � la politica, ma non abbastanza sulle forme, o meglio sulla forma, prevalente, con cui essa si sviluppa nel suo corso. Ci� che manca in Weber, o per lo meno non � abbastanza sviluppato e chiarito - probabilmente perch� implicito nella sua spiegazione - � la presenza del conflitto all'interno del concetto di agire politico. Qui si rende inevitabile chiamare in soccorso Carl Schmitt. Alla luce delle categorie di amico/nemico da lui individuate, � possibile verificare come la politica sia conflitto, e come non sia immaginabile al di fuori di esso (Schmitt 2005). Certo, va poi ricordato che il conflitto non sempre e non necessariamente si presenta in forma violenta ed estrema, e che esso pu� essere mediato o istituzionalizzato (mediato o istituzionalizzato all'interno di un gruppo politico, tra gruppi politici, sino ad arrivare a comunit� politiche di tipo nazionale o statuale, in quest'ultimo caso attraverso lo strumento della diplomazia o di organismi sovranazionali) e dunque possa, in questo ultimo caso, essere denominato "competizione". Potremmo quindi ricomprendere entrambi i concetti di conflitto e di competizione sotto la dizione di "lotta". Alla luce del contributo schmittiano, possiamo quindi cos� riformulare la nostra definizione: la politica � la lotta tra gruppi finalizzata al perseguimento di interessi o all'affermazione di valori sotto forma di ordinamenti vincolanti per una collettivit�, attraverso il ricorso, in ultima istanza, alla forza fisica entro un dato territorio. Questa definizione, non sostantiva ma descrittiva, "positiva" diremmo, � tale in quanto lo stesso Weber, come in seguito far� anche Hannah Arendt (2006), ci mette in guardia dal poter definire la politica sotto un mero profilo sostanzialistico, relativo cio� alle sue finalit�. Le finalit� della politica sono state le pi� diverse nel corso del tempo, e vano sarebbe tentare di individuarne una in particolare, come per esempio "il governo della collettivit�", o "il governo della polis". Non si descriverebbe nulla, si ricadrebbe nella notte hegeliana in cui tutte le vacche sono nere. A parte il fatto che si potrebbero citare casi e casi di societ� umane nelle quali � stata presente una sovranit� politica senza che questa abbia avuto la bench� minima idea di cosa potesse essere il "governo", per non parlare del "buon governo" della collettivit� nella quale essa esercitava la sua sovranit�. A parte ci�, con il XX secolo, ci ha spiegato nuovamente Arendt, viene a cadere anche quella che sino ad allora era stata considerata spesso, dalla filosofia, una tipica prerogativa della politica. Ed � esattamente con i regimi totalitari che il concetto di "governo" perde definitivamente ogni possibile valenza o significato. Sappiamo infatti, dall'ampia letteratura sociologica e politologica sul totalitarismo, che uno degli obiettivi di quelle �lites rivoluzionarie era proprio quello di tenere le masse in uno stato di permanente atomizzazione, in uno stato "magmatico", cos� da poterle meglio plasmare di volta in volta per i fini pi� diversi, oltre che, spesso, tra loro contraddittori. Quanto di pi� lontano, dunque, da quella che Foucault defin� a suo tempo la "governamentalit�" (Foucault 2005). Fin qui, dunque, possiamo dire che l'apporto della sociologia politica e della scienza politica, grazie a Max Weber, a Carl Schmitt e a David Easton (quest'ultimo per quanto concerne i valori), ha fornito basi che possiamo ritrovare in quasi tutti i manuali di sociologia politica o di scienza politica, oltre che in alcune edizioni di enciclopedie (Panebianco, Matteucci 1997). Rientrano dunque in questa definizione anche forme di lotta politica violenta e finanche il terrorismo, e altres�, come si � visto, forme come la militanza in un movimento politico o in un partito. L'obiezione che qui potrebbe farsi all'inserimento di queste ultime due fattispecie, partiti e movimenti, potrebbe essere la seguente: per lo meno nei regimi democratici, essi non ricorrono affatto all'uso della forza. Su questo punto � necessario chiarire bene un aspetto. � vero, chi fa politica, in democrazia, nei partiti e nei movimenti non dispone dell'uso della forza. Ma il fine, l'obiettivo di partiti e movimenti � comunque quello di arrivare a prendere, o a far prendere dalle istituzioni, decisioni vincolanti per l'intera collettivit�, da imporre attraverso un'autorit� (politica) che possa esigere, nel caso di inosservanza di quella decisione, anche, in ultima istanza, la possibilit� del ricorso all'uso della forza. Discorso chiuso dunque? Nient'affatto. Alla luce di alcuni importanti contributi che negli ultimi anni sono giunti dalla sociologia, dalla sociologia politica e anche dall'antropologia, vi sono alcune questioni che richiedono ulteriori approfondimenti. Rispetto alla definizione che abbiamo dato, sono oggi in discussione: - il contenuto relativo alla territorialit� della politica; - il contenuto relativo al fatto che la politica debba sempre essere agita entro un gruppo pi� o meno definito; - il contenuto relativo all'uso della forza fisica. La prima questione riguarda la territorialit� della dimensione politica. Molto si � scritto e argomentato su questo aspetto dopo la "sbornia" sulla globalizzazione, dovuta ad altrettanti interventi, alcuni certamente importanti e rilevanti (Giddens 1990 e 2019; Aug� 1993; Mongardini 2007; Touraine 2017 e 2019). Lo spazio che si restringe, il luogo che diventa non-luogo, il tempo che perde la sua tradizionale funzione di scansione e di regolazione sociale, la realt� che da fisica si fa virtuale. Fine della territorialit� della stessa politica? Se volessimo, come oggi va molto di moda, dimostrare un depotenziamento della politica a causa di una de-territorializzazione della finanza e del cosiddetto "turbocapitalismo" che, uniti insieme, svuoterebbero la politica del suo reale potere, non avremmo affatto vita facile. Baster� qui citare due circostanze. - Nel luglio 2019, l'aver solo ventilato, da parte di Donald Trump, la possibilit� di elevare dazi su alcuni prodotti cinesi, ha avuto come conseguenza la netta caduta della borsa di Pechino e di quelle occidentali. - La strenua contesa tra Stati (Stati sovrani, dotati del monopolio legittimo della forza su un dato territorio) che si affacciano sull'Artico, per stabilire come e in che modo si potranno sfruttare e utilizzare non solo le riserve di idrocarburi, ma anche le rotte aeree, e perfino le rotte di navigazione, vista l'apertura del leggendario "passaggio a Nord-Ovest" a seguito dello scioglimento dei ghiacci. Una delle conseguenze di quanto si � detto � stata (per quanto comica) l'affermazione dello stesso Trump di avere l'intenzione di acquistare la Groenlandia. - Il ruolo significativo e proficuo svolto dalla politica degli Stati nel contenere le conseguenze pi� dirompenti della crisi finanziaria del 2007-2008, e nel rilanciare la crescita economica nei rispettivi paesi (Italia a parte, ma qui, nuovamente, pur sempre di problema politico si tratta). - Il ruolo, ancora, degli Stati e della politica nel gestire - o nel non gestire - la crisi sanitaria, e poi economica e sociale, conseguente all'epidemia di Covid-19 a livello mondiale. Del resto, quale immagine ci rappresenta alla mente in modo pi� plastico la dimensione territoriale della politica se non proprio quella di un doganiere al confine, che controlla e verifica chi, cosa e come possa transitare da quella pur immaginaria linea che segna la separazione tra una collettivit� e un'altra? "Su quel confine dove non possono transitare le merci, prima o poi transiteranno i cannoni", ebbe a dire l'economista Fr�d�ric Bastiat (1801-1850). La politica, pur rimanendo sullo sfondo, rimane comunque il garante ultimo dell'economia di una collettivit� e dunque, sempre in ultima istanza, pu� far valere l'uso della forza, ovviamente solo entro un dato territorio. Si pensi, nuovamente, all'enorme passo avanti fatto dall'Unione Europea con l'introduzione del Recovery Fund. Chi garantir� per quella montagna di denaro? Sempre la politica, in ultima istanza. E l'enorme passo avanti sta nel fatto che stavolta si tratta non pi� di un solo Stato, ma di una unione di Stati. � vero, oggi stiamo assistendo all'affermarsi delle cosiddette "cripto-valute", monete digitali slegate da banche centrali nazionali che ne controllino la quantit� e la circolazione. Tuttavia il fenomeno � ancora troppo marginale per poter essere considerato con certezza una tendenza ineludibile verso la quale tender� l'economia mondiale. Il caso di Lybra, la criptovaluta per la quale si erano inizialmente pronunciati come prossimi utilizzatori i grandi colossi della rete, da Google ad Amazon, ritiratisi poi da questo progetto, dimostra quanto ancora fragile sia un'ipotesi di questo genere. Non �, dunque, sul piano della finanza e dell'economia globale che dobbiamo andare a cercare le ragioni, se ve ne sono, di una de-territorializzazione o de-spazializzazione della politica. Semmai, � proprio restando sul terreno della politica stessa che, forse, potremmo scorgere i motivi per una sua de-territorializzazione. Ci aiuta in questo intento uno degli ultimi "classici" della sociologia ancora viventi, forse l'ultimo, insieme a J�rgen Habermas: stiamo parlando di Alain Touraine e della sua recente, rinnovata prolificit� scientifica. Nei suoi ultimi studi egli si sofferma sulla crescita del fenomeno di quelli che chiama "movimenti etici". Touraine intende con questa espressione riferirsi a quei movimenti, siano essi su base nazionale o meno, che si propongono di continuare a procedere nel cammino dell'estensione dei diritti universali dell'uomo, in tutto ci� per cui essi non sono ancora stati sanciti o comunque attuati. Ebbene, su questo terreno � sempre pi� frequente rilevare la presenza di esperienze politiche fondate su un'organizzazione internazionale per affermare valori o interessi al di l� e oltre una semplice comunit� riferita a questo o quel territorio. Pensiamo per esempio ai movimenti che attraverso la rete globale, si battono affinch� una decisione politica venga presa o non presa da parte di organismi sovranazionali come l'Onu, la Fao, l'Oms, ecc. Non sono forse, questi, esempi di "politica"? Sicuramente s�. Oppure a Greenpeace, che si batte a livello planetario per salvare il pianeta, o al movimento capitanato da Greta Thunberg, che sta diffondendo velocemente idee, valori, iniziative finalizzati alla presa di coscienza e all'attivazione concreta dei cittadini, non importa di quale nazione essi siano, per la salvaguardia del pianeta. Sembrerebbe dunque che la risposta alla domanda "la politica sta conoscendo fenomeni di de-territorializzazione?" possa essere in effetti positiva. Questo, come vedremo, incider� sulla sua ri-definizione. Una seconda questione riguarda la gruppalit� della politica. Si possono ipotizzare, oltre a fenomeni di deterritorializzazione, anche di "de-gruppizzazione" della politica o, per cos� dire, di una sua "individualizzazione"? Il fatto, per esempio, che la politica possa, grazie ai nuovi mezzi messi a disposizione dai nuovi media, essere "fatta" anche da singoli individui o, all'opposto, da moltitudini. Pensiamo, altro esempio istruttivo, al cittadino francese che si � issato su un platano per impedire che venisse abbattuto, cos� come deliberato da un organismo politico ufficiale della sua citt�. Oppure agli jihadisti kamikaze, che si fanno esplodere per colpire politicamente l'Occidente. Vi � infine un'altra circostanza, quest'ultima, tuttavia, da sempre presente nella storia, per lo meno a partire dalla storia moderna. L'assassinio politico da parte di singoli attentatori. I casi, per esempio, di Anteo Zamboni, Violet Gibson e Gino Lucetti contro Mussolini, o di Fanja Kaplan contro Lenin. Se uno di quegli attentati fosse riuscito, le conseguenze politiche che avrebbe provocato sarebbero state enormi, incalcolabili. Ebbene, dei quattro casi che abbiamo qui esposto, solo l'ultimo, quello del singolo attentatore, pare veramente poter rientrare nel caso di azione politica effettuata da un solo individuo. Il primo, quello dell'internauta incallito, non pu� non sfociare, se quel soggetto vorr� ottenere ascolto nella piazza mediatica, in un coagulo di altri internauti e di followers che creeranno cos� un gruppo, pur virtuale, ma sempre gruppo, il che non pu� fare escludere che in seguito esso non possa organizzare anche altri tipi di azione politica che esulino dal semplice utilizzo della rete. Il caso dello jihadista carico di esplosivo, che agisce in solitaria, si pu� comunque far rientrare nel pi� ampio fenomeno politico, di tipo collettivo e quindi basato su gruppi, e sui loro leader, dello jihadismo sotto le sue diverse anime. Anche il cittadino che protesta in solitudine su un albero pu� farlo in quanto i mezzi di comunicazione possono offrirgli un palcoscenico in grado di fargli ottenere il consenso, e quindi la pressione sulle istituzioni, da parte di altri cittadini. Con l'eccezione dunque del singolo attentatore, che rischia invece la galera a vita o la vita stessa (ma davvero in totale solitudine? Dietro un attentatore, in genere, c'� quasi sempre anche un gruppo politico), la caratteristica della politica come lotta tra gruppi resta pienamente valida ancora oggi. Vi �, terzo punto, la questione dell'uso della forza fisica. Meglio ancora, l'uso della forza in un dato territorio. Perch� poniamo questo problema? Perch�, stando alla definizione di matrice weberiana-schmittiana-eastoniana, al limite si potrebbe far rientrare in essa anche la criminalit� organizzata. Possiamo escludere a priori forme di controllo del territorio da parte della 'ndrangheta, della camorra, della mafia, che in alcuni casi, oltre ad avere comunque un'esistenza durevole ed evidente, si esplicitano non solo attraverso semplici interessi economici, ma anche con valori religiosi, o valori personali e comunitari come l'onore, il prestigio, ecc.? Certamente no, non possiamo escluderle a priori. Come uscire da questo dilemma? Qui pu� essere utile proporre il tema della politica come costruttrice di senso e definitrice di significati e memoria collettiva. In questo senso, � a Vilfredo Pareto (1916) che dobbiamo guardare. Certo, in fondo questo aspetto forse non � altro che una conseguenza della tradizionale vocazione della politica all'assegnazione di valori per la collettivit�, circostanza messa in rilievo anche da Easton. Tuttavia Pareto, rispetto a Easton, traccia una sintesi che riesce a tenere insieme pi� aspetti della politica, considerandola una facolt� e una funzione dell'agire che assume una valenza ancora pi� ampia che non la semplice incarnazione e rappresentanza di valori, in quanto non solo li incarna, li rappresenta e li assegna, ma li rende riconoscibili e dotati di significato. E ci� in quanto � in sintonia con le passioni e gli istinti presenti nella popolazione. Sta di fatto che, in una comunit� generale come una nazione, sebbene possano esistere enclave nelle quali il gruppo prevalente non sia quello politico ufficiale ma quello di fatto (la criminalit�), quest'ultimo non riesce per� a porsi come gruppo creatore di senso e di significato nei confronti della maggioranza della popolazione. Se per avventura vi riuscisse, come in effetti � accaduto in alcune esperienze passate e contemporanee (si pensi al caso della Transnistria, in Europa orientale nei primi anni Duemila, o alle zone della Colombia controllate dalle narcomafie, zone nelle quali tali gruppi possono contare sul consenso di una componente significativa, e comunque decisiva, delle popolazioni di quei territori), si sarebbe certamente in presenza di un gruppo politico nel pieno senso in cui lo intendeva Weber e, volenti o nolenti, coloro che ne sono assoggettati per apatia o rassegnazione, anche di una comunit� politica. Possiamo cos� concludere che non basta riferirsi a "valori" considerati a casaccio, che sia l'uno o che sia l'altro. Occorre spiegare che la politica si occupa di farsi portatrice di valori al fine di offrire alla comunit� significati per dare senso al passato, al presente e al futuro di tutti. Alla luce di quanto si � cercato fin qui di esporre, possiamo dunque riassumere gli aspetti principali che connotano il concetto di politica: 1) L'essere la politica agita da gruppi, e la sua quasi impossibilit� di essere agita da singoli individui. 2) Il fatto che tale agire di gruppi avvenga sotto forma di conflitto, di lotta o di competizione. 3) Il fatto che tale disputa abbia come oggetto interessi, valori e significati di ordine collettivo. 4) Il fatto che tale lotta avvenga per la disputa dell'uso legittimo della forza a garanzia di ordinamenti. Possiamo quindi concludere che la politica pu� essere definita come la lotta tra gruppi finalizzata al perseguimento di interessi, all'affermazione di valori e alla definizione di significati sotto forma di ordinamenti vincolanti per una determinata collettivit�, attraverso il ricorso, in ultima istanza, all'uso della forza fisica.