Ottobre 2016 n. 10 Anno I Parliamo di... Periodico mensile di approfondimento culturale Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registraz. n. 19 del 14-10-2015 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Massimiliano Cattani Antonietta Fiore Luigia Ricciardone Copia in omaggio Indice Libert�, �galit�, s�curit�. Gli equivoci della guerra al terrore La verit� sulle auto "che si guidano da sole" Libert�, �galit�, s�curit�. Gli equivoci della guerra al terrore (di Mauro Barberis, "il Mulino" n. 4/16) A partire dall'Undici settembre 2001, le reazioni agli attentati terroristici hanno seguito lo stesso copione. Che i governi fossero di destra o di sinistra, che lo stato d'emergenza fosse dichiarato o meno, i capi di Stato o di governo si sono riscoperti commanders in chief e hanno dichiarato la guerra al terrore. Fosse stata guerra tradizionale, avrebbero dovuto applicare il diritto internazionale; fosse stato semplice terrorismo, il diritto interno. Ma la guerra al terrore, o asimmetrica, o ibrida, autorizzava ben altro: extraordinary renditions, targeted killings, stravolgimenti della Costituzione. Nel dibattito pubblico dei Paesi occidentali, cos�, si parla sempre pi� di bilanciare libert� e sicurezza: argomento retorico, evidentemente, che usa strumentalmente l'antica metafora della bilancia, cara ai giuristi. Eppure, basta prendere la metafora alla lettera e bilanciare davvero libert� e sicurezza, come fanno professionalmente giudici e giuristi costituzionali, e ci si accorge di un dettaglio inquietante. Molte misure limitative della libert� adottate dai governi non servono affatto ad aumentare la nostra sicurezza. Servono, quando servono, ad altri due obiettivi. Il primo, naturalmente, � rassicurare l'opinione pubblica lanciando messaggi di fermezza. Allo spettacolo del terrore, cio�, si risponde con lo spettacolo della sicurezza: trasferendo il conflitto sul piano simbolico, per la felicit� dei massmediologi. Il secondo obiettivo, invece, non � cos� chiaro. C'� chi, foucalteggiando, la chiama biopolitica, governo sulla nuda vita; ma forse la verit� � pi� banale. Le misure securitarie, quali che siano, attribuiscono comunque ai governi nuove risorse e nuovi poteri, ulteriori a quelli accumulati durante le guerre mondiali del Novecento. Le cosiddette derive securitarie o autoritarie, alla fine, si risolvono proprio in questo: inaudite concentrazioni di risorse e potere in soggetti diversi da quelli contemplati dalle Costituzioni. Qui di seguito accenner� solo all'emblematico caso francese, poi presenter� i principali argomenti, soprattutto giuridici, opponibili a tali derive. In particolare, prover� a bilanciare davvero libert� e sicurezza: cercando di mostrare, se mi riesce, che molte delle misure securitarie sacrificano le nostre libert� senza aumentare la nostra sicurezza. "Nous sommes en guerre": il caso francese Gli eventi del 13 novembre 2015 a Parigi hanno avuto un impatto simbolico enorme: la strage del Bataclan, in particolare, � parsa a molti un attacco alla stessa forma di vita occidentale. Fuori dalla Francia della risposta alla sfida da parte delle istituzioni si � invece parlato meno: una reazione quasi pavloviana, dopo l'Undici settembre, eppure proprio per questo emblematica. Magari le misure pi� efficaci, come il rafforzamento e il coordinamento dei servizi di intelligence, non sono state divulgate. Quelle pi� discusse, per�, sono state le seguenti. Il presidente della Repubblica Fran�ois Hollande, da sempre in caduta libera nei sondaggi, ha subito dichiarato "Nous sommes en guerre", rivolgendosi alla nazione dagli schermi televisivi. Poi ha lanciato un progetto di riforma costituzionale detto di "protection de la nation": il cui carattere costituzionale, come vedremo, serviva soprattutto ad aggirare il controllo preventivo esercitato sulle leggi ordinarie dal Conseil constitutionnel. Ma ce l'aveva insegnato gi� Hans Kelsen, ai tempi di Weimar: il modo pi� sicuro per far passare misure incostituzionali � formularle come riforme costituzionali. Le misure antiterrorismo, qui, erano soprattutto due, gi� presenti in leggi ordinarie di dubbia costituzionalit�, e proprio per questo riciclabili come riforme costituzionali. La prima � la costituzionalizzazione dell'�tat d'urgence, introdotto negli anni Cinquanta ai tempi di quelli che i francesi chiamano, pudicamente, "i fatti d'Algeria". A differenza dello stato d'assedio, previsto dalla Costituzione del 1958, l'�tat d'urgence � gestito dal governo civile e limitato a certe aree del Paese, capitale compresa, dove sono vietate le manifestazioni e allentate le garanzie individuali. Prima di Natale, il Conseil constitutionnel s'� pronunciato sulla costituzionalit� della legge del 1955 istitutiva dell'�tat d'urgence e ha deciso che s�, non viola la Costituzione del 1958, bench� sia anteriore. Il Conseil ha per� messo abbastanza paletti all'uso dell'istituto da far capire perch� si sia voluto costituzionalizzarlo. Da allora il governo l'ha gi� prorogato tre volte; all'ultima proroga, in scadenza il 26 luglio, subentrer� una riforma del codice penale approvata dal Parlamento e subito qualificata da "Le Monde" (13-5-2016) "la loi antiterroriste la plus s�v�re d'Europe". La seconda misura � la costituzionalizzazione della decadenza dalla cittadinanza francese per i terroristi con doppia nazionalit�: doppia, per non creare platealmente degli apolidi. Anche tale istituto era gi� previsto, stavolta dal codice civile, ma la sua costituzionalizzazione ha finito per evocare le pagine di Hannah Arendt sulla cittadinanza come diritto di avere diritti. Di qui infinite polemiche, culminate nelle dimissioni della ministra della Giustizia Christiane Taubira, accompagnate dalla citazione di un verso di Aim� Cesar: "Non consegneremo il mondo agli assassini dell'alba". Presentata dal primo ministro Manuel Valls come "un geste symbolique fort", e accolta dal novantadue per cento di favore nei sondaggi, la decadenza dalla nazionalit� aveva per� un piccolo difetto. Era un vecchio cavallo di battaglia della destra lepenista, alla quale il governo socialista strizzava l'occhio per raggiungere la maggioranza necessaria a riformare la Costituzione. Proprio per questo, d'altra parte, molti parlamentari socialisti non l'avrebbero votata neanche morti. Cos�, il 30 marzo Hollande ha dovuto ritirarla: il peggior fiasco di un quinquennato che ne ha gi� collezionati parecchi. Vedremo che misure del genere sono inutili a conseguire il loro fine dichiarato: l'aumento della sicurezza. Ma tali misure non hanno conseguito neppure i loro scopi occulti. Dopo il fiasco, infatti, Hollande � tornato a inabissarsi nei sondaggi, e l'opposizione � scesa pi� volte in piazza, da ultimo contro la nuova legge sul lavoro, incrinando la compattezza della nazione. Eppure si pu� star certi che se dovesse capitare di nuovo, non solo in Francia, il copione sarebbe indefettibilmente seguito: anche perch� corrisponde agli interessi dei governi. Non si riflette mai abbastanza, in effetti, su quanto due guerre mondiali e i conflitti minori che hanno punteggiato la Guerra fredda abbiano concorso a fare dell'esecutivo il potere prevalente fra i tre montesquiviani. Si pensi al ruolo assunto dal presidente nella Costituzione federale statunitense, ma anche all'appropriazione del legislativo da parte degli esecutivi grazie alla decretazione d'urgenza, divenuta il modo pi� comune di fare le leggi. Secondo alcuni, le nostre democrazie costituzionali sarebbero gi� oggi autocrazie elettive; per altri, la guerra al terrore rischia di trasformarle in Stati di sicurezza (security states). Derive securitarie Sulle derive securitarie o autoritarie, dall'Undici settembre in poi, s'� accumulata un'immensa letteratura, non solo critica ma anche apologetica. In particolare negli Stati Uniti, c'� chi ritiene la concentrazione dei poteri nell'esecutivo un esito obbligato della dinamica politica, della quale le esigenze belliche sarebbero solo un corollario. Anche l'intellighenzia liberal, del resto, ammette che il terrorismo globale � un fenomeno inedito, da combattere in modi nuovi: le ricette di Al Qaeda sono talmente semplici che qualsiasi gruppo terroristico, non solo l'Isis, pu� applicarle localmente o globalmente. Schematizzando, le possibili risposte alle derive securitarie sono tre. La prima, tipica del realismo politico, � formulata da Eric Posner e Adrian Vermeulen sin dai titoli dei loro libri del 2007 e del 2011: il secondo dei quali potrebbe anche tradursi in italiano L'esecutivo scatenato, evocando Quentin Tarantino. Secondo i due politologi, la concentrazione dei poteri nell'esecutivo, a scapito di legislativo e giudiziario, � un processo che non si pu� invertire, che viene da lontano e che � comunque necessario per rispondere alle immancabili "sfide della globalizzazione", e non solo al terrorismo. In fondo, � dal 1933, da Weimar, che politologi e costituzionalisti ci ricordano che l'eccezione pu� sempre diventare la regola: e non solo negli Stati totalitari. Alla sfida totalitaria le democrazie occidentali risposero con provvedimenti non meno draconiani, come l'internamento di oltre centomila cittadini statunitensi di origine giapponese dopo Pearl Harbor: una misura sulla quale n� Congresso n� Corte suprema trovarono nulla da ridire. Non stupisce, dunque, l'allarme lanciato all'inizio di quest'anno dalle ONG per la difesa dei diritti umani. Ma consideriamo pi� in dettaglio altre due risposte, critiche verso le derive autoritarie. La seconda, meramente politica e tipica del repubblicanesimo civico, � rappresentata dal Jeremy Waldron della raccolta Torture, Terror and Trade-offs (2010). Maggiore critico del judicial review, da lui ritenuto incompatibile con la democrazia, Waldron fornisce cinque argomenti contro le derive securitarie che appaiono tutti abbastanza persuasivi, come vediamo qui di seguito, da poter essere riformulati in termini giuridici, a supporto di quella che vedremo essere la terza risposta. Il primo argomento, della non-indipendenza di libert� e sicurezza, contesta la pretesa che il rapporto fra tali valori possa raffigurarsi come un gioco a somma zero, in cui la sicurezza perde quanto la libert� guadagna, e viceversa. Di fatto, ricorda Waldron, il termine "sicurezza" non indica solo un bene collettivo opponibile ai diritti individuali; indica anche un diritto individuale, che costituisce il nucleo della libert� negativa, liberale. Qui lo chiamer� libert�-sicurezza: l'insieme dei diritti alla vita, all'integrit� fisica e psichica, all'habeas corpus, al due process of law... Il secondo argomento, detto anti-consequenzialista, sostiene che valori come la sicurezza collettiva e la libert�-sicurezza individuale sono incommensurabili: autentici diritti individuali non possono essere sacrificati a meri beni collettivi, se non a condizioni particolarmente rigorose. Qui Waldron non fa altro che riprendere la presunzione liberale tipica di tutta la teoria della giustizia, sia liberal sia libertarian: teoria formulata in modo da escludere bilanciamenti fra diritti individuali e beni collettivi. Il terzo argomento, detto distributivo, vieta di distribuire la libert�-sicurezza individuale in modo ineguale fra individui appartenenti a diverse categorie di persone. Come ci ricorda il caso degli americani d'origine giapponese internati, a differenza degli americani d'origine italiana o tedesca, c'� sempre il rischio che la maggioranza sacrifichi la libert�-sicurezza di minoranze bene individuate, illudendosi che il sacrificio riguardi solo loro. Non � cos�: quando si violano diritti umani, per definizione, la violazione riguarda tutti. Il quarto argomento, detto degli effetti non intenzionali, ricorda che lo Stato moderno, inventato per tutelare la libert�-sicurezza degli individui, pu� sempre trasformarsi in un Moloch che richiede sacrifici umani. � accaduto, in grande, negli Stati totalitari, ma anche, in piccolo, negli Stati democratici, e pu� tornare ad accadere nella guerra al terrore. � vero, come vedremo, che se lo Stato non assicurasse la sicurezza collettiva, anche le nostre libert� individuali diverrebbero illusorie. Ma la sicurezza non pu� trasformarsi in un assegno in bianco rilasciato ai governi. Infine, il quinto argomento, detto delle conseguenze simboliche, � forse il pi� convincente di tutti, e lo riprender� in conclusione. La sicurezza collettiva � una questione di grado, di pi� o meno. Ci sono misure antiterrorismo che l'aumentano davvero - come i controlli negli aeroporti o, magari, lo spionaggio elettronico - e altre che l'aumentano in una percentuale cos� infinitesimale - dal 51 al 52%? - da risultare poco pi� che simboliche. Ma quando si cedono diritti di libert� si pu� ben pretendere che il sacrificio serva a qualcosa di pi� che a fare propaganda al governo. Sulla terza risposta alle derive securitario-autoritarie, rappresentata da autori come Michel Rosenfeld od Owen Fiss, posso essere veloce, perch� l'adotto di qui in poi. Di fatto, i soggetti pi� disposti ad accogliere argomenti come quelli di Waldron non sono stati i Parlamenti, controllati dai governi, ma le grandi Corti costituzionali internazionali. Analizzando sei decisioni statunitensi, israeliane e britanniche, in particolare, Rosenfeld mostra come libert� e sicurezza si possano bilanciare senza necessariamente sacrificare la prima alla seconda. Si pensi all'adozione, da parte della Corte suprema di Israele, Paese in guerra sin dalle origini, del principio di proporzionalit�, per il quale le limitazioni dei diritti devono essere adeguate, necessarie e proporzionate ai fini per cui sono disposte, sicurezza compresa. Prover� a mostrare di seguito quali conseguenze abbia l'adozione di principi come questo sui bilanciamenti fra la libert�, da un lato, e la sicurezza, dall'altro, ma in tre sensi diversi della seconda: sicurezza individuale, sicurezza sociale, sicurezza nazionale. Sicurezza individuale La sicurezza individuale da qualsiasi aggressione, pubblica o privata, non � un bene fra i tanti: � il primo bene tutelato dallo Stato e dal diritto, forse l'unico davvero irrinunciabile. Ognuno di noi rinuncia al proprio diritto di difendersi e di farsi giustizia da s�, dopotutto, solo alla condizione che alla sua sicurezza, d'ora in poi, provveda lo Stato. Mentre per� la sicurezza collettiva � un'astrazione, misurabile solo dalle statistiche giudiziarie o dai sondaggi, la sicurezza individuale � un'esigenza maledettamente pi� concreta e drammatica. Uno dei temi caldi dell'agenda politica, anche italiana, � da sempre l'aumento dell'insicurezza percepita, con equivoci analoghi a quelli prodotti dal terrorismo. � noto che basterebbe passare un pomeriggio davanti alla televisione, come fanno molti pensionati, per convincersi a barricarsi definitivamente in casa, armati sino ai denti: tanto i media alimentano la percezione dell'insicurezza. Allo stesso modo, basta un solo attentato terroristico clamoroso per generare un allarme sociale permanente, esteso anche a persone che hanno probabilit� di essere colpite prossime allo zero. Ora, la sicurezza individuale pu� richiedere una limitazione della libert� individuale? A volte s�, quando i due diritti entrano in un conflitto intra-right: ossia, come ci ricorda Waldron, ove dello stesso diritto alla libert�-sicurezza siano portatori soggetti diversi. Si tratta per� di casi estremi, nei quali il bilanciamento richiede scelte tragiche. � il caso della legittima difesa: l'articolo 52 del codice penale, anche dopo la riforma leghista del 2006, e fors'anche se saranno approvate le riforme di cui si discute, pu� autorizzarmi a sparare per difendermi, ma solo se la difesa � proporzionata all'offesa, altrimenti si tratta di una incostituzionale licenza di uccidere. Ma � soprattutto il caso della ticking bomb, sdoganato da Alan Dershowitz: � lecito torturare un terrorista per salvare vite umane da una bomba che sta per esplodere? Sulla base del principio di proporzionalit�, se la tortura si rivelasse idonea a salvarle, necessaria in mancanza di mezzi meno lesivi, e proporzionata ai diritti delle vittime e del terrorista, ebbene s�, potrebbe rivelarsi lecita. Proprio per evitare bilanciamenti caso per caso, che potrebbero legittimare pratiche gi� sin troppo diffuse anche in Occidente, la Convenzione internazionale del 1984 vieta la tortura assolutamente: senza alcuna possibile eccezione. Un intermezzo: a sicurezza sociale La sicurezza sociale sarebbe estranea al nostro tema se non fosse anch'essa un bene collettivo, come la sicurezza nazionale, e non autorizzasse anch'essa misure eccezionali. Si pensi di nuovo agli Stati Uniti, il Paese al mondo che, a parole, tiene di pi� alle libert� individuali. Bene, come ai tempi della guerra di secessione il presidente Lincoln sospese l'habeas corpus per ragioni di sicurezza nazionale, cos� dopo la Grande depressione il presidente Roosevelt giustific� il New Deal con ragioni di sicurezza sociale. Sarebbe troppo lungo, qui, elencare tutte le analogie fra sicurezza sociale e nazionale; accontentiamoci della seguente. La stessa parola, "sicurezza", copre evidentemente sia autentici diritti individuali, come quelli alla libert�-sicurezza, sia meri interessi di partecipazione a un bene collettivo. Nel caso della sicurezza sociale, si pensi ai diritti sociali. Spesso, come nel caso del diritto alla salute tutelato dall'ex articolo 32 della Costituzione, sono autentici diritti soggettivi, che potrebbero essere fatti valere anche davanti a un giudice. A volte, invece, come nel caso del diritto al lavoro previsto dall'ex articolo 4 della Costituzione, sono meri interessi a un bene collettivo: la (mitica) piena occupazione, perseguibile solo dai governi e non certo dai giudici. Bene, la stessa ambiguit� si presenta per la sicurezza nazionale: posso rivolgermi a un giudice perch� garantisca la mia sicurezza individuale, ma per la sicurezza nazionale posso solo sperare nel governo. S'innesta qui l'argomento securitario preferito dai governi: se non fosse assicurata la sicurezza collettiva, si dice, garantire i diritti individuali diverrebbe impossibile. Vero: gli Stati falliti (failed States), come la Somalia o la Libia, caduti a seguito di guerre o carestie sotto una certa soglia di (in)sicurezza sociale e nazionale, non possono assicurare n� l'una n� gli altri. In questo senso estremo, la sicurezza collettiva � davvero una precondizione della tutela dei diritti individuali: tutela che, sotto una certa soglia di (in)sicurezza, diventa irrealistica. Ma i grandi Stati dell'Occidente attaccati dal terrorismo stanno sopra o sotto questa soglia, il cui superamento permetterebbe di sacrificare i diritti individuali? In una delle sentenze citate da Rosenfeld, Lord Leonard Hoffmann, giudice della House of Lords, fornisce una risposta abbastanza netta a questo interrogativo da meritare di essere citata per esteso. "Io non sottovaluto la capacit� di gruppi di terroristi fanatici di uccidere e di distruggere, ma essi non minacciano la vita stessa della nazione. Poteva apparire dubbio che sopravvivessimo a Hitler, ma certo sopravviveremo ad Al Qaeda. La violenza terroristica, per quanto seria, non minaccia le nostre istituzioni n� la nostra esistenza come comunit� politica". La sicurezza nazionale Infine, la sicurezza qui chiamata nazionale, bench� abbia dimensioni internazionali e globali, resta l'unico senso indiscusso del termine, e la parola magica pi� invocata per giustificare qualsiasi misura eccezionale e qualsiasi sacrificio dei diritti individuali. Come altre formule incantatorie, che creano immediatamente un consenso di massa attorno a chi le usa, la sicurezza nazionale (national security) ha una storia antica, risalente almeno al romano salus reipublicae suprema lex esto: una storia che rende arduo maneggiarla giuridicamente. Anche solo per respingere l'obiezione che si parli di cose estranee al diritto, occorre superare una sorta di trilemma della sicurezza. La sicurezza nazionale, primo corno del trilemma, potrebbe considerarsi un valore politico o militare del tutto estraneo al diritto, e destinato a imporsi anche sui valori o principi costituzionali. Inter arma silent leges, dicevano i romani. Eppure, ove la questione del conflitto fra la sicurezza e i principi costituzionali sia di fatto sollevata dinanzi a una Corte, questa dovr� pur sempre trovare una risposta giuridica: passando cos� al secondo corno del trilemma. La sicurezza nazionale potrebbe dunque ritenersi un principio costituzionale: ma il principio supremo, che prevale su tutti gli altri. Cos�, lo si potrebbe invocare anche se la Costituzione non lo prevedesse espressamente e, a differenza dei tanti principi impliciti escogitati dai giudici costituzionali, prevarrebbe nel bilanciamento con qualunque altro. E se si considera certa giurisprudenza recente in materia, non vi � dubbio che molto spesso i giudici interni considerano la sicurezza proprio cos�. Si pensi al caso El-Masri, cittadino tedesco di origini libanesi, arrestato in Macedonia dai servizi macedoni perch� omonimo di un terrorista, consegnato ai servizi statunitensi e condotto in Afghanistan, in una delle tante prigioni segrete aperte all'estero dopo l'Undici settembre, torturato per mesi e infine rimesso in libert� senza una parola di scuse. Bene, nessuna delle Corti statunitensi cui s'� rivolto, Corte suprema compresa, ha mai voluto concedere riconoscimenti o risarcimenti: la sicurezza nazionale ha prevalso su qualsiasi altra considerazione. Ma si pensi allo stesso caso Abu Omar: imam sospetto di terrorismo, rapito a Milano dai servizi statunitensi e italiani e torturato per mesi in Egitto: un caso classico di extraordinary rendition. Qui i giudici milanesi hanno ben cercato di indagare, ma sono state le nostre supreme autorit� costituzionali a ostacolarli. A tutela dei servizi italiani � stato opposto il segreto di Stato; quanto ai responsabili statunitensi, poi, sono stati graziati. Per dire quanto siano aleatori, di fatto, gli stessi controlli giudiziari. Una teoria realista della Costituzione, nel senso del realismo tanto politico quanto giuridico, potrebbe trarre proprio questa conclusione. Se la gerarchia dei principi costituzionali, in ultima istanza, � fissata dai bilanciamenti delle Corti, allora non sono la dignit� umana e il divieto della tortura i principi costituzionali supremi o assoluti: � la sicurezza nazionale. Questa conclusione parrebbe per� rimessa in discussione dalle decisioni sugli stessi casi emesse dalla Corte europea dei diritti dell'uomo: decisioni che rappresentano il terzo corno del nostro trilemma. La sicurezza nazionale, in altri termini, pu� s� considerarsi un principio costituzionale, ma non pi� supremo o assoluto di altri. Esso pu� dunque dover cedere nel bilanciamento con i diritti individuali alla libert�-sicurezza. In un mondo nel quale il terrorismo non � pi� un evento eccezionale ma un fatto fisiologico, la prevalenza della sicurezza nazionale sulla libert�-sicurezza pu� lasciare il posto a soluzioni pi� equilibrate. Ci� avviene soprattutto nella giurisprudenza delle Corti internazionali: da sempre meno deferenti delle Corti interne verso gli esecutivi nazionali. Di fatto, la Corte europea dei diritti dell'uomo, con la sentenza El-Masri (2012), ha condannato la Macedonia, membro del Consiglio d'Europa, per le torture subite dal El-Masri sotto controllo Usa: Paese non condannabile perch� estraneo al Consiglio. Stessa condanna anche per l'Italia, nella recentissima sentenza Nasr et Ghali (2016): meno per le torture subite da Abu Omar in Egitto - ben prima del caso Regeni, detto per inciso - che per l'acquiescenza verso i servizi segreti mostrata dalle nostre supreme autorit� repubblicane. Una teoria realista della Costituzione, dunque, potrebbe trarne la conclusione che nella gerarchia dei valori-principi costituzionali, fissata anche dalla giurisprudenza delle Corti internazionali, i diritti alla libert�-sicurezza tendono a prevalere sulle esigenze della sicurezza nazionale. Questa conclusione, per�, non sarebbe affatto realistica, bens� ottimistica; essa perde di vista i rapporti effettivi fra libert� e sicurezza, diritti umani ed esigenze degli Stati, nelle relazioni internazionali. Le decisioni delle Corti internazionali riguardano esclusivamente i firmatari dei trattati e in casi come questi hanno effetti quasi solo simbolici, come il pagamento dei danni. Quando poi sono Corti interne a produrre decisioni coraggiose, come quelle della Corte suprema statunitense su Guant�namo, allora ci pensano i legislativi nazionali ad attutirne o annullarne gli effetti. Le stesse Corti, del resto, tendono a spogliarsi di questioni imbarazzanti invocando ragioni di legittimit� democratica: il controllo sull'esecutivo andrebbe esercitato dai Parlamenti, anche se questi si guardano bene dal farlo. Eppure, a meno di escludere che problemi del genere debbano trovare anche risposte giuridiche, non si possono eludere le domande seguenti, formulate nei termini del principio di proporzionalit�. Prendiamo ancora il ritiro della cittadinanza francese ai terroristi, motivato dal premier socialista come "un geste symbolique fort". Questa misura era idonea a incrementare la sicurezza dello Stato? Era necessaria, cio� non sostituibile con misure meno lesive? Infine, era proporzionata al rispetto dei diritti umani? Per un giurista, se non per qualunque persona sensata, queste dovrebbero essere domande retoriche. Ma non, si badi, per via di quella tabuizzazione dei diritti umani che talvolta � una deformazione professionale dei giuristi. Il punto � che, come segnalato da Amnesty International il 12 maggio scorso, migliaia di perquisizioni senza mandato permesse dall'�tat d'urgence avevano prodotto solo 2 (due) inchieste giudiziarie per terrorismo: tutto il resto � servito, quand'� servito, a controllare l'emigrazione illegale. Il punto non �, dunque, il tab� dei diritti umani: � che queste misure sono inadeguate, sacrificano la libert� senza aumentare la sicurezza. Insomma, esaminati in dettaglio, molti pretesi bilanciamenti fra libert� e sicurezza rientrano sotto rubriche ben note non solo ai giuristi, ma a politologi e massmediologi: leggi-manifesto, democrazia del pubblico, politica-spettacolo. Anche i rapporti libert�-sicurezza, dunque, rientrano nella sterminata casistica dell'incapacit� delle democrazie contemporanee a governare fenomeni complessi come - per dirne solo altri due - la speculazione finanziaria e l'emigrazione. Altro che gesti simbolici forti: tanto varrebbe fischiettare nel buio, aspettando che passi la notte. La verit� sulle auto "che si guidano da sole" (di Steven E. Shladover, "Le Scienze" n. 576/16) - Stanno arrivando, ma non saranno come ci spingono ad aspettarcele. - Presto avremo autisti elettronici che ci porteranno dove ci pare e quando ci pare con la massima sicurezza, purch� non debbano mai svoltare a sinistra fermando il traffico. Anche le mutevoli superfici stradali sono un problema. O la neve e il ghiaccio. Inoltre sar� essenziale stare alla larga da polizia stradale, volontari degli attraversamenti pedonali e veicoli di soccorso. E nelle zone urbane, in cui davanti alla macchina � facile che spunti di colpo qualche pedone, beh, l� magari sar� meglio andare a piedi, o prendere la metro. Tutti questi incontri, banali e quotidiani per i guidatori umani, pongono enormi problemi ai computer, e per risolverli ci vorranno tempo, denaro e molto lavoro. Eppure gran parte del pubblico si sta convincendo che i veicoli automatici sono dietro l'angolo. Da dove viene questa discrepanza? In parte, � un problema terminologico. I media popolari dicono indiscriminatamente "veicoli autonomi", o "senza conducente", o che "si guidano da soli", per parlare di tecnologie molto diverse tra loro, oscurando importanti distinzioni. L'industria automobilistica non ha contribuito a fare chiarezza. Gli esperti di marketing di case automobilistiche, fornitori e aziende tecnologiche stanno attenti a produrre materiale promozionale che lasci ampio spazio alle interpretazioni su quanta parte della guida possano automatizzare i loro prodotti. I giornalisti che si occupano del settore hanno un incentivo ad adottare le previsioni pi� ottimistiche: semplicemente, sono pi� emozionanti. Il risultato � una spirale di aspettative sempre pi� irrealistiche che continua a crescere su se stessa. � un peccato che vi sia tanta confusione, perch� l'automatizzazione della guida sta arrivando davvero, e potr� salvare vite umane, ridurre l'inquinamento e risparmiare carburante. Ma non sar� proprio come ce la raccontano. Guida automatizzata: definizioni Guidare � un'attivit� molto pi� complessa di quanto sembri alla maggior parte della gente. Coinvolge un'ampia gamma di abilit� e azioni, alcune delle quali sono pi� facili da automatizzare di altre. Mantenere la velocit� su una strada sgombra � semplice, ed � per questo che i convenzionali sistemi di regolazione elettronica (cruise control) lo fanno automaticamente gi� da decenni. Con il progresso della tecnologia, gli ingegneri sono riusciti ad automatizzare qualche altro aspetto. I sistemi di cruise control adattivi, largamente diffusi, mantengono velocit� e distanza dal veicolo precedente. I sistemi di marcia in corsia, come quelli dei nuovi modelli di Mercedes-Benz e Infiniti, utilizzano telecamere, sensori e controllo del volante per tenere centrato il veicolo nella sua corsia. Oggi le automobili sono piuttosto intelligenti. Eppure, da qui alla vera e propria guida automatica c'� un salto enorme. Una classificazione a cinque livelli definita dalla SAE International (gi� Society of Automotive Engineers) pu� servire a chiarirci le idee sulla guida automatica. I primi tre gradini di questa scala di automazione crescente (a parte il livello 0, nessuna automazione) prevedono tecnologie che si affidano, come supporto di emergenza, all'intervento umano. Regolazione elettronica adattiva della velocit�, sistemi di marcia in corsia e simili appartengono al livello 1. I sistemi di livello 2 mettono insieme pi� funzioni della tecnologia di livello 1, per esempio i controlli laterali e longitudinali di marcia in corsia e il cruise control adattivo, per automatizzare compiti di guida pi� complessi. Fin qui arriva l'automazione veicolare oggi disponibile in commercio. I sistemi di livello 3 consentirebbero ai guidatori di mettere il pilota automatico in certe specifiche situazioni, come un ingorgo autostradale. I successivi due livelli sono profondamente diversi, nel senso che funzionano interamente senza assistenza umana. I sistemi di livello 4 (alta automazione) gestirebbero tutti gli aspetti della guida, ma solo in situazioni strettamente definite: per esempio in parcheggi chiusi o su apposite corsie dedicate sulle autostrade. In cima alla scala c'� il livello 5: l'auto completamente automatica. Presumibilmente � a questa che pensa la gente quando sente qualcuno - per esempio l'amministratore delegato di Nissan, Carlos Ghosn - proclamare con sicurezza che le automobili automatiche arriveranno sulle strade entro il 2020. La verit� � che nessuno si aspetta che per quella data saranno sul mercato dei sistemi di automazione di livello 5, che con tutta probabilit� sono ancora ben lontani. Altrettanto lontani potrebbero essere i sistemi di livello 3. Ma quelli di livello 4? Sono in arrivo entro il prossimo decennio. Per capire questa sconcertante situazione, dobbiamo parlare di software. Software da incubo Anche se forse non sembra, i guidatori umani sono decisamente bravi a evitare incidenti gravi. Stando alle statistiche sulla sicurezza stradale negli Stati Uniti nel 2011, gli incidenti con conseguenze mortali sono stati uno ogni 3,3 milioni di ore di guida circa, e gli incidenti con feriti uno ogni circa 64.000 ore. Questi numeri ci danno un importante obiettivo per la sicurezza dei sistemi di guida automatica, che dovrebbero essere, come minimo, non meno sicuri dei guidatori umani. Arrivare a questi livelli di affidabilit� richieder� sviluppi di gran lunga pi� vasti di quanto siano disposti ad ammettere gli entusiasti dell'automazione. Si pensi a quante volte si blocca un computer. Se quel software fosse responsabile della guida di un'auto, a essere "morto" non sarebbe solo il computer. Nel traffico, un ritardo nella risposta del software, anche solo di un decimo di secondo, creerebbe facilmente pericoli. Il software per la guida automatica deve quindi essere progettato e sviluppato rispettando standard enormemente diversi da tutto ci� che si trova oggi nei dispositivi di consumo. Arrivarci sar� profondamente difficile e richiede progressi fondamentali nell'ingegneria del software e nel trattamento dei segnali. Intanto c'� bisogno di nuovi metodi per progettare software dimostrabilmente sicuro anche in condizioni complesse e in rapido cambiamento. Esistono metodi formali per analizzare un blocco di codice e trovarne ogni possibilit� di guasto prima ancora di scriverlo - una sorta di dimostrazione matematica dei programmi di computer - ma solo per applicazioni molto semplici. Gli scienziati hanno appena iniziato a pensare al modo di ingrandire la scala di questo genere di test fino a validare il codice incredibilmente complesso necessario per controllare un veicolo totalmente automatizzato. Frazioni di secondo Una volta scritto il codice, ci vorranno nuovi metodi di debug e verifica. Quelli attuali sono troppo complicati e costosi. Tanto per mettere le cose in prospettiva, si pensi che la met� del costo di un nuovo aeroplano commerciale o militare va in verifica e validazione del software. E il software di un aereo � in realt� molto meno complesso di quello che ci vorr� per mandare su strada veicoli automatici. L'ingegnere che disegna il software del pilota automatico di un aereo sa che solo molto di rado, se non mai, si trover� ad avere pi� di uno o due altri velivoli nelle vicinanze. E non c'� bisogno di conoscere la loro velocit� e posizione con chiss� quale precisione, perch� saranno abbastanza lontani da dargli il tempo di reagire. Le decisioni vanno prese in tempi dell'ordine delle decine di secondi. Un veicolo da strada automatizzato dovr� tenere traccia di decine di altri veicoli e ostacoli, e prendere decisioni in frazioni di secondo. Il codice necessario sar� pi� complesso, di interi ordini di grandezza, di quello che serve per tenere in volo un aereo. Una volta che il codice sia stato validato, i fabbricanti dovranno riuscire a "provare" la sicurezza di un sistema di guida completamente automatico in modo da convincere i dirigenti addetti alla gestione dei rischi dell'azienda, le compagnie assicuratrici, le organizzazioni che promuovono la sicurezza stradale, le autorit� regolatrici e, naturalmente, i consumatori. I tipi di "test di accettazione" formali oggi in uso sono completamente inadatti, in termini pratici, a questi fini. Bisognerebbe far percorrere centinaia di milioni di chilometri, se non miliardi, a un veicolo, per assicurarsi di averlo posto di fronte, in misura statisticamente significativa, alle situazioni pericolose che incontrer� quando sar� usato da migliaia di utenti. Si � cominciato a pensare alle possibili soluzioni di questo problema - lo Stato e l'industria tedeschi hanno lanciato un progetto da vari milioni di dollari in merito - ma siamo appena all'inizio di questo lavoro. E non c'� da considerare soltanto il codice di controllo del veicolo - il cervello, per cos� dire. Anche i sensori che forniscono i dati al cervello dovranno essere sottoposti allo stesso scrutinio. Gli ingegneri dovranno sviluppare nuovi algoritmi di trattamento dei segnali dei sensori e di fusione dei dati, capaci di discriminare tra oggetti pericolosi e non pericolosi sul cammino di un veicolo con assenza praticamente assoluta di falsi negativi (mancata identificazione di oggetti pericolosi) e pochissimi falsi positivi (oggetti non pericolosi non riconosciuti come tali, con conseguenti comportamenti inappropriati del veicolo, come sterzate o frenate brusche). E non si pu� neppure ricorrere all'approccio a base di "forza bruta" - ridondanza in tutti i sistemi - che si usa per questi fini nei velivoli commerciali, perch� un'automobile automatica � un prodotto di consumo di massa: deve essere abbordabile per il grande pubblico. Neppure l'intelligenza artificiale offre soluzioni ovvie. C'� chi ha proposto sistemi ad apprendimento automatico con cui i sistemi di guida automatica potrebbero studiare milioni di ore di dati di guida, e poi continuare a imparare lungo tutto il ciclo di vita. Ma l'apprendimento automatico introduce a sua volta nuovi problemi, perch� � di natura non deterministica. Due veicoli possono uscire identici dalla catena di montaggio, ma dopo un anno di incontri con situazioni di traffico diverse i loro sistemi di automazione saranno due software molto diversi. Un futuro di livello quattro Un tempo dicevo che i sistemi di guida completamente automatizzati di livello 5 non sarebbero diventati fattibili se non dopo il 2040. Ma a un certo punto la gente ha cominciato ad attribuirmi la previsione che il livello 5 sarebbe arrivato nel 2040. Adesso dico che di veicoli completamente automatici capaci di guidarsi da soli in tutte le situazioni non ce ne saranno prima del 2075. Potrebbero arrivare prima? Certo. Ma non di molto. Anche per l'automazione di livello 3 le prospettive sono brutte, a causa del problema molto concreto di richiamare, in caso di emergenza, l'attenzione di un guidatore che si � distratto a guardare il paesaggio o, peggio ancora, si � addormentato. Ho sentito funzionari di case automobilistiche dire che il problema � talmente serio che con l'automazione di livello 3 non ci proveranno neppure. A parte l'assistente per gli ingorghi, che entra in funzione quando si tratta di procedere a singhiozzo e a velocit� cos� basse che una collisione pu� al massimo ammaccare il paraurti, � ragionevole ipotizzare che l'automazione di livello 3 non verr� mai realizzata. Eppure vedremo presto automobili altamente automatizzate, probabilmente entro il prossimo decennio. Quasi tutte le grandi case automobilistiche, e molte aziende informatiche, stanno dedicando cospicue risorse all'automazione di livello 4: guida totalmente automatica, limitata a particolari ambienti, che non si affida ai fallibili esseri umani come supporto d'emergenza. Se si mettono vincoli alle situazioni in cui i sistemi di automazione veicolare devono funzionare, la loro fattibilit� aumenta di molto. (Sono anni che nei grandi aeroporti funzionano sistemi automatici di smistamento dei passeggeri, solo che vanno su binari totalmente isolati). Con tutta probabilit�, i prossimi dieci anni porteranno sistemi di parcheggio automatici che permetteranno ai guidatori di lasciare l'automobile all'entrata di un garage appositamente attrezzato, da cui sono esclusi pedoni e veicoli non automatici. Un sistema di automazione di bordo comunicher� con sensori piazzati in tutto il garage per trovare un posto libero e raggiungerlo. Dato che non ci sar� bisogno di aprire le portiere, gli spazi di parcheggio potranno essere pi� stretti, e questo permetter� di far entrare pi� macchine nei garage che si trovano in zone in cui lo spazio � costoso. In zone pedonali urbane, poli tecnologici, campus universitari e altri luoghi da cui possono essere esclusi i veicoli veloci, funzioneranno navette passeggeri senza conducente a velocit� contenuta. In ambienti del genere, sensori di capacit� limitata dovrebbero bastare a "vedere" pedoni e ciclisti, e una frenata di troppo in caso di falso positivo non farebbe male a nessuno (pur infastidendo i passeggeri del veicolo). Il progetto CityMobil2 della Commissione Europea sta realizzando versioni dimostrative di queste tecnologie gi� dal 2014 e la dimostrazione finale � prevista per quest'estate. Presto, percorsi separati per gli autobus e corsie esclusivamente dedicate ai camion consentiranno ai veicoli commerciali di funzionare con livelli pi� alti di automazione. La segregazione fisica di questi veicoli dal resto degli utenti semplificher� grandemente i sistemi di individuazione dei pericoli e la relativa risposta. Alla fine, camion e autobus senza conducente, disposti in colonne, saranno in grado di seguire un veicolo guida, con risparmio di carburante. Ricercatori di tutto il mondo, fra cui quelli dell'Universit� della California, del programma Berkeley California Partners for Advanced Transportation Technology (PATH), del programma ITS di Japan Energy e dei progetti KONVOI e SARTRE in Europa, hanno gi� messo alla prova sistemi prototipo di autobus e camion in colonna. Ma gli esempi pi� diffusi entro il prossimo decennio di automazione di livello 4 saranno probabilmente sistemi automatizzati da autostrada per veicoli passeggeri personali. Questi sistemi consentiranno alle auto di guidarsi da sole, in determinate condizioni, su apposite sezioni delle autostrade. I veicoli avranno componenti e sottosistemi ridondanti, in modo che se qualcosa va male possano "tornare zoppicando a casa" senza guida umana. Probabilmente potranno andare solo con tempo buono su tratti di autostrada preventivamente mappati in dettaglio, fino alla segnaletica e alla marcatura delle corsie. Questi tratti stradali potrebbero essere dotati anche di "approdi" di sicurezza dove i veicoli possano andare in caso di problemi. La maggior parte delle case automobilistiche � attivamente impegnata nello sviluppo di questi sistemi, e Volvo Cars prevede di condurre, l'anno prossimo, dei test su queste possibilit� con 100 prototipi a G�teborg, in Svezia. Non saranno scenari futuristici quanto uno chauffer elettronico personale, ma hanno il vantaggio di essere possibili. Anzi, inevitabili; e presto.