Dicembre 2016 n. 12 Anno I Parliamo di... Periodico mensile di approfondimento culturale Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registraz. n. 19 del 14-10-2015 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Massimiliano Cattani Antonietta Fiore Luigia Ricciardone Copia in omaggio Indice La "giusta distanza": i social e le amicizie La teologia della liberazione e la sua forza messianica Modena maestosa: la "Ghirlandina", il Duomo e la Piazza La "giusta distanza": i social e le amicizie (di Silvano Petrosino, "Vita e Pensiero" n. 5/16) - A dispetto della tranquillit� frenetica dell'ideologia digitale, sulla scia di Heidegger bisogna distinguere il dono dell'autentica e purtroppo rara amicizia dallo scambio delle varie "amicizie" che si stringono e si sciolgono in pochi istanti sulla rete. - Nelle prime battute della conferenza intitolata Das Ding (1951) Heidegger afferma: "Tutte le distanze nel tempo e nello spazio si accorciano [...]. Il culmine dell'eliminazione di ogni possibilit� di lontananza � raggiunto dalla televisione, che ben presto coprir� e dominer� tutta la complessa rete delle comunicazioni e degli scambi tra gli uomini. L'uomo compie i pi� lunghi percorsi nel tempo pi� breve [...]. Ma questa fretta di sopprimere ogni distanza non realizza una vicinanza; la vicinanza non consiste infatti nella ridotta misura della distanza. Una piccola distanza non � ancora vicinanza. Una grande distanza non � ancora lontananza [...]. Che cosa accade quando attraverso l'eliminazione delle grandi distanze tutto � ugualmente vicino o ugualmente lontano? Che cos'� questa uniformit� nella quale tutte le cose non sono n� lontane n� vicine, e sono come senza distanza? Tutto fluisce e si confonde nell'uniforme assenza di distanza. Come? Questo confondersi di tutto nell'assenza di distanza non � forse ancora pi� inquietante di un'esplosione che riduca tutto in minuti frammenti?" (cfr. Saggi e discorsi, trad. it. di G. Vattimo, Mursia, Milano 1976-1985, la conferenza intitolata La cosa � alle pp. 109-124, citazione p. 109). Siamo nel 1951. Gli anni seguenti sembrano aver confermato l'interpretazione heideggeriana. In effetti, oggi, nella cosiddetta era digitale, le distanze, sia nel tempo sia nello spazio, si sono ridotte a tal punto da sembrare quasi scomparse. Tutto sembra essere vicino, sembra essere presente, tutto sembra svolgersi, cos� si dice, in "tempo reale" o in "presa diretta", il che soprattutto vuol dire che tutto sembra essere nei nostri pressi, a portata, per l'appunto, della presa della nostra mano e del nostro occhio. Finalmente, qualcuno potrebbe pensare; eppure Heidegger qualifica "questo confondersi di tutto nell'assenza di distanza" come qualcosa di "ancora pi� inquietante di un'esplosione". Come mai? Non sta forse esagerando? Ripercorriamo brevemente la riflessione del filosofo tedesco. Tipi di relazione: vicinanza e lontananza Da un certo punto di vista Heidegger non fa che sottolineare ci� che � sempre stato evidente. L'uomo, istruito in questo dalla sua stessa esperienza quotidiana, lo ha sempre saputo: ci si pu� trovare nello stesso luogo, nella stessa stanza, addirittura a pochi centimetri l'uno dall'altro, e al tempo stesso essere lontanissimi, in una lontananza radicale. Gli studi sul fenomeno della massa non fanno che confermarlo: all'interno di una massa, ad esempio tra la folla di un centro commerciale, ci si pu� sentire assolutamente soli, lontani da tutti coloro che peraltro ci sfiorano e si trovano a pochi passi da noi. Per contrasto, ci si pu� trovare ai capi estremi del pianeta e vivere una vicinanza totale, cos� come ci si pu� trovare in un altro tempo eppure esperire un'intima e solida contemporaneit�: l'amicizia lo attesta (gli amici restano vicini l'uno all'altro anche quando sono distanti l'uno dall'altro), cos� come lo attesta il ricordo e il pensiero per la persona amata scomparsa (l'altro � in me, � con me, vicino a me, anche quando non � pi� presente: � scomparso ma non per questo � diventato assente, anzi, in alcuni casi, � proprio questa scomparsa ad accrescere in un certo senso la sua presenza e la sua vicinanza). La vicinanza e la lontananza sono tipi di relazione; quest'ultima, a dispetto di quella facile retorica che finisce per vedere relazioni e reciprocit� un po' ovunque, � una realt� sottile e complessa che esige di essere indagata con la massima attenzione, soprattutto quando essa viene riferita all'esclusivo modo d'essere dell'uomo. Di tale complessit� mi limito a sottolineare, in riferimento al nostro tema, solo due aspetti. Innanzitutto si deve affermare che c'� vicinanza quando c'� inter-esse, o forse meglio: quando c'� attenzione generata da inter-esse. L'astronomo � vicino al lontanissimo pianeta che studia e verso il quale egli rivolge tutta la sua attenzione, il suo tempo, la sua intelligenza; quel pianeta, che � al centro dei suoi pensieri, gli � famigliare, gli � molto pi� vicino del vicino di casa che, magari, gli risulta del tutto indifferente. Il lontano pianeta � cos� vicino, mentre il vicino, che � vicino, resta tuttavia lontano. La vicinanza � dunque un effetto dell'attenzione generata dall'interesse, cos� come la lontananza � un effetto della disattenzione generata dal disinteresse. In un certo senso questo � vero non solo per l'uomo (sebbene nell'uomo una simile dinamica assuma una rilevanza del tutto particolare) ma anche per gli altri viventi: il predatore � vicino alla sua preda, o se si preferisce la preda � vicina al predatore, anche quando essa si trova, in termini di misura spaziale, molto lontana dal luogo in cui il predatore si trova; al tempo stesso egli � lontanissimo dal fiore che sfiora quella stessa preda e nei confronti del quale il suo istinto non manifesta alcun interesse. La preda e il fiore si trovano in un'identica collocazione spaziale ma in una differente distanza topologica: la prima � vicina, il secondo � lontano. Inoltre, proseguendo lungo questa linea interpretativa, bisogna anche riconoscere come l'interesse che muove l'uomo non sia mai uno solo e neppure sempre lo stesso; di conseguenza anche la vicinanza ch'esso genera non � mai una sola e neppure sempre la stessa. L'interesse pu� nascere dal bisogno, dal desiderio, dal sogno, dalla fantasia, dall'illusione, dalla paura, dalla speranza, dall'attesa, dal ricordo ecc. Inoltre esso pu� essere intenso o superficiale, diretto o indiretto ecc. Le vicinanze che queste diverse forme di interesse attivano esigono di essere analizzate singolarmente perch� danno vita a delle prossimit� che � bene mantenere distinte. Ad esempio, una forte passione amorosa genera un legame con l'altro che non � paragonabile a quello prodotto da un semplice e magari momentaneo capriccio affettivo, cos� come l'esperienza del lutto, come ho gi� sottolineato, rende l'amato scomparso molto pi� vicino, molto pi� presente e prossimo, della sua momentanea assenza. La logica dell'uniformit� e il flusso Un altro importante aspetto dell'interpretazione heideggeriana riguarda le idee di "flusso" e di "uniformit�": "Che cos'� questa uniformit� nella quale tutte le cose non sono n� lontane n� vicine, e sono come senza distanza?", e perch�, ancora una volta, "questo confondersi di tutto nell'assenza di distanza" � "pi� inquietante di un'esplosione che riduca tutto in minuti frammenti"? Per rispondere adeguatamente a questi interrogativi � necessario procedere con calma evitando di limitarsi a un'analisi semplicemente sociologica e/o psicologica. L'uniformit� denunciata dal filosofo tedesco ha infatti una rilevanza ontologica che spesso non viene colta dagli studiosi che si occupano della pi� nota omogeneit� socio-culturale. In effetti il tratto pi� evidente e stupefacente della "vita" � il suo inarrestabile fluire: la vita vive, e anche laddove il singolo vivente finisce di vivere, la vita non smette di vivere. Da questo punto di vista l'immagine del "flusso" � del tutto appropriata per descrivere quel divenire che, sebbene accompagni tutto ci� che esiste, tuttavia si esalta nella vita e come vita. Ora, di fronte alla mobilit� incontenibile di questo flusso, al non arrestarsi mai della vita, di fronte alla gloria abbagliante del divenire in quanto vita, il soggetto si pone come arresto, come sosta: il suo modo d'essere comporta sempre una pausa, una presa di distanza (� la nostra questione), la possibilit� di un passo indietro, precisamente il darsi di un inizio. Il modo d'essere del soggetto non si risolve mai in quello dell'esistente, ma neppure in quello del semplice vivente; il soggetto � infatti capace di fermarsi, di arrestarsi, di chiamarsi fuori dal flusso della vita, di prendere le distanze, � capace di ritornare sui propri passi trovando cos� un qualche punto di appoggio (per l'appunto: in-s�); il soggetto, pur esistendo e vivendo, � capace di non farsi travolgere dall'esistenza e dalla vita: pi� precisamente, � in grado di ri-flettere senza farsi con-fondere. Il soggetto, dunque, inizia a esistere come soggetto, e non solo come mero ente esistente o semplice individuo vivente, nell'istante in cui si arresta, si chiama fuori dal flusso del vivere, trova un punto d'appoggio e inizia a riflettere. Nel riflettere il soggetto prende le distanze dall'inarrestabile e omogeneo fluire della "nuda vita" e inizia a esistere come singolo soggetto: � nella distanza che il soggetto (si) ritaglia un luogo d'intimit� all'interno del quale raccogliersi al fine di esperire il suo stesso essere un "in-s�". Dalla natura del digitale al digitale in quanto natura Ci si pu� chiedere a questo punto se le due tesi fondamentali contenute nel brano heideggeriano pi� sopra citato - le ricordo: "La fretta di sopprimere ogni distanza non realizza una vicinanza; la vicinanza non consiste infatti nella ridotta misura della distanza"; "Tutto fluisce e si confonde nell'uniforme assenza di distanza" - ci si pu� chiedere se queste tesi heideggeriane non trovino una loro sorprendente conferma proprio nell'era digitale che caratterizza il nostro presente. Nel mettere alla prova questa ipotesi conviene ancora una volta farsi guidare dal filosofo tedesco, in particolare dalla sua geniale analisi della quotidianit�, e pi� precisamente del "modo di essere quotidiano del discorso, della visione e dell'interpretazione". Mi riferisco ai paragrafi 35-38 di Sein und Zeit (1927) dedicati alla chiacchiera (par. 35), alla curiosit� (par. 36) e all'equivoco (par. 37): "Chiacchiera, curiosit� ed equivoco caratterizzano il modo in cui l'Esserci � quotidianamente il suo "Ci"" (M. Heidegger, Essere e Tempo, trad. it. di P. Chiodi, Longanesi, Milano 1976, par. 38, p. 221). Pensando soprattutto al mondo social e all'uso della rete, mi soffermer� in particolare sul fenomeno della chiacchiera di cui evidenzier� tre aspetti fondamentali. 1. Nel discorrere della chiacchiera l'essenziale non � costituito da ci� di cui si discorre ma dal discorrere stesso in quanto eminentemente discorrere-assieme: "Pi� che di comprendere l'ente di cui si discorre, ci si preoccupa di ascoltare ci� che il discorso dice come tale. L'oggetto della comprensione diviene il discorso, il sopra-che-cosa lo � solo approssimativamente e superficialmente [...]. Ci� che conta � che si discorra. L'essere-stato-detto, l'enunciato, la parola, si fanno garanti dell'esattezza e della conformit� alle cose del discorso e della sua comprensione" (Essere e Tempo, par. 35, pp. 212-213). 2. Poich� nel discorrere della chiacchiera l'essenziale � il discorrere stesso, allora ci� che rafforza la chiacchiera, ci� che ne istituisce l'autorit� e ne diffonde la forza, non dipende dal valore di ci� intorno a cui si discorre ma dal suo semplice diffondersi e ripetersi: "Ci�-che-�-stato-detto si diffonde in cerchie sempre pi� larghe e ne trae autorit�. Le cose stanno cos� perch� cos� si dice" (ibi, p. 212). 3. Il diffondersi e ripetersi della chiacchiera trasforma il non sapere in un sapere: un non sapere continuamente presentato, ripetuto e diffuso come un sapere viene percepito, vissuto e soprattutto utilizzato come se fosse un sapere: "La chiacchiera � la possibilit� di comprendere tutto senza alcuna appropriazione preliminare della cosa da comprendere. La chiacchiera, che � alla portata di tutti, non solo esime da una comprensione autentica, ma diffonde una comprensione indifferente, per la quale non esiste pi� nulla di incerto" (ibi, p. 213). Questa interpretazione, che risale al 1927, � talmente nota da non sorprendere pi�; ad essa, dopo quasi un secolo di studi, ci si � come abituati. � tuttavia assai probabile che un simile calo di interesse dipenda soprattutto dal fatto che i fenomeni descritti dal filosofo tedesco coincidono ormai con la nostra stessa quotidianit�, una quotidianit� che, proprio perch� tale, tende a essere percepita e vissuta come una realt� del tutto naturale, ovvia, vale a dire per nulla problematica. Come gi� anticipavo, l'era digitale sembra aver realizzato il sogno di una presa diretta e costante sulla realt�: nessuna distanza � ormai insormontabile, siamo tutti e sempre connessi con tutti gli altri, in ogni istante possiamo essere qui e contemporaneamente anche l�, con insistenza siamo informati su ci� che accade vicino e lontano, un lontano che per questa ragione diventa vicino. Gli studiosi l'hanno sottolineato da tempo: l'artificiale e il tecnologico si sono diffusi e sono penetrati a tal punto all'interno della vita degli uomini da configurarsi come una sorta di "seconda natura" il cui flusso e la cui pervasivit� si trovano di fatto a mimare quelli che caratterizzano il dinamismo della "prima natura", quello della "nuda vita". Una simile tendenza non � difficile da spiegare: pi� uno strumento � potente, pi� tende a imporsi e ad agire come se fosse un fine; pi� una tecnica � potente ed efficace, pi� essa tende a essere percepita come se fosse qualcosa di inevitabile e naturale. La tecnologia digitale � cos� diventata una sorta di "nuova natura" caratterizzata, analogamente alla "vecchia natura", quella del puro e semplice vivere, da un flusso inarrestabile e uniforme che porta a una drastica riduzione delle distanze e a una conseguente progressiva imposizione del principio dell'omologazione. All'interno di questa "nuova natura", all'interno del particolare flusso generato dalla tecnologia digitale, l'esperienza del soggetto viene investita da forze capaci di produrre alcune derive antropologiche fondamentali; a tale riguardo l'interpretazione heideggeriana rivela tutto il suo valore e la sua sorprendente attualit� soprattutto in relazione a due aspetti: a) la chiacchiera diffonde un "sapere medio" all'interno del quale non c'� spazio per l'incerto e il problematico: "La chiacchiera, che � alla portata di tutti, non solo esime da una comprensione autentica, ma diffonde una comprensione indifferente, per la quale non esiste pi� nulla di incerto [...] la chiacchiera, con la sua presunzione di possedere fin dall'inizio la comprensione di ci� di cui parla, impedisce ogni riesame e ogni nuova discussione, svalutandoli o ritardandoli in modo caratteristico [corsivo mio]" (Essere e Tempo, par. 35, pp. 213-214); b) la chiacchiera si accompagna necessariamente con una tranquillit� frenetica: "Chiacchiera ed equivoco, l'aver tutto visto e tutto compreso, creano nell'Esserci la presunzione che l'apertura dell'Esserci che essi portano con s� sia tale da garantire la certezza, la purezza e la pienezza delle possibilit� del suo essere [...]. Questo stato di tranquillit� dell'essere inautentico non conduce per� all'inerzia e all'ozio, ma all'"attivit�" sfrenata" (ibi, par. 38, p. 223). Dalla vicinanza che allontana alla lontananza che avvicina Nel corso della sua analisi, Heidegger non si � stancato di richiamare l'attenzione su una doppia urgenza; da una parte bisogna evitare in tutti i modi l'ingenuit� di considerare le esperienze della chiacchiera, della curiosit� e dell'equivoco in senso spregiativo; ma dall'altra parte bisogna anche avere l'intelligenza di riconoscere in esse come una sorta di sintomi del modo "inautentico" di esistere da parte dell'uomo. Con altri termini il filosofo tedesco parla anche di deiezione (Verfallen) e di caduta (Absturz), aspetti che a suo avviso caratterizzano non certi momenti particolarmente opachi del vivere umano, ma l'intera quotidianit� proprio in quanto quotidianit�. La nostra quotidianit� � ormai abitata da quell'universo digitale nei confronti del quale non ha alcun senso avere un atteggiamento spregiativo. D'altra parte non si pu� neppure negare che tale quotidianit�, sebbene sia agitata da una stupefacente variet� di contatti, immagini, dati, reti, resti comunque una quotidianit� che come tale assume necessariamente "la forma di una fluttuazione senza basi (bodenlosen Schwebens)" (ibi, par. 38): la chiacchiera resta una chiacchiera anche quando mette assieme, senza tuttavia mai unirli, soggetti che da un capo all'altro del pianeta si scambiano in "tempo reale" e in "presa diretta" parole, immagini, suoni eccetera. Nei confronti di un tale fluttuare, cos� come nei confronti di ogni altra fluttuazione (compresa quella che accompagna la "nuda vita"), bisogna sapere prendere le distanze. Come gi� accennavo, il soggetto si costituisce come tale, come "s�", proprio e solo nella misura in cui si ferma, riflette e in qualche modo si allontana da quel flusso all'interno del quale l'unico ruolo che finisce per giocare � quello del semplice individuo (del semplice consumatore, ad esempio) travolto da forze ch'egli non � mai in grado di governare. Tali forze sono quelle che caratterizzano la "vecchia natura" del vivere ma sono anche quelle che caratterizzano la "nuova natura" messa in scena dalla tecnologia digitale. Ecco perch� a me sembra che Heidegger abbia ragione quando afferma che all'interno del particolare modo d'essere dell'uomo la vicinanza non consiste affatto nella ridotta misura della distanza, cos� come mi sembra abbia ragione quando denuncia l'estremo pericolo di un'uniformit� (naturale? digitale? naturale/digitale?) in cui tutte le cose non sono n� lontane n� vicine essendo tutte senza distanza. In fondo - ecco un'ovviet� che pu� essere utile ripetere - a dispetto della tranquillit� frenetica con la quale l'ideologia digitale, l'attuale "stato interpretativo pubblico", nasconde ogni "caduta" presentandola come "perfezione e vita vissuta", bisogna insistere nel distinguere il dono dell'autentica e purtroppo rara amicizia (laddove, come gi� accennavo, si � vicini anche quando si � lontani) dallo scambio delle varie "amicizie" che si stringono e si sciolgono in pochi istanti sulla rete (laddove, per l'appunto, si finisce per trovarsi lontani anche quando si � vicini). Distinzione banale quanto si vuole ma al tempo stesso anche del tutto essenziale, soprattutto perch� essa ci aiuta a ricordare che � solo nella distanza che la presenza appare, risplende e pu� essere salvaguardata come tale. La teologia della liberazione e la sua forza messianica (di Luis Martinez Andrade, _ "Prometeo" n. 122/13) - Malgrado la sua espansione e crescente influenza i meccanismi di sfruttamento sono rimasti inalterati. - "Perch� escludere oggi la parola socialismo dal vocabolario cristiano? Perch� pensare che il socialismo sar� sempre antireligioso e anticristiano?" Dom H�lder C�mara (1970: 70). Bisogna ammettere la centralit� della civilt� latino-americana nella configurazione globale dalla fine del XX secolo. I riferimenti a questo continente non solo nei mass media "benpensanti" ma anche nei vari movimenti sociali - questi ultimi ispirati alle lotte popolari indigene, alle speranze dei contadini senza terra in Brasile, alla scintilla zapatista o ancora all'afflato di dignit� degli oppressi - rispondono, da un lato, alla riconfigurazione del sistema mondiale e, dall'altro, allo spostamento del centro di gravit� dell'ordine economico. Ovviamente ci� non comporta la scomparsa dei meccanismi di dominio da parte del potere militare ed economico nello scacchiere geopolitico mondiale. Tuttavia, se vogliamo contribuire alla costruzione di una societ� pi� democratica, libera, egualitaria e giusta, � fondamentale valorizzare gli apporti teorici e politici latino-americani. Oggi pi� che mai, nell'era glaciale del neoliberalismo, non si possono trascurare i contributi latino-americani. L'urgenza della situazione attuale ci costringer� ad accendere la scintilla della speranza? Questo era il pensiero di Walter Benjamin. Salto della tigre verso il passato Dopo la conquista attraverso la colonizzazione e l'evangelizzazione, l'appropriazione delle terre (strappate alle popolazioni indigene) � stata gestita da una minoranza di possidenti. Durante il processo di colonizzazione i "falsi dei" delle comunit� indigene sono stati sostituiti dai "veri dei" dei colonizzatori. In cambio delle loro terre agli indigeni � stata concessa una Bibbia e la salvezza post mortem. Va anche detto che nella storia della Chiesa latino-americana (tra il 1544 e il 1568) alcuni membri del clero si sono impegnati a favore degli indigeni oppressi. Tra questi possiamo citare vescovi come Bartolom� de Las Casas, nel Chiapas (1544-1554); Antonio de Valdivieso in Nicaragua (1544-1550); Crist�bal de Pedraza in Honduras (1545-1583); Pablo de Torres a Panama (1540-1554); Juan del Valle a Popay�n (1548-1560); Fernando de Uranga a Cuba (1552-1556); Tomas Casillas nel Chiapas (1552-1597); Bernardo de Alburquerque a Oaxaca (1559-1579); Pedro de Angulo a Verapaz (1560-1562), Pedro de Agreda a Coro (1560-1580); Juan de Simancas a Cartagena (1560-1570), Domingo de Santo Tom�s a La Plata (1563-1570), Pedro de la Pena a Quito (1566-1583), o Agust�n de la Coruna a Popay�n (1565-1590). Per difendere gli indigeni dalle violenze perpetrate dal potere coloniale questi vescovi si sono esposti rischiando la loro vita. Il caso di Juan del Valle e quello di Bartolom� de Las Casas meritano una digressione storica. In questi due sacerdoti si percepisce, ancora in germe, una sensibilit� "fuori dal comune". Il primo, dopo essere sbarcato nel 1548 a Popay�n, diventa il "protettore degli indigeni". Alcuni anni pi� tardi, nel 1559, parte sulla sua mula, portando con s� numerose prove dei crimini commessi dagli spagnoli contro la popolazione indigena. Nel 1560, arriva a Bogot� per esporre le sue preoccupazioni all'Audiencia, che tuttavia dar� poco credito a queste sollecitazioni. Quindi si dirige in Spagna, sperando forse di trovare attenzione da parte del Consiglio delle Indie. Purtroppo il Consiglio si mostra insensibile alle preoccupazioni di Juan del Valle, che morir� durante un viaggio a Trento dove sperava di essere ascoltato dalle autorit� ecclesiastiche. All'epoca non c'era ancora stato il concilio Vaticano II ed era impossibile prendere posizione su questi problemi. Quanto a Las Casas, originario di Siviglia, arriva nei Caraibi nel 1503. Rendendosi rapidamente conto delle atrocit� vissute dagli indigeni sotto il dominio dei conquistatori, non si fermer� a lungo nel suo nuovo ambiente. Secondo il filosofo tedesco Walter Benjamin (2010: 129) questo vescovo � stato "l'eroico difensore di una posizione disperata", a differenza di Juan Gin�s de Sep�lveda che Benjamin (2010: 130) definisce "teorico della ragion di Stato e cronista della corte". Bartolom� de Las Casas ha espresso le sue considerazioni nel corso della celebre controversia con Gin�s de Sep�lveda a Valladolid battendosi per l'abolizione della schiavit�. Non � un caso che il filosofo argentino Enrique Dussel (2007: 25) prenda in prestito il concetto di consensus populi per ripensare una politica della liberazione che contrasti il pensiero politico eurocentrico. Va da s� che per Dussel, Las Casas rappresenta proprio il primo discorso critico della modernit�. Agli occhi dello storico dei vinti Eduardo Galeano (1985: 148) "questo [Las Casas] � l'uomo pi� odiato d'America, l'Anticristo dei padroni coloniali, il flagello di queste terre [...] quest'uomo � anche l'uomo pi� amato d'America. La voce dei muti, l'ostinato difensore di coloro che sono trattati peggio del letame dei luoghi pubblici, l'accusatore di coloro che per avidit� fanno di Ges� Cristo il pi� crudele degli dei e del re un lupo affamato di carne umana". D'ora in poi moltissimi preti si mostreranno sensibili alle sofferenze delle vittime e reagiranno di conseguenza. Anche se esiste gi� un ethos critico della modernit� e dei valori del capitalismo - ricordiamo che per Marx la storia moderna del capitale si situa nel XVI secolo, quando la circolazione delle merci � il punto di partenza del capitale e il denaro rappresenta la prima forma di comparsa del capitale - la teologia della liberazione come riflessione religiosa e spirituale si profiler� solo a met� del XX secolo. Il nano ribelle Attualmente � usuale considerare la tesi sul concetto di storia di Walter Benjamin (1983: 195) l'argomentazione che permette di stabilire un legame tra il materialismo e la teologia. Questo rapporto, un po' paradossale, cercava di valorizzare la forza messianica ed esplosiva della teologia per la causa degli oppressi. La teologia - il "nano gobbo" di Benjamin che � un asso nel gioco degli scacchi e aiuta il materialismo a vincere la partita guidando la mano del burattinaio - dev'essere concepita come ricordo (Eingedenken) e redenzione messianica (Erl�sung), in altre parole i nuovi elementi di una concezione della storia controcorrente. Considerando le affinit� elettive tra l'intuizione di Benjamin e la teologia della liberazione latino-americana, Michael L�wy (2001: 54) osserva che "il contesto latino-americano degli ultimi decenni � molto diverso da quello europeo tra le due guerre. Ci� non toglie che l'associazione tra teologia e marxismo che sognava l'intellettuale ebreo si � rivelata alla luce dell'esperienza storica, non solo possibile e fruttuosa, ma anche portatrice di cambiamenti rivoluzionari". Sicuramente questo nano - di cui parla Benjamin - ha contribuito, per tutta la seconda met� del XX secolo, a rinnovare la debole forza messianica degli oppressi del Terzo mondo. Secondo alcuni storici l'instaurazione delle dittature militari negli anni Settanta � stata accompagnata dall'imposizione della dottrina economica neoliberale. Di conseguenza, il divario tra il Nord e il Sud si � accentuato, poich� le misure adottate dalle giunte militari hanno contribuito largamente all'impoverimento delle societ� latino-americane. Durante i tre decenni seguenti, l'America latina ha vissuto l'esperienza dolorosa e ignobile della reificazione del sistema capitalista dal volto neocolonialista. Certo, il capitale determina una forma socio-storica specifica come il feticismo del mercato, l'accumulazione come unica finalit�, la lusinga del guadagno, il dominio del valore di scambio delle merci, il produttivismo e la logica del profitto. Tuttavia, nella periferia, il capitale assume andamenti grotteschi che si traducono nel sovvertimento di tradizioni e di identit�, nella rottura di legami sociali, o ancora nello sterminio di popoli e culture. La modernit� egemonica nasconde il vero volto del capitalismo selvaggio. In altre parole, il radicamento del modello neoliberale comporta la mercificazione della vita, l'aumento dell'inquinamento di fiumi, torrenti e mari, l'aggressione indiscriminata dell'Amazzonia: in sintesi, la distruzione della natura e il perpetuarsi dello sfruttamento dell'uomo. Analizzando la funzione sociale propria della teologia della liberazione in America latina, L�wy (1998: 53) segnala che queste osservazioni non sono che la punta dell'iceberg di un fenomeno pi� ampio nato in seno allo stesso cristianesimo. L�wy sostiene che i due eventi storici che hanno condizionato l'emergere della teologia della liberazione sono stati, da una parte, l'elezione di Giovanni XXIII e, dall'altra, la rivoluzione cubana. Tuttavia, basandosi sugli scritti del teologo brasiliano Leonardo Boff, L�wy sottolinea che la teologia della liberazione � il riflesso di una pratica che la precede e, contemporaneamente, una riflessione su se stessa. In questo senso L�wy osserva che la teologia della liberazione � l'espressione di un ampio movimento sociale che si � sviluppato negli anni Sessanta, ossia molto prima della pubblicazione delle prime opere dei teologi liberazionisti. L�wy ha pubblicato uno studio sulle "affinit� elettive" tra il cristianesimo della liberazione e il marxismo, allo scopo di metterne in luce la convergenza politica e sociale. A questo proposito, egli dimostra che il "cristianesimo della liberazione" espresso nelle comunit� ecclesiali di base, nei movimenti della giovent� universitaria cattolica o ancora dei giovani operai cattolici in Brasile - per fare qualche esempio - condivideva lo stesso ethos critico nei confronti della modernit� eurocentrica. Perci� la trasformazione della societ� � una rivendicazione generalizzata condivisa sia dai militanti cattolici che dai partigiani del marxismo libertario. Una delle ragioni che hanno permesso l'approccio teorico, discorsivo e pratico della teologia della liberazione � costituita dalle diverse esperienze europee, come quella della parrocchia operaia animata da Joseph Cardijn. Basandosi sul metodo della r�vision de vie (vedere-giudicare-agire), l'esperienza di Bruxelles porter� alla creazione della JOC (Jeunesse ouvri�re chr�tienne) e, poco dopo, del movimento dei preti operai. In questo senso, il Belgio ha svolto un ruolo importante nella genesi della teologia della liberazione latino-americana. Non � un caso se pochi anni dopo Camilo Torres - il sacerdote guerrigliero colombiano - sbarca a Lovanio per continuare i suoi studi di sociologia e il belga Jos� Comblin lascia definitivamente l'Europa per andare a vivere tra i pi� derelitti del Brasile. L�wy mette in luce alcune coincidenze nella critica dei teologi della liberazione e dei pensatori marxisti. Da un lato, egli sviluppa la critica del capitalismo e delle sue espressioni culturali - consumo, idolatria del mercato, feticismo della merce, ecc. - e, dall'altro, discute la scommessa - in senso pascaliano - di un mondo democraticamente concreto e di una societ� senza classi. � per questo motivo che a livello teorico i teologi della liberazione hanno chiarito l'uso di strumenti analitici di origine marxista, in quanto permettevano di evidenziare il nucleo perverso del capitale e della sua logica predatoria. � innegabile che la sociologia positivista, l'"alta teoria funzionale", come pure le espressioni ideologiche del capitalismo, non permettono di spiegare questa logica predatoria. Peraltro il marxismo in quanto teoria critica consente di spiegare dal punto di vista sociologico le cause della povert�, l'origine dell'emarginazione e la genesi dello sfruttamento. Appare evidente che alcuni membri della Chiesa hanno radicalizzato la propria posizione, indirizzandosi verso un tipo di militanza non politica ma insurrezionale. Nella storia della Chiesa, il sacerdote e sociologo Camilo Torres � la figura pi� rappresentativa tra coloro che hanno sposato la causa dei poveri, al prezzo di un ricorso alla violenza divenuta una necessit� storica (Girardi 2005). Per comprendere la relazione tra il Nord (ricco) e il Sud (povero), � interessante notare che i teologi della liberazione hanno adottato l'analisi marxista, estendendola alla questione dei contadini e degli indigeni. Basandosi sulla teoria della dipendenza - d'ispirazione marxista - questi teologi hanno denunciato il meccanismo attraverso cui le metropoli traggono la ricchezza materiale ed energetica delle nazioni dalla periferia. Inoltre, utilizzando immagini teologiche come "il peccato strutturale", che esprime le strutture asimmetriche caratteristiche del mercato globale, hanno mostrato la relazione neocoloniale iniziata dopo la conquista e durata fino ai giorni nostri. La teologia della liberazione assume un atteggiamento critico - in quanto visione utopica del mondo - per denunciare le conseguenze nefaste, sul piano economico (povert�, esclusione), politico (corruzione, clientelismo, repressione) e sociale (sessismo, razzismo, concentrazione della terra), ma anche a livello ambientale (distruzione della natura, business agro-alimentare), causate dalla modernit� capitalista. Quando la teologia della liberazione difende i valori fondamentali della modernit�, lo fa in modo radicale. In questo senso, non � tradizionalista (nel senso conservatore del termine), ma tenta piuttosto di far convivere tradizione e modernit�. In larga misura, tenendo conto della specificit� coloniale latino-americana, la teologia della liberazione condivide la critica romantica e marxista della civilt� moderna e capitalista. Questa critica ruota intorno ad un progetto di liberazione che concede all'utopia un ruolo cruciale nella difesa dell'umanit� e della natura, perci� questa teologia non pu� essere ridotta semplicemente a un discorso tradizionalista antimoderno. Certamente, in quanto teologia, resta un discorso sulla fede, ma contiene anche un carattere di razionalit� che non pu� essere ignorato. Sebbene alcuni teologi minimizzino l'importanza di Franz Hinkelammert per lo sviluppo della teologia della liberazione, i suoi contributi sul rapporto tra economia e teologia sono significativi. Di fatto il suo libro Las armas ideol�gicas de la muerte rappresenta un nuovo capitolo di questa teologia perch� affronta la teoria del feticismo di Marx. Quattro sono gli argomenti trattati nel volume: a) la difesa della vita reale (comprese le condizioni ambientali per la sua riproduzione), b) la denuncia dell'effetto d'inversione nella produzione di merci, vale a dire il processo attraverso il quale gli oggetti diventano soggetti (apparentemente) e i produttori oggetti, c) il superamento della concezione limitata di sovrastruttura, mostrando che la divisione del lavoro e le norme etiche sono tra loro correlate, d) l'insistenza sulla "cattiva infinitudine", concetto hegeliano usato nell'analisi marxiana dei feticismi del denaro e del capitale. Si noti che in questo libro Hinkelammert affronta gi� la questione dell'annientamento della realt� corporale vivente causata dalla logica distruttiva del capitale. Questa idea � centrale, e svolger� un ruolo importante nella concezione utopico-ecologica dei teologi della liberazione. Alcuni, come Jung Mo Sung e Gilberto S. Gorgulho, hanno notato che i contributi di Hinkelammert all'ermeneutica biblica contengono una distinzione tra il feticcio e lo spirito che permette di comprendere meglio la differenza tra gli dei della morte, che richiedono sacrifici e generano oppressione, e gli dei della vita. Tuttavia, solo con la pubblicazione del libro L'idol�trie du march�: critique th�ologique de l'economie de march�, scritto da Hugo Assmann in collaborazione con Franz Hinkelammert, il Departamento Ecum�nico de Investigaciones chiarisce il suo progetto di considerare il capitalismo non solo come un sistema di apparenze feticizzate, ma anche come una religione della vita quotidiana (1989: 52). Gli autori seguono le tracce della teologia nel discorso economico per mostrare le sue ripercussioni sui comparti sociali e ambientali. Ai loro occhi l'economia � una sorta di teologia secolare che ha i suoi apostoli e i suoi teologi. Cos�, studiando i principali postulati della teoria economica liberale - comprese le sue nozioni trascendentali, come la mano invisibile, l'equilibrio generale, il mercato totale - questi pensatori sottolineano gli aspetti religiosi celati in un discorso economico presentato come scientifico e laico. Assmann e Hinkelammert insistono sul fatto che, se non si analizza l'idolatria del capitalismo, si rischia di non comprenderne il funzionamento. Senza la minima intenzione di convertire Marx in "un credente a ogni costo", questi teologi sottolineano che il tema dei sacrifici � gi� presente nei suoi scritti giovanili e nel Capitale, che dar� al feticismo il rango di categoria analitica dell'economia (Assmann e Hinkelammert, 1989: 388-412). A loro avviso, la forza della critica di Marx risiede nel fatto che si rivolge a tutte le forme sociali astratte dove regnano le apparenze feticistiche e che permette di dissipare la nebbia che impedisce agli uomini di agire diversamente e di vivere la propria storia. Anche Dussel (1993: 173) ha osservato che il ricorso ai simboli biblici � una costante nell'opera di Marx, fino ad una forma di vera e propria demonologia. Per presentare la logica sacrificale del sistema capitalista, l'autore del Capitale usa infatti le immagini di Mammona, Baal e Moloch. Per cui questi teologi considerano fondamentale l'analisi del feticismo come processo di astrazione sociale che causa un rapporto di dominio e di annientamento della vita reale. Alla vigilia della caduta del muro di Berlino, opponendosi al teologo polacco Josef Tischner, Dussel ha sostenuto che la teoria di Marx non sar� superata finch� il capitale continuer� ad esistere: la "teologia della liberazione ecologica" che lo studioso auspicava non pu� ignorare i contributi di Marx (1993, p. 224). Secondo Marx (1960: 17-18), se il lavoro � l'unica fonte di ricchezza, la natura � la fonte di tutte le ricchezze nella misura in cui ad essa ricorre ogni produzione. Ora, il capitalismo altera il rapporto tra questa natura indispensabile e l'uomo, riducendoli entrambi allo stato di merce, mentre anche la terra e il lavoro concreto dell'uomo non hanno valore di scambio poich� lo hanno solo i prodotti del lavoro umano. Secondo Dussel, un'importante proposta ecologica di Marx � contenuta nel concetto di plusvalore relativo (o survalore), nel senso di massimizzare e incrementare il lavoro necessario mediante la meccanizzazione. Cos�, quando gli ambientalisti diffidano della tecnologia di per s�, non colgono la vera causa del problema ecologico: il capitale. In altre parole, quando gli ambientalisti diffidano della tecnica senza andare alla radice della dinamica del capitale, vale a dire l'aumento del tasso di profitto, condannano gli effetti senza affrontare la causa. La tecnologia non � di per s� antiecologica, ma � l'essenza del capitale a privare l'uomo e la natura della loro dignit� riducendoli al rango di strumenti per alimentare il processo di valorizzazione. In questo senso, il capitale ha ribaltato l'etica, trasformando l'uomo in mezzo, mentre le cose diventano il fine. In questa prospettiva, la crisi ecologica che stiamo vivendo � dovuta al fatto che l'uomo e la natura sono diventati oggetti da sfruttare. Il capitalismo e l'ecologia dunque si contrappongono: "Cos�, Marx ci ha dato il quadro teorico per sviluppare, oggi e pi� che mai, il capitolo necessario di una teologia della liberazione ecologica. Vale a dire, nella misura in cui il capitalismo � il "demone invisibile" della nostra storia contemporanea, la tecnologia � chiusa nella struttura sociale del peccato; la sua vera missione sar� compiuta solo superando il capitalismo" (Dussel, 1993: 230). Leonardo Boff, autore di numerosi libri sul dialogo tra religione ed ecologia, ha contribuito allo sviluppo di questo capitolo della teologia della liberazione. Per questo ex francescano la scienza e la tecnologia non sono realt� neutre: da qui deriva l'idea che l'opzione prioritaria per i poveri dev'essere il criterio di valutazione della tecnologia. Il nano in movimento Dopo la caduta del muro di Berlino, il crollo del socialismo reale, la dichiarazione della "fine della storia" e la vittoria del libero scambio, chi oserebbe ancora mettere in discussione l'attuale paradigma egemonico? Dove trovare utopie e progetti alternativi? In un mondo in cui l'american way of life si sta diffondendo e globalizzando, chi saranno i "retrogradi" che si batteranno per una societ� senza classi? Su un pianeta in cui si accettano tranquillamente le regole imposte dalla democrazia liberale borghese, chi saranno i miscredenti che contesteranno queste norme? Anche la teologia della liberazione � gi� morta? Per comprendere la riconfigurazione e la pertinenza di questa corrente teologica, � importante capire il nuovo contesto in cui oggi si realizza. L'America latina non � il continente pi� povero del pianeta, ma presenta il grado di polarizzazione economica pi� alto del mondo, dove il 10% dei pi� ricchi detiene il 60% delle ricchezze, mentre il 10% dei pi� poveri si divide solo il 2%. In questo senso, il sociologo Luis Gerardo N�nez D�az (2009) avverte che il capitalismo, come sistema "trans-secolare", utilizza il processo di globalizzazione come veicolo per rafforzare le strutture di dominio in questa regione periferica del mondo. Questo � vero anche per l'imperialismo (come categoria di analisi sociale): D�az N�nez mette in evidenza il ruolo degli Stati Uniti nei progetti di privatizzazione e di militarizzazione del continente. Tra gli effetti negativi che l'autore denuncia in campo politico, c'� la diffusa e crescente apprensione nei confronti dei modi tradizionali di agire in politica. La crisi di legittimit� e rappresentativit�, o le dimissioni di Frei Betto, membro dell'amministrazione Lula in Brasile, mostrano la mancanza di sostegno dei governi cosiddetti "di sinistra". A livello economico, le multinazionali e la proliferazione delle "maquiladoras" hanno un forte impatto sulla vita quotidiana degli abitanti e delle popolazioni: 227 milioni di persone vivono al di sotto della soglia di povert�. Per quanto riguarda l'aspetto culturale, � caratterizzato da una omogeneizzazione di modelli, immagini e immaginari manipolati, influenzati, modificati e rielaborati dalla potenza nordamericana. � in questo nuovo contesto che la teologia della liberazione attualizza il suo locus teorico e pratico, senza dimenticare la sua "opzione preferenziale a favore dei poveri". A partire dagli anni Novanta, la teologia della liberazione ha ampliato la propria gamma di problematiche: occupano un posto centrale l'ecologia, le culture indigene, le donne e i movimenti antiglobalizzazione. Anche la creazione del Forum Sociale Mondiale a Porto Alegre, nel 2001, � uno dei risultati di questa nuova riflessione. Se in precedenza il povero era la figura prediletta di questa teologia, ormai � la vittima, nel senso che Benjamin ha attribuito a questo termine, il soggetto centrale. Le vittime sono i poveri, da una parte, e la natura, dall'altra (Pachamama, ecc.), entrambi rovinati dalla grande industria e dalla grande agricoltura industrializzata - come gi� aveva scritto Marx nel terzo libro del Capitale; da qui la necessit� di ripensare la lotta per le vittime del sistema egemonico. In realt�, i teologi della liberazione hanno sempre sottolineato il carattere idolatrico del capitalismo: ci� che li preoccupava non era l'ateismo - in quanto critica all'ideologia - ma piuttosto la creazione di nuovi idoli, come, per esempio, il mercato. In questo senso, il mercato - o la logica del capitalismo - � denunciato come una dinamica che ha bisogno di vittime sacrificali. Cos�, in un contesto come il nostro, in cui il neoliberalismo non fa che aumentare il livello di povert�, l'attualit� della teologia della liberazione risiede nella sua critica all'ideologia del capitale. L'attuale contesto ha portato ad un ampliamento delle riflessioni teologiche e sociali da parte della teologia della liberazione, il che spiega lo sviluppo di nuove tendenze al suo interno, come la teologia ecologica della liberazione (Leonardo Boff e Frei Betto), la teologia femminista latino-americana (Ivone Gebara, Elsa T�mez e Marcella Althaus-Reid), la teologia indigena (Eleazar L�pez), la teologia afro-latino-americana (A. Kasanda) e la teologia interculturale (Ra�l Fornet-Betancourt e Juan Jos� Tamayo). Ragion per cui l'America latina, a partire dagli anni Cinquanta, ha dovuto fare riferimento al ruolo sia del cristianesimo della liberazione, sia della teologia critica e utopica. Il contesto � certamente cambiato in seguito alla cosiddetta "transizione verso la democrazia", ma crescono i meccanismi di sfruttamento e il conflitto non solo tra capitale e lavoro ma anche tra capitale e natura. Cos� la denuncia profetica dei teologi della liberazione continuer� a richiamare la nostra attenzione sui problemi che mettono in pericolo la vita nel senso pi� ampio del termine. I teologi della liberazione sostengono che i poveri sono la categoria principale sacrificata sull'altare della razionalit� economica e sottolineano che, paradossalmente, nonostante la crescita economica, la povert� continua ad aumentare. Leonardo Boff (2004: 14) ricorda anche che secondo gli scienziati, tra il 1500 e il 1850, abbiamo distrutto una specie animale o vegetale ogni dieci anni e, tra il 1850 e il 1950, una specie ogni anno. E dal 1990 scompare una specie ogni giorno. Boff aggiunge che ogni anno una superficie di 43.696 km2 di terre fertili si trasforma in zone desertiche. In questo caso appare evidente la correlazione tra povert� e inquinamento. La razionalit� economica si � imposta sulla razionalit� ambientale, e la logica predatoria del capitale ha portato ad un vero e proprio "ecocidio". L'unico criterio di verit� - teorico e pratico - dovrebbe essere la conservazione non solo della vita biologica, ma della "vita buona". Una prospettiva politica, economica, filosofica o un sistema che dimenticano questo criterio � antietico, come gi� sottolineava Marx: il capitalismo � come un vampiro che si nutre del sangue dei viventi. Non � solo una logica di produzione, ma una specifica modalit� delle relazioni sociali. La contraddizione immanente tra capitale e lavoro � il motore di questo sistema che ignora i valori etici e vitali della societ�. La razionalit� economica egemonica priva la natura e gli esseri umani del loro diritto fondamentale, il diritto di vivere. Boff ritiene che la crisi ambientale sia una crisi della civilt� occidentale, moderna e capitalista. Il suo superamento sar� possibile solo quando se ne comprenderanno le cause profonde: la razionalit� ambientale deve diventare il nucleo centrale della logica economica. Di qui la necessit� di costruire un sapere ambientale alternativo, che si preoccupi soprattutto della natura e delle vittime della modernit�. Secondo Dussel (2003), il progetto trans-moderno comporta un dialogo tra tutte le civilt� che sono rimaste al di fuori dell'ontologia dominante, vale a dire le societ� indo-americane, africane o asiatiche, ma questo dialogo dev'essere basato sulla dimensione emancipatrice della ragione; la transmodernit� non rifiuta l'uso della ragione come strumento di liberazione, ma come strumento di dominio. Da parte sua, anche Boff ritiene necessaria una trasformazione radicale del nostro paradigma di civilt�. Per cui propone la creazione di una civilt� planetaria che comprenda la Terra come asse centrale di una bio-civilt� che dovrebbe fondarsi su cinque punti: a) l'uso equo, responsabile e solidale delle risorse, al servizio della natura; b) l'accentuazione del valore d'uso rispetto al valore di scambio; c) il controllo democratico del mercato e dei capitali speculativi; d) un ethos mondiale fondato su un dialogo democratico interculturale basato sull'etica della cura, della cooperazione e della responsabilit�; e infine e) una spiritualit� capace di esprimere la singolarit� dell'uomo, diversa dal monopolio simbolico delle istituzioni religiose costituite. Il filosofo e il teologo della liberazione sostengono che la protezione della natura, condizione della salvaguardia dell'umanit�, comporta necessariamente la distruzione del sistema capitalistico. Il contesto sudamericano � certamente cambiato in seguito alla "transizione verso la democrazia", ma i meccanismi di sfruttamento e le contraddizioni non solo tra capitale e lavoro, ma anche tra capitale e natura, non hanno fatto che aumentare. La denuncia dei teologi della liberazione di fronte ai problemi che mettono in pericolo la vita nel senso pi� ampio del termine non ha dunque perso la sua attualit�. Modena maestosa: la "Ghirlandina", il Duomo e la Piazza ("RivistAmica", n. 10/16) - Nel 1997 il complesso monumentale cittadino veniva iscritto nella lista dei Patrimoni dell'Unesco. Un capolavoro di scultura e architettura che costituisce un illustre esempio di sviluppo urbano collegato ai valori della vita civica. - Quasi vent'anni fa - era il 19997 - Modena veniva iscritta nella lista del Patrimonio Mondiale Unesco. "La Cattedrale di Modena e la Torre, con le straordinarie sculture e l'originale struttura architettonica, sono un capolavoro del genio creatore umano, grazie all'attivit� congiunta di due straordinari artisti, Lanfranco e Wiligelmo", � il primo dei quattro criteri di iscrizione. Le altre motivazioni mettono in luce l'importanza del complesso monumentale che, fra il XII e il XIII secolo, "ha rappresentato una delle principali scuole di un nuovo linguaggio figurativo destinato ad avere una enorme influenza sullo sviluppo dell'arte romanica nella pianura padana"; "la costruzione del complesso, una delle testimonianze pi� eccezionali della societ� urbana nell'Italia settentrionale" del periodo; l'esempio di "sviluppo urbano strettamente collegato ai valori della vita civica", che comprende la Cattedrale, la Torre Civica e Piazza Grande. "Il pi� bel duomo dell'Emilia ed il pi� famoso libro miniato d'Italia si trovano a Modena. Il Duomo di Modena � un'antologia e una miniera della scultura romanica", scriveva nel 1957 Guido Piovene nel suo "Viaggio in Italia". Fondato nel 1099, il Duomo di Modena � uno dei pi� pregevoli esempi del romanico in Italia, opera dell'attivit� congiunta dell'architetto Lanfranco e dello scultore Wiligelmo. Dalla met� del XII secolo, e per oltre duecento anni, dei lavori si occuparono i Maestri Campionesi; a cavallo fra il XII e il XIII secolo fu allargata la cripta, innalzato il coro e ampliato il tetto. Nella struttura ideata da Lanfranco - una basilica suddivisa in tre navate da un'alternanza di colonne e pilastri con presbiterio sopraelevato sulla cripta - si innesta, con sublime armonia, l'opera di Wiligelmo. A lui e agli altri scultori attivi agli inizi del XII secolo si devono le decorazioni che adornano di motivi vegetali e di esseri fantastici i capitelli, le semicolonne, le mensole degli archetti nell'intero perimetro del Duomo. La maestosa bellezza di Piazza Grande prese forma tra il X e il XII secolo. A nord � delimitata dal fianco sinistro della cattedrale, a ovest dal Palazzo del Vescovo, legato al Duomo attraverso un passaggio privato. La Torre dell'Orologio, invece, salda insieme il vecchio e il nuovo Palazzo Comunale, armonizzati da portici. Assieme alla cattedrale fu innalzata la Torre Civica, edificata come torre campanaria del Duomo, che ad esso si collega tramite due archi. Dall'alto dei suoi 89,32 metri, spicca sul profilo della citt� con le sue armoniose proporzioni e ne costituisce il simbolo. I modenesi la chiamano anche "Ghirlandina", vezzeggiativo che si riferisce alle balaustre in marmo che incoronano la guglia, "leggiadre come ghirlande".