Dicembre 2018 n. 12 Anno III Parliamo di... Periodico mensile di approfondimento culturale Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registraz. n. 19 del 14-10-2015 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Massimiliano Cattani Antonietta Fiore Luigia Ricciardone Copia in omaggio Rivista realizzata anche grazie al contributo annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri per un importo pari ad euro 23.084,48 e del MiBACT per un importo pari ad euro 4.522.099. Indice La nuova destra radicale (Seconda parte) La soluzione di Roosevelt La nuova destra radicale (Seconda parte) (di Claudio Vercelli, "Prometeo" n. 143/18) Tutta la tradizione reazionaria trova peraltro il suo punto di coagulo nella risposta regressiva alla rivoluzione francese, rinnovandosi successivamente, durante la seconda met� dell'Ottocento, nel rapporto e nell'appello alle masse e divenendo, da patrimonio di circoscritti gruppi di �lite - spodestati dalla repentina trasformazione indotta dall'accelerazione economica, sociale e culturale nel frattempo intervenuta -, elemento da trasfondere e diffondere nella collettivit�, ossia in societ� di "massa", il cui consenso diventa fondamentale per dare un po' di fiato a un progetto politico che non si riduca solo alla lamentazione per il "bel tempo andato". L'identit�, a sua volta, diventa una questione capitale, tanto pi� dal momento che le societ� contemporanee vanno, di passo in passo, basandosi sempre di pi� sulla trasformazione permanente, di fatto mettendo costantemente a dura prova quel senso di continuit� che, invece, nel passato, prima dell'et� rivoluzionaria, contraddistingueva gli uomini e le comunit� di cui questi erano parte. Un punto di incontro tra chi parla un linguaggio "rosso-bruno", provenendo a volte da sponde molto diverse, mischiando quindi i valori dell'egualitarismo con quelli dell'antiegualitarismo, � il discorso sulla sovranit� perduta. Se l'interlocutore degli appelli � il "popolo" (pi� prosaicamente la "gente"), inteso perlopi� come una massa indistinta di individui, ai quali richiamarsi per rispondere alla "crisi dei valori" (quest'ultima una sorta di istanza metafisica, alla quale attribuire tutte le rovine del mondo), si dir� che il vero fulcro della caduta di tali valori stia, oggi pi� che mai, nell'espropriazione della sovranit� nazionale da parte di oscure �lite che divorano le ricchezze delle comunit� nazionali, non meno che il diritto di queste ad "autogovernarsi". Un tema, quest'ultimo, tanto convincente quanto sinistro. Che rimanda, in controluce, alla commistione tra il "giudeo-bolscevismo" e il fantasma del capitalismo internazionale, soprattutto quello finanziario, inteso come una sorta di macchina mondiale, che divora le identit�, le soggettivit�, le peculiarit� personali, locali, comunitarie. La triade composta dal populismo, dal comunitarismo e dall'identitarismo dichiara di volere difendere, a spada tratta, la dignit� dei nuovi oppressi, tali perch� espropriati prima di tutto del diritto a mantenere e a coltivare la propria specificit�. In questo dire intercetta aspetti, frammenti e cascami di una parte di ci� che resta dell'ecologismo politico, almeno di quello che contrappone all'artificialit� (e all'artificiosit�) del mondo contemporaneo il presunto adamitismo di quello trascorso. All'anarchia del presente, alla sua opacit�, alle insopportabili iniquit� che lo connotano, elementi funzionali all'ingiusto arricchimento dei pochi, si contrapporrebbe quindi la possibilit� di tornare a un mondo migliore, dove le distinzioni tra giusto e ingiusto, tra superiore e inferiore, tra morale e corrotto, tra sano e insalubre verrebbero cos� ripristinate. Il condimento di questo modo di vedere le cose, che riesce in parte a dare forma alla crisi di significato che la globalizzazione innesca, offrendo tuttavia illusorie diagnosi e ancora pi� perniciose cure, � quindi la nostalgia per un passato che dovrebbe invece essere ripristinato integralmente. Il passato dove, per l'appunto, vigeva un equilibrio tra le parti poich� ognuna di esse "stava al suo posto". Una sorta di corrispondenza di questa a un'unit� organica, a un unico centro, di contro al tempo corrente, quello del conflitto senza mediazione, della sopraffazione, della distruzione. Immagine nel suo complesso suadente, seducente, in grado di lenire il senso della deprivazione e che offre una specie di piccolo risarcimento morale, magari da spendere come bonus in politica. Il richiamo alla perniciosit� dell'"ebraismo mondiale" � funzionale a questa mitologizzazione del racconto dell'umanit�. Gli ebrei, infatti, continuano a essere additati per la loro natura di esseri polimorfi, capaci di adattarsi a ogni situazione ma privi di un effettivo radicamento etnico, razziale, spaziale e morale (quindi anche di una tradizione e di una identit� loro proprie che non siano quelle derivanti dal mero calcolo d'utilit�, che sarebbe la vera essenza, il metro su cui misurano se stessi e gli altri). Soprattutto, manipolatori per eccellenza, agenti quindi del disordine, perch� � proprio in tale condizione che possono trarre i loro maggiori utili. L'ebraismo, adesso chiamato "sionismo", assume di nuovo, in un angosciante effetto di ritorno, le fattezze di un organismo parassitario, che si nutre delle altrui disgrazie. Non � solo una parte del discorso politico arabo, e soprattutto di quello islamista, sullo Stato d'Israele, peraltro entrambi non nuovi, in particolare laddove di quest'ultimo si denuncia l'abusivit� storica, non riconoscendogli lo status di nazione bens� di "entit�". C'� dell'altro, poich� la nuova retorica giudeofobica si articola per cerchi concentrici, facendo propri nuovi paradigmi culturali, trasversali nella loro qualit�. La transitivit� e l'uniformazione di temi dalla destra alla sinistra, entrambe radicali, e di riflesso dalla seconda alla prima, si gioca sulla scomposizione delle identit� politiche e sociali pregresse, nonch� sul desiderio, che gli opposti radicalismi da sempre nutrono, di porre termine alla contrapposizione tra parti diverse per dare finalmente origine all'armonia superiore, basata sulla soppressione del conflitto sociale. Gli ebrei, in questa costruzione culturale e mentale, sono invece i soggetti della perenne trasformazione, quelli che rendono impossibile che un tale desiderio, cos� "elevato", possa tradursi in progetto concreto. L'antisemitismo � una mentalit� onnicomprensiva, capace di rinnovarsi costantemente. Cosa che sta facendo anche adesso, partendo dal conflitto israelo-palestinese, la cui lunga durata gli offre opportunit� altrimenti insperate. Qui si gioca, infatti, la saldatura rosso-bruna. Questo � il campo prospettico sul quale proiettare tutti gli spettri, dalla globalizzazione all'omologazione, dal "tramonto dell'Occidente" al recupero dell'"identit�" e della "tradizione". A ben guardare, non � per nulla la "fine delle ideologie" ma, piuttosto, la vittoria dell'ideologia dell'anti-ideologia, che celebra il vuoto come se fosse un pieno, per meglio dire che oltre al suo fondamentalismo, sospeso tra teologia e ideologia, c'� solo il baratro della perdita di se stessi. Pi� che indugiare, se non indulgere oziosamente, nella ricerca di un neofascismo che si presenterebbe come una sorta di movimento eterno e immodificabile, � quindi prioritario interrogarsi sulla natura di una galassia che � nera nel suo cuore battente, ovvero nel suo nocciolo ideologico, ma grigia nelle innumerevoli manifestazioni che la connotano. Il radicalismo di destra ha infatti assunto caratteri spuri rispetto al suo modello originario, derivatogli dal lascito dei regimi politici europei degli anni Trenta e Quaranta. Per certi aspetti si � modernizzato. Va considerata la natura al medesimo tempo melliflua e camaleontica del fenomeno in s�: mellifluit� che deriva dalla difficolt� di circoscriverlo, poich� il neofascismo, oggi, non indossa necessariamente una camicia nera (anche se continua a pensare come se questa fosse il suo abito prediletto) e neanche il doppiopetto ma, piuttosto, la veste arrabbiata e militante dei "descamisados"; camaleontismo nella misura in cui il fascismo, come calco culturale e antropologico profondo, non � mai venuto meno ma, cos� facendo, si � sempre confrontato con la trasformazione delle societ�. Non lo si liquida, pertanto, come una specie di residuo del passato, una sorta di ghetto dal quale, ogni tanto, arrivano strepitii di intolleranza. Pur con tutte le cautele del caso sarebbe quindi meglio parlare di un neopopulismo fascistizzante. Che il termine "populismo" sia di per s� tanto abusato quanto insoddisfacente, non � necessario ripeterlo. Mentre � invece interessante il fatto che il neofascismo, per cercare di intercettare attenzioni e consensi, superando il complesso della marginalit� politica che invece da sempre lo connota, possa riconoscersi e quindi attivarsi dentro un pi� ampio e diffuso trend populista. Quest'ultimo si compone e si rafforza soprattutto di certi atteggiamenti diffusi nella pubblica opinione e tra gli elettori, come la critica delle �lite e della politica tout court; l'idea che il "popolo" conservi in s� una verit� incontrovertibile e insindacabile; la ricerca esasperata della disintermediazione, ossia il rifiuto aprioristico di qualsiasi forma di rappresentanza. Di ognuno d'essi cerca di volgere l'evoluzione a proprio favore. Il populismo � pertanto uno sfondo, ossia una cornice, dentro la quale la destra radicale ambisce a ritagliarsi uno spazio di legittimazione. La galassia nera, quindi, non � in tutto e per tutto populista ma ne raccoglie stimoli e suggestioni, adattandole di volta in volta alle proprie necessit�. Soprattutto, ne ottiene una nuova, a tratti insperata, visibilit� sociale e mediatica. Va inoltre riconosciuto che si ha a che fare, oggi pi� che mai, con una destra radicale che � passata da posizioni di mera restaurazione o conservazione (ovvero, come si sarebbe detto un tempo, di collocazione "reazionaria") a soggetti in costante movimento, che ambiscono a mobilitare una parte delle collettivit� non solo sul piano politico ma anche e soprattutto sociale. Quest'area registra, a modo suo, la crisi della "vecchia" politica e della rappresentanza democratica in quanto tali, ossia la loro subalternit� rispetto a quei processi decisionali che oggi contano pi� che mai nel determinare prosperit� o declino delle comunit� umane. Se la democrazia si riduce a "governacnce" e se il suo esercizio � delegato, nei fatti, a organismi e soggetti che non sono il prodotto di un processo partecipativo bens� di un'auto-attribuzione di potere da parte di gruppi d'interesse corporati, il vuoto di rappresentanza reclama d'essere in qualche modo colmato. Cos� facendo, il radicalismo politico si rivolge a quelle ampie parti di societ� che si sentono abbandonate a se stesse, dicendo loro: "sar� io a rappresentarvi dinanzi all'indifferenza delle �lite traditrici e defezioniste". Non � un caso se la polemica "antiborghese" (i ricchi parassiti, che si ingrassano ai danni del popolo, anzi, della "nazione", la quale sarebbe la verace depositaria interclassista dei pi� autentici valori della "stirpe") ha da tempo ripreso pieno vigore nel neofascismo. Il quale, da sostegno per "maggioranze silenziose" iperconservatrici, espressione del comune sentire di una parte del ceto medio dei decenni trascorsi, ha ora invece di nuovo rivestito i panni del plebeismo. Di fatto, l'avversione nei confronti dello "spirito borghese" pu� benissimo adeguarsi alla pi� totale assenza di una qualche forma di critica, anche solo superficiale, dell'insieme di relazioni sociali ed economiche capitalistiche. Cosa resta, allora, nelle destre radicali di oggi, del nucleo storico e ideologico del pensiero reazionario? Si riscontrano alcuni temi sensibili, al pari di singoli contesti nazionali, molto rilevanti. Gli uni e gli altri ne costituiscono una sorta di laboratorio. Il vero nucleo fondante del pensiero di una destra radicale rimane - nel passato come oggi - la realt� dell'esperienza francese, a partire dai fenomeni controrivoluzionari, dal 1789 in poi. Il Front National dei Le Pen � un po' l'anello finale di una lunga catena, che attraversa almeno due secoli. Anche nella difficolt� di definirne i caratteri odierni. Un secondo dato � quello legato alle incerte democrazie presenti nell'Est europeo, dove la transizione dai regimi autoritari, monocratici e liberticidi di "socialismo reale" a qualcosa d'altro di non troppo ben definito, non ha mantenuto le premesse e le promesse che in qualche misura si erano in un primo momento manifestate. Il 1989 � lontano. I ritorni odierni sono estremamente problematici, tanto pi� in un'area geopolitica ampia, da nord a sud e da est a ovest, dove gli elementi di autoritarismo, le cosiddette "democrature", tra un Putin e, pi� a meridione, lo stesso Erdogan, vanno rafforzandosi come modello di gestione globale delle societ�. Un terzo fattore importante (al medesimo tempo un elemento ideologico, culturale ma anche antropologico) � che se si ragiona in termini continentali europei, c'� uno specifico calco storico di riferimento tra queste destre, sia pure preservata la prerogativa della specificit� delle loro traiettorie nazionali: � il modello dell'unificazione razzista ariana, quello del "Nuovo Ordine Europeo". La Germania nazista era portatrice non soltanto di un'idea di superiorit� assoluta della propria identit� razziale ma anche di un ambizioso progetto di riorganizzazione socio-demografica nell'Europa. A quell'intento aderirono non pochi europei. Parteciparono anche gli italiani, almeno una parte di loro, in particolar modo coloro che si riconoscevano nella Repubblica sociale italiana. Era e rimane il retaggio di un'"altra Europa" (pienamente rappresentata dal collaborazionismo tra il 1940 e il 1945), rispetto a quella che invece si � realizzata nei fatti, dal secondo dopoguerra in poi. Dinanzi a un'Unione europea di "tecnocrati", all'"eurocrazia", all'Europa distante, all'Europa che "disintegra le identit� nazionali", sotto le quali si celerebbero invece le "autentiche" appartenenze etno-razziali, si contrappone, nel pensare radicale, un'Europa affratellata da vincoli di comunanza biogenetica. Cos� dicono i neofascisti e, in immediato riflesso, i "sovranisti" e gli "identitaristi" raccoltisi nei movimenti politici a matrice populista. Se si ha quindi a che fare con una destra radicale attivista, � perch� essa si � rivelata capace di adattarsi al pi� generale mutamento in atto nelle societ� contemporanee. Ci� facendo, ambisce a occupare quegli spazi collettivi di rappresentanza e di socialit� che sono stati invece lasciati completamente a s� dal resto della politica. Si tratta, in questo caso, della pi� generale questione del "territorio": una parola che indica quelle comunit� di individui, un tempo produttori, inseriti nei processi di creazione della ricchezza, e oggi in piena crisi di identit� e di ruolo sociale. Sono gruppi che si sentono abbandonati al loro destino, messi ai margini dall'evoluzione dei rapporti sociali. In altre parole, ceto medio e classi produttrici, l'uno e le altre ritenuti inessenziali o comunque non pi� rilevanti ai fini della creazione di consenso. Quelle comunit� di persone (che sono anche elettori), il cui orizzonte sembra non interessare i soggetti neoliberali, i quali sono invece ampiamente presenti sulla scena politica, ripetendo ossessivamente il medesimo ritornello: "non c'� alternativa allo stato di cose esistente!". In questo lungo frangente, che storicamente dura almeno dall'inizio degli anni Ottanta, come risultante dell'affermarsi di un'ideologia liberista che ha vinto la sua guerra politica e sociale, la destra radicale in Europa si presenta in quanto organismo complesso e variegato, al contempo insieme di movimenti ma anche - oramai - struttura di governo. Gli uni e l'altra sono accomunati da un esercizio di "critica dell'esistente" e di un passato da ripristinare. Questa destra radicale ambisce in qualche modo a rappresentare il territorio sociale dell'esclusione, ossia gli individui che si trovano ancorati a esso e che lamentano la loro marginalizzazione dai processi di cambiamento in atto. Lo fa indicandogli delle cause di disagio immediatamente condivisibili: immigrazione, "poteri forti", furto del lavoro e del territorio, complotti e cos� via. Promette la liberazione da questi gioghi. A ben guardare, non si tratta di una novit�. Il fascismo storico ha gi� lavorato in questo senso. Ma lo scenario generale � mutato. Ci� vuol dire che la storia sia destinata comunque a ripetersi? No, in alcun modo. Tuttavia, alcuni moventi ideologici di fondo sono di nuovo presenti sulla scena politica, soprattutto dinanzi ai processi di depauperamento, se non di disgregazione, delle democrazie sociali. Questa � la realt� dei fatti: la forza del radicalismo di destra, infatti, � direttamente proporzionale alla crisi della democrazia sociale. Pi� indietreggia la seconda, maggiori sono gli spazi per il primo, presentandosi come falsa risposta a problemi e disagi invece reali e diffusi. Ci si trova, quindi, in un contesto di vera e propria post-democrazia e di post-Costituzione. Alla persistenza di una Costituzione formale, carta dei diritti e degli obblighi collettivi, in s� apparentemente inoppugnabile e incontrovertibile, si contrappongono realt� di fatto, diffuse anche in altri Paesi europei, dove i rapporti di forza, i poteri reali, quindi per nulla "occulti", possono tranquillamente derogare dal sistema delle garanzie e delle tutele faticosamente costruite in quasi due secoli di lotte politiche e sociali. In tali dinamiche entra prepotentemente in gioco la trasformazione profonda dello statuto del lavoro, ovvero della sua funzione sociale. Si tratta di un processo di lungo periodo, che si confronta con gli effetti della globalizzazione. Ha dei riflessi molto forti sul piano generazionale, creando degli scompensi, degli squilibri e dei cambiamenti profondissimi anche nelle identit� delle persone. Quindi, nella stessa idea di cittadinanza. Che ci� sia di per s� un terreno fertile per proposte radicali, � un primo dato. Chi non si sente inserito dentro un percorso di integrazione vive una condizione incerta, che lo pu� rendere maggiormente sensibile ai richiami pi� estremi. Segno ulteriore di impotenza, quest'ultimo, ma senz'altro segno anche di una residua vitalit�. Un secondo elemento rimanda a un'altra crisi, quella della rappresentanza politica e della sua costante delegittimazione. Un percorso che in Italia data ad almeno gli anni Ottanta. Cosa vuol dire, e soprattutto cosa implica? Si tratta del costante richiamo al nesso tra politica in quanto regno del malaffare, del marcio, dello sporco e del corrotto, da un lato, e tentazione a ricorrere all'autorappresentanza dall'altro. � il risultato della polemica conto la cosiddetta "partitocrazia", trasformatasi poi, nel corso del tempo, da sfiducia diffusa in diffidenza sistematica e poi in rifiuto degli stessi meccanismi istituzionali che regolano la vita associata. Come a volere dire: "se gli altri ti tradiscono, perch� devi continuare a offrirgli una delega in bianco? Non puoi fare a meno di organismi collettivi che, per il fatto stesso di esistere, ti espropriano del tuo spazio di libert�?". Si tratta infatti del sogno di una "democrazia diretta", assai fallace alla prova dei fatti ma avvincente sul piano dell'immaginazione, in assoluta consonanza con i paradigmi ideologici di una visione dei rapporti sociali dove a contare � solo l'individuo, inteso come una sorta di atomo, che quindi si preserva da s�. In realt�, ogni idealizzazione relativa a forme di democrazia diretta in societ� complesse quali quelle odierne, � non solo fuorviante ma, paradossalmente, indirizzata a rafforzare proprio ci� che dice di volere invece combattere, ossia la delega. Che in questi casi si fa ancora pi� assolutistica, riposando infatti nell'investitura esclusiva a favore della volont� insindacabile di un capo carismatico. Il quale sommerebbe in se stesso la capacit� di prevedere e di provvedere ai bisogni della collettivit�. Al centro della polemica sulla delega, infatti, c'� spesso l'obiettivo di distruggere lo spazio dell'intermediazione esercitato dagli organismi di rappresentanza di massa. Poich� se la delega di rappresentanza rimane insopprimibile in una democrazia dei corpi intermedi, pur da parziale e condizionata come � nei fatti, rischia invece di trasformarsi in totale e definitiva nei movimenti e nei regimi antipluralisti. Infatti, elemento fondamentale e unificante nel discorso delle destre radicali � la riduzione della politica a cosa "sporca". Del pari, la mediazione tra interessi contrapposti � denunciata come intollerabile, perch� manifestazione di un'innaturale divisione tra gruppi e fazioni in una societ� che deve invece essere ricomposta in una sorta di unit� organica. La controproposta di ripristinare un campo di virt� collettive, da imporre anche autoritariamente, � quindi qualcosa che sta al cuore del modo di pensare radicale. � offerta come la soluzione ai problemi di mancanza di moralit� nell'agone pubblico, nel mentre la collettivit� rischia di essere infettata dal morbo della corruzione. Se il discorso sull'"identit�" assume quindi i connotati soprattutto del rifiuto dell'esistente (in quanto laido, sporco, insano, soprattutto "impuro"), il discorso politico che ne emerge si esime dall'obbligo di avere dei concreti punti programmatici, rifacendosi semmai a quelli che presenta come puri valori eterni, metastorici, immodificabili, dove ci� che fuoriesce da un tale contesto � censurato aprioristicamente poich� degenerato e corrotto. Si governa il territorio abbandonato a s�, quindi, con un discorso di nuova moralizzazione. La quale consiste non solo nel dire cosa sia giusto e cosa non lo sia, ma nel presentare il lavoro politico essenzialmente come un esercizio missionario, alla conclusione del quale chi ha diritto a fare parte della comunit� di popolo avr� il suo posto mentre gli "altri", gli estranei, ne saranno finalmente esclusi. Con le buone maniere o con le cattive. Con la persuasione o con la coercizione. In tale ottica, anche andare in gruppo a compiere un'aggressione a un campo nomadi viene presentata non come un'azione violenta bens� come esercizio di autotutela, che la "vera" societ�, quella radicata sul "suo" territorio, del quale rivendica il possesso fisico, il controllo totale, realizza nel proprio interesse. Il rimando al caso ungherese � esplicativo. Il premier Viktor Orb�n non si deve confrontare con il concreto problema di un eccesso di profughi e di immigrati. Tuttavia, sulle angosce da invasione e da espropriazione ("occupano la nostra terra, il nostro spazio vitale, distruggono le nostre tradizioni e minano la coesione tra i magiari!"), sta confermando le fortune della sua traiettoria politica, da ex liberale oramai transitato verso sponde nazionaliste e xenofobe. Su questo immaginario ossessivo, maniacale, pervasivo, su quello che alcuni studiosi hanno efficacemente definito come "panico identitario" - cio� la paura di non sapere pi� chi si � o cosa si � diventati, poich� non si hanno punti di riferimento, n� tantomeno speranze per un futuro migliore - germinano quindi le istanze della destra radicale. Ne deriva e ne consegue il discorso contro le �lite. Sono presentate come il prodotto di una globalizzazione senza volto, sono lo spirito borghese cosmopolita, quindi senza patria, gli "eurocrati" spietati, i banchieri e gli speculatori, tracotante espressione dei gruppi di pressione, delle "massonerie", dei poteri forti e cos� via. Tutti coalizzati contro il territorio e la nazione. A ci� il radicalismo oppone la suggestiva difesa del "sano lavoro nazionale", quello manifatturiero, quello artigianale, quello manuale, contro le astrazioni della rivoluzione informatica. Il tema dell'immigrazione, vista essenzialmente non solo come un'azione di espropriazione dei beni collettivi da parte di popoli alieni e abusivi ma come un'azione di contaminazione dei caratteri della "stirpe", � oramai parte anch'esso nel bagaglio di un certo comune percepire. Gli "immigrati" non sono solo coloro che vengono a "rubare il lavoro", ma anche quelli che intendono violare l'integrit� del corpo sociale, la sua coesione, ancora una volta la sua intrinseca "purezza". Tali costrutti si rifanno a un consolidato immaginario antisemitico, che � l'archetipo per i razzismi presenti e a venire, in tutta l'Europa. A volere ribadire che "l'ebreo � quello che sembra come te ma non lo � per davvero; semmai � contro di te. Nel momento stesso in cui ti sta accanto, penetra dentro di te, ti possiede e ti svuota della tua linfa vitale". Questa mitografia, ovvero una tale fantasmagoria ideologica, allora come oggi, risulta molto pregnante per un certo tipo di subcultura diffusa, basata sulla politica della paura. Sono infatti immagini angoscianti che ritornano. Sono pulsioni presenti e pressanti nelle idealizzazioni negative di quella parte della collettivit� che si sente abbandonata e che cerca quindi una guida alla quale rifarsi. All'attacco contro le �lite borghesi si accompagna infine il recupero del discorso aristocratico: poich� la democrazia non solo non � utile n� necessaria in quanto non protegge, essendo semmai corruzione, l'autentica forma di rappresentanza della collettivit� � semmai il ritorno al governo dell'"aristocrazia dello spirito". La quale � costituita da pochi individui, investiti di una funzione carismatica, che non deriva dalla scelta esercitata attraverso il voto dal basso ma per il tramite di una sorta di selezione "naturale". Il capo, infatti, non � individuato dal gruppo ma si impone per le sue doti sovraumane. Richiede obbedienza, in cambio offre tutela. Domanda fedelt� nel mentre garantisce identificazione. A modo suo, � la promessa di un domani a venire per il fatto stesso di manifestarsi come sovrano. In questo quadro di merito si inseriscono ulteriori elementi sui quali riflettere. Alle spalle si hanno almeno tre decenni di spostamento continuo dell'asse politico verso la destra o comunque verso pensieri e linguaggi di destra. � mutata la comunicazione pubblica: cose che trent'anni fa sarebbero state censurate, oggi fanno invece parte del dire comune. Non � una questione di galateo, semmai � un aspetto crescente nella caratterizzazione delle relazioni sociali. La lotta per il controllo dei significati da attribuire alla lingua di senso comune, d'altro canto, � una vecchia battaglia fascista. Intervenire sul modo in cui si raccontano le cose induce a controllare i pensieri altrui. Il movimento mussoliniano, gi� alla sua nascita, seppe appropriarsi di una parte delle parole d'ordine dei socialisti, saccheggiandone il lessico e capovolgendone il senso a proprio favore. Il programma dei Fasci italiani di combattimento, licenziato nel marzo del 1919, ne � un'evidente esemplificazione, laddove svuota di reali contenuti una serie di rivendicazioni sociali e politiche altrimenti molto concrete. Il conflitto semantico � quindi uno scontro di merito: non un'esclusiva battaglia di forme bens� una guerra sul controllo dei significati da attribuire a indirizzi programmatici densi e impegnativi. Il linguaggio della mobilitazione nel Ventennio di regime, a sua volta, si adoper� in questa direzione: si presentava come "sociale" per alimentare il suo pervicace antisocialismo; faceva appello all'individuo per privarlo di ogni tutela liberale e democratica; parlava alle moltitudini non per riconoscerne i diritti bens� per indirizzarle verso orizzonti di guerra; rimandava al "proletariato" per dare sostanza a una mitologia nazionalista allo stesso tempo antiborghese, pauperista e omologante. Un altro aspetto delle destre radicali di movimentazione e mobilitazione � quindi il presentarsi come soggetti "mediani", ossia capaci di costituire la sintesi tra interessi contrapposti. Non si tratta solo del vecchio richiamo interclassista e paternalista. La chiave di questa auto-rappresentazione � infatti il mascherarsi come figure nuove, attraverso il rimando al fatto che l'autenticit� politica si collocherebbe nell'essere "n� di destra n� di sinistra". Di queste due polarit� identitarie si dichiara pertanto la decadenza, sostituita da una superiore sintesi, di cui il neofascismo si candida a esclusiva espressione, nel nome degli interessi della "nazione", della "stirpe", della "comunit�" o, pi� prosaicamente, della "gente". Nella sua visione organicista della societ�, dove tutto deve coincidere con un centro (che sia lo Stato, il movimento, il popolo ma anche la razza o l'etnia), non c'� spazio per il conflitto tra interessi contrapposti. Anzi, esso � rifiutato, aborrito come una sorta di inquinamento dei "valori superiori", alla cui signoria, indiscutibile e inconfutabile, tutti dovrebbero invece piegarsi. I movimenti populisti, o variamente definibili in questo modo, vanno spesso in tale direzione. Non sono organizzazioni necessariamente di matrice fascista o neofascista; tuttavia riprendono un tale tipo di configurazione ideologica, prima ancora che politica. La quale, tra l'altro, inibisce il diritto al conflitto. Se il conflitto sociale � l'elemento costitutivo delle democrazie contemporanee, la sua cancellazione dall'agenda politica, ovvero la sua trasposizione sul piano etno-nazionalista, quindi razzista (oggi pi� che mai presente nella ossessiva riproposizione dello scontro tra autoctoni e migranti), � il fattore su cui si gioca una buona parte della visione organicista presente nella destra radicale europea e segnatamente in quella italiana. Non c'� conflitto sociale, c'� semmai contrapposizione etnica, che permette un effetto di sostituzione nell'agenda delle priorit� collettive. La qual cosa implica che chi si sente ferito, depauperato, emarginato non se la debba prendere con chi ha pi� di lui ma, piuttosto, con coloro che hanno meno. Il conflitto etnico, ridotto ai suoi minimi termini, rimanda a un tale ribaltamento. Non si fa la guerra alla povert� bens� ai poveri. Poich� i "poveri" sono gli "altri", quelli diversi nella loro stessa natura morale e, come tali, pericolosi. A questa riconfigurazione ideologica della societ� si ricollega quanto Pietro Barcellona definiva, gi� trent'anni fa, come "individualismo proprietario": tra i suoi elementi costitutivi entrano a fare parte il tendenziale rifiuto della socialit�; la scarsa propensione alla coalizione se non sulla base della mera protesta; quindi, l'unione in gruppo ma solo in forme occasionali, cio� nei momenti del rancore, nelle situazioni di rabbia e non per la costruzione di un progetto condiviso, che invece � l'essenza dell'agire politico in una democrazia. Rancorosit� diffusa, ricerca di capri espiatori e delega a figure carismatiche contraddistinguono il processo di spossessamento dello spazio della politica, fenomeno che � oggi il centro delle crisi di mutamento che le societ� a sviluppo avanzato stanno vivendo. Il discorso pubblico che ne consegue rimanda all'affratellamento nel vincolo di sangue e destino. La lotta contro le migrazioni internazionali si inscrive in questa logica, pi� profonda di quanto non possa sembrare di primo acchito. Dalla difesa del "territorio", in chiave quasi tribale, deriva la perimetrazione della propria identit�. � come se si dicesse: "si � parte di una comune famiglia che, come tale, non va tradita". La destra radicale aggiunge a ci� un altro assunto: se le odiose �lite borghesi hanno abbandonato le comunit� locali al loro orizzonte di sofferenza (e di insofferenza), il radicalismo si incarica di raccoglierne la rappresentanza non in quanto agenti del conflitto sociale bens� come elementi di una comunione razziale, ossia etno-nazionale. Anche qui c'� qualcosa che ritorna dell'esperienza del vecchio fascismo storico, quella del regime mussoliniano, laddove esso si assumeva il compito di portare a termine il processo di "nazionalizzazione delle masse" (ovvero di accesso delle classi subalterne nella scena pubblica) in posizione subalterna, carpendone il consenso e manipolandone la coscienza. In odio e disprezzo a ogni forma di pluralismo, aborrito e quindi indicato come la madre di tutte le disgrazie, si offriva alla societ� italiana una piattaforma alternativa, basata sul sentirsi parte di una comunit� nazionale (poi declinata in "razza"), non sulla scorta di un progetto di eguaglianza bens� sul bisogno di uniformit�. L'eguaglianza, infatti, presuppone la possibilit� di accedere a pari diritti, fruendo quindi dei benefici. Non � un valore astratto ma uno degli strumenti per una redistribuzione della ricchezza socialmente prodotta. L'uniformit�, invece, implica che gli individui vengano ridotti a semplice duplicato di un'unica matrice, senza alcuna possibilit� di esprimere una qualche soggettivit�. Il regime si incaricava di incentivare questo secondo modello, destrutturando le propensioni residue al primo. Anche da ci� si desume come l'impalcatura ideologica fascista e, in immediato riflesso, neofascista, non possa essere ricondotta, moralisticamente, alla sola "cattiveria" delle sue leadership, ai loro meri calcoli di interesse. Semmai si tratta di una complessa riorganizzazione della societ� attraverso lo spregiudicato ricorso all'uso politico di tre ingredienti: il risentimento che attraversa le collettivit� nei momenti in cui una parte dei loro componenti si sentono sottrarre qualcosa che ritengono appartenergli a prescindere; la paura di essere "invasi" e dominati da qualcuno o qualcosa di estraneo; l'odio non tanto per la diversit� o l'alterit� bens� per il pluralismo e l'alterazione che la prima e la seconda introdurrebbero nel proprio "giardino di casa", scompaginando un presunto ordine naturale delle cose; dei rapporti sociali, dei legami interpersonali. Le destre radicali dichiarano che a fronte del disordine sopravveniente, sar� loro compito ristabilire la giusta successione gerarchica, messa in discussione dal "permissivismo" lascivo, dal "buonismo" imbelle, dal "liberalismo" ingannatore, dalla "troppa libert�" vissuta come licenza. In quanto tali, si presentano sempre come organizzazioni che si incaricano di difendere la "vera natura" degli esseri umani, l'antropologia profonda, nella quale riposa l'istinto gregario, che va stimolato per ricostruire un ordine gerarchico nel quale ognuno deve riconoscersi nella collocazione che gli � attribuita. Il radicalismo di destra, che non � pi� la stanca riedizione dei regimi degli anni Trenta, avendo sviluppato semmai una sua autonomia politica da quelle esperienze storiche, si presenta oggi come una complessa e stratificata galassia. I moventi e le radici, insieme agli sviluppi e alla sua capacit� di adattarsi alle condizioni date, inducono quindi a parlare pi� di "estrema destra postindustriale" (sulla scorta di quanto gi� il politologo Piero Ignazi sottolineava diversi anni fa) che non, in senso pi� stretto, di fascismo di ritorno. Si tratta di un'area rumorosa che, in pi� circostanze, si intreccia, mantenendo irrisolti rapporti di contiguit� e scambio, con le destre di governo. Trova oggi nell'Ungheria, e pi� in generale nell'area dei Paesi del gruppo di Visegr�d, il vero laboratorio di una trasformazione che rinverdisce il passato e attenua ogni speranza per un pluralismo a venire. L'intreccio tra gli autoritarismi di una parte dell'Est europeo e le "democrature" dei vari Putin ed Erdogan, come anche dei regimi - pi� o meno solidi o decadenti - di un Assad in Siria (al quale molta parte del neofascismo italiano guarda con simpatia), piuttosto che dello sciismo iraniano, al di l� dei giochi geopolitici e delle stesse mutevoli alleanze, fanno da cornice alle singole evoluzioni nazionali. Ne sono una sorta di ventre molle, nel quale svilupparsi. Se per un certo lasso di tempo il vincolo antifascista aveva impedito tali invasioni di campo, oggi, invece, sono sempre pi� spesso bene accette. � questo, senz'altro, il punto dolente: si ha a che fare con un neofascismo da salotto buono, la cui funzione � di rendere non solo culturalmente leciti ma anche socialmente plausibili esercizi di autoritarismo della cui traduzione in atti concreti si incaricano poi forze politiche altrimenti considerate come "moderate". � un gioco di reciprocit�, che sta producendo i suoi effetti. La destra radicale vive peraltro la crisi di rappresentanza delle sinistre, riformiste e non, come un'opportunit� senza pari. Pu� carpire una parte del suo elettorato, smarrito dai cambiamenti e in crisi di ruolo. Fondamentale �, per il suo programma, rielaborare i legami sociali da un punto di vista etnico. Il suo punto di forza � che parla a un'intera collettivit�, denunciandone i problemi comuni (invece volutamente omessi dal discorso di matrice neoliberale), ma offrendo una soluzione dichiaratamente regressiva. Alla societ� sostituisce il concetto di "comunit�", quest'ultima costituita da soggetti affratellati da vincoli di "sangue" e di reciprocit� etnica; ai percorsi di spaesamento e di smarrimento della soggettivit� contrappone l'idea di una "identit�" forte, basata sul binomio tra "sangue e suolo"; contro il senso di espropriazione materiale e di subalternit� economica statuisce l'idea che la difesa degli interessi sia prerogativa di un tradizionalismo che trova nella cristallizzazione feudale delle appartenenze la sua falsa realizzazione; alla farraginosit� dei sistemi rappresentativi risponde con il ricorso all'autorit� carismatica e l'insofferenza verso i diritti. Tre sono quindi i fattori di maggiore tensione, allo stato attuale delle cose: il declino della democrazia partecipativa, la crisi dei sistemi di Welfare e gli effetti continentali delle immigrazioni. Tutti e tre segnalano la grande movimentazione che ha coinvolto le societ� a sviluppo avanzato, inserendosi a pieno titolo dentro le logiche di mutamento che ne accompagnano l'evoluzione. Dall'insicurezza che da essi deriva, cos� come dal mutamento di statuto sociale del lavoro, oramai in via di retrocessione a figura ancillare nella creazione delle identit� collettive, il radicalismo politico sta traendo un significativo giovamento. Ha saputo infatti rilanciare la carta della socialit�, abbandonata oramai da una parte della stessa sinistra (ripiegata sul mero riconoscimento dei diritti civili), declinandola per� sul versante delle appartenenze etnorazziali. E alla crisi del capitalismo industriale risponde indicando la necessit� di una guerra senza quartiere a quello finanziario, al quale d� il volto del "mundialismo" giudaico (o "sionista"). Non � una destra che non si confronta con la modernit�, semmai incorporandone numerosi aspetti, a partire dalla dimensione tecnologica. La presenza sul web, cos� come il ricorso alla musica come fattore di aggregazione e di proselitismo, sono due indici significativi della capacit� pervasiva dei suoi messaggi. Ma se in questo caso propende a occupare e colonizzare culturalmente la parte pi� giovane di societ� in via di veloce invecchiamento, il recupero in chiave fobica di due temi quali l'omosessualit� (intesa come manifestazione di perversione della "natura umana") e l'immigrazione (segno di contaminazione) diventano i cavalli di Troia del binomio "legge e ordine", da rivolgere indistintamente a tutti. Il neofascismo si presenta quindi, nella sua essenzialit�, come un discorso sulla necessit� di rimoralizzare una societ� che avrebbe perso i suoi autentici "valori": in campo pubblico, dove tutto sarebbe divenuto malaffare, latrocinio, pandemonio, confusione e distruzione; in campo privato, dove sarebbero prevalse le spinte "contro-natura", indirizzate a disgregare, attraverso le politiche dei diritti civili, la "naturale gerarchia" tra aristocrazie morali e subalterni. Ci� che il radicalismo fascistizzante prefigura non � quindi la restaurazione di qualcosa che � gi� stato ma la distruzione di ci� che gi� c'� e che, come tale, avrebbe fallito: la democrazia. Di fatto, professando queste posizioni, ambisce a portare a compimento lo smantellamento brutale dello Stato dei diritti per sostituirlo con la condizione dell'eccezione permanente, quella che deriva dal doversi opporre a un nemico, chiunque esso sia, rimanendo in uno stato di mobilitazione spasmodica. Una societ� che si senta perennemente sotto pressione, risulter� comunque meno disponibile a tutelare le proprie libert�, semmai negoziandole e poi cedendole a favore di quanti dovessero presentarsi come coloro che la sanno tutelare, ossia proteggere, dalla minaccia pervasiva e incombente del rischio di un'ecatombe collettiva. In tale modo, il radicalismo di destra si candida a rappresentare e a governare parti delle nostre societ� abbandonate a s�. Ancora una volta in un gioco di specularit� con una qualche parte pi� rispettabile della comunit� politica, di cui spesso si rivela essere un imbarazzante ma necessario alter ego, svolgendo il "dirty job" di dire e poi rendere plausibile, mettendolo in circolazione, ci� che altrimenti sarebbe interdetto dall'arena pubblica. Consapevole che la variabile del tempo potrebbe risultare a suo favore. Non torna il fascismo storico ma senz'altro declinano la democrazia sociale e il pluralismo. � questo il vero problema. La soluzione di Roosevelt (di Roberto Festorazzi, "Focus Storia" n. 125/17) - Quando arriv� alla Casa Bianca, nel 1932, il presidente Usa dovette affrontare una crisi economica senza precedenti. Lo fece con una serie di provvedimenti che hanno fatto scuola e che chiam� New Deal. - Sabato 4 marzo 1933, a Washington, sotto un cielo plumbeo, il neoeletto 32� presidente degli Stati Uniti, il democratico Franklin Delano Roosevelt, giur� fedelt� alla Costituzione. Pronunci� uno storico discorso che conteneva queste parole: "La sola cosa di cui dobbiamo aver paura � la paura stessa". Era l'annuncio del programma di riforme economiche e sociali pi� audace e radicale mai realizzato, nelle nazioni democratiche dell'Occidente: il New Deal, che significa "nuovo corso", ma anche "nuovo patto". Si trattava di rimettere in piedi il gigante americano, che era stato abbattuto dalla Grande Depressione seguita al crollo della Borsa di Wall Street dell'ottobre 1929: in pochi giorni, oltre 60 milioni di azioni vennero vendute, innescando una reazione di panico sui mercati. Il tonfo di Wall Street era stato causato da una politica dissennata di espansione del credito, che aveva generato un aumento della produzione di beni alla quale non era seguito un aumento della domanda interna. Quando i consumi privati rallentarono, perch� le famiglie si erano troppo indebitate, le merci rimasero invendute e le imprese smisero di produrre e cominciarono a licenziare in massa. Inizi� cos� la Grande Depressione che, nel periodo 1929-33, determin� il dimezzamento della produzione industriale, il brusco calo di quella agricola, il crollo dei prezzi dei beni di oltre l'80%, la caduta dei salari e il fallimento, in soli due anni, di 4.305 banche. Roosevelt, appena insediato, affront� di petto quella situazione disastrosa, che aveva ereditato dal suo predecessore, il repubblicano Herbert Hoover. In soli cento giorni var� una serie di provvedimenti sociali ed economici rivoluzionari. Gli oppositori in seguito accusarono FDR di aver introdotto nel sistema economico americano alcuni strumenti di pianificazione di stampo socialista. In realt� Roosevelt non seguiva alcun orientamento ideologico: le sue politiche erano sperimentazioni, che in parte fornirono eccellenti risultati e in parte fallirono. Per prima cosa, per frenare la corsa al ritiro dei soldi dei risparmiatori, Roosevelt proclam� con l'Emergency Banking Act una "vacanza bancaria": cio� la chiusura degli sportelli nel Paese e la sospensione delle operazioni finanziarie. Sul piano monetario, stacc� il dollaro dal sistema aureo: da quel momento la divisa nazionale cess� di essere direttamente convertibile in oro. Questo pose le premesse per una svalutazione del biglietto verde, che nel 1934 perse infatti il 40% del suo valore. Appoggiato dal Congresso, il presidente Usa ag� su due fronti. Da una parte intervenne per assistere, con sussidi, vestiti e altre forme di aiuto, le vittime della crisi del '29, che erano soprattutto disoccupati. Dall'altra cambi� pelle all'America, creando una nuova base sociale ed economica e modificando in modo strutturale il sistema produttivo. Roosevelt introdusse, con una serie di leggi, una forma di intervento dello Stato nella finanza: lo sviluppo economico si sarebbe basato su una programmazione fondata su principi totalmente nuovi di crescita e di distribuzione della ricchezza. FDR, come lo chiamavano, aveva molte idee nel cassetto. Il 31 marzo 1933 Roosevelt fece approvare il programma del Civilian Conservation Corps, un piano per impegnare 250-mila giovani disoccupati nelle opere di rimboschimento in tutto il Paese. In rapida successione, il Congresso diede poi vita a un ente di assistenza nazionale e a un provvedimento straordinario per il sostegno all'agricoltura, settore tra i pi� colpiti dalla crisi: l'Agricoltural Adjustment Act (Aaa). Le fattorie ipotecate furono finanziate, e fu introdotto un nuovo criterio economico, che suscit� sconcerto: quello del contenimento della produzione, con la riduzione volontaria dei raccolti da parte dei contadini. Lo scopo era evitare che l'eccesso di offerta innescasse una nuova spirale depressiva dell'economia. Per la prima volta in assoluto, gli agricoltori che accettavano di distruggere le eccedenze furono indennizzati. Quando una tremenda siccit� colp� le campagne americane nel 1934, il sistema delle colture intensive fu sostituito con metodi che riducevano il consumo di terra e acqua. Per far crescere i profitti degli imprenditori, e di conseguenza migliorare i salari e le condizioni di vita dei lavoratori, Roosevelt cre� infine un ente apposito: l'Nra (National recovery administration). Il suo scopo era pianificare e coordinare la produzione industriale. I disoccupati, oltre a poter usufruire delle misure assistenzialistiche, furono anche impiegati come forza lavoro per la realizzazione di nuove opere pubbliche, come ponti e strade, per le quali il governo stanzi� 3,3 miliardi di dollari. Siccome poi l'attivit� delle fabbriche fu regolata dalle concessioni governative, ai dipendenti vennero riconosciuti nuovi diritti: la settimana lavorativa fu ridotta a 40 ore e fu vietato l'impiego dei minori sotto i 16 anni. Gli operai, inoltre, poterono organizzarsi in sindacati. Una sperimentazione di successo fu quella dell'Ente per la Valle del Tennessee, uno dei maggiori bacini idrici degli Stati Uniti. Sotto l'egida di questa autorit�, vennero costruite gigantesche dighe che consentirono di distribuire energia ai residenti del distretto, elettrificando 125-mila nuove aziende agricole. Sotto il profilo della distribuzione della ricchezza, Roosevelt modific� il regime fiscale, aumentando le imposte per i pi� abbienti. Tutel� inoltre i risparmiatori, garantendo i depositi bancari e limitando i titoli "tossici". I benefici di questa "cura da cavallo" non tardarono a manifestarsi: il prodotto interno lordo, che nel 1933 ammontava a 56 miliardi di dollari, sal� a 65 l'anno successivo e a 82,7 miliardi nel 1936. Il numero totale dei disoccupati, dai 12,8 milioni del 1933, scese ai 6,9 milioni del 1936. Ma per Roosevelt non furono soltanto allori. Nel 1935, la Corte Suprema giudic� incostituzionale l'esperimento dell'Nra e ne abrog� i decreti. Allo stesso modo, liquid� il programma di rilancio dell'agricoltura. Il presidente tuttavia non si diede per vinto e ingaggi� una dura battaglia, con il Congresso, per fargli approvare la "fase due" del New Deal. Cos�, nell'estate del 1935, il capo della Casa Bianca imped� a deputati e senatori di andare in vacanza, impegnandoli in un estenuante braccio di ferro che port� al varo di provvedimenti dal contenuto inedito: si pass� infatti dalla creazione di un sistema nazionale di previdenza, in grado di assicurare una pensione a tutti i lavoratori, ad atti legislativi che colpivano gli oligopoli dell'energia elettrica, le cosiddette "piovre", e stabilivano un controllo federale pi� diretto sulle attivit� bancarie. Per rassicurare l'opinione pubblica dopo il grido d'allarme lanciato dai nemici del New Deal che lo dipingevano come l'inizio del bolscevismo negli States, Roosevelt us� i famosi "discorsi del caminetto", trasmessi settimanalmente alla radio fin dal 1933. Il modo informale in cui, durante queste chiacchierate radiofoniche, il presidente parlava ai cittadini era una novit� assoluta, ma avvicinava, come mai era accaduto, il presidente al popolo. Non a caso, i discorsi del caminetto ebbero grande successo soprattutto durante la Seconda guerra mondiale. I risultati del New Deal furono presto sotto gli occhi di tutti: alle presidenziali del novembre 1936, Roosevelt sbaragli� il suo contendente, il repubblicano Alfred Mossman Landon, ottenendo 27,7 milioni di voti: oltre 11 milioni pi� dell'avversario. Durante il suo secondo mandato alla Casa Bianca, per�, Franklin Delano si trov� a fare i conti con una nuova congiuntura economica: il numero dei disoccupati torn� a crescere e super�, nel 1938, quota 10 milioni. Soltanto la guerra, nel 1939, avrebbe "messo il turbo" all'industria a stelle e strisce. A quel punto, per�, il New Deal poteva dirsi un capitolo chiuso. L'esperimento era riuscito, al di l� dei suoi limiti. Certo, Roosevelt non era riuscito a far ritrovare la prosperit� economica di un tempo; ma aveva saputo guarire il gigante ferito, offrendo a tutti gli americani un'occasione di riscatto, senza sacrificare troppo le "sacre" libert� individuali.