Dicembre 2019 n. 12 Anno IV Parliamo di... Periodico mensile di approfondimento culturale Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registraz. n. 19 del 14-10-2015 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Pietro Piscitelli Massimiliano Cattani Luigia Ricciardone Copia in omaggio Rivista realizzata anche grazie al contributo annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del MiBACT. Indice Comunicato: chiusura per ferie Berlino, 30 anni dopo Peter Bieber: il fuggitivo dalla Germania dell'Est Perch� ci fidiamo delle bugie Adolescenza: separazioni impossibili Comunicato: chiusura per ferie Informiamo i nostri gentili lettori che la Biblioteca rimarr� chiusa per le festivit� natalizie e di fine anno nei giorni dal 24 al 31 dicembre 2019 e riaprir� il giorno 2 gennaio 2020. Con l'occasione auguriamo a tutti buone Feste. Berlino, 30 anni dopo (di Barbara Spinelli, "Il Fatto Quotidiano" del 7/11/2019) - Al di qua del Muro: guai ai vincitori. - Da anni i Paesi dell'Est Europa sono sul banco degli imputati, senza che ci si preoccupi di indagare le origini delle loro devianze. L'ascesa delle estreme destre, le violazioni dello Stato di diritto, il rigetto degli immigrati, il rancore verso l'Unione europea: quel che accade nell'Europa ex comunista crea allarmi pi� che giustificati, ma di corto respiro e dunque improduttivi. Mancano analisi sociologiche, storiche, economiche, come mancarono negli anni 20 e 30 prima del nazismo (se si esclude il saggio di Keynes sui pericoli dell'umiliazione della Germania nel primo dopoguerra). Nel trentesimo anniversario della caduta del Muro � conveniente l'accanimento selettivo contro l'Est, che garantisce coscienze pulite a tutto l'Ovest dell'Unione. La Germania Est � da questo punto di vista esemplare. Studiosi, giornalisti, politici dell'Ovest scoprono d'un tratto che l'unificazione non ha funzionato, e non si capacitano. Si aggrappano alle banche dati - i miliardi di euro trasferiti dalla Repubblica federale all'ex Ddr - e presentano i disastri sociali e mentali come effetti collaterali di una politica non analizzata n� messa in questione. Il giornalista e costituzionalista Maximilian Steinbeis riassume le occasioni mancate in un difetto costitutivo: l'assenza di curiosit�, unita all'autocompiacimento arrogante dei vincitori. Un identico difetto permea i rapporti con la Russia, su cui non ci soffermeremo. Da qui bisognerebbe partire, se si vuol capire come l'Unione stia perdendo l'Est: dai modi e dai discorsi pubblici con cui l'Est - Germania orientale in testa - � stato annesso e privatizzato, pi� che integrato e rispettato. Quando attuate con il sussiego dei vincitori, le integrazioni tendono a nutrirsi di menzogne e storie riscritte, e questo � successo in Germania. L'unificazione � caratterizzata da un cumulo di contro-verit� che spiegano in larga misura i risentimenti, la voglia di rivincita, il senso di abbandono di popolazioni che rimpiangono protezioni sociali perdute, e per questo si rifugiano nella nostalgia di ambedue le dittature, nazista o comunista. Le destre estreme raccolgono oggi questo scontento, togliendo voti agli ex comunisti della Linke, da tempo convertitisi alla democrazia. In trent'anni, questi ultimi hanno ripetutamente suonato il campanello d'allarme, inascoltati. Hanno anche dimostrato di governare con saggezza, come in Turingia, ma i Democristiani della regione continuano a ostracizzarli e per il momento sembrano preferire alleanze con Alternative f�r Deutschland. La principale menzogna riguarda la natura dell'ex Germania comunista. L'unificazione ha raso al suolo tutte le sue strutture e infrastrutture, giudicandole in blocco fallimentari perch� ritenute totalitarie e privatizzando a tappeto. Molti suoi dispositivi sociali (policlinici, tutela dell'infanzia e asili gratis, pieno impiego, diritti dei lavoratori a vacanze pagate, cooperative, sovvenzione agli studi, trasporti basati su binari) davano sicurezza ai cittadini dell'Est. Lo spiega lo storico Ilko-Sascha Kowalczuk, ex dissidente della Ddr (nel suo Die �bernahme, "La presa di controllo", 2019). Il cittadino non godeva di libert� di parola, ma sapeva di essere protetto "dalla culla alla tomba" ("from the cradle to the grave", come prometteva l'ideatore dello Stato sociale William Beveridge negli anni 40 del secolo scorso). Una promessa erosa a Ovest negli anni 70-80, mentre pi� o meno sopravviveva a Est. Simile perdita � sofferta in molti Paesi dell'Est. In Polonia, il partito Diritto e Giustizia viola sistematicamente lo Stato di diritto, ma raccoglie vasti consensi perch� offre una protezione sociale (innanzitutto sovvenzioni a famiglie con bambini) negata dopo l'89-90 dalle "terapie choc" dell'austerit�. Lo stesso Helmut Kohl riconobbe gli errori commessi: in un colloquio radiofonico diffuso dopo la sua morte con lo storico Fritz Stern, ammise inaspettatamente: "Non abbiamo chiarito davanti all'opinione pubblica che non tutto era sbagliato nella Ddr e non tutto era giusto nella Repubblica federale". Un'ammissione importante visto che proprio lui nel 1990 aveva mentito, promettendo l'avvento, entro tre-quattro anni, di "paesaggi rigogliosi" nell'ex Ddr (bl�hende Landschaften). Il ravvedimento di Kohl viene in genere occultato, cos� come viene occultata la catastrofe demografica in tutta l'Europa ex comunista e soprattutto in Germania Est (milioni di tedeschi orientali continuarono a fuggire a Ovest dopo l'89). Un'altra menzogna riguarda la dittatura tedesco-orientale: molto dura, se non fosse che continua a esser condensata per intero nella monolitica immagine-spauracchio della Stasi, come se altri centri di potere non fossero esistiti e la storia di una nazione l'avessero costruita i servizi segreti. A quest'immagine monca e fuorviante, sostiene Kowalczuk, contribu� non poco, nel 2006, il film Le vite degli altri. In Germania l'autocritica � in pieno corso, e non mancano libri che parlano dell'Est come di un Mezzogiorno ancora pi� dannato del nostro. Tra essi ricordiamo quelli di Daniela Dahn, gi� dissidente in Ddr, che invariabilmente denuncia le modalit� di un'unificazione cui d� il nome storicamente pesante di Anschluss, annessione. Nel suo ultimo libro (La neve di ieri e il diluvio universale di oggi, 2019), Dahn si sofferma in particolare su un'accusa ricorrente rivolta alla Ddr: la Shoah nascosta per meglio evidenziare la resistenza comunista. In effetti nella Ddr si insisteva molto e giustamente sulla persecuzione dei comunisti - � l'Ovest che sempre pi� tende a minimizzarla - ma il genocidio non fu mai trascurato e innumerevoli furono i libri, le trasmissioni televisive, i film sulla Shoah. Nel 1979 apparve sugli schermi delle due Germanie la miniserie americana Holocaust, e si disse che il film aveva per la prima volta traumatizzato profondamente i tedeschi. Dahn ricorda come ben sette anni prima, la televisione della Ddr aveva diffuso una miniserie egualmente traumatizzante, in quattro puntate, che narrava la deportazione ad Auschwitz di una famiglia ebraica: alcuni attori avevano vissuto i Lager in prima persona. Con questo non si vuol in alcun modo imbellire il welfare o la storiografia della Ddr. Si vuol solo dire che alcune sue acquisizioni potevano essere preservate. I movimenti cittadini, che per settimane riempirono le strade della Ddr, si erano battuti per una riunificazione diversa, pi� rispettosa della storia nazionale: chiedevano una nuova Costituzione che comprendesse elementi del proprio vissuto e un successivo referendum nazionale. La scelta and� all'immediata annessione, alle privatizzazioni e a una devastante parificazione monetaria, il 1� luglio 1990, che ebbe come effetto l'impoverimento e la brutale deindustrializzazione della Ddr. Una presa di coscienza comincia a farsi strada, ma faticosamente e solo da quando la destra estrema si � appropriata della Ostalgie, della nostalgia della vecchia Ddr. � cos� che i vincitori insolenti lavorano alla propria perdita. Peter Bieber: il fuggitivo dalla Germania dell'Est (di Francesca Ghirardelli, "Focus Storia" n. 157/19) - Ha vissuto nella Germania comunista, � scappato, ha aiutato altre 11 persone a fuggire ed � finito per questo in prigione. Ma il 29 novembre 1989 era a Berlino. - Quando ancora il Muro divideva due mondi contrapposti, concentrati nel perimetro di un'unica sfortunata citt�, un giovane studente universitario di nome Peter Bieber ebbe l'occasione di trovarsi prima da una parte, poi dall'altra della barriera. Diverso era osservare la frontiera pi� famosa del Novecento stando a Berlino Est o nella parte Ovest della citt�, differenti erano gli stati d'animo e opposte le traiettorie che la vita avrebbe seguito. Nell'agosto del 1961, in una manciata di giorni, il sistema di fortificazioni era stato innalzato dividendo quartieri, amici e famigliari. Serviva a interrompere un esodo: in quegli anni la Germania Orientale (Ddr, Repubblica democratica tedesca) aveva gi� perduto un sesto della sua popolazione, fuoriuscita verso Ovest. La barriera non bast�, come dimostra, tra migliaia d'altre, la storia di Peter Bieber, nato nel 1945 a K�nigsberg (oggi Kaliningrad) e cresciuto nella Germania Est. Oggi pensionato di 74 anni, nel trentesimo anniversario dalla caduta di quel Muro ripercorre la sua personale, rischiosissima impresa, prima come fuggitivo, poi come "agente" organizzatore delle fughe altrui. Racconta: "Ho visto il Muro a Berlino Est per la prima volta nel 1969. Da quel lato non era possibile avvicinarsi troppo, non lo si poteva toccare, lo si osservava da una distanza di 300 metri. Nel 1972 sono tornato in citt�, questa volta sul versante Ovest. Il contatto con il Muro era pi� ravvicinato, in alcuni punti distava 50 metri, e c'erano posti di osservazione sopraelevati per permettere di vedere di l�. Guardare il Muro da Est dava una sensazione claustrofobica, di qualcosa che stesse finendo, almeno cos� pareva a me. Visto da Ovest era la libert�". - Trent'anni fa, il 9 novembre dell'89, lei si trovava a uno dei valichi di frontiera di Berlino. Cos'� accaduto? "Gi� nei giorni precedenti si percepiva che qualcosa sarebbe successo, che tutto sarebbe finito presto. Il 9 novembre, con un amico, abbiamo raggiunto Heinrich-Heine-Strasse, uno dei posti di frontiera nel quartiere di Kreuzberg. Il valico era aperto, la gente dell'Est entrava! Ricordo le lacrime, l'emozione. Volevo vedere cosa stesse accadendo dall'altra parte ma il mio amico non era d'accordo: "Sei pazzo! E se i russi ci ripensano?" diceva. Temeva che il confine si richiudesse all'improvviso. Ci siamo decisi ad attraversare solo una settimana pi� tardi". - Un'epoca lunga ventotto anni finiva. Cosa ricorda, invece, di quel 1961? "Quell'anno dalla Germania Est, dove vivevo, ero andato a trovare mio padre ad Hannover, nell'Ovest. Avevo 16 anni. Ci saremmo dovuti rivedere in seguito, per le vacanze estive durante le quali visitare insieme la Francia e altri Paesi occidentali. Quell'agosto, per�, la frontiera venne chiusa. Avrei rivisto mio padre nove anni pi� tardi". - Cosa significava per un ragazzo vivere nella Germania Orientale? "A Lipsia studiavo letteratura, volevo diventare bibliotecario. Non mi era permesso leggere tutti i libri che desideravo. Ricordo che per una presentazione universitaria serviva l'Ulisse di James Joyce. Non lo si poteva leggere liberamente. Dal mio professore sono riuscito a ottenere un permesso speciale per consultare il volume in biblioteca, in una stanzetta separata, lontano dagli altri lettori. Ogni sera dovevo riconsegnarlo e chiederlo di nuovo il giorno seguente. Ricordo anche la fiera di Lipsia: in esposizione c'erano libri in arrivo da Francia, Gran Bretagna, Italia, Germania dell'Ovest. Si potevano sfogliare, ma non portare via, cos� - lo ammetto - ne ho rubato qualcuno. In quel periodo ho cominciato a chiedermi cosa sarebbe stato della mia vita. Volevo lasciare l'Est in maniera legale, ma autorizzati ad andarsene erano di solito solo anziani e inabili al lavoro". - Quando � arrivata la determinazione ad andare via? "Nel 1968, durante la Primavera di Praga. Mi trovavo nella capitale cecoslovacca, animata da un grande dibattito sul nuovo periodo di aperture politiche. L'opposizione contro Alexander Dubcek (il segretario del Partito comunista le cui riforme liberali portarono all'invasione sovietica e all'occupazione del Paese, ndr) fu dura. � stato quello il momento in cui decisi di lasciare il blocco sovietico. Cercai di raggiungere l'Austria a piedi ma venni fermato. Altri tentativi sono seguiti, dal porto di Danzica e dalla Bulgaria, dove avrei dovuto nascondermi in un'auto di turisti della Germania Ovest. Nessuno della mia famiglia sapeva di questi tentativi, n� mia madre, n� mia sorella. Era la soluzione migliore. Ogni volta me ne andavo senza salutarle perch� la polizia, se le avesse interrogate, si sarebbe accorta che mentivano. Dopo ogni tentativo fallito tornavo a casa senza che nessuno si fosse accorto di nulla". - Quando si � presentata l'occasione giusta? "Nel 1970, avevo 25 anni. Il mio migliore amico si era appena sposato e mentre tornavo in autostop dalla festa di matrimonio un autista di camion mi offr� un passaggio. Non era un mezzo della Ddr, bens� della Germania dell'Ovest. Avrei potuto passare dei guai ma sono salito ugualmente. Durante il tragitto raccontai a quell'uomo delle mie intenzioni di scappare e di mio padre. Certo � stato un rischio: anche tra i tedeschi dell'Ovest c'erano agenti della Stasi (la polizia segreta della Germania Orientale, ndr). Lui mi consigli� di rivolgermi al suo capo, il proprietario di una fabbrica di mobili della Ddr. Ci andai. Durante il nostro incontro credo che a entrambi sia venuto naturale chiedersi: mi tradir�? Ricordo che ci siamo guardati dritto negli occhi e qualcosa di importante per la mia vita � accaduto: ci siamo fidati". - Come le � stato d'aiuto quell'uomo? "Mi ha nascosto dentro un armadio caricato a bordo di uno dei suoi camion. L'autista di turno non sapeva nulla, altrimenti si sarebbe agitato alla frontiera e la polizia se ne sarebbe accorta. Sono rimasto tre ore chiuso l�. Arrivati al confine con l'Ovest, le guardie di frontiera hanno ordinato di aprire i portelloni. Ho visto le luci delle torce e mi sono detto "Ora arrivano i cani e sar� tutto finito". Invece niente cani! I portelloni sono stati richiusi e siamo arrivati di l�. Eravamo al confine di Herleshausen. Prima della frontiera il camion sussultava per le buche, dopo, invece, la superficie stradale era liscia. Cos� ho avuto la certezza di trovarmi dall'altra parte". - Quindi ha cercato suo padre... "Nella prima cittadina incontrata gli telefonai: "Pap�, sono Peter, sono qui". Nessuna risposta, solo silenzio. "Sono qui", ripetei. Era attonito. Il giorno successivo lo raggiunsi ad Hannover. Fu lui a pagare all'uomo della fabbrica 800 marchi. Pi� tardi scrissi una lettera a mia madre. Agenti della Stasi si presentarono a casa a chiedere informazioni su di me, ma lei non sapeva nulla". - Poi � arrivato il tempo in cui ha organizzato lei la fuga per altre persone: come ha iniziato? "Nel 1972 studiavo legge e tra compagni di universit� discutevamo di politica. Spesso raccontavo di essere fuggito dalla Ddr e alcuni studenti mi chiedevano aiuto per ricongiungersi con parenti o amici bloccati a Est. Cos� ricontattai l'autista del mio viaggio. Si chiama Johannes. In quel periodo trasportava bitume per asfaltare strade a Berlino Ovest e nella Germania Occidentale. In quattro mesi e cinque viaggi trasportammo undici persone, compresa una famiglia con bambini di uno e otto anni. Ancora oggi sono in contatto con alcuni di loro. Una delle bambine � diventata poliziotta". - Perch� dopo cinque viaggi vi siete fermati? "Siamo stati arrestati. Un ragazzo raccont� di noi a Berlino Est e la notizia arriv� alla polizia. Mi fermarono lungo un'autostrada della Ddr (da cui era permesso il transito anche ai cittadini dell'Ovest), mentre accompagnavo i fuggitivi al camion. Sono stato condannato a 10 anni di carcere. Dopo 5 anni, per�, il governo di Bonn pag� per il mio rilascio. Il primo anno � stato duro: in sei metri per quattro eravamo in quindici. Ci sono tornato in visita negli Anni '90, ho ritrovato la mia cella, mi sono seduto l� ma mi � sembrata diversa. Per il resto della pena ho lavorato: cucivamo stoffa antiatomica per cappotti destinati agli eserciti del blocco sovietico. A raccontarlo ora pare incredibile". - Infatti, sembra un'epoca lontana. Eppure nuovi muri si alzano e altre persone oltrepassano i confini di nascosto. "C'� qualcosa in comune tra me e i rifugiati di oggi: l'avere provato la paura di venire scoperti e il timore di ci� che il futuro pu� riservare. Mi capita spesso di raccontare la mia esperienza nelle scuole di Berlino. Una volta mi hanno chiesto se fossi un trafficante di uomini! Ho risposto di non avere mai preso soldi per quello che facevo. In alcune classi incontro ragazzi iracheni, siriani, iraniani. A loro dico che hanno fatto bene a scappare da guerre e oppressione. Ho pagato per quello che ho fatto con cinque anni della mia vita: sono stati tempi duri ma non mi sono mai pentito. Sapevo che i miei carcerieri avrebbero dovuto essere rinchiusi al posto mio, mi aiutava pensare di essere meglio di loro. Ho pagato ma ne � valsa la pena. Resta il rimpianto di aver salvato solo undici persone. Fossero state di pi� sarebbe stato meglio". E il Muro croll� La sera del 9 novembre 1989 i berlinesi iniziarono ad abbattere il Muro di Berlino. Era l'ultimo passo di una rivoluzione gi� in atto: l'opposizione interna della Ddr, per decenni repressa dalla Stasi, era diventata un movimento di massa nella primavera del 1989. Inoltre sempre quell'estate l'Ungheria annunci� l'apertura della frontiera con l'Austria e migliaia di tedeschi orientali raggiunsero l'Ovest attraverso l'Ungheria. Per arginare la fuga, il presidente Egon Krenz decise di concedere nuovi permessi per la Germania Ovest, ma gli eventi precipitarono. Nel pomeriggio del 9 novembre il ministo della Propaganda G�nter Schabowski disse ai giornalisti: "� stata presa la decisione di aprire i posti di blocco. Se sono stato informato correttamente, quest'ordine diventa efficace immediatamente". Ma Schabowski non era stato informato correttamente: la decisione non era ufficiale. La sua frase suon� per� come un "liberi tutti" per i berlinesi, che trovarono le guardie di confine senza ordini chiari in merito, e apr� la strada alla riunificazione. Perch� ci fidiamo delle bugie (di Cailin O'Connor, "Le Scienze" n. 615/19) - L'informazione sbagliata pi� efficace comincia con granelli di verit�. - Verso la met� dell'Ottocento un bruco grande come un dito umano cominci� a diffondersi nel nordest degli Stati Uniti. Questa comparsa del bruco del pomodoro fu seguita da racconti spaventosi di intossicazioni letali e aggressioni verso le persone. Nel luglio 1869 i giornali della regione lanciarono avvertimenti sull'insetto, raccontando che a Red Creek, nello Stato di New York, dopo un contatto con la creatura una bambina era "caduta in preda agli spasmi, conclusi con la morte". Quell'autunno il "Syracuse Standard" pubblic� il resoconto di un tale dottor Fuller, che aveva trovato un esemplare davvero enorme del bruco. Il medico avvert� che l'insetto era "velenoso come un serpente a sonagli" e sostenne di essere a conoscenza di tre morti provocate dal suo veleno. Anche se il bruco � cos� vorace da spogliare una pianta di pomodori in pochi giorni, per gli esseri umani � innocuo. Gli entomologi lo sapevano da decenni quando Fuller pubblic� il suo drammatico racconto, e le sue affermazioni furono derise dagli esperti. Allora perch� le voci continuarono a circolare sebbene la verit� fosse gi� a portata di mano? Le persone imparano tramite la socialit�. Ricaviamo gran parte delle nostre convinzioni dalla testimonianza di altre persone fidate, come insegnanti, genitori, amici. Questa trasmissione sociale della conoscenza � alla base della cultura e della scienza. Ma, come dimostra la storia del bruco, ha un enorme punto debole: a volte le idee che diffondiamo sono sbagliate. Negli ultimi cinque anni sono stati messi a fuoco i modi in cui la trasmissione sociale della conoscenza pu� ingannarci. La cattiva informazione condivisa sui social media ha alimentato un'epidemia di false credenze, con la diffusione di convinzioni errate su argomenti che vanno dalla frequenza dei brogli elettorali alla possibilit� che la strage nella scuola elementare di Sandy Hook, in Connecticut, sia stata una messinscena, fino alla sicurezza dei vaccini. Gli stessi meccanismi di base che diffusero la paura del bruco del pomodoro hanno ora intensificato, e in alcuni casi provocato, una profonda sfiducia del pubblico nei confronti delle istituzioni di base della societ�. Una conseguenza � la pi� grave epidemia di morbillo dell'ultima generazione. In questo caso il termine "cattiva informazione" pu� sembrare inadatto. D'altronde molte delle attuali false credenze pi� dannose ricevono la spinta iniziale da atti di propaganda e disinformazione, deliberatamente ingannevoli e concepiti per provocare danni. Ma uno dei motivi per cui propaganda e disinformazione sono cos� efficaci nell'epoca dei social media � il fatto che chi le subisce le condivide tra amici e conoscenti di cui ha la fiducia e non ha intenzione di ingannare nessuno. I social media trasformano la disinformazione in cattiva informazione. Per cercare di capire come le false credenze possano sopravvivere, molti teorici della comunicazione ed esperti di scienze sociali hanno concepito modelli in cui la diffusione delle idee � equiparata a un contagio epidemico. Per applicare modelli matematici bisogna simulare una rappresentazione semplificata delle interazioni sociali umane usando un algoritmo, e poi studiare queste simulazioni per imparare qualcosa sul mondo reale. In un modello di contagio, le idee sono come virus che passano da una mente all'altra. Si comincia con una rete, formata da nodi e linee che indicano rispettivamente gli individui e le connessioni sociali. Si semina un'idea in una "mente" per vedere come si diffonde in base a varie ipotesi sulla modalit� di trasmissione. I modelli del contagio sono estremamente semplici, ma sono stati usati per spiegare schemi di comportamento sorprendenti, come l'epidemia di suicidi che si dice travolse l'Europa nel 1774 dopo la pubblicazione di I dolori del giovane Werther di Goethe, o quando nel 1962, negli Stati Uniti, decine di operai tessili riferirono di soffrire di nausea e torpore dopo essere stati punti da un insetto immaginario. E possono spiegare anche come alcune false credenze si propagano su Internet. Prima delle ultime elezioni presidenziali negli Stati Uniti, su Facebook � apparsa un'immagine di un giovane Donald Trump con una citazione: Trump avrebbe detto che, se si fosse candidato alla presidenza, l'avrebbe fatto nel Partito repubblicano, perch� � formato "dall'elettorato pi� stupido". Non � chiaro chi sia stato il "paziente zero", ma sappiamo che il meme � passato rapidamente da un profilo all'altro. La veridicit� del meme � stata presto verificata e smentita: gi� a ottobre 2015 il sito web di fact checking Snopes ha riferito che la citazione era stata inventata. Ma, come nel caso del bruco del pomodoro, divulgare la verit� non ha cambiato il modo in cui si diffondono le voci. Una sola copia del meme � stata condivisa oltre mezzo milione di volte. Via via che nuove persone lo condividevano, le loro false credenze hanno infettato i loro amici, che a loro volta le hanno trasmesse a nuove aree della rete. � per questo che molti memi ampiamente condivisi sembrano immuni al fact checking e al debunking. Le persone che hanno condiviso il meme di Trump non hanno fatto altro che fidarsi dell'amico da cui l'avevano ricevuto, invece di verificare personalmente. Tirare fuori i fatti non serve, se nessuno si preoccupa di controllarli. Si potrebbe pensare che qui il problema sia la pigrizia o l'ingenuit�, e che quindi la soluzione consista solo nel migliorare l'istruzione o le capacit� di pensiero critico. Ma non � del tutto corretto. A volte le false credenze persistono e si diffondono addirittura nelle comunit� in cui tutti si impegnano a fondo per scoprire la verit�, raccogliendo e condividendo prove. In questi casi il problema non � la fiducia sconsiderata, ma qualcosa di molto pi� profondo. Prove affidabili La pagina Facebook "Stop Mandatory Vaccination" ha pi� di 140.000 follower. I suoi moderatori pubblicano periodicamente materiale presentato in modo da dimostrare a questa comunit� che i vaccini sono dannosi o inutili. Nelle pagine di altri gruppi Facebook, migliaia di genitori preoccupati fanno domande e danno risposte sulla sicurezza dei vaccini, spesso condividendo saggi scientifici e pareri legali che sostengono le attivit� contro le vaccinazioni. Chi partecipa a queste comunit� online � molto interessato a sapere se i vaccini sono dannosi, e cerca attivamente di scoprire la verit�. Eppure arriva a conclusioni pericolosamente sbagliate. Come � possibile? Per rispondere a questa domanda il modello del contagio � inadeguato. Ci serve invece un modello che sia in grado di rappresentare i casi in cui le persone adottano convinzioni in base alle prove che raccolgono e condividono. Inoltre il modello deve cogliere innanzitutto perch� queste persone sono stimolate a cercare la verit�. Nelle questioni di salute, agire in base a convinzioni erronee pu� costare caro. Se i vaccini sono sicuri ed efficaci (e lo sono) e i genitori non fanno vaccinare i figli, espongono sia i figli sia le persone immunodepresse a un rischio non necessario. Se i vaccini non sono sicuri, come hanno concluso i partecipanti a quei gruppi Facebook, allora i rischi vanno nell'altra direzione. Significa che � essenziale scoprire dove sta la verit�, e agire di conseguenza. Per capire meglio questo comportamento, nella nostra ricerca ci siamo basati su un contesto di struttura epistemologica delle reti, introdotto vent'anni fa da alcuni economisti per studiare la diffusione sociale delle credenze in una comunit�. I modelli di questo tipo sono divisi in due parti: un problema e una rete di individui (o "agenti"). Il problema comporta la scelta di un'opzione tra due: potrebbero essere "vaccinare" e "non vaccinare" i propri figli. Nel modello gli agenti hanno le loro credenze su quale sia la scelta migliore. Secondo alcuni la vaccinazione � sicura ed efficace, secondo altri provoca l'autismo. Le credenze degli agenti ne determinano il comportamento: chi ritiene che le vaccinazioni sono sicure sceglie di farle. A sua volta, il loro comportamento ne determina le credenze. Quando gli agenti fanno vaccinare i figli e vedono che non succede niente di male, si convincono ancora di pi� che le vaccinazioni sono effettivamente sicure. La seconda parte del modello � una rete che rappresenta i collegamenti sociali. Gli agenti possono imparare non solo dalla propria esperienza con le vaccinazioni, ma anche da quelle dei loro vicini. Cos� la comunit� di un individuo � molto importante nel determinare quali convinzioni finir� per adottare. La struttura epistemologica delle reti coglie alcune caratteristiche essenziali che mancano ai modelli di contagio: le persone raccolgono dati intenzionalmente, li condividono e poi subiscono gli effetti delle cattive credenze. Queste scoperte hanno qualcosa di importante da insegnarci sulla diffusione sociale della conoscenza. La prima cosa che impariamo � questa: lavorare insieme � meglio che da soli, perch� un individuo che si trova di fronte a un problema come questo ha buone probabilit� di adottare prematuramente la teoria peggiore. Per esempio, potrebbe osservare un bambino che manifesta l'autismo dopo essere stato vaccinato e concludere che i vaccini non sono sicuri. Tendenzialmente, in una comunit� le convinzioni sono variegate. Alcuni sperimentano un'azione, altri un'azione diversa. Grazie a questa diversit�, in genere si raccolgono prove a sufficienza per formare buone credenze. Nemmeno questo vantaggio di gruppo per� garantisce che gli agenti imparino la verit�. Le vere prove scientifiche sono probabilistiche. Per esempio, alcuni non fumatori si ammalano di cancro ai polmoni, e alcuni fumatori invece no. Significa che alcuni studi sui fumatori non troveranno un legame con il cancro. Allo stesso modo, sebbene non esista alcun legame statistico tra vaccini e autismo, alcuni bambini vaccinati sono autistici. Cos� alcuni genitori osservano che i figli iniziano a manifestare i sintomi dell'autismo dopo avere ricevuto le vaccinazioni. Pu� bastare una serie di prove fuorvianti di questo tipo per indurre in errore un'intera comunit�. Nella versione pi� semplice del modello, l'influenza sociale fa s� che le comunit� raggiungano un consenso. Decidono che le vaccinazioni o sono sicure o sono pericolose. Ma questo non corrisponde a quello che vediamo nel mondo reale. Nelle comunit� vere assistiamo alla polarizzazione: un disaccordo insanabile sull'opportunit� di vaccinare. A nostro avviso, al modello di base mancano due ingredienti essenziali: fiducia sociale e conformismo. La fiducia sociale � determinante per le convinzioni quando le persone considerano alcune fonti di prove pi� attendibili di altre. � quello che vediamo quando gli antivax si fidano pi� delle prove condivise dai membri della loro comunit� che di quelle presentate dai Centers for Disease Control and Prevention o altri enti di ricerca medica. Questa sfiducia pu� avere moltissime cause, per esempio precedenti esperienze negative con i medici, o il timore che le autorit� sanitarie non abbiano a cuore gli interessi delle persone. In alcuni casi questa sfiducia pu� essere giustificata, visti i numerosi medici e ricercatori che ignorano i problemi legittimi dei pazienti, in particolare delle donne. Il risultato finale per� � che gli antivax non imparano proprio da chi raccoglie le prove migliori sull'argomento. Nelle versioni del modello in cui gli individui non si fidano delle prove portate da chi ha convinzioni molto diverse, vediamo che le comunit� si polarizzano e chi ha idee scadenti non riesce ad acquisirne di migliori. Il conformismo invece � la tendenza ad agire come le altre persone della propria comunit�. Il bisogno di conformarsi � profondamente radicato nella psiche umana, e pu� portarci a commettere azioni che sappiamo essere dannose. Quando aggiungiamo al modello il conformismo vediamo che emergono gruppi chiusi di agenti con credenze false. Il motivo � che agenti collegati al mondo esterno non trasmettono le informazioni in contrasto con le convinzioni del gruppo, e di conseguenza molti suoi componenti non vengono mai in contatto con la verit�. Il conformismo pu� contribuire a spiegare perch� gli antivax tendano a concentrarsi in certe comunit�. In alcune scuole private e semiprivate della California meridionale, la percentuale di bambini vaccinati non supera le poche decine. E queste percentuali sono estremamente basse anche tra gli immigrati somali a Minneapolis e gli ebrei ortodossi a Brooklyn, due comunit� in cui di recente sono scoppiate epidemie di morbillo. Per intervenire sullo scetticismo nei confronti dei vaccini bisogna tenere conto sia della fiducia sociale sia del conformismo. Probabilmente limitarsi a condividere nuove prove con gli scettici � inutile, a causa dei problemi di fiducia. E a causa del conformismo potrebbe essere difficile convincere membri fidati della comunit� a sostenere pubblicamente le vaccinazioni. L'approccio migliore consiste nel trovare persone che hanno abbastanza in comune con le rispettive comunit� da suscitare fiducia. Per esempio, a Brooklyn un rabbino potrebbe essere efficace come ambasciatore dei vaccini, mentre nella California meridionale per questo ruolo potrebbe essere pi� indicata un'attrice come Gwyneth Paltrow. Fiducia sociale e conformismo sono due dei motivi per cui nelle reti sociali possono emergere opinioni polarizzate. Ma almeno in alcuni casi, come la comunit� somala del Minnesota e quelle di ebrei ortodossi a New York, la storia � pi� complessa. Entrambi i gruppi sono stati presi di mira da sofisticate campagne di disinformazione, progettate dagli antivax. Operazioni di influenza Le nostre convinzioni sul mondo determinano come votiamo, che cosa compriamo e chi ammiriamo. Di conseguenza ci sono molti gruppi e individui ricchi e potenti che hanno interesse a influenzare le credenze del pubblico, comprese quelle sui dati di fatto scientifici. Secondo un'idea ingenua, quando l'industria cerca di influenzare le credenze scientifiche, non fa altro che assoldare scienziati corrotti. Pu� darsi che a volte succeda cos�. Ma uno studio accurato dei casi storici dimostra che ci sono strategie molto pi� raffinate - e probabilmente pi� efficaci - adottate da industrie, nazioni e altri gruppi. Il primo passo per proteggerci da questo tipo di manipolazione � capire come funzionano queste campagne. Un esempio classico � l'industria del tabacco, che negli anni cinquanta mise a punto nuove tecniche per contrastare il crescente consenso sui danni mortali del fumo. Negli anni cinquanta e sessanta il Tobacco Institute pubblicava "Tobacco and Health", una newsletter bimestrale che riferiva solo le ricerche scientifiche secondo cui il tabacco non era dannoso, o che mettevano in evidenza l'incertezza sui suoi effetti per la salute. I pamphlet adottano quella che abbiamo definito condivisione selettiva. Questo metodo consiste nel prendere ricerche scientifiche autentiche e indipendenti, e selezionarle presentando solo le prove a favore della posizione che si preferisce. Usando varianti dei modelli descritti in precedenza, abbiamo sostenuto che la condivisione selettiva pu� essere incredibilmente efficace nell'influenzare quello che un pubblico di non addetti ai lavori arriva a credere sui dati di fatto scientifici. In altre parole, soggetti motivati possono usare granelli di verit� per dare un'impressione di incertezza o perfino convincere le persone di affermazioni false. La condivisione selettiva � da tempo uno strumento essenziale nell'armamentario degli antivax. Prima della recente epidemia di morbillo a New York, un'organizzazione che si definisce Parents Educating and Advocating for Children's Health (PEACH) ha prodotto e distribuito un pamphlet di 40 pagine intitolato The Vaccine Safety Handbook. Le informazioni condivise - quando erano precise - erano molto selezionate, e si concentravano su una manciata di studi scientifici che lasciavano intuire rischi collegati ai vaccini, mentre davano un'attenzione minima ai numerosi studi che ne dichiaravano la sicurezza. Il manuale PEACH era particolarmente efficace perch� abbinava la condivisione selettiva alla retorica. Raccoglieva la fiducia degli ebrei ortodossi facendo leva sull'appartenenza alla comunit� e metteva in risalto gli aspetti che probabilmente avrebbero suscitato pi� preoccupazione in quel pubblico. Selezionava con cura fatti sui vaccini destinati a provocare il disgusto di quel target specifico; per esempio diceva che alcuni contenevano gelatina derivata dai maiali. Consapevolmente o no, il pamphlet era concepito in modo da sfruttare la fiducia sociale e il conformismo, proprio i meccanismi cruciali per la creazione della conoscenza umana. Peggio ancora, i propagandisti sviluppano costantemente metodi sempre pi� sofisticati per manipolare le credenze del pubblico. Negli ultimi anni abbiamo visto i diffusori della disinformazione lanciare nuovi sistemi - come bot su Twitter, troll pagati e account di amici hackerati o copiati - per dare l'impressione che alcune false credenze siano ampiamente condivise, anche dai vostri amici e da altre persone con cui vi identificate. Secondo un articolo pubblicato nel 2018 su "American Journal of Public Health", questa disinformazione � stata distribuita da account collegati a operazioni russe di influenza che cercano di amplificare il dissenso negli Stati Uniti e usare come arma una questione di salute pubblica. Questa strategia lavora per cambiare le opinioni non tramite argomentazioni razionali o prove, ma manipolando la diffusione sociale di conoscenza e credenze. La raffinatezza degli sforzi per diffondere informazioni sbagliate solleva un problema preoccupante per la democrazia. Tornando all'esempio del morbillo, in molti Stati i bambini possono essere esonerati dall'obbligo vaccinale in base a "credenze personali". E questo nel 2015 ha scatenato una polveriera in California, in seguito a un'epidemia di morbillo provocata da bambini non vaccinati in visita a Disneyland. L'allora governatore Jerry Brown ha firmato una nuova legge, la SB277, che ha annullato l'esenzione. Gli antivax hanno subito avviato l'iter per indire un referendum per abrogare la legge. Se fossero riusciti a raccogliere 365.880 firme (sono arrivati solo a 233.758), la possibilit� di esonero dall'obbligo di vaccinazione per credenze personali sarebbe stata oggetto di referendum, il cui risultato sarebbe stato influenzato proprio da campagne di disinformazione come quelle che in molte comunit� hanno provocato il crollo della percentuale di bambini vaccinati. Per fortuna il tentativo non � riuscito. Ma bisogna riflettere sul fatto che centinaia di migliaia di californiani abbiano sostenuto un referendum su una questione dalle conseguenze rilevanti per la salute pubblica, in cui i dati di fatto sono chiari, ma fortemente fraintesi da alcuni gruppi di attivisti. C'� un motivo per cui ci interessa adottare politiche che tengano conto nel modo migliore delle prove disponibili e reagiscano alle nuove informazioni affidabili. Come � possibile proteggere il benessere pubblico quando cos� tanti cittadini sono fuorviati su dati di fatto? Difficilmente chi agisce in base a cattive informazioni raggiunge gli obiettivi che desidera, allo stesso modo le societ� che adottano politiche basate su false credenze hanno poche probabilit� di arrivare ai risultati voluti e previsti. Il modo per rispondere a una domanda che riguarda fatti scientifici - i vaccini sono sicuri ed efficaci? - non consiste nel metterla ai voti in una comunit� di profani, soprattutto se subiscono pesanti campagne di disinformazione. Abbiamo invece bisogno di un sistema che non solo rispetti procedure e istituzioni della scienza rigorosa considerandola come il miglior modo che abbiamo di imparare la verit� sul mondo, ma che rispetti anche i valori alla base della democrazia, che impedirebbero a un singolo gruppo, come gli scienziati, di dettare le politiche. Non abbiamo una proposta di sistema di governo che riesca a bilanciare perfettamente queste esigenze contrastanti. Ma pensiamo che sia fondamentale separare meglio due questioni sostanzialmente diverse: quali sono i fatti, e che cosa dobbiamo fare alla luce dei fatti? Gli ideali democratici impongono che entrambi gli aspetti richiedano sorveglianza pubblica, trasparenza e responsabilit�. Ma � solo il secondo - quali decisioni prendere in base ai fatti - che va messo ai voti. Adolescenza: separazioni impossibili (di Anna Oliverio Ferraris, "Psicologia contemporanea" n. 274/19) - Per l'adolescente � difficile svincolarsi dai genitori quando questi disinnescano ogni conflitto con lui e si mostrano sempre comprensivi. - Giorgia, 18 anni, somatizza tutte le volte che si allontana dalla mamma. In particolare, non riesce a trascorrere una notte fuori casa in vacanza con gli amici. Viene colta da improvvisi attacchi di emicrania e qualche volta anche da angoscianti attacchi di panico. � nata tre anni dopo la morte improvvisa di un neonato di 5 mesi e sua madre, fin da quando era incinta, ha visto in lei una sorta di angelo consolatore inviatole dal cielo per riempire il grande vuoto lasciato dalla scomparsa prematura e traumatica del suo primogenito. Bambina allegra e docile, Giorgia non ha mai creato problemi ai genitori, e tra lei e la mamma si � formato nel corso degli anni un legame di affettuosa complicit�. La mamma ne ha fatto la sua confidente e Giorgia, a sua volta, considera la mamma la sua migliore amica. D'altro canto, quest'ultima non ha delle amicizie vere e proprie, ma soltanto delle conoscenze con cui intrattiene rapporti saltuari e formali. In pi� il marito, uomo d'affari, � spesso all'estero per lavoro anche per lunghi periodi. A scuola, nell'adolescenza, Giorgia si lega a un gruppo di amici che cercano di trascinarla nelle loro iniziative, in particolare insistono perch� partecipi anche lei alle gite in montagna durante i fine settimana. Ma � stato proprio quando gli amici hanno iniziato a coinvolgerla nelle gite, proprio quando avrebbe avuto l'occasione di cominciare a distanziarsi dalla mamma e magari di innamorarsi di qualcuno, che hanno fatto la loro comparsa prima le emicranie e poi gli attacchi di panico: "Sono disturbi molto fastidiosi che mi obbligano a restare a casa contro la mia volont� e che man mano mi allontanano dagli amici", spiega Giorgia allo psicoterapeuta. "Io vorrei poter condurre un'esistenza normale". Emicrania e attacchi di panico sono espressioni della difficolt� che la ragazza incontra nel separarsi dalla madre - � la silenziosa diagnosi dello psicoterapeuta-, ma lei non vuole riconoscerlo, perch� diventare consapevole della forte dipendenza che la lega alla mamma fin dall'infanzia la obbligherebbe a operare un cambiamento nello stile di vita, e l'idea di separarsi dalla sua "migliore amica" anche solo per un fine settimana le creerebbe un forte senso di colpa. Con che animo potrebbe lasciare la mamma "sola" a casa mentre lei � a divertirsi con gli amici? "Pi� un figlio � legato a un genitore in modo eccessivo, pi� i tentativi di distanziarsi [svincolarsi, secondo un termine in uso tra gli psicologi dell'et� evolutiva] sono fonte d'angoscia", riflette il terapeuta, che segue anche un'altra adolescente con un problema simile. Beatrice � dipendente da entrambi i genitori, ma non per un rapporto fusionale con la mamma, come nel caso di Giorgia, bens�, all'opposto, per la scarsa attenzione e disponibilit� dei suoi genitori: per la loro assenza, per la mancanza di calore e di affetto fin dai primi anni infantili da parte di entrambi, molto assorbiti dalla vita sociale e dal lavoro. "Mi vengono delle crisi di nervi, vorrei spaccare tutto, quando penso alla mia forte dipendenza nei riguardi di mia madre e di mio padre, perch� so che devo e posso cavarmela da sola" spiega Beatrice. "Non sono una stupida, so come gestirmi e come vanno fatte le cose, eppure vado sempre a elemosinare la loro approvazione. Qualsiasi iniziativa io prenda, qualsiasi cosa sia in procinto di fare o di decidere, gliela devo comunicare anche se non � necessario. � un'ossessione. Ho bisogno del loro consenso su tutto, anche su cose minime. Loro si infastidiscono. Dicono che mi faccio troppi problemi, che devo essere pi� indipendente, che parlo troppo. E, purch� io la smetta di chiedere pareri, di spiegare e analizzare, approvano. Approvano sempre. Io, invece, vorrei litigare". L'insicurezza di Beatrice risale all'infanzia, quando, relegata in casa per interi pomeriggi in compagnia dei suoi giocattoli ma anche di una donna di servizio che non parlava italiano e non mostrava alcun interesse verso di lei, si � sentita abbandonata, non considerata, privata di tutte quelle attenzioni, indicazioni, sguardi affettuosi e piccoli ma significativi riconoscimenti di cui i bambini hanno bisogno per crescere sicuri e ottimisti. Cos�, nell'adolescenza, quando dovrebbe rendersi via via pi� autonoma, eccola avvinghiata a pap� e mamma in attesa di quelle attenzioni, sguardi e riconoscimenti che non le hanno rivolto da bambina. Prima di poter prendere il volo e allontanarsi con tutta calma dal nido domestico, Beatrice dovr� conquistare quella sicurezza interna che non ha costruito nel corso della crescita e vincere quella sfiducia in s� stessa che, gettando ombre sul suo pensiero, la rende insistente, ossessiva e qualche volta anche fastidiosamente loquace. Quale che sia stata la sua storia, con l'arrivo della pubert� l'adolescente si pone domande sul suo legame di dipendenza dai genitori con un'ansia pi� o meno intensa, e oggi pi� di ieri, perch� pi� diffusa di un tempo � la tendenza, nei genitori contemporanei, a evitare i conflitti a ogni costo, in una sorta di mito di felicit� familiare privo di sentimenti aggressivi. Ecco allora che il figlio, nel momento in cui cerca di rendersi indipendente da pap� e mamma, si trova invece imprigionato in una "separazione impossibile", come spiega Boris Cyrulnik nel noto saggio Parlare d'amore sull'orlo dell'abisso. Non � facile, per un figlio, distaccarsi dai genitori se questi non gli consentono di opporsi frontalmente a loro perch� tanto aperti, tanto comprensivi, tanto tolleranti e talora anche tanto adolescenti! Il conflitto � invece un punto di riferimento necessario all'adolescente: lo aiuta a differenziarsi da pap� e mamma allontanandosi quel tanto che gli consente di acquisire un'identit� separata e al tempo stesso di preservare il legame che esiste con loro fin dall'infanzia e sul quale potr� continuare a fare riferimento.