Dicembre 2020 n. 12 Anno V Parliamo di... Periodico mensile di approfondimento culturale Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registraz. n. 19 del 14-10-2015 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Pietro Piscitelli Massimiliano Cattani Luigia Ricciardone Copia in omaggio Rivista realizzata anche grazie al contributo annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del MiBACT. Indice Chiusura per ferie Covid, un bagno di realt� che disfa i miti sovranisti La pericolosa illusione della scuola a distanza 10 cose che (forse) non sapevate su Beethoven "Se mi sbaglio mi corigerete". Joaqu�n Navarro-Valls racconta Giovanni Paolo II Alle origini della Wiener Schnitzel Chiusura per ferie Informiamo i nostri gentili lettori che la Biblioteca rimarr� chiusa per le festivit� natalizie e di fine anno nei giorni dal 24 al 31 dicembre 2020 e riaprir� il giorno 4 gennaio 2021. Con l'occasione auguriamo a tutti buone Feste. Covid, un bagno di realt� che disfa i miti sovranisti (di Giovanni De Luna, "Il Fatto Quotidiano" del 21 Novembre 2020) "Il re � nudo!" Come il bambino della fiaba di Andersen la pandemia ha svelato quello che era sotto gli occhi di tutti e che nessuno sembrava vedere, lasciando emergere l'intrinseca fragilit� di narrazioni che si sono mostrate tanto seduttive quanto inconsistenti. � andato in frantumi, ad esempio, il racconto di un mercato perfetto in s�, che bisognava solo lasciare libero di essere se stesso, svincolato dagli impacci della cosa pubblica, per poter sprigionare tutta la sua benefica potenza. Gli effetti nefasti della devastazione della sanit� "privatizzata" hanno svelato tutti i limiti di questo approccio. Pi� in generale, il Covid-19 ha incrinato molti dei dogmi di quella "religione dei consumi" che intorno all'adorazione del mercato si era consolidata. Costretti dalla pandemia a privarci del "superfluo", abbiamo necessariamente riscoperto le risorse che si annidano nella "frugalit�", come se la brutale concretezza delle privazioni di oggi ci riporti al nostro passato novecentesco, ai tempi miseri ed eroici del dopo guerra, all'Italia povera e contadina degli anni che precedettero il boom economico. Altri racconti si sono arenati sugli scogli di una realt� inchiodata alla durezza delle cifre dei contagi, delle vittime, dei ricoveri in terapia intensiva. Tra tutti, quello che a mettere a rischio la nostra esistenza collettiva fossero gli immigrati, clandestini pronti a insidiare il posto di lavoro degli italiani, ad annidarsi come parassiti nella nostra societ�, approfittando delle inclinazioni "buoniste" delle istituzioni pubbliche. Si sono vinte le elezioni sulla base di una narrazione come questa, sgominata dalla pandemia e dai suoi effetti, quelli s� devastanti, sui nostri livelli occupazionali e i nostri redditi. La verit� � che per anni la politica � stata egemonizzata da questo tipo di approccio culturale, con la destra e la sinistra affascinate entrambe dalla sostituzione della "realt�" con la "rappresentazione della realt�", con racconti che sono arrivati sia da chi oggi ci governa (la sconfitta della povert� con il reddito di cittadinanza, un'arma spuntata contro la miseria dilagante innescata dal virus), sia da chi oggi sta all'opposizione, con qualche paradosso, amaramente svelato dal lockdown. "La legittima difesa" gridata in piazza dai leghisti aveva proposto l'immagine delle nostre case trasformate in altrettante fortezze assediate da difendere contro ogni intrusione dall'esterno, quelle stesse case al cui interno la pandemia ci ha spinti a vivere, costringendoci a riscoprirne il tepore affettivo e protettivo. E le polemiche sul velo islamico che "mascherava" il volto delle donne? L'obbligo della mascherina ha travolto ogni differenziazione di genere, ogni appartenenza religiosa, trasformandola di colpo da inquietante segnale di pericolo a icona salvifica della tutela della nostra salute. Sono "le mitologie sovraniste" quelle che hanno maggiormente risentito di questo bagno nella realt�. La pandemia ha ridicolizzato i confini nazionali, sorvolando i territori, svuotandoli di significato per proporre l'immagine globale di un mondo unificato dal lutto e dall'angoscia. � stata una ventata di concretezza che ha attraversato tutti i discorsi che avevano tenuto banco nello spazio della politica, soprattutto nella sua versione televisiva. I 21 parametri sulla base dei quali sono stati decisi i colori (giallo, arancione, rosso) delle varie regioni e dei rispettivi lockdown; le cifre dei bollettini quotidiani; gli indici di diffusione del contagio; il grado di efficacia dei vaccini in via di sperimentazione: la discussione pubblica � stata chiamata a misurarsi con questi dati, in un cambiamento di registro che ha interessato gli ambiti pi� diversi. Perfino le chiacchiere da bar che accompagnano il tifo calcistico, messe da parte le polemiche sul Var e sugli arbitraggi, si sono inopinatamente concentrate sugli esiti dei tamponi o la contraddittoriet� dei pareri delle Asl. E i negazionisti si sono scontrati, non con la narrazione simmetrica e opposta dei loro avversari, ma con il granitico principio di realt� dei numeri. Il "re � nudo" � diventato cos� un grido di consapevolezza. Per pi� di un secolo, nel progetto di "fare gli italiani" si sono cimentati i grandi "costruttori di identit�" come lo Stato, i partiti di massa, la Chiesa, le fabbriche, il mercato, i mezzi di comunicazione di massa: quello che siamo oggi lo dobbiamo al modo in cui nel tempo hanno modellato i nostri comportamenti, le nostre scelte, le nostre appartenenze. Ora, a mettere mano a quel progetto � intervenuta la pandemia. � la prima volta che succede e perci� ne siamo tutti disorientati. Il virus ci cambier�. Altre narrazioni prenderanno il posto di quelle che il Covid-19 ha messe in crisi. Se a ispirarle sar� questa immersione nella realt�, ne usciremo migliori. La pericolosa illusione della scuola a distanza (di Silvia Bonino, "Psicologia contemporanea" n. 282/20) - Uno dei problemi della didattica a distanza � quello di non coinvolgere l'interezza del corpo e della socio-relazionalit� del bambino. - I mesi di confinamento in casa per l'emergenza del Coronavirus hanno costretto insegnanti e allievi, insieme alle loro famiglie, a ricorrere all'insegnamento a distanza per continuare a garantire un parziale proseguimento delle lezioni e dei contatti. Le difficolt� e le disparit� sono state tantissime, non solo nei primi tempi, nonostante la buona volont� e l'impegno; i risultati sono stati molto disomogenei, con ricadute negative sugli allievi gi� pi� svantaggiati. Ora che l'emergenza pare rientrata sono in molti a temere che si sia innescata la tendenza a passare a una scuola sempre pi� a distanza e sempre meno in presenza, indipendentemente da esigenze di sanit� pubblica. Contro questa prospettiva si sono gi� levate alcune voci che hanno voluto ricordare come la scuola sia educazione e non solo istruzione, e come l'educazione sia anzitutto socialit�. La psicologia dello sviluppo � certamente d'accordo con queste affermazioni. Ancor pi�, essa � in grado di sostenerle in base ad acquisizioni scientifiche ormai consolidate sullo sviluppo psicologico lungo gli anni dell'et� evolutiva, vale a dire in quel periodo di massima plasticit� e cambiamento incrementale che va dalla nascita fino alla giovinezza. L'affermazione che la scuola � socialit� potrebbe essere ritenuta quasi ovvia, per la semplice ragione che l'educazione di un essere primariamente sociale come l'uomo non pu� avvenire al di fuori della relazione sociale, pena il mancato sviluppo di capacit� cruciali per l'individuo e la societ�. Siamo esseri dotati di grandi disposizioni sociali, sviluppatesi nel corso della filogenesi proprio nell'interazione faccia a faccia e nella vita di gruppo. Per potersi pienamente sviluppare e realizzare, tali disposizioni devono di conseguenza anche nell'ontogenesi (cio� nello sviluppo dell'individuo dopo la nascita) essere educate in situazioni sociali di incontro con gli altri, sia adulti che coetanei. Questo vale fin dalla nascita, quando il rapporto con adulti amorevoli � indispensabile per la stessa sopravvivenza fisica, e perdura per tutta la lunga infanzia dell'essere umano, quando le relazioni sociali si ampliano necessariamente al di fuori della famiglia. L'argomento � assai ampio e mi limiter� qui ad alcuni esempi. Un insieme molto significativo di capacit� il cui sviluppo avviene nell'interazione sociale � dato dalle cosiddette "life skills"; si tratta delle competenze vitali individuate dall'Organizzazione Mondiale della Sanit� (OMS) come capacit� di cui ogni individuo dovrebbe disporre per sapersi mettere in relazione con gli altri e affrontare al meglio i problemi della vita quotidiana. Non deve stupire il fatto che se ne sia occupata l'OMS, perch� queste competenze sono indispensabili anche per il benessere individuale e la stessa salute. Esse comprendono, tra le altre, la gestione delle emozioni e dello stress, l'empatia, la buona comunicazione, ma anche capacit� considerate erroneamente soltanto cognitive, come la soluzione dei problemi, la creativit� e il pensiero critico. Non si tratta, si badi bene, di attitudini individuali, ma di capacit� che si sviluppano e si affinano nell'esperienza concreta di interazione con gli altri - adulti e coetanei - in una situazione educativa che ne promuova un uso efficace. Esse possono diventare bagaglio dell'individuo solo grazie all'interazione sociale; nello stesso tempo esse costruiscono un benessere individuale che � intrinsecamente connesso con la capacit� di stabilire relazioni sociali. L'importanza delle relazioni sociali non riguarda solo le life skills. Essa si estende a molte altre capacit� che sembrerebbero chiamare in causa solo processi cognitivi e individuali di elaborazione dell'informazione, indipendenti da componenti emotive e sociali, e perci� ritenuti facile oggetto di istruzione a distanza. Il primo esempio � dato dalla memoria, fondamento di ogni apprendimento e conoscenza; si tratta di un'attivit� alquanto complessa che coinvolge numerosi processi: dall'attenzione alla fissazione, dalla conservazione alla rievocazione. Gli studi hanno mostrato che il ricordo si pu� fissare quando riguarda situazioni che sono significative dal punto di vista emotivo e sociale. Non solo: il ricordo non � l'archiviazione di schede immutabili nel casellario del cervello, bens� una continua rielaborazione da parte della mente. In questo processo svolge un ruolo centrale la narrazione, strumento sociale per eccellenza, sia perch� usa i segni convenzionali del linguaggio di una comunit� sia perch� elabora significati condivisi. A tutto ci� si deve aggiungere che quanto pi� il bambino � piccolo (ma il processo riguarda anche le et� seguenti), tanto pi� la memorizzazione di contenuti complessi richiede il coinvolgimento dell'azione e di tutto il corpo, con tutti i diversi sensi. Non � quindi sufficiente la vista, del tutto passiva, delle immagini. In concreto, questo significa che guardare un video, per quanto ben fatto e accattivante, non favorisce la fissazione dei contenuti, per la mancanza di coinvolgimento attivo in azioni significative. Significativit� che � data dal coinvolgimento, appunto, di tutto l'individuo, di cui le emozioni e la socialit� sono aspetti essenziali. Anche i risultati di cui ormai la psicologia dello sviluppo dispone circa la lingua scritta e il suo apprendimento confermano la necessit� dell'interazione sociale. Essi indicano che l'essere coinvolti dagli adulti in racconti e letture comuni in et� prescolare favorisce, al momento dell'ingresso nella scuola primaria, l'apprendimento della lettura e della scrittura. Lo stesso risultato positivo non � ottenuto dall'uso di dispositivi meccanici, poich� � l'interazione sociale che permette al bambino di vivere quest'esperienza come significativa e di fissarla nella memoria con una ricchezza emotiva che in seguito favorisce l'apprendimento della scrittura e della lettura. Quest'ultimo, inoltre, ha maggiore successo quando si utilizzano i supporti cartacei e non quelli virtuali. Per comprenderne le ragioni, basti pensare al fatto che il gesto di scrivere non solo coinvolge tutto il corpo, ma d� al bambino il senso tangibile della potenza della sua azione sulla realt�, grazie alla traccia visibile che egli lascia sul foglio bianco e che pu� con facilit� e immediatezza condividere con gli altri. La fierezza che i bambini provano quando riescono a tracciare le prime parole, e le mostrano agli altri, ben evidenzia questa complessit� di vissuti, che nessuno schermo � in grado di suscitare. 10 cose che (forse) non sapevate su Beethoven (di Aldo Carioli, "Focus Storia" n. 170/20) - 250 anni fa nasceva a Bonn uno dei pi� grandi compositori di tutti i tempi. Ecco perch� ha cambiato la storia della musica e come � diventato un personaggio di culto. - 1. Fidelio: W la libert� - In un'epoca in cui il melodramma era il genere di spettacolo pi� seguito in Europa, Beethoven compose (1803-1805) una sola opera per il teatro musicale: Fidelio. Si tratta di un Singspiel, cio� di uno spettacolo in parte recitato e in parte cantato, in tedesco. La trama � ambientata in Spagna, ma � ispirata a una storia vera accaduta durante il Terrore, nel corso della Rivoluzione francese: Leonore si traveste da uomo e con il falso nome di Fidelio ("il fedele") cerca di liberare l'amato marito Florestan, ingiustamente imprigionato. Dopo varie peripezie il bene trionfa, il governatore corrotto viene punito e Leonore pu� liberare Florestan. Il Fidelio ebbe un buon successo, ma Beethoven rimaneggi� per ben due volte la partitura e non scrisse altri lavori per il teatro. L'opera riassumeva gli ideali in voga all'epoca e vicini al compositore: la lotta per la giustizia e la libert�, la speranza in un avvenire migliore. 2. Un inno per l'Europa - Nel 1972 l'Ode alla gioia, dalla Nona sinfonia di Beethoven (1824), fu adottato come inno dal Consiglio d'Europa, in seguito dall'Ue. Nella versione "europea" l'inno � eseguito soltanto dall'orchestra, senza parole e in una forma abbreviata, ma nella Nona sinfonia � un brano complesso, che prevede un grande coro e quattro voci soliste (soprano, mezzosoprano, tenore e baritono). L'Ode alla gioia fa parte dell'ultimo movimento dell'ultima sinfonia del compositore. Il testo usato (modificandolo) da Beethoven � l'ode Alla gioia (An die Freude), scritta nel 1785 da Friedrich Schiller, tra i pi� importanti poeti e drammaturghi del Romanticismo. Le sue parole annunciano un futuro di fratellanza e felicit� universale nel nome dell'umanit� e la musica ne esprime la gioia e la speranza. 3. Un salto nel futuro - Gli ultimi cinque quartetti e la Grande fuga per archi (due violini, viola e violoncello) di Beethoven furono composti pochi anni prima della sua morte (avvenuta nel 1827) e sono un vertice assoluto nella storia della musica. Perch�? Per la loro espressivit� melodica, per la complessit� formale, per le molte novit� stilistiche e per l'influenza che hanno esercitato sulle generazioni successive. In queste composizioni (e in altri capolavori dell'ultimo periodo) Beethoven ha usato le forme della tradizione come nessuno aveva fatto prima, anticipando il linguaggio musicale di fine Ottocento-inizio Novecento. Tre di questi quartetti furono commissionati dal mecenate russo Nikolaj Galytsin e pagati 50 ducati l'uno (no, Beethoven non scriveva soltanto "per se stesso" come vuole un luogo comune). Sul manoscritto dell'ultimo quartetto, i due motivi musicali principali sono accompagnati da altrettante frasi di Beethoven: "M�ss es sein?" e "Es m�ss sein!" ("� cos�?" e "Deve essere cos�!"). Sul vero significato di queste parole c'� chi si interroga da quasi due secoli. 4. L'Elisa di Per Elisa si chiamava... Teresa - Per Elisa (F�r Elise, in tedesco), � una bagatella, ovvero una breve composizione per pianoforte. Non � nella top ten dei capolavori di Beethoven, ma la semplicit� del suo tema principale ne ha decretato il successo globale, facendola finire nelle musichette d'attesa di mezzo mondo. La dedica a Elisa, per�, si deve a un altro Ludwig: l'editore Ludwig Nohl, che pubblic� il brano quando il compositore era gi� morto da mezzo secolo. In origine, secondo la maggior parte dei biografi, il brano era dedicato a Therese Malfatti, giovane di una ricca famiglia di commercianti viennesi di origini toscane, di cui Beethoven si era invaghito: l'editore avrebbe interpretato male la scrittura di Beethoven. Il condizionale � d'obbligo, visto che il manoscritto originale � andato perduto (restano soltanto alcuni abbozzi). E c'� addirittura chi ritiene che lo stesso Nohl avrebbe scritto il brano, a partire dagli spunti beethoveniani. Se cos� fosse, Per Elisa sarebbe un falso. Come sottolinea per� lo studioso tedesco Klaus Kopitz, nella vita di Beethoven una "Elisa" ci fu: la cantante lirica Elisabeth R�ckel. 5. "Nove e non pi� nove": le sinfonie che cambiarono la musica - Mozart (1756-1791) scrisse una cinquantina di sinfonie in 35 anni, Haydn (1732-1809) ben 104 in 77 anni, Beethoven soltanto 9, in 57 anni. E dopo di lui, per oltre un secolo nessuno super� il fatidico numero nove. Tanto che si mormorava di una "maledizione della Nona": Gustav Mahler, nel 1911, mor� mentre stava lavorando alla sua decima sinfonia e solo il russo Dmitrij Sostakovic, nel 1953, superer� quel confine invisibile, arrivando poi a 15 sinfonie. Non fu certo la presunta "maledizione di Beethoven" a provocare un crollo nella produzione sinfonica. Fu invece la conseguenza della rivoluzione musicale beethoveniana, che trasform� un genere "di consumo" e spesso convenzionale come la sinfonia in banco di prova e di sperimentazione del linguaggio musicale e dell'orchestrazione (cio� dell'arte di mettere insieme i diversi strumenti di un'orchestra). Dopo di lui le sinfonie diventarono pi� complesse, spesso accompagnate da un coro o da solisti (come nella Nona). Insomma, un tipo di musica che richiedeva tempo e ricerca creativa continua: pi� arte e meno mestiere. 6. Perch� l'Eroica si chiama cos�? - L'Eroica (1802-1804) � la terza delle nove sinfonie di Beethoven e segn� un grosso passo avanti rispetto alle due precedenti. Anzi, fu una rivoluzione. Inizialmente Beethoven l'aveva dedicata a Napoleone Bonaparte. Beethoven, che era di idee libertarie, tra i venti e i trent'anni aveva accolto con favore, sia la Rivoluzione francese, sia l'ascesa di Bonaparte. Ma quando Napoleone si fece incoronare imperatore lui, deluso dalla piega monarchica che stava prendendo il bonapartismo, stracci� il frontespizio con la dedica, che cambi� in un pi� generico "Sinfonia grande Eroica composta per festeggiare il sovvenire di un grand'uomo". Nessuno fino ad allora aveva scritto una sinfonia (una composizione per orchestra in genere divisa in quattro movimenti) di quella lunghezza e cos� impegnativa: quasi un'ora di musica. Il piglio "eroico" si deve soprattutto al secondo movimento che, invece di essere un brano cantabile come previsto dalla tradizione, � una monumentale e drammatica Marcia funebre. Nessuno aveva mai ascoltato niente del genere fino a quel momento, e infatti dopo la prima esecuzione pubblica (1805) uscirono recensioni di questo tono: "Il nuovo lavoro di Beethoven possiede grandi e audaci idee, ma il tutto guadagnerebbe se l'autore si decidesse ad abbreviare la sinfonia". Insomma, una bella sforbiciata avrebbe reso pi� digeribile il capolavoro, evidentemente troppo avanti per l'epoca. 7. ... e la Pastorale? - La Sinfonia n. 6, eseguita per la prima volta nel 1808, fu intitolata Pastorale dallo stesso Beethoven. Spesso viene definita una composizione "a tema", nella quale l'orchestra sembra riprodurre le fasi di una giornata in campagna: la passeggiata, una festa contadina, un temporale, il ritorno del sereno. Ma, come scrive lo stesso Beethoven sulla partitura, quella musica � "Pi� espressione del sentimento che pittura dei suoni". Il sottotitolo � rivelatore: la grandezza della sua musica non va cercata nella capacit� di imitare o descrivere la natura (lo avevano gi� fatto tanti musicisti, fin dal periodo Barocco). Sta invece nella capacit� di esprimere sentimenti con la musica, usando in modo innovativo forme e strumenti. Anche in altre composizioni Beethoven sugger� la presenza di significati nascosti, come quando, secondo la tradizione, disse che il drammatico inizio della Quinta sinfonia (il celebre ta-ta-ta-taaaa) evocava il "destino che bussa alla porta". 8. La sordit� influenz� la sua musica? - Nel 1820, Beethoven era del tutto sordo: i capolavori dei suoi ultimi sette anni di vita nacquero nel silenzio assoluto (a parte tinniti e acufeni che lo tormentavano). La sordit� progressiva, iniziata verso il 1796, probabilmente a causa di un'infezione, peggior� l'umore di un giovane gi� provato dalla vita. Ma non rappresent� un vero handicap per la sua arte. Beethoven, infatti, possedeva il cosiddetto "orecchio assoluto", era cio� in grado di identificare esattamente l'altezza delle note e aveva un'intonazione perfetta. Quando scorreva una partitura o componeva al pianoforte, strumento per il quale scrisse 32 sonate che ne rivoluzionarono la tecnica, non aveva bisogno di "ascoltarsi" con le orecchie. Nel suo cervello, le note risuonavano all'esatta altezza e con il giusto timbro, grazie anche all'esperienza accumulata fin da ragazzo. 9. Che cos'� il Testamento di Heiligenstadt? - Il 6 ottobre 1802 Beethoven prese penna e calamaio e scrisse (ma non sped�) una lunga lettera ai suoi fratelli, Kaspar e Nikolaus, dalla sua casa di Heiligenstadt, un sobborgo di Vienna. Non � un "testamento", ma � stato chiamato cos� perch� si tratta di una lettera-confessione, ritrovata soltanto dopo la morte del musicista. Il "testamento" contiene una serie di amare riflessioni e svela la vera ragione del carattere umorale e ombroso di Beethoven: il progredire della sordit�, di cui nel 1802 pochi erano a conoscenza. Tutto questo lo allontan� dalla vita mondana, come spiega nella lettera: "O voi uomini che mi stimate o mi definite astioso, scontroso o addirittura misantropo, come mi fate torto! Voi non conoscete la causa segreta che mi fa apparire a voi cos�". E ancora: "Per colpa della malattia, pur essendo dotato di un temperamento ardente, vivace, e anzi sensibile alle attrattive della societ�, sono stato presto obbligato ad appartarmi, a trascorrere la mia vita in solitudine". Insomma, Beethoven pi� che un genio arcigno e intrattabile, era un uomo solo. 10. Chi era "l'Amata immortale"? - Dopo la morte di Beethoven, insieme al Testamento di Heiligenstadt furono trovate tre lettere del 1812, mai spedite e indirizzate a una misteriosa "Amata immortale", insieme a un ritratto di ragazza senza alcun nome. Chi era la donna del mistero? Secondo il biografo e produttore musicale statunitense Maynard Solomon, recentemente scomparso, le candidate sono Josephine von Brunswick e Antonia Brentano. Secondo altri, era Giulietta Guicciardi, nata in Galizia (allora Impero austriaco oggi Polonia) da una famiglia italiana, allieva pianista alla quale Beethoven dedic� la Sonata n. 14 e chiese di sposarlo. Ricevendo l'ennesimo rifiuto. S�, perch� con le sue proposte di matrimonio Ludwig collezion� soltanto dei "no grazie". Secondo Solomon, Beethoven "considerava i rapporti amorosi un ostacolo alla propria missione creativa". Ma se mor� single, non fu per scelta. "Se mi sbaglio mi corigerete". Joaqu�n Navarro-Valls racconta Giovanni Paolo II (di Bruno Bertucci) Joaqu�n Navarro-Valls per ventidue anni ha accompagnato, come direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Giovanni Paolo II nel suo lungo pontificato. La stretta collaborazione con un Papa di tale spessore umano, spirituale e culturale traspare dalle sue dichiarazioni. Il professore, che � anche medico e ha seguito la malattia del Santo Padre fin dagli inizi, ha concesso un'intervista dai contenuti semplici quanto profondi. La conversazione con il professor Navarro-Valls ha avuto luogo poco prima della sua morte, avvenuta a Roma il 5 luglio 2017, e noi qui la pubblichiamo, a 100 anni dalla nascita di Papa Wojtyla. - Lei � un uomo di fede nonch� di cultura: cosa l'ha spinta dopo la laurea in medicina ad esplorare il mondo della comunicazione? "La curiosit� intellettuale. Ed anche il desiderio di scoprire in che modo la comunicazione di massa - stampa, radio, TV, pubblicit� - influisce sugli stati d'animo delle persone e ne condiziona le abitudini". - Pu� parlarci del rapporto tra scienza e fede? "Avrei bisogno di molte pagine e di molto tempo. In sintesi potrei dire che la natura umana � razionale ma allo stesso tempo incline alla conoscenza della fede. Questa apertura trascendente dell'essere umano lo distingue dall'animale. Ragione e fede sono due modi di conoscere Dio: con la ragione l'uomo pu� farsi un'idea di Dio; attraverso la fede, lo conosce come Padre, come amico, come speranza". - Quanto possono influire sull'etica i punti cardine della religione cattolica? "I dieci comandamenti sono accessibili a qualsiasi persona - cristiana e non - perch� sono di diritto naturale. Rispettare la moglie di un altro; non rubare; non dire il falso, ecc.: ci� � accessibile alla ragione di tutti. Ma se sono consapevole che l'essere umano � stato creato a immagine e somiglianza di Dio, come mi dice la Genesi, allora s� che posso avere un parametro etico fondamentale che mi porti a rispettare sempre l'altro e a non ignorarne mai la dignit�". - In che modo la vicinanza con un Santo le ha cambiato la vita? "Domanda difficile... Nemmeno io lo saprei dire. I Santi hanno sempre questa qualit� cos� speciale: ti aiutano a migliorare quasi senza rendertene conto. E questo perch� i veri Santi sanno rendere simpatica la virt�". - Pu� raccontarci del primo incontro con Giovanni Paolo II? "Ricordo che avvenne in un contesto di grande naturalezza. Ero allora Presidente dell'Associazione della Stampa Estera in Italia e lui mi chiese qualche idea per migliorare la comunicazione della Santa Sede. Fu cos� che inizi� per me un impegno durato 22 anni. Non lo avrei mai immaginato". - Giovanni Paolo II � stato il Papa della comunicazione. Da giornalista, come definirebbe il modo in cui diffondeva la "Parola" alle moltitudini? "Con convinzione, con autorevolezza, ma anche con simpatia. Ascoltandolo la gente si rendeva conto di poter arrivare molto al di sopra dei propri limiti. Come le dicevo prima, sapeva rendere simpatica la virt�, anche quando la virt� sembrava - o era - ardua". - Papa Wojtyla ha dato una grande rilevanza al dialogo ecumenico e si � sempre battuto per l'unit� dei cristiani: fino a che punto oggi � stato recepito questo messaggio? "Sicuramente si sono fatti dei grandi passi avanti. Se si pensa, ad esempio, che per secoli non c'� stato un rapporto vero tra cattolici e ortodossi, si pu� capire la grandezza della nuova situazione. Identica considerazione si potrebbe fare ovviamente sui rapporti tra le confessioni protestanti e la Chiesa Cattolica". - Il Santo Padre ha sempre avuto la capacit� di riempire le piazze: per quale motivo il suo carisma coinvolgeva in special modo i giovani? "I giovani vedevano in lui quella voce che non trovavano nella societ� attuale, nella cultura odierna e, molto spesso, nemmeno nelle loro stesse famiglie. Una voce autorevole, esigente, paziente, chiara, che non li coccolava ma nemmeno li respingeva. Il Santo Padre infatti sapeva dare risposte alle loro molteplici domande e loro, abituati alla trivialit� del momento, sapevano riconoscere in lui la guida che nessun altro offriva loro". - In che modo descriverebbe la pastorale di Giovanni Paolo II? "Era la pastorale della passione per Dio e per la persona. Tutte e due le cose insieme". - Cosa significava la parola "verit�" per Giovanni Paolo II? "Una volta mi disse che forse l'espressione pi� bella del Vangelo era quella di S. Giovanni attribuita a Ges� quando disse: "La verit� vi far� liberi". La vita di un essere umano si pu� riassumere nella ricerca del vero. Le cose e le persone non sono come piacciono o sembrano a noi, n� come ci piacerebbe che fossero: le cose e le persone sono come sono davanti a Dio". - Qual � il mistero terreno di Giovanni Paolo II e quanto ha influito la sua opera nel mistero celeste? "Penso che nessuno possa rispondere a questa domanda. Dio assegna ad ogni essere umano una missione da compiere nella propria esistenza. Tutti abbiamo davanti a noi un progetto personale tracciato da Dio. Il Santo � colui che realizza stupendamente questo progetto. E questo lo sa solo Dio". - Il messaggio del Papa polacco "non abbiate paura" esprime un ottimismo radicale: in che modo tutto ci� � legato al culto mariano? "La persona che ha fiducia in Dio non conosce il pessimismo; la sua devozione alla Madonna ha anche a che vedere con questo. Tutto ci� � stato dimostrato proprio dalla vita di Papa Wojtyla". - C'� stato un incontro delicato (politico, istituzionale o di altro genere) in cui il Santo Padre ha dovuto far ricorso a tutte le sue virt� per non perdere le staffe? "Molto spesso faceva ricorso alla sua pazienza. Anzi, la sua pazienza era un'arma invincibile in molte occasioni. Per esempio, dal suo primo viaggio in Polonia nel 1979 alla caduta del muro di Berlino e ai successivi cambiamenti nell'Europa dell'Est, erano passati dieci anni. Ma alla fine la sua perseveranza e la sua pazienza hanno vinto". - Qual � stato, da medico, il suo primo pensiero quando si � reso conto del sopraggiungere della malattia? "Era ovvio che la fine della sua vita terrena si avvicinava. Era il momento della preghiera e del compimento di quella magnifica pastorale che vuole ridare senso al dolore e alla malattia in un'epoca che sembra ignorare - anche se non lo pu� fare del tutto - il senso del dolore, e perfino alla morte". - Lei gli � stato vicino fino all'ultimo momento: quanto Giovanni Paolo II � stato aiutato dal suo intenso rapporto con la preghiera? "Finch� rimase cosciente, pregava sempre con straordinaria serenit�. E chiedeva che lo aiutassero a fermarsi in preghiera leggendogli a voce alta la Via Crucis". - Ho vissuto una grande emozione nell''82 al termine del discorso nel Palazzo della Ragione di Padova. Nel tentativo di raggiungere il Santo Padre stavo creando scompiglio nel servizio d'ordine, ma quando ho detto "Voglio vederlo da vicino, perch� non ci vedo" e ho mostrato il bastone bianco il Papa � tornato indietro e mi ha abbracciato. Ricorda episodi simili con protagonista un handicappato? "Molte volte nel corso degli anni. Ricordo quando, in Francia, visit� un'istituzione per persone con deficit di diverso grado. Alcuni erano ciechi, altri sordomuti. Il Santo Padre, dopo averli salutati uno ad uno, comunic� a tutti loro che, nel celebrare la Messa subito dopo, li avrebbe portati con s� sull'altare dove si compiva il sacramento dell'Eucaristia". - Ha un episodio che le � rimasto maggiormente impresso tra tutti quelli che ha vissuto con questo grande Pontefice? "Mi chiede una cosa quasi impossibile. Non sono capace di stralciare un solo episodio di questi anni, dalla totalit� di immagini che sono state vissute. - Assieme a Giovanni Paolo II ha incontrato molti grandi artisti: chi l'ha maggiormente impressionata dal punto di vista umano? "Forse lo scrittore Solgenitsyn. Ma anche il grande direttore von Karajan". - Un'ultima domanda da musicologo: qual era il rapporto del Santo Padre con la musica? "Aveva una grande predisposizione musicale, tanto verso le grandi sinfonie e concerti quanto per la musica popolare. Se poteva, soprattutto quando era in montagna quei pochi giorni all'anno, cantava". Un portavoce indimenticabile Joaqu�n Navarro-Valls � nato a Cartagena (Spagna), il 16 novembre 1936. Ha studiato alla "Deutsche Schule" (Scuola Tedesca) nella sua citt� natale, quindi ha frequentato la facolt� di medicina presso l'universit� di Granada e di Barcellona, e di giornalismo alla facolt� di scienze della comunicazione all'universit� di Navarra a Pamplona. Ha ottenuto una borsa di studio dall'universit� di Harvard. Si � laureato "summa cum laude" in medicina e chirurgia nel 1961, continuando gli studi per un dottorato in Psichiatria. Nello stesso periodo ha insegnato come assistente alla facolt� di medicina. Nel 1968, si � laureato in giornalismo e nel 1980 ha ottenuto la laurea in scienze della comunicazione. � stato il primo direttore della Sala Stampa della Santa Sede dal 1984 al 2006, diventando una delle personalit� pi� note del Vaticano durante gli anni di papa Giovanni Paolo II. Ha svolto un ruolo fondamentale negli ultimi sei mesi del pontificato, quando la sua competenza di medico si � rivelata importante per comunicare alla stampa le condizioni di salute del papa. Con l'elezione del cardinale Joseph Ratzinger, divenuto papa Benedetto XVI, e con l'approvazione del nuovo pontefice, Navarro Valls ha continuato il suo lavoro per un altro anno, dopo il quale ha chiesto a Benedetto XVI di essere sollevato dal suo incarico. � morto all'et� di 80 anni il 5 luglio 2017 a Roma, a causa di un tumore al pancreas, ed � stato sepolto nel cimitero Flaminio. Alle origini della Wiener Schnitzel (di Manuela Lombardi Borgia, legnocurvatodesign.it) - Cotoletta alla milanese o Wiener Schniztel? Chi ha copiato chi? Milano o Vienna? Disputa accesa e in corso. Ma fra i due litiganti, forse gode... la Francia. - Una seria faccenda Uno dei piatti tipici della cucina austriaca � la Wiener Schnitzel, passaggio obbligato per chi � a Vienna e non � vegetariano o vegano. Una fetta di carne di vitello, impanata con uova e pane grattugiato, passata prima nella farina, e fritta nel burro o nello strutto. Rigorosamente tanto grande da uscire dal piatto. Ne esiste poi una versione con la carne di maiale che ha un altro nome: Wiener Schnitzel vom Schwein per la cucina austriaca e Schnitzel Wiener Art per la cucina bavarese. Questo recita la ricetta originaria, almeno la versione pi� accreditata. Quando ho iniziato a documentarmi sulle origini del piatto, ho trovato molte informazioni, versioni differenti e discussioni accese. Del resto, quando in Italia si parla di cibo, la faccenda si fa seria. Alcuni passaggi sono per� fondamentali. Vediamoli insieme e proviamo a svelare l'arcano. La leggenda della paternit� mancata Tutto ha inizio da una spedizione militare del maresciallo Radetsky nella capitale del lombardo-veneto, in Italia tra il 1831 e il 1857. Rientrato nella capitale austriaca, racconta di un piatto delizioso da lui gustato a Milano, la nostra cotoletta impanata e fritta. Ne tesse cos� tanto le lodi da essere convocato a palazzo imperiale per dettare al capo dei cuochi la precisa ricetta. Questo racconta il giornalista Felice C�nsolo, milanese di adozione e purista della cucina meneghina, nel suo libro "La cucina lombarda" del 1963. La sua tesi si basa su un documento trovato nell'archivio di stato di Vienna, redatto dal conte Attems, aiutante di campo di Francesco Giuseppe. Racconta di un dettagliato rapporto di viaggio del maresciallo Radetzky in cui cita anche la nostra cotoletta. Questo toglie ogni dubbio su un'eventuale paternit� al contrario. Persino il giornale tedesco die Zeit il 31 maggio 1963 scrive che: "Mentre Radetzky esercitava il suo comando nell'Italia settentrionale, inform� Vienna che a Milano si impanavano le cotolette di vitello in modo assai appetitoso. L'Italia and� poi perduta, ma ai viennesi fu regalata la Schnitzel, una diversa specie di costoletta milanese". Verit� disattesa Come racconta benissimo Alessandro Marzo Magno sul Sole24Ore, alcuni punti non tornano. In primo luogo, Francesco Giuseppe non � ricordato per il suo essere gourmet, tant'� che sembra fosse solito cenare solo a Tafelspiz, un bollito di manzo molto speziato. Inoltre, la panatura e conseguente frittura degli alimenti � gi� presente nei testi di cucina austriaca sin dal 1719, sia per verdure che per cervella di vitello. Per cui ben prima che Radetzky venisse a Milano. Ma, soprattutto, i documenti pi� volte citati dal C�nsolo non sono mai esistiti. Nel 2001, uno storico, Richard Zahnhausen (intrigato anche lui dalla cotoletta), scopre infatti che questo episodio non � citato in nessuno degli scritti che si occupano di Radetzky. In aggiunta, in nessun lavoro biografico sulla monarchia asburgica compare un conte Attems in quel periodo e in quella posizione. Uguale tesi sostiene anche Heinz Dieter Pohl, linguista, nel 2007. Insomma, sembra essere tutta una bellissima creazione di fantasia. Ma allora cosa lega la cotoletta alla milanese e la nostra Wiener Schnitzel? Una donna e una comune paternit�. Galeotta fu una donna Maria Luigia di Parma, duchessa, nata a Vienna, rampolla degli Asburgo-Lorena, diventa imperatrice dei francesi in quanto moglie di Napoleone Bonaparte. Il congresso di Vienna, nel 1814, la mette sul trono del ducato di Parma, Piacenza e Guastalla, dove regna fino al 1847. La duchessa porta con s� alcuni cuochi dalla Francia e mantiene stretti i legami con Vienna. Lo storico della gastronomia Massimo Alberini parla di una ricetta del 1735 e soprattutto del trattato "La science du maitre d'hotel" del 1749 e di cotolette impanate e fritte che arrivano a Milano come "cotolette rivoluzione francese". Il nome deriva in effetti dal francese c�tolette, abbreviato in c�te cio� costoletta, e si riferisce ad una delle prime sei costole della lombata di vitello, alte circa 1 cm e mezzo. Il taglio di carne che � la base della vera Milano. Potrebbe quindi esser stata lei, la Duchessa, a far giungere in Austria la "cotoletta rivoluzione francese" appunto impanata e fritta, con una differenza sostanziale: la marinatura della carne in burro fuso, sale, pepe, chiodi di garofano ed erbe aromatiche, prima del passaggio in farina, uovo e pangrattato. Tempi giusti Anche qui non c'� alcuna prova-documento, ma i tempi coincidono. Non solo. Il primo riferimento al termine cotoletta, dal dialetto milanese "cutel�ta", � nel dizionario Dialetto milanese-lingua italiana del 1814, scritto da Francesco Cherubini e pubblicato dalla famosa Regia Stamperia Imperiale di Milano. Nel dizionario il piatto viene definito cotoletta, ma vi � un ovvio riferimento alla costoletta, perch� il nome ha una chiara origine francese. La prima volta che si parla di Wiener Schnitzel invece � in un libro di ricette praghesi del 1831, sempre regnante Maria Luigia. Quindi un viaggio che dalla Francia passa per Parma, arriva a Milano e prosegue fino a Vienna. � cos� dunque? Forse ancora no. Alcuni riferimenti alla cotoletta alla milanese sembrano provenire da epoche lontanissime in quanto alcuni storici la collegano con il "lombos cum panitio" scritto da Pietro Verri nel 1134. Si racconta che nel giorno della festa di San Satiro, un abate offre ai canonici di S. Ambrogio un pasto di nove portate dove nella lista delle vivande � presente questo piatto. E sul metodo dell'impanatura il Maestro Martino da Como nel suo manoscritto del 1492, detta precise indicazioni. Insomma dove sta la verit�? Una storia senza finale Come a volte accade, quando i documenti storici non sostengono in maniera inequivocabile una tesi, rimangono mille verit� possibili. Sicuramente la tecnica della frittura rende gustoso qualsiasi cibo ed � da sempre considerata leccornia. Non � un caso che nei giorni che precedono la Quaresima, nei giorni del Carnevale, tutti i dolci nelle mille variet� sparse per l'Italia sono fritti. Rimane il punto fermo di un piatto che � un'icona di Vienna ed un appuntamento da non perdere in qualche rustico "Wiener Beisl" di quartiere, abbinata a insalata di patate e marmellata di mirtilli rossi. E se � vero che le storie incompiute sono destinate a durare per sempre, gustarsi una buona cotoletta � certo l'unica conclusione possibile.