Luglio-Settembre 2018 n. 3 Anno 28 Tiflologia per l'integrazione Trimestrale edito dalla Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus con il contributo dell'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti e della Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi Stampato in Braille a cura della Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus via G. Ferrari, 5/A 20900 Monza Rivista realizzata anche grazie al contributo annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri per un importo pari ad euro 23.084,48 e del MiBACT per un importo pari ad euro 4.522.099. Gli articoli firmati esprimono l'opinione dell'autore, che non coincide necessariamente con la linea della redazione. Direttore Responsabile: Pietro Piscitelli Comitato di Redazione: Giancarlo Abba, Vincenzo Bizzi, Pietro Piscitelli, Antonio Quatraro Segreteria di Redazione: Daniela Apicerni, Francesco Giacanelli Direzione e Redazione: Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus Centro di Documentazione Tiflologica Via della Fontanella di Borghese, 23 - 00186 Roma Tel. 06/68.80.92.10 06/68.21.98.20 Fax: 06/68.13.62.27 E-mail: cdtinfo@bibciechi.it Amministrazione: Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus Via G. Ferrari, 5/A 20900 Monza (MB) Tel. 039/28.32.71 Impaginazione, grafica e stampa: Stilgrafica s.r.l. Via Ignazio Pettinengo 31/33 00159 Roma - Tel. 06/43.58.82.00 Reg. Trib. Roma n. 00667/90 del 14-11-1990 ISSN: 1825-1374 Abbonamento � 15,00 da versare sul c.c.p. n. 853200 intestato a: Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus Via G. Ferrari, 5/A 20900 Monza (MB) (indicando la causale del versamento) Indice Editoriale Comincia un nuovo anno scolastico e parte una nuova sfida per la Biblioteca, di Pietro Piscitelli (pagg. 130-131) Tecnologia Tecnologia e tifloinformatica: la tecnologia assistiva come supporto alla didattica inclusiva, di Franco Lisi (pagg. 132-150) Psicologia Esperienze e ricerche di psicologia nelle scuole per ciechi, di Alfredo Stopper (pagg. 151-166) Classici della tiflologia Ricordo di Enrico Ceppi tiflologo, di Silvestro Banchetti (pagg. 167-184) Segnalazioni bibliografiche (pag. 186) Le pubblicazioni della Biblioteca Italiana per i Ciechi (pagg. 187-192) EDITORIALE Comincia un nuovo anno scolastico e parte una nuova sfida per la Biblioteca, di Pietro Piscitelli (pagg. 130-131) In questi giorni le scuole riaprono i battenti e qualche milione di ragazzi si riverser� nelle aule. � anche cominciata la fila presso le librerie per l'acquisto dei testi scolastici. Per i non vedenti la procedura � ovviamente diversa, niente cartoleria, ma la rincorsa ai pochissimi centri specializzati che in Italia sono in grado di produrre libri di testo nelle versioni accessibili per i minorati della vista. Tra questi la Biblioteca "Regina Margherita" � certamente di gran lunga il pi� importante per storia, vocazione, missione ad essa affidata dallo Stato. Essere un Ente privato a controllo pubblico impone alla Biblioteca il rispetto delle regole e delle leggi, in particolare, quella sul diritto d'autore che impone a chi vuole produrre una diversa versione del testo, la richiesta di specifica autorizzazione dell'Editore. Le stime valutate sui dati degli anni scorsi dicono che oltre il 70% degli studenti disabili visivi si rivolgono alla Biblioteca per ottenere i libri di testo e questa distribuisce ogni anno oltre 13.000 titoli di cui almeno 4.000 sono di nuova produzione. Da qui la presenza di un catalogo di testi gi� disponibili nelle versioni in sistema Braille, a caratteri ingranditi per gli ipovedenti o in versione digitale che possono ridurre notevolmente i costi a carico della collettivit�. Per questo la struttura organizzativa della Biblioteca si � mossa per tempo e gi� da febbraio sta raccogliendo, vagliando ed avviando richieste di fornitura che ci provengono dalle Scuole, dalle famiglie e dalle Istituzioni locali. Al momento la Biblioteca opera in regime di convenzione con Regioni, Comuni ed altri Enti Pubblici, risponde a richieste di fornitura da parte di chiunque. I principali servizi oggi attivi sono: - la produzione di testi di studio su supporto cartaceo in sistema Braille (servizio per cui � previsto un concorso spese); - la produzione di testi di studio su supporto cartaceo a caratteri ingranditi per ipovedenti (servizio personalizzato realizzato su misura delle residue capacit� visive dell'alunno). (Servizio per cui � previsto un concorso spese); - la produzione di testi di studio su supporto digitale da utilizzare con ausili informatici come la barra Braille, il sintetizzatore vocale e/o il software ingrandente (servizio gratuito realizzato in collaborazione con gli Editori). Ma qual � la vera sfida che come ogni anno la Biblioteca si appresta ad affrontare? Certamente la qualit� delle trascrizioni e la tempestivit� nelle consegne. Sul versante della qualit� la Biblioteca ha realizzato uno specifico "manuale di trascrizione" che fissa sia le regole per una buona trascrizione e per le adeguate modifiche tiflologiche del testo, che quelle per i livelli di qualit� e per i collaudi resi obbligatori da quest'anno. Ma non basta. Insieme all'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti la Biblioteca ha sottoscritto una specifica convenzione con il Ministero dell'Istruzione, dell'Universit� e della Ricerca finalizzata anche al miglioramento della qualit� dei testi ad uso dei non vedenti e degli ipovedenti. Per assicurare forniture pi� tempestive, la Biblioteca ha snellito le proprie procedure interne e ha collaborato con i Centri di Trascrizione per la formazione di nuovi operatori. Inoltre una recente decisione del CdA ha stabilito che per gli alunni delle prime due classi della scuola primaria che chiedono testi su supporto cartaceo, gli stessi vengano forniti a titolo gratuito. Si tratta di oltre 120 studenti sul territorio nazionale che impegneranno la Biblioteca nella produzione di oltre 1.000 libri. � una misura finanziariamente impegnativa che per� riduce fortemente i tempi di attesa perch� evita l'intervento dell'Ente Locale e quindi abolisce la necessit� dei preventivi e delle gare. Ma all'ordinario, spesso, dobbiamo aggiungere lo "straordinario". � di questi giorni la notizia circolata su alcuni organi di informazione di un giovane studente padovano a cui nessuno poteva garantire la fornitura del libro. Su segnalazione della Presidenza Nazionale dell'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti la Biblioteca ha assunto l'onere della fornitura e provveduto a produrre i testi necessari. Il giovane studente ricever� i libri necessari il giorno prima dell'inizio delle lezioni. Quanto fatto baster� per vincere la sfida? Certamente no, ma quanto messo in campo rappresenta un ulteriore passo verso quell'obiettivo che vuole i libri per gli studenti disabili visivi pronti con il suono della prima campanella. Il direttore responsabile (prof. Pietro Piscitelli) TECNOLOGIA Tecnologia e tifloinformatica: la tecnologia assistiva come supporto alla didattica inclusiva, di Franco Lisi (pagg. 132-150) - I rapporti tra didattica inclusiva e tecnologia assistiva hanno alcune peculiarit� che devono essere valutate per migliorare l'integrazione dello studente con disabilit� visiva. - Prima parte Il titolo orienta in modo chiaro il focus di questo pezzo: la tecnologia sta alla didattica come la tifloinformatica sta alla didattica inclusiva; questa � la proporzione che cercher� di indagare nel ragionamento che segue. Partiamo dal primo estremo: la tecnologia. Non ci siamo stancati di ripetere che questa societ� dell'informazione, della "tecno-lo-crazia", porta con s� grandi, grandissime contraddizioni. Per buona sorte esistono sempre gli opposti: come il freddo trova il suo contrario nel caldo, l'ingiusto � bilanciato dal giusto, al disonesto corrisponde l'onesto, cos�, tecnologicamente parlando, gli effetti dell'ecumenico diluvio di bit mescolano ed alternano aspetti di diverso segno: eccesso, esasperazione, frenesia, volatilit�, spreco, impigrimento, dipendenza, discriminazione, esclusione; ancora: abbondanza, precisione, efficacia, opportunit�, qualit�, utilit�, condivisione, inclusione. Parole, e-mail, documenti, animazioni, comandi, popolano display di ogni tipo: schermi di computer, di palmari, di smartphone, di tablet, di barre Braille, invadono dalla mattina alla sera le nostre giornate illudendoci di tessere nuove relazioni umane, mettendo spesso di fatto in discussione quelle poche che si danno per scontate di avere. Il mondo della scuola, naturalmente, non � immune da questa pervasivit� e ne rimane a sua volta largamente contaminato, tant'� che i pi� disparati dispositivi tecnologici costituiscono ormai l'estensione dei banchi di classe. � solo di una ventina d'anni fa la dichiarazione di Bill Gates che nel 1994 sentenziava: "Verr� un giorno, e non � molto lontano, in cui potremo concludere affari, studiare, conoscere il mondo e le sue culture, assistere a importanti spettacoli, stringere amicizie, visitare i negozi del quartiere e mostrare fotografie a parenti lontani, tutto senza muoverci dalla scrivania o dalla poltrona"; e proseguiva: "lasciando l'ufficio o l'aula scolastica, non ci staccheremo dalla rete in quanto il computer sar� pi� di un oggetto da portare con noi o di uno strumento da acquistare: sar� il nostro passaporto per una nuova vita mediatica". Anche al cospetto di questa moltitudine di condizionamenti, si misura quindi inevitabilmente l'integrazione sociale e l'inclusione scolastica dei ciechi. S�, persino il modo di fare scuola fa slalom entro questo percorso obbligato, sbandando un po' qua e un po' l�, tenendo talvolta a stento la corsia; perch� non � possibile neppure in tale ambito prescindere da ci� che � tecnologico: ogni interazione � basata sulla variet� delle fonti, sulla trasmissione di immagini/video mediante l'utilizzo di proiettori, enormi schermi ad alta risoluzione, sofisticate lavagne elettroniche; ne consegue che la comunicazione verbale e paraverbale, ormai relegate rispettivamente al 7% e al 38%, perdono di valore, diminuiscono di efficacia e di incisivit�. La trasmissione degli insegnamenti avviene in prevalenza tramite elementi di comunicazione visivi che oggi costituiscono il restante 55% nel panorama delle relazioni. Ora, andiamo sull'altro versante della nostra proporzione, l'altro estremo, dove il termine didattica sta a significare, nella sua accezione pi� stringata, basica ed elementare, la modalit� di insegnamento, come faccio scuola, a quale metodo ricorro, di quale strumentazione-mezzo mi servo per insegnare. Qui, la didattica, l'insegnamento appunto, si appoggia sulla strumentazione tecnologica moderna per guadagnare e onorare il proprio scopo che sempre pi�, a sua volta, privilegia il canale visivo: slide, piattaforme di e-learning e documenti multimediali, peraltro, in gran parte non accessibili. Fin qui, non incontriamo particolari problemi perch� la tecnologia � un mezzo di comunicazione generalmente di facile acquisizione e di agevole apprendimento da parte del ragazzo che vede; questa, implicando semmai strategie e metodologie differenti nel momento dell'erogazione degli insegnamenti, affida agli operatori scolastici la responsabilit� di ripensare i contenuti e di rimodulare i programmi. Questioncelle, comunque, che fanno leva sulla preparazione, sull'aggiornamento professionale, sulla passione, sul dovere del singolo docente. A tal proposito, gli esperti di "cose di scuola" ci dicono che "non � pi� tempo di lezioni frontali, che il maestro-professore deve alzare il "sedere" dalla cattedra, rimboccarsi le maniche, andare in mezzo alla classe. Il maestro-professore", continuano, "deve avviare un rapporto-relazione a contatto fisico con i ragazzi, deve stimolare attivit� ed esercitazioni pratiche all'interno dei gruppetti di lavoro precostituiti". La riduzione delle distanze tra docente e classe e fra i compagni, ancorch� favorisca il coinvolgimento nelle attivit� di gruppo, la socializzazione, l'intrecciarsi di aumentate relazioni nella collettivit� degli studenti, maschera il rischio reale che il ragazzo con disabilit� continui a rimanere isolato in quanto dotato di strumentazione specifica, esclusiva e, possibilmente, non escludente. Alcuni esempi del passato ci aiutino ad allontanare lo spettro della "solitudine tecnologica". Il picchiettio monotono, costante, distraente della macchina per scrivere induceva, attorno agli anni '80, il docente di turno a smorzare l'assordante frastuono retrocedendo l'allievo cieco, dapprima dalle file davanti fino all'ultima, per poi girargli il banco verso il muro in fondo, per terminare infine la corsa fuori dall'aula, almeno per il tempo dei compiti in classe. Sempre in quegli anni � memoria uditiva di molti il ronzio dell'optacon che costituiva un vero e proprio tormentone per i compagni pi� indifferenti e per i docenti pi� insofferenti. Che cosa non si escogitava nei periodi successivi per "soffocare a morte" lo tsunami delle onde sonore delle stampanti Braille di cui erano dotate le nostre ingombranti postazioni informatiche! � indelebile l'umiliazione di chi � stato privato del monitor perch� "non ti serve, tanto non ci vedi" oppure di chi, in assenza dello screen reader per "indisponibilit� di fondi", ha dovuto cimentarsi sulla tastiera del computer scrivendo al buio alla stregua di come si faceva con la macchina per scrivere tipo Olivetti di molti anni prima. Versioni di sistemi operativi e applicativi obsoleti o non aggiornati, installazioni e configurazioni di software e di ausili di tifloinformatica approssimativi e non personalizzati, la voce roca del compagno sintetizzatore, sono altri pochi esempi di come la presenza di un set di strumentazione tecnologica non gestita, subita o presa a carico con scarsa consapevolezza possano rappresentare e dar luogo ad una sorta di involuzione nel processo inclusivo. Dobbiamo evitare cio� di erigere attorno al ragazzo un muro, una barriera, che stronchi di fatto sul nascere ogni potenziale modalit� di relazione, disincentivando persino quella dialogica, unit� elementare e fondante della pi� autentica forma di integrazione sociale. L'inclusione scolastica dei disabili non pu�, in ogni caso, prescindere dall'apparato tecnologico, indispensabile per il compimento pieno della sua realizzazione e quando allora si accosta il termine inclusione alle parole didattica e tecnologia � opportuno fare una brusca frenata per proporre qualche ulteriore spunto di riflessione. Molte delle persone ipovedenti e non vedenti, 285 milioni nel mondo di cui 19 milioni sotto i 15 anni, non hanno ancora ricevuto soluzioni efficaci dai dispositivi tecnologici sviluppati finora. Mentre gli educatori sanno generalmente individuare le tecniche pi� congeniali per far comprendere al gruppo-classe ci� che stanno insegnando, le cose cambiano quando di contro introduciamo ausili specifici che aiutano a declinare e a veicolare gli insegnamenti rispondenti alle necessit� dei singoli. Per l'insegnamento della scrittura ad esempio, se per l'uso della penna si applicano strategie didattiche ormai consolidate, per quanto concerne l'insegnamento della scrittura mediante il codice Braille occorre avvalersi del necessario apparato strumentale e di una didattica specifica che deve essere in possesso del formatore perch� questi trasferisca le tecnicalit� in modo efficace e in tempi adeguati; parimenti, lo stesso dicasi relativamente al differente rapporto con la didattica che si evidenzia nell'introduzione della tecnologia: una cosa � l'insegnamento dell'uso del computer per tutti gli allievi, diverso � l'insegnamento del computer dotato di tecnologia assistiva. Se operazioni quali la condivisione del materiale, l'autonomia nella manipolazione di documenti, nella produzione di file, nella navigazione in Internet, risultano essere attivit� di facile svolgimento per l'allievo che vede, per i nostri ragazzi, come per il Braille, occorre sviluppare i prerequisiti e le giuste condizioni per poi impostare un percorso d'insegnamento della materia che abbia ragionevole possibilit� di soddisfazione per il docente e per il discente. Prima di essere mezzo (uno strumento, un canale attraverso cui far transitare i contenuti), l'uso della tecnologia per chi non vede � un fine, un obiettivo da perseguire con determinazione, impegno e avvedutezza; quindi, valutarla, accertarne il grado di accessibilit�, analizzare il contesto, concordare e scegliere le soluzioni tecnologiche pi� idonee alle caratteristiche del ragazzo, adeguarla al fine delle esigenze scolastiche, acquisirla (comprarla), individuare tempi e luoghi per la proposta didattica, installarla, configurarla, insegnarla, mantenerla aggiornata: questo non � il gioco dell'oca (butto i dadi, c'� un finanziamento e qualcosa succeder�), � tutto molto pi� serio, giochiamo sulla pelle dei nostri ragazzi. Ci� richiede non solo energie, sforzi, passione, competenze specifiche negli operatori, ma anche una compartecipazione consapevole, proattivit� da parte dell'allievo nell'intero processo; parliamo di insegnare una materia aggiuntiva: prima di essere tramite, un ponte, la tecnologia assistiva � uno scopo, un obiettivo da pianificare e da conseguire. Indubbiamente, l'ultimo quarantennio � stato caratterizzato da una sete di innovazione tecnologica che ha interessato anche il mondo della disabilit�; nel nostro ragionamento, ogni cieco � stato, suo malgrado, bersagliato da corsi lampo di alfabetizzazione informatica e in qualche modo destinatario di una postazione tecnologicamente attrezzata; non importava perch�, non importava con quale tecnologia o con quale applicativo e con quali risultati: erogare formazione, questo l'imperativo! Ci� che � stato ed � oggi ancora di forte criticit�, e al riguardo non sono stati fatti significativi passi avanti, � l'assenza pressoch� totale della "tiflo-info-didattica": per quale scopo insegnare? cosa insegnare? con quale ausilio insegnare? come insegnare? In poche parole, dobbiamo scongiurare un altro rischio, peraltro verificatosi troppo spesso, quello cio� di istruire sommariamente l'allievo con disabilit� visiva senza renderlo in realt� autonomo nell'uso quotidiano della strumentazione informatica, inducendolo a rinunciare al suo utilizzo. Occorre evitare di trasformare il computer in un'automobile impossibile da guidare! Sebbene la tifloinformatica, terzo termine preso in esame nella proporzione, vanti una lunga esperienza ed una corposa letteratura, chi ha vissuto l'evoluzione della tecnologia assistiva di questi anni, in qualit� di istruttore o di utente, sa che nei corsi di informatica vengono proposte solo alcune delle numerose combinazioni H/W e S/W dell'intero ricco panorama disponibile. Le trasformazioni sociali conseguenti alla pervasivit� tecnologica richiedono competenze digitali per lo pi� solo di prima alfabetizzazione per un coinvolgimento attivo nel processo di cambiamento in atto. Prova ne � che l'accelerazione della diffusione della tecnologia in ogni ambito della nostra vita (nelle istituzioni scolastiche, nel mondo del lavoro, nei servizi pubblici) � stata favorita dall'abbattimento dei costi e dalla semplificazione dell'interfaccia utente. Due elementi che, per un verso, hanno permesso indistintamente ad ogni cittadino di possedere un dispositivo tecnologico, dall'altro, hanno impedito di fatto ad una significativa fascia di potenziali utenti di fruirne direttamente e in modo proficuo. Infatti, disegnare interfacce amichevoli di facile comprensione e di immediato dominio significa, quasi sempre, esaltare il senso della vista; significa, quasi sempre, progettare aprioristicamente solo per una determinata categoria di utilizzatori; significa, quasi sempre, creare a posteriori il fenomeno del digital divide. Poter acquistare con relativa facilit� qualsiasi oggetto a valenza tecnologica non equivale automaticamente ad averne piena padronanza. Progettare strumentazione accessibile comporta, fin dal momento dell'ideazione, porre attenzione ed analisi particolari relativamente alle interazioni tra i fruitori e il device, alle modalit� di attivazione e di controllo di ciascuna funzione, al livello di usabilit� dei dispositivi in ciascun loro aspetto. Pi� persone saranno messe nelle condizioni di "manipolare" e trarre un qualche beneficio dalle prestazioni del prodotto, maggiore sar� la sua divulgazione nel mercato globale e minore sar� il gap (o divario) tecnologico, vale a dire la distanza qualitativa e anche quantitativa di sviluppo tecnologico esistente fra paesi, fra categorie di persone, fra settori di attivit� diversi. Accatastare tuttavia materiale tifloinformatico sul banco di scuola in mancanza di un progetto compiuto pu� risultare motivo di ansia, frustrazione e suscitare senso di inadeguatezza nell'allievo disabile. A fin di bene e in buona fede, si rincorrono tutti i contributi disponibili per accappararsi questo o quell'ausilio senza che a monte sia stata effettuata una qualsiasi valutazione qualitativa circostanziata. La scelta degli ausili di tecnologia assistiva deve essere ricompresa nell'ambito di un'analisi complessiva che tenga conto della coerenza e dell'usabilit� della strumentazione individuata in rapporto al grado di accessibilit� del sistema tecnologico integrato e al progetto formativo da realizzare. Un display, un OCR, un software per la matematica nasconderanno un vero e proprio spreco di danari se inseriti all'interno di una infrastruttura telematica sviluppata attorno a videoproiettori, filmati, slide e apparecchiature non accessibili! L'inutilit� sar� certamente conseguente in assenza di competenze tiflotecniche e tiflotecnologiche capaci di integrare e adattare tecnologie differenti, ma anche di massimizzare e veicolare flussi di informazioni per lo scopo prefissato. I risultati attesi, inerenti ad un'effettiva inclusione e agli obiettivi formativi predeterminati, saranno scarsi, deludenti, erroneamente fatti ricadere sull'incolpevole studente con disabilit�. Quanto pi� vi sar� convergenza fra i molteplici adiacenti fronti interessati e coinvolti, tanto pi� si raggiunger� il maggiore grado di accessibilit�: a) l'oggettivit� delle regole dettate dalla normativa vigente dovr� essere conosciuta, condivisa, fatta propria e applicata dai progettisti e dagli sviluppatori di tecnologia, dai formatori e da tutti coloro che, a vario titolo, si occupano di comunicazione e sono responsabili della distribuzione dell'informazione; b) le competenze tiflotecniche, tifloinformatiche e tiflologiche dovranno ritrovare nella preparazione dell'esperto docente di informatica la capacit� di leggere, interpretare e codificare l'ineludibile soggettivit� che sussiste nel rapporto tra fruitore e usabilit� dello specifico strumento tecnologico; c) la promozione, la pubblicit�, la scheda tecnica di assemblaggio della componentistica e il manuale utente di un qualsiasi dispositivo, dovranno muovere da valutazioni e da validazioni fondate su metodi scientifici di rilevazione di accessibilit� e usabilit�. Spero, mi auguro, sono convinto che in particolare per quest'ultimo aspetto la nostra Associazione e le strutture collegate sapranno sostenere sui versanti tecnico e politico un percorso che condurr� alla formalizzazione di un sistema di certificazione normato e autorevole. La stretta collaborazione con le autorit� competenti, con i produttori, i fornitori e gli stakeholder caratterizzer� una prospettiva che nel prossimo futuro consentir� di varcare nuove frontiere ed esplorare sorprendenti scenari nelle interazioni uomo-macchina-disabilit�. Per tracciare ulteriormente il perimetro entro il quale si articola il nostro ragionamento attorno all'accessibilit�, alla tifloinformatica, alla tiflo-info-didattica e alla didattica inclusiva, occorre prendere in considerazione altre determinanti variabili. In effetti, la definizione dei programmi dei percorsi formativi di informatica di una qualsivoglia tipologia rivolti ai ciechi e agli ipovedenti, volendo naturalmente generalizzare, � influenzata da interferenze esterne non trascurabili. Vediamo schematicamente alcuni elementi utili per la progettazione di un corso. 1) Scopo della proposta formativa: formazione di base; formazione avanzata; formazione mirata a specifici argomenti (ausili hardware o software); formazione specificatamente funzionale ad apprendimenti di altre discipline. 2) Destinatari della proposta formativa: corso individuale; corso di gruppo; allievi in et� scolare, lavorativa, adulti (tempo libero). 3) Disponibilit� di risorse economiche: assenza di finanziamento; finanziamento pubblico; finanziamento privato; corso finanziato dagli iscritti. 4) Disponibilit� di risorse umane: qualifica/esperienza del docente; presenza del co-docente/tutor; docente vedente, ipovedente o cieco. 5) Scelta degli argomenti: argomenti programmati dagli organizzatori della proposta formativa, suggeriti dall'allievo/i, dettati dalle circostanze (durata della formazione, disponibilit� del materiale necessario, prerequisiti riscontrati). 6) Scelta della tecnologia: tipologia aula; caratteristiche allievi (ipovedenti, ciechi assoluti, gruppo misto); obiettivi formativi. 7) Durata del percorso formativo: disponibilit� del personale, degli allievi, dello spazio-aula; tipologia e complessit� degli argomenti in programma; budget economico disponibile; tempistica dettata dalle regole del bando pubblico. 8) Verifica dei prerequisiti d'ingresso: allievo ipovedente, cieco; possesso del codice Braille; conoscenza degli elementi di base degli argomenti del corso. 9) Selezione dei candidati: verifica dei requisiti per la partecipazione al corso. 10) Fine secondario: socializzazione; sensibilizzazione. Se l'esperienza maturata nel campo tifloinformatico ci incoraggia ad accertare con ragionevole consapevolezza le competenze di base indispensabili per il profilo del docente di informatica, resta da colmare l'enorme lacuna concernente la definizione del minimo comune denominatore volto ad attribuire ai corsi un valore aggiunto, un marchio di qualit�: non solo quanti e quali argomenti vengono proposti in rapporto ad un dato tempo, ma con quali metodologie, con quali strategie didattiche vengono affrontate le lezioni. Quindi: perch� fare? quando fare? cosa fare? come fare? Le risposte sono necessarie, ma prima dobbiamo metterci d'accordo sulle domande. Di seguito, ancora alcuni quesiti che possono far comprendere meglio la delicatezza e il grado di complessit� dell'argomento oggetto di analisi. Qual � il profilo del tifloinformatico? Chi � autorizzato a fare la scuola guida e a rilasciare la patente? Basta il buon senso, l'intuito, l'esperienza personale per orientarsi e, soprattutto, orientare altri nella scelta fra ci� che � utile e ci� che � spreco o superfluo? Quali sono le competenze di chi intendiamo riconoscere e abilitare ad impartire con autorevolezza buoni consigli ed efficaci insegnamenti? Un ingegnere? Un sistemista? Un esperto di tecnologia assistiva, di accessibilit� oppure di didattica informatica, di didattica generale o speciale? Come insegnare la tifloinformatica? Il professionista ci aspettiamo che sia in possesso di un'accertata cultura tiflologica, tiflopedagogica? � bene che conosca la didattica dell'insegnamento del Braille e abbia propri i concetti di aptica per proporre in modo opportuno esplicative mappe in rilievo? Deve conoscere il percorso di insegnamento della tastiera, il significato dei tasti funzione dei display Braille, l'utilizzo approfondito degli screen-reader? Vediamo in questa figura un tiflologo specializzato in questioni tecnologiche oppure un informatico specializzato in questioni tiflologiche o pi� precisamente tiflopedagogiche? Quando e come introdurre il codice Braille nei percorsi di alfabetizzazione informatica? Proponiamo un metodo basato su un apprendimento mnemonico e meccanico che trascuri il contesto oppure concettuale e logico che tenga conto della descrizione di finestre, titoli, icone, non tralasciando di nominare elementi e simboli grafici visivi e che si avvalga del supporto di tavole in rilievo per arricchire le esercitazioni e fissare le immagini? La tiflo-info-didattica � altro dalla tiflologia oppure � l'altra faccia della medesima medaglia? Nel porre l'obiettivo didattico, ci si deve strettamente attenere alla trattazione dell'argomento oggetto dell'insegnamento (un sistema operativo, un applicativo, una funzione) oppure finalizzarlo alla comprensione di un altro insegnamento? � necessario, poi, indagare con successivi interrogativi l'altro versante: l'allievo. Quali i prerequisiti necessari per un approccio corretto ed efficace all'avventura tecnologica? Vi � un'et� in cui incominciare? Da quali prerequisiti partire? Stiamo vivendo, tiflologicamente parlando, momenti delicati. Si ha la percezione, peraltro, che i venti stiano cambiando di direzione. La didattica inclusiva richiede incontrovertibilmente anche risposte quantitative: � necessario conoscere piani, regole, tempistiche, oltrech� riferimenti economici certi. Elementi meramente burocratico-amministrativi dovrebbero essere comunque in subordine e conseguenti ad aspetti concettuali e teorico-pratici, i quali devono invece essere anteposti e fungere da guida. Dobbiamo far tesoro di un'esperienza di quasi quarant'anni di integrazione scolastica che per una simpatica coincidenza corrisponde pi� o meno ad altrettanti di tecnologia assistiva. Siamo chiamati oggi alla messa a punto di un metodo scientifico di validazione di efficacia e di efficienza del rapporto tra tiflo-informatica e didattica inclusiva: ecco l'incognita della nostra proporzione! Qualit� dello strumento-mezzo, qualit� nella veicolazione dei contenuti, qualit� della didattica specifica, qualit� nella trasmissione del messaggio. Chi si prende cura di tutto questo? Questa responsabilit� non pu� essere ricompresa nei singoli operatori; non � pi� tempo degli assoli! Non esiste "Superman"! Occorre operare in team! Dobbiamo avere l'onest� intellettuale di affermare che le competenze necessarie per fare didattica inclusiva con la tiflo-informatica trovano il loro alveo naturale nelle maglie di una rete precostituita sviluppatasi attorno a quegli anelli portanti che hanno tracciato e scritto la storia tiflopedagogica nel nostro paese. Soltanto se proteggiamo, difendiamo, sosteniamo, promuoviamo le nostre strutture che operano in tal senso, a partire dagli Istituti per Ciechi, possiamo trovare o "costruire" le risposte necessarie per garantire un servizio tiflopedagogico che non faccia rimpiangere il passato. Oggi, occorre una convergenza multidisciplinare. Attivit� di ricerca e di aggiornamento, seminari, veri e propri corsi mirati, valutazioni di dispositivi e di software, attivit� laboratoriali extra-scolastiche; tutte queste belle cose devono avere fonte, devono muovere da un know-how conquistato e tramandato da chi ci ha preceduto. Affermare il principio della "qualit� totale", concetto oggi tanto caro al moderno mercato imprenditoriale, � il nostro primo dovere, primo obiettivo; ci� significa erogare un servizio utile per rispondere alle reali necessit� dei nostri ragazzi e delle loro famiglie. Seconda Parte In quale modo la tecnologia continuer� ad essere al servizio dell'uomo? Quali saranno i parametri qualitativi di domani? Quanto e in che modo svolger� un ruolo a compensazione delle disabilit�? La progettazione di una tecnologia facile, "amichevole" e sempre pi� autonoma � fuor di dubbio indicatore e cartina di tornasole dell'evoluzione delle dinamiche relazionali uomo-macchina. Vero � che pi� il rapporto uomo-device sar� basato prevalentemente su comandi gestuali impartiti a distanza e il solo pensiero sar� scintilla e causa di un evento esterno indipendente, tanto pi� il senso della vista manterr� la supremazia sugli altri sensi. Avr� dunque termine lo scontro sensoriale in atto oppure la multisensorialit�, intesa come larga banda attraverso cui interagire con le "cose", continuer� ad essere oggetto di attenzione da parte dei ricercatori? Ad ogni modo, pi� lo strumento tecnologico si affrancher� dall'uomo tanto pi� questi gli ceder� potere di scelta e di azione. L'uomo avr� "schifo" persino di toccare ci� che � frutto della sua creativit�, ci� di cui si serve. L'uomo prender� le distanze da ci� che � il risultato della sua ricerca e da ci� che inventa, da ci� di cui non potr� pi� comunque fare a meno. In quest'ultimo scenario, allora, l'uomo non guarder� al visivo come strumento per "manipolare" il mondo, ma sar� schiacciato, soverchiato, dominato, sar�, in una sorta di ribaltamento dei ruoli, pilotato dalla tecnologia, dalla robotica, dall'intelligenza artificiale, da ci� che egli stesso ha realizzato per sua stessa mano ed intelligenza. La disabilit� e la tifloinformatica troveranno ancora posto lungo l'asse tecnologia-didattica digitale? Potranno le tecnologie avanzate del futuro "normalizzare" ogni forma di disabilit�? Ma cos'� la normalit�? Ed esiste una normalit�? Avr� ancora senso ragionare di didattica inclusiva? Abbiamo imparato a dirci che nessuno pu� essere considerato normale. Forse, neghiamo la normalit� perch� non accettiamo la nostra diversit�. "La normalit� - sottoposta ad analisi aggressive non meno che la diversit� - rivela incrinature, crepe, deficienze, ritardi funzionali, intermittenze, anomalie. Tutto diventa eccezione e il bisogno della norma, allontanato dalla porta, si riaffaccia ancora pi� temibile alla finestra. Si finisce cos� per rafforzarlo, come un virus reso invulnerabile dalle cure per sopprimerlo. Non � negando le differenze che lo si combatte, ma modificando l'immagine della norma" (G. Pontiggia, Nati due volte). Se la norma si configura come pluralit� di differenze, non possiamo permettere, tuttavia, che alcuno si dimentichi dei bisogni specifici delle persone che vivono in uno stato di permanente difficolt�, per condizioni fisiche, mentali, ambientali o sociali, che comportino svantaggi ed emarginazioni. � importante altres� riconoscere la necessit� di non permettere al deficit di oscurare il valore della persona nella sua essenziale umanit�, sottolineando le abilit�, valorizzando le potenzialit� di ogni individuo, richiamando il concetto tanto avverso quanto interessante di "diversabilit�". La pedagogia speciale si sta occupando, alla luce dei cambiamenti sociali e culturali in atto, anche dello studio, della ricerca e della presa in carico e cura delle situazioni di vulnerabilit� causate non solo da fattori biologici, ma anche personali, sociali, culturali e ambientali. Ricerca inoltre i modi possibili per favorire una riorganizzazione positiva della vita, con l'osservazione e lo studio degli atteggiamenti di resilienza ovvero la resistenza psicologica alle avversit�, che rappresenta una nuova prospettiva verso la disabilit� e l'handicap. Se si vuole lavorare nell'interesse della persona disabile, non si pu� partire dalle competenze burocratiche, bisogna partire da lui, crescere con lui, seguirlo in tutto il continuum della sua esistenza, individuando per lui e con lui il suo "progetto di vita". � peraltro da scongiurare "la tragedia della modernit�: come nel caso dei genitori nevrotici e iperprotettivi, spesso chi cerca di aiutarci finisce per farci pi� male. Se quasi tutto ci� che � calato dall'alto (top-down) rende fragili, impedendo l'antifragilit� e la crescita, d'altro canto con la giusta quantit� di stress e disordine tutto ci� che viene dal basso (bottom-up) fiorisce. Lo stesso processo di scoperta � condizionato dall'antifragile arte di sperimentare e da un'aggressiva assunzione di rischi, piuttosto che dall'aver ricevuto un'istruzione regolare (e lo stesso vale per l'innovazione o il progresso tecnologico") (Nassim Nicholas Taleb, Antifragile). Spesso attribuiamo la causa della nostra fragilit� totale unicamente a quelle 3 lettere del prefisso "dis", "calato dall'alto", che rappresenta la negazione o la privazione di una qualsivoglia condizione di abilit�. L'oppressione di quella parolina ci pervade e ci tiene compagnia dalla mattina alla sera, dalla sera alla mattina, ci soverchia tutti i giorni della nostra vita: cresce, vive e se ne va con noi. Come combattere la fragilit�? Come rifuggirla? Esiste il suo opposto funzionale? Esiste davvero un antidoto efficace? Cerchiamo riparo in situazioni ed eventi esterni a noi, indipendenti da noi. Le nostre generazioni, ad esempio, trovano per lo pi� momenti di sollievo e conforto salvifici nel rincorrere gli ultimi ritrovati tecnologici: improvvisate sperimentazioni, test senza un dichiarato scopo, promesse vaghe, si rivelano spesso specchi per allodole; l'inconscio bisogno di riprendere un po' di fiato trascorrendo brevi istanti di evasione si traduce in rapida delusione e inevitabile rammarico; siamo chiamati a conoscere aggeggi di dubbia utilit�, ausili spesso solo tali sulla carta, ultime versioni di software talvolta peggiorative; ogni volta siamo attratti con lo stesso immutato ardore e rinnovata speranza, disposti a donare la nostra unicit� di persone con tutte le loro inestimabili differenze in nome ed in cambio di una uguaglianza fatta di ipotetiche pari, fugaci opportunit�; ogni volta, quasi ogni volta, riprecipitiamo gi�, quando qualcosa o qualcuno mette in luce i nostri limiti, fisici o sensoriali, pronti per� a ripartire, questa volta, dalla nostra segreta fortezza fatta di fatiche mai dichiarate, di sconfitte mal digerite, d'intime frustrazioni alquanto corrosive. Affrontare con avvedutezza gli ostacoli della vita, reagire prontamente agli imprevisti, abituarsi alla disabitudine, sono alcune fondamentali leve dalle quali pu� lievitare la crescita personale di un qualsiasi individuo, disabile o no. Di certo, i dispositivi tecnologici sono ormai considerati vitali per tutti, dallo smartphone al personal computer; � fuor di dubbio che non riusciamo ad immaginare un mondo privo di tecnologia. Il confine infatti tra mondo reale e virtuale � alquanto aleatorio. Muoversi con la consapevolezza di poter sbagliare, di mettere il piede in fallo, di cadere senza appiglio, sono rischi che ormai fanno parte della nostra stessa esistenza, con i quali dobbiamo imparare a convivere fino a farceli amici. Ecco ancora una qualit�, un'altra abilit� da migliorare. Ci viene in aiuto ancora una volta Nassim Nicholas Taleb con il suo illuminante lavoro. "L'antifragilit� va al di l� della resilienza e della robustezza. Ci� che � resiliente resiste agli shock e rimane identico a se stesso; l'antifragile migliora. Questa qualit� � alla base di tutto ci� che muta nel tempo: l'evoluzione, la cultura, le idee, le rivoluzioni, i sistemi politici, l'innovazione tecnologica, il successo culturale ed economico, la sopravvivenza delle aziende, le buone ricette (per esempio il brodo di pollo o la bistecca alla tartara con un goccio di cognac), lo sviluppo di citt�, civilt�, sistemi giuridici, foreste equatoriali, la resistenza dei batteri... persino la vita della nostra specie su questo pianeta. Ed � l'antifragilit� a determinare il confine tra ci� che vive ed � organico (o complesso), come per esempio il corpo umano, e ci� che � inerte, per esempio un oggetto come la graffettatrice che abbiamo sulla scrivania". Similmente antifragile � colui che ha imparato a lottare strenuamente senza risparmio per conquistare oggi un pezzetto di integrazione sociale, per poi all'indomani farselo sciogliere tra le mani come neve al sole; riafferrarlo ancora e poi di nuovo vedere svanire i propri sforzi il giorno successivo..... Combattere i pregiudizi pi� intimi, le convinzioni pi� radicate, le false credenze pi� diffuse, presuppone forza di volont�, perseveranza, determinazione, decisamente altro e di pi� del saper resistere. Ad esempio, l'applauso di quando attraversi l'incrocio "alla grande" schivando le auto e azzeccando il passaggio tra le aiuole dello spartitraffico oppure l'ovazione corale di quando imbocchi la scala della metropolitana senza fallire il primo scalino, perdono di spontaneit� e di gratitudine al primo "oh" urlato allorch� sbatti contro un palo, l�, per caso oppure ti adagi su di una bicicletta mal posta sul marciapiedi; il consenso di stupore che si coglie nel salire in scioltezza i gradini del tram si trasforma in solidariet� compassionevole quando vieni assalito dai numerosi e rumorosi benefattori sempre pronti a cederti il posto a sedere; la meraviglia smisurata di come accarezzi lo schermo di uno smartphone si alterna allo scetticismo nel momento in cui il software di navigazione ci fa sbagliare percorso o numero civico, quasi che in fondo la colpa sia da ricondurre all'utilizzatore. L'integrazione sociale serpeggia tra il caso, la casualit�, il disordine, la volatilit� e i fattori di stress: l'integrazione sociale non � lineare ed � anche per questa ragione antifragile, si evolve alla stregua dei sistemi pi� complessi. Il ragionamento calza alla perfezione affrontando le tematiche segnatamente correlate all'inclusione scolastica. Vi � la tendenza a generare reazioni a catena che escono dal controllo e riducono, o perfino annullano, le certezze di una oculata pianificazione, provocando quindi eventi fuori misura. Se da un lato il mondo odierno sta senz'altro accrescendo le proprie conoscenze tecnologiche, dall'altro, paradossalmente, rende le cose molto pi� imprevedibili. Ora, per ragioni connesse all'aumento di ci� che � artificiale, all'allontanamento dai modelli ancestrali e naturali e alla perdita di robustezza causata dalle complicazioni che si incontrano creando qualsiasi cosa, il ruolo degli eventi rari ("Cigni neri", Taleb) sta assumendo sempre pi� importanza. Inoltre, siamo vittime di una nuova malattia, la neomania, la quale ci porta a costruire sistemi vulnerabili alla stregua del Cigno nero nel nome del "progresso". Il percorso dell'inclusione scolastica oscilla in continuazione e si appoggia, ora sul pilastro tecnologico e dell'accessibilit� al digitale e al materiale di studio, un po' meno sul pilastro dell'orientamento e della mobilit�, talvolta sul pilastro della relazione con i compagni e con gli insegnanti, molto raramente sul pilastro dell'indipendenza e della libert� di pensiero. Ricercare un equilibrio che favorisca una crescita armonica dello studente significa contemplare l'imprevisto, accettare il rischio, mettere in luce punti di potenziale vulnerabilit�. Per questa prospettiva occorrerebbe una inequivocabile convergenza interdisciplinare fra le componenti che concorrono al processo inclusivo, la qual cosa non � scontata per molteplici ragioni: diverse sensibilit� individuali, differenti livelli di conoscenza delle implicazioni correlate alla disabilit� visiva, visioni diverse dei processi educativi, problematiche inerenti alle difficolt� di tipo organizzativo concernenti gli incontri di confronto e di pianificazione. Proteggere i nostri ragazzi dalle insidie del sistema equivale, d'altra parte, a conservare lo status quo e ad optare per la via pi� facile, quella cio� della rassegnazione al loro futuro di permanente fragilit�. Come siamo fieri ed orgogliosi del nostro operato di tutor quando il nostro studente (modello o cavia) d� prova di saper utilizzare la tastiera di un computer a 10 dita, di saper aprire con presunta rapidit� una cartella o un documento digitali, di saper far scivolare con destrezza due dita sullo schermo piatto di un dispositivo interattivo; come siamo contenti... Urliamo per questo al successo inclusivo! Cos�, in qualche modo, siamo ahim� colti di sorpresa, ci deresponsabilizziamo e non sappiamo meravigliarci neppure pi� dinanzi alla scarsa autonomia che egli mostra nel riporre in modo maldestro la "cavetteria" e tutta la tecnologia di cui dispone nello zainetto oppure di fronte allo smarrimento che vive nel tentativo di raggiungere la porta di uscita dell'aula. Come sappiamo profondere elogi in abbondanza nel vederlo navigare tra intestazioni e tabelle con buona disinvoltura presentandolo come un piccolo fenomeno, cos� non siamo in grado di dargli suggerimenti appropriati e fornirgli strategie efficaci e metodologie adeguate al momento di rielaborare e di concettualizzare i contenuti della pagina. Le dinamiche che sottintendono questo composito sistema sono parallele, interdipendenti, talora si compenetrano; una lettura che non sia superficiale pu� avvenire compiutamente da un acuto osservatore esterno in grado di coglierne gli effetti generali o, comunque, richiede uno scambio consapevole condotto costantemente dal gruppo degli operatori. L'insegnamento dell'informatica e la possibilit� di accesso a strumenti tecnologici, da soli, non determineranno la bont� di un percorso di inclusione cos� come la relazione con uno, due compagni non indurr� a persuadere che il nostro allievo si senta a proprio agio nelle attivit� di gruppo. L'inclusione scolastica � la somma degli istanti che costituiscono una parte della nostra vita. Avremo creato condizioni di vera inclusione solo quando nei nostri ragazzi i momenti di autentica serenit� prevarranno su quelli difficili. La fonte dell'umana gioia consiste nel sentirsi liberi da ogni paura, ansia, stress, frustrazione e non fa preoccupare di nulla; la fonte dell'umana gioia � quando ci� che fai ti tranquillizza e ti insegna qualcosa, continuamente; quando ti senti bene ogni volta che commetti un errore, perch� sai che stai imparando qualcosa. Le sensazioni che sapremo far loro provare influiranno sulla loro salute, sulla loro autostima, sulla qualit� delle relazioni che sapranno tessere con gli altri e sulla loro vita. Che siano quindi meravigliose! Disciplina, sforzo, determinazione, tre qualit� le cui ricompense saranno sorprendenti. Una didattica, per poter essere definita per tutti, deve avere tra gli obiettivi primari quello di stimolare gli studenti a darci dentro per ottenere qualsiasi cosa desiderino; ad essere orgogliosi di se stessi e darlo a vedere; ad avere il controllo di ogni cosa che fanno e che devono fare; ad amare la vita e adorare di stare in compagnia. I momenti difficili sono, appunto, solo momenti che ti fanno diventare persona migliore. In fondo in fondo, occorre sapere che quegli istanti servono per imparare delle preziose lezioni. I nostri ragazzi si sentiranno realmente felici, rilassati, fiduciosi, centrati e lucidi riguardo ad ogni cosa quando sapranno godere della loro libert�. Ci sar� integrazione totale quando saranno tutti individualmente liberi, non prigionieri cio� dei propri limiti fisici, ma soprattutto dei limiti dei propri pensieri, della propria mente. Solo allora potremo sostenere che avranno raggiunto la piena integrazione sociale e inclusione scolastica; solo allora potremo apprezzare gli effetti di una didattica inclusiva. L'insegnamento dell'utilizzo ancorch� basico del personal computer e della tecnologia assistiva avr� tanto pi� raggiunto il suo scopo inclusivo quanto pi� sapr� richiamare, ricomprendere e contemplare i valori appena menzionati. Un insegnamento privo della competenza info-tiflo-pedagogica si muover� nella direzione contraria e correr� il rischio di erigere nuove e vecchie barriere attorno al nostro allievo gettandolo nell'isolamento pi� opprimente, impregnato di rassegnazione, vana fatica, frustrazione. Una preparazione professionale approssimativa del tiflo-informatico e una improvvisazione metodologica possono dar origine nel discente ad irreparabili sensazioni di sfiducia nelle proprie capacit�, generando tra l'altro un rifiuto per la materia che si protrarr� nel medio-lungo periodo. Un sistema di inclusione scolastica che intenda ambire ad elevati parametri qualitativi, allontanandosi dallo spettro della regressione storico-politica di nuove forme di emarginazioni coatte, dovr� potersi sviluppare all'insegna della trasparenza e di un costante confronto tra figure esperte, in presenza di regole certe. Diversamente, si accompagneranno le famiglie e i loro ragazzi verso una trappola che rilascer� i suoi segni negativi pi� indelebili. "Le cose che imparate a scuola non sono che l'inizio. Il vero laboratorio comincia quando ve ne andate" (Richard Bandler). Intanto, non ci rimane che riversare la speranza e la fiducia nei nostri ragazzi che, da soli, sono costretti a porre rimedio alle incapacit� e alla vanit� di noi adulti. Alcuni versi di una poesia scritta da un poeta inglese molto malato sul letto d'ospedale racchiudono magistralmente un insegnamento che dovrebbe essere il riferimento di ogni materia; si dice che Nelson Mandela nei suoi 27 anni di malattia la recitasse, la interpretasse per darsi forza e coraggio: "Non importa quanto stretto sia il passaggio, quanti castighi ci possano essere nella vita, ma che voi siate, ragazzi, padroni del vostro destino e capitani della vostra Anima". Franco Lisi (direttore scientifico, Istituto dei Ciechi di Milano) Brevi indicazioni per i collaboratori (pag. 185) Si offrono di seguito alcune indicazioni di massima a cui gli autori dei contributi dovrebbero possibilmente attenersi, per venire incontro al lavoro redazionale della segreteria ed alle esigenze tipografiche della rivista. La collaborazione a "Tiflologia per l'Integrazione" � libera. I contributi dovranno pervenire possibilmente via posta elettronica (all'indirizzo: cdtinfo@bibciechi.it) in formato doc. Il testo dovr� essere in carattere Times New Roman 12 con una interlinea di 1,5. I rientri dei paragrafi dovranno essere di 0,5 a sinistra e a destra. Si raccomanda particolare cura nella citazione bibliografica, che dovr� seguire il sistema "Autore-Data" secondo le regole dell'American Psychological Association (APA). I riferimenti interni al testo dovranno trovare una esatta corrispondenza nella citazione estesa che si trover� alla fine dell'articolo. (Diversi sono i siti Internet che offrono una panoramica sullo stile citazionale dell'American Psychological Association. Si pu�, tra gli altri, vedere: http://campusgw.library.cornell.edu/newhelp/res�strategy/citing/apa.html). Gli autori che riportano una bibliografia a corredo del loro articolo (senza rinvii all'interno del testo) dovranno utilizzare lo stesso metodo citazionale "Autore-Data". Si raccomanda inoltre particolare cura nei dati citazionali, dal momento che alla redazione non sempre � possibile verificarne la correttezza. La redazione si riserva comunque il diritto di intervenire sul testo per uniformarlo alle norme tipografiche. Si ringrazia per l'attenzione. PSICOLOGIA Esperienze e ricerche di psicologia nelle scuole per ciechi (Si tratta dell'intervento dell'autore al primo Corso residenziale di aggiornamento per gli insegnanti delle Scuole Elementari per i ciechi, Rocca di Papa (RM), 22-31 marzo 1963. Tratto da: Luce con luce. Rivista trimestrale dell'Istituto Statale "A. Romagnoli" di specializzazione per gli educatori dei minorati della vista, a. 7 (1963), n. 2, pp. 125-139), di Alfredo Stopper (pagg. 151-166) - Vengono messe in rilievo alcune caratteristiche della psicologia dei ciechi e strumenti di valutazione utilizzati in un Istituto di Trieste. - L'argomento che devo trattare pu� considerarsi, nello stesso tempo, troppo ampio e troppo limitato: troppo ampio in quanto le mie ricerche e le mie esperienze dirette si sono svolte in una soltanto di tali scuole; troppo limitato perch�, sebbene la conoscenza del livello intellettuale sia un elemento importante, anzi indispensabile, della valutazione psicologica, essa non � tuttavia ancora sufficiente per formulare un giudizio sulla personalit� dell'alunno, giudizio che rappresenta l'obiettivo fondamentale dell'indagine psicologica nelle scuole. Certo, si potrebbe considerare l'intelligenza dal punto di vista della psicologia generale: che cosa �, quali ne sono gli aspetti principali, come si valuta, ecc. Ci� potrebbe essere molto interessante, senza dubbio, ma, ai fini dell'insegnamento, mi sembra che sia molto pi� utile trattare dell'intelligenza integrata nella personalit�. Inoltre, dovendo trattare delle applicazioni della psicologia nelle scuole speciali per ciechi, ritengo che non ci si possa esimere da qualche parola introduttiva sulla psicologia dei ciechi. In realt� tale termine � un po' ambiguo perch�, sebbene sia ormai abbastanza cospicuo il numero degli studiosi che hanno svolto ricerche in questo campo, le indagini non hanno per� raggiunto un'ampiezza e una profondit� tali da garantire che sia lecito parlare di una "psicologia dei ciechi" come di una psicologia differenziale e distinta da quella che studia i soggetti vedenti. Questo � un problema di fondo, che per ora � meglio lasciare da parte, in attesa che ulteriori studi consentano di risolverlo. Comunque, anche ricorrendo al termine pi� modesto di "psicologia applicata ai ciechi", va rilevato che il problema dei privi della vista �, psicologicamente, interessantissimo. E ci� non soltanto per gli specialisti, ma anche per i profani. Ad attestarlo sta il fatto che il cieco, in tutti i tempi, � stato considerato in maniera molto particolare: alcuni ritenevano che gli dei lo avessero privato della vista per punirlo di qualche colpa, magari commessa dai suoi antenati, e gli attribuivano qualit� negative; altri, invece, pensavano che fosse in possesso di doti molto superiori a quelle possedute dai vedenti. Nell'antichit� classica, ad esempio, gli veniva attribuita la dote della profezia. Ma, anche lasciando da parte credenze che risalgono ad epoche ormai molto lontane, una ricerca che sto attualmente conducendo circa gli atteggiamenti dei vedenti nei confronti dei ciechi mi conferma che ancor oggi sono largamente diffusi molti pregiudizi sul conto dei privi della vista. Sono, per lo pi�, pregiudizi dannosi e suscettibili di compromettere l'inserimento del minorato della vista nella vita sociale e nel mondo del lavoro. Se non altro per questo varrebbe la pena di studiarli a fondo, e di studiare nel contempo le caratteristiche psichiche di coloro che soffrono di tale minorazione, allo scopo di far conoscere il cieco quale � in realt�. Tuttavia, il problema che appare pi� urgente � quello di approfondire la conoscenza dell'alunno cieco. Questo anche perch� nelle scuole comuni ormai i rapporti tra pedagogia e psicologia stanno diventando sempre pi� stretti: in tutte le scuole, infatti, vi sono i cosiddetti "alunni-problema", vale a dire coloro che, per diverse ragioni, non riescono a trarre profitto dall'insegnamento. La causa pu� essere rappresentata o da uno sviluppo intellettuale insufficiente per seguire quel dato tipo di scuola, oppure da disturbi caratteriali di entit� pi� o meno grave, ma comunque tali da ostacolare un regolare profitto. Se gli alunni-problema si incontrano nelle scuole comuni, se ne incontrano certamente anche nelle scuole speciali per minorati della vista. Infatti, la minorazione visiva � in se stessa un elemento che pu� far sorgere dei disadattamenti ed inoltre in molte scuole per ciechi sono numerosi gli alunni affetti da tare nel gentilizio. Anzi, col passare degli anni e col migliorare delle condizioni igieniche della popolazione, si riscontra che, mentre diminuisce il numero dei ciechi "normali" (cio� di quei soggetti che non presentano altre minorazioni al di fuori di quella visiva), aumentano invece coloro che sono affetti anche da altre minorazioni. Nelle scuole comuni l'alunno-problema viene avviato ad un Centro, o ad un Consultorio neuro-psico-pedagogico dove viene accuratamente esaminato dagli specialisti che poi, in �quipe, decidono sui provvedimenti da prendere, come l'assegnazione ad una classe di differenziazione didattica, ad un Asilo Scuola o ad un Istituto Medico Pedagogico. Le scuole per ciechi, invece, hanno una possibilit� molto pi� ridotta di avvalersi di tali Centri o Consultori, sia perch� gli alunni che dovrebbero venir sottoposti ad esame sono in queste scuole pi� numerosi che nelle altre, sia perch� per effettuare esami psicologici su soggetti ciechi occorre una preparazione specialistica che il personale di quei Centri difficilmente possiede. Inoltre, quando si parla di scuole per ciechi, non si deve dimenticare che nella riforma scolastica del 1923, ispirata da quel grande maestro della pedagogia dei privi della vista che fu Augusto Romagnoli, vennero definitivamente abbandonati i criteri filantropico-assistenziali che fino allora avevano dominato tali scuole, alle quali venne invece impresso un indirizzo socialmente costruttivo, inteso a condurre i non vedenti al superamento della loro minorazione, valorizzando tutte le loro possibilit� residue. Ma un programma tanto impegnativo richiede che le tecniche e l'arte dell'insegnante vengano integrate da quei sussidi che la scienza psicologica � in grado di offrire. Sar�, ad esempio, opportuno ed utile conoscere in maniera precisa il livello intellettuale e la struttura qualitativa dell'intelligenza, gli aspetti pi� importanti del carattere ed anche la presenza eventuale di turbe della personalit�, in modo da poter correre tempestivamente ai ripari, adottando i provvedimenti che si rivelino necessari. L'argomento che ho esposto difende l'opportunit� di introdurre la psicologia negli Istituti per ciechi. Ma vi sono anche altri argomenti, che portano alle medesime conclusioni: quell'indirizzo socialmente costruttivo, giustamente voluto da Augusto Romagnoli, difficilmente potrebbe realizzarsi se al termine degli studi il minorato della vista non potesse venire inserito nel mondo del lavoro. Dicendo questo non intendo riferirmi alle attivit� tradizionalmente riservate ai ciechi (come l'impagliare sedie, l'intrecciare canestri di vimini, ecc.), che nel mondo industriale moderno non hanno pi� molto senso e che comunque non sono tali da garantire un dignitoso sostentamento economico. Intendo invece parlare di lavori che siano utili socialmente e rimunerativi sotto l'aspetto economico. Il cieco, infatti, ha pieno diritto all'autosufficienza economica, senza la quale � un assurdo parlare di parit� coi vedenti. Senza contare, poi, che all'autosufficienza economica � legato il senso, dal punto di vista psicologico fondamentale, della propria utilit� sociale e, in definitiva, della propria dignit� umana. Ma il periodo delle forme assistenziali ridotte alla pura e semplice carit� pu� fortunatamente considerarsi ormai superato. Da un lato, nell'opinione pubblica � assai diffusa l'idea che il cieco deve venire aiutato non gi� costruendogli degli asili dove possa trascorrere il suo tempo in pace senza far nulla, segregato dal mondo, ma creando per lui delle scuole, soprattutto di tipo professionale, dove possa ricevere una preparazione adeguata, che gli consenta l'ingresso nel mondo del lavoro. Dall'altro lato, c'� il fatto, oltremodo positivo, che gi� oggi in alcuni Paesi molti minorati della vista trovano impiego nell'industria, mentre prospettive favorevoli in questo senso si stanno manifestando ormai anche in Italia. � lecito, dunque, guardare al futuro con fiducia, ritenendo che in un avvenire non molto lontano saranno numerosi anche da noi i privi della vista che potranno trovare nel lavoro industriale i mezzi del sostentamento economico e, insieme con questo, un nuovo senso di dignit� sociale ed umana. Tuttavia, proprio da questa possibilit�, sorge ora un nuovo problema: infatti non tutti i ciechi, come del resto non tutti i vedenti, possiedono attitudini e capacit� che li facciano adatti a tutte le professioni ed a tutti i mestieri. Quindi, per evitare delusioni alle persone interessate e per impedire il verificarsi di inconvenienti che potrebbero rinfocolare i vecchi pregiudizi nei riguardi dei non vedenti, bisogner� cercare di mettere "la persona adatta al posto adatto". In altre parole, si presenta oggi anche per il minorato della vista il problema dell'orientamento professionale. Un tempo, l'orientamento professionale a base psicologica si limitava a far eseguire delle prove attitudinali. Gli indirizzi scientifici pi� moderni sostengono invece che il giudizio di orientamento professionale deve essere fondato su una conoscenza per quanto possibile completa della personalit� dell'orientando, cio� su una conoscenza, oltre che delle sue attitudini, anche del suo livello intellettuale e dei tratti fondamentali del suo carattere. Ammettiamo, ad esempio, che vi siano due persone, entrambe con un livello intellettuale molto elevato. Una di esse, per�, ha anche un carattere molto estroverso e socievole, ed � portata alle relazioni con altre persone. L'altra, invece, ha un carattere chiuso e riservato, tendente ad evitare ogni tipo di rapporto. � evidente che per queste due persone saranno indicate due professioni diverse. Soltanto uno studio completo della personalit� pu� dunque garantire che i soggetti verranno avviati verso la loro giusta strada, in un genere di lavoro dove non incontreranno frustrazioni troppo gravi, tali da risolversi in un deterioramento psichico per l'individuo, che si abbatte e perde la volont� di lavorare, e in un danno economico per l'azienda. Questi principi sono validi per tutti. Pertanto devono essere validi, almeno in misura uguale, anche per i minorati della vista. Anzi, con i minorati della vista la questione si fa ancor pi� delicata in quanto essi sono costretti ad iniziare la carriera scolastica, e pi� ancora quella professionale, in una condizione di inferiorit�. Si tratta di una condizione iniziale, derivante dal fatto che il cieco deve rinunciare a quella parte del patrimonio concettuale che deriva dalle stimolazioni visive e che, non ostante la funzione vicariante dei sensi residui, non pu� riuscire a procurarsi. �, questa, una limitazione che certamente riduce la sua autonomia, intesa anche come difficolt� grave di spostarsi da solo, e che rappresenta, come punto di partenza, una situazione di inferiorit� rispetto al vedente. Dovendo dunque partire da una condizione iniziale di inferiorit�, � probabile che il non vedente incontri frustrazioni con maggiore facilit� e frequenza rispetto a coloro che vedono. Ma la maggiore probabilit� di frustrazioni d� adito ad una corrispondente maggiore probabilit� che si sviluppino in lui turbe della personalit�. Si noti, tuttavia, che si tratta di una probabilit�, non di una certezza: cio�, il privo della vista presenta, nei confronti del vedente, una maggiore predisposizione ai disturbi psichici, ma non vi � assolutamente alcun motivo per affermare che detti disturbi debbano manifestarsi inevitabilmente. La situazione del cieco, sotto questo aspetto, presenta qualche analogia con quella dell'adolescente: � noto, infatti, che l'adolescenza � un periodo molto delicato, nel quale sono facili e frequenti le crisi di adattamento; ma � altrettanto noto che, sebbene siano numerosi gli adolescenti che incontrano difficolt� di vario tipo, ve ne sono altri che non manifestano alcun sintomo di crisi. Perci� non si pu� affermare che l'adolescenza sia sempre la causa dei disadattamenti. Analogamente, non si pu� affermare che la cecit� dia sempre luogo a disturbi psichici. Tuttavia, anche se questi disturbi sono per il cieco una semplice possibilit�, sar� sempre consigliabile cercare di prevenire il loro svilupparsi, attraverso un'opera di igiene mentale, che pu� venire inserita nello stesso orientamento professionale. Infatti, l'orientamento professionale dei minorati della vista dovrebbe avere un carattere molto diverso da quello che distingue l'orientamento professionale dei vedenti. � noto che per i ragazzi vedenti funzionano dei Centri (detti appunto di Orientamento Scolastico e Professionale) dove i soggetti sono sottoposti ad esami di intelligenza, di carattere e attitudinali, che durano alcune ore ed al termine dei quali viene emesso il cosiddetto "giudizio di orientamento". Questo sistema, indubbiamente utile per i ragazzi normali, non pu� per� funzionare per i minorati della vista, che sono soggetti particolarmente delicati e che devono pertanto venire seguiti per periodi di tempo molto pi� lunghi di quelli necessari per svolgere gli esami di cui si diceva. Per i ciechi, infatti, occorre, a mio parere, un vero e proprio servizio di "assistenza psicologica". Pi� sopra avevo accennato alla collaborazione necessaria tra psicologia e pedagogia, nel senso che quest'ultima scienza, nelle sue esplicazioni pratiche, ha il massimo interesse di trarre vantaggio da quanto la conoscenza psicologica � in condizione di offrirle. Il concetto di "assistenza psicologica" implica un ampliamento di tale collaborazione: il bambino cieco deve venir considerato il centro degli interessi dell'Istituto e, allo scopo di fare di lui un adulto bene adattato e pronto ad inserirsi nella vita, devono collaborare tutti coloro che prestano la loro opera presso l'Istituto: l'insegnante, che lo conosce sotto l'aspetto dell'alunno e pu� apprezzarne le capacit� intellettuali, l'assistente, che lo vede vivere ed agire nelle attivit� extrascolastiche, il medico, che ne valuta le condizioni fisiche, lo psicologo, che deve seguirne lo sviluppo intellettuale e caratteriale, cercando di prevenire il formarsi di anomalie o, nel caso che le abbia gi� riscontrate, studiando il modo pi� appropriato per riportarlo, se possibile, alla normalit�. Estremamente utile sarebbe anche l'opera di un'assistente sociale che, attraverso il colloquio con i familiari, potrebbe fornire quelle notizie anamnestiche delle quali troppo spesso si deve deplorare la mancanza. Naturalmente, questi specialisti dovrebbero lavorare ciascuno nel proprio campo di competenza. Ma dovrebbero anche, almeno di tanto in tanto, riunirsi in �quipe ed esaminare accuratamente, caso per caso, la situazione di ogni singolo alunno, sforzandosi di escogitare, ove sia necessario, gli accorgimenti pi� idonei per il ricupero umano e sociale del bambino minorato della vista. Lo psicologo dovrebbe poi avere, tra gli altri compiti, anche quello di controllare l'efficacia dei provvedimenti adottati, mediante l'iterazione periodica degli esami d'intelligenza e di carattere ed attraverso colloqui da svolgersi con una certa frequenza. Tali colloqui potrebbero avere anche la funzione di favorire la normalizzazione psichica dell'alunno, ed avere quindi il significato di un elemento dell'igiene mentale. Nel ragazzo cieco si riscontra abbastanza spesso, infatti, un conflitto tra aspirazioni e possibilit�, conflitto che, se non viene eliminato, pu� dare origine a disadattamenti pericolosi ed anche a vere e proprie turbe della personalit�. Lo psicologo dovrebbe, mediante i colloqui, aiutare il ragazzo a risolvere i propri conflitti e ad assumere posizioni per lui pi� adeguate. E l'orientamento professionale vero e proprio? Non ce ne sarebbe pi� bisogno, od almeno non occorrerebbe fare ricorso a particolari esami per la determinazione delle attitudini in quanto, dopo essere stato seguito in questo modo durante tutti gli anni della sua permanenza in Istituto, al termine degli studi il ragazzo sarebbe gi� sicuramente orientato e pronto quindi ad intraprendere un'attivit� lavorativa adatta per lui e nella quale poter raggiungere un rendimento soddisfacente per s� e per gli altri. A questo punto si potr� osservare che il programma che sono venuto delineando � alquanto interessante, e forse anche suggestivo. Ma che cosa si fa attualmente negli Istituti? Esistono e sono in funzione dei servizi psicologici? A queste domande si pu� rispondere che oggi, negli Istituti d'Italia, sono gi� al lavoro diversi psicologi i quali, bench� provenienti da scuole diverse, e quindi seguaci di diversi indirizzi, si sforzano tuttavia di dare alla loro opera un orientamento unitario e comune che la renda pi� proficua. Infatti, pur potendo essere apprezzabile ed utile che i problemi dei minorati della vista vengano considerati sotto aspetti diversi, perch� in tal modo si aumentano le probabilit� di giungere alla fine ad una conoscenza pi� profonda, � tuttavia di importanza fondamentale che tutti indaghino su certi aspetti della psiche del cieco, come ad esempio sul suo livello intellettuale e sulla struttura qualitativa della sua intelligenza, sui tratti pi� caratteristici della sua personalit�, sulle sue attitudini manuali. Soltanto cos�, infatti, attraverso il lavoro comune ed organizzato degli psicologi che lavorano nei diversi Istituti sar� possibile raccogliere una quantit� di dati sufficienti alla fondazione di una conoscenza veramente scientifica. L'opera di questi psicologi, per�, verr� grandemente agevolata e resa oltremodo pi� proficua quando si sar� giunti all'unificazione degli strumenti d'indagine. A questo importante compito � intenta, come � noto, la Commissione Nazionale per la Psicologia dei Ciechi, che � stata costituita a Roma nel 1961 sotto la presidenza della dott. Elena Romagnoli. A questa Commissione guardano ora gli psicologi degli Istituti come alla fonte dalla quale dovranno scaturire le direttive circa i test da impiegare negli esami di livello intellettuale, di personalit� e di attitudini manuali, nonch� circa le principali modalit� di impiego. Una volta emanate tali direttive, sar� relativamente facile raccogliere quella somma di dati che � necessaria per poter trarre delle conclusioni scientificamente valide. Ed allora anche gli accertamenti diagnostici effettuati dai singoli psicologi saranno dotati di un grado di certezza molto maggiore di quello che possono avere attualmente. Ed ora, dopo questa premessa, forse troppo lunga ma a mio parere necessaria per chiarire le finalit� e gli obiettivi della psicologia nelle scuole dei ciechi, � tempo di lasciar da parte i programmi non ancora realizzati e le prospettive future per scendere su un terreno pi� concreto e considerare quali sono i compiti che la psicologia svolge attualmente nelle scuole speciali per i minorati della vista. Naturalmente, io non potr� riferire sulla situazione esistente nei diversi Istituti, anche perch� in alcuni di essi � ancora piuttosto fluida, e mi limiter� quindi ad illustrare quanto � stato fatto e si fa all'Istituto "Rittmeyer" di Trieste. In questo Istituto l'indagine psicologica ebbe inizio nell'ormai lontano marzo 1954 ed in principio ebbe un carattere eminentemente clinico, limitato all'esame di alcuni casi particolarmente difficili ed in collaborazione con lo specialista neuro-psichiatra. Col passare del tempo, per�, tale carattere sub� delle trasformazioni, soprattutto nel senso che si ritenne opportuno sottoporre ad esami psicologici tutti gli alunni dell'Istituto, e non soltanto i pi� difficili, e che si inizi� una collaborazione con gli insegnanti, oltre che col personale sanitario. I settori della psiche che si ritenne pi� utile considerare furono quello dell'intelligenza, quello del carattere e quello delle attitudini manuali. Gli esami effettuati in questi tre settori possono, infatti, fornire un quadro sufficientemente completo della personalit� dell'alunno. Ed � appunto un quadro completo che si deve cercare di ottenere, se si vuole che le valutazioni psicologiche abbiano qualche utilit�, specialmente come sussidio all'opera pedagogico-didattica dell'insegnante. A tale fine non basta, ad esempio, la conoscenza precisa del livello intellettuale. Certo, l'intelligenza � una funzione psichica della massima importanza: secondo la definizione di Stern e Banissoni, essa � la "capacit� di adeguato e rapido adattamento a situazioni nuove, o vissute come nuove, secondo finalit� implicite ed esplicite". Cio�, l'intelligenza � una funzione psichica necessaria per riuscire bene, nella scuola e nella vita. Tuttavia, nessuna previsione sul rendimento scolastico di un alunno dovrebbe mai venir formulata soltanto sulla base della conoscenza del suo livello intellettuale. Che esso sia normale, o magari anche ottimo, � condizione necessaria del successo, ma non tuttavia sufficiente. � molto facile, infatti, incontrare bambini e fanciulli che, nonostante il loro elevato livello intellettuale, non riescono a raggiungere un profitto scolastico sufficiente. Ci� avviene, evidentemente, per l'interferenza di elementi caratteriali: una turba del carattere, ad esempio, pu� portare difficolt� gravi di concentrazione attentiva e ripercuotersi, quindi, sulle prestazioni mnestiche, recando grave pregiudizio al rendimento scolastico. Quando si voglia giungere ad un giudizio psicologico occorre dunque sempre l'esame della personalit�, oltre a quello dell'intelligenza. Nel caso di soggetti minorati della vista acquista inoltre grande importanza l'abilit� manuale, che deve pertanto venire determinata accuratamente. Per valutare il livello intellettuale a Trieste usiamo la parte verbale delle Scale di David Wechsler, la prima delle quali venne preparata nel 1939. Come � noto, le Scale del Wechsler consistono di sei prove esclusivamente verbali e di cinque prove non verbali o di esecuzione ("performance"). Le prove verbali sono: quella di Informazione, che serve a determinare il livello di cultura generale dell'esaminato. Consiste di domande facili (come ad es. "Chi � il Presidente della Repubblica", oppure "Chi ha scritto la Divina Commedia") e meno facili (es.: "Che cosa son i Vangeli Apocrifi"; "Che cosa � un'istruttoria"); quella di Comprensione che, ponendo l'esaminato di fronte a situazioni abbastanza semplici, tende a determinare il grado di buon senso, e quindi la capacit� di tenere quella che si dice una "condotta intelligente" (es.: "Che cosa fai se perdi un libro preso a prestito da una biblioteca"); quella di Ragionamento Aritmetico, che consiste di una serie di dieci problemi aritmetici, disposti in ordine di difficolt� crescente, ma tutti tali da non richiedere una particolare cultura matematica, ma piuttosto la capacit� di ragionare con serenit� e buon senso. Questa prova � molto importante anche ai fini di una valutazione caratteriale, in quanto contribuisce a mettere in luce gli stati ansiosi, che influiscono in maniera caratteristicamente negativa sulla possibilit� di una soluzione esatta dei problemi; quella di Ripetizione di Cifre, che � una prova di attenzione e di memoria, nella quale il soggetto deve ripetere, prima in ordine diretto e poi al contrario, delle serie di cifre che gli vengono indicate; quella delle Somiglianze, in cui l'esaminando deve cogliere l'elemento comune tra due oggetti diversi (es.: "perch� la prugna e la ciliegia sono simili") e che valuta la capacit� del soggetto di cogliere il rapporto tra concetti astratti; ed infine quella del Vocabolario, che mette in luce la conoscenza del patrimonio linguistico. Normalmente, oltre alle prove (subtest) citate, se ne applicano altre cinque, che non richiedono risposte verbali ma consistono nell'esecuzione di compiti manuali (per esempio, ricostruire delle storielle disegnate su diversi cartoncini e presentate in disordine, riprodurre dei disegni geometrici mediante cubi colorati, individuare l'elemento mancante in certe figure, ecc.). In questo modo, applicando le Scale del Wechsler ai soggetti vedenti, se ne possono ricavare il Q.I. (quoziente d'intelligenza) verbale (o di performance) e il Q.I. complessivo. Naturalmente, dovendo applicare le Scale a soggetti privi della vista, � necessario limitarsi alle sole prove verbali, e quindi il risultato consiste soltanto nel Q.I. verbale. Nonostante questa limitazione, i risultati in tal modo conseguiti sono sufficientemente indicativi ed � stato riscontrato che si correlano in maniera altamente positiva con i risultati scolastici, nel senso che gli alunni dotati di Q.I. normale o superiore hanno di solito un rendimento scolastico soddisfacente e quelli con Q.I. inferiore alla norma hanno anche risultati scolastici poco lusinghieri. Vi sono, certo, anche delle eccezioni, cio� dei casi in cui il profitto scolastico viene deteriorato da fattori caratteriali negativi. Ma questo, come si � detto pi� sopra, � un fatto ormai noto, che si riscontra con facilit� e frequenza in tutte le scuole. Tuttavia, nonostante questa buona correlazione del profitto con il solo Q.I. verbale, considerazioni di ordine teoretico e pratico impongono di rendere gli esami di livello intellettuale pi� rigorosi, integrando le prove verbali con prove di esecuzione, che per� siano effettuabili anche da soggetti privi della vista. Il problema � sorto gi� da tempo ed oggi sta forse avviandosi verso una soluzione per opera del giapponese Ohwaki, che ha adottato per i ciechi il test dei cubi di Kohs. Il test di Ohwaki-Kohs consiste nel riprodurre disegni geometrici mediante dei cubi che si distinguono, invece che per il colore, per le diverse caratteristiche tattili dei tessuti di cui sono rivestiti. Il test, al momento attuale, � ancora poco noto in Italia, dove finora � stato studiato soltanto dal prof. Enrico Ceppi, dell'Istituto Statale "Augusto Romagnoli", e da due studiose dell'Istituto di Psicologia dell'Universit� di Genova, la prof. Graziella Zecca e la dott. Maria Teresa Bozzo, che lo hanno sperimentato nell'Istituto dei Ciechi di quella citt�, riferendone poi i primi risultati a Napoli nel settembre 1962, in occasione del XIV Congresso Nazionale di Psicologia. Se, come si spera, queste applicazioni sperimentali daranno esito positivo, uno strumento assai utile verr� ad aggiungersi a quello che gi� possediamo per la valutazione del livello intellettuale dei minorati della vista. Comunque, dovendo nel frattempo impiegare soltanto le Scale verbali del Wechsler, alcuni anni fa nell'Istituto di Trieste si � voluto fare uno studio pi� approfondito, e di carattere teorico-statistico, sul livello intellettuale dei minorati della vista. I risultati sono stati esposti, sotto forma di comunicazione, al XII Congresso Nazionale di Psicologia nel 1958 e pubblicati l'anno successivo sulla "Rassegna di Psicologia Generale e Clinica". Cercher� ora di riferirli quanto pi� sinteticamente possibile. Il gruppo studiato si componeva di cento soggetti, cinquantuno dei quali ciechi e quarantanove ambliopi. Il Q.I. medio di tutto il gruppo risult� di 91,84. Ora, poich� la normalit� dell'intelligenza � convenzionalmente data dai valori che si estendono tra 90 e 110, con la media a 100, tale Q.I. medio rientra nella norma, pur essendo piuttosto basso. Pi� interessanti possono forse riuscire altre considerazioni: per esempio che il Q.I. medio dei ciechi fu 94,94, quello degli ambliopi 88,61. Questa differenza, statisticamente significativa, pu� essere dovuta all'incidenza di disturbi caratteriali che, contrariamente a quanto si potrebbe credere, sembrano alquanto pi� frequenti negli ambliopi che non nei ciechi. Oppure, che il Q.I. medio sale costantemente quando si passa dai ciechi dalla nascita (93,90) a quelli che lo sono divenuti in conseguenza di malattie (95,60) o di traumi (100,63). Senza riferire ulteriori dati, che potrebbero creare confusione, vale la pena di rilevare che questi risultati possono consentire la formulazione di alcune ipotesi: a) che il livello intellettuale medio del minorato della vista tende a collocarsi su valori inferiori rispetto al vedente; b) che il livello intellettuale medio degli ambliopi tende a mantenersi inferiore rispetto a quello dei ciechi (probabilmente, come si � detto, in conseguenza di disturbi del carattere); c) che l'aver fruito per qualche tempo delle stimolazioni visive ha influito positivamente sullo sviluppo del livello intellettuale; d) che la perdita della vista in conseguenza di traumi consente un adattamento pi� rapido e migliore alla nuova situazione che non il suo spegnersi lento e graduale in conseguenza di malattie, e rende quindi possibile un migliore impiego delle capacit� intellettuali. Si tenga ben presente per� che si tratta soltanto di pure ipotesi. Infatti, i dati con i quali si � lavorato a Trieste sono troppo scarsi perch� i risultati possano venire generalizzati e potrebbero anche, dopo tutto, rispecchiare una eventuale situazione locale particolare. Per esempio, nulla consente di affermare che, in generale, il Q.I. medio dei ciechi � pi� basso di quello dei vedenti: la media ottenuta a Trieste (91,84) potrebbe infatti essere dovuta a fattori del tutto estranei alla cecit�, come la provenienza di gran parte dei soggetti da zone agricole o da ambienti socialmente ed economicamente depressi. Per poter saperne di pi� su questi interessanti problemi sar� necessario effettuare degli studi su un numero di soggetti molto pi� ampio: quando, ad esempio, tutti gli Istituti italiani, sotto la guida della Commissione Nazionale, potranno fornire i dati relativi ai propri alunni, sar� certamente possibile giungere a conclusioni di pi� elevato valore scientifico che, se non consentiranno ancora l'enunciazione di dottrine sicure, permetteranno per� almeno la formulazione di ipotesi assai meglio fondate di quelle che � stato possibile ricavare dalle ricerche eseguite soltanto presso l'Istituto "Rittmeyer" di Trieste. Ma, come si � visto pi� sopra, la valutazione del livello intellettuale, per importante che possa essere, non �, da sola, sufficiente ad assicurare la conoscenza dell'alunno: infatti, � necessario svolgere indagini anche sulla sua personalit�. Ma l'esame psicologico della personalit� rappresenta un problema alquanto arduo nel senso che, mentre i test d'intelligenza hanno un fondamento obiettivo abbastanza sicuro e rendono possibili rilevazioni di carattere matematico, in quanto tutte le risposte ricevono un punteggio ed � quindi facile confrontare i risultati conseguiti dai diversi soggetti, questo fondamento obiettivo manca ancora nei reattivi di personalit�. O meglio: non manca se sotto il nome di "reattivo di personalit�" si intendono i questionari, le risposte ai quali sono sempre elaborabili matematicamente. Ma i questionari sono criticabili sotto molti aspetti: per esempio, il soggetto pu� dare non la risposta "vera", ma quella che ritiene la pi� adatta a metterlo nella luce migliore. Oppure, la risposta pu� non essere corrispondente alla verit� non per la malafede del soggetto ma perch� in noi agiscono anche fattori inconsci che, appunto perch� tali, non possiamo conoscere e sui quali, com'� ovvio, non � possibile riferire. I test comunemente pi� usati per l'esame della personalit� sono quelli "proiettivi", cos� chiamati in quanto si fondano sul fenomeno della "proiezione", in virt� della quale si tende ad attribuire all'ambiente percepito caratteristiche che appartengono invece al soggetto percipiente. Nei test proiettivi il soggetto viene messo di fronte ad una situazione-stimolo ambigua, cio� male strutturata e scarsamente dotata di significato, ed il suo compito � quello di precisarne la struttura e di fornirne un significato. Dato che lo stimolo � privo di qualunque significato, il soggetto, nell'assolvere il compito, non pu� venire guidato altro che dai propri dinamismi inconsci. Tra i reattivi che si fondano sul processo della proiezione, i pi� celebri ed i pi� largamente impiegati sono il Test Psicodiagnostico del Rorschach ed il Thematic Apperception Test del Murray. Malauguratamente, per�, n� l'uno n� l'altro possono venire applicati ai ciechi, in quanto si fondano entrambi sulla percezione visiva. A Trieste si � cercato di por rimedio a questo inconveniente attraverso l'uso di due test proiettivi che non sono altrettanto famosi come quello del Rorschach o quello del Murray, ma che presentano l'enorme vantaggio di non implicare la percezione visiva: lo Stein Sentence Completion Test e il test delle Favole di Luisa D�ss. Il primo consiste di cento frasi incomplete, che il soggetto ha il compito di completare (es.: "Mario era pi� contento di tutto quando..."); "Quando lo presero in giro, Carlo..."). Il soggetto pu� rispondere ad esempio: "Mario era pi� contento di tutto quando poteva andare a giocare"; oppure "... quando andava a scuola" oppur ancora "... quando i genitori lo venivano a trovare", ecc. Naturalmente, da una risposta sola non � possibile trarre alcuna indicazione, ma la serie di cento risposte consente, di solito, di venire a conoscere diversi aspetti caratteriali importanti. Il test delle Favole della D�ss si applica a soggetti di et� pi� infantile: si raccontano al soggetto delle favolette che egli, ad un certo momento, deve continuare. Per esempio, nella prima favola si racconta di una famiglia di uccellini, composta di pap�, mamma e uccellino piccolo, che, mentre dorme placidamente, viene sorpresa da un forte vento che scuote l'albero e fa cadere a terra il nido. Il pap� vola su un albero, la mamma vola su un altro albero: "E che cosa far� il piccolino, che sa gi� volare anche lui?", si chiede a questo punto al soggetto. La risposta rivela, di solito, l'orientamento affettivo del bambino: se risponde che il piccolo vola sull'albero dove sta la mamma � probabile che sia pi� legato alla madre, mentre sar� pi� affezionato al padre se risponder� che l'uccellino voler� sull'albero dove quello � volato. A questo proposito, vale forse la pena di riferire che spesso nell'Istituto di Trieste si ottiene una risposta diversa da queste: che l'uccellino andr� su un altro albero, dove star� per conto proprio, lontano sia dalla mamma sia dal pap�. Si pu� pensare che questa risposta rispecchi la situazione dell'Istituto, dove il bambino � lontano dalla famiglia. � da rilevarsi, per�, che i bambini ciechi in genere si adattano alla vita di collegio molto meglio dei vedenti. Forse ci� avviene perch�, mentre il vedente sente di solito l'allontanamento dalla famiglia come una punizione, il minorato della vista si rende conto che l'Istituto gli offre possibilit� di istruirsi e di educarsi che a casa non avrebbe mai avuto, e quindi "vive" l'ambiente dell'Istituto positivamente. Infine, dopo aver esaminato il livello intellettuale e la personalit�, � bene considerare anche le attitudini manuali di ciascun soggetto. Qui il campo � molto pi� fertile di quello dei reattivi di personalit�: infatti, i test per valutare l'attitudine manuale sono piuttosto numerosi e tutti sufficientemente validi per potervi fondare un giudizio sicuro. A Trieste se ne impiegano due, il Minnesota Rate of Manipulation Test ed il Pennsylvania Bi-manual Worksample, che, con delle procedure molto semplici, consentono di valutare abbastanza esattamente la destrezza manuale dei soggetti. I risultati di entrambi i test si correlano positivamente con i giudizi degli insegnanti di lavoro. Ho passato cos� in rapida rassegna i settori nei quali ci sembra pi� importante svolgere indagini psicologiche, ed alcuni degli strumenti che in tali indagini vengono impiegati. In casi particolari se ne impiegano, ovviamente, anche degli altri: per esempio, con soggetti gi� bene inoltrati nell'adolescenza e che manifestino sintomi preoccupanti, il Minnesota Multiphasic Personality Inventory (MM-PI), ponderoso questionario che si articola in ben 550 domande e che � indicato quando si debba formulare una diagnosi psichiatrica in collaborazione con lo specialista neuro-psichiatra; oppure il Thematic Apperception Test (TAT), che pu� venire applicato agli ambliopi con buon residuo visivo. Si tratta per� di eccezioni ed i test di base rimangono quelli che sono stati menzionati pi� sopra. Dopo aver valutato il livello intellettuale, i tratti pi� spiccati della personalit� e le attitudini manuali, si � generalmente in grado di tracciare un profilo psichico dell'alunno esaminato. Questo profilo, nel quale si descrivono in sintesi gli aspetti pi� importanti dell'alunno ed eventualmente si d� qualche suggerimento di indole pedagogica, viene messo a disposizione del Direttore dell'Istituto e del personale insegnante. Periodicamente, poi, gli alunni vengono riesaminati e, quando necessario, il profilo viene modificato sulla base dei nuovi accertamenti. In tal modo ogni alunno viene seguito nella sua evoluzione psichica durante tutto il tempo della sua permanenza all'Istituto, e pu� quindi venire avviato verso l'indirizzo scolastico o professionale per lui pi� adatto. Per quanto si fa attualmente, e pi� ancora nella speranza di un perfezionamento futuro del nostro lavoro, confidiamo di perseguire costantemente le finalit� concrete assegnate alla psicologia da Sante De Sanctis secondo il quale "la ricerca psicologica deve dare il proprio contributo per migliorare le condizioni di vita del singolo e della comunit� sociale". Infatti, se ogni tipo di educazione abbisogna di un fondamento psicologico, tale fondamento � tanto pi� necessario nell'educazione dei ciechi, che � un'educazione eminentemente emendativa e che, nell'impossibilit� di eliminare la cecit�, deve dirigere i propri sforzi alla valorizzazione massima di tutte le funzioni psichiche per formare delle personalit� il pi� possibile complete. Alfredo Stopper CLASSICI DELLA TIFLOLOGIA Ricordo di Enrico Ceppi tiflologo (Tratto da: I problemi della pedagogia, a. 35 (1989), nn. 1-2, gennaio-aprile, pp. 117-129), di Silvestro Banchetti (pagg. 167-184) - Ricordare la figura di Enrico Ceppi significa ripercorrere le tappe dell'integrazione scolastica in Italia e le peculiarit� formative dello studente con minorazione visiva. - Ogni commemorazione si ammanta di un velo di malinconia che assume i contorni della grande tristezza quando la figura, di cui si � chiamati a tracciare il ritratto morale, sia non solo di un amico, con cui si sono condivise la vita nell'istituto, le asperit� dei concorsi per l'insegnamento nei licei e le idealit� filosofiche, pedagogiche ed educative, ma anche di un uomo che abbiamo avuto a fianco nelle difficili battaglie tiflologiche, peraltro insieme quasi sempre perdute. Io, quindi, dovr� far forza sull'onda del sentimento e sull'intrecciarsi dei ricordi, al fine di ricostruire, attraverso l'analisi dell'opera, la personalit� di Enrico Ceppi, che ha iscritto a lettere d'oro il proprio nome negli annali della pedagogia tiflologica, della milizia educativa e dell'impegno concreto dispiegato nella scuola. Anche di Enrico Ceppi, come di ogni grande anima di educatore, si deve ripetere, con Francesco Bacone, che "De nobis ipsis silemus", cio� che si tace di se stessi. Rari, infatti, sono i riferimenti alla propria esperienza di vita e del tutto assenti gli spunti autobiografici nella molteplicit� dei suoi scritti. Io, perci�, nel tratteggiarne i caratteri, debbo attenermi a personali ricordi o alle notizie che ho attinto dai familiari. Enrico Ceppi nacque a Mariano Comense il 31 agosto del 1923, da una famiglia modesta, parsimoniosa, nota per la cristallina onest� e per l'alacrit� lavorativa. I problemi di vista si manifestarono ben presto ed andarono accentuandosi nel tempo. Egli si avvi� alla cecit� molto gradualmente, s� da potervisi lentamente e pazientemente adattare. � probabile che alla serenit� della sua infanzia e della sua fanciullezza abbia giovato la presenza, nel contesto familiare, di un fratello e di una sorella maggiori e di un fratello minore, che poterono essere i suoi compagni di gioco e di esperienze. La gradualit� nella perdita della vista gli consent� anche quella conoscenza del volto delle persone care e delle bellezze naturali, che contribu� a costituire in lui una squisita ed affinata sensibilit�, un equilibrio della sfera affettiva che, pi� avanti negli anni, lo solleciteranno a tentare la Musa e ad esprimere i suoi delicati affetti in componimenti poetici che non sono mai stati stampati, ma che testimoniano, insieme con una profonda ispirazione, l'ampiezza di orizzonti e la ricchezza immaginativa di chi aveva avuto in buona sorte di non piombare rapidamente ed immediatamente nel baratro della cecit�. Mi si consenta di riandare, con il commosso ricordo, a quel che ebbe a dirmi quando prese in affitto, per trascorrervi i pochi e brevi momenti di quiete con la famiglia, un rustico a Rivotorto, nel cuore della carducciana "Umbria verde": "Sono voluto tornare alle radici del Francescanesimo", mi disse. E mi piace pensare che il suo viso fosse raggiante di gioia, perch�, come ha scritto nel volume I minorati della vista, non � vero che il volto dei ciechi � necessariamente sempre immobile. Oggi, in quel "Francescanesimo", io sento la compresenza del suo amore per il creato, della sua dedizione alle creature pi� fragili e del palpito del suo cuore di cristiano. Perse definitivamente la vista all'et� di undici anni e venne avviato all'Istituto per Ciechi di Milano che, in quel tempo, era profondamente influenzato da quella grande anima di educatore e di tiflologo, che fu Pietro Stoppani, nipote del pi� celebre naturalista Antonio. Di lui si � egregiamente occupato Giovanni Giraldi, quando ha scientificamente ricostruito la vita e l'opera dei pi� autorevoli tiflologi e dei ciechi pi� illustri e si � soffermato sulla dolorosa vicenda che, per l'infondata accusa di Modernismo, lo contrappose alla gerarchia ecclesiastica. Non v'� dubbio che il calore del sentimento religioso di Pietro Stoppani abbia profondamente inciso sulla formazione adolescenziale di Enrico Ceppi. Raggiunta la normalizzazione sensoriale, avendo manifestato vivacit� d'intelligenza e dovizia di talenti, venne accolto nell'Istituto dei Ciechi Francesco Cavazza di Bologna. Erano gli anni in cui quella nobile istituzione si segnalava per esperienze d'integrazione che, in quei tempi, potevano e dovevano legittimamente considerarsi di avanguardia, ancorch� ispirate ad una rigida pratica selettiva. Enrico Ceppi fu avviato alla frequenza dell'istituto magistrale, dove venne per la prima volta a contatto con i problemi della pedagogia e con i pi� avvincenti temi dell'educazione. In quegli anni, infatti, l'istituto magistrale tentava di configurarsi nei termini di quel liceo pedagogico, i cui tratti avevano delineato Giovanni Gentile e Giuseppe Lombardo Radice. Conseguito il diploma, che allora si diceva di abilitazione magistrale, Enrico Ceppi si trovava dinanzi all'ostacolo di dover frequentare una Facolt� di Magistero che mancava ancora all'Universit� di Bologna e che lo avrebbe costretto a raggiungere pressoch� quotidianamente Firenze. Egli, anche per rispondere pi� efficacemente al suo bisogno di approfondire le conoscenze letterarie, filosofiche e scientifiche, prefer� prepararsi privatamente per la maturit� classica, che consegu� con risultati brillanti. Pot� quindi iscriversi al corso di laurea in filosofia presso l'Universit� degli Studi di Bologna. In quegli anni, che succedevano immediatamente alla tragica vicenda della seconda guerra mondiale, l'Ateneo bolognese era percorso da vitali fermenti innovatori, la cui presenza non poteva restare indifferente al giovane Enrico Ceppi, ansioso di apprendere e di approfondire. Accanto alla sempre vivida tradizione umanistica e letteraria che, alla fine dell'Ottocento ed ai primi del Novecento, si era invigorita per opera di Giosu� Carducci e di Giovanni Pascoli, si andava svolgendo un fecondo dibattito fra i pi� autorevoli professori di filosofia dell'Ateneo, impegnati a superare l'originaria matrice idealistica. Giuseppe Saitta, discepolo di Giovanni Gentile, accentuava, come recita il titolo di una delle sue maggiori opere, La teoria dello spirito come eticit�. Felice Battaglia, che gi� fin dal 1930, cercava di liberarsi dall'Attualismo gentiliano originario, attraverso il contatto con le pi� vitali correnti del pensiero europeo, approdava ad una prospettiva filosofica che, esaltando la visione paolina dell'uomo, si adoprava affannosamente a recuperare il mondo dei valori, collocati fra la metafisica e la storia, nonch� il significato della persona come realt� sacra. Il corso di laurea in filosofia dell'Universit� di Bologna, per�, proprio a causa dell'impegno a superare l'universalismo astratto della visione attualistica, fu tra i primi che ripristin� l'insegnamento della psicologia. La cattedra fu tenuta, in quegli anni, da una delle figure pi� autorevoli nella conoscenza di questa nuova e ad un tempo rinnovata forma di sapere. Si tratta del professor Alberto Marzi che, movendo da un patrimonio di profonde conoscenze filosofiche, si accostava alla scienza psicologica sia manifestando grande interesse per quegli studi che raccoglier� nel volume La personalit� nell'et� evolutiva, sia impegnandosi nel processo di liberazione della rinnovata psicologia da ogni forma di angusto sperimentalismo e di aduggiante scientismo di origine positivistica. Enrico Ceppi, giovane versatile dalla poliedrica gamma di interessi, i quali andavano nel contempo irrobustendosi anche per la partecipazione ai dibattiti politici e culturali che intensamente si svolgevano nell'ambito dell'Istituto Cavazza, rest� attratto particolarmente dalla figura del docente di questa nuova scienza e, da lui assistito, consegu� la laurea in filosofia, svolgendo la tesi intitolata "La percezione del mondo esterno nei ciechi". Ancora qualche anno dopo, nel 1954, quando a Firenze io sostenni l'esame di psicologia per il corso di specializzazione in filosofia, il professor Alberto Marzi, che nel frattempo si era trasferito nell'Ateneo fiorentino, ricordava la tesi di laurea di Enrico Ceppi come uno dei contributi pi� preziosi all'appassionante conoscenza del mondo di chi non vede. La tesi di laurea e le sollecitazioni della signorina Maria Zanichelli, che era stata una delle prime allieve di Augusto Romagnoli e che aveva seguito Enrico Ceppi nella stesura della dissertazione e lo aveva aiutato come lettrice, ne segnarono definitivamente il destino. Lasciata Bologna, egli frequent� il corso di specializzazione presso la Scuola di Metodo per insegnanti dei fanciulli ciechi e, nella scuola di via del Casale San Pio V, rest�, quasi senza interruzione, per tutto il resto della propria esistenza, percorrendone tutti gli stadi, da quello dell'assistente educatore, di cui d� commossa notizia nel volume Il bambino non vedente pluriminorato, a quello di maestro nelle classi differenziali; da quello di professore nella scuola media a quello contemporaneo di docente di psicologia nei corsi di specializzazione; da quello, iniziato nel 1960, di docente di pedagogia tiflologica negli stessi corsi a quello di preside della Scuola statale Augusto Romagnoli, che intraprese fin dal 1965. In tutti questi anni, caratterizzati dall'intensit� della ricerca scientifica e dall'attivit� organizzativa, il tema originario della tesi di laurea costitu� il motivo fondamentale della sua indagine e della sua vita. La teoria della funzione della forma nel mondo psicologico dei ciechi, infatti, resta il tema centrale dei suoi scritti e dei suoi interessi. Dopo che, con la legge n. 1734 del 1960, la Scuola di Metodo si trasform� in Scuola per la specializzazione degli insegnanti e degli educatori dei fanciulli ciechi Augusto Romagnoli, quell'istituzione, soprattutto per opera di Enrico Ceppi, divent� un centro attivo di ricerca scientifica e metodologica e si configur� come il primo centro medico-psicopedagogico indirizzato all'indagine relativa ai problemi dei non vedenti. Furono particolare cura di Enrico Ceppi l'allestimento e l'arricchimento della biblioteca, che venne accogliendo sempre pi� ampiamente anche opere di studiosi stranieri e che doveva costituire il punto di riferimento per ogni indagine dottrinale e per ogni sperimentazione. Commetterebbe per� grave errore chi riducesse l'opera e l'attivit� di Enrico Ceppi alla mera indagine sulla funzione didattica dell'orientamento del bambino non vedente nello spazio e nella realt� circostante. Egli, formatosi allo spirito umanistico ed alla dottrina psicologica nell'Universit� di Bologna, concep� sempre lo sforzo pedagogico come condizione primaria per la liberazione dagli effetti della minorazione visiva. � in questo contesto di motivi differenti che si pu� intendere il senso fondamentale della sua personalit�, quale venne dispiegandosi non solo nella sua attivit� di docente e di preside, ma anche in quella di presidente della Federazione nazionale delle Istituzioni pro Ciechi, la cui carica assunse nel 1982. La concezione filosofica, che � sottesa alla pedagogia ed all'opera educativa di Enrico Ceppi, si riconduce a quel "Personalismo educativo", di cui in Italia � stato il maggior esponente Luigi Stefanini ed in Francia Emmanuel Mounier. La vita, l'uomo e la sua destinazione finale costituiscono la premessa per ogni indagine che, in tal modo, resta sperimentale senza esaurirsi nello sperimentalismo puro. A me sembrano molto significative alcune trascrizioni in Braille, che Enrico Ceppi volle come consulente e come presidente della Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi: non � casuale che egli si adoprasse alla trascrizione in Braille dell'opera di Doherty Samon, dal titolo Religione e problemi della personalit� (edizioni Paoline, Roma, 1948); � molto significativo come, un anno fa, disponesse la trascrizione in Braille del breve saggio di Jacques Lusseyran, dal provocante titolo Uno sguardo diverso, edito da Filadelfia. � ancora una volta la Francia che, patria di tutte le pi� grandi intuizioni tiflologiche, si affaccia all'orizzonte dei ciechi con la prospettiva di Lusseyran, che si contrappone a quella sensistica tradizionale. La cultura francese, infatti, non � soltanto quella dell'Illuminismo di Diderot, n� quella del Sensismo del Condillac, ma � anche quella della profonda speculazione religiosa che, attingendo alla cartesiana metafisica del "cogito ergo sum", si dilata e si approfondisce nella prospettiva di Malebranche relativa alla "visione delle idee in Dio" e si fa intimistica nella dottrina di Maine de Biran. Jacques Lusseyran s'inserisce in questa corrente di pensiero e sostiene che il mondo non pu� essere riguardato soltanto attraverso i sensi, ma anche mediante una sensibilit� del tutto particolare, quasi eccezionale, di cui i ciechi sarebbero forniti. Enrico Ceppi insistette affinch� io leggessi e valutassi quest'opera, che a lui era particolarmente cara in quanto s'inseriva nella sua matrice profondamente religiosa, dove il Cristianesimo era vissuto in forma sofferta, come accadeva a certe figure di Nino Salvaneschi, ch'egli singolarmente prediligeva. Occorre precisare, per�, che prevalse sempre, nel suo spirito, l'originario influsso degli studi psicologici condotti con Alberto Marzi. Enrico Ceppi, a differenza di Jacques Lusseyran, non concluse mai in una visione mistica, n� mosse mai da una prospettiva che si fondasse su una presunta compensazione extrasensoriale. Egli, spirituale discepolo di Augusto Romagnoli, diede sempre al mondo il proprio significato e non fu mai sollecitato da concezioni immaterialistiche. Torna acconcio, in tal senso, ricordare come significativamente emblematico sia il fatto che proprio lui volle la trascrizione in Braille dell'opera di Hermas Bastien La psicologia dell'apprendimento (La Scuola, Brescia, 1965), quasi a ricordare che il problema della conoscenza, per i ciechi, consiste essenzialmente nelle forme e nei modi di percepire la realt�. Traspare, dalle pagine di Enrico Ceppi, una visione concreta e realistica, quale di rado si trova nei pedagogisti ed anche nei tiflologi. � il tratto che caratterizza i suoi interventi nella rivista "Luce con luce", che fu edita dalla Scuola statale Augusto Romagnoli fra il 1957 ed il 1965; � il carattere predominante dei "Quaderni di didattica" e della "Rivista Italiana di Tiflologia", che ebbero breve vita. � il tratto che si rinviene particolarmente nella fondamentale opera di Enrico Ceppi, intitolata I minorati della vista, pubblicata la prima volta da Armando Armando, a Roma, nel 1969 e, in seconda edizione, nel 1981. Il volume costituisce la trattazione pi� sistematica e pi� organica dei problemi relativi all'educazione dei ciechi, giacch�, fino allora, si erano avuti soltanto spunti e monografie, anche se talvolta di notevole interesse. L'opera di Enrico Ceppi comprende felici annotazioni storiche e comparative italiane, europee e mondiali, esposte sempre in un dettato impeccabile; una vasta prospettazione metodologica e didattica, che percorre tutti gli stadi dalla scuola materna alla scuola professionale; un'accurata ed acuta indagine sugli aspetti psicologici e sociologici impliciti nella minorazione visiva; una vasta informazione sulla legislazione scolastica relativa ai ciechi ed una nutrita bibliografia. Gi� nel 1964, curando insieme con Rina Gioberti il capitolo relativo all'educazione dei ciechi nel volume La pedagogia speciale (a cura di Roberto Zavalloni: La Scuola, Brescia), Enrico Ceppi poneva il problema annoso e drammatico che concerne il recupero di quanti non vedono. Egli, cio�, sottolineava come l'educazione dei ciechi sia sempre oscillata, e continui ad oscillare, fra una visione assistenzialistica, caritativa e l'affermazione della prospettiva sociale e psicologica. Gi� allora egli paventava le soluzioni collettive del problema, in quanto potenzialmente foriere del pericolo di dar forma a piccole societ� di non vedenti. I ciechi costituiscono una minoranza, a cui si contrappone una societ� che spesso fa brutalmente avvertire la propria egemonia. In Italia � sempre prevalsa una soluzione mediana che, nel contesto dell'assistenza, tende a potenziare, anche in colui che non vede, la capacit� di una libera scelta personale. � fuor di dubbio che, da noi, la tutela e la sicurezza non siano state soltanto affidate ai filantropi e che la scelta abbia sempre tenuto conto, con sommo realismo, degli elementi concreti. � certo che, nella prospettiva italiana, molto ha inciso la dottrina dell'autoredenzione, formulata da Augusto Romagnoli. Enrico Ceppi, tuttavia, invita a non sottovalutare la necessit� di una forte organizzazione che, se pur implichi il pericolo di limitare la libert� individuale di chi � impegnato ad attuare il proprio avvenire, ove sia ben guidata, riesce a concorrere al superamento delle varie forme di pregiudizio, che impediscono di vedere, di l� dal cieco, il volto dell'uomo. Leone Tolstoi ha scritto che "� proprio nella sofferenza che si vedono le differenze". I ciechi hanno il diritto di essere se stessi; di essere accolti come uomini per quello che ciascuno di essi � in grado di dare. E mi piace ricordare come, nell'ultimo seminario svoltosi a Tirrenia il 28 e 29 maggio di quest'anno, Enrico Ceppi, ricordando gli ottant'anni dell'articolo di Augusto Romagnoli intitolato "Dalla piet� alla scienza" ed apparso nella Nuova Antologia nel 1908, sottolineasse i pericoli che derivano da un'educazione fondata quasi esclusivamente sul richiedere e quasi per nulla sull'imparare a donare. Enrico Ceppi era convinto che, ove non si riesca a sradicare il pregiudizio, la lotta dei singoli ciechi rischia di vanificarsi e di ridursi all'inane tentativo "di chi presuma di farsi largo in una foresta vergine, strappando con le mani la folta vegetazione che lo imprigiona" (I minorati della vista, seconda edizione, p. 14). Anche in Italia, pur affermandosi il valore dell'individualit� e della personalit� del singolo, � stato indispensabile ricorrere ad atteggiamenti protettivi, a cominciare dalle leggi relative all'obbligatoriet� dell'istruzione, fino a quelle concernenti il collocamento in certe attivit� lavorative. Enrico Ceppi, tuttavia, si preoccupa che le leggi protettive non divengano mai occasione di isolamento e di mortificazione. Scrive: "Le leggi protettive hanno ragion d'essere in una societ� dominata dal pregiudizio, ostile alle forme di vita diverse da quelle comuni, incapace di comprendere il vero messaggio della vita, quando la sua manifestazione sia turbata da una difficolt� permanente" (ib., p. 15). La funzione di tutti gli atteggiamenti protettivi consiste nello "stabilire un banco di prova per le effettive possibilit� di affermazione di quei membri della societ� particolarmente sottoposti all'urto di prove non comuni e per le quali occorrono una preparazione ed una disposizione assolutamente particolari" (ib., p. 15). Ove non si rispetti questo spirito, le leggi protettive possono creare paratie ed incomprensione, ostacolando l'incontro dell'uomo con l'altro uomo e infirmando la sua fondamentale attitudine all'amore. Non v'� dubbio che il cieco, franto pi� di altri dai momenti di sconforto, cerchi sovente la "citt� della solitudine e dell'isolamento", tentando di porre in essere una societ� di simili e disdegnando di attuare la differenziazione, che non dev'essere operata dalle condizioni sensoriali, ma soltanto dal pensiero e dal sentimento, non disgiunti dal fuoco e dalla luce dell'esperienza di vita di chi � costretto ad una maggior sofferenza. Eppure, soltanto questa via � quella che pu� portare il cieco oltre i termini della subumanit� a cui la condizione sensoriale lo condannerebbe in una societ� fondata sull'ingiustizia. Hanno scritto i Ragazzi di Barbiana, nella famosa Lettera a una professoressa (Libreria editrice fiorentina, Firenze, 1967) che "Non v'� peggior diseguaglianza che far parti eguali fra diseguali". Non una societ� paternalistica, n� uno Stato munifico possono dare il diritto alla piena umanit�, bens� la scuola e la cultura. � stata la cultura, nata da un personale, lancinante sacrificio, che ha consentito ad alcune figure di ciechi di uscire dal "buio degli istituti" e di proiettarsi nella societ�, a portarvi la propria luce, scaturita dalla meditazione sul dolore. La via, che conduce all'emancipazione dai condizionamenti della cecit�, � il sapere. Ha scritto Galileo Galilei: "Ma sopra tutte le invenzioni stupende, qual eminenza attinente fu quella di colui che s'immagin� di trovare modo di comunicare i suoi pi� reconditi pensieri a qualsivoglia altra persona, bench� distante per lunghissimo intervallo di luogo e di tempo? Parlare con quelli che sono nell'Indie; parlare a quelli che non sono ancora nati, n� saranno da qui a mille e diecimila anni? E con qual facilit�? Con i vari accozzamenti di venti caratteruzzi sopra una carta". Ed Enrico Ceppi, a p. 41 dell'opera I minorati della vista, dicendo della lettura diretta e personale, parla, con molta efficacia, di "sollievo". La cultura, infatti, non � soltanto acquisizione di dati, n� ornamento del pensiero, ma, derivando dal verbo latino "colere", che significa "venerare" ed assumendo, di conseguenza, una modulazione religiosa, � sempre sollievo, nel senso che porta pi� in alto, fino all'indiamento, le umane creature, consentendo loro di sollevarsi "da l'infima lacuna de l'universo". Cultura e sollievo, quindi, non sono termini contrapposti, ma il secondo � modulazione della prima. Converr� allora che le famiglie dei bambini ciechi o minorati della vista, pur senza negligere nessun tentativo che ragionevolmente possa consentire il recupero del senso visivo, non si abbandonino esclusivamente alle speranze spesso fatue, ma conferiscano un valore prioritario all'educazione. Scrive Enrico Ceppi, a p. 89: "Le affannose corse da una clinica all'altra, l'altalena delle delusioni, l'avvilimento che consegue ad ogni tentativo fallito, potrebbero trovare, pi� che un sostegno morale, un'occasione di superamento. E la fase dell'abbandono troverebbe il suo antidoto nell'organizzazione di un'educazione familiare tempestiva, di una positiva impostazione della vita del bambino non vedente". Soltanto un intervento precoce, infatti, pu� condurre alla normalizzazione, che consiste nell'efficienza dei sensi, nell'equilibrio affettivo, nella funzionalit� immaginativo-percettiva, nel comportamento conveniente. Si tratta di un risultato non facile da raggiungere, perch�, contrariamente a quel che sembra a certa disinvolta teoria dell'integrazione scolastica, non bastano la sensibilit� aptica e quella uditiva. Non � sufficiente una pur efficace e necessaria base prescolare per avviare e continuare il difficile processo cognitivo del bambino cieco. Occorre potenziare la spontaneit� e consolidare l'atteggiamento affettivo, che � spesso profondamente turbato. La presenza della minorazione, infatti, proietta la famiglia e le prime istituzioni in una problematica sempre nuova ed imprevedibile. La differenza fondamentale tra il bambino che vede e quello che non vede, infatti, consiste non soltanto nella quantit� di esperienze, bens� soprattutto nelle modalit� della loro acquisizione e della loro espressione. Il passaggio dalla fase della ricezione passiva a quella della ricezione attiva; da questa allo stadio dell'osservazione guidata e da questo al momento dell'esplorazione autonoma, costituisce, nella prospettiva di Enrico Ceppi, il travaglioso processo per il recupero del bambino non vedente che, solo per tal via, potr� vincere il regresso motorio, l'ecolalia, la fantasticheria, il concettualismo, il nominalismo, la precocit� intellettuale, la propriocezione e qualsiasi altra caratteristica negativa del cosiddetto "cechismo". Sul convincimento, oggi diffuso, che la famiglia, la scuola materna e la scuola dell'obbligo siano in grado di realizzare tanto alta meta, Enrico Ceppi nutre molte e preoccupate perplessit�. L'istruzione dei ciechi venne avviata con le "Avvertenze" che Augusto Romagnoli accompagn� ai programmi redatti da Giuseppe Lombardo Radice per la scuola elementare comune e che s'indirizzavano all'educazione dei bambini e dei fanciulli ciechi. Queste "Avvertenze", che costituiscono sempre il punto di partenza per ogni indagine operata da Enrico Ceppi, s'inserivano nello spirito della pedagogia attualistica ed in esso trovarono positiva applicazione, giacch� quella prevista dal Gentile era una scuola che, dalla quarta elementare in poi, si fondava essenzialmente sulla nozione e sulla cultura acquisita per opera di un valido ed intelligente maestro. L'atto fondamentale della scuola gentiliana, quindi, specialmente nell'ultima sua fase, era costituito dall'ascoltare, non dal fare. A mano a mano, per�, che la scuola italiana crebbe e risent� dell'esperienza connessa alle Scuole Nuove, fiorite nel resto d'Europa e contrastate in Italia sia dall'Idealismo, sia dal regime fascista, le "Avvertenze" di Augusto Romagnoli diventarono sempre meno applicabili e l'integrazione dei fanciulli ciechi nella scuola ordinaria, che il Gentile prevedeva come possibile fin dalla quarta elementare, divent� sempre pi� precaria. Non veniva sufficientemente rispettata la spontaneit�; non veniva adeguatamente stimolato il senso del deweyano "Learning to do by doing", cio� del fattivo processo per cui anche il fanciullo cieco, in una scuola operosa, diventa protagonista della propria formazione. � fuor di dubbio che, ove venga riguardata sotto il profilo dell'integrazione scolastica, la legge n. 1463 del 26 ottobre 1952 costituisce un regresso rispetto alla legislazione gentiliana. � certo altres� che la sua applicazione, prevedendo l'obbligo da parte dei bambini e dei fanciulli ciechi di frequentare la scuola speciale, signific� l'occasione per il prevalere, negli istituti, degli amministratori sui direttori e sugli educatori, preoccupati sempre della crescita armonica del fanciullo e non mai dell'accaparramento delle rette. Quando, per�, la legge n. 1463 venga considerata, come fa Enrico Ceppi, sotto il profilo della pedagogia tiflologica e della psicologia, essa assume un indubbio significato positivo, che l'Autore sottolinea con particolare efficacia. A suo giudizio, la legge n. 1463, ponendo termine alle sperimentazioni precoci di integrazione nella scuola ordinaria, rendeva possibile il rispetto del principio, pedagogicamente sacrosanto, della continuit� di sviluppo psicofisico dell'alunno non vedente. Pare a Ceppi che preoccupazioni organizzative abbiano favorito una grave frattura tra i vari gradi della scuola, che si � riverberata sulla crescita dell'allievo non vedente, favorendone uno sviluppo disarmonico. Scrive Enrico Ceppi, a p. 121: "Precocemente il bambino cieco � stato considerato come il primo termine di un processo d'inserimento nella societ�, in modo che la preoccupazione di preparare il suo avvenire, di assicurargli un posto nella societ�, di premunirlo contro il pregiudizio, di tutelarlo contro gli effetti della minorazione, ha fatto s� che si perdesse di vista la sua realt� del momento; ha indotto a vedere nel fanciullo l'uomo, impedendo cos� al fanciullo di essere completamente tale". Enrico Ceppi riprende il motivo roussoiano, che denuncia la tendenza a negare a ciascun grado della crescita, la propria dignit� e la propria autonomia. Egli sottolinea anche come la presenza medesima della minorazione sia, di per se stessa, foriera di angoscia. Deplora quindi che la scuola tenda ad affrettare una preparazione e diventi preprofessionale, anticipando le fasi scolastiche e provocando la precocit� delle funzioni intellettive. Scrive a p. 122: "Ma � veramente sicuro che, sotto le ceneri calde della vivida fiamma dell'intelligenza che progredisce, non si nasconda il vuoto o il freddo di una immaginativa povera, di una fantasia mortificata, di un sentimento ripiegato su se stesso e stretto nelle forme della preoccupante involuzione?". Si corre il pericolo reale che, scindendosi nel fanciullo cieco l'intelligenza dalla restante personalit�, in lui si attenui l'umanit� viva ed attiva, favorendosi invece lo svolgimento quasi esclusivo di alcune funzioni psichiche, che fanno di lui un soggetto ottimo sotto il profilo tecnico e sotto quello dell'abilit�, ma non sotto quella che Jacques Maritain direbbe "l'educazione integrale". La legge n. 1463, a suo giudizio, avrebbe offerto una scuola libera o liberata da ogni preoccupazione esterna a se stessa ed avrebbe aiutato l'insegnante a scoprire la realt� del fanciullo che ha sempre, alle proprie spalle, un'esperienza amara. La continuit� didattica, ancor pi� necessaria per il fanciullo cieco di quanto tale non sia per quello integro di sensi, � presa di coscienza della propria realt� psicologica; � problema di collaborazione tra il professore della scuola media ed il maestro della quinta elementare; �, per consentirci un'espressione diffusa, la conoscenza globale dell'alunno attraverso il metodo anamnestico, per la cui attuazione non � certo sufficiente conoscere il libretto scolastico dell'allievo. La normalizzazione non si esaurisce nel primo triennio, come lo stesso Augusto Romagnoli dovette implicitamente riconoscere quando, per il sopraggiungere di difficolt� d'ordine psicologico, abbandon� il principio dell'integrazione in quarta elementare, n� al termine della scuola primaria. La scuola "particolare", come la chiama Enrico Ceppi, che rifiuta il termine "speciale" in quanto l'aggettivo � carico di significati negativi, involge tutto l'arco della scuola dell'obbligo. Il livello medio del fanciullo cieco � diverso, spesso inferiore, rispetto a quello del fanciullo coetaneo. Differenti radicalmente sono le forme di attivit� ludica; troppo diversi sono i tempi di crescita e di maturazione. Non v'� dubbio che alcuni fanciulli ciechi si possono considerare normalizzati al termine del quinquennio elementare; altri, per�, debbono attendere anche il triennio della scuola media, considerata giustamente come triennio postelementare; altri ancora dovranno attendere forme diverse di scuola successiva all'obbligo. Coloro che debbono attendere il triennio della scuola media di primo grado per raggiungere la piena normalizzazione sensoriale sono sempre stati il numero maggiore. Nella prospettiva di Enrico Ceppi, quindi, la scuola primaria � sempre scuola di differenziazione didattica. Egli ricorda come, per consolidata esperienza, svoltasi soprattutto presso l'Istituto Cavazza di Bologna, molti preadolescenti ciechi venissero integrati nella scuola ordinaria fin dalla prima media inferiore, senza quegli esoneri che giustamente considera "mortificanti". Ricorda come tanti di noi si siano formati, proprio nella scuola comune, quelle amicizie che dovevano consolidarsi e durare molto oltre i termini della scuola e come tanti di noi avvertissero il reale dramma di chi doveva combattere, spesso in condizioni di solitudine, la propria battaglia. Il preadolescente cieco "sentiva che gli altri avrebbero potuto accettare alla pari la sua presenza, solo se si mostrasse superiore, solo se tendesse con tutte le sue forze, nel segreto della sua vita interiore, a superare se stesso, imponendosi sul piano dell'emulazione e dell'affermazione" (p. 128). Si chiede, per�, quasi angosciosamente, Enrico Ceppi quanti riuscissero e quanti invece restavano dolorosamente per via, obliati dalle nostre medesime istituzioni. Per il non vedente non � accettabile tentare il rischio, senza che esistano ragionevoli possibilit� di esito positivo. Il fallimento di una strada, infatti, potrebbe significare l'impossibilit� di riprendere il cammino in una direzione diversa; sarebbe un'impossibilit� non tanto sotto il profilo teorico, n� sotto quello attitudinale, quanto da un'angolazione psicologica. Vi sono sconfitte che, sommandosi alle prove a cui la minorazione costringe quotidianamente il cieco, finiscono per rendere il fardello della vita insopportabile. L'impegno e la tensione sono indubbiamente formativi, ma purch� vengano rapportati alle possibilit� effettive del soggetto che non vede. Diversamente operando, si possono infrangere le capacit� di resistenza e di reazione. Questo insegna il Personalismo pedagogico. � vero che noi, integrati nella scuola ordinaria in prima media, abbiamo studiato fino allo spasimo. � anche certo, per�, che non abbiamo giocato; non abbiamo potuto sorridere alla nostra adolescenza e sovente ne abbiamo tratto un "habitus" di seriosit� che ci � rimasto tipico per tutta la vita ed ha talvolta reso difficile la comprensione delle modulazioni dell'umana esistenza, che, a Dio piacendo, non s'intessono soltanto di latino e di storia, ma anche di manifestazioni garrule. Nella prospettiva di Ceppi, inoltre, l'educazione, contrariamente a quel che pareva alla scuola d'ispirazione gentiliana, non si risolve e non si esaurisce nel momento scolastico, pur essenziale. Egli par ripetere, con i programmi elementari del 1955, che "l'educazione non comincia nella scuola e non si esaurisce in essa". La lettura e l'approfondimento delle pagine delle Nuove lezioni di didattica di Robert Dottrens lo avevano profondamente convinto che, sotto il profilo scolastico, l'individualizzazione dell'insegnamento � il miglior metodo. Questa individualizzazione mancava al preadolescente cieco precocemente integrato nella scuola ordinaria. Il fanciullo ed il preadolescente non erano messi in grado di rendere attiva la propria presenza nella comunit� scolastica. Essi erano costretti a diventare precocemente "razionalizzatori"; l'intellettualismo, la capacit� di ritenere nella memoria i dati acquisiti ed una cultura uniforme ed unilaterale erano il pericolo reale, incontro a cui andavano i ragazzi ciechi, che si formavano anche talvolta un notevole bagaglio di erudizione, ma che non sempre dimostravano di esser capaci di far s� che esso diventasse effettivo patrimonio culturale. L'analisi, pi� o meno consapevole, di queste difficolt� aveva favorito l'estensione, anche ai ciechi, di quell'"Avviamento professionale", che il ministro Guido Belluzzo aveva fondato nel 1928, in contrapposizione al Ginnasio d'ispirazione gentiliana. Per i ciechi la selezione non � mai facile, in quanto resta assolutamente arduo predeterminare i tempi di adattamento alla situazione minorativa. Ogni selezione precoce ed ogni orientamento sbagliato, d'altra parte, favoriscono uno sviluppo disomogeneo, che porta al rifiuto della minorazione ed a una sorta di malcelata ostilit� verso coloro che hanno la fortuna di essere integri di sensi, che vengono considerati come fossero colpevoli di questa loro felice condizione. Nella prospettiva di Enrico Ceppi, se davvero la scuola deve costituire il "ridestarsi di interessi", occorre una didattica adeguata, che sia capace di condurre dalla ricezione all'azione. Il materiale didattico, allora, diventa occasione di sviluppo e non pu� essere pi� casuale. La vera educazione far� s� che il fanciullo cieco apprenda non soltanto ad avvertire gli oggetti, ma anche a rappresentarne a se stesso la forma. L'educazione, infatti, non si riduce n� ad addestramento, n� ad ammaestramento. Diversamente operando, il bambino cieco incorrer� o nel formalismo delle parole, o in quello, non meno pernicioso, delle cose, senza riuscire a formarsi rappresentazioni adeguate o concetti esatti. Anche il bambino cieco, come quello che vede, dev'essere stimolato a chiedere il perch� delle cose, quell'ansioso perch�, di cui scriveva con tanta amorevolezza Maria Montessori. Ed anche nel suo perch�, come avverte il Piaget a proposito del bambino che vede, si ritrovano il senso causale e quello finale. Nella domanda "perch� piove?" anche il bambino cieco intende chiedere per quale ragione, ma anche a quale scopo cade la pioggia. Alcune riflessioni mi sembrano fondamentali, dopo l'insistenza di Ceppi sulla scuola particolare. Innanzi tutto, non � la scuola un laboratorio sperimentale, ma � sempre il luogo dove, di l� dai contenuti, si fa predominante il calore degli affetti. In secondo luogo, a differenza di quanto il legislatore prevedeva nel 1923, quando diceva di "ciechi educabili", per Enrico Ceppi non esiste la ineducabilit�. Egli, anzi, manifestando la logica dell'essere, dell'amore, della gratuit� che � propria della sua prospettiva cristiana, par quasi dimostrare amorevolmente singolare cura per coloro che meno hanno di capacit� e di vitalit� proprie. Parafrasando il titolo di uno scritto che Neera Fallaci dedica a Don Lorenzo Milani, si potrebbe dire che anche Enrico Ceppi, nonostante la sua formazione classica, stia "dalla parte dell'ultimo". E fra gli ultimi sono da considerare due gruppi alquanto peculiari: sono quello di quanti, con gravit� diversa, soffrono di ipovisione. Di esso Enrico Ceppi ricord�, nel seminario di San Miniato, di aver avuto amara esperienza nella fanciullezza; e quello dei ciechi con altre minorazioni, a cui si accosta con religioso rispetto. Tutti e due i gruppi d�nno occasione ad altrettanti capitoli che restano fra i pi� pregevoli nella sua intelligenza di studioso e nella sua attivit� organizzativa. In terzo luogo, si comprende per quale ragione Enrico Ceppi dedichi tanta parte della sua opera alla ricerca didattica, pur senza restare mai schiavo del metodo. Basterebbe rileggere le belle pagine ch'egli dedica alla scuola materna, l� dove espressamente nega la presenza di un programma e la necessit� di un metodo, per rendersi conto di quanto la questione didattica costituisca per lui non una norma, bens� un problema. Se di un metodo deve parlarsi nella scuola materna, questo dev'essere detto "metodo materno", dice Enrico Ceppi, ripetendo lo spirito e la lettera dell'opera di Rosa Agazzi. Come quarta riflessione, io invito a rileggere le pagine che egli dedica agli insegnamenti speciali ed a soffermarsi sulla insistenza con cui ribadisce che l'educazione fisica, quella ritmica, quella mimica, il gesto e la stessa educazione musicale non possono mai ridursi a pure tecniche, ma debbono sempre costituire terreni di conquista. La presenza di un metodo meditato razionalmente salvaguarda la particolarit� della scuola, ma questa non si esaurisce in una questione metodologica e didattica, tale che, insistendovi eccessivamente, possa compromettere la capacit� intuitiva e creativa sia del maestro, sia del fanciullo. E come la geografia, trascendendo i termini dell'apprendimento nozionistico, pu� e deve diventare, per il fanciullo cieco, occasione di socialit�, cos� il disegno e la modellatura, articolandosi nei vari momenti della loro attuazione, debbono e possono condurre al formarsi di sentimenti che, per il fanciullo cieco, si traducano in capacit� espressive del proprio volto, del proprio portamento e del volto degli uomini. Dall'insistenza sulla scuola particolare discende l'importanza che Enrico Ceppi conferisce alla specializzazione degli insegnanti, che si connette alla differenziazione didattica. Scrive egli, a p. 147: "Essere maestro o educatore di fanciulli privi della vista vuol dire assumere un impegno preciso nei confronti della propria coscienza e della societ�; vuol dire avere in s� la forza e l'attitudine necessarie a superare la resistenza alla minorazione, per confermare l'atteggiamento fiducioso, che consente di far scoprire l'integrit� del fanciullo e dell'adolescente oltre le parvenze reclusive della minorazione". L'insegnante specializzato deve contribuire ad allontanare dalla scuola e dalla societ� ogni forma di pietismo che � rifiuto della minorazione dei ciechi da parte di coloro che vedono. La specializzazione, tuttavia, non si risolve in una questione vocazionale, giacch� � realt� ben pi� alta. Essa � approfondimento delle conoscenze teoretiche, ma � anche acquisizione delle tecniche specifiche. Sarebbe estremamente schematico e semplicistico desumere, da tutte queste riflessioni, che Enrico Ceppi avvers� l'integrazione dei bambini e dei fanciulli ciechi nella scuola ordinaria. � vero bens� che egli, come i pi� sensibili fra i tiflologi italiani ed europei, raccomand� prudenza, accortezza e gradualit�, affinch� l'integrazione non si risolva nella semplice compresenza, ma rispetti la processualit� del soggetto e della realt� ambientale, in quanto soltanto un'integrazione non disgiunta dalla normalizzazione sensoriale pu� condurre alla socializzazione. Egli pavent� che, nell'ambito di una famiglia abbandonata a se stessa, la spontaneit� del bambino cieco possa venir compromessa, soverchiata com'� dal pericolo dello scoraggiamento. Egli si pose il problema di quali debbano essere le effettive richieste che si possono rivolgere alla famiglia, che spesso � ancor oggi lasciata sola dinanzi al suo dramma. Pavent� che l'intuito vivace del bambino cieco possa venir appannato, quando egli si senta come straniero in casa propria e quando, in una scuola non adeguatamente preparata, il suo apprendimento rischi di diventare meccanico e ripetitivo. Da fine educatore qual era, si rese conto che la scuola si adegua troppo spesso alla realt� di una situazione e tende a render responsabile di ogni fallimento la minorazione, concludendo in una sorta di moderno fatalismo. Comprese che troppo spesso la famiglia, le prime istituzioni e la stessa scuola chiudono gli occhi dinanzi alla cecit�, laddove bisognerebbe spalancarli sulla realt� del cieco e del minorato della vista. Ebbe netta la sensazione che oggi, come egli scrisse nel capitolo direttamente steso per il volume Il bambino non vedente dalla scuola materna alla scuola elementare: prerequisiti per l'apprendimento del sistema Braille (Marino Fabbri editore, 1986), la cecit� tende a venir "circuitata". E in questa espressione debbono leggersi tutta l'ansia del pedagogista e tutti i pericoli di un'integrazione, le cui modalit� sono ancora oggi tutte da inventare. Sent� quanto sia grave che l'insegnante specializzato diventi oggi il generico insegnante di sostegno, sulla cui preparazione nutr� seri, fondati e legittimi dubbi, soprattutto all'indomani dell'approvazione dei cosiddetti "corsi polivalenti". Non fu per� insensibile alla ventata che sconvolgeva le scuole speciali e si adopr�, con le residue sue forze fino alla loro totale consunzione, affinch�, anche nell'�ra dell'integrazione, una nuova alba radiosa possa finalmente sorgere sull'orizzonte di quanti non vedono. Insistette sulla necessit� che il bambino cieco sia fornito di un libro che sia degno di quel nome e che sia significante ed educativo, in riferimento alle specifiche esigenze dell'alunno che non vede. I molti convegni ed i tanti seminari, a cui abbiamo dato vita in questi ultimi vent'anni; l'attivit� nella commissione paritetica, costituita fra l'Unione Italiana Ciechi e la Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi; ma soprattutto le interminabili peregrinazioni, che lo hanno visto protagonista nei corsi monovalenti e polivalenti dall'un capo all'altro della Penisola, sono la testimonianza del suo impegno a trasporre, nella scuola ordinaria, lo spirito della didattica che fu proprio delle scuole particolari, affinch� il bambino ed il fanciullo ciechi possano trovare qui le stesse possibilit� di crescita che trovarono in quelle istituzioni. In una torrida domenica d'agosto, la morte, prematura ed improvvisa, lo ha sottratto a questo alacre fervore ed a tutti noi. Oggi, quelli che gli fummo amici ed anche quanti gli furono lealmente avversari, sentiamo come ogni problema tiflologico, senza la presenza di tanto profondo interlocutore, diventi pi� complesso. Le somme virt� teologali della fede, della speranza e di quella carit�, che a lui fu viatico per tutta la vita, in forma non mai appariscente, siano di conforto alla famiglia. La sua pagina resti, in questo "oceano di dubbiezze", un punto di riferimento per quanti, oggi e domani, continueranno ad occuparsi ed a preoccuparsi dell'educazione, della rieducazione e quindi della riabilitazione relative ai bambini, ai fanciulli, ai giovani ciechi o, comunque, minorati della vista. Silvestro Banchetti Segnalazioni bibliografiche, a cura del Centro di Documentazione Tiflologica (pag. 186) The Oxford handbook of music and disability studies, a cura di B. Howe, S. Jensen-Moulton, N. Lerner e J. Strauss. Oxford: Oxford University Press, 2016 (ISBN: 9780190650605). Partendo dall'assunto che, pur relativamente recenti nell'ambito dei Disability Studies, gli studi musicologici hanno ormai raggiunto un notevole stadio di maturazione, il corposo volume raccoglie un cospicuo numero di saggi sui diversi aspetti e le diverse declinazioni in cui il concetto di disabilit� si riflette nella musica. Le otto parti in cui � diviso il volume raccolgono altrettanti gruppi di studi su diversi aspetti di quella relazione: la musica nei diversi gruppi di disabili, le tecnologie assistive, la tradizione classica e moderna, musica e cinema. Ogni capitolo � accompagnato da una ricca bibliografia. D. Bulgarelli, Nido inclusivo e bambini con disabilit�. Favorire e supportare il gioco e la comunicazione. Trento: Erickson, 2018 (ISBN: 9788859015932). Le tematiche inclusive nel periodo del nido si presentano in questo volume in tutta la loro importanza e criticit�, anche per il valore che ha l'intervento "precoce" nei confronti del bambino con disabilit�. Dal diritto, al supporto alla famiglia, allo sviluppo delle attivit� ludiche e comunicative, vengono affrontati i principali aspetti del processo di sviluppo e di inclusione, con indicazioni precise per i professionisti dell'infanzia. Le pubblicazioni della Biblioteca Italiana per i Ciechi (pagg. 187-192) - Isabella Guerrieri Natoli, La scuola e l'alunno non vedente, Monza: Biblioteca Italiana per i Ciechi, 2012, 106 p. (Euro 5,00). Con un linguaggio piano e scorrevole, l'autrice ci trasmette la passione e la creativit� della sua lunga esperienza di insegnante di bambini con disabilit� visiva. Il discorso didattico, articolato nelle diverse materie, si arricchisce delle profonde osservazioni e dei numerosi suggerimenti pratici, che fanno di questo libro solo all'apparenza un manuale operativo: in realt� un discorso articolato sull'apprendimento e sull'integrazione. - Yvette Hatwell, Psicologia cognitiva della cecit� precoce, Monza: Biblioteca Italiana per i Ciechi, 2010, 264 p. (tit. orig.: Psychologie cognitive de la c�cit� pr�coce, Paris: Dunod, 2003), Euro 12,00. Qual � la reale incidenza della cecit� sullo sviluppo percettivo e cognitivo del bambino e del giovane adulto? Quali ricadute ha sui processi educativi? Partendo da questi interrogativi, l'autrice illustra gli studi e le ricerche sperimentali sui processi cognitivi e percettivi in presenza di cecit� ed ipovisione degli ultimi quaranta anni. Un'opera che, nei suoi intenti, potr� essere d'aiuto non solo agli studiosi di psicologia cognitiva, ma anche agli educatori specializzati, insegnanti ed in genere a tutti coloro che affrontano le problematiche legate alla disabilit� visiva. - Immagini da toccare. Proposte metodologiche per la realizzazione e fruizione di illustrazioni tattili, a cura di Antonio Quatraro, Monza: Biblioteca Italiana per i Ciechi, 2004, 128 p. (Euro 10,00). La grafica tattile e le sue peculiarit� pedagogiche e didattiche, le caratteristiche realizzative e la descrizione delle buone prassi. Con un ricco corredo iconografico, questa guida mette a disposizione di insegnanti, assistenti scolastici, genitori ed operatori la migliore tradizione nel campo della progettazione e della realizzazione di plastici e tavole a rilievo. - Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita", Codice Braille Italiano 2018, 71 p. (Euro 5,00). Ideato dal cieco francese Louis Braille, l'alfabeto che porta il suo nome � il sistema di scrittura e di lettura tattile per ciechi, in grado di codificare tutti gli alfabeti. - Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita", L'alfabeto Braille come fondamento dell'emancipazione culturale e sociale dei ciechi, Atti del Convegno nazionale, Roma 16 ottobre 2002, 2002, 102 p. (Gratuito). Il bambino cieco o con residuo visivo minimo, privato del Braille, nell'illusione che possa mimetizzarsi fra i coetanei vedenti, � praticamente condannato all'analfabetismo strumentale; � costretto a rinunciare ad uno dei pi� efficaci fattori di autonomia personale e di integrazione scolastica, lavorativa e sociale. Fortunatamente vi sono anche molti genitori che, dopo qualche giustificata perplessit� iniziale, comprendono che il vero handicap consiste nel non essere capaci di risolvere i problemi e non negli strumenti o nel procedimento di cui ci si avvale per affrontarli. - Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita", Tecnologia e integrazione dei disabili visivi e dei pluriminorati. Guida per l'approccio all'informatica, a cura di Antonio Quatraro, 2001, VIII, 126 p. (Euro 5,00). Imparare a servirsi delle possibilit� offerte dalla tecnologia pu� essere un fatto meccanico e nozionistico, che poco giova alla maturazione del bambino, oppure pu� rivelarsi, come noi auspichiamo, un'opportunit� per affinare le capacit� immaginative e le abilit� di astrazione; per�, per perseguire questo secondo obiettivo, occorre il concorso di tutte le figure che si occupano dell'educazione del bambino, e innanzitutto la famiglia, e si richiede una flessibilit� nell'adottare le diverse soluzioni, quelle tradizionali e quelle tecnologicamente avanzate, con le opportune gradualit� e intercambiandole a seconda del livello di maturazione, degli obiettivi perseguiti di volta in volta e del livello di motivazione del ragazzo. - Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita", Crescere insieme. Guida per genitori, a cura di Antonio Quatraro, 2001, XII, 296 p. (Euro 5,00). Con questa guida ci rivolgiamo ai genitori di bambini e di ragazzi non vedenti, ipovedenti o non vedenti con pluriminorazione. Abbiamo voluto raccogliere l'esperienza di alcuni specialisti che da molti anni in vario modo si occupano del sostegno alla famiglia; abbiamo voluto raccogliere anche alcune tra le numerose testimonianze dei genitori, perch�, anche in una societ� come la nostra, tutta velocit�, tutta immagine, crediamo che la parola, il libro, possa ancora aiutarci a conoscere meglio cosa abbiamo dentro, ad esprimere meglio i nostri dubbi, i nostri sentimenti, le nostre aspirazioni. - Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita", Le problematiche dell'integrazione del non vedente nella scuola. Guida per insegnanti, testo redatto da Giancarlo Abba, Paola Bonanomi, Elisa Faretta e Anna Soldati dell'Istituto dei Ciechi di Milano, 2001, XIV, 78 p. (Euro 5,00). La presente "guida", dove il termine guida, senza voler essere un prontuario, indica la volont� di proporre un supporto concreto volto a suggerire consigli sulle modalit� di approccio al non vedente sul versante della comunicazione in ambiente formativo e scolastico, vuole definirsi soprattutto come strumento pratico di lavoro per gli insegnanti. La scelta che ci ha guidato � stata quella di porci le domande che gli insegnanti si pongono e alle quali abbiamo cercato di dare risposte concrete. La guida pratica vuole esprimere inoltre un valore orientativo che dia all'insegnante alcune coordinate pedagogiche, o meglio, tiflopedagogiche affinch� nel suo itinerario educativo possa affrontare la complessit� della problematica in modo pi� consapevole. - Jos� Enrique Fern�ndez del Campo, L'insegnamento della matematica ai ciechi (La ense�anza de la matematica a los ciegos), 2000, 354 p. (Euro 5,00). Ma quale matematica � possibile insegnare ai ciechi? Sar� forse necessario pensare ad una riduzione dei curricoli? La minorazione visiva pone dei limiti all'apprendimento di questa disciplina, gi� ritenuta tanto ostica per tutti? Dovremo forse tagliar via tutti quegli aspetti della matematica o della geometria cos� legati alla vista, nell'immaginario di tanti? (Quanto ci condizionano, ammettiamolo, la cara tradizionale lavagna o un grafico che vediamo svilupparsi sullo schermo di un computer!). Ed ecco che l'autore, anzich� rispondere a queste ovvie ed immediate domande, si pone pazientemente a ricostruire quali siano il senso e la natura di questa scienza, per poter arrivare a capire cosa significhi insegnarla. - M. Cay Holbrook (a cura di), Il bambino con disabilit� visiva. Guida per i genitori (Children with visual impairments. A parent's guide), 2000, XIV, 494 p. (Euro 5,00). La "Guida" si configura come un'opera di valore scientifico proprio perch� riesce a coniugare l'esigenza della chiarezza con quella, altrettanto fondamentale, dell'efficacia del messaggio; sotto questo ultimo aspetto le testimonianze dei genitori da un lato ed un intero capitolo affidato ad un genitore che � anche un professionista nel settore (il capitolo sesto), contribuiscono a renderla un'opera viva, da cui anche chi lavora in questo campo, pur senza essere n� genitore, n� famigliare del bambino con disabilit�, pu� certamente trarre insegnamento. - Pierre Henri, La vita e l'opera di Louis Braille (La vie et l'oeuvre de Louis Braille), 2000, 116 p. (Euro 5,00). Il volume di Pierre Henri si profila senza dubbio come un classico sia per quanto attiene alla struttura del sistema Braille, sia per quel che si riferisce alla figura del suo ideatore. Insieme con il breve ma succoso scritto di Jean Roblin, oggi di difficile reperibilit�, l'opera di Henri costituisce una lettura imprescindibile e prioritaria per chiunque, anche nel nostro tempo contraddistinto da tante felici innovazioni, voglia accostarsi al sistema di scrittura e di lettura tattile, al fine di approfondirne le vaste potenzialit�. - Pierre Henri, La vita dei ciechi (La vie des aveugles), 2000, 97 p. (Euro 5,00). Pierre Henri, con molta naturalezza, ci parla delle prospettive di successo scolastico per i ciechi, la cui cecit� sia riconosciuta e alle esigenze formative dei quali siano date le risposte giuste. Egli ci parla di lavoro e della possibilit�, per i ciechi e per gli ipovedenti, di divenire economicamente autonomi, di essere utili a se stessi, alla loro famiglia ed alla societ�. Ci descrive la vita dei ciechi e degli ipovedenti nell'ambito della famiglia che si sono costruiti; ce li presenta come genitori che educano e curano i loro figli; come fruitori delle bellezze della natura e dell'arte; come turisti...; insomma, dopo aver letto le sue pagine, nessuno pu� pi� aver dubbi sul fatto che la vita dei ciechi e degli ipovedenti pu� essere varia, ricca di soddisfazioni e, in definitiva, degna di essere vissuta, come la vita di qualsiasi altro essere umano. - Consiglio Internazionale per l'Istruzione e l'Educazione delle Persone con Disabilit� Visiva (ICEVI), Atti della Conferenza Europea sull'Istruzione e l'Educazione dei Disabili Visivi. Scambio di informazioni e di idee (Proceedings. European Conference on Education of Visually Impaired. Mutual Information and Inspiration), Budapest, 4-8 July 1995, 2000, XIV, 265 p. (Gratuito - Esaurito). Il testo offre spunti di riflessione a quanti sono impegnati a qualsiasi titolo nel settore della disabilit� visiva e della pluriminorazione. Spunti che mettono in discussione lo stesso modo di leggere lo sviluppo del bambino cieco, spunti che ci indicano l'importanza di una presa in carico della famiglia, da parte del sistema dei servizi, sia di riabilitazione che di formazione in genere; una presa in carico che tende a valorizzare le risorse umane, aiutando la famiglia a riprendersi il ruolo che le spetta, nel processo formativo di qualunque fanciullo, specie se disabile visivo o con minorazione multipla. - Rosa Lucerga Revuelta, Palmo a palmo. La motricit� fine e la condotta di adattamento agli oggetti nei bambini ciechi (Palmo a palmo. La motricidad fina y la conducta adaptativa a los objetos en los ni�os ciegos), 1999, 65 p. (Euro 5,00). La semplicit� e la chiarezza espositiva nascono da anni di consuetudine professionale e umana tra i bambini ciechi. Ma la forma e il contenuto dell'opera rivelano anche un'impostazione scientifica aperta e aggiornata: dalla scuola del Piaget, alle ricerche della Fraiberg, dagli studi sulla percezione, alla valenza dei quadri affettivo-relazionali sulla motivazione all'attenzione esterocettiva e alla conoscenza. L'autrice ha tratto le sue riflessioni dal ruolo di Coordinatrice del servizio di Assistenza Precoce ai bambini con gravi minorazioni visive di Madrid e in questo volume centra l'attenzione su "Lo sviluppo della motricit� fine e la condotta di adattamento agli oggetti nei bambini ciechi", nella fascia di et� compresa tra i tre e i cinque anni. - Paola Zaniboni, Il bambino non vedente: finalit� e metodi della scuola dell'obbligo, 1999, XI, 108 p. (Euro 5,00). L'autrice non si � proposta di scrivere un saggio di tiflologia. Con l'umilt�, con la sensibilit� di chi, da anni, opera nella scuola elementare e di chi ha vissuto per il recupero dei bambini privi della vista, ha inteso fornire le linee generali, le indicazioni essenziali per una didattica specializzata, dalla quale non si pu� prescindere quando l'atto educativo si rivolga ad un bambino cieco, comunque e da chiunque venga formato. - Costanzo Capirci, I segni della musica nel sistema Braille, 1997, VIII, 119 p. (Euro 5,00). Questo libro, � un manuale didattico basilare, un itinerario formativo che, attraverso l'educazione musicale, consente al ragazzo cieco di pervenire successivamente ad una consolidata acquisizione culturale della musica. I volumi possono essere richiesti a: Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" - Onlus Via G. Ferrari, 5/A - 20900 Monza (Mb) - Tel.: 039.283271; Fax: 039.833264; E-mail: bic@bibciechi.it ?? ?? ?? ??