Gennaio-Marzo 2017 n. 1 Anno 27 Tiflologia per l'integrazione Trimestrale edito dalla Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus con il contributo dell'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti e della Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi Fascicolo I Stampato in Braille a cura della Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus via G. Ferrari, 5/A 20900 Monza Gli articoli firmati esprimono l'opinione dell'autore, che non coincide necessariamente con la linea della redazione. 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Ferrari, 5/A 20900 Monza (MB) (indicando la causale del versamento) Indice Editoriale Alcune considerazioni sul Trattato di Marrakesh, di Pietro Piscitelli (pagg. 2-3) Sviluppo cognitivo Che cosa vedono gli altri sensi ovvero che cos'ha in comune la vista con le diverse forme di percezione?, di Francesco Fratta (pagg. 4-13) Insegnanti specializzati Rinasce la figura del tiflologo, di Gianluca Rapisarda (pagg. 14-19) Didattica La didattica del disegno nella Scuola primaria per ciechi, di Orfeo Ferri (pagg. 21-34) Legislazione Le novit� introdotte dal Decreto sull'inclusione, di Gianluca Rapisarda (pagg. 35-48) Classici della tiflologia La nuova scuola media secondo una integrale formazione umana dei fanciulli ciechi, di Elena Romagnoli Coletta (pagg. 49-64). EDITORIALE Alcune considerazioni sul Trattato di Marrakesh, di Pietro Piscitelli (pagg. 2-3) Nel giugno 2013 una Conferenza diplomatica dell'Organizzazione Mondiale per la Propriet� Intellettuale (WIPO in inglese), riunitasi a Marrakesh, adotta un trattato che ha per titolo Trattato di Marrakesh per facilitare l'accesso ai testi pubblicati alle persone cieche, con incapacit� visive o altre difficolt� ad accedere al testo stampato. Si tratta di un trattato che spinge gli stati membri del WIPO e poi tutti gli Stati a livello globale, a facilitare, predisponendo le necessarie modificazioni alle leggi d'autore a livello nazionale, la diffusione e lo scambio interfrontaliero dei libri in formato accessibile. Attualmente le statistiche ci dicono che tra l'1 ed il 7%, a seconda che si parli dei paesi in via di sviluppo o meno, dei libri pubblicati viene reso accessibile e disponibile a livello globale. Questo in parte � dovuto ad alcune limitazioni nelle leggi che a livello dei singoli Stati vengono a regolare il diritto d'autore. Lo scopo del Trattato di Marrakesh � pertanto quello di prevedere la possibilit� di modifiche in tali leggi che permettano di venire incontro a quella che � stata chiamata la "carestia di libri" (book famine), a vantaggio di coloro che hanno una difficolt� di lettura del testo stampato. Il Trattato prevede che alcuni Enti "autorizzati" possano distribuire a livello nazionale ed internazionale ad altri Enti "autorizzati" o ai singoli beneficiari i libri accessibili prodotti. Questo permetterebbe di mettere a disposizione - soprattutto nei paesi in via di sviluppo - patrimoni librari in formato accessibile anche cospicui. Senza entrare nei dettagli del Trattato, vorrei fare due considerazioni generali. La prima: per un disabile della vista il libro rimane comunque un momento formativo imprescindibile. Possiamo forse dire che si viene a creare una sorta di "paradosso formativo" nella misura in cui la difficolt� nel rendere talvolta accessibile un libro va di pari passo con la sua importanza quale elemento di cultura. Proprio su tale "paradosso" il Trattato vuole intervenire per facilitare la diffusione delle opere accessibili. La seconda: il Trattato si inserisce prepotentemente nell'ambito non solo della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilit�, ma pi� in generale della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. In sostanza, si vuole qui ribadire l'importanza dell'accessibilit� al testo stampato quale elemento cardine per una efficace inclusione sociale. Il testo accessibile diviene pertanto non solo funzionale alla formazione, come abbiamo ricordato, ma anche alla condivisione dei saperi. Proprio in tale momento di condivisione - nel momento cio� in cui il lettore con disabilit� visiva avverte la possibilit� di accedere a ci� che altri leggono - si realizza la possibilit� di partecipare con maggiore pienezza a tutti gli aspetti della vita. Il direttore responsabile prof. Pietro Piscitelli SVILUPPO COGNITIVO Che cosa vedono gli altri sensi ovvero che cos'ha in comune la vista con le diverse forme di percezione?, di Francesco Fratta (pagg. 4-13) - Nel privo della vista, il tatto non � solo un senso vicariante, ma presenta peculiarit� conoscitive proprie e caratterizzanti, essenziali per lo sviluppo della personalit�. - Questa domanda nasconde in realt� un intento polemico. Essa sembra far propria la concezione secondo cui la vista � il principe dei sensi, rispetto alla quale tutti gli altri, almeno da un punto di vista cognitivo ed estetico, valgano di pi� o di meno a seconda di quanto siano pi� o meno capaci di svolgere funzioni di tipo visivo. Ci� che segue vuol essere invece proprio una presa di distanza da tale concezione, e una rivalutazione dell'autonomia dei nostri sensi e in particolare del tatto e del ruolo da esso giocato nell'esperire il mondo. Ma intende anche sostenere l'idea che l'esperienza delle cose del mondo � il frutto dell'azione intrecciata e simultanea dei sensi e non dei loro apporti separati, ordinati ed elaborati successivamente da una qualche struttura o entit� centralizzata. Siamo soliti considerare il tatto una sorta di vista di secondo o di terz'ordine, che all'occorrenza, coll'eventuale concorso dell'udito, pu� supplire in qualche modo alla carenza o alla totale assenza della vista. Il tatto pu� percepire forme, distanze e movimenti solo entro porzioni assai limitate di spazio, oltre le quali solo l'udito consente in qualche caso di continuare a percepire - ma comunque ancor sempre entro uno spazio pi� limitato rispetto a quello della percezione visiva - distanze e movimenti, mentre, in assenza di visione, le forme sfumano o restano del tutto celate. Il tatto "vede" forme e strutture quanto - e in qualche caso meglio de - la vista, pur se molto lentamente (analiticamente) e in piccoli spazi ravvicinati; "vede" poco e male distanze e movimenti, sempre in spazi ravvicinati e di dimensioni non molto grandi; non vede affatto luci, ombre e colori. Ma va subito detto che al tatto non spetta vedere, pur potendolo fare, in qualche caso efficacemente, poich� la sua peculiarit� non consiste nell'essere semplicemente il sostituto della vista. Vi sono ormai molti studi che spiegano le modalit� percettive proprie di ciascun senso - anche se sussistono diverse zone d'ombra su alcuni di essi e sul tatto in particolare -, nonch� le funzioni vicarianti che tatto e udito sono in grado di svolgere in assenza di percezione visiva, e grazie ad essi sappiamo anche abbastanza bene come tali funzioni si sviluppino nei soggetti privi di vista. Conosciamo invece assai meno in che misura ciascun senso intervenga nei processi cognitivi, e pi� in generale come essi concorrano alla formazione di ci� che chiamiamo in senso lato "esperienza". Possiamo fin d'ora assumere, intuitivamente, che il tatto vi giochi un ruolo tutt'altro che secondario (anzi, secondo alcuni studi recentissimi addirittura primario), ma � un fatto che in questo senso esso � ancora poco studiato: vuoi perch� talmente onnipresente nella vita quotidiana che tendiamo a dar per scontata la sua conoscenza senza sentire pi� di tanto il bisogno di condurre su di esso indagini appropriate, vuoi per la tattofobia propria della cultura occidentale, per cui, come sostiene il grande etologo D. Morris, "l'esperienza tattile � sottovalutata, sminuita nella teoria, trascurata nella pratica". Se infatti si fa riferimento alla tradizione filosofico-scientifica occidentale, sembra scontato che vi sia un assoluto primato della vista. Si pensi a verbi come "contemplare" od "osservare", a termini come "idea" o "teoria", che rimandano in modo pi� o meno diretto al vedere e alla rappresentazione di immagini. Platone e, forse ancor pi� Aristotele, stabiliscono un nesso preferenziale tra conoscenza e visione. Afferma Aristotele: "Tutti gli uomini sono protesi per natura alla conoscenza: ne � un segno evidente la gioia che essi provano per le sensazioni, giacch� queste, anche se si metta da parte l'utilit� che ne deriva, sono amate di per s�, e pi� di tutte le altre � amata quella che si esercita mediante gli occhi. Infatti noi preferiamo, per cos� dire, la vista a tutte le altre sensazioni non solo quando miriamo a uno scopo pratico, ma anche quando non intendiamo compiere alcuna azione" (Metafisica, I). Stando a tale tradizione parrebbe non esservi alcuna possibilit� di conoscenza vera al di fuori di quella proveniente dalla visione, tanto che, nel caso di uomini privi della vista, ma in possesso di indubbia conoscenza, si � dovuto ricorrere all'espressione "vedere con gli occhi della mente". Se da un lato, quindi, sembra non potersi concepire una conoscenza che prescinda dalla visione, dall'altro si � per� costretti ad ammettere che la capacit� di concepire immagini e di formare rappresentazioni (imagery) possa prescindere totalmente dalla percezione visiva (e qualche anno fa il Prof. Tomaso Vecchi dell'Universit� di Pavia ha reso noto il risultato di uno studio coordinato tra alcune universit� italiane che confermano appunto questa indipendenza, come riportato su "Tuttoscienze" del 3 aprile 2007). Anzi, il vero conoscere (no�in), secondo Platone, � intuitivo, ed � pertinenza esclusiva dell'intelletto (nous). Solo la conoscenza intellettiva � in grado di distinguere il reale dall'illusorio, di cogliere ci� che � pienamente vero e non un suo semplice simulacro. E tuttavia qui interviene una perturbazione semantica rivelativa del fatto che nell'atto del conoscere sono coinvolti in modo decisivo anche altri sensi: � infatti interessante notare che l'originario significato del verbo no�in � "annusare", e in tale accezione si trova alcune volte utilizzato da Omero nell'Odissea. L'apostolo Tommaso, quando gli riferiscono che Ges� � risorto e che � stato visto da pi� di uno, risponde che finch� anch'egli non vedr�, e non metter� il dito nelle piaghe lasciate dai chiodi della crocifissione, non creder�. Per appurare il vero, dunque, non basta vedere, bisogna anche toccare! Heidegger dice che l'essere si rivela nel linguaggio, non nella visione. Dunque per coglierlo bisogna "stare in ascolto". Ed il sapere non � anche conoscere il sapore delle cose? Insomma, la conoscenza, il sapere acquisito che diviene esperienza, patrimonio concreto su cui poggia la possibilit� di nuove esperienze e, quindi, di nuove conoscenze, non � mai un fatto puramente visivo/intellettivo. Lo schema di matrice cognitivista secondo cui la mente � come una sorta di calcolatore che elabora le informazioni provenienti dai vari sensi (in primo luogo dalla vista che ne fornisce la maggior parte), strutturandole in pensieri e linguaggi e derivandone anche risposte comportamentali, tende da un lato a considerare i sensi come puri percettori e trasmettitori di informazioni, e dall'altro a trascurare il fatto che il pi� delle volte la percezione � sinestesica, cio� vi vengono coinvolti pi� sensi contemporaneamente e non in modo puramente sommatorio e meccanico. Tale schema sembra riproporre, sotto altra veste, l'impostazione cartesiana secondo cui la "res cogitans" recepiva i dati da, ed operava su la "res extensa". Rispetto al primo punto si potrebbe osservare che i sensi non veicolano semplicemente informazioni ma sono ci� che ci consente di far esperienza delle cose, di entrare in rapporto immediato con esse, di percepirne la forma, la consistenza, il calore, la densit�, l'intensit�, la modificabilit�... con maggiore o minore gradevolezza o sgradevolezza, con maggiore o minore attenzione ed intenzione, nonch� di esprimere in modo non solo reattivo ci� che sentiamo. Quasi tutte le caratteristiche appena enunciate non possono essere esperite direttamente mediante la vista, ma attraverso quei sensi "pi� bassi" che agiscono, per cos� dire, pi� a diretto contatto con gli oggetti, e fra essi, innanzi tutto, il tatto. Nel Settecento J.G. Herder affermava il primato del tatto non solo in ambito conoscitivo, ma anche estetico, contrapponendo la sua capacit� di cogliere il vero e di sentire il bello all'illusoriet� della visione: "Noi crediamo di vedere dove dovremmo soltanto sentire; alla fine vediamo tanto e cos� rapidamente da non sentire pi� nulla, e non riuscire a sentire, poich� tal senso � sempre garante e fondamento del primo. In tutti questi casi la vista � soltanto una formula abbreviata del tatto. [..,] La vista � sogno, il tatto verit�." La vista ri-conosce a distanza e in modo certamente assai rapido la forma delle cose, ma molto probabilmente non potrebbe farlo se non vi fosse un'esperienza originariamente anche non visiva di esse: rilevanza e significato, in base ai quali la vista coglie e distingue gli oggetti, traggono il loro fondamento da esperienze che non sono primariamente - e tanto meno esclusivamente - visive. In secondo luogo i nostri sensi non sono semplici ricetrasmettitori di informazioni, perch�, se non in condizioni artificiali, non operano quasi mai disgiuntamente gli uni dagli altri, e nel loro sentire insieme consentono di fare esperienza della realt�, che � sempre anche, inscindibilmente, un fare esperienza di se stessi. E poich� l'uomo non � un semplice animale che si muove ed agisce in un ambiente dato, ma � un animale culturale che interagisce coll'ambiente modificandolo continuamente e facendone il suo mondo, la sua esperienza, di s� e del mondo, � sempre in fieri. Come suggerisce Damasio, il sistema nervoso � paragonabile a un sofisticato sistema omeostatico di regolazione tra organismo e ambiente: � per questa ragione che non pu� essere limitato al cervello o addirittura alla sua parte evolutivamente pi� recente, la corteccia. C'� solo un modo per evitare una nozione homunculare di mente e coscienza, l'idea cio� che dentro la nostra testa ci sia un uomo in miniatura che identifichiamo con l'"io", il quale muova le nostre membra e vagli le informazioni che provengono dagli organi di senso: ritornare a una concezione pi� completa dell'animale umano, non facendo della sua mente una CPU (un processore centrale informatico) e del suo sistema nervoso periferico una semplice "cinghia di trasmissione", come si esprime Wall. Ma allora dire che la nostra percezione del reale � essenzialmente sinestesica, significa che � il nostro corpo tutto che percepisce, e insieme esprime ed entra in relazione con tutto ci� che � altro da esso; e dal momento che il tatto, a differenza degli altri sensi, � s� focalizzato nelle mani ma � diffuso per tutto il corpo, non mi pare poi cos� azzardato sostenere che la nostra esperienza del mondo � primariamente tattile, secondo la duplice polarit� che caratterizza questo senso: somestesia e percezione aptica. Per comprendere la natura della condizione umana � fondamentale, come sostiene Gehlen, cogliere nella morfologia complessiva del corpo dell'uomo ci� che lo distingue dalle altre specie. In essa le mani rivestono certamente una grandissima importanza, che per� non pu� considerarsi esaustiva. Nel suo libro "Tatto e linguaggio", Marco Mazzeo, sulla linea di Gehlen, afferma che: "Quello umano � un animale che si contraddistingue per la variet� e non per l'acutezza dei suoi sensi: la sua pelle, priva di difese, trasforma il proprio carattere poich� non costituisce pi�, come nella maggior parte delle specie animali, un insieme di strutture specializzate e locali ma diventa essa stessa organo primario di percezione generico e diffuso. [...] La sensibilit� cutanea costituisce un'importante condizione di possibilit� per la specie umana che si coniuga con una motilit� particolarmente plastica, con una struttura corporea aperta alle pi� diverse coordinazioni senso-motorie. Mobilit� e sensibilit� convergono in un continuo feedback sensoriale: quando l'animale umano si muove, non solo percepisce gli oggetti esterni ma anche se stesso. Tatto e udito costituiscono il fondamento di un carattere riflessivo strutturale insito nella nostra morfologia corporea. [...] Allo stesso tempo, affinch� la corrente non ci spazzi via e la stimolazione ambientale (dovremmo dire mondana) non ci annichilisca, � necessario un sistema di filtri che permetta chiusure temporanee. La seconda polarit� tattile, quella aptico-manuale, svolge esattamente questo ruolo. Stazione eretta significa infatti non solo esposizione di un ventre non pi� schiacciato a terra, ma anche liberazione degli arti superiori che invece di specializzarsi in strumenti di offesa e armi da taglio diventano un complesso sistema di leve in grado di fornire le prestazioni pi� varie. Se la plasticit� del corpo ci espone, quella delle mani d� nuove garanzie: non pi� la sicurezza tipica delle forme di vita pi� semplici ma quella di un essere che, invece di difendersi o attaccare, lavora. L'animale umano uscendo dalle nicchie ambientali proprie delle altre specie costituisce un essere per definizione disadattato, privo di habitat. Proprio perch� non ha un nido precostituito, deve costruirsi una casa; visto che non possiede pelo n� piume deve vestirsi e accendere fuochi; privo di zanne e artigli deve costruirsi armi e arnesi, utensili e strumenti. Per questo motivo la mano non solo plasma l'oggetto ma anticipa l'azione rendendo l'animale umano, come afferma Gehlen, un continuo "Prometeo": un essere in costante scoperta e in perenne costruzione che, per far fronte a un presente altrimenti insostenibile, deve giocare d'anticipo e saper guardare al futuro". La tattilit� � anche secondo Heidegger, oltre al linguaggio naturalmente, il criterio in base al quale distinguere la peculiarit� propria dell'uomo dalle altre forme di vita animale. Quando egli afferma che "la pietra � senza mondo, gli animali sono poveri di mondo, l'uomo � formatore di mondo", non fa che operare una distinzione di tipo tattile fra queste tre realt�. La pietra, come tutto il regno inorganico, non esplora n� ricerca stimoli o conoscenza: essa giace, poich� rimane l� dove caso e leggi fisiche l'hanno depositata. L'animale di converso ha un comportamento poich� si muove e ricerca, si sposta dirigendosi verso fonti di cibo, luoghi riparati o partner sessuali. Per questa ragione l'animale non giace, ma tocca poich� ha commercio e scambi con ci� che lo circonda. L'essere umano, oltre a giacere (se morto) e a toccare, � anche in grado di tastare: manipola e costruisce, cambia i suoi dintorni e cura i suoi consimili. L'uomo animale culturale, � dunque tale perch� affina - a partire dal tatto - e intreccia le sue modalit� percettive, sia in senso passivo che attivo e, in base a ci� e alle connesse caratteristiche morfologiche del suo corpo, � in grado di produrre quel mondo che � fatto di oggetti, di immagini rappresentate in vario modo e di parole articolate e strutturate sintatticamente nel linguaggio: la cultura, appunto. Ecco perch� tentare di stabilire rapporti di dipendenza e/o di subordinazione gerarchica di alcuni sensi da altri, dei sensi dalla mente, della mente dal linguaggio o viceversa, non porta a grandi risultati, n� teorici n� pratici, ma al massimo tecnici. Ricordiamo in proposito le parole di H. Focillon: "Io non separo la mano n� dal corpo n� dalla mente. Tra la mente e la mano, per�, le relazioni non sono quelle, semplici, che intercorrono tra un padrone ubbidito e un docile servitore. La mente fa la mano, la mano fa la mente". A differenza di quanto sostiene gran parte della tradizione filosofica occidentale, secondo Gehlen non � il tatto a scimmiottare la vista: � piuttosto la vista a farsi carico di indici tattili poich� sono gli occhi a sbrigare faccende manuali. Il tatto � il secondo senso: non perch� rappresenta l'inadeguato vicario della vista, ma perch� � il senso in cui si radica la seconda natura, cio� il mondo proprio dell'uomo che egli si forma in quanto animale culturale. La vista, il cui carattere panoramico ci permette di cogliere ampi orizzonti e di sorvolare sugli oggetti, � considerata da Gehlen un senso superficiale poich� scorre rapidamente da una porzione all'altra dello spazio senza dovercisi troppo trattenere. Ma a differenza di quanto fatto da Herder nella Plastik, uno dei precursori della sua antropologia filosofica, Gehlen coglie anche la positivit� del carattere sbrigativo della vista. Proprio perch� superficiale questa modalit� sensoriale ci consente di evitare il costante approfondimento conoscitivo della situazione nella quale ci veniamo a trovare: fornisce la velocit� che manca al tatto poich� consente di muoversi con rapidit�. Vi sono indubbie somiglianze tra vista e tatto, e Blumenberg, anticipando per molti versi la posizione che assumer� Gibson circa trent'anni Dopo, afferma che "al di l� di tutte le differenze fenomeniche e descrittive, la forma delle leggi che governano le relazioni spaziali aptiche e visive �, date condizioni materiali tra loro comparabili, identica [...]". Le "condizioni materiali comparabili" riguardano essenzialmente la dimensione, ma ricavarne un'identit� di fondo sarebbe un errore. Secondo Gibson vi sono tre forme di percezione tattile: la prima � quella passiva (tatto passivo o cutaneo), quando la pelle subisce il contatto di un altro corpo che le si avvicina; la seconda � quella attiva (tatto attivo), ci� che comunemente si chiama toccare; la terza � quella dinamica (tatto dinamico), che coinvolge non solo stimolazioni cutanee e movimenti articolari ma anche sforzi muscolari. Il tatto attivo � un senso esplorativo pi� che meramente ricettivo. Si tratta di movimenti esplorativi, non operativi. In questo senso, questi movimenti tattili delle dita sono come i movimenti degli occhi. Infatti, il tatto attivo pu� essere definito una esplorazione tattile [tactile scanning], in analogia con l'esplorazione oculare [ocular scanning]. Ci� che la vista coglie sempre in modo immediato o almeno assai rapido � la forma, mentre il tatto la pu� cogliere in modo immediato solo in oggetti di piccole dimensioni. Per contro la capacit� del tatto di cogliere la struttura (tessuto, densit�, ecc.) delle cose � pi� approfondita di quella della vista, pur se l'esplorazione tattile � necessariamente pi� lenta, specie quando si tratta di oggetti grandi. Dice in proposito Mazzeo: "Per un verso tatto e vista, se messi nella condizione di farlo, sono in grado di percepire secondo modalit� molto simili: quando gli oggetti da percepire sono di piccole dimensioni il tatto pu� ad esempio percepire Gestalten; quando sono invece molto grandi, anche la vista deve procedere per rilevazioni strutturali. Per un altro, ci� non vuol dire che tatto e vista siano sensi identici, n� che il primo sia sottomesso alla seconda. [...]. Tra tatto e vista esiste una relazione incrociata che permette di distinguere i loro tratti costitutivi e nel contempo, di focalizzarne i punti di raccordo e sovrapposizione: gli oggetti piccoli e non troppo complessi costituiscono il punto di collasso, cio� di estrema coincidenza, tra sistemi percettivi con caratteristiche proprie". Che il tatto sia un senso meno "gestaltico" della vista, non costituisce, come comunemente si crede, un handicap, ma � una caratteristica di questo senso, che, per conoscere le forme, spesso ha bisogno di ricostruirle attraverso esplorazioni parziali e successive e, quando l'oggetto � particolarmente grande (un edificio, un monumento), richiede una riduzione mediante modelli e spesso una descrizione verbale che la integri. Tuttavia ci� non sminuisce per nulla la sua importanza capitale per il costituirsi dell'esperienza e della cultura umana, per la quale forme ed immagini non rappresentano certo l'unico contenuto. Il tatto �, concludendo, in un certo senso un "luogo di confine", separa l'"interno" dall'"esterno" e li percepisce simultaneamente entrambi. Il tatto � il senso per via del quale fondamentalmente sentiamo - e anche siamo in grado di far sentire - il dolore e il piacere, senza i quali � difficile immaginare il costituirsi e il procedere dell'esperienza. Il tatto possiede capacit� cognitive proprie che sono irrinunciabili nella scoperta e nella trasformazione della realt�. Si pu� vivere con la deprivazione totale di uno qualsiasi degli altri sensi, o anche di pi� di uno, deprivati totalmente del tatto no. Se dunque il tatto ha tutta questa importanza per l'evoluzione dell'esperienza umana e della sua cultura, perch� mai il toccare � cos� spesso inibito o "severamente vietato"? Perch� proprio i prodotti di una raffinatissima manualit�, come gli oggetti artistici, sono quasi sempre interdetti all'esplorazione delle mani? Tutti, e non solo i ciechi, dovrebbero poter toccare una scultura. L'educazione tattile dovrebbe essere impartita nelle scuole di ogni ordine e grado. Con questa mia apologia del tatto, tuttavia, non vorrei dare l'impressione di sminuire il valore della vista. La vista - ripetiamolo - non ha soltanto un'importanza pratica fondamentale e indiscutibile, ma � anche il senso che ci conduce incontro alle cose, le offre, per dir cos�, alla possibilit� dell'esperienza, ed ha una capacit� di ricognizione tanto rapida e di sintesi gestaltica sconosciute agli altri sensi. Una mia cara amica, cieca dalla nascita, mi diceva qualche tempo fa che ci� che la faceva soffrire maggiormente, specie da bambina, era l'avvertire che in un certo senso ai suoi compagni il mondo andava incontro, le cose note li rassicuravano, quelle nuove li incuriosivano, mentre lei doveva continuamente sforzarsi di superare un limite di oscura e angosciosa indeterminatezza prima di entrare in rapporto con le cose, anche le pi� familiari. Ecco, ai ciechi le cose non vengono mai incontro, cerchiamo almeno di evitare di frapporre ostacoli al loro faticoso andare verso le cose e, quando � possibile, proviamo a rimuovere quelli esistenti! Francesco Fratta (Direzione Nazionale UICI, responsabile Accessibilit� ai Beni culturali e servizi librari) INSEGNANTI SPECIALIZZATI Rinasce la figura del tiflologo, di Gianluca Rapisarda (pagg. 14-19) - La figura del tiflologo costituisce uno strumento indispensabile per la corretta inclusione degli studenti con disabilit� visiva. - Nell'acceso dibattito attualmente in corso sulla figura del "tiflologo", la confusione sul suo ruolo e sulla sua funzione regna ancora sovrana. Infatti, dopo il declino dell'Istituto Romagnoli (unica scuola nazionale di metodo per gli educatori dei ciechi e degli ipovedenti) e la mancata attuazione della legge 69 del 2000, che ne avrebbe finanziato la riapertura e rinascita, vi � un assoluto bisogno di definire il profilo professionale ed il percorso formativo dei tiflologi italiani. Paghiamo cio� lo scotto della mancanza di una vera e propria "generazione" di esperti in tiflologia, a cui occorre porre necessariamente rimedio. La soluzione pu� e deve consistere solo nell'"istituzionalizzazione" di una nuova figura professionale che, salvaguardando le conoscenze e competenze acquisite in questi anni dagli operatori dei Centri di Consulenza Tiflodidattica della Federazione Nazionale delle Istituzioni Pro Ciechi e della Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita", possa essere pi� al passo con i tempi e possedere una formazione pi� adeguata ed idonea a promuovere il processo di inclusione degli alunni/studenti disabili visivi del terzo millennio. Perch� ci� avvenga, per�, il problema della funzione del tiflologo, strettamente legato alla tematica dell'inclusione scolastica dei ragazzi ciechi, non deve essere considerato, come spesso sento in giro, una questione "oziosa", od un "gioco" di pochi pedagogisti sfaccendati, collocati fuori dalla realt� quotidiana e dalla storia. La tiflologia non �, infatti, una scienza per pochi eletti, � invece un capitolo "importante" della pi� vasta Pedagogia. Ecco perch�, oggi, il tema dell'integrazione scolastica degli allievi minorati della vista non appartiene pi�, come avveniva nel passato, solo a chi non vede ed alle loro famiglie, ma richiede al contrario interventi oculati ed accorti da parte dell'intera collettivit�. Per tutte queste ragioni, sono assolutamente convinto della possibilit� del rilancio della tiflologia. Le sue prospettive di rinvigorimento e rinverdimento, a mio modesto avviso, dal punto di vista pedagogico, sussistono per almeno due ordini di riflessioni. Innanzitutto, perch� dalla didattica "speciale" e dalla tiflopedagogia non si pu� prescindere neppure quando l'educazione dei disabili visivi si svolge nelle scuole di "tutti". Un imperdonabile errore di una parte della pedagogia moderna sta proprio nel pensare che l'inclusione e l'educazione "speciale" si elidano reciprocamente piuttosto che integrarsi tra loro. In secondo luogo, io ritengo che i Centri di Consulenza Tiflodidattica (CCT) e gli Istituti dei ciechi, riorganizzandosi, possano costituire dei fondamentali centri di risorse per l'erogazione dei servizi tiflodidattici e tiflopedagogici in favore delle persone con disabilit� visiva. Dunque, il "vero" problema del sostegno degli alunni minorati della vista italiani non � tanto da ricercarsi nella mancanza di centri di supporto al loro processo di inclusione, quanto piuttosto nell'assoluta assenza di una loro visione d'insieme e di un loro sinergico e fattivo collegamento, indispensabili invece al successo formativo dei ragazzi non vedenti. Date queste premesse, nella riunione del Coordinamento degli Enti collegati all'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti (UICI), dello scorso 30 Gennaio, sono state poste le basi per la costituzione del cosiddetto "Network per l'Inclusione Scolastica" (NIS), a cui � stata affidata la responsabilit� di coordinare ed integrare tutti i servizi tiflodidattici e tiflopedagogici degli Enti collegati all'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, di definirne le linee guida e gli indicatori di qualit� e, soprattutto, di sciogliere il "rebus" dell'inquadramento professionale del tiflologo. Trattasi di un compito non facile, poich� il profilo del tiflologo � difficilmente "definibile", in quanto egli possiede competenze certamente e principalmente pedagogiche, ma anche psicologiche, sociologiche, educative ed informatiche. Le proposte del Network dell'Inclusione dovranno essere quindi sostenibili nella realt�, necessariamente di qualit� e rispondenti al requisito dell'urgenza, al fine di garantire comunque al pi� presto strumenti e supporti idonei agli studenti disabili visivi, alle loro famiglie ed alle scuole. Per l'individuazione dei "luoghi" del sostegno dei minorati della vista, il NIS ha proceduto alla definizione di una struttura a tre livelli, costituita in primis dai CTS, deputati a fornire le informazioni su dove trovare e reperire le risorse del sostegno, in seconda battuta dai CCT della Federazione Pro Ciechi e della Biblioteca di Monza che hanno il compito di fornire le indicazioni di base sugli strumenti, sui sussidi e sugli ausili tiflodidattici ed infine gli Istituti dei ciechi, a cui deve essere destinata la presa in carico globale dei disabili visivi di tutte le et� (bambino, ragazzo, adulto, anziano), avendo cura di progettare, realizzare e monitorare l'intero loro progetto di vita. Per quanto concerne la definizione del profilo professionale e del percorso formativo degli "operatori" del sostegno degli alunni/studenti con disabilit� visiva, il Network dell'Inclusione Scolastica ha ipotizzato un modello formativo che si articola su due differenti gradi di livelli successivi. La "figura" professionale di 1� livello � rappresentata dall'Educatore alla comunicazione dei disabili sensoriali (alias "assistente alla comunicazione", di cui all'art. 13 comma 3 della 104 del 92 e la cui definizione � prevista dalla legge de "La Buona Scuola"). Trattasi di un operatore con un ruolo ed una funzione tecnico-strumentale, che possiede conoscenze di base di tiflopedagogia e di didattica inclusiva. Tale titolo viene rilasciato in seguito alla frequenza di un master universitario di 1� livello di 1500 ore, al quale potranno accedere tutti coloro che sono in possesso di una laurea triennale di qualunque tipo. L'I.Ri.Fo.R. (Istituto per la Ricerca, la Formazione e la Riabilitazione) dell'UICI � in trattative con lo IUSVE (Istituto Universitario Salesiano di Venezia) per stipulare un'apposita convenzione ed avviare un'offerta formativa volta alla preparazione di tale operatore di 1o livello, che sia davvero efficace e di qualit�. La "figura" professionale di 2� livello � invece pi� "specifica", ed � costituita dal "pedagogista esperto in scienze tiflologiche". A differenza dell'"educatore alla comunicazione", tale operatore di 2� livello del sostegno dei ragazzi minorati della vista elabora, realizza e monitora l'intero progetto di vita dei disabili visivi, anche con disabilit� aggiuntive, di tutte le et�. Il titolo di "pedagogista esperto in scienze tiflologiche" viene conseguito dopo la frequenza di un master universitario di 2� livello di 1500 ore, di cui almeno 300 teorico-laboratoriali in presenza e circa un centinaio in modalit� FAD "sincrona" (chatroom o classe virtuale). A tale master universitario potranno accedere gli "educatori alla comunicazione" di cui sopra, i laureati in scienze dell'educazione e scienze della formazione, gli educatori professionali, gli insegnanti curricolari e di sostegno e, soprattutto gli operatori dei Centri di Consulenza Tiflodidattica, che in tal modo avrebbero un'importante ed imperdibile opportunit� di aggiornamento professionale. In particolar modo, per questi ultimi professionisti, l'accesso a tale master di 2� livello garantirebbe la validazione della loro esperienza lavorativa pregressa, con il riconoscimento dei relativi crediti formativi da parte del CTS del corso. Fatte queste dovute precisazioni formative per sgombrare il campo da possibili equivoci e malintesi sul reale operato del "Network", seguono alcune mie considerazioni sull'eventuale spendibilit� dei due titoli professionali sopramenzionati. La potenzialit� di occupazione dell'"educatore alla comunicazione" � sicuramente abbastanza alta, valutabile e stimabile in almeno 9000 unit�, tanti quanti sono gli allievi disabili sensoriali (4000 non vedenti e 5000 non udenti), frequentanti i 10000 plessi delle oltre 8000 istituzioni scolastiche italiane. Invece, per quanto attiene l'occupabilit� del "pedagogista esperto in scienze tiflologiche", possiamo realisticamente prevedere una presenza di almeno un "tempo pieno" per provincia nei vari CTS (al cui interno sarebbe auspicabile l'apertura di uno "sportello" tiflologico), di una unit� nei CCT della Federazione Pro Ciechi e della Biblioteca "Regina Margherita", dove continuerebbero a lavorare gli operatori ivi attualmente impiegati con il valore aggiunto dell'aggiornamento professionale grazie alla frequenza del master, ed infine, in numero variabile e flessibile, in quelle scuole che, in virt� della Legge 107, hanno rafforzato la loro autonomia, potendosi dotare all'occorrenza pertanto anche di esperti in scienze tiflologiche, quali "figure" di supporto ai vari Organi collegiali (Collegio Docenti e Consiglio di classe) nella progettazione e nello svolgimento di attivit� curricolari ed extracurricolari veramente "inclusive" e funzionali ai reali bisogni educativi "speciali" degli alunni con disabilit� visiva. Ma ci� non basta. Infatti, occorre che le due "figure" da noi individuate siano riconosciute ufficialmente dal "sistema" e che siano appetibili ed attraenti sul piano della successiva occupabilit�. Diversamente la nostra proposta formativa potrebbe andare deserta, costringendoci a ridimensionarne la qualit�, ad aprirla ad ogni laurea in ingresso ed a ridurne il numero di ore in presenza, a scapito cio� della sua efficacia didattica. Fortunatamente, alcuni recenti eventi favorevoli sembrano "avvicinare" l'ambizioso obiettivo del NIS e rendere l'inclusione scolastica dei ragazzi ciechi ed ipovedenti un po' meno idea "platonica" ed un po' pi� realt� concreta ed alla nostra portata di mano. In primo luogo mi riferisco all'attivazione del master in Typhlology Skilled Educator ("Esperto in scienze tiflologiche"), patrocinato dall'I.Ri.Fo.R. ed organizzato in convenzione con l'Universit� del Molise. La speranza � che tale iniziativa formativa, da esperienza pilota nel Molise, possa diventare il modello di riferimento per tutti gli atenei italiani. Ed ultimamente, come non citare la presentazione al Senato da parte degli esperti del "Network" di un emendamento alla proposta di legge da poco approvata alla Camera che ha istituito ufficialmente le figure dell'"Educatore socio-pedagogico" e del "Pedagogista". Le modifiche presentate a Palazzo Madama vanno nella direzione di armonizzare ed incardinare le proposte formative del Network all'interno della legge di cui sopra. Lo scopo del NIS � quello di sottoscrivere quanto prima una convenzione con il MIUR per godere finalmente di una certa autorevolezza nel mondo scientifico ed universitario, essere riconosciuto ufficialmente anche dal sistema di istruzione italiano ed accreditarsi con il Ministero di viale Trastevere come organismo di riferimento per la formazione degli operatori del sostegno degli studenti minorati della vista. Solo cos�, il Network per l'Inclusione potr� "muoversi" ed adoperarsi con la Conferenza unificata perch� "imponga" alle Regioni (competenti in materia di assistenza scolastica e postscolastica ai sensi dell'art. 1 comma 947 della 208 del 2015) l'assunzione all'interno delle cooperative che gestiscono tale servizio dell'"educatore alla comunicazione" e del "pedagogista esperto in scienze tiflologiche" quali figure professionali necessarie per il sostegno e l'inclusione degli allievi ciechi ed ipovedenti. In definitiva, l'importanza della nascita del Network per l'Inclusione Scolastica, serve anche a fugare tentativi anacronistici di ritorno al passato ed alle scuole "speciali", e a garantire un concreto e proficuo processo di inclusione agli alunni/studenti con disabilit� visiva. Gianluca Rapisarda (direttore scientifico I.Ri.Fo.R.) DIDATTICA La didattica del disegno nella Scuola primaria per ciechi, di Orfeo Ferri (Si tratta di una parte dell'intervento dell'autore al primo Corso residenziale di aggiornamento per gli insegnanti delle Scuole Elementari per i ciechi, Rocca di Papa (RM), 22-31 marzo 1963. Tratto da: Luce con luce. Rivista trimestrale dell'Istituto Statale "A. Romagnoli" di specializzazione per gli educatori dei minorati della vista, a. 7(1963), n. 2, pp. 169-182) (pagg. 21-34) - Il disegno per un bambino non vedente rimane uno strumento indispensabile per l'elaborazione della propria conoscenza della realt�. - Per giungere a una chiara impostazione della didattica del disegno nella scuola elementare � bene anzitutto precisare alcuni punti fondamentali dai quali muovere, punti di orientamento da tener sempre presenti, se non si vuole incorrere in errori grossolani di meccanicismo, di sopravvalutazione, di intellettualismo, tanto dannosi per la mente del fanciullo cieco che di per s� gi� tende naturalmente all'astratto. 1. Il disegno pu� essere considerato disciplina a s� stante, ma esso va realizzato sempre, in ogni caso, per ciascun fanciullo, come attivit� parte di un tutto. 2. Il disegno del fanciullo cieco e semivedente � perfettamente connesso al processo di normalizzazione: infatti, le immagini del disegno dei ciechi sono tanto pi� concrete e vicine al reale, vive e ricche di movimento, quanto pi� nel fanciullo � elevato il livello di maturit� di orientamento ossia il livello di una motilit� consapevole e ognora cosciente, suffragata da una continua elaborazione personale dei dati dell'udito, del tatto e di tutte le altre sensazioni secondarie che il cieco ben educato sa via via e sempre di pi� rilevare. 3. La finalit� del disegno � quella di esprimere graficamente, schematizzando, una idea, che ci dia la misura della concretezza immaginativa del fanciullo cieco. 4. Nell'atto col quale si viene a estrinsecare il contenuto immaginativo del fanciullo che non vede si d� la possibilit� al maestro di realizzare un processo di chiarificazione, integrazione, di completamento dell'immagine stessa s� da influire su tutto il processo educativo nel senso di un arricchimento totale e armonico di un esame chiuso naturalmente alla spontanea e incommensurabile esperienza che d� il senso della vista. Fissati questi punti, la didattica del disegno nella scuola primaria per ciechi non potr� temere sbandamenti n� potr� mancare di efficacia per il fine che essa si propone, manifestandosi soprattutto come strumento e mezzo di formazione e nello stesso tempo differenziandosi rispettivamente per i due cicli della scuola primaria, non tanto per l'impostazione che resta sempre la medesima, quanto invece per la tecnica operativa della mano del fanciullo la quale effettivamente presenta differenti livelli di abilit� appunto nel primo e nel secondo ciclo della scuola elementare. Il nesso mano-immaginazione, mano-movimento, o meglio, orientamento, mano-sensazioni uditive, tattili, anemestesiche, termiche, olfattive, nel processo dell'educazione del fanciullo cieco � evidente: noi tuttavia dobbiamo specialmente fermare la nostra attenzione su quello mano-immagine grafica. Il disegno del fanciullo che non vede � in s� gi� una tappa, esso si pu� dire e pu� significare nel processo di sviluppo della mente del bambino non vedente senz'altro un punto di arrivo e non un punto di partenza, come comunemente si sarebbe indotti a credere. Ci� perch� la mano che riproduce un percorso, o una pianta topografica o un oggetto o una scena su uno o su differenti piani giunge alla schematizzazione dopo che l'immagine o le immagini hanno superato il processo di chiarificazione che si esprime naturalmente come atto finale in un'unica forma compiuta significante graficamente un tutto. Lo strumento principale che realizza il risultato grafico di tale processo � appunto la mano del fanciullo, la quale necessariamente e in modo graduale e con attivit� appropriate e precise va preparata al disegno, preparazione non estemporanea, improvvisata. La mano del cieco che disegna deve aver raggiunto una remota preparazione e cio� una preparazione che abbia fatto acquisire al fanciullo l'abito del saper toccare senza "timidezza e pigrizia" (sono le parole del Romagnoli), ma con un piano intelligente, preventivo, dove evitando a ogni modo l'accessorio si sia in grado di cogliere, afferrare, abbracciare l'essenziale, prima di tutto. Questa rara e pur tanto necessaria qualit� del tatto dei ciechi bisogna farla acquistare al fanciullo molto per tempo, in una diuturna esperienza di esplorazione, riconoscimento, riproduzione con la plastica di oggetti interessanti. Qui analisi, comparazioni tattili, realizzate in pi� tentativi guidati dovrebbero essere cibo ed uso quotidiano del fanciullo, bisogno spontaneo e costante della sua immaginazione la quale deve voler nutrirsi cos� come fa l'occhio del vedente che non si stanca mai di vedere di fronte al nuovo, al bello, all'interessante. La mano, spesso troppo intorpidita e anchilosata nel piccolo che non vede, o male guidata dall'insufficiente residuo visivo nel semivedente, ancora prima di affinarsi nel toccare con ordine, secondo un piano intelligente, deve necessariamente sgrossarsi nelle operazioni pi� comuni e pi� semplici di vita pratica e nell'uso, poi, del materiale didattico pi� vario, pi� immediato e semplice e cio� non artificioso per costruzioni, riproduzione di luoghi e oggetti, di situazioni e percorsi; deve fare molta pratica, molta pratica, ripeto, per porsi esclusivamente al servizio dell'immaginazione del cieco come ancella fedele e abile con una tecnica operativa sempre pi� progredita, differenziata e globale. Ora, la pratica della mano, e qui mi riferisco specialmente al primo ciclo, ovvero l'addestramento tattile della mano, non pu� essere fatta a tavolino, in senso astratto, teorico, non operativo, come purtroppo avviene ancora qualche volta nelle nostre scuole. L'abilit� manuale, nel senso pi� lato del termine, va preparata continuamente nelle pi� svariate attivit� del fanciullo, da quelle attivit� di carattere necessario e personale occasionali refettorio, dormitorio, (ordine della propria persona e dell'ambiente in cui si vive) a quelle pi� spontanee e intellettualmente impegnative, come il gioco di movimento e di orientamento, di costruzione delle forme. E tale criterio dinamico dove il fattore movimento � determinante onde dare a ogni attivit� un aspetto vivace, concreto, spontaneo va applicato anche, e starei per dire, soprattutto, tra i banchi di scuola dove il disegno dovrebbe essere la fase conclusiva di attivit� motorie capaci di ravvivare gli oggetti della conoscenza scolastica, rendendoli il pi� possibile concreti e immaginativamente chiari ed elementi di arricchimento globale e cio�, diciamo cos�, ciclico della personalit� in sviluppo del fanciullo cieco. In altre parole non si pu� ovviamente concepire un disegno di un percorso senza che tale tracciato sia stato fatto percorrere pi� volte individualmente e poi verificato, analizzato nelle sue difficolt� pi� salienti. Cos�, per una pianta topografica o luogo particolare, alla schematizzazione grafica deve precedere sempre necessariamente l'esperienza motoria individuale e collettiva; collettiva (e qui tocchiamo praticamente il prezioso tema della collaborazione e del lavoro in gruppo) perch� in tal modo lo schema immaginativo, l'immagine diviene senza meno pi� concreta e ricca di punti di riferimento e quindi di contenuto reale dell'esperienza propria e di quella degli altri. Ora, l'insistere su forme grafiche e cio� su disegni di percorsi, di piante topografiche, di luoghi particolari, parlando di necessario primo sviluppo dell'abilit� effettiva, pratica della mano, si comprende e si giustifica in quanto appunto la motilit� cosciente, la deambulazione che chiaramente pu� essere rappresentata col disegno, la corsa orientata e spontanea sono tutti fattori fondamentali ed essenziali che fin da principio concorrono a dare al fanciullo non vedente la prima grande autonomia, quella del moto spontaneo, facendo cos� nascere, in conseguenza, nella mente del cieco l'idea di spazio, idea originata essenzialmente dal moto personale del bambino. Ci� va tenuto in massima considerazione e sempre presente. Quindi, pretendere che il cieco disegni senza che egli sappia muoversi, significa fare pericolosa astrazione dall'idea vitale di spazio e cio� non tener conto che anche lo spazio rappresentato va posto assolutamente e praticamente in stretta relazione con l'idea di spazio originata e acquisita sensorialmente nell'immaginazione mediante il moto e tutte le sensazioni connesse ad esso, sensazioni uditive, termiche, tattili, olfattive, ecc.. Pi� in particolare, a rigori, si dovrebbe dire che nessuna immagine dovrebbe esserci nel linguaggio del maestro e dello alunno senza che essa trovi un corrispettivo contenuto mentale concreto del fanciullo cieco. Questa appassionante verifica o piuttosto questo progressivo arricchimento e messa a punto dell'immaginazione del fanciullo ha da farsi soprattutto dapprima con una graduale e reale conquista di tecniche operative della mano sempre varie e impegnative, dove si possano misurare esattamente la carica affettiva e gli effetti pratici dello spirito di iniziativa e la vivacit� della fantasia e la spontaneit� di ogni alunno. I mezzi pratici pi� idonei per accelerare e favorire tale processo di maturazione delle abilit� orientative, conoscitive e operative della mano sono: l'uso frequentissimo di attivit� manuali e del lavoro manuale, e pi� specificamente costruzioni e ricostruzioni di luoghi conosciuti nella vita di ogni giorno, disegni dei percorsi, di figure geometriche fondamentali piane, astratte o inserite nelle configurazioni topografiche di ambienti; e contemporaneamente l'uso graduale e frequente della plastica (dalle palline e dagli oggetti pi� semplici per i bambini come piattini, tazze, ecc. ecc.) fino agli oggetti pi� complessi dove necessariamente si richiede una concezione tridimensionale dell'idea d'insieme e quindi una osservazione e una esperienza pi� adulte e approfondite delle caratteristiche specifiche della forma (frutta, animali, ecc.), animali toccati veramente al naturale, toccati nel loro insieme, totalmente, e, nel caso estremo, animali o macchine o edifici conosciuti per analogia, per intuizione, pure servendosi dell'ausilio prezioso di modelli fedeli, in scala ridotta. Questi mezzi atti particolarmente a sviluppare le possibilit� operative e conoscitive della mano sono da usarsi massimamente, senza alcuna limitazione, nel primo ciclo soprattutto, starei per dire, nelle ore di scuola del mattino onde ravvivare tutte le conoscenze scolastiche spesso rafferme in un sapere immobile, mortificante, troppo nozionistico. Nel primo ciclo della scuola primaria si dovrebbe far continuamente ricorso all'operato delle mani quale ausilio indispensabile per raggiungere concretezza nella conoscenza, per dotare quindi sempre di pi� l'immaginazione del bambino di esperienze vive, personali. Mai accontentarsi delle esemplificazioni mnemoniche, verbali, vuote di contenuto immaginativo concreto. E, invece, ci si stanca facilmente e presto di rinnovare noi stessi a contatto di ogni alunno; ci sembra grave adeguarci ai suoi reali bisogni di concretezza e di spontanea vivacit� nel campo dell'immaginazione. Infatti, troppo spesso non si va alla ricerca, costi quel che costi, del materiale necessario da far toccare; non si ravviva la "scoletta" di ogni giorno con una salutare rivoluzione, apparentemente intempestiva, del programma fissato in precedenza o magari stabilito in fretta l'ultimo momento; non si varia l'orario con l'inserimento giornaliero di una lezione dedicata soltanto al toccare forme nuove, al riprodurre, all'esercizio della discriminazione tattile dell'essenziale dall'accessorio. Questo, di abitudine, non si fa tutti i giorni dell'anno, ma neppure spesso e in tal modo certamente non si prepara, non si educa la mano del fanciullo, cosicch� essa prenda amore al toccare, al sintetizzare, al conoscere, riconoscere, distinguere, riprodurre, disegnare; e cos� il linguaggio delle linee e della forma rimane difficile a decifrarsi, inconsueto e perci� non spontaneo e abituale. In Ragazzi ciechi nel capitolo "L'educazione della mano", Augusto Romagnoli scrive: "L'ultima preoccupazione degli educatori di ciechi deve essere l'istruzione elementare propriamente detta... materia importante d'insegnamento e di esame, l'educazione della mano a toccare e a plasmare al fine pratico di formarsi idee concrete e di rappresentarle...". In un altro capitolo di Ragazzi ciechi: "Lezione di cose" il Romagnoli continua: "Ogni giorno, materiale nuovo da toccare: questo � il segreto; e tenere presente, che solo le percezioni che hanno avuto una ripercussione, una reazione nei nostri centri motori, restano assimilate. La ripetizione non mai verbale, ma per mezzo di qualche applicazione pratica, o almeno di qualche deduzione; sicch�, non la memoria meccanica, ma quella che il Kant chiama giudiziosa, sia impegnata a utilizzare le nostre lezioni". Il fanciullo cieco deve giungere a poter spontaneamente considerare gli oggetti come sintesi, come idee d'insieme, come forme, come spazio grafico colto in quanto unit�. E a questo punto la mano del fanciullo � naturalmente educata a osservare e ad afferrare l'insieme di una forma, a distinguerne le parti, a distinguere forma da forma, a comparare la stessa forma, lo stesso oggetto in differenti grandezze e variet�; a non indugiare su particolari inutili disperdendosi; in questo stadio la mano del cieco nell'atto stesso di toccare muove contemporaneamente tutte le dita, le une al servizio delle altre e i movimenti di una mano si armonizzano e si coordinano ai moti percettivi dell'altra mano. Raccolti gli elementi essenziali di un insieme tattile spaziale si compone chiara nella mente l'idea di un tutto che l'immaginazione pu� allora esprimere graficamente precisa e concreta, quale segno reale di conoscenza oggettiva. In breve, far superare in ogni modo la timidezza e la pigrizia del toccare, far guarire il fanciullo dall'anchilosi del senso tattile, conoscere dal vero il pi� possibile, nelle migliori condizioni di sicurezza, cos� da poter magari saper distinguere agevolmente un gatto da un cane, un asino, da un cavallo, da un bue, tutte queste sono condizioni indispensabili per normalizzare l'immaginazione del fanciullo. Allenato il tatto alla conoscenza, al rilevamento dell'idea d'insieme, coi modelli, si pu� anche scegliere e scendere ai particolari e in queste operazioni la mano da un'azione tattile grossolana, fatta di movimenti bruschi, irregolari, talvolta di inutili ripetizioni dello stesso movimento di esplorazione, col tempo, e con molte esperienze, pu� raggiungere la fase pi� raffinata e pi� proficua del tatto sfiorante, del tatto a distanza, del tatto cui coopera lo spostamento della persona insieme all'apertura delle braccia: qui nessun oggetto, anche il pi� fragile, pu� costituire ostacolo che impedisca di toccare (fiori, cristalleria, oggetti d'arte, ecc.). Stabilita cos� la premessa di una educazione della mano adeguata alle giuste esigenze di conoscenza per il fanciullo che non vede, possiamo ora determinare i fondamentali momenti della didattica del disegno nella scuola elementare. Il disegno nella scuola elementare per ciechi va considerato soprattutto come mezzo necessario e utile per chiarire le idee di chi non vede e come strumento efficace per integrare l'immaginazione, sia accrescendone il numero delle immagini gi� possedute, sia rettificando quelle non ben determinate, precise, non ben concepite. Materia, diciamo cos�, di disegno pu� essere tutto ci� che � oggetto di conoscenza e quindi di rappresentazione mentale: ci si pu� rappresentare un percorso, una pianta di luogo o di interno, ci si possono figurare oggetti, animali, piante, la stessa figura umana, gli elementi naturali come il mare, i monti, i fiumi, i contorni delle regioni e nazioni, sorretti in ogni caso da un linguaggio geometrico che tutto riduca a una sintesi spaziale accessibile anche all'immaginazione del fanciullo cieco, senza peraltro tradire i canoni intangibili e fondamentali del concreto e del reale. Questi schemi della immaginazione riprodotti in schemi grafici, in linee fondamentali, ovvero grandi linee, elementi essenziali, possono essere rappresentati con il disegno soltanto a un patto, soltanto a una condizione, che di tutto ci� il fanciullo abbia una conoscenza concreta e una esperienza propria, per quanto lo consentano naturalmente i suoi sensi residui: tatto, in primo luogo, udito e altre sensazioni secondarie, poi. Perci�, cos�, il disegno non pu� e non deve avere limitazioni di oggetti: ci� servir�, se non altro, a far estrinsecare idee e fornire favorevoli occasioni al maestro per lezioni vive, interessanti su cose non ben conosciute. N� si pensi che questo allargarsi di orizzonti sia dannoso e dispersivo per il bambino. Si possono avere cos� sempre nuovi centri di interessi quasi, si pu� dire, senza alcuna limitazione. Potrebbe certamente esserci anche il pericolo di dare vere e proprie illusioni, delusioni all'alunno di saper fare o di conoscere cose, oggetti, situazioni di orientamento che in realt� egli deduce solo astrattamente, intellettualisticamente; ma qui la prudenza del maestro, che sa attendere e che non ricerca nel disegno del bambino mai l'effetto, la bella figura e che sa indurre a non far ritoccare mai prima della correzione il disegno del bambino, � una sicura salvaguardia. Quindi, libero campo di attivit� del disegno, dal percorso, dalla pianta topografica fino alla scenetta immaginata e disegnata su pi� e differenti piani; ben inteso, per�, presupponendo e soprattutto accertandosi mediante il lavoro e l'ideazione fatta prima colla plastica, della conoscenza reale degli oggetti, conoscenza raggiunta con ogni mezzo ed esperienza a disposizione, conoscenza tempestiva nella direzione sempre del concreto e non della nozione unicamente verbale, intellettualistica, astratta, puramente mnemonica. Costituire oggetto di disegno qualunque cosa implichi rapporto di spazio configurantesi in punti, linee, piani ed incontro di piani, significa dunque richiedere continuamente lo studio e la buona occasione di esperienze sensoriali. Cos�, ad esempio, disegnare degli alberi vuol dire aver tentato di comprendere, toccare e conoscere sia pure nelle linee fondamentali e geometricamente la direzione ovvero il movimento del tronco, dei rami, magari delle foglie, la direzione delle radici; e poi, infine, anche la figura complessiva d'insieme della chioma che l'udito del cieco unitamente alla descrizione discreta ed essenziale del maestro e alla conoscenza tattile delle foglie, del tronco, di un ramo rappresentano con elementi di esperienza viva. Il programma di disegno nella scuola elementare quindi � vasto come estesa � tutta l'esperienza sensibile che pu� fare il bambino. Tuttavia esso pu� e deve comporsi in fasi graduali e progressive. Il disegno nel giardino d'infanzia o scuola materna e nel primo ciclo della scuola elementare deve avere per oggetto prima di ogni altra cosa i percorsi, le piante topografiche degli ambienti noti e dei dintorni dell'Istituto; le figure geometriche fondamentali dovranno essere le prime forme da disegnarsi. Anzitutto fatte bene toccare e discriminare tra loro, poi, appuntate sul cuscinetto avendo l'avvertenza di infrapporre tra cuscinetto e figura geometrica un foglio di carta, si devono far punteggiare i contorni e indi strappare cosicch� ne risulti la figura nella sua intierezza, nel suo insieme, dopo che l'idea d'insieme � stata fissata nell'immaginazione del bambino mediante il movimento della mano la quale ha dovuto seguire puntino per puntino il contorno preciso. Poi il bambino pu� riprodurre le figure da solo. L'aiuto e la guida dell'insegnante debbono intervenire a opera ultimata e non mentre il bambino si affatica a concepire e a fissare l'idea d'insieme della figura. Per agevolare l'azione manuale del punteggio cogli spilli, della manipolazione e misurazione del cordoncino, si sceglieranno altre operazioni che non siano quelle vere e proprie inerenti al disegnare. Durante il disegno il bambino va lasciato stare, va lasciato tranquillo. Solo dopo aver fatto la figura piana si passa ad una fase ulteriore e pi� evoluta del disegno. Dico figura piana e credo bene di insistere su tale termine giacch� ho visto pi� di una volta dare ai bambini del giardino d'infanzia da disegnare pecorine, gatti, cani, paperelle, magari anche stilizzati, quando ancora essi non sapevano abbozzare neppure lontanamente in creta oggetti tridimensionali. Solo dopo aver fatto la figura piana, dunque, figura disegnata, punteggiata la carta sottostante ad essa, si pu� passare al disegno libero, senza la figura sottomano. Dopo le figure geometriche fondamentali il bambino della scuola materna potr� passare al disegno di forme piane; per� � necessario aver ben chiaro il processo di sviluppo su accennato per una integrazione reale e per l'acquisizione di immagini concrete. Quindi il disegno punteggiato o astratto pu� essere seguito dall'operazione di circondare la figura appuntando via via il cordoncino e poi, in una ulteriore fase, procedere al disegno libero, mnemonico, in certo senso spontaneo, senza la figura sotto le mani. Ci sono dunque da osservare e da porre in pratica tre fasi fondamentali: disegno astratto, disegno circondando la figura col cordoncino, disegno libero. Dopo il disegno geometrico da riferirsi sempre a oggetti reali e da abbellirsi e arricchire con un pizzico di fantasia (come si fa nell'uso dei prismetti di legno che vengono classificati ora quali soldati, ora come colonne ecc.) o anche contemporaneamente, secondo il caso e il livello di concretezza della immaginazione, si pu� passare al disegno di foglie sempre di figure piane (magnolia, ciliegio, viola del pensiero e cio� lauro, ceraso, tiglio, ecc.) fino a far disegnare dai fanciulli pi� maturi del primo ciclo e poi anche nel secondo foglie dai bordi variamente frastagliati come quella di fico, vite, platano, ecc.. Il disegno tuttavia non va dissociato da conoscenze ad esso relative e cos� si deve sempre aver cura di riportare il fanciullo, nel caso da noi considerato, alla conoscenza degli alberi dei quali egli vuole disegnare la foglia, conoscenza il pi� possibile ricca e sensorialmente esperimentata. Dove � il caso, come dicevamo prima, dunque, secondo la maturit� di ogni singolo fanciullo, si useranno le tre fasi fondamentali dello strappo punteggiato, del disegno circondando la figura col cordoncino, del disegno riprodotto liberamente. Quest'ultima fase pu� essere raggiunta anche magari facendo toccare una o pi� volte il modello secondo le capacit� della mano di ciascuno. Per�, pertanto, � necessario giungere al possesso mnemonico e intelligente dell'idea d'insieme; quindi il maestro deve curare il procedere graduale della formazione dell'immagine che si termina mediante il disegno, dosando, dove � il caso, l'esplorazione della figura piana e controllando che l'espressione del disegno riesca a germogliare libera, anche con sforzo, non vincolata nei suoi risultati finali pedissequamente o meccanicamente al copiato tattile. Il disegno inteso semplicisticamente come copiato tattile potrebbe costituire una fase precedente e talvolta utile alla libera concezione della immagine e alla sua libera e in certo senso spontanea espressione grafica. Ma tale fase particolare pu� essere utile specialmente per fanciulli tardivi, e forse per gli adulti per l'esercizio della riproduzione di disegni geografici frastagliatissimi; quest'ultimo punto di vista � molto discutibile, giacch� eccessivamente meccanico e relativo. Il maestro deve saper essere spettatore intelligente, e soltanto quando tutto � finito, quando il tutto e cio� l'idea di insieme pu� mostrare la vera faccia dell'immaginazione del fanciullo, egli interviene con osservazioni che riguardano soprattutto l'essenziale e non l'accessorio. Osservazioni per� che debbono tener conto delle sproporzioni e dei particolari tanto cari al fanciullo, messi l� in evidenza per motivi affettivi e non secondo un ponderato equilibrio formale. Le correzioni vanno sempre suffragate con conoscenza esperimentata fatta su materiale vivo, al contatto della natura, all'aperto, in gruppo. Ci si pu� servire anche, dove sia possibile, della collaborazione diretta nella correzione degli altri compagni, senza urtare le giuste suscettibilit�, ponendo in rilievo un senso di solidariet� e di reciproca stima. Dalla figura piana, dopo che si � acquistata l'idea tridimensionale, sia pur approssimata, di mobili, di edifici, animali, di se stesso, del proprio corpo rispetto al piano del suolo, si pu� passare, avendo fatta tanta e tanta plastica, al disegno di animali ossia di oggetti dalle tre dimensioni. Anche qui per� si deve osservare e mettere in pratica una gradualit� ben precisa. Non si possono fare osservare animali come figura, in piano, senza che di essi si abbia una rappresentazione: dall'animale (figura piana) all'animale (forma solida) si potr� giungere, ad esempio, se fatto un qualunque esemplare in creta, con un filo, con uno spago lo tagliamo in sezione perfetta cos� da avere, da ricavarne una forma schiacciata completamente simile ad una figura piana ritagliabile in carta o cartone o compensato. Quando il fanciullo ha compreso questo passaggio di forma dal piano al solido, allora egli pu� avventurarsi nel disegno di oggetti e cose dove lunghezza, larghezza, altezza sono elementi indispensabili caratterizzanti della forma. Abbiamo scelto l'animale solo a mo' di esempio. Ora, anche nei suoi disegni il fanciullo non evidenzier� tali elementi fondamentali dello spazio al punto di renderli chiari e leggibili, tuttavia noi abbiamo la certezza che egli ne ha una consapevole approssimazione. E qui siamo in pieno secondo ciclo, dove il disegno deve divenire abituale sussidio quotidiano, piacevole occupazione, direi quasi ricreazione lasciata all'estro del ragazzo, il quale dev'essere incoraggiato, non oppresso n� ingannato. Illustrazioni di temi, poesie, passeggiate, di argomento di studio possono essere fatte sempre prima mediante la plastica e poi mediante il disegno dove si vedr� certamente e si potr� osservare come il bambino si ripeta in quanto anche il fanciullo cieco nei suoi disegni, quando essi siano numerosi e frequenti, egli serba sempre un suo modo individuale e starei per dire personale, di schematizzare ed esprimere caratteristiche formali, sproporzioni, povert� di dettagli, eccessiva linearit� e staticit�, goffaggine, tutti motivi che saranno sempre suoi e che spesso conserva e difficilmente o poco apprezzabilmente attenua. Alcuni maestri cercano di correggere aggiustando con le proprie troppo abili mani e non con quelle del fanciullo: grave errore; altri credono di poter arricchire l'immaginazione del bambino che non vede presentando da indovinare disegni addirittura stilizzati, come � molto in uso oggid�, disegni dei quali c'� piuttosto un idoleggiamento della forma reale, del quale si pu� giovare, forse, si pu� divertire e baloccare soltanto l'occhio. Nella scuola elementare dei ciechi bisogna rifuggire dalle blandizie degli oggetti stilizzati, assolutamente inadatti ad agevolare il processo di conoscenza e una concreta esperienza immaginativa. Quindi, anche i modelli devono essere necessariamente il pi� vicino possibile al reale di cui fungono da copia, dopo che dell'animale e della cosa si sia avuta la convinzione mediante esperienze vive e personali, esperienze di tutti i sensi, tattili, uditive, termiche, ecc.. Lo stilizzato per i ciechi � un pericoloso camuffamento del reale, che il tatto, la mano non riescono ad accogliere; tali variazioni o elucubrazioni visive della forma sono inaccessibili al tatto dei ciechi se in esse si vuole ricercare il punto di partenza. Bando quindi alla stilizzazione della figura o delle forme riportate come esperienze tattili di oggetti, perch� tali contrazioni o contraffazioni della forma non agevolano, non favoriscono certo la conoscenza del cieco e la formazione di immagini vicine al vero, fedeli al reale, utili. Schematizzazione per raggiungere l'essenziale s�; ma non stilizzazione o contrazione della forma. Cos� il maestro provetto, d'altro canto, non pu� pretendere nel disegno del fanciullo n� pu� ricercare il perfetto. Si accontenti invece del sufficientemente approssimativo, non sovraccarico di particolari che impediscano al tatto di cogliere e realizzare l'idea d'insieme. Perci� rifuggire, almeno nel disegno, dai troppi particolari, da quei dettagli che non costituiscano caratteristiche essenziali, determinanti di quella specifica forma disegnata. D'altronde i mezzi un po' rudimentali come il cordoncino e il punto Braille e Ball� sono inadeguati a riprodurre il particolare come ad esempio quelli del viso della figura umana: occhi, ciglia, orecchi, capelli, ecc.. E per supplire a questa deficienza di mezzi espressivi si pu� ovviare efficacemente arricchendo il pi� possibile l'esperienza tattile del fanciullo col fargli toccare e osservare il proprio viso e quello dei suoi compagni e quindi quello di statue e capolavori della scultura. Noi non potremo mai esigere la riproduzione di dettagli delicati e fini con i mezzi grossolani e pur tanto validi per il tatto quali il cuscinetto e i punti in rilievo. D'altra parte poi colla riproduzione in creta di qualunque forma, possiamo ottenere risultati sorprendenti anche sul piano del particolare e di dettagli inaccessibili al disegno del fanciullo cieco. Non dobbiamo dimenticare che siamo nell'ambito della scuola primaria dove ci sono bambini che godono relativamente di un apporto di stimoli sensibili. Le sensazioni che possono colpire la mente, la fantasia, l'immaginazione del cieco, per quanto numerose e sapientemente rilevate, sono sempre poche rispetto a quanto pu� dare in estensione, in variet�, in vivacit� il senso della vista. L'importante, che il fanciullo metta fuori, faccia uscire dalla sua mente, esprima la sua idea in immagine gradualmente e cio� nella successione di plastica-disegno, nella variet� dei mezzi che gli sono consentiti di usare: cuscinetto, tavoletta Braille, principalmente. Infatti nel disegno del bambino cieco non possiamo certo parlare in senso aperto e precisamente di bello oggettivo e di bello soggettivo, di fattori estetici veri e propri. Difficilmente in esso si ha movimento spontaneo; un tale carattere se pure si raggiunge, viene ottenuto di riflesso mediante la normalizzazione compiuta nell'ambito della scuola primaria, e pi� in particolare, educando il corpo di chi non vede, dei ragazzi coll'educazione fisica, delle bambine colla ritmica a una coscienza plastica sempre presente nella propria mente di come il proprio corpo si configura nello spazio. Questa coscienza plastica di s�, del proprio corpo colla danza classica nelle giovinette pu� essere resa evidente al punto di dare appagamento e godimento estetico col rendere pi� bello e aggraziato il viso e tutto il corpo. Di ci�, educazione fisica, ritmica e danza si pu� giovare effettivamente il disegno dei ciechi acquistando maggior espressivit� e movimento. Il lavoro colla plastica, come del resto avviene in generale per il disegno, pu� agevolare molto efficacemente la possibilit� di esprimere movimento nel disegno stesso giacch� la creta si presta docilmente a essere plasmata e a significare le posizioni del corpo in movimento. L'osservazione attenta dei fenomeni della natura, del vento che fa correre le foglie, che fa piegare i rami, le canne, l'erba dei prati pu� essere un mezzo buono per far tradurre plasticamente e poi graficamente questo aspetto interessante e dinamico della forma. Tuttavia in queste considerazioni dobbiamo essere obiettivi e prudenti ed � bene rimanere nel campo delle esperienze comuni e non eccezionali, come si presenta talvolta il disegno di alcuni soggetti particolarmente dotati. Tali belle testimonianze di espressivit� non fanno fede se confrontate con la media comune. L'immaginazione di chi non vede � estremamente bisognosa di nutrirsi di concreto e di esperienze fatte con i sensi residui rimasti integri. Nel disegno del bambino cieco non c'� un'anima che liricamente sogna, si agita, giacch� in esso manca essenzialmente un'estetica, manca una poesia e sembra soltanto eminente il fine pratico. Ci� non toglie che si possano avere disegni interessanti e talvolta piacevoli anche per chi guarda, pi� per� dal punto di vista della meraviglia che del gusto, dobbiamo onestamente riconoscerlo. Nel disegno del bambino che non vede manca un mondo poetico che pu� essere dato solo dal colore e quindi il disegno del fanciullo cieco non pu� essere in s� linguaggio, o per lo meno non mostra apparentemente di esserlo, mancando d'immediatezza e di suggestivit�, di comunicativa e di enfasi. Il disegno infantile di chi non vede non � dunque necessariamente spontaneo, non � poesia pure giungendo qualche volta a essere un atto libero del fanciullo, non � con evidenza un linguaggio grafico, non � arte, ma � soprattutto e molto spesso un mezzo pratico per dare concretezza alle immagini dei ciechi e per vincere l'innata e naturale tendenza alla parola vuota d'immagine reale. Sotto questo punto di vista, � bene ripeterlo, a mo' di conclusione, il maestro non pu� mai scindere il disegno, qualunque tipo di disegno, da esperienze pratiche sensoriali vissute personalmente dal fanciullo, esperienze fatte sugli oggetti che dovranno divenire materia, sostanza immaginativa, premessa necessaria di ogni sua esercitazione grafica. Accoppiare perci�, sposare sempre conoscenze esperimentate nella vita pratica, nella vita al contatto della natura, del bello della natura l'azione espressiva del disegno, se non si vuole cadere in un altro tipo di verbalismo grafico, cio� nella cattiva abitudine di far immaginare ossia goffamente immaginare cose, situazioni, luoghi, scene n� viste n� mai vissute. Pure tenendo conto di questa conclusione un poco severa e in certo qual modo sconfortevole, il disegno, se tempestivamente e liberamente coltivato, rimane sempre per i fanciulli pi� normalizzati e pi� vivaci d'intelligenza e fantasia un mezzo piacevole di ripensamento della realt� conosciuta, immaginata e fantasticata, ripensamento gioioso perch� frutto di un'attivit� libera. Orfeo Ferri LEGISLAZIONE Le novit� introdotte dal Decreto sull'inclusione, di Gianluca Rapisarda (pagg. 35-48) - Un'analisi del Decreto sull'Inclusione scolastica di recente approvazione mette in luce le nuove norme ma sottolinea anche la necessit� di un maggior coinvolgimento del contesto scolastico. - Il d.lgs. n. 378 del 2017 (Decreto legislativo sull'inclusione scolastica), approvato dal Governo lo scorso 14 Gennaio, � stato adottato in attuazione della delega conferita al Governo dalla norma di cui all'articolo 1, comma 181, lettera c), della legge n. 107 del 2015, recante "Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti" che dispone: "c) promozione dell'inclusione scolastica degli studenti con disabilit� e riconoscimento delle differenti modalit� di comunicazione attraverso: "1) la ridefinizione del ruolo del personale docente di sostegno al fine di favorire l'inclusione scolastica degli studenti con disabilit�, anche attraverso l'istituzione di appositi percorsi di formazione universitaria; "2) la revisione dei criteri di inserimento nei ruoli per il sostegno didattico, al fine di garantire la continuit� del diritto allo studio degli alunni con disabilit�, in modo da rendere possibile allo studente di fruire dello stesso insegnante di sostegno per l'intero ordine o grado di istruzione; "3) l'individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni scolastiche, sanitarie e sociali, tenuto conto dei diversi livelli di competenza istituzionale; "4) la previsione di indicatori per l'autovalutazione e la valutazione dell'inclusione scolastica; "5) la revisione delle modalit� e dei criteri relativi alla certificazione, che deve essere volta a individuare le abilit� residue al fine di poterle sviluppare attraverso percorsi individuati di concerto con tutti gli specialisti di strutture pubbliche, private o convenzionate che seguono gli alunni riconosciuti disabili ai sensi degli articoli 3 e 4 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e della legge 8 ottobre 2010, n. 170, che partecipano ai gruppi di lavoro per l'integrazione e l'inclusione o agli incontri informali; "6) la revisione e la razionalizzazione degli organismi operanti a livello territoriale per il supporto all'inclusione; "7) la previsione dell'obbligo di formazione iniziale e in servizio per i dirigenti scolastici e per i docenti sugli aspetti pedagogico didattici e organizzativi dell'integrazione scolastica; "8) la previsione dell'obbligo di formazione in servizio per il personale amministrativo, tecnico e ausiliario, rispetto alle specifiche competenze, sull'assistenza di base e sugli aspetti organizzativi ed educativo-relazionali relativi al processo di integrazione scolastica; "9) la previsione della garanzia dell'istruzione domiciliare per gli alunni che si trovano nelle condizioni di cui all'articolo 12, comma 9, della legge 5 febbraio 1992, n. 104". Esaminando l'articolato, di seguito, si illustra una sintesi del decreto legislativo sull'inclusione che � costituito di 21 articoli. Gli articoli sono suddivisi in 7 Capi, segnatamente: Capo I : Principi generali; Capo II: Prestazioni e indicatori di qualit� dell'inclusione scolastica; Capo III: Procedure di certificazione per l'inclusione scolastica; Capo IV: Organizzazione scolastica per l'assegnazione delle risorse; Capo V: Programmazione e progettazione dell'inclusione; Capo VI: Formazione iniziale dei docenti per il sostegno didattico; Capo VII: Ulteriori disposizioni. L'articolo 1 (Principi e finalit�) definisce, in linea generale, il concetto di "scuola inclusiva". Tale concetto ha avuto un'evoluzione storico-culturale che, a partire dalla legge 30 marzo 1971 n. 118 che propose un nuovo modello di scolarizzazione degli alunni disabili nelle classi comuni anzich� nelle classi "speciali", ha interessato il sistema scuola nel suo complesso. L'inclusione scolastica, inizialmente denominata "integrazione", nasce, originariamente, per garantire il diritto di istruzione e successo formativo dei minori disabili ma rappresenta, oggi, un valore fondamentale e fondante l'identit� stessa delle singole istituzioni scolastiche, siano esse statali o paritarie, valido per tutti gli alunni e studenti. E ci� grazie soprattutto alle recenti approvazioni della Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilit� e della Salute (International Classification of Functioning, Disability and Health ICF) da parte dell'Organizzazione Mondiale della Sanit� (OMS) nel 2001 e della Convenzione internazionale sui diritti delle persone con disabilit� da parte delle Nazioni Unite nel 2006. L'inclusione scolastica � individuata quale architrave dell'identit� culturale, educativa e progettuale delle scuole caratterizzandone nel profondo la mission educativa, attraverso un coinvolgimento diretto e cooperativo di tutte le componenti scolastiche. Essa, pertanto, � sviluppata e valorizzata nell'ambito dei documenti fondamentali della vita della scuola, quali il Piano Triennale dell'Offerta Formativa (PTOF) che caratterizza l'identit� culturale ed educativa delle singole istituzioni scolastiche. A fronte della nuova visione di scuola inclusiva, in cui il successo formativo riguarda tutti gli alunni e gli studenti, nessuno escluso, il decreto interviene a rinnovare, ed adeguare, le strategie specifiche messe in atto per gli alunni e studenti con disabilit� di cui alla legge 104 del 1992. L'articolo, infine, sottolinea come tutti gli interventi a favore degli alunni/studenti con disabilit� vanno nella direzione di superare necessariamente la vecchia concezione di loro "presa in carico" da parte dei docenti, ribadendo che l'inclusione scolastica, perch� sia effettiva, interessa invece tutte le componenti scolastiche, e non solo il docente di sostegno, ovvero dirigenti scolastici, docenti curricolari, personale ATA, studenti e famiglie nonch� tutti gli operatori istituzionali deputati al perseguimento degli obiettivi di inclusione. L'articolo 2 (Ambito di applicazione) individua i soggetti beneficiari del decreto: l'atto � incentrato esclusivamente sull'inclusione scolastica degli alunni e degli studenti con disabilit� certificata ai sensi della legge n. 104 del 1992. L'articolo focalizza l'attenzione sull'inclusione scolastica da realizzarsi in un sistema integrato che, come gi� anticipato all'articolo 1, opera all'interno di un progetto complessivo di sostegno ed assistenza, realizzato da scuola, famiglia e i diversi soggetti, pubblici e privati, a diverso titolo coinvolti e con diverse competenze e responsabilit�. Il Piano Educativo Individualizzato (PEI) � inserito, infatti, quale parte integrante, del Progetto individuale, potenziandone sostanzialmente il ruolo, essendo lo stesso non un mero documento burocratico, ma l'occasione fondamentale per la realizzazione del "progetto di vita" degli alunni e degli studenti con disabilit�. In sostanza, l'2 ricalca appositamente l'innovativo concetto di "condivisione" nell'ambito della definizione del PEI, agganciandosi cos� a quell'idea cooperativa di inclusione scolastica che non riguarda solo il docente per il sostegno, ma tutte le componenti scolastiche, rimarcando al contempo, nell'ambito dei diritti, tutte le misure previste a legislazione vigente per il supporto, anche materiale, necessario per l'inclusione scolastica. L'articolo 3 (Prestazioni e competenze) individua le prestazioni per l'inclusione scolastica effettuando una ricognizione dei compiti gi� assegnati, a normativa vigente, a ciascun Ente istituzionalmente preposto a garantire il diritto-dovere all'istruzione degli alunni e degli studenti con disabilit�. L'art. 3 ribadisce che le scelte in materia di disabilit� vanno nella direzione di definire un sistema integrato degli interventi fra servizio sociale, sanitario ed istruzione. In virt� dell'attuale assetto di riparto delle competenze come tracciato dal vigente Titolo V della Costituzione, le funzioni dei vari Enti coinvolti nel processo d'inclusione scolastica, sono ripartite nel seguente modo: Allo Stato competono: 1. l'assegnazione, per il tramite dell'Amministrazione scolastica, dei docenti per il sostegno didattico, al fine di assicurare il diritto all'educazione e all'istruzione degli alunni e degli studenti con disabilit�; 2. l'assegnazione, per il tramite dell'Amministrazione scolastica, del personale ausiliario nella scuola statale, per lo svolgimento dei compiti di assistenza previsti dal profilo professionale, ai sensi della normativa vigente; 3. la costituzione delle sezioni per la scuola dell'infanzia e delle classi prime per ciascun grado di istruzione, in modo da consentire, di norma, la presenza di non pi� di 22 alunni ove siano presenti studenti con disabilit� certificata, fermo restando il numero minimo di alunni o studenti per classe, ai sensi della normativa vigente; 4. la definizione dell'organico del personale ATA, tenendo conto, in sede di riparto delle risorse professionali, della presenza di alunni e di studenti con disabilit� certificata presso ciascuna Istituzione scolastica statale, anche in deroga ai vincoli numerici come previsto dalle disposizioni vigenti; 5. assegnare alle istituzioni scolastiche paritarie un contributo economico, parametrato al numero degli alunni e degli studenti con disabilit� certificata frequentanti, finalizzato all'inclusione scolastica degli stessi, ai sensi della legislazione vigente. Alle Regioni, previa intesa in sede di Conferenza unificata, compete assicurare la progressiva uniformit� su tutto il territorio nazionale della definizione dei profili professionali del personale destinato all'assistenza educativa e all'assistenza per l'autonomia e la comunicazione personale, anche attraverso previsione di specifici percorsi formativi propedeutici allo svolgimento dei compiti assegnati, fermi restando gli ambiti di competenza della contrattazione collettiva e nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente. Agli Enti locali, ferma restando la ripartizione delle competenze prevista dall'articolo 1, comma 85 e seguenti della legge 7 aprile 2014 n. 56, competono: a) l'assegnazione del personale dedicato all'assistenza educativa e all'assistenza per l'autonomia e per la comunicazione personale, come previsto dall'articolo 13, comma 3, della legge n. 104 del 1992; b) i servizi per il trasporto per l'inclusione scolastica come garantiti dall'articolo 8, comma 1, lettera c) della legge n. 104 del 1992 e dall'articolo 139, comma 1, lettera c) del decreto legislativo n. 112 del 1998; c) l'accessibilit� e la fruibilit� degli spazi fisici delle istituzioni scolastiche statali di cui all'articolo 8, comma 1, lettera c), ed all'art. 24 della legge n. 104 del 1992. In ultimo, l'articolo definisce una prestazione comune a ciascuno degli Enti istituzionalmente preposti alla garanzia dell'inclusione scolastica nell'ambito della strumentazione didattica, ovvero statuisce la garanzia in capo allo Stato (Istituzioni scolastiche), alle Regioni (diritto allo studio) e agli Enti locali (erogazione dei sussidi didattici) dell'accessibilit� e della fruibilit� di strumentazioni tecnologiche e digitali nell'ambito della didattica, oggi indispensabili per l'apprendimento degli alunni e degli studenti con determinate tipologie di disabilit�, quali, ad esempio, quelle sensoriali. L'articolo 4 (Valutazione della qualit� dell'inclusione scolastica) qualifica l'inclusione scolastica quale elemento portante dei processi di valutazione e di autovalutazione delle scuole, nell'ambito del Sistema Nazionale di Valutazione come disciplinato dal decreto del Presidente della Repubblica n. 80 del 2013. L'articolo, al comma 2, introduce i criteri relativi al processo di valutazione e di autovalutazione delle Istituzioni scolastiche, statali e paritarie, in tema di inclusione scolastica. In pratica, l'articolo delinea le direttrici fondamentali verso cui si deve muovere l'azione educativa e formativa nell'ambito dell'inclusione scolastica da parte delle Scuole nei pi� ampi processi di valutazione e di autovalutazione necessari per la definizione dei cosiddetti "piani di miglioramento". Obiettivo della norma �, quindi, quello di identificare dei criteri che consentano alle scuole di valutare la propria azione inclusiva, di misurarla e di apportare le opportune strategie per migliorarla o consolidarla. I criteri identificati sono i seguenti: a) qualit� del Piano per l'inclusione scolastica (PAI); b) realizzazione di processi di personalizzazione, individualizzazione e differenziazione dei percorsi di educazione, istruzione e formazione, definiti ed attivati dalla scuola, in funzione delle caratteristiche specifiche degli alunni e degli studenti al fine di garantire loro il successo formativo; c) livello di coinvolgimento dei diversi soggetti nell'elaborazione del Piano per l'inclusione e nell'attuazione dei processi di inclusione; d) realizzazione di iniziative finalizzate alla valorizzazione delle competenze professionali del personale scolastico incluse le specifiche attivit� formative; e) utilizzo di strumenti e criteri condivisi per la valutazione dei risultati di apprendimento degli alunni e degli studenti, anche attraverso il riconoscimento delle differenti modalit� di comunicazione; f) grado di accessibilit� e di fruibilit� delle risorse, attrezzature, strutture e spazi. L'articolo 5 (Certificazione e valutazione diagnostico-funzionale) individua la "valutazione diagnostico-funzionale" in luogo della "diagnosi funzionale" (DF) e del "profilo dinamico-funzionale" (PDF), quale nuovo strumento per la definizione del cosiddetto "funzionamento" dell'alunno e dello studente con disabilit� certificata ai sensi della legge n. 104 del 1992, che costituisce il fondamento su cui definire le diverse provvidenze, ivi incluso il diritto al sostegno didattico. Si tratta, in concreto, di una semplificazione sia in termini documentali (un solo documento in luogo di due) che in termini temporali e di un tentativo di addivenire ad una definizione uniforme del documento su tutto il territorio nazionale (anche attraverso apposite Linee guida che saranno elaborate dall'INPS), onde evitare difformit� applicative e superare le attuali discrasie normative. L'articolo 6 (Commissioni mediche) modifica l'attuale assetto delle Commissioni mediche, prevedendo che siano composte da un medico specialista in medicina legale che assume le funzioni di presidente e da due medici dei quali uno scelto tra gli specialisti in neuropsichiatria infantile e l'altro tra gli specialisti in pediatria. Le Commissioni sono obbligatoriamente integrate dal medico INPS. Al comma 2, la norma prevede che, al fine della predisposizione della valutazione diagnostico-funzionale, le Commissioni siano integrate da un rappresentante dell'Amministrazione scolastica con specifiche competenze in materia di disabilit�, nominato dall'Ufficio scolastico regionale competente per territorio e scelto tra i docenti impegnati in progetti e convenzioni di rilevanza culturale e didattica (organico dell'autonomia). Nella fase della valutazione diagnostico-funzionale, si aggregheranno alle Commissioni pure uno specialista (terapista della riabilitazione) ed un operatore sociale, figure gi� previste dalle commissioni disciplinate all'articolo 4 della legge n. 104 del 1992. Si tratta, in sostanza, di una inversione di tendenza rispetto all'attuale prassi che conduce all'assimilazione della condizione di gravit�, come certificata ai sensi della legge n. 104 del 1992, all'attribuzione delle provvidenze, ivi incluso il sostegno didattico, senza che sul caso concreto vengano rilevati i bisogni effettivi di assistenza e di educazione, che mutano certamente in esito alla tipologia di disabilit�, ma che non sono sempre certamente gli stessi in quanto, come � noto, una tipologia di disabilit� incide sulla persona in maniera differente e plurima. Reputo che in tal modo si corrisponder� meglio agli effettivi bisogni educativi e formativi dell'alunno/studente con disabilit� nell'ambito delle provvidenze che ciascun soggetto istituzionale � tenuto ad erogare, evitando attribuzioni "meccaniche" che nulla hanno a che vedere con i suoi bisogni effettivi di integrazione. Il comma 5, infine, chiarisce che la quantificazione del sostegno didattico � di stretta competenza del Gruppo Inclusione Territoriale (GIT) come disciplinato dal presente decreto legislativo. L'articolo 7 (Procedure della certificazione degli alunni/studenti con disabilit�) al comma 1, precisa che l'INPS, soggetto a cui ordinariamente deve essere rivolta inizialmente l'istanza per la certificazione, deve trattare quelle relative all'inclusione scolastica in via prioritaria onde consentirne la calendarizzazione dell'accertamento entro 30 giorni dalla data di ricevimento dell'istanza. Le Commissioni mediche, conseguentemente, effettuano gli accertamenti e redigono il documento unico di cui al precedente articolo 6, entro 30 giorni dalla data di calendarizzazione dell'accertamento. Il comma 2 scandisce le fasi relative all'inclusione scolastica, nel seguente modo: a) presentazione da parte del medico di medicina generale o di un pediatra di libera scelta, in via telematica e su richiesta dei genitori o del soggetto con responsabilit� genitoriale, della domanda di accertamento della condizione di disabilit�. La domanda deve essere corredata dalla certificazione e dalla documentazione del medico specialista, redatte ai sensi di quanto previsto dal precedente articolo 5; b) accertamento della condizione di disabilit�, redazione della valutazione diagnostico-funzionale, individuazione e quantificazione di quanto previsto al precedente articolo 6 da parte della Commissione e successiva trasmissione ai genitori della documentazione; c) trasmissione dei documenti da parte dei genitori all'Istituzione scolastica nonch� al competente Ente locale ai fini della elaborazione, rispettivamente, del Piano Educativo Individualizzato, e del Progetto individuale ove richiesto dai Genitori; d) elaborazione del Progetto Individuale da parte dell'Ente locale e trasmissione all'Istituzione scolastica; e) trasmissione, a cura del Dirigente scolastico al Gruppo Territoriale Inclusione (GIT) di cui all'articolo 15 della legge n. 104 del 1992, come modificato dal presente decreto, ai fini della proposta delle risorse per il sostegno didattico, dei seguenti documenti: 1) documenti di cui ai precedenti articoli 5 e 6; 2) progetto individuale; 3) piano per l'inclusione (PAI); 4) elaborazione del Piano Educativo Individualizzato (PEI) da parte dell'Istituzione scolastica. La procedura, in sintesi, solleva la famiglia da numerose incombenze burocratiche perlopi� demandate al medico di base e alla scuola. L'elaborazione della procedura, per completezza e per logica conseguenza, prevede che la redazione del Piano Educativo Individualizzato sia posta al termine dell'iter, in quanto il documento, d'ora in poi, dovrebbe avere un forte contenuto didattico-pedagogico, spogliandosi cos� definitivamente di qualsiasi richiamo burocratico. Esso sar� calibrato sulla base del progetto individuale nonch� delle risorse di sostegno didattico definite nella procedura apposita. L'articolo 8 (Gruppo per l'inclusione territoriale) novella l'articolo 15 della legge n. 104 del 1992, istituendo il GIT (Gruppo per l'inclusione territoriale) e sopprimendo tutti gli altri gruppi di lavoro ormai obsoleti. Il GIT avr� il compito di procedere ad effettuare la proposta di risorse per il sostegno didattico all'USR competente per territorio. Esso sar� costituito per ogni ambito territoriale di cui all'articolo 1, comma 66, della legge n. 107 del 2015. L'articolo 9 (Il Progetto individuale) prevede che il PEI sia parte integrante del progetto individuale di cui all'articolo 14, comma 2, della legge n. 328 del 2000. L'articolo 10 (Piano per l'inclusione) definisce modalit� e contenuti del "Piano per l'inclusione" (PAI), che rappresenta il principale documento programmatico-attuativo della scuola in materia di inclusione e costituisce uno dei momenti fondamentali per la definizione del progetto individuale, per la proposta di assegnazione delle risorse per il sostegno didattico da parte dei GIT e per la definizione del Piano Educativo Individualizzato. Al fine di rendere veramente "inclusivo" il "contesto" delle istituzioni scolastiche, opportunamente, esso confluisce nel Piano Triennale dell'Offerta Formativa (PTOF) quale elemento caratterizzante l'identit� culturale e l'autonomia progettuale delle scuole. In esso sono contenute le azioni che la scuola intende intraprendere nell'ambito del contesto in cui opera. A tal fine � la scuola stessa a dover definire le opportunit� che intende sfruttare nonch� i vincoli di contesto in cui si deve muovere. L'articolo 11 (Piano Educativo Individualizzato) delinea i contenuti e le modalit� di approvazione del Piano Educativo Individualizzato (PEI) che confluisce a pieno titolo nel progetto individuale di cui al precedente articolo 10. Nell'ottica di una scuola pienamente "inclusiva", la redazione e l'approvazione del PEI sono giustamente visti quale impegno fondante non solo del docente per il sostegno, ma di tutto il consiglio di classe in cui � presente un alunno/studente con disabilit�. Il concetto fondamentale, pertanto, � che la progettazione e l'azione educativa sia esercitata da tutto il consiglio di classe che programma, unitamente all'insegnante per il sostegno, le strategie didattico-educative per il successo formativo di tutti e di ciascuno. Viene rimarcato e potenziato, pertanto, il precedente concetto della "presa in carico globale" da parte di tutto il consiglio di classe, gi� declinato nella legge n. 104 del 1992 e non sufficientemente attuato nell'ambito dell'azione inclusiva quotidiana. Infine, si rafforza l'"ineccepibile" principio secondo cui il PEI, sempre nell'ambito della progettazione integrata, � elaborato con la necessaria "partecipazione" delle famiglie e di tutti gli operatori assegnati alla classe in supporto alla disabilit�. L'articolo 12 (Ruoli per il sostegno didattico) istituisce le articolazioni del personale per il sostegno didattico per ciascun grado di istruzione, inclusa la scuola dell'infanzia, nell'ambito di quelli previsti dall'articolo 1, comma 66, della legge n. 107 del 2015. Elemento di novit�, oltre alla definizione di una sezione specifica che assegna una "dignit�" particolare al docente assunto sul posto per il sostegno didattico, mi pare essere senz'altro la permanenza sul predetto posto che viene modificata dagli attuali 5 anni ai nuovi 10 anni, con computo anche del servizio pregresso. Ritengo si tratti di una disposizione di particolare rilievo che favorisce finalmente la continuit� didattica ed elimina definitivamente trattamenti giuridici differenziati tra personale con contratto di lavoro a tempo determinato e personale a tempo indeterminato. L'articolo 13 (Corso di specializzazione per le attivit� di sostegno didattico agli alunni con disabilit� nella scuola dell'infanzia e nella scuola primaria) introduce una nuova disciplina per l'accesso alla carriera di docente per il sostegno didattico nella scuola dell'infanzia e nella scuola primaria. In particolare, si prevede con decorrenza dall'anno 2019 che per l'accesso al corso di specializzazione in pedagogia e didattica speciale per le attivit� di sostegno didattico e l'inclusione scolastica, organizzato dalle Universit� autorizzate, di durata annuale e ad accesso programmato, che sostituisce il precedente corso annuale come disciplinato all'articolo 13 del Regolamento approvato con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'universit� e della ricerca n. 249 del 2010, lo studente consegua preventivamente 60 crediti formativi universitari relativi alle didattiche dell'inclusione oltre a quelli gi� previsti nel corso di laurea (31 CFU). Ai sensi della normativa vigente, l'accesso al corso di specializzazione per il sostegno didattico nella scuola dell'infanzia e nella scuola primaria era consentito con il solo conseguimento della laurea magistrale in scienze della formazione primaria. In pratica, per rafforzare le conoscenze necessarie per poter svolgere la professione di docente specializzato, si richiede agli aspiranti una preparazione pi� solida sui temi dell'inclusione, corrispondente in totale a 120 CFU da acquisire, 60 preventivamente allo svolgimento del corso e ulteriori 60 nell'ambito del predetto corso di specializzazione, fermo restando il conseguimento preventivo della laurea abilitante in scienze della formazione primaria quale requisito "base" per lo svolgimento della funzione docente. L'articolo specifica che la positiva conclusione del corso � titolo per l'insegnamento sui posti di sostegno della scuola dell'infanzia e della scuola primaria. L'articolo 14 (Corso di specializzazione per le attivit� di sostegno didattico agli alunni con disabilit� nella scuola secondaria di primo e secondo grado) introduce, in analogia con quanto previsto nel precedente articolo 13 per la scuola dell'infanzia e per la scuola primaria un'analoga modalit� d'accesso alla professione di docente di sostegno per la scuola secondaria, attraverso l'istituzione del corso di specializzazione per le attivit� di sostegno agli alunni con disabilit� nella scuola secondaria a decorrere dall'anno 2019. Le modalit� sono le medesime previste dall'articolo 13. Dunque, anche nel caso della scuola secondaria, si prevede il conseguimento di una solida preparazione sui temi dell'inclusione, pari a 120 CFU, da conseguire 60 prima della frequenza al corso e ulteriori 60 durante la frequenza del corso di specializzazione. L'articolo 15 (Formazione in servizio del personale della scuola) definisce, per ciascuna tipologia di personale della scuola, la tipologia delle attivit� formative che dovranno essere svolte in materia di inclusione scolastica. Finalmente, la formazione viene considerata uno "snodo" fondamentale anche per l'innalzamento della qualit� della didattica inclusiva e si precisa che essa deve coinvolgere tutte le componenti scolastiche chiamate ad operare in maniera "cooperativa" ai fini del raggiungimento del successo scolastico di tutti gli alunni/studenti. A tal fine, si afferma opportunamente che il "Piano Nazionale di Formazione obbligatoria", di cui all'articolo 1, comma 124 della legge n, 107 del 2015, pu� rappresentare un'occasione concreta per garantire lo svolgimento delle necessarie attivit� formative per la piena realizzazione di quanto previsto dal "neonato" decreto legislativo sull'inclusione. In proposito, l'articolo 15 specifica che le scuole, nell'ambito del Piano di formazione inserito nel Piano Triennale dell'Offerta Formativa (PTOF), definiscano specifiche attivit� formative appositamente calibrate per quei docenti, curricolari e di sostegno, che insegnano in classi in cui sono presenti alunni/studenti con disabilit�. La formazione, finalmente e "fortunatamente", dovr� essere rivolta anche al personale ATA (che � tenuto a parteciparvi) e al personale dirigenziale, sia all'atto dell'immissione in ruolo che durante lo svolgimento dell'intera carriera. L'articolo 16 (Continuit� didattica) introduce il principio "sacrosanto" della continuit� didattica anche per gli alunni e gli studenti con disabilit� certificata, che � posto inequivocabilmente una volta per tutte in capo non solo al docente di sostegno, ma anche a tutto il personale della scuola. Il principio, che ha natura di indirizzo generale per le attivit� delle scuole, deve estrinsecarsi nell'ambito sia del piano per l'inclusione che del Piano Educativo Individualizzato. L'articolo 17 (Osservatorio permanente per l'Inclusione scolastica) cristallizza l'istituzione dell'Osservatorio permanente per l'inclusione scolastica che, in raccordo con l'Osservatorio nazionale, supporta il Ministero dell'istruzione, dell'universit� e della ricerca nei seguenti aspetti: a) analisi e studio delle tematiche relative all'inclusione degli alunni/studenti con disabilit� a livello nazionale e internazionale; b) monitoraggio delle azioni per l'inclusione scolastica; c) proposte di accordi inter-istituzionali per la realizzazione del progetto individuale di inclusione; d) proposte di sperimentazione in materia di innovazione metodologico-didattica e disciplinare. L'osservatorio � presieduto dal Ministro dell'istruzione, dell'universit� e della ricerca o da un suo delegato, ed � composto dai rappresentanti delle Associazioni delle persone con disabilit� maggiormente rappresentative sul territorio nazionale nonch� da altri soggetti pubblici e privati individuati dal Ministro. L'articolo 18 (Istruzione domiciliare) introduce una norma di particolare rilievo che supera alcune criticit� emerse in tema di istruzione domiciliare, ad oggi non precipuamente normata e resa effettiva da linee di indirizzo del Ministero che hanno in parte assimilato la disciplina relativa alla "scuola in ospedale" di cui all'articolo 12, comma 9, della legge n. 104 del 1992, all'istruzione domiciliare. L'articolo specifica che le istituzioni scolastiche, in collaborazione con l'Ufficio scolastico regionale, gli Enti locali e le aziende sanitarie locali individuino azioni per garantire il diritto all'istruzione agli alunni e studenti per i quali sia accertata l'impossibilit� della frequenza scolastica per un periodo non inferiore a trenta giorni di lezione, a causa di gravi patologie certificate, anche attraverso la definizione di progetti che possono avvalersi dell'uso delle nuove tecnologie. Viene superato, quindi, in generale, il concetto della preventiva ospedalizzazione e della sola "sezione in ospedale", che, pur permanendo nell'ordinamento, ormai da sola non risulta essere pi� coerente con le evoluzioni temporali, in campo medico, tecnologico e didattico. L'articolo 19 (Abrogazioni), l'articolo 20 (Decorrenze) e l'articolo 21 (Copertura) chiudono il provvedimento, stabilendo la legislazione da esso abrogata, le decorrenze temporali per la sua entrata in vigore ed infine ne fissano gli aspetti finanziari. Queste le nostre considerazioni tecnico-scientifiche sul Decreto 378 del 2017, che nelle intenzioni della neoministra Fedeli dovrebbe "rivoluzionare" l'attuale sistema dell'inclusione scolastica e garantire finalmente un'inclusione di qualit� agli allievi con disabilit� del nostro Paese. Il nostro auspicio � che in questi 60 giorni che precedono la pubblicazione del testo finale del Decreto sull'inclusione, durante i quali il provvedimento sar� discusso nelle competenti Commissioni parlamentari, la Ministra, come d'altronde ha gi� promesso di fare, cambi radicalmente atteggiamento nei confronti delle Associazioni delle persone con disabilit� e delle loro famiglie. Aspettiamo con ansia che la Ministra Valeria Fedeli ci convochi finalmente in audizione per ascoltare la "voce" di chi come noi affronta sul campo la "faticosa" quotidianit� del sostegno didattico e, pertanto, pu� contribuire a rendere quel testo ancora pi� "efficace" ed alla portata del successo scolastico di tutti e di ciascuno. L'inclusione non pu� prescindere dallo sforzo collaborativo del Ministero, che deve essere sempre in grado di confrontarsi a "tutto tondo" e di attivare sinergie positive e cercare sintonie strategiche con tutto il contesto scolastico (dunque anche con gli allievi con disabilit�, con i loro genitori e con chi li rappresenta), senza sconfinamenti in campi altrui e nell'unico interesse del loro diritto allo studio. Gianluca Rapisarda (direttore scientifico I.Ri.Fo.R.) CLASSICI DELLA TIFLOLOGIA La nuova scuola media secondo una integrale formazione umana dei fanciulli ciechi, di Elena Romagnoli Coletta (Tratto da: Luce con luce. Rivista trimestrale dell'Istituto statale "A. Romagnoli" di specializzazione per gli educatori dei minorati della vista, a. 7 (1963), n. 3, pp. 3-17) (pagg. 49-64). - La nuova Scuola media presenta caratteristiche peculiari in relazione ad una istruzione personalizzata del bambino non vedente. - Quando, nell'ormai lontano 1939, alla scuola primaria per ciechi fu aggiunta la Scuola di avviamento professionale strutturata sul modello di quella funzionante per i fanciulli vedenti, si pens� di aver dato un assetto definitivo all'istruzione di base dei nostri fanciulli, completando l'orientamento prevalentemente formativo del ciclo delle scuole elementari con l'indirizzo professionale volto a porre in evidenza le attitudini e a sviluppare alcune fondamentali abilit� manuali in modo da garantire un pi� proficuo apprendimento professionale. Per comprendere i motivi che determinarono l'elaborazione dei programmi della scuola di avviamento professionale per ciechi e la accettazione di un indirizzo che sovrapponeva l'aspetto tecnico e informativo a quello prevalentemente umanistico e formativo, occorre tener presente il momento in cui l'innovazione scolastica si inseriva nella complessa azione di rivalutazione delle possibilit� dei non vedenti e di rivendicazione dei loro diritti al lavoro e alla parit� sociale. Urgeva pi� che mai in quel momento dimostrare che la mancanza della vista non preclude in modo definitivo, a chi ne � colpito, la possibilit� di svolgere con profitto alcune attivit� produttive; occorreva sostenere il principio che nella complessa vita produttiva contemporanea si poteva far luogo all'inserimento dei privi della vista in modo sempre pi� concreto e aderente alle necessit� di vita di essi. La scuola di avviamento professionale, prevalentemente orientata verso la scoperta di attitudini e di possibilit� pratiche, offriva quindi l'occasione migliore per una precoce sperimentazione delle tecniche lavorative e su questa esigenza furono modellati i programmi anche per quanto concerneva le esercitazioni speciali. L'orientamento, la vita di relazione, la stessa educazione estetica pur previste nei programmi della scuola di avviamento professionale come discipline speciali dirette a sviluppare nell'alunno cieco una pi� completa personalit� sociale, si riducevano in ultima analisi ad un completamento non sempre equilibrato e armonico della nascente personalit� professionale; si indulgeva alla tendenza di corredare l'alunno di conoscenze utili alle relazioni sociali, che restavano sul piano di nozioni generiche, forme che non attingono l'intimo di una personalit� originale. Perch� la scuola di avviamento professionale in pi� di venti anni di funzionamento non ebbe mai modo di assolvere compiutamente - almeno per i ciechi - il proprio compito di formazione alla vita e non seppe neppure mantenere il proprio impegno nei confronti di un preciso e concreto orientamento professionale? Quali cause hanno determinato il progressivo abbandono della integrale applicazione dei programmi del 1941 in quelle scuole che maggiormente hanno avvertito la necessit� di adeguare l'attivit� educativa alle effettive esigenze dell'educando? Per trovare una soddisfacente risposta ai due precedenti quesiti � necessario richiamare brevemente, sia pure in una sintetica formulazione, i principi fondamentali a cui si ispira l'educazione dei fanciulli ciechi, in una metodica viva e aperta, orientata soprattutto a scoprire le potenzialit� umane insite nel fanciullo e a farle svolgere verso valori superiori, in vista di fini che trascendono la necessit� contingente del momento e dell'et�. La scuola primaria prevalentemente si preoccupa di considerare nel fanciullo cieco, in rapporto alla sua umanit� offuscata dalla minorazione, le forme possibili di una normalizzazione integratrice e liberatrice, non presupponendo al progresso normalizzativo altra norma che non sia quella derivante dalla verit� insita nel fanciullo stesso e dalle sue possibilit� collegate a reali ed effettive attitudini personali. Il fanciullo viene cos� ad essere considerato come un'unit� che si svolge e cresce superando e assorbendo le difficolt� proposte dalla minorazione, trasformando cio� in valori vitali le stesse forme di impedimento esterno che la sua minorazione suscita, richiedendo un impegno di volont� e di attenzione per essere superato. Il compito della scuola primaria, che con una formulazione rigorosamente sintetica possiamo definire normalizzativo, non si esaurisce nel contatto con programmi improntati prevalentemente allo sviluppo della cultura dell'individuo, non pu� nutrirsi del solo rapporto maestro-alunno, n� soddisfarsi socialmente delle relazioni del gruppo definibile col tradizionale nome di "classe"; il compito di normalizzare implica qualcosa di pi� dell'atto educativo sollecitando, contemporaneamente all'integrarsi dei fattori educatore-educando, l'intervento di un'azione che abbia non solo un proprio metodo, ma anche una propria prassi ed una tecnica specializzata. Perch� la normalizzazione possa essere anche e prevalentemente educazione, perch� la tecnica non comprometta la libert� del soggetto, � necessario che il fanciullo trovi nell'ambiente stesso in cui trascorre tutta la sua vita di educando gli elementi formativi da assimilare e da assorbire nel complesso processo della sua evoluzione. L'unitariet� dell'azione educativa appare quindi il fondamentale carattere di questo primo periodo di formazione e di normalizzazione: unitariet� che liberandosi da ogni meccanicismo unilaterale sia un confluire di esperienze coordinate da una visione unitaria della vita del fanciullo minorato nei suoi diversi momenti. La scuola elementare inserita nella vita di convitto non presenta motivi di contraddizione con la caratteristica dell'unitariet�, giacch� la presenza in classe e nel gruppo di un solo maestro assicura gi� di per s� un'impronta personale facilmente individualizzabile e riconoscibile dal direttore della scuola e del convitto, al quale compete, in ultima analisi, di fissare in una costante e attiva ricerca i momenti fondamentali dell'intero processo educativo, adeguandoli ai tempi e alla natura degli educandi. La funzione del direttore costituisce l'indispensabile unione tra i diversi momenti e mezzi dell'atto educativo, rendendo unitario ci� che apparentemente pu� presentarsi come pluralit� di atteggiamenti e di azioni. Ove tale funzione unificatrice sia interrotta da interferenze o da sovrastrutture ambientali, non solo viene irreparabilmente compromesso l'ordinato svolgersi della vita di comunit�, ma viene stimolata la tendenza alla dispersione, al frammentarismo, alla passivit� che � spesso naturale conseguenza della minorazione visiva. Si promuove il costituirsi di un ambiente educativo amorfo, privo di ogni segno di personalit�, ossia di quel fondamentale dinamismo che solo ne pu� garantire l'ordinato progresso. Poich� la normalizzazione intesa come un atto educativo che si fonda sulla realt� psicologica dell'alunno si compie in virt� di una sostanziale unitariet� di principi e si rende efficace quando alla partecipazione dell'alunno all'atto educativo si unisce una personale iniziativa che interiorizza l'atto stesso, trasformando l'azione dell'ambiente esterno in atteggiamento cosciente e volitivo del fanciullo. La scuola di avviamento professionale con le sue strutture complicate e spesso artificiose, con una congerie di discipline e sottodiscipline, di nozioni teoriche e di conoscenze pratiche, introduceva nel delicato organismo dell'Istituto per ciechi una inconciliabile eterogeneit� di atteggiamenti, di mezzi e di indirizzi. L'unitariet� dell'azione educativa veniva cos� seriamente compromessa, poich� la necessit� dell'orientamento professionale postulava delle applicazioni tecniche incompatibili con lo spirito prevalentemente formativo dell'ambiente costituito dall'Istituto. Sempre pi� difficile appariva il conciliare il tecnicismo della scuola e dei lavoratori e il nozionismo delle discipline che formavano la parte culturale dei programmi dei corsi di avviamento professionale, con le esigenze formative di un'attivit� di normalizzazione confinata in periodi sempre pi� angusti della giornata. In tal modo non solo l'alunno veniva posto di fronte, ancora immaturo nelle sue strutture psichiche, a problemi di scelta professionale e di perfezionamento tecnico, ma veniva, al tempo stesso, distolto, per una sorta di allontanamento psicologico, dalla partecipazione all'attivit� formativa dell'Istituto. Gli effetti sono a tutti noti: almeno a tutti coloro che hanno vissuto nell'ambito dell'educazione dei ciechi la carenza di una scuola secondaria che continuasse, sviluppandolo e perfezionandolo, l'intento formativo della scuola primaria nella quale deve porsi un robusto fondamento di normalizzazione. In verit� alcuni nostri Istituti gi� da qualche tempo avevano abbandonato la rigida applicazione dei programmi del 1941, introducendo nella scuola di avviamento professionale un indirizzo pi� umanistico, tentando in tal modo di attenuare in parte le conseguenze di un'eccessiva frammentariet� di momenti e di mezzi educativi. Alcuni direttori si rendevano conto della necessit� per l'adolescente cieco di una formazione umana pi� ampia e pi� profonda per supplire alla ristrettezza di orizzonte determinata dalla minorazione che rallenta inevitabilmente le possibilit� culturali e di relazioni sociali. "Prima uomini, poi operai": se questo aforismo di Augusto Romagnoli vale per tutti, � determinante per la riuscita nella vita del cieco. Tuttavia il lodevole desiderio di forgiare una scuola secondaria che meglio si amalgamasse con i principi generali dell'educazione dei ciechi, finiva inevitabilmente per infrangersi contro le strutture giuridiche e funzionali della scuola di avviamento, strutture saldamente radicate in norme, che col passare del tempo si facevano sempre pi� pesanti e lontane dai principi. L'esigenza di una scuola fondata su un criterio di pi� vasta partecipazione ai benefici della cultura, e al tempo stesso su una pi� adeguata aderenza della funzione educativa alla vita economica del nostro paese, poneva in discussione la struttura generale della scuola secondaria di grado inferiore, determinando il sorgere di una scuola dell'obbligo aperta a tutti, prevalentemente formatrice, destinata a diffondere la cultura elevando il grado di preparazione e di formazione umana degli adolescenti. La pressione esercitata dalla preoccupazione di assicurare precocemente l'apporto delle leve giovanissime alla vita produttiva, pressione esercitata con intenti diversi, ma ugualmente in modo intenso sia dall'ambiente famiglia come dall'ambiente "societ�", veniva cos� notevolmente alleggerita proponendo all'urgenza di formare degli operai e dei lavoratori, quella umanamente pi� valida e socialmente pi� utile di formare degli uomini. La pressione che potrebbe definirsi economica, come ho gi� precedentemente notato, si era fatta sentire e non poco, nel campo dell'educazione dei ciechi ed era valsa a distogliere gli educatori da quei fini e da quei valori indicati nei grandi principi dell'educazione dei minorati della vista. La nuova scuola media, sorta non solo per soddisfare l'esigenza sociale di democratizzare l'educazione, ma soprattutto per una intrinseca evoluzione verso compiti pi� alti e pi� veri di formazione, mette in evidenza il principio su cui si fond� la santa propaganda per una educazione dei minorati ossia il valore dell'apporto alla societ� di una ricchezza umana liberata dai ceppi della minorazione, propone oggi nuovi temi alla educazione integrale dei privi della vista, offrendo l'occasione preziosa di organizzare quegli strumenti e quell'ambiente da tempo ricercati per il completamento della normalizzazione. L'evoluzione della scuola ha offerto a noi, educatori dei ciechi, il mezzo e l'organismo idonei, sia per la struttura come per lo spirito informatore, a realizzare compiutamente i nostri principi: dipender� da noi e soltanto da noi far s� che la nuova scuola media sia veramente un organismo vivo fondato su equilibrati e sani principi di attivit� educativa, suscitatore di personalit� complete e armoniche, che sappiano coerentemente scegliere la propria strada e crearsi il proprio avvenire. � necessario che il Direttore riesamini la propria coscienza di educatore e solo alla luce di questa consideri l'organizzazione dell'istituto, i quadri degli insegnanti, i sussidi didattici in senso ampio. � necessario insomma, prima di scendere all'analisi dei caratteri che dovr� assumere la nuova scuola media per ciechi e contemporaneamente all'esame delle esigenze che da essa dovranno essere soddisfatte, soffermarci ancora sui principi informatori, su quei grandi principi che non dovrebbero mai essere obliati e mortificati nella ricerca dei mezzi e dei metodi, poich� soltanto nella coscienza di essi, nella consapevolezza di tradurli con sincerit� e fedelt� nella pratica educativa, risiede il segreto del successo della nostra opera di educatori. La nuova istituzione scolastica pu� significare l'inizio di una nuova fase dell'educazione dei ciechi, caratterizzata prevalentemente dall'accentuazione dei valori umani insiti nella persona e non mortificati in alcun modo dalla presenza della minorazione; ma la nuova istituzione potrebbe anche determinare il pericoloso cristallizzarsi della vecchia forma scolastica in una veste impropria e perci� inadeguata: c'� il pericolo che il nuovo venga assorbito dal tradizionale, il quale si presenterebbe ancora pi� deteriore perch� � privato della struttura e della norma che lo caratterizzavano. Tale pericolo, reale pi� di quanto non si possa sospettare a prima vista, pu� essere superato soltanto nella coscienza non solo del Direttore di cui ho gi� detto, ma anche degli altri educatori che sentano profondamente l'impegno di rinnovarsi, giacch� la nuova attivit� non pu� essere svolta senza adeguamento di spirito alla novit� stessa, senza che il nuovo non si faccia bisogno di progresso e di rinnovamento per coloro che lo applicano. Senza una leale e viva cooperazione degli insegnanti, l'opera del Direttore viene frustrata. Non si pu� fare una nuova scuola con vecchi insegnanti, non si possono rinnovare i mezzi senza rinnovare lo spirito con cui si applicano e gli intenti per i quali si preparano. Il rinnovarsi costa fatica, ma d� grandi soddisfazioni; e io credo nello spirito buono che anima in genere gli educatori dei ciechi e nella sincerit� del loro lavoro. Il nostro rinnovarsi sar� certamente il motivo pi� valido per la vitalit� della nuova scuola e da esso discender�, come prima fondamentale conseguenza, il sorgere di una iniziativa viva e spontanea nei nostri alunni. La nuova scuola media per ciechi sorge quindi illuminata dal fondamentale principio che, anche e nonostante la minorazione, l'educazione procede dal di dentro come attuazione di valori personali in un costante anelito di liberazione. Se all'ingresso del bambino cieco nella nostra scuola, noi abbiamo dovuto prenderlo per mano per infondergli, quasi per contatto diretto, forza e coraggio nei primi passi verso la realt� esterna; se per indurlo al moto abbiamo spesso dovuto ricorrere ad una violenta sollecitazione esterna che vincesse in lui la pesante remora della paura; se in seguito � stato necessario predisporre un ambiente di particolare significato per lo sviluppo di un'immaginazione mortificata dalla mancanza di alcuni fondamentali elementi di conoscenza della realt�; ora, all'ingresso del fanciullo nella scuola media, le vie sono aperte perch� egli possa camminare da s�: la normalizzazione diviene sempre pi� educazione a mano a mano che si personalizza, che si fa attivit� interiore nascente da un saldo interesse del soggetto per l'ambiente esterno. Quando si parla qui di interesse, non si intende limitarci a una interpretazione alla "Decroly" di bisogni biopsicologici; per noi l'interesse � un atteggiamento spirituale, una forma di vita che investe tutta la personalit� dell'uomo, dalle manifestazioni biofisiologiche alle pi� raffinate esigenze culturali. L'interesse � nel fanciullo cieco il punto d'incontro con la realt� e pertanto il momento in cui cessano le conseguenze psicologiche della minorazione e l'individuo riprende la sua libera attivit� conoscitiva e immaginativa. Tuttavia l'interesse non avrebbe alcun nutrimento e non potrebbe mai divenire forma dell'umano progredire, se alla sua base non si fissasse, in modo dinamico, una spontanea partecipazione dell'educando allo sviluppo dell'atto educativo stesso. Questa partecipazione personale che costituisce la parte soggettiva e quindi umana dell'interesse, pu� essere definita con un termine didatticamente pi� comprensibile e per me particolarmente significativo nel quadro della pedagogia dei ciechi: intendo parlare dell'iniziativa. La scuola media che ci accingiamo a organizzare, che deve realizzare in un certo senso l'antica aspirazione di una scuola completa per i ciechi, deve fondarsi soprattutto sulla pedagogia dell'iniziativa proclamata come antitesi della minorazione, in vista di quella sintesi che pu� definirsi come l'affermazione di una personalit� integrale. La pedagogia dell'iniziativa riassume in s� le esigenze della normalizzazione e dell'educazione alla vita: il fanciullo cieco che riesca ad estrinsecare un costante spirito di iniziativa, che agisca non per un naturale bisogno di agire, ma per una intelligente affermazione nel senso sempre pi� personale della propria umanit�, nel rapporto tra s� e le cose, l'adolescente o il giovane che sappiano costantemente stabilire una relazione tra s� e le cose in una costante presenza dell'azione personale hanno, per me, superato i limiti che il processo di normalizzazione si era proposto come prima fase, interiorizzando la normalizzazione stessa. L'iniziativa non pu� essere soltanto un atteggiamento di risposta dell'educando a una impostazione metodologica e programmatica della scuola: non � infatti sufficiente predisporre ambiente ed orari, libri e sussidi didattici, programmi e mezzi, perch� l'educando avverta il desiderio e la possibilit� di fare: non � sufficiente che l'alunno sappia di poter fare (in questo caso pi� che mai mi riferisco all'alunno cieco) quando il fare stesso non si presenta sotto la forma dell'interesse e non si inserisce in un ambiente psicologico direi quasi impregnato di iniziativa. Ma chi deve diffondere questo clima di iniziativa nella scuola se non l'insegnante, l'educatore stesso? E qui a mio avviso si presentano alla nostra meditazione alcuni problemi sui quali � bene intenderci fin da principio e con assoluta chiarezza. I problemi sorgono soprattutto dalla necessit�, presente in ogni scuola qualunque ne sia il grado o il tipo, di conciliare l'iniziativa degli educatori con l'indicazione dei programmi e soprattutto con quella esigenza di unitariet� rappresentata in concreto dall'opera del direttore, che mai come in questo momento � impegnato nel rendere unitario ci� che per la pluralit� degli elementi facilmente pu� cadere nel discorde, nel disarmonico e quindi nella negazione dell'educazione stessa. L'iniziativa dell'educatore nella scuola media pu� quindi trovare i suoi limiti in tre direzioni principali: nella presenza all'atto educativo di altri educatori, nella azione di unificazione svolta dal direttore preoccupato di assicurare all'atto educativo una continuit� e un indirizzo precisi nonostante la coesistenza dell'ambiente scuola e dell'ambiente istituto e infine, nella terza direzione, l'iniziativa pu� trovare il proprio limite nelle indicazioni programmatiche che, per quanto ampie e generali, costituiscono sempre dei termini, dando spesso origine a una concretizzazione dei limiti, costituita proprio dai sussidi didattici e dai libri di testo (Nella proposta dei programmi elaborati da una commissione presso il Ministero della P. I. si � tenuto conto della necessit�, nelle nostre scuole, di un'ampia libert� di movimento e di iniziativa. I funzionari del Ministero hanno dimostrato nei nostri riguardi molta intelligente capacit� di comprensione; dobbiamo saperne profittare). Ristretta negli angusti limiti determinati, come precedentemente ho detto, dalla specifica struttura della scuola secondaria, l'iniziativa dell'educatore non pu� trovare una risposta immediata e adeguata nell'educando, alla formazione del quale concorrono, da pi� parti, fattori diversi. L'iniziativa finisce cos� per divenire una sterile ricerca di novit�, un costante proporre motivi che non possono essere svolti nella realt� educativa dell'alunno. L'esaurirsi dello spirito di iniziativa, inteso come fondamentale atto dell'educare, come ricerca costante di nuove forme di conoscenza e di attivit�, come scoperta dell'alunno che si rivela a se stesso prima che all'educatore, ha costituito la causa principale del mancato incontro della scuola di Avviamento professionale, con le esigenze fondamentali dell'educazione dei ciechi. Come era possibile intraprendere nuove attivit� educative premuti costantemente da orari che si estendevano a tutta la giornata, da discipline che si succedevano l'una all'altra, senza possibilit� di collaborazione, racchiuse in limitatissimi settori di una cultura nozionistica? La nuova scuola media deve anzitutto rispondere alla fondamentale esigenza di conciliare l'insostituibile libert� di iniziativa dell'educatore con le situazioni oggettive in cui necessariamente la scuola deve operare e che potrebbero apparire, a prima vista, negatrici di tali libert�. Prima ancora che lo spirito di iniziativa si affermi nell'incontro con gli alunni, esso deve proporsi e concretizzarsi orizzontalmente in un vero e costante incontro tra gli educatori e degli educatori con il direttore. L'incontro degli educatori non pu� limitarsi ad un superficiale scambio di vedute sulla distribuzione degli orari, sulla scelta e l'adozione dei libri di testo, sulle attivit� complementari integratrici delle discipline scolastiche vere e proprie; al loro incontro debbono essere proposti principalmente due scopi: la conoscenza dell'alunno attraverso l'apporto dell'esperienza di tutti e l'adeguamento del comune sforzo educativo alle reali possibilit� dell'alunno cos� come esse sono scaturite dalla comune esperienza educativa. Si propone quindi un lavoro comune, centrato sull'unificazione degli intenti educativi di ciascun educatore, coordinati dalla viva partecipazione alla vita scolastica del direttore che porta, come insostituibile elemento unificatore, la conoscenza dell'alunno costruita giorno per giorno, anno per anno, attraverso la osservazione del comportamento, attraverso i rilevati ritmi di crescita e di evoluzione psichica, mediante la collaborazione di tutti gli educatori impegnati entro e fuori la classe. Tuttavia non dobbiamo dimenticare che l'educazione, anche al livello della scuola media di primo grado, conserva ancora un prevalente carattere di normalizzazione (se cos� non fosse non avrebbe motivo di esistere una scuola media speciale per non vedenti organizzata con propri programmi e con orari differenziati) e la normalizzazione sollecita pi� che mai il concretizzarsi e il realizzarsi delle forme culturali dell'apprendimento in forme di vita vissuta. Il professore di lettere o di matematica, di lingua o di educazione artistica cos� come l'insegnante delle materie tecniche e quello di educazione fisica, non possono ignorare il comportamento dell'alunno al di fuori della classe, non possono trascurare la realt� del suo adattamento sociale: anzi la loro azione educativa deve partire da tale realt�, tenendo conto dei complessi problemi che essa suscita nei confronti delle relazioni sociali e delle conoscenze oggettive del mondo circostante. Un lavoro educativo in comune, caratterizzato dalle esigenze che ho precedentemente cercato di chiarire e mettere a punto, � qualcosa di pi� del compito assegnato nell'ambito della nuova scuola media ai consigli di classe: poich� obbiettivo di esso non � soltanto la determinazione di un comune criterio di valutazione del comportamento scolastico dell'alunno nelle tradizionali forme dell'apprendimento delle discipline e del rendimento, bens� la conoscenza dell'effettivo progresso compiuto dall'alunno sulla via della propria formazione cos� come esso pu� rilevarsi dall'adattamento sociale e dalla conoscenza del mondo esterno. Il consiglio di classe, integrato dalla partecipazione dello psicologo e dagli educatori che agiscono nelle ore extra-scolastiche, costantemente coordinato dalla presenza del direttore, il quale dovrebbe riunire in s� le funzioni e le attribuzioni del Preside, di direttore della scuola primaria e quelle del principale responsabile della vita del convitto, pu� assicurare la completa ricerca degli elementi indispensabili a una reale conoscenza dell'alunno. Ho voluto deliberatamente ampliare il concetto di consiglio di classe in quello di gruppo di lavoro in comune per meglio caratterizzare la funzione e le competenze di questo prezioso strumento di educazione, sembrandomi che il consiglio di classe limiti la propria funzione a un'attivit� di ricapitolazione delle osservazioni di ogni educatore, lasciando poi ricadere nell'ambito dell'iniziativa personale l'azione successiva e intermedia tra le diverse riunioni. Il gruppo di lavoro in comune invece afferma, nella sua stessa formulazione, la necessit� di una collaborazione costante che non si esaurisce negli incontri periodici di ricapitolazione, che non si conclude con un, sia pur meditato, giudizio, con il quale compilare il libretto scolastico dell'alunno. Il gruppo di lavoro a cui partecipano tutti gli insegnanti della scuola media, che si impernia, da una parte, nelle direttive del direttore e si sviluppa, dall'altra, nella collaborazione con gli educatori assistenti che traducono nella vita di ogni giorno l'indirizzo dato dalla scuola, rende l'iniziativa pi� concreta, assicurando ad essa la possibilit� di trovare corrispondenza e risposta nell'atteggiamento psicologico dell'alunno. Dalla collaborazione teorica affermata soltanto come ideale e assicurata in forza del solo coefficiente comune definibile "scuola", passiamo ad una collaborazione intesa sul piano pi� pratico di un effettivo scambio di esperienze che in certi momenti pu� anche concludersi in una forma di lavoro scolastico svolto con la partecipazione simultanea di docenti di materie diverse. La gita scolastica in visita a monumenti artistici, guidata contemporaneamente dall'insegnante di lettere, da quello di educazione artistica e di educazione fisica, pu� costituire un esempio di questa collaborazione concreta che si estende poi successivamente a forme scolastiche direttamente collegate con l'occasione determinante l'incontro. La descrizione della gita, la riproduzione col disegno di percorsi, di monumenti, costituisce un'unica forma di espressione ugualmente interessante l'insegnante di lettere e quello di educazione artistica, cos� come altre occasioni di osservazione, di constatazioni, di conoscenze reali di oggetti, di pratiche applicazioni di esperienze di vita, possono chiamare alla diretta partecipazione al lavoro di gruppo i docenti di matematica e osservazioni scientifiche e gli insegnanti tecnici. Cadono cos� le ristrettezze estremamente limitative imposte da orari rigidi: anzi l'orario stesso scaturisce da un'esigenza educativa, si modella sempre nei limiti di uno schema generale, sull'evoluzione della scuola e dell'alunno. La collaborazione tra i docenti non si deve limitare certamente alle attivit� esterne, all'applicazione dei programmi, ma pu� realizzarsi anche nell'ambito del programma stesso, nel significato di una ricerca globale stimolatrice dell'iniziativa dell'alunno e suscitatrice di sempre pi� nuove e pi� complesse conoscenze. Le osservazioni scientifiche compiute nel vivo di una scoperta della natura suggeriscono cos� valutazioni estetiche delle forme naturali, considerazioni pratiche della conservazione e della diffusione degli esemplari, dando al tempo stesso motivo a relazioni orali e scritte che rivelano direttamente la capacit� espressiva dell'alunno e il grado della sua coordinazione logica. Sono esempi sommari di una possibile collaborazione che non hanno certamente la pretesa di stabilire un indirizzo pedagogico o di indicare i momenti di un metodo: sta all'educatore risalire dagli esempi ai principi per poi trarre da questi un proprio metodo che corrisponda non solo alle reali esigenze degli alunni che gli sono affidati, ma anche e soprattutto alle sue personali inclinazioni, alla sua preparazione e al grado di interesse personale per la ricerca e per la successiva applicazione, e anche all'ambiente in cui esercita il suo lavoro e a quello di provenienza degli alunni. Il gruppo di lavoro, che amplia il concetto del consiglio di classe e che abbiamo visto meglio corrispondere alle particolari esigenze di una scuola secondaria per ciechi a prevalente carattere formativo, non pu� tuttavia costituire il solo strumento nuovo su cui fondare una metodologia rinnovata e attiva. Occorre in particolare che l'alunno sia seguito nel suo processo di sviluppo equivalente a una progressiva affermazione della sua iniziativa, attraverso quadri di rilevazione e di puntualizzazione psicologica che illustrino il lavoro compiuto e diano la misura dei riflessi soggettivi nell'alunno dello sforzo pedagogico. Alludo, come si pu� agevolmente comprendere, alle cartelle psicopedagogiche, alla compilazione delle quali dovrebbero concorrere tutti i docenti della nuova scuola media oltre allo psicologo, agli assistenti e alla collaborazione degli alunni stessi. La periodica osservazione e messa a punto del grado di evoluzione psichica dell'alunno, determinata non solamente dai progressi compiuti nella direzione dell'apprendimento scolastico, ma anche, starei per dire, soprattutto dai progressi compiuti o dalle involuzioni registrate nell'adattamento sociale, nel comportamento entro e fuori classe, non costituiscono, come una troppo facile critica potrebbe suggerire, la mortificazione della personalit� dell'alunno entro speciosi e rigidi schemi teorici: la cartella psicopedagogica non dovr� mai pretendere di fotografare la personalit� dell'alunno, di tracciare un profilo completo e vivo del suo dinamico progredire, vuol essere invece soltanto una raccolta di fatti e di elementi che costituiscano il prezioso materiale di elaborazione per i docenti e soprattutto per il loro lavoro di gruppo. Elementi e fatti raccolti con perizia, intelligenza e obbiettivit�, consentono non solo l'elaborazione di un criterio di valutazione pi� ampio e pi� equilibrato, ma possono altres� indicare la validit� dei metodi e dei mezzi d'insegnamento, richiamando il docente a un meditato rispetto dell'individualit� dell'alunno, troppo spesso sacrificata all'astratta considerazione generica della classe. Il nuovo lavoro scolastico avr� quindi due caratteristiche peculiari: la collaborazione tra i docenti e l'individualizzazione dell'insegnamento. Entrambi i nuovi aspetti della scuola che sta per sorgere, possono ritenersi la diretta continuazione dell'intendimento educativo che ha informato l'attivit� scolastica negli anni della scuola primaria. Collaborazione e individualizzazione potrebbero essere considerati due termini inconciliabili in un atto educativo fondato sull'unit� di indirizzo: invero la collaborazione induce subito a immaginare una corale partecipazione degli alunni al lavoro scolastico in cui si annullerebbe ogni possibilit� di rendere l'insegnamento adeguato ai bisogni dell'individuo; ci� � vero soltanto in apparenza poich� la coralit� non esclude l'affermarsi dell'individualit�, anzi vi � vera coralit� soltanto l� dove ogni voce svolge, in modo preciso e personale, il proprio tema. La rigida scuola tradizionale, vincolata a programmi dettagliati e alla farragine di un orario a compartimenti stagni, imponeva necessariamente il prevalere dell'entit� scolastica "classe" sull'individuo alunno, non essendovi spazio tra disciplina e disciplina per una libera elaborazione del programma, di un dialogo personale tra educatore ed educando tale da assicurare un adattamento alle esigenze di ciascuno. La formazione integrale dell'alunno minorato della vista, intesa come prevalente impegno scolastico e che ben difficilmente pu� contare sull'apporto di altri fattori che non siano quelli derivanti dalla scuola stessa, e ci� in conseguenza della particolare situazione di vita dell'alunno, costretto, per diversi motivi, alla permanenza in convitto, non pu� centrarsi, come indicano i normali programmi della comune scuola media, su un contenuto quasi esclusivamente culturale, anche se in questo caso la cultura significa formazione, crescita spirituale, soggettiva presa di coscienza dei valori. C'� qualcosa di pi� che occorre dare al fanciullo non vedente, qualcosa che non � compreso nella formula culturale, che attinge direttamente all'attivit� pratica nella quale l'individuo ha modo di rivelarsi prima di tutto a se stesso, disciplinando il proprio atteggiamento, superando la naturale tendenza a rifiutare il contatto con la realt�. Gli alunni della scuola media per vedenti, esaurito l'impegno scolastico racchiuso nell'arco delle poche ore di permanenza in classe, si immergono nei valori, in verit� non sempre positivi, di quell'altra grande scuola che � la vita: conoscono e vivono la realt� della famiglia, istituiscono gruppi tra coetanei, partecipano ad associazioni sportive o parasportive, spesso si sottopongono ad attivit� lavorative marginali dirette a contribuire a un ordinato svolgersi della vita familiare o associativa: tutto ci� li educa, li forma insensibilmente e progressivamente, creando l'humus pi� adatto per il fecondo crescere della formazione culturale acquisita nella permanenza in classe. La scuola per ciechi invece non pu� contare sullo spontaneo formarsi dell'humus in cui radicare il proprio insegnamento, non pu� che parzialmente attingere a quelle forme di umanit� e di socialit� troppo spesso stereotipe, che pu� offrire il collegio. L'impegno culturale quindi deve essere integrato dalla costituzione nell'alunno di un solido substrato di socialit�, di umanit�, inteso come contenuto personale e individuale di uno spontaneo atteggiamento psichico; deve contare e promuovere nell'attivit� pratica non solo la coscienza dei propri valori, ma, in rapporto ad essi, la consapevolezza dei propri limiti. A tale scopo � stato richiesto, e i competenti organi ministeriali hanno con profondo spirito di comprensione pienamente accettato, un ampliamento dell'orario e del programma previsti per la nuova scuola media destinata ai fanciulli vedenti, con l'introduzione di applicazioni tecniche speciali e attivit� pratiche speciali che diano modo di saldare la scuola alla vita dell'istituto, di individualizzare il pi� possibile la presa di contatto dell'alunno con la realt� del mondo circostante e soprattutto di far raggiungere all'alunno stesso una formazione fondata sulla cultura e sulla vita. Elena Romagnoli Coletta Tiflologia per l'Integrazione Brevi indicazioni per i collaboratori (pag. 20) Si offrono di seguito alcune indicazioni di massima a cui gli autori dei contributi dovrebbero possibilmente attenersi, per venire incontro al lavoro redazionale della segreteria ed alle esigenze tipografiche della rivista. La collaborazione a "Tiflologia per l'Integrazione" � libera. I contributi dovranno pervenire possibilmente via posta elettronica (all'indirizzo: cdtinfo@bibciechi.it) in formato doc. Il testo dovr� essere in carattere Times New Roman 12 con una interlinea di 1,5. I rientri dei paragrafi dovranno essere di 0,5 a sinistra e a destra. Si raccomanda particolare cura nella citazione bibliografica, che dovr� seguire il sistema "Autore-Data" secondo le regole dell'American Psychological Association (APA). I riferimenti interni al testo dovranno trovare una esatta corrispondenza nella citazione estesa che si trover� alla fine dell'articolo. (Diversi sono i siti Internet che offrono una panoramica sullo stile citazionale dell'American Psychological Association. Si pu�, tra gli altri, vedere: http://campusgw.library.cornell.edu/newhelp/res�strategy/citing/apa.html). Gli autori che riportano una bibliografia a corredo del loro articolo (senza rinvii all'interno del testo) dovranno utilizzare lo stesso metodo citazionale "Autore-Data". Si raccomanda inoltre particolare cura nei dati citazionali, dal momento che alla redazione non sempre � possibile verificarne la correttezza. La redazione si riserva comunque il diritto di intervenire sul testo per uniformarlo alle norme tipografiche. Si ringrazia per l'attenzione.