Aprile-Giugno 2016 n. 2 Anno 26 Tiflologia per l'integrazione Trimestrale edito dalla Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus con il contributo dell'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti e della Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi Stampato in Braille a cura della Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus via G. Ferrari, 5/A 20900 Monza Gli articoli firmati esprimono l'opinione dell'autore, che non coincide necessariamente con la linea della redazione. Direttore Responsabile: Pietro Piscitelli Comitato di Redazione: Giancarlo Abba, Vincenzo Bizzi, Pietro Piscitelli, Antonio Quatraro Segreteria di Redazione: Daniela Apicerni, Francesco Giacanelli, Giusi Piccolino Direzione e Redazione: Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus Centro di Documentazione Tiflologica Via della Fontanella di Borghese, 23 - 00186 Roma Tel. 06/68.80.92.10 - 06/68.21.98.20 Fax: 06/68.13.62.27 E-mail: cdtinfo@bibciechi.it Amministrazione: Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus Via G. Ferrari, 5/A 20900 Monza (MB) Tel. 039/28.32.71 Impaginazione, grafica e stampa: Stilgrafica s.r.l. Via Ignazio Pettinengo 31/33 00159 Roma - Tel. 06/43.58.82.00 Reg. Trib. Roma n. 00667/90 del 14-11-1990 ISSN: 1825-1374 Abbonamento � 15,00 da versare sul c.c.p. n. 853200 intestato a: Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus Via G. Ferrari, 5/A 20900 Monza (MB) (indicando la causale del versamento) Indice Editoriale L'Istituto dello scambio di posto, di Pietro Piscitelli (pagine in nero 66-67) Pedagogia Considerazioni e proposte per la definizione del ruolo professionale e del percorso formativo dell'educatore tiflologico, di Vincenzo Bizzi (pagine in nero 68-71) Il Tiflologo, chi � costui?, di Luciano Paschetta e Gianluca Rapisarda (pagine in nero 72-75) Musica L'educazione musicale in ordine allo sviluppo dell'immaginazione, di Costanzo Capirci (pagine in nero 76-84) La notazione musicale Braille, di Costanzo Capirci (pagine in nero 85-93) Classici della Tiflologia L'educatore dei ciechi. Professione o missione?, di Elena Romagnoli Coletta (pagine in nero 95-102) La vita morale e il carattere dei ciechi in "Introduzione all'educazione dei ciechi" di A. Romagnoli, di Orfeo Ferri (pagine in nero 103-116) In navigazione, di Augusto Romagnoli (pagine in nero 117-119) Relazione alla Conferenza Mondiale sulla Cecit� (New-York 13-30 aprile 1931), di Augusto Romagnoli (pagine in nero 120-128) Editoriale L'Istituto dello scambio di posto, di Pietro Piscitelli (pagine in nero 66-67) Per molti docenti neoassunti nell'appena concluso anno scolastico si avvicina la possibilit� di una assegnazione su ambiti a livello nazionale, e quindi il temuto momento di un trasferimento che, innegabilmente, pu� avere ripercussioni significative sulla vita personale. In proposito soccorre una novit� recata dall'art. 7, comma 13, del Contratto collettivo nazionale integrativo sulla mobilit� annuale che testualmente cos� sancisce: "In sede di contrattazione regionale decentrata sono regolamentate le modalit� per attuare lo scambio di cattedre o posti tra coniugi anche fra province diverse. Analogamente, in considerazione del carattere straordinario delle operazioni di mobilit� relative all'anno scolastico 2016-2017, al termine delle operazioni, a domanda degli interessati, � inoltre regolamentata la possibilit� di scambio tra due docenti abilitati e titolari del medesimo insegnamento che abbiano prodotto domanda e non abbiano ottenuto l'assegnazione provvisoria interprovinciale. Il Miur d'intesa con le OO.SS. fornir� successivamente indicazioni agli uffici al fine di assicurare trasparenza e omogeneit� nella suddetta procedura". In altre parole, oltre alla gi� conosciuta e sperimentata possibilit� di uno "scambio di posto" tra coniugi che insegnano la stessa disciplina, attuabile anche tra province diverse, l'istituto dello "scambio" viene esteso, in via del tutto straordinaria, a coloro che hanno chiesto l'assegnazione provvisoria interprovinciale senza ottenerla, sempre a pari requisiti di classe di concorso o posto. Spetta al Ministero, d'intesa con i sindacati, fornire indicazioni operative agli Uffici scolastici regionali al fine di assicurare modalit� di attuazione nella prassi che siano trasparenti e omogenee. Con questa previsione, dunque, si potrebbe trovare soluzione a diverse situazioni di allontanamento chilometrico dei docenti dalle famiglie, ovvero di esodo fuori provincia, o addirittura fuori Regione di molti docenti neoassunti. Come esempio pratico, si pensi ad una docente proveniente dalla Puglia appartenente a classe di concorso XY che ottenga la titolarit� di ruolo in un ambito dell'Abruzzo e non, invece, l'assegnazione provvisoria nella provincia pugliese nella quale risiede stabilmente con la propria famiglia. In questo caso, ella potr� invocare e ottenere per l'anno scolastico 2016-2017 l'applicazione del citato art. 7, comma 13, CCNI, ovvero dell'istituto dello scambio di posto da effettuarsi con un docente della medesima disciplina, che occupa la stessa tipologia di posto ed � titolare della stessa classe di concorso, che sia di contro interessato a transitare nell'ambito dell'Abruzzo, garantendo cos� la vicinanza alla famiglia. Il direttore responsabile prof. Pietro Piscitelli Pedagogia Considerazioni e proposte per la definizione del ruolo professionale e del percorso formativo dell'educatore tiflologico, di Vincenzo Bizzi (pagine in nero 68-71) - Vengono delineate la figura e le competenze dell'educatore tiflologico, quale attore essenziale nella integrazione del bambino non vedente nella scuola e nella vita. - Discettiamo da lungo tempo intorno a questa figura variamente immaginata e proposta..., ma � urgente ormai tentare di tratteggiarne un profilo che ne definisca la qualit� professionale essenziale, a tutela dei bambini ad essa affidati e del suo stesso ruolo. Provo ad elencare: a. Deve sapersi far accogliere dal bambino per indurlo a scoprire insieme con gioiosit�, competenza e fiduciosa fermezza, il piacere di vivere e di conoscere. b. Deve saper capire il bambino e la sua fatica. Deve saperlo rappresentare all'ambiente educativo a volte distratto, incompetente o indisponibile, disvelando gli eventuali problemi incompresi, ma anche evidenziando le potenzialit� misconosciute. c. Deve saper immaginare come operare concretamente per prevenire i rischi che corre e compensare le difficolt� che incontra, per aiutarlo ad avere l'orgoglio di imparare a fare sempre pi� da solo. d. Deve saper stimolare e coinvolgere la famiglia in un progetto di crescita del proprio bambino e del quale sentirsi co-protagonisti. Ma, ad un tempo, dovr� rispettarne il ruolo e il rapporto affettivo primario, evitando di assumere atteggiamenti di collusione e/o di collisione. e. Deve conoscere le corrette sequenze operative per lo strumentario speciale gi� strutturato, ma soprattutto deve saperlo adattare o addirittura ideare e realizzare nel rispetto della singolarit� del bambino. f. Deve riuscire a confrontarsi, con competenza e pari dignit�, con le insegnanti, con la famiglia e con gli operatori socio-sanitari, per integrare (nel senso di colmare e nel senso di rendere sinergiche) le competenze e i ruoli degli altri protagonisti del processo di integrazione. g. In sostanza deve saper agire a supporto dell'integrazione educativa pre-scolastica, scolastica ed extrascolastica nei tempi, con i modi e con gli strumenti opportuni. Si tratta di qualit� professionali e umane forse ovvie, ma comunque difficili da formare e da selezionare. Mi si dir� che vado sparando troppo alto e che non sempre queste sensibilit� e capacit� pedagogiche sono garantite nel mondo della scuola, neanche dagli insegnanti di sostegno. Lo so bene, ma proprio per questo dobbiamo provare a promuovere e a garantire qualche valido polo di riferimento a garanzia dell'ambiente educativo intorno ai bambini non vedenti. Come chiamare questa figura? Potrebbe sembrare un problema secondario, ma sappiamo che spesso il nome rivela il concetto e allora... attenzione alle parole! La Scuola e i servizi connessi sono chiamati a dare risposte adeguate a una popolazione con esigenze e con diritti sociali molteplici e diversi. Tutto ci�, comprensibilmente, complica e affatica e induce risposte semplificanti e globalizzanti. Questi giovani operano in condizioni di precariet� contrattuale, spesso provengono da cooperative e sono mal pagati e ancora peggio formati. Tutto ci� non giova. In alcune zone questo servizio � coordinato da sezioni dell'UIC e le cose vanno mediamente un po' meglio. I migliori nel tempo si formano competenze crescendo con il bambino, ma spesso, proprio quando cominciano ad essere preziosi, se ne vanno verso lavori pi� stabili. Sul campo spesso vengono chiamati genericamente "Assistenti" o "Educatori" o "Operatori". A volte si fa ricorso a formule pi� complesse tipo: "Educatore-operatore", o al contrario, "Operatore educativo", "Tecnico-esperto" nella conoscenza e nell'uso di metodi e strumenti didattici per... "Assistente tecnico-didattico" per... Pi� compiutamente si potrebbe definire: "Educatore qualificato per l'integrazione degli alunni disabili visivi". In ogni definizione c'� qualcosa di giusto ma, come direbbe Troisi "troppo lungo..., meglio chiamarlo Ugo". Alla fine perci� convengo che "Educatore Tiflologico", sintetizza, semplifica e ci consente di andare a parlare dei contenuti pi� importanti del suo ruolo e della sua formazione, e... pazienza se poi qualcuno lo chiamer� E.T.! Conoscenze e abilit� tecnico-didattiche professionali dell'educatore tiflologico a) Conoscenza e uso dei principali sussidi didattici speciali e comuni per: (utili per favorire nell'alunno con disabilit� visiva lo sviluppo delle proprie potenzialit� attraverso il confronto con:) 1. il gioco; 2. l'autonomia (personale, nell'orientamento e nella mobilit�, negli hobby); 3. la maturazione dei prerequisiti per la letto-scrittura Braille; 4. la scrittura Braille "coperta" e "scoperta"; 5. il disegno a rilievo e l'educazione tecnica; 6. la matematica e la geometria; 7. lo studio della storia, della geografia, della storia dell'arte, e delle osservazioni scientifiche; 8. la scrittura in nero; 9. l'informatica (sintesi vocale, barra Braille, stampanti); 10. gli strumenti e gli accorgimenti necessari per ottimizzare la fruizione del residuo visivo (leggii, illuminazione, videoingranditori, quaderni e penne particolari, ingrandimento testi). b) Conoscenze teoriche e pratiche: 1. del sistema Braille; 2. dei percorsi didattici per l'insegnamento del Braille; 3. delle indicazioni metodologiche e didattiche per promuovere le abilit� di espressione attraverso la rappresentazione plastica e grafica; 4. delle corrette modalit� di scelta e di fruizione dei software: a. per la conquista ludico-didattica del controllo della tastiera (10 dita); b. per la stimolazione e il rinforzo di specifiche abilit� o di ambiti di apprendimento critici; c. per la matematica (tipo Erica, lambda, braillomat); d. per l'ingrandimento di immagini e testi; e. per la trascodifica dei testi in Braille; f. per eventuali giochi-esercizi di stimolazione del residuo visivo su indicazione dello specialista; c) Capacit� di ideare, promuovere e realizzare: a. strumenti didattici semplici, coerenti con le caratteristiche aptiche, utili per facilitare l'integrazione nell'apprendimento; b. con il bambino semplici attivit� pratiche nella gestione di s� e delle proprie cose, di compartecipazione ai lavoretti per la propria casa e per il proprio gruppo classe, al fine di migliorare progressivamente in lui l'autostima e il senso di appartenenza; c. esperienze nel territorio: gioco, esplorazioni e scoperte, sport, orientamento e mobilit�, socialit�; d. predisporre con la scuola e con la famiglia, le condizioni e gli strumenti che consentano al giovane di organizzare in autonomia il confronto con lo studio. Vincenzo Bizzi Il Tiflologo, chi � costui?, di Luciano Paschetta e Gianluca Rapisarda (pagine in nero 72-75) - Il tiflologo, attraverso le sue competenze, deve avere un ruolo riconosciuto dalla comunit� scientifica. - La recente riunione del "Coordinamento degli Enti" collegati all'U.I.C.I. ha messo al centro del proprio dibattito la necessit� di dar vita ad una "authority" delle scienze tiflologiche, che si configuri come un vero e proprio "network" a supporto dell'inclusione dei non vedenti e degli ipovedenti. Una necessit� questa segnalata da tempo, ma che solo ora, grazie all'impegno dell'attuale Presidenza Nazionale dell'Unione ciechi, ha trovato il motore propulsore per la sua concreta attivazione. Strettamente legata a questo nuovo corso della tiflologia � la definizione di chi sia il "tiflologo". Una figura questa, di cui tutti parlano, spesso invocata come "deus ex machina" per la risoluzione dei problemi connessi all'educazione ed all'istruzione dei disabili visivi, ma sulla quale manca una attenta riflessione su quali debbano essere il profilo professionale, il suo percorso formativo ed il suo ruolo nel processo di crescita ed emancipazione del minorato della vista. Vogliamo qui soffermarci per dare il nostro contributo a tale riflessione e per fare un po' di chiarezza sull'argomento. La cosa non risulta assolutamente semplice, in quanto ogni volta che abbiamo provato a definire il ruolo professionale del tiflologo, ci risuonava nella mente una domanda: "Il tiflologo, chi � costui?" La questione non � capziosa e la domanda non � banale: infatti, non � casuale se tale figura non compare in nessuna delle classificazioni internazionali riferite agli operatori che si occupano dell'educazione e dell'istruzione dei privi della vista. Definire il tiflologo � come osservare un quadro impressionista: visto da lontano, le figure in esso rappresentate sembrano ben definite e stagliarsi nettamente sullo sfondo, ma, via via che ci si avvicina, esse diventano sempre pi� confuse fino a scomporsi in macchie di colore, confondendosi con lo sfondo e perdendo l'iniziale unicit� delle forme. Allo stesso modo i non "addetti ai lavori" che hanno una conoscenza "lontana" della psicologia dell'et� evolutiva, della psicopedagogia e della didattica, spesso tendono a pensare al tiflologo come il "tuttologo" o l'"onnisciente", cio� come colui che "solo" risolve tutti i problemi dello sviluppo e dell'educazione dei disabili visivi di tutte le et�. "Guardato da vicino" da chi di educazione e di formazione si occupa, questa unicit� si frammenta: il tiflologo, a seconda della situazione in cui si trova ad operare, dovrebbe essere: uno psicologo dell'et� evolutiva od un operatore di nido d'infanzia, quando interviene su un bambino dagli zero ai tre anni; maestro di scuola materna, quando opera con bambini dai 3 ai 6 anni; competente di didattica di scuola primaria ed educatore di orientamento e mobilit� e autonomia personale, quando si occupa di educazione di bambini a partire dai 6 anni in poi; ed in seguito sar� informatico, orientatore scolastico e professionale e cos� via. Questo evidenzia come il tiflologo, se non definito nel suo ruolo, pu� essere immaginato e, spesso lo � stato, come l'educatore unico dei disabili visivi, mentre � proprio questa l'illusione dalla quale occorre uscire. La definizione utilizzata a livello internazionale di "esperto nelle scienze tiflologiche" ci aiuta in tal senso, chiarendo che il suo ruolo non pu� essere n� quello dell'insegnante o dell'educatore, n� quello dell'esperto di informatica o dell'operatore di orientamento e mobilit�, n� quello dell'esperto di orientamento scolastico o professionale; meno che mai egli potr� sostituirsi allo psicologo o al neuropsichiatra infantile, ed allora ecco tornare la domanda: "Il tiflologo, chi � costui?" Egli �, appunto, un esperto nelle scienze tiflologiche e, come tale, sapr�: indicare gli aspetti critici dello sviluppo psicomotorio in assenza della vista e come si faccia a superarli con successo; chiarire gli aspetti specifici della percezione della realt� in mancanza della vista; valutare la funzionalit� del residuo visivo in relazione al lavoro didattico e/o professionale; insegnare come si educa un minorato della vista alla "lettura" delle rappresentazioni grafiche bidimensionali (grafici, piantine toponomastiche e cartine, ecc); sapere quando � indispensabile l'insegnamento del metodo Braille, piuttosto che quali siano i sussidi per gli ipovedenti per rendere autonomo il bambino con disabilit� visiva nella letto-scrittura; illustrare quali siano gli accorgimenti ed i sussidi per rendere efficace la didattica in presenza di un cieco assoluto e/o di un ipovedente grave; sapere insegnare l'uso del PC con le periferiche assistive (screen reader, display Braille, software ingrandenti, ecc.); conoscere i giochi idonei al bambino con gravi problemi di vista; indicare quali siano le opportunit� di accesso all'informazione (quotidiani e riviste on line accessibili, biblioteche digitali, audiolibri, ecc.); suggerire come si "adatta" un testo di scuola primaria od un testo letterario o scientifico affinch� il privo della vista o l'ipovedente lo possano utilizzare appieno; spiegare quali siano le possibilit� di orientamento, mobilit� e di autonomia personale raggiungibili alle diverse et� e nelle diverse situazioni da chi ha problemi di vista; valutare l'idoneit� di una situazione di lavoro e la sua adattabilit� al cieco o all'ipovedente. Questo solo per esemplificare gli ambiti delle sue principali competenze, competenze che egli potr� trasmettere, quale formatore, in percorsi formativi specifici rivolti alle diverse figure professionali che intervengono alle diverse et� e situazioni nel processo di istruzione e formazione dei giovani e degli adulti con disabilit� visiva. Al riguardo ricordiamo, quale esempio di eccellenza, come questo sia l'obiettivo dell'accordo sottoscritto recentemente dall'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti con l'ordine degli psicologi ai quali l'I.Ri.Fo.R. si appresta a fornire la formazione specifica. Non meno rilevante e lungimirante ci sembra il recente avvio del master in Typhlology Skilled Educator ("esperto nelle scienze tiflologiche"), voluto fortemente dal Presidente Nazionale dell'U.I.C.I. Mario Barbuto e dal componente la Direzione Nazionale della stessa Unione Marco Condidorio e realizzato grazie alla fattiva e sinergica collaborazione tra l'Unimol e l'I.Ri.Fo.R. Il nostro auspicio � che da tale master universitario, oggi esperienza sperimentale pilota nel Molise, possa nascere il modello formativo di riferimento che, recepito come "buona pratica" dal Ministero dell'Istruzione, dell'Universit� e Ricerca, possa essere disseminato in tutta Italia. Ritornando alle competenze dell'esperto nelle scienze tiflologiche, secondo noi, egli potr�, altres�, operare sul campo, affiancandosi in alcuni momenti di programmazione (GLH, consiglio di classe, ecc.) e di azione (didattica del Braille, predisposizione del materiale didattico, presentazione delle periferiche assistive per l'informatica, ecc.) a chi sta operando con il minorato della vista (insegnante, educatore, assistente, ecc.). In tutti i casi con la finalit� di trasmettere le conoscenze e le competenze loro necessarie a renderli "capaci" di esercitare il proprio ruolo nei confronti del disabile visivo come con i compagni e di definirne correttamente gli obiettivi educativi, scolastici e di autonomia personale, cos� da sviluppare un "progetto di vita" finalizzato alla sua inclusione socio-lavorativa. Questa integrazione tra esperti nelle scienze tiflologiche e studiosi di scienze umane, grazie al sopraccitato nascente "network per l'inclusione", dovrebbe realizzarsi anche nell'ambito della ricerca psicopedagogica, cos� che il progresso nella tiflologia proceda parallelamente all'evoluzione scientifica delle scienze affini. Queste, a nostro avviso, le linee guida che dovrebbero orientare l'azione del costituendo "network per l'inclusione" od "authority" delle scienze tiflologiche nella proposta di iniziative di ricerca, nella definizione del ruolo e del profilo professionale dei futuri "esperti nelle scienze tiflologiche", nell'organizzarne il relativo percorso formativo e nel predisporre le iniziative di formazione per le diverse figure professionali che si trovano ad operare con i privi della vista. Solo con un progetto di sistema, guidato da quelle realt� che negli ultimi cento anni si sono occupate di educazione, istruzione, formazione ed inserimento lavorativo dei disabili visivi (UICI, Federazione Pro Ciechi, Biblioteca Italiana per i Ciechi, I.Ri.Fo.R. ecc.), ma sviluppato in modo integrato con il MIUR e con l'intero contesto della formazione e dell'istruzione, il "tiflologo", uscendo dal limbo e dall'"indefinito" che oggi lo caratterizzano e diventando l'"esperto nelle scienze tiflologiche", potr� aspirare ad avere un ruolo riconosciuto dall'intera comunit� scientifica. Luciano Paschetta (Direttore Centrale I.Ri.Fo.R.) Gianluca Rapisarda (Direttore junior I.Ri.Fo.R.) Musica L'educazione musicale in ordine allo sviluppo dell'immaginazione, di Costanzo Capirci (pagine in nero 76-84) (Tratto da: Luce con luce. Rivista trimestrale dell'Istituto statale "A. Romagnoli" di specializzazione per gli educatori dei minorati della vista, a. 7 (1963), n. 2, pp. 229-237. Fa parte di: "Atti del Primo Corso residenziale di aggiornamento per gli insegnanti delle scuole elementari per i ciechi", Rocca di Papa, 22-31 marzo 1963.) - I fondamenti della educazione musicale e il loro rapporto con le forme immaginative hanno una importanza riconosciuta nella formazione educativa dei bambini non vedenti. - L'ordinamento scolastico concernente l'educazione dei fanciulli ciechi, vigente da circa un quarantennio e basato sul metodo pedagogico di Augusto Romagnoli, ha determinato nel campo dell'Educazione Musicale una duplice riforma: la prima nei confronti dell'educazione tradizionale dei ciechi, la seconda nei confronti della Scuola dei vedenti. - Il riformatore ha esposto il suo concetto pedagogico di educazione musicale in un capitolo della sua opera Ragazzi ciechi. � necessario stabilire il significato specifico ed aggiornato del termine di educazione musicale prima di porlo "in ordine allo sviluppo dell'immaginazione" e questo si pu� ottenere anzitutto mediante verifica dell'evoluzione pedagogica determinata dalla riforma del Romagnoli. I cento anni circa di storia dell'educazione e dell'istruzione dei giovani ciechi italiani vanno distinti in due periodi: quello antecedente alla Riforma Romagnoli e quello dell'applicazione della riforma medesima. Nel primo periodo, come � noto, la preparazione alla professione musicale costituisce pressoch� l'unica forma di istruzione a carattere intellettuale; ci� per il convincimento, non ancora completamente sfatato ai nostri giorni, che i ciechi hanno generalmente speciali attitudini musicali. La preparazione alla professione musicale consiste esclusivamente in una forma di addestramento tecnico all'uso di uno o pi� strumenti musicali e per pochi elementi nello studio tecnico dell'Armonia e del Contrappunto. In realt� soltanto pochissimi arrivano ad eccellere, mentre la generalit� degli allievi giunge soltanto ad un grado appena mediocre di abilit� sia tecnica che interpretativa nell'esecuzione strumentale. In questo primo periodo la musicalit� per il cieco si identifica con un tecnicismo manuale ed una memorizzazione limitati, d'ambiente e del tutto convenzionali, non spontanei ed anzi spesso conquistati per via costrittiva. Evidentemente una disciplina siffatta non pu� rientrare nell'accezione pedagogica moderna del termine di educazione musicale. Nel secondo periodo, quello della riforma, con l'avvento del "Metodo Romagnoli" il preconcetto di musicalit� congenita allo stato di cecit� non � pi� condiviso. L'ordinamento della Scuola Primaria per ciechi, infatti, prevede indistintamente per tutti gli allievi speciali forme esercitative didattico-musicali tendenti ad educare all'arte dei suoni e nello stesso tempo utili come educazione di base per quegli allievi che, in possesso di spiccate doti, devono successivamente intraprendere regolari studi musicali. Le forme di esercitazione (che possono pi� propriamente definirsi "submaterie dell'educazione musicale") sono: educazione ritmica, esercitazione corale, teoria musicale ed esercitazione pianistica. L'educazione ritmica e l'esercitazione corale si praticano in tutte le classi della Scuola primaria; la teoria musicale e l'esercitazione pianistica rientrano nel secondo ciclo di detta Scuola. Le esperienze pluridecennali effettuate presso l'Istituto "A. Romagnoli" inducono a considerare quanto mai fondato il principio della grande utilit� di iniziare in modo appropriato l'educazione musicale fin dalle classi del giardino d'infanzia. - Su "l'educazione musicale nel giardino d'infanzia" ha scritto la dott. Elena Romagnoli Coletta nella rivista Luce con Luce (anno IV 1960 n. 4) -. A quelle istituzioni per ciechi che vorranno per il futuro approntare classi destinate al giardino d'infanzia, non si raccomander� mai abbastanza di tenere in debita considerazione il principio sopra enunciato che, per altro, trova larga conferma anche in altri metodi pedagogici. Le singole forme di esercitazione non vanno considerate come altrettante suddivisioni settoriali e quindi parziali di una sola materia formativa. In ciascuna di esse infatti si richiede l'impiego integrale dell'Arte musicale e ci� perch� in musica ogni singolo coefficiente, ogni singola propriet� fisica della materia sonora acquista un senso logico artistico e quindi educativo soltanto se colta come parte determinante e determinata, animatrice ed animata di un tutto unico. Dalla complessit� propria del linguaggio musicale e dalla constatata inscindibilit� dei fattori che quella complessit� essi costituiscono, deriva l'adozione del principio pedagogico didattico del Globalismo che si raccomanda anche per l'insegnamento dell'educazione musicale nelle classi del giardino d'infanzia e della Scuola primaria. Speciale attenzione va dedicata all'educazione ritmica, la quale tende a sviluppare nel fanciullo il "senso ritmico interiore" o "senso ritmico integrale", per cui qualche pedagogista attribuisce a questa particolare forma educativa la denominazione di "ritmica integrale". Il ritmo viene in questa sede considerato nel duplice aspetto di "quantit� temporale" e di "quantit� accentuativa o di energia". � indispensabile che l'allievo giunga al possesso interiore di entrambe queste propriet� del ritmo e ci� � possibile per via di processi immaginativi che in seguito saranno esposti. In sede di educazione ritmica si pu� giustamente condividere il termine di ritmica integrale, per la corrispondenza di esso termine alle finalit� che enuncia e che si identificano con le finalit� stesse dell'educazione musicale. Infatti, dalla "ritmazione interiore" e mediante speciali esercitazioni, si pu� determinare la ritmazione degli apparati neuro-muscolari dipendenti dai centri volitivi. Questa sorta di ritmazione si ottiene con il concorso di un terzo fattore: "lo spazio". La ritmica integrale si attua quando una data quantit� "spazio" si armonizza con le quantit� "tempo" ed "energia" nel modo voluto dagli impulsi degli organi centrali competenti, armonia altres� corrispondente a quanto la composizione musicale di volta in volta rappresenta e suggerisce in maniera ancor pi� evidente per il contesto di altre propriet� che compongono il linguaggio musicale. Il musicista ed educatore E. Jaques-Dalcroze (Vienna 1865-Ginevra 1950) � l'iniziatore di questi moderni principi di Educazione Ritmica, principi da egli posti a giusto fondamento di ogni sorta di disciplina musicale. Le teorie e le risultanze delle sperimentazioni che riguardano l'argomento sono dal Jaques-Dalcroze esposte, fra l'altro, in Ritmo, Musica, Educazione (Ginevra 1904) (Hoepli, Milano 1925). Ad integrare la presente relazione si ritiene opportuno riportare di seguito parte della prefazione all'opera citata del Jaques-Dalcroze: "Sono vent'anni che iniziai la mia attivit� pedagogica al Conservatorio di Ginevra come professore d'armonia. Sino dalle prime lezioni, rilevando che l'orecchio dei futuri armonisti non era preparato a udire gli accordi che essi avevano l'obbligo di scrivere, compresi che l'errore dell'insegnamento oggi in uso era di non fare esperimenti agli allievi che al momento stesso nel quale si richiede che ne notino le conseguenze, invece di imporli subito all'inizio degli studii, nel momento che corpo e cervello si sviluppano contemporaneamente, comunicandosi senza posa, impressioni e sensazioni. Infatti, essendomi perci� deciso a far precedere le lezioni di notazione d'armonia, da esperimenti particolari d'ordine fisiologico, miranti a sviluppare le funzioni auditive, mi accorsi ben presto che, presso gli studenti pi� in et�, le sensazioni acustiche erano ritardate da ragionamenti prematuri ed inutili, mentre che presso i pi� giovani si rivelavano in modo tutto spontaneo ed in modo naturale generavano l'analisi. Mi posi allora a educare l'orecchio dei miei allievi sin dalle pi� tenere infanzie e constatai cos� che non solo le facolt� di audizione si sviluppano rapidamente in un'epoca nella quale ogni nuova sensazione attira il fanciullo e riempie l'anima di una gaia curiosit�, ma altres� che quando il suo orecchio sia abituato ai collegamenti naturali di suoni e di accordi, il suo spirito non faticava pi� ad abituarsi ai diversi metodi di letture e di scritture. "Tuttavia, presso un certo numero di allievi le cui attitudini auditive si sviluppavano normalmente, la cultura musicale mi parve ritardata dall'incapacit� che provavano di misurare in modo uguale i suoni e di ritmare le loro successioni di durata ineguale. L'intelligenza afferrava le variazioni sonore nel tempo, ma l'apparecchio non vocale poteva realizzarle. Ne conclusi che tutto quanto, nella musica, � di natura motrice e dinamica, dipende non soltanto dall'udito, ma altres� da un altro senso, che dapprima pensai essere il senso tattile, poich� gli esercizi metrici eseguiti dalle dita, aiutano i progressi dell'allievo. D'altra parte le reazioni che osservai mentre suonavano il piano nelle altre parti del corpo, che non fossero le mani, come: richiami del piede, oscillazioni del busto e della testa, sussulto di tutta la persona, ecc., mi spinsero a pensare che le sensazioni musicali di natura ritmica, derivano dallo sforzo muscolare e nervoso dell'intero organismo. Feci eseguire agli allievi esercizi di marcia e di arresto, li abituai a reagire corporalmente all'audizione dei ritmi musicali. Quello fu il principio della Ritmica, e credetti per un momento di aver finito di sperimentare e di poter senz'altro costruire un sistema razionale e definitivo d'educazione musicale. La mia illusione non dur� lungo tempo. Constatai infatti ben tosto che sopra dieci fanciulli, al pi� due reagivano in modo normale e che la coscienza moto-tattile, il senso spaziale e girativo, esistono tanto di rado allo stato di completa purezza, quanto il senso auditivo integrale chiamato dai musicisti "audizione assoluta". La aritmia musicale mi si rivel� come conseguenza di un'aritmia generale e la sua guarigione mi parve dipendere da un'educazione speciale da crearsi di sana pianta e diretta a ordinare le reazioni nervose, ad accordare muscoli e nervi, ad armonizzare lo spirito ed il corpo. Arrivai cos� a considerare la musicalit� puramente auditiva come una musicalit� incompleta, a ricercare i rapporti fra la mobilit� e l'istinto auditivo, fra l'armonia dei suoni e quella delle durate, fra il tempo e l'inerzia, fra il dinamismo e lo spazio, fra la musica ed il temperamento, fra l'arte musicale e quella della danza". Il Romagnoli condivide appieno le teorie del Jaques-Dalcroze. Egli, infatti, considera la ritmazione interiore e la ritmazione integrale come elementi di base non soltanto per l'educazione musicale dei fanciulli ciechi, ma anche per la loro educazione al moto, al gesto, all'espressione, all'autocontrollo ed alla spontanea ed armonica estrinsecazione dei moti interiori. L'esercitazione corale, effettuata con metodo che la didattica musicale dovrebbe sempre pi� approfondire, non si prefigge risultati particolari che differiscano da quelli generalmente attribuiti a tale materia e che ne giustificano la presenza nei programmi delle scuole dei vedenti. - Il relatore ha trattato l'argomento nei seguenti articoli: "I nostri cori", "Problemi tecnici dell'esercitazione corale" e "Il testo poetico nella esercitazione corale" ("Luce con Luce", anno VI, 1962, nn. 1, 2 e 3). La submateria di teoria musicale contiene gli stessi argomenti della materia omonima dei corsi musicali di Conservatorio, ma limitati alle nozioni pi� semplici e cio�: lettura e scrittura musicale (che per i ciechi � la notazione musicale Braille), solfeggio parlato e cantato, dettato ritmico e dettato melodico. Argomento di diversificazione si ha in questa submateria con la "memorizzazione musicale", propriet� quest'ultima indispensabile per il fanciullo cieco. L'esercitazione pianistica, pur non essendo sempre considerata come preparazione tecnica al conseguimento del diploma per tale strumento, tuttavia viene fatta praticare ai fanciulli ciechi in quanto essa � l'unica submateria che consente ai medesimi una realizzazione musicale di ricostruzione, da prodursi per condotta individuale e senza esemplificazione stimolatrice esterna. L'educazione musicale compresa nella Scuola primaria dei ciechi, per il suo contenuto e per le sue finalit�, costituisce elemento specifico di differenziazione, in meglio, esistente fra questa Scuola e quella dei fanciulli vedenti, differenziazione che, come rilevato in precedenza, � scaturita dalla riforma del Romagnoli. Una riforma di cui appena adesso, con decenni di ritardo, si avverte l'esigenza nella Scuola dei vedenti. I primi sintomi sono da ritrovarsi nella ricerca di nuove impostazioni didattiche per l'educazione musicale nella Scuola Media Unificata, mentre non � ancora sufficientemente sentita la necessit� di risalire alle origini rivedendo la situazione nella Scuola Elementare, dove l'educazione musicale rimane ferma al "Canto", che per altro non viene, tranne eccezioni, minimamente curato. Esaminati contenuto e finalit� delle submaterie che costituiscono l'educazione musicale, si procede alla verifica della presenza negli allievi delle varie forme dell'immaginazione, forme che, richieste come fattori coefficienti indispensabili per le diverse realizzazioni musicali di carattere formativo, per ci� stesso sono suscettibili di sviluppo nei singoli allievi. Lo sviluppo sensoriale intellettivo della percezione delle immagini occupa ovviamente un posto importante nell'educazione ritmica, nella teoria musicale e nella esercitazione corale. Infatti queste tre discipline sono basate sul principio didattico della presentazione di immagini musicali ad opera dell'insegnante, immagini che gli allievi devono percepire in modo giusto, per virt� appunto di doti sensoriali ed intellettive. Le immagini da percepire sono logicamente graduate nella loro difficolt� e complessit� in rapporto alle classi della Scuola per cui al termine di frequenza della Scuola Primaria gli allievi hanno avuto modo di determinare in loro un certo grado di sviluppo del fattore percettivo dell'immaginazione. L'attivit� percezionale delle immagini si pu� riscontrare gi� nelle diverse forme di giuochi che nel giardino d'infanzia contribuiscono all'educazione musicale. I bambini, mediante l'audizione di campanelli intonati, si esercitano alla percezione di immagini sonore caratterizzate dalla loro gradazione d'altezza. Nel medesimo ciclo l'uso di speciali oggetti di materia diversa effettuato per via di percussione, agitazione o lancio, contribuisce a sviluppare la percezione di immagini timbriche. Nell'esercitazione corale e in tutte le classi della Scuola Primaria l'apprendimento di ogni frase di un dato brano musicale avviene per la via didattica dell'imitazione, per cui gli allievi devono continuamente percepire immagini definibili come "organismi ritmomelodici", proposti dall'insegnante. Il dettato ritmico ed il dettato melodico, compresi nella teoria musicale, sono altrettante occasioni per gli allievi di impiego e quindi di sviluppo della capacit� percezionale delle immagini. L'utilit� formativa di queste molteplici occasioni di attivit� percettiva dell'immaginazione da parte di fanciulli ciechi, trova conferma nella considerazione che segue e cio� nel fatto che nell'educazione musicale la percezione � volta a determinare una forma di contenuto immaginativo fatta di "immagini implicite" cio� di "immagini oggettive". Quanto ci� sia importante per l'educazione dei ciechi � altrove ampiamente dimostrato da psicologi e da pedagogisti. L'attivit� del fanciullo nelle submaterie dell'educazione musicale, offre all'insegnante qualche possibilit� di verifica dei vari processi del contenuto immaginativo del fanciullo medesimo. La verifica ha valore per� soltanto se l'insegnante riesce anzitutto a distinguere in ogni singolo allievo il diverso grado di sviluppo di propriet� fisiche che partecipano, con funzione strumentale, all'atto preso in considerazione per il rilievo di fattori dell'immaginazione. La riproduzione di "organismi ritmo-melodici" effettuata continuamente dagli allievi, determina in loro lo sviluppo della forma dell'immaginazione riproduttrice o rappresentazionale. Per mezzo di essa inoltre l'insegnante ha modo di effettuare rilievi che riguardano la consecutivit� delle immagini (fenomeno che nei ciechi va attentamente considerato, specie nel campo dell'educazione musicale, nel quale la tendenza alla eideticit� auditiva, se sorretta anche da intelligenza, pu� considerarsi propriet� ausiliare non trascurabile). L'immaginazione integratrice, con le subordinate leggi associazionali, occupa ugualmente un posto notevole nell'attivit� musicale del fanciullo cieco. Il sistema di notazione musicale offre in proposito speciali considerazioni comparative che derivano da fatti storico-musicali remoti. I grandi teorici musicali del Medio-evo che operarono con intendimenti che con giustezza vanno definiti di "natura didattica", si discostarono dalla notazione alfabetica boetiana di derivazione greca ed escogitarono vari sistemi di notazione tendenti tutti ad una rappresentazione grafica, la quale si basava costantemente sulla ricerca della "associazione per somiglianza", fra gradazione d'altezza del suono ed impaginazione grafica musicale. Da questo indirizzo, come � noto, ha avuto origine l'attuale notazione musicale usata dai vedenti. La notazione musicale Braille, nata nel secolo XIX, per necessit� derivanti sia dal sistema di scrittura che dalla limitazione d'ampiezza del campo tattile manuale, � ritornata, ma con moderni intendimenti, al sistema alfabetico, per cui il concorso dell'immaginazione integratrice alla realizzazione musicale per mezzo della notazione � pi� intenso nei fanciulli ciechi che non nei fanciulli vedenti. La struttura musicale dei brani che rientrano nelle submaterie dell'educazione musicale, specie nel secondo ciclo della Scuola Primaria, � di natura tale da richiedere al fanciullo l'impegno immaginativo nella forma integratrice di associazione per somiglianza, per contrasto, per contiguit� temporale e spaziale. In ciascun brano musicale, per semplice che sia e destinato all'educazione ritmica, all'esercitazione corale od all'esercitazione pianistica, si riscontra la presenza di elementi strutturali di polifonia armonistica se non addirittura contrappuntistica, caratterizzati da singole componenti melodiche che si combinano appunto secondo leggi accordali d'armonia o leggi dinamico-melodiche e di coincidenza del contrappunto. Parti plurime concordanti o coincidenti, ma per lo pi� non omofoniche od omoritmiche fra di loro. Sono questi gli aspetti strutturali che richiedono appropriate attivit� immaginative associazionali da parte degli allievi. Nell'educazione ritmica, ad esempio, il fanciullo che percepisce una data immagine musicale, se vuol realizzare una conseguente figurazione dinamico-espressiva � costretto ad un'azione immaginativa di associazione per contiguit� temporale e spaziale; figurazione che per altro verso pu� considerarsi scaturita da un atto immaginativo di associazione per somiglianza, somiglianza all'immagine musicale precedentemente percepita e trasferita nella coscienza. Nell'esercitazione corale invece, per l'abbondante presenza della letteratura polifonica contrappuntistica, l'allievo � spesso obbligato, nell'esecuzione vocale della sua parte, all'attivit� immaginativa associazionale integratrice per contrasto. Attivit� immaginativa questa largamente presente nell'esercitazione pianistica e determinata dalla differenziata e contemporanea azione delle due mani che agiscono in funzione di reciproca integrazione. L'ultima considerazione riguarda la forma dell'immaginazione libera, dell'immaginazione creatrice e la fantasia. Il Romagnoli (opera citata) d� grandissima importanza a queste forme dell'immaginazione per l'educazione dei fanciulli ciechi e chiama in proposito direttamente in causa l'arte dei suoni. Gli psicologi confermano ampiamente la validit� dell'intendimento del Romagnoli. Essi infatti annettono importanza alle esperienze fatte in precedenza, e le considerano come elementi che contribuiscono ad alimentare la libera immaginazione ed in parte anche a vivificare la creazione. Ora avviene che, pur accettando il concetto moderno ed obiettivo che concerne il rapporto cieco-musica, non si pu� sottovalutare il fatto che le immagini musicali, perch� auditive, sono percepibili in modo pieno dai ciechi. Tali immagini perci� sono pi� probabilmente di altre destinate ad animare la libera immaginazione in essi. Ma perch� ci� avvenga � necessario che l'insegnante faccia conoscere al fanciullo cieco l'arte dei suoni non soltanto come un complesso fenomeno acustico, ma soprattutto come alta opera dell'anima umana. � indispensabile far conoscere la musica nel suo aspetto strutturale, fraseologico, architetturale e nella sua grammatica espressiva, determinata da tutte le propriet� fisiche del suono e della dinamica. Costanzo Capirci La notazione musicale Braille, di Costanzo Capirci (pagine in nero 85-93) (Tratto da: Luce con luce. Rivista trimestrale dell'Istituto statale "A. Romagnoli" di specializzazione per gli educatori dei minorati della vista, a. 7 (1963), n. 3, pp. 104-112.) - L'articolo illustra i fondamenti e la logica interna della segnografia Braille per la scrittura della musica. - In un articolo apparso su Santa Cecilia, rivista bimestrale dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia (anno IX n. 6-1960) dal titolo: "I ciechi e la musica" scrivevo: "Nei Conservatori italiani, in questi ultimi decenni, si sono presentati giovani non vedenti, in numero sempre crescente, a sostenere le prove di esame, per conseguirvi i primi compimenti e gli ambiti diplomi. I pi� preparati di essi ben figurano, ormai da tempo, nella vita artistica e didattica musicale. Mio intendimento, con questo saggio, � di rivelare ai vedenti, quello che, ben a ragione si pu� definire come l'ausilio fondamentale, indispensabile alla preparazione musicale dei non vedenti: la loro scrittura musicale. E con ci�, oltre a dimostrare la fondatezza del loro sapere musicale, spero di rendere umile servigio alla storia della musica, poich� io credo che la scrittura musicale dei non vedenti si possa considerare come un prodigio dell'ingegno umano, meritevole di menzione fra quei capitoli della storia musicale riguardanti la notazione alfabetica, come ultimo e pi� complesso esempio del genere quale esso �. L'inserimento dei musicisti ciechi nella vita musicale, il conseguente giornaliero dialogo ricorrente fra musicisti ciechi e vedenti, l'universalit� della loro scrittura codificata in imponenti e laboriosi congressi internazionali (fra cui cito gli ultimi due: quello di Parigi del 1929 e l'ultimo, sempre a Parigi, del 1954, al quale ho avuto l'onore di rappresentare l'Italia), la considerazione, infine, che questa scrittura, comprovata nella sua validit� da quasi un secolo di uso, � potenzialmente a disposizione di circa dieci milioni di ciechi sparsi per tutta la terra, tutto ci�, insomma, costituisce quella serie di motivi i quali, se non altro, dovrebbero quasi suggestionare gli storici, invitandoli almeno a curiosare". Il movente fondamentale del presente scritto, che qui si aggiunge a quelli gi� importanti sopra citati, consiste nella necessit� di far conoscere ai lettori di questa rivista i princ�pi essenziali della notazione musicale Braille, allo scopo di poter meglio puntualizzare per il futuro i problemi di natura didattica che da essa notazione derivano e che si ritrovano continuamente nel campo dell'educazione musicale dei non vedenti. La notazione musicale dei non vedenti � totalmente basata sulla utilizzazione delle lettere alfabetiche del cieco francese Louis Braille (1809-1852). Braille, musicista oltre che matematico, fiss� i criteri fondamentali anche per la notazione musicale, utilizzando i medesimi segni da lui trovati per le lettere alfabetiche. Criteri che si resero sempre pi� complessi, man mano che i ciechi, gi� prima che finisse il secolo scorso, si avviarono alla conquista di una educazione musicale. I segni quindi si stabilirono strada facendo, con il progredire virtuosistico dei ciechi e la conseguente trascrizione di capolavori musicali sempre pi� impegnativi, per ogni sorta di strumento e per la musica vocale. Oggi si pu� trascrivere nei caratteri Braille qualunque brano, senza limiti di difficolt� e con piena fedelt� rispetto alle edizioni trascritte, usate dai vedenti. Si riporta di seguito (ma non nel presente testo Braille) la tavola completa dei 63 segni alfabetici di L. Braille, in modo da offrire al lettore la possibilit� di una immediata constatazione dei particolari del sistema di notazione musicale che verranno esposti. N.B.: a) la serie di simboli riguardanti la punteggiatura, data la scrittura in campo aperto effettuata in questo specchio, appare identica a quella delle prime dieci lettere; la differenza sta nel fatto che la punteggiatura � dislocata dal mezzo al basso nel casellino, mentre le prime dieci lettere dall'alto al mezzo. b) Il segno numerativo trasforma ciascuna delle prime dieci lettere ad esso seguenti, in ciascuno dei caratteri numerali arabi (a diventa uno, b due ecc.). c) Il segno sottolineativo precede tutte quelle parole che i vedenti sottolineano. d) Il maiuscolativo ha il compito di rendere maiuscola la lettera a cui viene anteposto. e) Nell'ultima serie mancano gli equivalenti al primo, secondo, quarto, sesto e settimo segno, in quanto essi vengono variamente utilizzati in lingue parlate meno diffuse. f) Tutti i sette segni dell'ultima serie differiscono da caratteri gi� espressi, e ad essi apparentemente somiglianti, per la loro dislocazione alla parte laterale opposta del casellino e le apparenti somiglianze si verificano rispettivamente tra il primo dei sette segni in esplicazione e la lettera a, tra il secondo e la b, tra il terzo e la l, tra il quarto e la virgola, tra il quinto e k, tra il sesto e il punto e virgola, tra il settimo e l'apostrofo. Utilizzazione musicale dei 63 simboli alfabetici Per trascrivere alfabeticamente un qualsiasi brano di musica, anche di non grande difficolt�, sarebbe necessario poter disporre di un alfabeto composto da addirittura centinaia di lettere, diverse l'una dall'altra, se ad ogni particolare musicale si vuole attribuire un proprio segno alfabetico di trascrizione. Essendo invece i segni Braille soltanto 63, e non potendosi rinunziare nemmeno ad uno solo dei particolari da trascrivere, si � potuto far fronte a tale fondamentale esigenza con i seguenti accorgimenti: 1. ciascuno dei 63 segni, individualmente considerato, ha una bivalenza di significato musicale (oltre quello letterale di origine); 2. ciascun segno, se considerato in coppia con un altro segno ad esso immediatamente seguente, determiner�, con tale unione, un terzo significato musicale; 3. altra serie di significati si ottiene con l'aggruppamento addirittura di tre lettere alla volta per trascrivere un solo particolare musicale, scelto per� fra quelli marginali (come ad es. le chiavi ecc.); 4. nel giuocare quasi in potenza con i 63 segni alfabetici, � stato assolutamente tenuto conto del pericolo grandissimo di confusione, di equivocit� che la polivalenza poteva determinare. I musicisti vedenti si spaventeranno, forse, nel pensare ad un loro collega non vedente, quando legge la musica Braille, smarrito nel mare magnum della polivalenza significativa. Ma in realt� non � cos�. Il non vedente s'impadronisce della sua scrittura musicale in modo graduale, attraverso la stessa dosata gradualit� che regola i normali corsi di teoria e solfeggio, i corsi strumentali e quelli di composizione. �, in fondo, quella stessa gradualit�, svolgentesi in non pochi anni, che consente ai musicisti vedenti di conoscere la loro scrittura musicale, la quale, per altro verso � ugualmente assai complessa. L'intavolatura La notazione musicale Braille � di tipo alfabetico e pertanto essa si rappresenta mediante una successione lineare dei segni. Il codice fissa regole precise, riguardanti l'ordine di successione dei singoli segni. E questo � assai importante, poich� la scrittura musicale dei vedenti � prevalentemente basata su la sovrapposizione di simboli diversi, anche nell'ambito di un solo pentagramma. Nella scrittura musicale Braille si rappresenta linearmente l'elevazione sonora e linearmente viene rappresentato l'accordo. Orizzontalismo assoluto, quindi, di scrittura appunto alfabetica. Una sola riga Braille pu� contenere un massimo di 37, 40 segni e perci� il suo contenuto musicale � quasi sempre di molto inferiore a quello di un solo pentagramma dei vedenti: ne consegue che per scrivere musica di un solo pentagramma occorrono pi� righe Braille. Ma un tipo di intavolatura usato per primo in Italia (stamperia nazionale Braille di Firenze) � basato sul maggior riferimento possibile del testo Braille al testo dei vedenti, per ottenere il quale si osservano i seguenti accorgimenti: 1) l'inizio di trascrizione di ciascun pentagramma deve essere messo in evidenza, portandosi sempre a capo riga Braille e cominciando tre caselli in dentro; 2) ogni inizio di pentagramma deve essere preceduto dalla indicazione numerica corrispondente alla posizione del pentagramma occupata nella pagina musicale del vedente; 3) oltre alla indicazione di cui al punto 2), si usano termini abbreviativi letterali, come: m.d. per il rigo della mano destra, m.s. per quello della mano sinistra e tutte quelle abbreviazioni consuete in uso per la musica strumentale, vocale e di partitura; 4) si specifica, al punto giusto, l'inizio di trascrizione della pagina musicale del vedente, riportando sul testo Braille il numero della pagina stessa. Tutti questi accorgimenti hanno lo scopo di consentire al musicista cieco un perfetto dialogo con il vedente, sia esso suo discepolo, suo collega o suo docente. Per trascrivere la musica vocale si procede prima alla trascrizione musicale del pentagramma, avendo cura di interporre fra le note i riferimenti di vocalizzo o di elisione, quindi, nelle righe Braille successive si riporta il testo letterario corrispondente al pentagramma sopra trascritto. Altezza e durata del suono La notazione musicale Braille non � basata sul sistema delle chiavi. Sono codificati per� i segni che trascrivono quelli di chiave dei vedenti. Ci� per la realizzazione di una completa trascrizione, che, in tal caso, assume valore puramente informativo per il musicista non vedente. Per precisare l'altezza del suono si fa riferimento alla estensione del pianoforte: riferimento valido per tutti gli strumenti e voci. Alle sette serie di note presenti nella tastiera del pianoforte, sono stati attribuiti altrettanti segni di specificazione, i quali, nel linguaggio corrente per i ciechi, si chiamano: segni di ottava. Tutti e sette questi segni sono disposti nel giusto ordine all'ultima riga dello specchio completo dei 63 segni. Essi, individualmente, determinano l'altezza di una serie di sette suoni: do, re, mi, fa, sol, la, si. Le serie, si capisce, vanno dal grave all'acuto, cos�, il primo segno d'ottava determina la prima serie, il secondo la seconda serie e via di seguito. Le note al di sotto del primo do del pianoforte si determinano col raddoppio del primo segno d'ottava e analogamente l'ultimo do acuto, con il raddoppio del settimo segno d'ottava. Ma questi ora spiegati sono soltanto i determinativi di altezza d'ottava: le note singole come si specificano? Ecco: La specificazione delle sette note: do, re, mi, fa, sol, la, si, avviene mediante simboli che danno congiuntamente anche il valore della nota; perci�, altezza e durata si esprimono con un solo simbolo, congiuntamente. Segni indicanti nota e valore si possono osservare nella tavola completa dei 63 segni e precisamente nelle prime quattro righe di essa. Si tratta di quattro serie di segni, e ciascuna serie consta di sette lettere, le quali vanno dalla quarta alla decima di ciascuna riga indicata per il loro rilevamento. La prima serie comprende le lettere: d e f g h i j; la seconda: n o p q r s t; la terza, y z � � � � � e la quarta, � � � � � � w. Ciascuna serie esprime le note do, re, mi, fa, sol, la, si ed � bivalente per quanto riguarda la durata. La prima serie vale per le brevi e crome, la seconda per le minime o biscrome, la terza per le semibrevi o semicrome, la quarta per le semiminime o semibiscrome. Il segno determinativo d'ottava deve precedere immediatamente la nota; ma se tutte le note, indistintamente avessero il loro determinativo, allora la scrittura si appesantirebbe di molto. Ecco giungere la regola di snellimento: una volta determinata l'ottava, le note che seguono non occorrono di prefisso dell'altezza, purch� appartengano alla serie gi� determinata e purch� si succedano fra di loro anche per moto disgiunto ma non superiore all'intervallo di quinta. In caso di transizione da una ottava alla successiva, allora non occorre segno determinativo se non si supera l'intervallo di terza: es.: quando da un "si" si passa al "re" della ottava superiore. L'ordine distributivo della bivalenza temporale, osservata nella enunciazione delle quattro serie di segni, appare certamente strano al teorico, ma questo disordine ha una sua ragion d'essere, la quale � da ritrovarsi in vantaggi di natura tattile, determinati dal numero dei puntini che costituiscono le varie serie. Le semibrevi sono individualmente costituite da cinque puntini e perci� adatte per note spesso solitarie e non per gruppi. Per una lettura veloce � stato necessario snellire la scrittura, con accorgimenti pratici che hanno ridotto il numero dei puntini formanti ciascuna lettera. Cos�, per le note veloci: dalla semicroma in poi, si � stabilito che quando tali valori sono aggruppati a tre a quattro ecc., per la formazione di una unit� di movimento, allora si scrive la prima nota del gruppo nel suo carattere proprio, mentre le note successive del gruppo stesso, si presentano sempre nei caratteri riservati alle crome, i quali sono individualmente formati da tre soli puntini. Si tratta, insomma, per altri motivi e con altra maniera, di indicare i gruppi di unit� di movimento, costituiti da note di piccolo valore, come fanno i vedenti, quando tirano una o pi� codette prolungate, per gruppi di crome, semicrome ecc., costituenti unit� di movimento. La pratica, illuminata, naturalmente, di una vigile musicalit� e da una preparazione teorica adeguata, conferma che il non vedente non � affatto impensierito dalla bivalenza temporale delle sue quattro serie di simboli, n� dalle regole di snellimento tattile della scrittura musicale Braille. Per�, quando raramente l'equivoco dovesse presentarsi, allora entra in giuoco un segno, il quale avverte del mutato significato temporale della, o delle note ad esso seguenti, rispetto alla attribuzione valida in precedenza. Scrittura accordale, scrittura bipartita e segni prolungati Gli accordi, disposti in forma alfabetica, si rendono con l'indicazione reale della prima nota dell'accordo, mentre le note ad essa successive, costituenti l'accordo, si indicano mediante speciali segni, detti di intervallo. Segni di intervallo, perci�, indicano suoni simultanei, in relazione ad una nota scritta nei caratteri reali e perci� determinata sia nell'altezza che nel valore. I segni di intervallo sono sette: la lettera � per l'intervallo di seconda, la lettera � per quello di terza, il numerativo per quello di quarta, l'asterisco per quello di quinta, la chiusura di virgolette per quello di sesta, i due punti per quello di settima e la lineetta di a capo per l'intervallo di ottava. Gli intervalli successivi si ottengono apponendo il determinativo dell'ottava successiva ad uno qualsiasi, dei segni enunciati: cos�, l'intervallo di seconda si trasforma in quello di nona e via di seguito. Per ottenere l'unisono basta anteporre al segno dell'intervallo di ottava il determinativo d'altezza identico a quello della nota scritta per prima, nei caratteri reali. Particolare importante: quando si trascrive musica dalla chiave di basso, la nota in caratteri reali dell'accordo deve essere la pi� bassa dell'accordo medesimo ed i segni di intervallo vanno considerati in senso ascendente, mentre la cosa opposta avviene per la trascrizione della chiave di violino, dove la nota reale � la pi� acuta dell'accordo e gli intervalli si considerano in senso discendente. Ad esempio: scrivendo in chiave di basso l'accordo formato dalla nota do, con intervallo di terza e quinta, si avr� l'accordo do-mi-sol; mentre scrivendo in chiave di violino la nota do con intervallo di terza e quinta si avr� l'accordo do-la-fa, che enunciato in giusto ordine armonistico, risulter� fa-la-do. Quando in una misura, nel pentagramma appaiono due parti musicali, in Braille si scrive prima una parte e poi l'altra, la quale viene preannunziata da uno speciale segno detto di copula. I segni prolungati che si vedono al di fuori del pentagramma: forcelle, linee e tratteggiamenti, nella scrittura musicale Braille vengono riferiti con simboli posti al punto preciso del loro inizio e del loro termine. Conclusione Non � possibile elencare qui tutti i segni, n� riferire tutte le regole di ordine alfabetico della scrittura musicale Braille. Ancora una volta mi devo limitare a ripetere che tutto � stato previsto e stabilito, al fine di offrire al musicista cieco tutti i particolari grafico-informativi di una opera musicale di cui si vale il musicista vedente. L'intavolatura musicale Braille, non essendo basata su criteri di verticalit�, non rende quella simmetria grafica avente per scopo la configurazione della simultaneit� dei suoni, sia nel singolo pentagramma che nella partitura. Per la lettura il cieco si serve del campo tattile che ha sede nei polpastrelli delle dita, utilizzando maggiormente quelli del dito indice di ambo le mani, coadiuvati dai polpastrelli del dito medio. Perci� il campo tattile � assai ristretto e non pu� permettere al cieco di usufruire del vantaggio ad esso eventualmente offerto di una intavolatura configurante la simultaneit� dei suoni, con il verticalismo. Il musicista non vedente, perci�, giunge alla conquista della sintesi di un brano, seguendo la pi� rigorosa via che lo porta alla conquista del particolare analitico. E la memoria � la via obbligatoria per tale conquista. Oggi anche i vedenti sono arrivati a queste conclusioni. Il fatto che i direttori d'orchestra salgono cos� frequentemente sul podio senza partitura ed i solisti eseguono sempre a memoria, non va interpretato soltanto come una loro esigenza del momento, di agevolezza ma soprattutto come un logico risultato di pieno possesso dell'opera d'arte diretta od eseguita. Ma a questo pieno possesso il vedente giunge per una via direi quasi opposta, rispetto a quella seguita dal non vedente. Il vedente parte da una lenta assimilazione globale, facendo per la via della ripetizione, inconsciamente lavorare per associazione, la memoria visiva, muscolare, e motoria, oltre a quella sonora. Da una sintesi spesso provvisoria, la facolt� musico-intellettiva parte anch'essa, e si muove con varia rapidit�, da soggetto a soggetto, verso la conquista dei particolari, per giungere a confermare in modo definitivo quel concetto sintetico afferrato al primo incontro con l'opera d'arte studiata. Il musicista non vedente, pur potendo partire da un concetto sintetico provvisorio dell'opera d'arte (in special modo oggi, con l'ausilio fonografico), deve intraprendere il suo cammino verso il possesso di essa, conquistando frammento per frammento, ad opera delle facolt� associate della memoria, meno, s'intende, quella visiva, e potr� muovere il nuovo passo in avanti solo quando ogni frammento precedente � stato assimilato ed � cosa accertata ed accettata dalla sua intelligenza musicale. Cos� il suo incedere ben somiglia ad una ascesa; lass�, sulla vetta, allora soltanto gli � dato di contemplare la valle sottostante ed abbracciare il tutto con pieno e cosciente godimento. E tutte le volte che si avvera in lui una simile radiosa visione, allora egli non si cura pi� del suo non vedere. Costanzo Capirci Tiflologia per l'Integrazione Brevi indicazioni per i collaboratori (pag. 94) Si offrono di seguito alcune indicazioni di massima a cui gli autori dei contributi dovrebbero possibilmente attenersi, per venire incontro al lavoro redazionale della segreteria ed alle esigenze tipografiche della rivista. La collaborazione a "Tiflologia per l'Integrazione" � libera. I contributi dovranno pervenire possibilmente via posta elettronica (all'indirizzo: cdtinfo@bibciechi.it) in formato doc. Il testo dovr� essere in carattere Times New Roman 12 con una interlinea di 1,5. I rientri dei paragrafi dovranno essere di 0,5 a sinistra e a destra. Si raccomanda particolare cura nella citazione bibliografica, che dovr� seguire il sistema "Autore-Data" secondo le regole dell'American Psychological Association (APA). I riferimenti interni al testo dovranno trovare una esatta corrispondenza nella citazione estesa che si trover� alla fine dell'articolo. (Diversi sono i siti Internet che offrono una panoramica sullo stile citazionale dell'American Psychological Association. Si pu�, tra gli altri, vedere: http://campusgw.library.cornell.edu/newhelp/res_strategy/citing/apa.html). Gli autori che riportano una bibliografia a corredo del loro articolo (senza rinvii all'interno del testo) dovranno utilizzare lo stesso metodo citazionale "Autore-Data". Si raccomanda inoltre particolare cura nei dati citazionali, dal momento che alla redazione non sempre � possibile verificarne la correttezza. La redazione si riserva comunque il diritto di intervenire sul testo per uniformarlo alle norme tipografiche. Si ringrazia per l'attenzione. Classici della Tiflologia L'educatore dei ciechi. Professione o missione?, di Elena Romagnoli Coletta (pagine in nero 95-102) (Tratto da: Luce con luce. Rivista trimestrale dell'Istituto Statale "A. Romagnoli" di specializzazione per gli educatori dei minorati della vista, a. 8 (1964), n. 1, pp. 5-12.) - Una riflessione sulla professione dell'educatore dei ciechi, che ne mette in rilievo le peculiarit� di fondo assieme alle necessit� formative. - Nell'imminenza della pubblicazione del regolamento per il funzionamento dell'Istituto Romagnoli che render� operante la legge con l'inizio dei corsi di specializzazione, pi� intenso si fa il lavoro onde predisporre quanto necessario per l'assolvimento dei nuovi compiti e si pone con maggiore insistenza alla mia coscienza di Preside e di Direttrice la riflessione sull'importanza della formazione degli educatori dei ciechi. La mia riflessione � resa pi� vigile ed attiva dall'uso invalso di definire il compito educativo quale professione, mentre in passato si usava il termine missione e come missione era accettata dalla maggior parte di noi vecchi educatori ed assolta di conseguenza. Il mio punto di vista espongo qui, onde chiarire l'indirizzo dato alla formazione degli educatori dei ciechi. L'indirizzo non � nuovo, anche se la legge del 30 dicembre 1960, n. 1734, amplia giuridicamente quanto aveva stabilito la legge del 15-11-1925, n. 2483. Ripeto, non � nuovo, perch� gi� in alcuni paragrafi del decreto istitutivo, a saper leggere e interpretare, si vede chiaramente il carattere formativo della Scuola di Metodo per gli Educatori dei ciechi. Affidata quasi per intero al Direttore, il quale deve "assistere e vigilare quotidianamente i tirocinanti distribuendone i turni, assegnando a ciascuno il lavoro d'insegnamento o di assistenza, oltre che letture ed eventuali lavori di conferenze e di scritti atti a migliorare la loro cultura pedagogica e didattica speciale; impartire due o tre lezioni settimanali ai tirocinanti per coordinare il loro lavoro quotidiano mediante opportuni riferimenti alla pedagogia generale e mediante informazioni e riflessioni sui principali problemi della cecit�". Programma molto elastico e non rispondente a un piano rigido; per� prevede un lavoro continuo in collaborazione tra tutti i componenti del corpo educativo: Direttore, insegnanti, assistenti di tirocinio e tirocinanti. Mi fa pensare alle antiche botteghe d'arte dove collaborando coi Maestri e talvolta servendoli, si formarono i nostri grandi artisti. Il Fondatore della Scuola di Metodo Augusto Romagnoli, tra le prime cose che domandava ai tirocinanti era se pensavano che l'educazione fosse un'arte o una scienza e per conto suo concludeva dicendo che l'educazione � un'arte, ma dev'essere sostenuta dalla scienza, senza la quale domina l'empirismo. Non era forse partito da una impostazione scientifica del problema per sostenere l'obbligo della societ� di educare i ciechi? [Nota 1: Vedi il suo articolo Dalla Piet� alla Scienza, Nuova Antologia, 1-7-1908.] Ma precisava sempre che l'educazione � un'arte. Possiamo dunque chiamare professione l'arte di educare o dobbiamo accontentarci, una volta tanto, di legarci al vecchio termine di missione? Io parlo in modo particolare per gli educatori dei ciechi, ma metto bene in chiaro che il mio pensiero � estensibile a tutti gli educatori: tuttavia per noi, educatori dei minorati della vista, il termine ha una importanza fondamentale. N� pu� dirsi che le parole hanno un significato esteso e che � questione di intendersi. Spesso la parola, se non � approfondita, tradisce il pensiero e poi finisce col conformare il pensiero al suo intrinseco significato. Nel Genesi Iddio porta Adamo in presenza delle cose e degli animali perch� egli dia loro un nome secondo il loro genere. Ora, in un caso come il nostro, cos� pregnante di significato, � bene usare la parola che si avvicina di pi� all'azione educativa. Cerco nel vocabolario dello Zingarelli: Professione - Studio ed esercizio di un'arte, specialmente di studio e sapere per utilit� pubblica e per proprio guadagno; Professore - Chi insegna pubblicamente una scienza: Maestro di lettere, matematiche, medicina, ecc. e il Palazzi: chi insegna una disciplina in una Scuola non elementare. La scuola secondaria, come fino ad ora � stata intesa, era il primo grado della scuola informativa, il trapasso della scuola formativa elementare alla scuola media superiore, ove alla personalit� dell'alunno gi� formata, deve darsi il pascolo dell'intelletto, rispondendo al suo bisogno di informazione. Non cessa il lavoro educativo, ma � pi� sentita la forma di autoeducazione e di libera scelta. L'indirizzo formativo � pi� sentito in questi ultimi tempi e pertanto la Scuola di Metodo per gli educatori dei ciechi che si rivolgeva solo ai maestri elementari, trasformata in Istituto di specializzazione, ha ampliato i suoi compiti estendendoli a tutti gli educatori. � utile paragonare il compito dell'educatore a quello dei genitori: si pu� parlare di professione di padre o di madre? Si dice giustamente che la prima educazione dev'essere data dalla famiglia, e nella scuola formativa e individualizzata si parla sempre pi� di relazioni tra famiglia e scuola per consentire continuit� e uniformit� di indirizzo quando la famiglia sa educare, e quando non sa farlo, permettere alla scuola di intervenire a rimediare. Si dice: � meglio una cattiva famiglia che un buon collegio. Io non sono di questo parere, una cattiva famiglia non educa, anche se alleva, e i figli ne subiscono danni irreparabili. Tuttavia penso che bisogna intendersi su come organizzare un buon collegio; e questo � importante per i ciechi che devono essere in prevalenza educati in istituti, ove gli educatori devono supplire a ci� che la famiglia non pu� fare. Per ragioni di preparazione culturale ho dovuto passare otto anni in collegio, e sono ancora grata alle mie educatrici per quanto mi diedero, organizzando la nostra vita di educande come una famiglia e della famiglia dandoci le cure e il calore. Come dicevo l'educazione dei ciechi deve svolgersi per necessit� di cose nel convitto, che una volta si chiamava educandato, e che si occupa della loro educazione. Il convitto pertanto deve saper sostituire la famiglia: l'educazione di una famiglia disciplinata e sana, nella quale i genitori non solo vanno d'accordo, di un accordo esteriore e dovuto all'affetto reciproco, ma hanno identit� di vedute, capacit� di integrazione nei compiti, direi interdipendenza nell'impegno di ciascuno alla formazione del figlio portandovi le caratteristiche della personalit� propria alla differenza di sessi. Nella famiglia c'� variet�, libert�, graduale interesse dei figli alle difficolt� e ai problemi che sorgono continuamente e l'interesse dei figli, anche alle cose spiacevoli e dolorose, � eminentemente formativo; questo interesse non si d� con l'informazione, ma con il calore dell'affetto e con l'esempio di una dedizione al dovere e al senso della responsabilit� verso la societ�. Se l'istituto sa far comprendere all'educando cieco che tutte le facilitazioni si procurano con fatica, far� davvero opera di educazione. � un'arte speciale alla quale ci si prepara con l'autoformazione, l'autocontrollo, la cultura e si trasmette con l'esempio: l'artista � artista, non professionista; diventa professore quando insegna in una scuola una tecnica che egli deve possedere, ma che non � la sua arte. Cos� l'educatore deve apprendere una tecnica metodologica e didattica, ma questa non basta, la sua preparazione implica un'apertura al mondo e a tutti i suoi problemi, almeno per conoscerne l'esistenza e sceglierne quanto � congeniale al suo temperamento, onde arricchire la propria personalit�. Ha molto in comune con l'artista. Le qualit� richieste al professionista son molto diverse: preparazione tecnica coscienziosa, onest� del lavoro, impegno umano durante l'esplicazione della sua professione. Si intende che una vasta cultura umana influisce efficacemente anche sulle professioni pi� varie, per esempio di ingegnere, di avvocato, di professore e dirigente di agricoltura, di industrie, ecc. ma il loro lavoro, pur servendo alla societ�, non implica contatti umani formativi, non implica soprattutto una dedizione che si continua oltre le ore di lavoro, e che investe in un certo senso, tutta la vita, come per gli educatori; anche se per le esigenze proprie o di famiglia o sociali la presenza di questi � per molte ore solo spirituale. Mi si dir� giustamente che anche l'educatore deve avere una propria vita, ed � giusto, anzi necessario; ma questa vita dev'essere illuminata dall'impegno che egli si assume di plasmare anime, di indirizzare intelligenze e spiriti di persone in formazione che gli domandano di proclamare non solo a parole, ma con la vita, la validit� di quanto inculca. Deve avere una sua vita, ma deve saper trovare se stesso in perfetta serenit�, nutrire ideali anche quando sente lo scetticismo, essere attivo e sereno per collaborare al lavoro dell'educando: essere umile nell'accettazione dei propri limiti e degli insuccessi dei suoi piani, e non pu� invecchiare, ma deve ritrovare sempre nuove energie spirituali e nuovi entusiasmi, altrimenti manca al suo compito. Rientra questo nel concetto di professione? Non mi pare. Insisto sulla distinzione perch� sarebbe pericoloso il diffondersi nell'ambiente dei nostri istituti di un rilassamento di fronte ai doveri particolari richiesti dall'accettazione del compito di educatore dei minorati della vista, e il legare tale compito solo al riconoscimento di diritti. Giustissimo il riconoscimento, ma deve in corrispondenza esservi la richiesta di una maggiore dedizione. Riassumo: l'educatore � educatore sempre, il professionista lo � nel tempo del suo impegno professionale. La professione pu� essere scelta per interessi che esulano da una vocazione, per ragioni di propria utilit� o per esigenze economiche; la missione educativa si deve scegliere per una vera vocazione. Giuste le rivendicazioni economiche e giuridiche per tutti gli educatori, ma anche queste debbono essere fatte e motivate dalla ragione di poter assolvere adeguatamente e senza preoccupazioni il proprio compito, al quale bisogna essere chiamati non per ragioni di sistemazione o di guadagno, ma per desiderio di rendersi utili all'umanit�, esplicando un'opera altamente sociale. Se passiamo dal concetto generale di educatori a quello speciale di educatori dei minorati della vista � pi� evidente il carattere di missione implicito in questo compito. Non si fraintenda; si pu� sospettare in questo concetto una sfumatura di pietismo; non mi pare di poter meritare tale taccia; per� devo dire sinceramente che davvero il dedicarsi alla educazione dei ciechi richiede delle qualit� morali speciali e non perch� l'avvicinarli faccia pena; bens� perch� rende pensosi e seri. Del resto l'aver sentito il bisogno di creare una scuola speciale indica che si richiedono speciali condizioni per superare difficolt� che non sono normali. Tutte le volte che persone estranee all'ambiente visitano una scuola per ciechi, ci si sente dichiarare che ci vuole tanta bont�, che bisogna essere santi ecc.; un pregiudizio che non � facile vincere; la massima parte delle persone si accosta ai ciechi con spirito pietistico. Tuttavia non bisogna escludere che gli educatori dei ciechi hanno delle difficolt� di fronte alle quali spesso si sentono depressi e potrebbe venire la tentazione di cedere. Ma non � il timore o la piet� dell'accostarli, non � lo sforzo di istruirli nella lettura e nella scrittura o nel far di conto, � invece la difficolt� di rompere il muro che si frappone tra il mondo circostante e la loro immaginazione; � il confronto che viene naturale tra le possibilit� di arricchimento immaginativo del fanciullo vedente e quelle del cieco. Quante volte invidio la maestra delle comuni classi elementari che guida in una passeggiata i suoi alunni, mentre io debbo preparare la stessa passeggiata - per esempio al giardino zoologico o al Pantheon - con lunghi esercizi di orientamento tattile! Quante volte di fronte all'interesse di una mostra sospiro per non poterla far gustare ai miei ragazzi! � recente la mostra di Michelangelo che � stata visitata dalle scolaresche di Roma, ma per i nostri alunni sarebbe stata muta! E allora l'educatore deve trovare nella propria genialit� lo sbocco alle forze intime nascoste che arricchiscono la personalit� del minorato della vista, e avere pazienza, non cercare la soddisfazione immediata e invece saperla attendere a lunga scadenza, pensando che la soddisfazione sar� pi� grande e pi� profonda quando verr�. Ma non possiamo sottovalutare il significato di queste difficolt� e di altre ancora, che non � il caso di elencare, per stabilire che � necessario portare nell'educazione dei minorati della vista una passione che ci renda atti al compito accettato. Non pretendo con questo che il compito educativo sia assunto sempre per una vocazione chiara e forte, come pu� essere una vocazione religiosa o artistica o di studioso ecc. Mi piace non essere campata in aria proprio quando si tratta di cose che parlano allo spirito; molte volte gli educatori si indirizzano verso la professione per ragioni di opportunit� o di necessit�. Quanti giovani si avviano a gli studi magistrali perch� pi� brevi e presentano migliori facilit� di impiego; quanti, specialmente tra i ciechi, si dedicano alla scuola perch� � uno dei pochi mezzi di trovare una degna occupazione? Ma il movente primo non deve far loro dimenticare che per onest� umana e sociale debbono impegnarsi senza rimpianti o pigrizia, e trasformare la professione che d� loro i mezzi di vivere in missione che ne aumenti la dignit� e l'utilit� sociale. Nei suoi Annali il Goethe spiega il significato psicologico della "missione" di Guglielmo Meister [Nota 2: Volfango Goethe, La missione teatrale di Guglielmo Meister, Mondadori 1955.] come una sorta di "oscuro presentimento della grande verit�: l'uomo spesso vorrebbe tentare qualcosa per cui la natura gli ha negato l'attitudine... un intimo presentimento lo avverte di rinunciare, ma egli non pu� venir in chiaro con se stesso. A questo fatto si pu� ascrivere tutto quanto � stato chiamato falsa tendenza, dilettantismo... Eppure � possibile che tutti i passi falsi conducano a un bene inestimabile: presentimento questo che in Guglielmo Meister sempre pi� si svolge, si rischiara, si afferma e si esprime infine con chiare parole: tu mi sembri Saul, figlio di Kis, il quale usc� per cercare le asine del padre e trov� un regno". L'Istituto Augusto Romagnoli si pone appunto il compito di inserire nella preparazione professionale lo spirito di missione; e nel portare a due anni il periodo di specializzazione ha voluto dare un lasso di tempo sufficiente a un approfondito studio psicologico, in senso lato, dei problemi scientifici e umani che si presentano. E a una riflessione pi� tranquilla su se stessi a gli educatori che non ne hanno certamente avuto il tempo durante gli studi universitari o magistrali, assorbiti come erano dalla formazione culturale. Inoltre al personale docente e direttivo vuole dare la possibilit�, nel lavoro diuturno e affiatato, di una selezione giusta - direi - un poco rigida, onde avviare alle scuole dei minorati della vista degni educatori. La vita passata nella scuola, a contatto con gli educandi fa davvero da filtro, rende possibile saggiare le attitudini vocazionali che sono: capacit� di assimilazione di una cultura varia ed aperta, spirito di sacrificio, semplicit� di gusti e di vita, comunicativa e capacit� del dono di s�. Per tali ragioni io penso che l'arte dell'educare i ciechi deve essere missione e non professione. Non ho alcun pregiudizio contro le professioni, anzi ho un grande rispetto per i liberi professionisti che guadagnano la loro vita esplicando un lavoro di utilit� sociale, ma non mi sembra che il vocabolo di professione si adatti all'arte educativa; e nel nostro caso potrebbe indurre a un'accezione ristretta del compito a cui siamo chiamati, inducendoci a fermarci, o per lo meno a porre l'accento sulla formazione culturale, trascurando in parte o in tutto la formazione umana e del carattere che non si ottiene soltanto con la cultura, ma con l'afflato spirituale dell'educatore. Nell'educazione dei ciechi Augusto Romagnoli instaur� la figura dell'assistente ponendolo quasi al centro dell'opera educativa presso questi minorati. Da qualche anno il problema si pone per tutti i convitti, specialmente per quelli che accolgono elementi sociali, o che non possono avere le cure di una famiglia; ma in qualche riunione, anche internazionale, in cui mi sono trovata si � sempre scivolato rapidamente dalla formazione degli educatori, cos� si chiamano ora quelli che Augusto Romagnoli chiamava assistenti, ai diritti degli educatori; diritti che, ripeto, non nego certamente, ma che vanno visti solo in funzione del migliore assolvimento del proprio compito. � la professione che prende il sopravvento sulla missione. Comprendo che in questi tempi di rivendicazioni materiali le mie parole siano fuori moda, ma anche io ho una rivendicazione da fare per gli educatori: quella dell'alta nobilt� del loro compito e del valore umano della loro missione. In un bellissimo libro di T. Piacentini e G. Nosengo [Nota 3: Tullio Piacentini, Gesualdo Nosengo, La spiritualit� professionale dell'insegnante, Edizione dell'Unione Cattolica Italiana Medi.] vi � un paragrafo che dice: "La spiritualit� professionale elevata soprannaturalmente a valore di apostolato...". Vi si intende giustamente che la spiritualit� cristiana � necessaria al vero educatore, identificandosi con l'apostolato, ma l'apostolato � missione, � un impegno che ci � affidato dall'alto, da ragioni superiori estranee e talvolta contro il nostro interesse personale. Mittere, mandare, essere comandati ad un'opera: "Non siete voi che avete eletto me, ma io che ho eletto voi e vi ho posto, perch� andiate e portiate frutto". [Nota 4: Giovanni, Vangelo, XV, 16.] Questa frase evangelica ha valore per i cristiani cui � affidato un apostolato, ma ha anche valore per la vocazione di educatore che � fede nell'umanit�, � speranza di una redenzione, � amore ovvero carit� operante. Col concetto di missione riportiamo anche coloro che non sono cristiani e che cercano con passione la giusta via dell'educare, a ritrovare quanto nel loro pensiero sia permeato di cristianesimo e a trarne le conseguenze. Elena Romagnoli Coletta La vita morale e il carattere dei ciechi in "Introduzione all'educazione dei ciechi" di A. Romagnoli, di Orfeo Ferri (pagine in nero 103-116) (Tratto da: Luce con luce. Rivista trimestrale dell'Istituto statale "A. Romagnoli" di specializzazione per gli educatori dei minorati della vista, a. 9 (1965), n. 1, pp. 50-62.) - La vita morale costituisce, per il Romagnoli, il punto fondamentale di orientamento interiore per la formazione del carattere della persona non vedente. - Secondo il pensiero pedagogico, sociale, religioso del Romagnoli, secondo un piano di vita effettivamente da viversi e praticarsi, piano di vita attuato dal Romagnoli stesso nell'insegnamento e nelle sue numerosissime relazioni umane, sociali, professionali, la vita morale, per i ciechi in particolar modo, dovrebbe necessariamente costituire il punto fondamentale di orientamento interiore, in toto, per la formazione del carattere. Un tale principio viene affermato dall'Autore come un vero e proprio imperativo categorico che sollecita ogni attivit�, ogni azione umana che direttamente abbia relazione col prossimo, che sia cio� in s� essenzialmente sociale, comunitaria, inerente agli interessi pratici, economici, affettivi, spirituali dei nostri simili che ci vivono accanto. Gli atteggiamenti personali, le tendenze individuali, le abitudini e le istintive reazioni del temperamento, la condizione tutta particolare al privo della vista di dover sempre e in ogni occasione piccola o grande dipendere e ricevere dagli altri, sono questi tutti aspetti peculiari alla personalit� del cieco che l'imperativo categorico della moralit� a fortiori sembra inghiottire e pianificare a livello di una spiritualit� esteriormente troppo vigorosa, autocrate e autoritaria, eccessiva per le pretese che il sentimento pu� accampare nel giovane e nella donna non vedente. La ribellione, il pi� delle volte allo stato potenziale e latente, quasi mai attuata e aperta, � una prova psichica chiara e irrefutabile della in s� giusta rivalsa che la coscienza individuale della personalit� tenderebbe a realizzare isolatamente, sublimando tutti quei naturali, istintivi, effimeri sentimenti di frustrazione impressi al carattere dei ciechi dalle sollecitazioni spesso inavvertitamente oppressive dell'ambiente, o per essere pi� precisi, di un ambiente artificioso, fatto su misura, convenzionale perch� nutrito di pregiudizi che magari lo stesso cieco, per comodit� e tornaconto, accetta e nello stesso tempo giudica e dispregia. Inoltre, una continua, intensa, talvolta logorante introspezione sui propri fatti di coscienza e reazioni sensorio-percettive per la rappresentazione concreta mentale del mondo della realt� oggettiva nella quale il cieco deve muovere e dirigere il proprio corpo, e la coscienza sempre vigile per proiettare se stesso nella societ� senza scosse, urti, disagio per gli altri e per s�, pongono il non vedente senza dubbio in uno stato di attesa o di riserva che talvolta pu� essere effettivamente un motivo serio di inibizione nella precipua sfera dell'affettivit� e quindi del carattere. La "concentrazione" che � lo stato psichico pi� eminente e congeniale al cieco e alla sua forma mentis proprio per le condizioni fisiche e psicologiche che impone la cecit� stessa, � l'inevitabile punto di partenza e di origine dal quale potrebbero evidenziarsi, strutturarsi, prendere forma istintivamente, se non corrette e accomodate alle esigenze della realt� e della societ�, tutte le storture, le stranezze, le bizzarrie e accentuazioni eccessivamente individuali e personalistiche del carattere. Pure ritenendo valide e concrete tali premesse, tuttavia � da tener sempre presente e nella massima considerazione la predominanza del contenuto pedagogico che informa ogni pagina e il pensiero dell'Autore, su tutti gli altri temi e criteri di discussione. Il Romagnoli scrive, e non superficialmente o con la vanit� di chi vuole attirare a s� lettori o pubblico sprovveduto e sentimentale, ma soltanto dopo meditata vita interiore e dopo aver piegato consapevolmente il proprio orgoglio di casta di cieco: "la luce dei ciechi � l'amore". [Nota 1: "L'amore � veramente luce dei ciechi, senza del quale, con tutti i compensi fisio e psicologici, non bastano a se stessi, non potrebbero vivere nella societ�". A. Romagnoli, Pagine vissute... introduzione all'educazione dei ciechi, pp. 66-67.] Egli, sincero "maestro di sapienza e di verit�" con un assioma che si avvicina all'adagio, o come diremmo oggi, allo slogan, semplicemente, da buon pedagogista, suggerisce una soluzione pratica per superare la frattura incolmabile inferta dalla cecit� a una umanit� originariamente creata sana, efficiente, ricca di risorse n� unicamente sensibili n� unicamente intellettuali. Riconoscere in pieno e onestamente un siffatto principio sociale, principio o regola di vita intessuta di profondi e inconfessati motivi religiosi, cristiani, morali, significa aver accettato o aderire gradualmente ma con convinzione da parte di chi non vede all'opera lunga, paziente, difficile, per un sereno spirito di rinuncia di s�, della educazione; significa aver plasmato un carattere, un'anima capaci di elevare, o come pi� correntemente si dice in psicologia, di sublimare le tendenze istintive sempre ricorrenti della propria personalit� o di quella parte irrazionale e bruta della nostra personalit� insofferente del linimento che pu� venire al cieco dai ceppi dorati della solidariet� umana. Quindi, il piano di vita che sul terreno pratico ci prospetta il Romagnoli non � evidentemente da considerarsi n� semplicistico n� ingenuo, n� passivo e mortificante, n� aprioristicamente predeterminato. Per attuarlo, occorre una partecipazione intima e cosciente del soggetto il quale deve necessariamente radunare tutte le sue forze e deve con sincerit� fare appello a tutte le sue energie fisiche, psichiche perch� il ricevere, la solidariet�, l'amore altrui si mutino in un bene morale reciproco. Inteso altrimenti, l'atteggiamento del cieco, vorrebbe dire soltanto assoluta e ingiustificata ricettivit� alla piet� altrui, incondizionata passivit� morale, pesante dipendenza sociale irriducibile a qualsiasi larvata forma di vita libera, raffinata schiavit� crudele, fatta di impalpabile, amara soggezione fisica e spirituale. Il Romagnoli, pur non accentuando di proposito, la comprensibile drammaticit� della reale posizione del cieco, tuttavia ne smantella abilmente i punti nevralgici e delicati, ponendo cos� il rapporto sociale tra privo di vista e vedente nell'ambito dell'amicizia ovvero dell'amore che si "forma" l'amico, dell'amore che sa certamente trarre l'utile e il bene anche dalle persone pi� umili e di condizioni modeste, [Nota 2: Cfr. id. ib. Nota su Segretario modello e amico, pp. 68-69.] dell'amore, che pure non chiamato esplicitamente "carit�", � per� concepito come motivo Paolino di feconda penetrazione sociale reciproca, senza enfatiche disarmonie, senza una esagerata casistica di drammi personali, pregiudizievoli alle comuni relazioni umane di solidariet�, la quale � sempre vista sul piano sociale del buon senso, del sentimento di bont� che possiamo far scaturire anche soltanto con un minimo di buona disposizione alla gentilezza d'animo e di buona volont� da parte di tutti. Il Nostro pot� parlare in questo modo giacch� egli effettivamente mise in pratica tali principi, senza peraltro rinunciare alle maniere forti quando la necessit� lo impose. Dolcezza, rimissivit�, mitezza, comprensione del debito di gratitudine dei ciechi verso la societ�, amabilit� del tratto e della parola, tutti corollari necessari al cieco, acquisiti dal Romagnoli con una eccezionale pazienza di anni e dominio di s� e il tutto in vista di un ineffabile e ideale commercio spirituale di generosit� reciproca: occhi prestati con fedelt� e amore dai vedenti e conforto, incoraggiamento, stima donati dai ciechi. Pertanto, tutto ci� � facile a dirsi e a essere esemplificato, ma � estremamente difficile a mettersi in pratica ogni giorno in ciascuno istante della vita, se non interviene l'esigenza personale di vivere, diciamo cos�, una moralit� superiore a quella della media degli altri uomini normali, e cio� se colui che non vede si pone nella necessaria buona disposizione di acquisire progressivamente una coscienza morale sempre di pi� esigente, sempre pi� raffinata e sensibile, sempre meno paga di s� perch� ogni ora pi� vicina alla verit�. Ora, per�, soltanto la fede religiosa ci pu� far riabbracciare profondamente e integralmente questo movente di ascesi interiore, sforzo umano che trasferito su un terreno di riflessione pratica e su quello tanto vivo della volont� il Romagnoli ha definito cos�: "Gli altri buoni per dovere, essi (i ciechi) buoni per forza". [Nota 3: Cfr. id. ib. pag. 66 II e pag. 68 sgg.] A spiegazione, chiarimento e conforto di questo monito che ha suscitato tra le stesse file dei non vedenti perplessit�, dubbi, riluttanza, quasi per una certa quale incomprensione di un siffatto linguaggio - infatti moralmente ardua e impegnativa � la strada che ci si para dinnanzi o che ci viene proposta da percorrere - l'Autore aggiunge: "amore con amor si compera;... ma per rendersi amabili non basta pure il desiderio, ci vogliono qualit�, modi, un'arte insomma, arte la pi� pregevole, ma difficilissima, la quale non � del resto che quella di essere buoni" [Nota 4: Id. ib., pag. 68.] perci�, per l'anima di un educatore e apostolo quale quella del Romagnoli � assai pi� importante e fondamentale "esser buoni", piuttosto che far valere subito, ogni momento, a ogni costo, i propri diritti di uomini liberi e produttivi di fronte alla societ�. Dunque, cotesto monito che per il suo immediato rigorismo si configura come un vero e proprio imperativo categorico, dapprima � parso ai pi� irragionevole e inattuabile, irrazionale e inumano a molti intellettuali non sufficientemente permeato di compassione per se stessi e della banalit� spicciola della vita di ogni giorno alla gran massa, la quale necessariamente e naturalmente non � usa all'analisi coerente della propria condotta e quindi al dominio della volont� inteso come ragione ed esigenza profonda e spirituale di vita interiore. Certo, "esser buoni per forza" suona male alla logica ovvero alla mente di uomini ragionevoli e liberi: la libert� in nessun caso pu� divenire imposizione. Il Romagnoli, in fondo, non fa che esprimere e rivelarci, senza alcun eufemismo o velo di ingombranti teorie, una dura realt� di vita, vita essenzialmente intessuta di mille difficolt� che si moltiplicano ogni momento per ogni nuova situazione pratica domandando al cieco sempre la medesima pazienza, sempre la medesima tolleranza e coerenza di condotta e comportamento ognora identici nel loro contenuto sociale di assoluto rispetto delle convenienze e delle relazioni umane. E ci�, si badi bene, a tutto vantaggio del cieco stesso, perch� non venga poco amabilmente isolato, bandito e misconosciuto. L'asserto esternamente troppo rigido, necessitante e moralistico che ha urtato in qualche modo la comprensibile suscettibilit� dei pi�, tuttavia, viene ulteriormente chiarito e puntualizzato sul piano della educazione, presentandosi quindi come libera scelta del soggetto. Perci� da parte nostra e di tutti coloro che sono chiamati direttamente in causa, i ciechi, nessuna riluttanza inutile per le verit� o principi morali affermati magari con estrema franchezza e con evidente, vibrato vigore apologetico, per non dire puramente speculativo. "Rendere il cieco amabile, (scrive il Romagnoli) deve essere per tanto la cura maggiore degli educatori... Cos�, se i ciechi sono predestinati dalla natura a svolgere pi� degli altri le potenze intellettuali, molto pi� sono predestinati a perfezionare i sentimenti morali. Essere buoni, per gli altri � un dovere, per essi � una necessit�". [Nota 5: Id. ib., pp. 68-69.] L'Autore evidentemente non si sofferma nel preciso ambito dell'azione educativa a formulare una casistica o a dare dei precetti che forse, a parer suo, sminuirebbero di gran lunga l'intrinseco valore dell'asserto morale, vincolando a degli schemi freddi, astratti, teorici l'opera stessa degli educatori. Del resto, l'autonomia della legge morale garantisce in se medesima la bont�, la bellezza ideale, la perfezione, l'umanit� e la razionalit� del suo contenuto che � essenzialmente libert�. Quindi, qui ci si limita semplicemente a prospettare il bene da seguire, la via migliore da conquistare, l'orientamento interiore, atto a formare il carattere, da secondare e favorire quasi, vorremmo dire, senza discussione. Il "rendere amabili" a ogni costo e il "perfezionare i sentimenti morali" � un unico programma educativo che ha in s� effettivamente del miracolo, in quanto presuppone assai spesso una trasformazione radicale e faticosa delle proprie tendenze, in una parola, del temperamento, ponendo in evidenza un contrasto interno di natura psichica e spirituale, che si avverte specialmente nei privi di vista dotati, con una personalit� spiccata e perci� con intelligenza analitica, ipercritica, ricca di spirito d'iniziativa: tutte qualit� da porre a freno e da incanalare nell'alveo non propriamente della mortificazione, ma di un serrato e costante autocontrollo e di una coscienza sociale larga, longanime, generosa, pronta a ricavare il bene mediante l'amore anche dal marcio, dall'inettitudine altrui, dal piatto e uniforme, dall'astuzia degli scaltri. Il Romagnoli fa osservare la relazione fra la possibilit� che natura offre al cieco di coltivare le "potenze intellettuali" e la predestinazione in lui ancora pi� accentuata a "perfezionare i sentimenti morali". Tale analogia, mi sembra, debba restringere in certa guisa il movente dell'aspirazione per una superiore vita morale, a una limitata schiera di soggetti non vedenti e cio� una �lite di iniziati al puro godimento delle gioie morali e dello spirito; �lite che il nostro non dice dichiaratamente formata d'intellettuali o di gente semplice e incolta. Confermerebbero ci� considerazioni di ordine pratico e soprattutto la constatazione, che qui non � il luogo di approfondire e documentare con dati statistici, della prevalenza, nell'angusto contesto sociale dei non vedenti, di soggetti piuttosto inferiori alla media per quanto riguarda la loro cultura personale non puramente scolastica e il loro individuale tenore di vita spirituale e interiore. Una tale caratterizzazione sociologica, a mio modesto avviso e per l'esperienza fatta su molti giovani di ogni parte d'Italia, vale molto di pi� per gli uomini che per le donne cieche. Queste ultime si sentono maggiormente e pi� duramente colpite dalla minorazione sensoriale della cecit� e quindi ricercano di pi� e quasi sempre spontaneamente la sublimazione dei naturali istinti, tendenze, aspirazioni intime di sentimenti frustrati nelle sia pure limitate forme di coltura a loro accessibili o in forme di vita associativa o di vita spirituale e religiosa notevole. Gli intellettuali, dal canto loro, hanno la professione che pu� soddisfare in pieno ogni aspirazione puramente umana e sociale, inquadrandoli perfettamente tra gli uomini liberi e normali. La morale predicata dal Romagnoli dunque sembrerebbe foggiata soltanto per una classe privilegiata di uomini che riescono a voler comprendere e affermare il significato elettivo, aristocratico - nel senso etimologico della parola greca: pi� forte, migliore - di un piano ideale, trascendente, soprannaturale, metafisico, dice la filosofia, religioso, piano di vita dove ci conduce, facendo dolce violenza alla logica della ragione umana, l'"essere buoni per necessit�", l'"essere buoni per forza". La chiara affermazione di un cos� vigoroso senso di religiosit� della morale contiene l'innegabile proiezione della personalit� dell'Autore, personalit� eminente ed eccezionale di educatore, e oserei dire, di santo, tanto ricca di umanit� e di comprensione per ogni grado di miseria e di povert�. Egli pone dinnanzi ai suoi fratelli ciechi il meglio: nell'opera pregnante di fede dell'educatore la concezione di una solitaria �lite cui soltanto sia dovuto il privilegio di una vita interiore moralmente molto elevata e intensa cos� da superare spiritualmente e psicologicamente le conseguenze della cecit�, non ha valore. L'ultima meta che la morale pu� postulare e proporre a qualunque uomo, � sempre irraggiungibile in s�. Tuttavia, in pratica e in campo educativo, a rigori, possiamo fissarci traguardi morali ardui ed elevati per quanto ci � umanamente possibile senza ridurre n� la loro validit� morale n� la idealit� spirituale che li anima, e ci� grazie alla funzione specifica che essi assolvono nell'educare fanciulli e giovinetti, formandone il carattere e una personalit� armonica. Introduzione ci d� elementi concreti e obiettivi per poter giudicare senza presunzione della umanit� del Romagnoli spoglia di qualunque epiteto, della sua sensibilit� di uomo e di educatore assai vicina e compartecipe delle sofferenze, delle ansie, delle angosce, delle insoddisfazioni amare e pungenti sofferte in ogni tempo da tanti e tanti ciechi. Vi � in lui e in tutto il suo pensiero un grande rispetto per i sentimenti degli adulti, della donna cieca provata pi� di ogni altra creatura proprio nelle aspirazioni pi� intime e congeniali al suo sesso. Egli perci� non si attarda volutamente in una analisi particolareggiata della emotivit� del cieco, che si rivelerebbe inutilmente a posteriori e inefficace di fronte a situazioni o stati di fatto in s� bene o male avviati, bene o male risolti. Esempio: l'amore propriamente detto al quale, dice il Romagnoli, i ciechi sono come tutti gli altri, e forse pi�, da natura portati; matrimoni tra ciechi e vedenti; matrimonio e compiti della maternit� nella donna cieca. Una possibile risoluzione del problema dell'amore sta appunto nelle mani e nell'opera intelligente, affettuosa, delicata degli educatori. Essi non possono n� fingere di ignorare un siffatto problema n� procrastinarlo quando non sia strettamente necessario attendendo che si maturi da s� col tempo. Riflessione, buon senso, logica sono qualit� che facilmente si ritrovano negli adolescenti e giovinetti ciechi. Tuttavia, gli educatori debbono convincersi che in ultima istanza "l'amore non � per loro (i ciechi) un episodio, ma il centro della attenzione, il sommo, quasi sempre, dei loro pensieri". [Nota 6: Id. ib., p. 70 sgg.] Perci�, nei confronti degli alunni e dei giovani � da esercitarsi ininterrottamente con la massima costanza e oculatezza, opera di formazione che il Romagnoli cos� delinea: "La natura non vuole essere contrariata ma deve rettificarsi secondandola. � necessario prevenire questi affetti, non privando i ragazzi dei rapporti intimi con le famiglie, di numerose conoscenze, e soprattutto di una grande tenerezza dei superiori. Non si lascino sorprendere impreparati da sentimenti s� vigorosi, senza che sappiano porli, sino dal bel principio, nel dominio della ragione; la quale per buona sorte � assai potente in essi: e massimamente si educhino a trasformare gli istinti primitivi della forza e della bellezza, risibili in loro o degni di pietosa compassione, in pregi di saggezza e di virt�". "Cos� queste aspirazioni naturali e inevitabili diverranno molla potente al bene e al lavoro, senza dire delle crudeli amarezze e delle passioni infelici che saranno corrette od ovviate". [Nota 7: Id. ib., p. 71.] Arte dunque difficile quella degli educatori dei ciechi, se pensiamo all'importanza e alla particolare responsabilit� dell'opera alla quale essi debbono attendere con intuito e cultura psicologica eccezionali, con animo sereno e sgombro di pregiudizi o dannose simpatie, con dedizione profonda e direi religiosa, con l'amore, in una parola, da non confondersi n� con la debolezza n� con l'accondiscendenza generate da pusillanimit�, dal pietismo e da un concetto errato sulla vera natura dei problemi dei ciechi. Certo, per poter lavorare seriamente e proficuamente sul carattere dei ragazzi ancora oggi per la maggior parte ospiti negli Istituti, occorre essere non imbrigliati, come purtroppo sovente ci accade, nelle pastoie e nelle sollecitazioni perfettamente estranee al problema educativo vero e proprio. E ci� pu� essere detto a ragione anche in questa sede, in considerazione della particolare importanza che riveste il problema della formazione del carattere nel cieco. In fondo, del resto, come dice il Romagnoli stesso, i "lodatori", i "denigratori", l'appassionato di classificazioni stereotipe e grottesche quale, ad esempio, il Diderot che "battezz� (i ciechi) atei, inumani e senza pudore"; tutte queste persone effettivamente ignare e male informate sui ciechi "si debbono fuggire"! Tutte queste persone sono le stesse che oggi interferiscono pericolosamente nei problemi educativi e pi� precisamente nello sforzo che ogni buono educatore si studia sinceramente di compiere per formare il carattere in ciascuno dei suoi alunni. La gravit� di questa affermazione riscontrabile nel Nostro non sic et simpliciter, ma soltanto nello spirito generale e nell'obiettivit� del suo pensiero pedagogico, giustifica in pieno la perplessit� odierna di buona parte degli educatori dei ciechi; perplessit� che non potrebbe trovar luogo pi� acconcio e opportuno di questo: l'opera del Romagnoli pedagogista ed educatore - onde esser denunciata a chiunque � seriamente pensoso e responsabile dei problemi della educazione dei non vedenti. La formazione del carattere nel privo di vista certamente presenta maggiori incognite sia per l'alunno, sia per l'educatore. I ciechi "uomini che hanno qualit� intellettuali cos� singolarmente sviluppate e condizione fisica in ogni modo gravemente anormale, - scrive il Romagnoli - debbono avere qualche cosa di particolare anche nel carattere; il quale, se � prodotto per tanta parte dalle circostanze, come a ciascuno � manifesto, mutate queste, deve fare divario. Ho studiato attentamente i miei compagni e me stesso; cercato di conoscere altri ciechi e interrogato molti loro famigliari; l'esperienza mi ha dato ragione". [Nota 8: Id. ib.] La cecit� impone fin dalla prima fanciullezza, e poi con ritmo sempre crescente, nella giovent� e nella et� matura, particolari "circostanze" caratterizzate nei confronti della vita degli uomini normali da maggiori, reali, effettive difficolt� di ordine pratico e psicologico da superare. Tali "circostanze" che il Romagnoli ha analizzato con una personale inchiesta non codificata ma valida, fanno s� che l'ambiente possa essere riguardato, inteso, interpretato, vissuto dal cieco con una coscienza sociale talvolta troppo tesa, contratta, personalistica, non serena e benevola, se egli fin dai pi� teneri anni non abbia potuto fruire di un ambiente disteso, ricco delle necessarie esperienze affettive e immaginative, esercitando la propria volont� nel frequente superamento consapevole degli ostacoli propri della privazione della vista e seguendo, sempre per esprimerci col Romagnoli, "la pi� eletta educazione morale". Forse � superfluo domandarsi quali siano i modi precisi per formare il carattere dei fanciulli che vogliamo educare e cos� premunire dalle cocenti, talvolta inevitabili e salutari amarezze di una vita indubbiamente pi� difficile di quella di tutti e pi� esposta, in tutti i sensi, perch� vincolata alle conseguenti limitazioni della cecit�. Si debbono o si possono prevenire le storture di carattere, le passioni sregolate, i vizi usando, dopo aver esaurito la carica della persuasione, dei metodi forti, usando della nostra autorit� di educatori adulti e coscienti? � ammessa in casi estremi, la pratica di mezzi, estremi, coercitivi in vista del fine, il bene dell'alunno, che con ogni sforzo vogliamo raggiungere e far raggiungere? A stabilire l'equilibrio ovvero l'armonia tra teoria e pratica interviene direttamente il fanciullo che � spirituale conditio sine qua non, vero motivo vitale dell'azione educativa. Il fanciullo cieco pi� che mai si pu� dire misura di tutte le cose nel precipuo magistero dei suoi educatori. A rigori, per altro, il superamento delle difficolt� dovrebbe costituire, per dir cos�, il cibo interiore quotidiano del ragazzo che non vede proprio per assuefarlo al suo particolare sistema di vita; piano di vita che, costruito per ipotesi sulla piet� e sulla compassione per i maggiori sforzi da compiere, certamente farebbe del cieco un inetto e infingardo, dalla volont� fiacca, pigra, incostante, scialba, molle, dall'intelletto e dalla immaginazione torpidi e vani. Le condizioni di vita che impone la cecit� sarebbero troppo gravi, se non attuassimo nei nostri educandi una spiritualit� maggiore, uno slancio psicologico pi� vivo, una perseveranza nei fini pratici, intellettuali, affettivi, sociali, religiosi di gran lunga superiore a quella che comunemente si richiede agli altri, ai vedenti. La mediocrit�, la rozzezza dei modi e dei sentimenti non si addicono al cieco, pena l'insuccesso: e ci� pu� affermarsi per qualunque differente campo di attivit�, lavoro, professione o ambiente sociale dove il non vedente sia posto a operare o a vivere. Una "volont� forte", che naturalmente non s'improvvisa mai, costituisce sempre un elemento fondamentale e indispensabile per la formazione del carattere: essa infatti solleva chi non vede dalla "inazione" e dall'accidia dell'uomo moderno e lo innalza, per la connaturata consuetudine ad approfondire e a ragionare, fino a renderlo superiore anche nell'ambito specifico della cultura propriamente professionale e personale, affinando la sensibilit� in ogni sfera dello spirito. Per le donne non vedenti, poi, una "volont� forte" pu� esser fecondo motivo di infinite risorse umane, sociali, religiose, quando le naturali aspirazioni siano state spiritualmente e moralmente bene nutrite e indirizzate. E ci� non � facile. Formare, diciamo cos�, il cieco all'ambiente, creare in lui condizioni di carattere favorevoli per un suo agevole adattamento e spontaneo interiore uniformarsi all'ambiente umano circostante, accanto ai vedenti, di fronte ai quali � posto per necessit� in posizione di ricevere: � un preciso compito che l'educazione deve impostare coscienziosamente, affrontare coraggiosamente e assolvere in pieno. Far superare al cieco la sua molto comprensibile "suscettibilit�" che talvolta lo fa apparire, sotto falsa luce, triste, scontroso, aspro, irriducibile, indocile: significa in sostanza affinare in lui il pi� possibile, tempestivamente, la sua vita morale. Essa pu� veramente e durevolmente sanare tutte quelle ferite che inconsapevolmente la societ� pu� infliggere alla sua condizione fisica d'inferiorit�, e per riflesso, alla sua anima. L'educatore non si pu� illudere di poter rinvenire miracolosamente nei mezzi esteriori, nei piccoli espedienti fatti di effimere attrattive, di pargoleggiamenti dei sentimenti intimi e pi� nascosti, dei succedanei che nella formazione del carattere degli alunni producano effetti sicuri e duraturi. La considerazione, come scrive il Romagnoli, che "... la ragione comprende la necessit� dell'aiuto altrui, ma qualche altra parte della natura si ribella per questa insufficienza della persona a provvedere alle necessit� pi� banali della vita come quella del moto libero spontaneo... di questo essere da meno talvolta di un fanciullo, persino di un cane, il quale provvede alla sua vita meglio di me..." deve rendere molto saggi e prudenti tutti gli educatori dei ciechi. Una fusione spontanea, sentita, bene accetta, veramente solidale coi vedenti si pu� operare e realizzare soltanto se l'educazione ha favorito nel giovinetto cieco l'affermarsi di una spiccata coscienza dei valori morali e quindi la loro vissuta superiorit� su quelli puramente prammatici, economici, individualistici, contingenti. Infatti nella sincera ricerca della perfezione della vita morale vengono meno di necessit�, a fortiori, le antinomie, i malintesi ancora oggi frequenti o possibili, le accuse d'ingratitudine o indifferenza, di nociva incomprensione, gli irrigidimenti inconcludenti e dannosi, la simulazione di compassione e disprezzo tra ciechi e vedenti; vengono meno gli antipatici e quanto mai pericolosi giudizi dei ciechi fatti sulle buone intenzioni di bene dei vedenti; divengono inconsistenti e non esistono pi� i pregiudizi di questi ultimi riguardanti la testardaggine, la caparbiet�, la proverbiale durezza, indocilit�, suscettibilit� eccessiva, amore pronunciato ed esagerato della giustizia, attaccamento pi� ai propri diritti che ai propri doveri: tutte qualit� negative attribuite alla particolare condizione di esser ciechi. Obiettivamente, i ciechi ai vedenti sono legati di necessit� da uno stretto rapporto di bisogno; i vedenti invece ai ciechi da una pura e semplice relazione o vincolo sociale. Tuttavia, tali strutture umane in se stesse troppo rigide, fredde e schematiche debbono sublimarsi in un ottimismo, in una costante sdrammatizzazione delle relazioni sociali difficili e complesse raggiunta per la via della "amabilit�", dell'"amore", della reciproca stima che il Romagnoli chiamerebbe senz'altro "carit�"; perch� solo l'essere iniziati, assai per tempo, dalla educazione all'esercizio abituale e quotidiano della vera carit� cristiana ci pu� far vincere le asperit� e alcuni lati sfavorevoli del carattere nei ragazzi ciechi. I tre errori degli educatori e di quanti con amore si occupano dei ciechi, errori denunciati dal Romagnoli nel paragrafo 7� del capitolo in esame, sono ancora oggi molto attuali e frequenti anche dopo 50 anni di vita di "Introduzione" e dopo i fiumi di parole e soprattutto gli esempi illustri e le testimonianze dei nostri grandi ciechi. Alcuni educatori e responsabili delle cose dei ciechi si ostinano ad assecondare esigenze personalistiche e individuali in aperto e oscuro contrasto coi veri interessi educativi, spirituali, sociali dei ciechi. Si lusinga, forse inconsciamente, lo spirito improduttivo e settario di "comunit� ristretta" onde i ciechi "s'empiono il cuore e la testa di pregiudizi, di passioni meschine, suggestionandosi l'un l'altro nelle cose pi� insignificanti, e arrivano a poco a poco, a non sapere pi� pensare il mondo fuori di quel loro guscio... Veri ciechi delle consuetudini e delle contingenze della vita normale". Questa piccola schiera di educatori e responsabili ritengono la "pretensione" e la "indocilit�" "malaugurate" e ineluttabili prerogative dei privi di vista. Ci� oltre che offendere fanciulli e giovinetti, pone durature radici in essi di questi difetti del carattere. Si vuole che i ciechi siano necessariamente e indiscutibilmente felici e contenti per il solo fatto di aver prodigato loro cure e beneficienza. Ora, per concludere, l'opera degli educatori, quando sia perfettamente libera e sgombra di qualsiasi pregiudizio o vincolo mortificatore imposto, resta pur sempre l'ultima vera istanza che pu� far presa sull'anima dei non vedenti cos� da trasformarne radicalmente e favorevolmente il temperamento in carattere, facendo superare la complessit� delle condizioni della loro vita in un sincero slancio spirituale, morale, religioso e in una individuale diretta e personale esperienza di attivit� nelle quali coscientemente prevalga un sano ottimismo, una sincera stima del prossimo, uno sforzo costante, approfondito - nella fede, nella cultura, nel lavoro - verso la perfezione morale. La perfezione morale, dunque, secondo il pi� genuino pensiero del Romagnoli, rimane la vera ed effettiva realt� spirituale e interiore che pu� rendere il cieco felice e campione indiscusso di sapienza e di verit� e per ci� stesso elemento prezioso di lievito per una sempre migliore societ� nel futuro. Orfeo Ferri In navigazione, di Augusto Romagnoli (pagine in nero 117-119) (Tratto da Il Messaggero del 23 agosto 1931.) - Romagnoli ricorda il suo viaggio in nave di ritorno dall'America e le sensazioni provate durante la navigazione. - Di ritorno dalla Conferenza per il lavoro dei ciechi in America, nello splendido pomeriggio di maggio, il Comandante del "Conte Biancamano" aveva usata la gentilezza ai passeggeri di allungare un poco la rotta per far loro ammirare da vicino le Azzorre. A destra l'isola del Picco, alto oltre mille metri, con la cima di tratto in tratto scoperta dalle nubi; a sinistra l'isola di S. Giorgio, piena di verde e cosparsa di case; terra d'Europa e dopo cinque giorni di cielo e acqua. Una signora americana cinguettava (non pi� giovanetta), accanto a me, come una bambina: wonderful, wonderful, my first trip; e non so perch� si era messa a cinguettare attorno a me, che appena capisco l'inglese e che le rispondevo a monosillabi, e che, a guardarmi, dovevo costituire io pure un wonderful thing appoggiato al parapetto di prora col viso immerso e teso nel vento, forse in atteggiamento estatico, certo con l'anima tutta in festa. Sia ringraziato il cielo, un cieco non guastava dunque la gioia dello spettacolo; destava per altro una viva curiosit�, al segno che un viaggiatore italiano a un certo punto ruppe l'indugio, e trov� modo di chiedermi che cosa mai potessi io gustare, cos� da mostrarne in volto una s� evidente commozione. Innocente la curiosit�, garbata la forma, gradevole dopo tutto l'occasione di sciogliere la lingua, fatta eloquente dall'esuberanza della contemplazione e dalla piena della commozione. "Son io che il mondo abbraccio, o dall'interno mi riassorbe l'universo in s�?". Quel picco che avete veduto coprirsi e scoprirsi tra le alte nubi, quella terra verde e cosparsa di abitazioni, una chiesetta, un armento, gente che saliva per i tortuosi pendii, sono forse uno per uno gli elementi della vostra commozione? Intanto li ho veduti anch'io, per cos� dire, li ho felicemente sentiti per mezzo delle descrizioni calde e gioiose dei compagni di viaggio; e sono nel mio pensiero, come nel vostro, manifestazioni riboccanti della natura e della vita: un pittore le fissa nei colori, un musicista nei suoni, un poeta nelle parole alate. Io, che non sono nulla di tutto ci�, n� pittore, n� musico, n� poeta, ma ho l'abitudine a meditare, prendo lo slancio a tuffarmi nell'abisso palpitante dell'essere, nel turbine prepotente e trionfante dell'avvenire, cos� come cammino sull'abisso del mare e il vento mi cinge gagliardo e docile, mentre la nave che mi porta placida e intrepida mi sembra cantare, nel ritmo appena sensibile dei suoi motori, la litania dei navigatori audaci e ingenui che si avventurarono con le caravelle su questa immensit�, degli eroi della fede, del genio e della costanza che via via composero questo monumento della potenza, della bellezza, della civilt�, un vascello che trascende di tanto i sogni dei poeti e le favole delle fate, coi viaggiatori che si divertono come gli dei dell'Olimpo, e che possono mandare e ricevere un messaggio in meno di un'ora da Roma, da Londra, da New York. Senza dubbio la vista � di gran lunga il veicolo pi� perfetto della percezione, ma chi sente � l'anima, e vie di percezione sono, come dice la famosa cieca sorda Elena Keller, tutti i pori del corpo, immersi come siamo in questo bagno della vita multiforme dell'universo materiale e dello spirito. E ricordavo una notte, appunto nel viaggio di andata in America, un mese prima sul "Vulcania": noi restammo lungamente appoggiati al parapetto dell'ampio ed agile ponte coperto, che ricorda i bei loggiati della mia Bologna, restammo lungamente ad ascoltare il mare in silenzio, cullati dal moto appena percettibile della nave. Gli altri avevano poco o nulla da vedere nel buio. S�, c'erano le stelle, ma erano troppo assorti; e le stelle entravano anch'esse nel grande coro, nella grande orchestra indistinta che ci tenne a lungo incatenati e partecipi; poich� certo i palpiti del nostro sangue dentro le arterie si associavano ai fremiti dei poderosi motori delle viscere del "Vulcania", allo stupore della brezza oceanica di aprile, all'ondeggiare lungo e placido dell'acqua profonda, solcata in leggere onde carezzanti dal nostro passaggio. Mi venne anche un paragone: la bellezza visiva � travolgente, come la melodia di una romanza di Donizetti o di Bellini, l'accompagnamento, ci sia o non ci sia, poco o nulla si nota. Rimossa la vista, o attenuata, la bellezza emerge da un complesso armonico e discreto, non solo delle individuabili impressioni dell'udito, del tatto, dell'odorato, del calore, ma di una miriade di sensazioni e di immagini inqualificabili, come le sfumature orchestrali di una sinfonia di Beethoven. Diremo ora che � preferibile la polifonia alla melodia, o viceversa? Il bello � bello, comunque si manifesti; e comunque trova la via di manifestarsi, pur che vi siano animi sensibili ed elementi vivificatori. Augusto Romagnoli Relazione alla Conferenza Mondiale sulla Cecit� (New-York 13-30 aprile 1931), di Augusto Romagnoli (pagine in nero 120-128) (Tratto da: Augusto Romagnoli, Pagine vissute di un educatore cieco, Firenze: Unione Italiana Ciechi editrice, 1944, pp. 212-224.) (Fu stampata nell'edizione inglese degli Atti della Conferenza.) - In questo testo Romagnoli illustra i principi ispiratori della Scuola di Metodo e le modalit� formative dei futuri educatori degli studenti ciechi. - Mio padre fu il mio primo educatore; era operaio, non aveva la scienza, ma nemmeno i pregiudizi degli educatori di professione i quali spesso fanno di un fuscello un vascello. Mi amava e mi faceva partecipare della vita sua: in bottega sapevo usare la sega, la pialla, il compasso; ci� che non poteva farmi toccare, me lo descriveva in poche parole. In campagna m'insegnava a camminare da solo vicino a lui, e a notare con l'udito la vicinanza di un muro, di una siepe, di un albero, di un fossato; nel fiume m'insegnava a nuotare, quando facevamo il bagno insieme. Se c'era una piazza da attraversare in fretta, mi faceva fare la diagonale, dicendomi che la diagonale � la via pi� breve. Il mio secondo educatore fu un compagno, di qualche anno maggiore; giocavamo, correvamo, ruzzolavamo; io mi sforzavo di fare ci� che faceva lui; suo padre non voleva che andasse coi monelli della strada; qualche volta per� ci andavamo insieme. Aveva preso per me la protezione di un fratello maggiore; non ricordo che mi dicesse mai "tu non puoi fare questo perch� non ci vedi"; ma valutava sommariamente le mie forze, aiutandomi o sostituendomi, credo senza rendersi conto fino a che punto fossi inferiore per essere cieco o per essere pi� piccolo di et�. Il terzo fu un maestro cieco, che si era educato senza andare in nessuna scuola speciale. Suo padre pure era operaio, e se lo era tirato su in casa e in bottega, finch� poi gli aveva fatto da lettore di storia, di pedagogia e di altre cose, facendogli prendere lezioni private per prepararlo a gli esami di maestro. Egli m'insegn� a leggere, a scrivere, a calcolare; mi fece amare lo studio e la virt�. Gli sono grato soprattutto perch� mi comunic� le sue esperienze di cieco in mezzo ai vedenti e m'insegn� ad essere un uomo nella comune societ�. In seguito frequentai il Ginnasio e l'Universit�, scrivendo i compiti con la matita e senza richiedere ai professori la conoscenza del Braille o di altri espedienti per l'educazione dei ciechi. Mi servivo di lettori per i libri che non avevo, utilizzando vecchi e fanciulli. Tenni sempre presente la considerazione che qualunque facilitazione chiedessi ai professori o ai colleghi negli studi, mi nuocerebbe nella fiducia dei vedenti e nella carriera. Ci� non significa che non fossi grato a chi mi aiutava nelle difficolt�, certo assai maggiori, della mia condizione. Come potei essere studente tra i vedenti senza richiedere un trattamento speciale, potei poi essere professore di filosofia e di storia nel Liceo. Queste notizie mi sono permesso di accennare, perch� costituiscono l'esperienza base della Scuola di Metodo per gli Educatori dei Ciechi, che la fiducia del governo italiano mi incaric� di costituire e di dirigere in Roma. Questa scuola accoglie insegnanti gi� abilitati come maestri dei ragazzi vedenti, e fa loro compiere un periodo di tirocinio di un anno in mezzo ai ragazzi ciechi, affidati loro per turno e per gruppi, perch� li istruiscano e li assistano, sotto la guida mia e di tre mie cooperatrici: qualche cosa di simile alla pratica che i giovani medici fanno nelle cliniche, con la guida dei professori. Due o tre conferenze settimanali servono per coordinare le diverse esperienze, per discutere sui casi interessanti e riportare alla pedagogia e alla psicologia comuni le variazioni e le peculiarit� che la cecit� richiede nella percezione, nella formazione delle immagini e nei mezzi o strumenti di studio e di lavoro. Il carattere proprio di questa scuola � infatti quello di riportare al metodo dell'insegnamento comune l'insegnamento e l'educazione dei ciechi, contando sopra tutto sulla loro personale iniziativa, che gli educatori devono secondare e correggere, piuttosto che indirizzarli verso programmi rigidi con regole prestabilite. Questo criterio non ha bisogno di lunghe spiegazioni per gli educatori americani, essendo il medesimo con cui fu educata Elena Keller e che fa tanto apprezzare la nostra Montessori. In Italia avevamo bisogno di questa scuola, per svecchiare gli Istituti dei ciechi, i quali risentivano molto della forma tradizionale e di una malintesa piet�, dandosi l'istruzione pi� a titolo di conforto che di riparazione della sventura. Fino al 1924 tutti i nostri istituti per i ciechi vivevano di sola beneficenza, considerati dallo Stato come Opere Pie, spesso miste di scuole per fanciulli e ricoveri per adulti. Il governo italiano accolse il programma presentatogli concordemente dall'Unione Italiana dei Ciechi e dalla Federazione Nazionale delle Istituzioni pro-Ciechi e coi RR.DD. 30 e 31 dicembre 1923 dichiar� estesa anche ai ciechi l'istruzione obbligatoria; conserv� l'autonomia a gli Istituti dei ciechi sorti e mantenuti con la beneficenza privata, ma iscrisse un fondo sul bilancio dello Stato per integrare la beneficenza e dare agli Istituti i mezzi necessari per attuare i loro programmi. Fece obbligo alle amministrazioni provinciali di pagare il mantenimento dei fanciulli ciechi poveri negli Istituti di educazione e anche il mantenimento dei ciechi adulti in Istituti speciali per essere rieducati e abilitati a qualche professione o mestiere. Favor� la specializzazione dei trenta Istituti esistenti in Italia in quattro gruppi: 1� per fanciulli; 2� per giovinetti particolarmente disposti a studi musicali o letterari; 3� per l'avviamento ai mestieri; 4� per accogliere i ciechi meno abili in case di lavoro e di assistenza. Con l'istituzione della R. Scuola di Metodo per gli Educatori dei Ciechi dispose che tutti gli Istituti dei ciechi dovessero assumere i diplomati in questa scuola come direttori, insegnanti e istitutori. Cos� in Italia il problema dell'educazione dei ciechi veniva risolto in maniera integrale e organica col minimo mezzo. Non abbiamo un Istituto grandioso e privilegiato a carico dello Stato, come altre nazioni; ma tutti gli Istituti godono la stessa considerazione, gli stessi aiuti, le stesse garanzie: le provincie come la capitale. La Scuola di Metodo per gli Educatori dei Ciechi non ha fondi propri e nemmeno un palazzo proprio, ma � ospitata dall'Istituto "Margherita di Savoia" per i Ciechi in Roma, in seguito a una convenzione col Ministero della Educazione Nazionale, il quale ha dato all'Istituto il danaro per costruire un nuovo e conveniente edificio, dove insieme con la Scuola di Metodo � installato il giardino d'infanzia, la scuola elementare e il convitto per circa 60 ragazzi ciechi, che l'Istituto accoglie a spese sue o delle famiglie degli educandi o delle rispettive amministrazioni provinciali. Questi fanciulli ciechi sono affidati alla R. Scuola di Metodo, che vi fa esercitare i suoi tirocinanti e vi esperimenta i miglioramenti del metodo e del materiale didattico, che poi si trasmettono agli altri Istituti. Il governo sostiene interamente le spese inerenti al funzionamento della scuola e anche al materiale che essa distribuisce a gli altri Istituti; inoltre ha istituito 12 borse di studio annuali per i tirocinanti, cos� da creare in pochi anni la maestranza specializzata per tutti gli Istituti, e anche per divulgare tra i maestri delle scuole dei vedenti la giusta conoscenza dei ciechi e delle loro scuole, ai fini di una buona propaganda. Questa render� possibile l'ammissione dei ciechi nelle scuole, nelle fabbriche e negli uffici insieme coi vedenti. Poich� gli educatori dei diversi Istituti dei ciechi provengono tutti dalla stessa Scuola di Metodo, si sta formando un grande collegamento fra tutti gli Istituti i quali sono riuniti in una Federazione Nazionale. Cos� pure tutti i ciechi sono organizzati nell'Unione Italiana dei Ciechi, la quale ha anche diritto che un suo rappresentante faccia parte dell'amministrazione di ogni Istituto che ci riguarda. Il governo ha voluto riconoscere e rinsaldare questa solidariet� delle nostre libere associazioni tra loro e con esso, costituendo la R. Commissione Consultiva permanente per l'educazione dei ciechi, presso il Ministero della Educazione Nazionale. Tali buoni rapporti sono anche cementati da tre pubblicazioni periodiche: l'Argo, rivista in nero, il Corriere dei Ciechi, in Braille, e il Gennariello, pure in Braille, che prese il nome dall'idrovolante di Francesco De Pinedo e che si manda in dono a tutti i ragazzi ciechi, ai quali porta le notizie e l'emulazione dei ragazzi vedenti. Questo affratellamento dei ciechi e dei vedenti fin dalla prima et�, fin dalle prime scuole, � il nostro obbiettivo principale, convinti come siamo che la migliore educazione � quella che ciascuno compie spontaneamente, adattandosi e facendo suo pro dell'ambiente. Noi crediamo che dopo qualche anno di scuole speciali per fare apprendere ai ciechi la lettura, la scrittura, le abitudini alla plastica, al disegno, all'orientamento nello spazio, la cosa migliore sia che i ciechi finiscano di educarsi in mezzo agli altri. Perci� la legge italiana stabilisce che tutte le scuole comuni per i vedenti siano tenute ad accogliere i ciechi, quando vi si presentino, dalla quarta classe elementare in poi. L'opinione pubblica peraltro non � ancora abbastanza preparata; perci� sono pochi in pratica i ciechi che possano a dieci o dodici anni entrare con sufficiente profitto nella vita comune. La maggior parte delle loro famiglie � povera, mentre i libri e gli altri mezzi di studio e di lavoro sono assai costosi. Gli Istituti dei ciechi perci� devono sostituire le famiglie e costituire centri di propaganda e di modello nell'opera assistenziale, anche nel tenere scuole proprie di musica, di accordatura, di massaggio, di avviamento a lavori agricoli o industriali; anche laboratorii per collocare i ciechi che non trovano posto nella concorrenza comune. I trenta Istituti si stanno perci� dividendo le mansioni, secondo i quattro tipi indicati sopra. Ma per quanto riguarda i metodi e gli educatori speciali, � chiaro che si deve trattarne solo in relazione agli Istituti che accolgono i fanciulli ciechi. La nostra Scuola di Metodo offre a gli educatori i due termini di esperienze intorno alla cecit�; cio� fanciulli non ancora educati o in corso di educazione e modelli ed esempi di ci� che ciechi ben preparati riescono a fare, essendo cieco il direttore e qualche suo valido collaboratore. Sono inoltre ammessi insegnanti ciechi al corso di tirocinio; e questi pure costituiscono importante materia di osservazione e di esperienza per i colleghi vedenti, mentre questi sono ottimi cooperatori dei colleghi ciechi nel far loro letture, nell'accompagnarli e nel descrivere ci� che essi vedono in un museo, in un monumento, in un panorama. Spesso accoppiamo con frutto un tirocinante vedente con un cieco nell'organizzare le lezioni e le ricreazioni dei ragazzi. Allo stesso modo risulta utile che il corpo insegnante degli Istituti dei ciechi sia misto di maestri ciechi e vedenti. Un altro problema che abbiamo risolto felicemente � quello della coeducazione dei ciechi e dei semiciechi. Su questo medesimo principio anzi si � sperimentato utile l'accogliere anche qualche fanciullo vedente assieme ai nostri. I compagni vedenti o semi vedenti sono i migliori allenatori dei ciechi al moto, al giuoco, all'intelligenza e alla rappresentazione delle cose materiali; mentre dalla comunanza di vita coi ciechi i piccoli vedenti traggono quasi sempre benefici morali, ingentilimento, sviluppo della riflessione, emulazione nello studio delle materie astratte e formatrici dello spirito. Questa coeducazione ha anche il vantaggio di obbligare gli insegnanti a parlare sempre con riferimenti paralleli del senso visivo, tattile o uditivo; e con ci� si avvezzano i ciechi ad avere almeno una nozione intellettuale di quale sia il mondo di coloro che vedono; e questi si avvezzano a notare molti aspetti tattili e uditivi della realt�, e a raccogliere altre percezioni sensorie, che l'egemonia della vista fa ordinariamente trascurare. Si colma cos�, o almeno si attenua, l'abisso dell'incomprensione tra ciechi e vedenti, tanto pi� che essendo molti quelli che conservano un grado pi� o meno apprezzabile di vista, tra i ciechi del leggere e del lavoro, la coeducazione rende a ciascuno possibile usufruire della vista e degli altri sensi secondo i vari gradi di acume e di sviluppo di essi. Nella continua dimestichezza coi ciechi, gli insegnanti della nostra scuola si avvezzano essi pure ad apprezzamenti tattili, uditivi, termici, di valore conoscitivo ed estetico, in modo da poter divenire direttamente segnalatori e guide ai fanciulli nelle esperienze sensorie, che in generale si fanno solo da chi manca della vista. Questa collaborazione, non scolastica, cio� artificiale, ma resa abituale dalla comunione di vita tra vedenti e ciechi di diverso grado di et� e di cultura, costituisce il programma particolare della nostra scuola; essa � piuttosto una grande famiglia, dove sono dei fratelli minori da allevare e dei fratelli maggiori che vi cooperano. Il programma non si limita all'insegnamento delle diverse materie, ma abbraccia tutta la vita: i tirocinanti si alternano a insegnare nelle classi, ad assistere i ragazzi a tavola, a organizzare le loro ricreazioni, a condurli con s� a fare spese o visite ad amici, a monumenti. Il materiale scolastico � preso un po' da per tutto, costruendone il meno possibile appositamente, perch� si preferisce adattarvi quello che si trova in commercio. Le aule sono ornate di calchi di gesso che riproducono capolavori di scultura (scelti dalla ricca gipsoteca Vallardi); abbiamo una collezione di modelli di volte, di capitelli, di elementi architettonici, acquistati dal Consorzio Provinciale per l'Istruzione tecnica di Milano, perch� i ragazzi, in possesso degli elementi fondamentali, possano poi, mediante il tatto, l'udito e le buone descrizioni, interessarsi a questi diletti estetici, almeno quanto basti per esserne iniziati e capire l'interessamento dei vedenti. Dei principali monumenti si riproducono disegni in rilievo, e ci� serve molto a orientarvisi nel visitarli e a fissar l'attenzione sui particolari. Abbiamo anche collezioni di medaglioni per interessare i ciechi alle diverse fisonomie e alle diverse espressioni che la stessa faccia prende secondo le varie emozioni. Dal piacere che i nostri ciechi prendono a toccare e a riprodurre, per quanto schematicamente, col disegno e con la plastica tali cose, abbiamo la certezza che questi insegnamenti sono utili. Per dare le idee d'insieme giovano i plastici geografici o riproducenti panorami vari di monti, case sparse lungo le strade, ponti, corsi d'acqua, boschi, ferrovie, bacini montani. Ci� che si tocca anima il desiderio di visitarlo, cos� si preparano meglio le gite in campagna e le visite a monumenti o a fabbriche; e dopo le visite si riesaminano i modelli per precisare le sensazioni e le idee. (Per tutto questo materiale ci � stata preziosissima la collaborazione della Ditta Cav. Nicola Rossi di Milano, che ha costruiti espressamente i plastici che ci occorrevano e che non si trovavano in commercio). Accanto al materiale per l'educazione estetica o ideativa, sta il materiale da lavoro: per i piccini cassette di prismi, di diverse forme e grandezze, poi pezzi di legno da unire a incastri, con cui fanno scalinate, muri, torri, in gara a chi fa pi� alto senza urtare e far precipitare la mole. Poi il meccano, a cui passano volentieri le ore della domenica, quando fa tempo cattivo; poi vi sono i giuochi all'aperto: del triciclo, del bersaglio, del pallone. In questa parte sappiamo d'avere da imparare dagli americani e cerchiamo d'imitarli. Vi sono poi molte occasioni nella vita dell'Istituto, e procuriamo moltiplicarle, per invogliare i ragazzi via via a quelle forme di attivit� che sono le pi� utili, perch� stanno di mezzo tra il giuoco e il lavoro. Confezionare cassette o piccole mensole, carrettini o altri giocattoli in legno, in cartone, in vimini, in paglia; rilegare i libri rotti, aiutare il giardiniere e l'ortolano; le ragazze in cucina; a cucire a mano e a macchina, a tagliare su modelli, a lavori di maglieria, al bucato, alla pulizia delle stoviglie e delle stanze, a piccoli lavori di ricamo e d'ornamento. Naturalmente non si trascura la musica; ma questa pure entra opportunamente nel piano educativo generale mediante interpretazioni mimiche, danze ritmiche o figurate; vi prende parte con piacere anche una alunna cieca e sorda. La musica peraltro � insegnata con finalit� educative e non professionali, non solo perch� oramai � assai difficile collocare dei ciechi musicisti ma perch� in ogni caso la preparazione professionale deve costruirsi su una base di preparazione umana completa. La mia formula � questa: prima uomini, poi operai. Evidentemente questa variet� di occupazioni richiede una preparazione molto completa nei tirocinanti. La loro scelta � fatta ogni anno dal Ministero dell'Educazione Nazionale, mediante un concorso in cui si tiene conto prima di tutto della cultura intellettuale e pratica, poi del servizio prestato presso istituzioni di ciechi e infine di tutti gli elementi che possono dare garanzia di seriet� di vita e di propositi. Nella scuola poi i tirocinanti sono aiutati con esercitazioni di lavoro manuale e di disegno per mettersi in grado di addestrare i ragazzi nelle diverse forme di attivit� sopra accennate, cercando essi medesimi le forme e gli strumenti adatti, se vi sono, o escogitandone la costruzione apposita, che la direzione dell'Istituto pensa a fare eseguire. Cos� avviene che anno per anno i maestri pi� intelligenti portano essi medesimi un contributo attivo alla scuola. Abbiamo il proposito di mantenere il collegamento fra tutti i nostri diplomati mediante una pubblicazione periodica, in attesa della quale provvediamo con frequente corrispondenza e con ritrovi nell'occasione dei congressi triennali dell'Unione Italiana dei Ciechi. In tal modo la Scuola di Metodo non rifiuta, ma anzi favorisce la collaborazione di tutti gli altri Istituti. Il problema pi� grave peraltro, secondo me, dell'educazione dei ciechi, e che si spinge oltre l'educazione dell'infanzia, � quello della formazione di un buon carattere: problema importante per tutti, ma conditio sine qua non per noi: � ci� che ho detto avermi insegnato il mio terzo maestro, col comunicarmi le sue esperienze della cecit� nei rapporti sociali e morali. Un cieco deve essere ricco di quei doni che costituiscono la luce interiore e compensano la mancanza di quella esterna, dando la serenit�, l'amabilit� e le doti che attirano l'aiuto di coloro che vedono. Per formare dei caratteri negli educandi, il segreto � uno solo, avere noi un carattere. La religione bene intesa � certo il maggiore coefficiente; giovano buone letture, serie pratiche di culto, esercizi di volont�. Nei ciechi abbiamo l'ostacolo della compassione, che spesso condiscende alle loro debolezze o non osa metterli in presenza di tutta la durezza della loro minorazione. La nostra cura principale � perci� di studiare che i tirocinanti posseggano spiccate qualit� di cuore e di carattere, un alto senso della responsabilit� della vita e della loro missione. Nelle conferenze settimanali abbiamo cura speciale di scrutare le debolezze umane quali si palesano occasionalmente nei nostri piccoli alunni, e alle quali troppo spesso indulgiamo in noi. Il "gnothi seaut�n" resta sempre la base di tutta la filosofia e il "medice cura te ipsum" la base di tutta la pedagogia. Questi argomenti formano soprattutto l'oggetto delle mie conversazioni intime con ciascuno dei tirocinanti, e ne traggo abbondante materia da un diario che ciascuno di essi deve accuratamente redigere, esponendo i suoi successi o i suoi insuccessi nell'educazione dei fanciulli affidatigli e nella sua cooperazione al nostro programma. La pi� gradita soddisfazione che questa scuola mi ha dato � di avere saputo da parecchi tirocinanti, anche qualche anno dopo la frequenza, che la scuola li ha resi pi� buoni e pi� forti nelle loro personali avversit�. Questa � ancora per me la migliore garanzia che saranno veri ed efficaci educatori. Augusto Romagnoli