Aprile-Giugno 2017 n. 2 Anno 27 Tiflologia per l'integrazione Trimestrale edito dalla Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus con il contributo dell'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti e della Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi Stampato in Braille a cura della Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus via G. Ferrari, 5/A 20900 Monza Gli articoli firmati esprimono l'opinione dell'autore, che non coincide necessariamente con la linea della redazione. 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Ferrari, 5/A 20900 Monza (MB) (indicando la causale del versamento) Indice EDITORIALE La Convenzione sui diritti delle persone con disabilit� e l'importanza del coinvolgimento delle persone disabili, di Pietro Piscitelli (pagg. 66-67) PEDAGOGIA Il non vedente e la realt�, di Luciano Paschetta (pagg. 68-78) INSEGNANTI SPECIALIZZATI Le figure professionali specialistiche a supporto dell'inclusione, di Giancarlo Abba (pagg. 79-85) DIDATTICA La didattica della geografia in riferimento allo sviluppo dell'immaginazione, di Orfeo Ferri (pagg. 87-103) LEGISLAZIONE Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto sull'inclusione, di Gianluca Rapisarda (pagg. 104-111) MUSICA Problemi d'intavolatura della notazione musicale Braille, di Costanzo Capirci (pagg. 112-119) CLASSICI DELLA TIFLOLOGIA Nuovi orientamenti della scuola media unica per ciechi, di Enrico Ceppi (pagg. 120-128) EDITORIALE La Convenzione sui diritti delle persone con disabilit� e l'importanza del coinvolgimento delle persone disabili, di Pietro Piscitelli (pagg. 66-67) Si � svolta dal 13 al 15 giugno presso le Nazioni Unite la decima Conferenza degli Stati sulla Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilit�. Si tratta della prima Conferenza del secondo decennale della Convenzione, la quale, introdotta nel 2006, ha visto celebrare i primi dieci anni nel 2016. Tema principale di questa Conferenza � stato: "Inclusione e piena partecipazione delle persone con disabilit� e delle loro organizzazioni rappresentative nella implementazione della Convenzione". � un titolo indicativo della necessit�, ribadita pi� volte, del coinvolgimento attivo delle persone con disabilit� alla realizzazione della piena inclusione. Lo stesso slogan fatto proprio dalle organizzazioni dei disabili - "Niente su di noi senza di noi" - � significativo del sottolineare l'importanza della voce e dell'opinione dei disabili, quali esperti e protagonisti. Proprio su questo vorremmo fare qualche breve considerazione. La partecipazione del disabile alla realizzazione di una piena inclusione non � purtroppo sempre una cosa scontata, quantomeno se c'� ancora la necessit� che tale principio sia ribadito. In diversi campi dell'agire sociale esiste la concreta possibilit� che decisioni siano agite "dall'alto", senza il coinvolgimento degli attori interessati. Nel caso della disabilit�, molti articoli della Convenzione fanno riferimento alla cultura. In tale campo - e non tanto in quello pi� tecnologico delle risposte operative - il coinvolgimento dei disabili si rende necessario: si tratta, infatti, di un diverso modo di vedere il reale, di cogliere la diversit�, di aprirsi all'altro. Non � un caso che alcuni interventi della Conferenza che abbiamo ricordato sopra abbiano messo in rilievo proprio il fatto che la vera inclusione � qualcosa che coinvolge tutti i gruppi della societ�. Nel caso della scuola, ad es. - proprio su questo numero pubblichiamo una analisi dei recenti decreti attuativi riguardanti l'inclusione -, la necessit� del coinvolgimento delle organizzazioni dei disabili nel processo decisionale ed attuativo delle disposizioni di legge si giustifica con il fatto che si tratta non solo di trovare delle soluzioni efficaci alla problematica di integrazione, ma altres� di venire a realizzare quella cultura dell'inclusione, che proprio la Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilit� ribadisce in diversi punti come fondamentale nel combattere stereotipi e pregiudizi. Cogliendo pertanto questa occasione dell'apertura del secondo decennale della Convenzione, l'auspicio � che si ribadisca e soprattutto si realizzi come essenziale il coinvolgimento delle persone disabili nell'attuazione di qualunque discorso inclusivo. Il direttore responsabile prof. Pietro Piscitelli PEDAGOGIA Il non vedente e la realt�, di Luciano Paschetta (pagg. 68-78) (Da una lezione tenuta al corso di specializzazione per esperti nel metodo "Idrostimolazione polisensoriale psicomotoria" (I.Po.P.).) - Cosa significa la percezione della realt� per un bambino non vedente, quali le sue caratteristiche peculiari ed il modo di rapportarsi ad essa. - Il bambino non vedente non potendo cogliere "da lontano" la realt� vede ridotte le sue opportunit� di conoscere: mentre a chi vede la realt� viene incontro, nel suo caso per conoscere dovr� essere lui ad andare verso di essa. Ma qui si presenta una grossa difficolt�: egli, molto piccolo, non sa ci� che lo circonda. Perci� per un corretto approccio educativo con i non vedenti � necessario ricordare sempre che la mancanza della vista impedisce al cieco la percezione immediata di una realt�, ci� gli impedisce di venire a contatto con gli oggetti per coglierne l'esistenza. Questo limita la sua visione delle cose e la possibilit� di conoscenza al suo raggio di azione. Il mondo, per cos� dire, si offre a chi vede stimolandolo a muoversi ed ad andargli incontro, mentre il bambino non vedente ha, davanti a s�, il nulla e solo muovendosi in esso avr� la possibilit� di essere "attore" sulla scena del reale e poterne conoscere le forme e le caratteristiche. Se si trova in uno "spazio": aula, palestra, piscina ecc. i rumori potranno aiutarlo ad individuare la posizione di persone o cose: l'udito �, assieme al tatto, l'altro senso "spaziale" di cui il cieco pu� servirsi. Ci� per� solo se lui ha la conoscenza del "contenitore" (aula, palestra, ecc.) e se "conosce" le realt� che producono i rumori: diversamente per lui sar� il caos. Tutto ci�, come si pu� ben comprendere, se render� abbastanza facile "esplorare" la realt� a chi non vede, dopo che egli ha imparato a camminare e che ha ricevuto una corretta educazione all'autonomia personale, viceversa rappresenta una notevole difficolt� per l'apprendimento della deambulazione e incide, inevitabilmente, sulle sue possibilit� di conoscenza nei primi due/tre anni di vita. Alcuni momenti critici Esaminiamo ora gli aspetti critici nello sviluppo psicomotorio del bambino non vedente nei primi anni di vita. La mancanza della vista impedisce lo svilupparsi del coordinamento oculo-motorio con conseguente difficolt� del bambino che spesso, poco stimolato a muoversi, non sviluppa, ad esempio, la corretta "opposizione" del pollice, con limitazioni nella motricit� fine e conseguente riduzione delle potenzialit� percettive della mano con una riduzione della capacit� di percepire la forma di un oggetto in modo preciso e completo. Un altro momento critico � dato dal ritardo con il quale, in assenza della vista, si sviluppa il concetto di "permanenza dell'oggetto" anche quando questo non � percepito dai nostri sensi: dall'8o mese circa, nel bambino che vede, al 14o mese circa nel bambino non vedente, quando il semplice suono o rumore prodotto dall'oggetto ne stimoler� la ricerca attiva. Pertanto in questi mesi l'oggetto che sfugge al contatto tattile non esiste pi� e, questo, in mancanza di consapevolezza e di interventi dell'educatore provoca una notevole deprivazione sensoriale e ritarda i comportamenti di ricerca dell'oggetto medesimo. Questo ritardo � anche una delle cause delle difficolt� e del ritardo nell'apprendimento della deambulazione perch�, come � facile comprendere, il bambino per muoversi deve essere stimolato da ci� che lo circonda, ma nel suo caso come abbiamo visto, per sapere ci� che lo circonda deve esplorare l'ambiente e sapere ci� che esso contiene: si crea cos� un circolo vizioso che l'educatore deve saper "rompere". Senza entrare nel dettaglio la voce della mamma, la prima ad essere collegata alla persona dal bambino, che lo invita a venire verso di lei pu� essere uno stimolo importante per fagliene attivare la "ricerca" e fargli vincere la naturale "paura dell'ignoto". Mancando poi la possibilit� di "imitazione" del movimento, occorrer� che egli comprenda quali siano i movimenti corretti per la deambulazione eretta. Conoscere la realt� Ci� premesso, entriamo nel merito del come il non vedente pu� conoscere la realt� che lo circonda e costruirsene la rappresentazione mentale. Uno dei problemi primari che ci si trova ad affrontare � se egli abbia la possibilit� di costruirsi delle immagini mentali della realt� spazializzate e omologhe a quelle dei normovedenti. La risposta a questo quesito dovr� essere positiva, in caso contrario sarebbe difficile immaginare una loro educazione psicomotoria come quella dei normovedenti e, soprattutto, un loro inserimento scolastico integrato. Alla base delle nostre conoscenze empiriche vi sono le nozioni di spazio e tempo, nessuna realt� "fisica" � pensabile al di fuori di esse: ogni cosa per poter essere pensata come concreta deve essere collocata in uno spazio ed in un tempo. La possibilit� di un cieco di acquisire la nozione originaria di tempo, non � mai stata messa in discussione, diverso � l'atteggiamento filosofico/scientifico sulla sua possibilit� di possedere una nozione reale dello spazio. Questa, non potendo essere negata del tutto: i ciechi dimostravano capacit� di orientamento e di movimento autonomo, veniva subordinata a quella di tempo: il cieco ricava l'idea di spazio facendola discendere da quella di tempo. Questa, ad esempio, era l'opinione della scuola di Leibniz, ma anche in tempi molto pi� vicini a noi si sostenne l'incapacit� del cieco di poter avere immagini mentali della realt� omologhe ai vedenti. All'inizio del secolo scorso, quando si cominci� ad operare i primi adulti di cataratta congenita, poich�, dopo l'intervento, questi non riconoscevano alla vista oggetti che pur gli erano noti in precedenza, si concluse che ci� dipendeva dal fatto che i ciechi non possiedono una rappresentazione del mondo circostante simile a quella di chi vede. Cercheremo ora di affrontare il problema alla radice per giungere a definire la possibilit� di conoscenza dei ciechi rispetto ai normovedenti. La conoscenza dello spazio Lo spazio fisico, per intenderci quello euclideo e-o cartesiano, � definito come una entit� tridimensionale e la tridimensionalit� � ci� che lo contraddistingue. Ora, contrariamente a ci� che da pi� parti si pensa, il senso della percezione primaria della tridimensionalit�, quello che ci consente la verifica concreta e diretta della corporeit� delle cose, non � la vista, ma il senso aptico-cinestesico: il tatto, infatti, percepisce solo ci� che � tridimensionale: senza volume non c'� percezione tattilo/corporea, cos� la percezione dei volumi � possibile solo attraverso il tatto, di conseguenza la nozione di spazio non pu� che derivare da questa originaria esperienza percettiva. Che la spazialit� sia legata alla "corporeit�" della conoscenza trova conferma altres� nelle antiche unit� di misura dello spazio che facevano spesso riferimento a parti del corpo o al suo movimento: il cubito, il passo, ancor oggi nel sistema anglosassone troviamo i pollici e i piedi. Lo spazio in quanto volume � una nozione che si acquisisce attraverso l'esperienza corporea del reale e quindi possibile anche, senza particolari difficolt�, a chi non vede. La conoscenza degli oggetti: forma e caratteristiche distintive Passiamo ora ad esaminare la capacit� e le modalit� di conoscere un oggetto o un qualsiasi aspetto della realt� in assenza della vista. La percezione aptica procede attraverso l'analisi dei particolari dell'oggetto esplorato che, sintetizzati, consentono poi di formarsene una immagine precisa della sua forma. L'esplorazione avviene analizzando frammenti di oggetto spazialmente contigui (percezione ordinata e sequenziale), ovviamente in attimi successivi (diacronicit� della percezione aptica). Un oggetto tuttavia si distingue, oltre che dalla forma, anche per i suoi "caratteri distintivi": particolari e caratteristiche peculiari. Per chiarire come avviene la capacit� di conoscere il materiale di cui l'oggetto � fatto e le sue caratteristiche, procediamo con un esempio che ci aiuter� a comprendere meglio ci� che intendiamo dimostrare. Limitandoci alla sola osservazione dell'oggetto potremo identificarne: la forma, le dimensioni e il colore. Utilizzando solo gli altri sensi, oltre ad identificarne la forma e le dimensioni, potremo avere una sensazione di caldo (ad es. toccando del legno che � un cattivo conduttore termico) o una sensazione di freddo (ad es. toccando un pezzo di ferro che � un buon conduttore termico), ma anche sensazioni di leggero o pesante, di liscio o rugoso secondo tutta una variazione di rugosit�, di rigido, flessibile o elastico, di bagnato o asciutto, di solido o plastico, percuotendo il nostro oggetto potremo anche averne delle sensazioni acustiche ed infine se lo mettiamo in bocca ne coglieremo il "gusto" (ad es. resinoso nel caso del legno e metallico nel caso del ferro). Tutto ci� ci consente di identificare, con certezza, di che materiale si tratta, mentre la sola vista no. Anche in questo caso non � la vista che ci consente di riconoscere questo o quel materiale, ma l'insieme delle indicazioni provenienti dagli altri sensi. L'unica caratteristica non percepibile, in questo caso, � il colore, ma esso non � determinante per la conoscenza degli oggetti o della materia essendo una qualit� che potremmo definire "accessoria", mutabile: il colore di una matassa di lana non rappresenta un aspetto capace di caratterizzarne l'essenzialit�, n� ne rappresenta una delle caratteristiche peculiari. La vista riveste invece grande importanza per il "riconoscimento" delle cose. Il bambino giunge quindi alla nozione di spazio e alla conoscenza dei materiali e degli oggetti, non attraverso la loro semplice visione, ma mediante una "esperienza" corporea della realt�, utilizzando tutte le informazioni provenienti dagli altri sensi, in questo, quindi, il disabile visivo ha le stesse possibilit� conoscitive di tutti gli altri, ma con l'assenza del colore, elemento questo che egli non potr� mai realisticamente immaginarsi, ma che apprender� solo in modo verbalistico. Solo questo aspetto della realt� mancher� al non vedente, resta tuttavia il fatto che, colta da chi vede normalmente globalmente, a distanza ed in modo immediato, attraverso la vista, la realt� si impone all'osservatore; chiameremo questa "realt� spettacolare", ossia la nostra abituale modalit� di percezione del mondo circostante, la quale per� si sar� strutturata tridimensionalmente sulla base di una esperienza primaria "corporea" della realt�, realizzata attraverso la percezione aptico/cinestesica. � solo attraverso una successiva "strutturazione della realt� percepita" sulla base delle leggi ottiche che vedremo le cose in modo tridimensionale: la spazialit� della realt� ha come esperienza diretta primaria quella tattilo-cinestesica, la visione tridimensionale � frutto di "apprendimento" successivo. Una momentanea impossibilit� nella strutturazione del campo percettivo data dall'occlusione di un occhio pu� creare grosse difficolt� a vedere gli scalini o a guidare poich� non riusciamo a calcolare le "profondit�" e le distanze, ma se la visione monooculare permane ben presto il nostro campo percettivo visivo si ristrutturer� e torneremo a vedere in modo tridimensionale. La realt�, inoltre, percepita unicamente sul contrasto cromatico, manca di concretezza e � solo spettacolare e non sufficiente alla vera conoscenza, ci� risulta evidente in particolare nell'originaria esperienza cognitiva del bambino che non si accontenta di "vedere", ma appena pu� tocca o mette in bocca: questa esperienza "corporea" del reale infatti � l'unica in grado di soddisfare il suo "bisogno" di conoscenza. La vista nel processo di apprendimento del reale � ci� che attraverso l'individuazione a distanza di un oggetto ci stimola ad "andare a conoscerlo" e ci consente di riconoscerlo poi a distanza nel vivere quotidiano, anche se il solo vedere pu� trarci in inganno. Diverse sono le considerazioni che dobbiamo fare se ci riferiamo ad un bambino piccolo ancora "alla scoperta" del mondo circostante: in tal caso, per conoscere, egli ha sempre (anche se vede) bisogno di un rapporto multisensoriale con le cose, il semplice vedere non gli � sufficiente. Se � vero che la perfetta imitazione in plastica di un fungo, o di un cesto di frutta esposta in una vetrina, potrebbe indurci in errore, � altrettanto vero che ci� accade cos� raramente da avere scarsa importanza nel vivere quotidiano. Non sar� per� la stessa cosa nel caso di chi quella frutta deve conoscerla: egli, per scoprirne la realt� dovr� odorare e, se necessario, gustare; solo cos� sar� in grado di "comprendere" andando oltre la "realt� spettacolare" percepita tramite la vista. Quello che manca alle immagini mentali del non vedente � solo l'aspetto "spettacolare", dato dalle differenze cromatiche, ma non per questo le sue rappresentazioni mentali sono prive di spazialit� e di concretezza di particolari, esse differiscono da quelle di chi vede solo per l'assenza del colore, ma ne sono del tutto omologhe. Come mai allora i ciechi nati che acquistano la vista in seguito ad intervento chirurgico non riconoscono, solo guardandoli, quegli oggetti che pure gli erano familiari? Semplicemente perch� le immagini mentali che possiedono di quegli oggetti sono prive di colore, mentre quelle che ora possono decodificare attraverso la visione giungono loro nel "codice" tipico della percezione visiva a lui precedentemente ignoto: essi potranno riconoscerle a distanza con la sola vista solo quando avranno abbinato questa immagine tipica del codice visivo, all'immagine precedente formata con gli altri sensi, cosa che chi vede fa abitualmente nel processo di conoscenza del reale dove, in ogni caso, la conoscenza veritiera del reale, non � data dal colore, ma dagli altri elementi percepiti. Il mondo per il cieco non � uniforme Va inoltre sottolineato che le rappresentazioni mentali derivate dagli altri sensi, prive di colore, sono tutt'altro che poco stimolanti. Spesso si sente dire che il mondo del cieco � "grigio": se con questa espressione si intende senza colore, ci� risponde al vero, ma se si intende non variegato ci si inganna. La percezione aptico-cinestesica, unita a quella degli altri sensi residui, infatti, consente una grande variet� di sensazioni e una gamma vastissima di differenti risposte percettive: si possono avere sensazioni tutt'altro che uniformi e capaci di stimolare la curiosit� del bambino. La percezione funzionale Come si pu� facilmente comprendere la conoscenza di un oggetto o di un ambiente richiede molto tempo ed allora spesso il cieco ricorre alla sua "percezione funzionale". Questa consiste nella percezione di una piccola parte dell'oggetto o dell'ambiente sufficiente ad identificarlo e a servirsene. Questa modalit� percettiva � utilissima per riconoscere le cose gi� note, ma pu� essere diseducativa se la si utilizza per far scoprire la realt� ad un bambino non vedente. Poich� essa � molto utilizzata occorre sempre verificare attentamente se il piccolo non vedente abbia una conoscenza corretta delle cose di cui parla e si serve: alcuni bambini non vedenti possono non sapere come sia fatto il letto nel quale dormono ogni sera proprio perch� si sono sempre limitati a toccarne solo quelle parti che erano funzionali al suo uso. L'educazione sensoriale Per ottenere una corretta conoscenza della realt� e delle cose che lo circondano � necessario che il disabile visivo sia educato a servirsi dei sensi residui in modo da "vicariare" il pi� possibile l'assenza della vista riuscendo cos� a costruirsi una rappresentazione del mondo articolata, varia e multiforme corrispondente ed omologa a quella di chi vede. La funzione vicariante dei sensi Il concetto di vicarianza dei sensi va definito e compreso correttamente. Esso non � un sesto senso che permette ai non vedenti di conoscere le cose in assenza della vista, non significa neppure che essi abbiano gli altri sensi pi� sviluppati: la capacit� e soglia percettiva dei sensi residui di un non vedente non sono diverse n� superiori a quelle di un normovedente, egli non sente meglio, non ha il tatto pi� fine, non ha l'olfatto pi� sviluppato, semplicemente pone una diversa attenzione percettiva a tutte le sensazioni che gli giungono da questi sensi mentre i vedenti, in situazioni analoghe, si servono della vista ponendo su di essa tutta la loro attenzione percettiva. Il cieco per leggere facendo scorrere le dita sulla riga scritta in Braille � attento alle sensazioni che gli arrivano dai polpastrelli, nel camminare sul marciapiede sar� attento anche alle indicazioni "plantari" (asperit� ed irregolarit� della superficie sulla quale sta camminando), agli odori caratteristici che potrebbero segnalare la presenza di un particolare negozio (dai profumi della frutta e della verdura passando davanti ad un fruttivendolo, mentre quello del pane appena sfornato gli indicher� la presenza del panettiere, e cos� via). Allo stesso modo nell'attraversare la strada sar� attentissimo ai rumori che vi provengono, comprendendo in tal modo l'intensit� e la direzione del flusso di traffico per cogliere il momento utile all'attraversamento, tutto questo non presume assolutamente capacit� eccezionali o il possesso di sensi potenziati, ma unicamente l'abitudine ad una diversa attenzione alle percezioni che giungono ai sensi residui utilizzati in vicarianza della vista. Viceversa chi vede avendo la sua attenzione percettiva concentrata sulle percezioni visive non ha coscienza di quanto gli altri sensi gli comunicano. In questo momento non sentivate il contatto del vostro corpo con lo schienale e il sedile della sedia, ma se vi prestate attenzione anche voi coglierete la forma dello schienale e la tipologia del sedile, attraverso le percezioni tattilo-cinestesiche. Mentre scrivete non "sentite" il contatto tra la penna e le dita, ma baster� spostare la vostra attenzione da ci� che vedete a ci� che state "toccando" per coglierne immediatamente la forma. Allo stesso modo entrando in un supermercato veniamo attratti dalle scatole multicolori esposte sulle scaffalature e tendiamo a non cogliere gli odori che caratterizzano l'ambiente, ma baster� che qualcuno dica: "Che buon profumo di pane fresco" perch� anche voi ne cogliate la fragranza. � proprio l'uso privilegiato della vista (oltre l'80% delle percezioni "coscienti" sono visive) che spesso impedisce di renderci consapevoli degli stimoli provenienti dagli altri sensi ed � per lo stesso motivo che in chi vede si crea la convinzione che il cieco possieda capacit� superiori. In realt�, egli, in assenza della vista, pone per necessit� tutta la sua attenzione percettiva alle sensazioni provenienti dai sensi residui dando in tal modo l'impressione di averli pi� affinati o addirittura di possedere un senso particolare, mentre l'unica diversit� sta nella diversa modalit� nell'uso dei sensi residui, servendosene per conoscere oggetti, ambienti, realt� e situazioni nelle quali chi vede normalmente usa la vista. Il cieco usa gli altri sensi in "funzione vicariante" ossia in modo sostitutivo e per supplire a quello mancante riuscendo in tal modo a formarsi una rappresentazione corretta e variegata del mondo circostante. L'educazione sensoriale (cenni) Se la premessa indispensabile per giungere alla conoscenza del reale � un utilizzo di tutti i sensi, ne scaturisce, necessariamente, l'esigenza di curare, in modo particolare per tutti i bambini, l'educazione dei vari sensi. Nel mondo moderno, dominato dalle immagini, si tende a privilegiare la funzione della vista, un esempio emblematico della "prevaricazione visiva" � rappresentato dalla rosa. Quelle pi� pregiate, pi� ricercate sono le "baccar�", orbene queste rose non sono profumate. Questo fiore che da sempre � stato apprezzato per la sua bellezza formale unita al suo inconfondibile profumo, viene oggi valutato esclusivamente sulla base della sua forma visiva. I bambini, oggi, non hanno mai imparato a tagliare un ramo per costruirsi la fionda o a scegliersene uno flessibile per farsi l'arco, n� hanno avuto la possibilit� di lavorare il legno per fabbricarsi un carretto. I giochi sono tutti gi� pronti, la maggior parte in un unico materiale (la plastica) e fatti in modo da essere belli da vedere. Il senso stimolato � sempre lo stesso: la vista, agli altri non si pone attenzione. Una mancata corretta educazione psicomotoria e sensoriale nel bambino con grave disabilit� visiva o l'abuso della percezione funzionale come atto conoscitivo, portano, tra l'altro, allo sviluppo di movimenti stereotipati: i blindismi ed al verbalismo. Senza entrare nel dettaglio ci limitiamo ad elencare i principali blindismi: mano a spatola (mano che opera senza l'opposizione del pollice), sfarfallamento delle braccia piegate al fianco del busto, capo reclinato, dondolii in stato di riposo, gambe divaricate nel camminare. Chiameremo invece verbalismo l'uso del linguaggio (parole o frasi) in modo apparentemente corretto, mentre per� si tratta di semplici verbalizzazioni, un esempio: il bambino descrive anche con dovizia di particolari come � fatta una gallina, ma nella realt� non ne ha nessuna immagine mentale, perch� ci� che dice non gli deriva da una esperienza diretta, ma da semplici racconti letti o sentiti. Se la mancata educazione dei sensi residui � grave nell'educazione di un disabile visivo, perch� potr� produrre ritardi di apprendimento, l'attenzione all'educazione sensoriale non � meno importante per il bambino normodotato: abbiamo visto come la "conoscenza" primaria sia di tipo aptico cinestesico e quindi una scarsa capacit� di utilizzo del proprio corpo con tutte le sue potenzialit� come fonte di conoscenza, porta a maggiori difficolt� di apprendimento oltre a limitare il "piacere" di sensazioni profonde. L'educazione alla sensualit� Per quanto sin qui detto, riteniamo fondamentale per una corretta educazione il recupero della dimensione della sensualit�: piacere derivante dalle sensazioni percepite attraverso i vari sensi. Chiameremo "educazione alla sensualit�" quei comportamenti educativi mirati ad educare al piacere derivante dalle percezioni dei vari sensi. Ne accenniamo qui brevemente. La delicatezza della carezza dell'acqua che scorre sulle nostre membra sotto una doccia tiepida, la soavit� del profumo dei fiori in un prato in primavera, le dolcezze dei frutti di bosco, la soave melodia del suono di un violino sono veri e propri piaceri. La bellezza, il senso di pace ed il piacere che ne deriva davanti ad un tramonto in montagna non sono solo il frutto dei meravigliosi colori che lo caratterizzano, ma dell'insieme di percezioni (l'attutirsi dei rumori, il rinfrescare e l'inumidirsi dell'aria, il cambio dei profumi del prato) che insieme ci pervadono. Educare alla sensualit� va oltre alla semplice educazione sensoriale, che ne rappresenta per� la conditio sine qua non, significa rendere il bambino "completo", capace di utilizzare appieno le capacit� del suo corpo e godere della totalit� dei piaceri che esso gli pu� offrire. Luciano Paschetta (pedagogista, esperto in scienze tiflologiche, componente Osservatorio permanente sull'Inclusione Scolastica - MIUR) INSEGNANTI SPECIALIZZATI Le figure professionali specialistiche a supporto dell'inclusione, di Giancarlo Abba (pagg. 79-85) (Relazione al convegno: "La Buona Scuola" e l'inclusione degli alunni con disabilit� visiva, Palermo, 8 aprile 2017.) - Le figure di supporto all'integrazione scolastica degli alunni con disabilit� visiva hanno competenze e ruoli diversi ma complementari nel confermare il valore dell'inclusione. - In questo mio breve testo intervengo soprattutto sul piano del valore educativo e, di conseguenza, del trasferimento su quello pedagogico, dell'azione delle figure professionali che intervengono sull'alunno (bambino/ragazzo) disabile visivo. La riflessione intorno a questo tema nasce anche dalla volont� di guardare, insieme a tutti gli aspetti che coinvolgono il problema, quello pi� strettamente (tiflo)pedagogico che contempla i "processi di umanizzazione" come scrisse Fran�oise Dolto, aspetto pi� volte ripreso anche da Andrea Canevaro, perch�, non dimentichiamolo, questo � il segmento che rischia di essere tenuto meno in evidenza, quello relegato nell'aerea dei "tecnicismi", del troppo particolare, perch� se ne possa parlare al di fuori di mirati interventi tra esperti. � come se in campo sanitario (dimensione che tanti vorrebbero introdurre a pieno titolo nella scuola) noi dessimo risalto esclusivamente alla malattia (leggi disabilit�) e meno, molto meno, a come si cura (leggi quali strategie tiflo-pedagogiche e didattiche), e quali siano i risultati attesi, rischiando di relegare l'inclusione nella sfera dell'utopia e di conseguenza della sfiducia. Senza dimenticare, sempre per mutuare dall'ambiente sanitario, che alle diagnosi (per noi pedagogiche) si debbono accompagnare le prognosi (pedagogiche). Ulteriore elemento su cui riflettere � che, quando parliamo di disabilit� visiva, non siamo nella condizione di liberarci dalla peculiarit�. In quest'ultimo anno, abbiamo discusso con convinzione, nell'ambito del Network per l'Inclusione Scolastica (NIS), di tiflologia, associando per� al concetto le seguenti parole: pedagogia/metodologia, didattica, informatica, precedute appunto dal termine tiflo, considerando, pertanto, la tiflologia non disgiunta dai saperi fondamentali che la costituiscono: le scienze dell'educazione. E se � vero, come � vero, che stiamo andando nella direzione giusta, allora � anche vero, nello stesso tempo, che l'idea di particolarit�, peculiarit�, singolarit�, � indissolubile dal nostro modo di intendere la tiflologia. L'idea tiflologica ha precise radici pedagogiche, non ricade cio� solo sul piano delle tecniche e delle procedure (la povert� di certi "corsi di tiflologia" � l� a testimoniarla), riducendo il processo educativo dell'allievo disabile visivo alla semplice azione (quando va bene) pi� vicina a un'idea meccanicistica di apprendimento, pi� adiacente a rigidi tecnicismi di nessun valore tiflodidattico. Un orientamento culturale che in materia di inclusione scolastica insiste su una concezione che guarda solo il corpo, l'organismo dove risiede la disabilit� e non l'umano che quell'esistenza esprime e vive. Ricordo una lettura di Sartre sulle emozioni in cui egli fa l'esempio del ridere gioioso e del ridere isterico, collerico. L'area muscolare interessata � la stessa e impegnata con le stesse modalit�. Guardare solo "l'organico" ci porta a una visione limitata, lontana dai significati propri dell'educazione e dell'inclusione. Noi siamo per una visione educativo-pedagogica aperta alla valorizzazione delle differenze, delle diverse intelligenze e alle diverse modalit� dell'apprendere (di chi non vede, per esempio). Diciamo s� all'idea e alla volont� (tiflo)pedagogica che inserisce gli allievi disabili visivi nei processi formativi e di crescita dai quali non possono e non debbono scantonare; soprattutto non vogliamo che i nostri bambini e ragazzi ne siano esclusi, mortificando il loro percorso di inclusione ovvero di cittadinanza, per insufficiente informazione/formazione tiflopedagogica dei diversi interlocutori chiamati in campo. Dobbiamo prestare molta attenzione a questo aspetto. Prendiamo allora in considerazione due figure emblematiche, senza escludere, naturalmente, l'importanza di tutto ci� che ruota intorno all'allievo disabile visivo: il contesto considerato come risorsa che favorisce l'inclusione costituito dall'ambiente, dalle persone e dal clima che si instaura. Prendiamo dunque in considerazione: 1. L'insegnante per il sostegno 2. Il Tiflologo Diverse visioni investono l'insegnante per il sostegno "specializzato" (figura da sempre soggetta a critiche: presenza insufficiente, presenza sovrabbondante, da ridurre gradualmente nel percorso scolastico o almeno nella secondaria di II grado, ecc.). Forse sarebbe pi� corretto dire, per esplicitare la specializzazione, insegnante provvisto di competenze, depositario di conoscenze peculiari? Competenze che lo mettano nella condizione di porsi domande coerenti di fronte ai problemi posti dall'alunno disabile visivo e di saper individuare, unitamente agli altri docenti, sottolineo insieme agli altri docenti, strategie coerenti nell'azione didattica, con i bisogni, qui s� specifici, dell'allievo disabile visivo. Nel nostro caso, tale consapevolezza professionale � ancor pi� importante perch�, l� dove la domanda e la conseguente risposta sono sbagliate, verifichiamo subito l'amplificazione smisurata del grado di disabilit�, ben oltre l'effettiva condizione globale dell'alunno. Pensiamo ad un insegnante, quindi, che abbia un panorama di competenze/conoscenze tali da consentirgli sicurezza nell'azione didattica e di non essere smarrito di fronte alle problematiche poste dall'alunno disabile visivo. S�, di questo si tratta, di un vero e proprio smarrimento, quasi uno spaesamento potremmo dire, che rischia di lasciare il nostro alunno ai margini del contesto ambientale in cui si trova. Un punto fermo, fondamentale, a mio avviso, � necessario ribadire rispetto al ruolo di insegnante per il sostegno, troppo e troppe volte chiamato a interpretare (erroneamente) ruoli non propri. In un sistema scolastico che, quando parla (leggi legifera) tende sempre pi� a evidenziare l'asse di intervento nella dimensione sanitaria - il deficit, la patologia, il disturbo, il funzionamento - e a burocratizzare ogni azione, credo sia "sana" la riproposizione della figura dell'insegnante, fornito di tutte le competenze necessarie coerenti, per�, con il ruolo che gli � proprio. Un ruolo vissuto in maniera determinata e non colpito, solo per fare un esempio, dalla illusione "dell'insegnante psicologo" o peggio psicoterapeuta (diffusione inflattiva della psicologia), del tutto fuori luogo. Il maestro deve rimanere maestro, con competenze "alte" ma con l'abito del maestro. Il camice bianco lo indossano altri professionisti in contesti diversi dalla scuola. I due mondi, scolastico e sanitario si parlano, in momenti definiti ma non si identificano. Scopo primario della didattica, per noi tiflodidattica, non � quello di essere terapeutica ma di trovare soluzioni volte all'apprendimento, alla piena fruizione, da parte del disabile visivo, delle opportunit� di crescita messe in atto dalla scuola. Gli smarrimenti professionali, come detto prima, sono una realt�, alcuni imbarazzanti, altri ridicoli, ma sempre deleteri per l'alunno. Non entro qui nel merito degli aspetti burocratici e tecnicistici concernenti la specializzazione dell'insegnante per il sostegno connessi ai decreti in essere e in itinere. Affermo con ragionevole dubbio che le scelte (politiche) del MIUR per la formazione degli insegnanti per il sostegno comprendono e comprenderanno sempre un ampio spettro formativo concernente la disabilit�. La specificit� tiflologica che auspichiamo non sar� facile da ottenere, anche se l'impegno del NIS sar� caparbio. Mi limito a ribadire, come spunto di riflessione e arricchimento del dibattito, che l'apparato tiflologico, intendendo pedagogico, didattico e informatico nonch� tecnico e tecnologico che gli alunni disabili visivi portano (hanno necessit� di portare) con loro non trover� mai un docente cos� specializzato da soddisfare tutte le esigenze. La scuola avr� sempre bisogno di qualcun altro (intravediamo all'orizzonte il tiflologo...) che supporti, informi, aggiorni, guidi nelle scelte, indirizzi e aiuti la scuola intorno alle strategie a valenza tiflologica da utilizzare, orienti sulle differenti, ma non differenzianti, strade da intraprendere nei percorsi di apprendimento. Il docente per il sostegno non � insegnante provvisto solamente di competenze tecniche, un applicatore di protocolli stabiliti (che spesso nella scuola non sono sempre trasferiti con pieno rigore scientifico). L'insegnante per il sostegno, non opera in un laboratorio di ricerca dove, dati gli input, le risposte attese vanno a collocarsi in una scala predeterminata. Il laboratorio "scuola", oltre a prevedere prove didatticamente corrette non � mai avulso da contesti, biografie e anamnesi ambientali che richiedono, sempre e comunque, riflessioni e letture (tiflo)pedagogiche. L'azione dell'insegnante, di sostegno e non, cio�, deve comunque fare i conti con le modalit� della relazione, della comunicazione, con la necessit� di suscitare, di mantenere, di accrescere la motivazione dell'alunno tenendo conto delle sue caratteristiche personali a partire dal deficit sensoriale visivo. Un alunno che impara perch� la didattica messa in campo per tutti contempla anche attenzioni tiflo-didattiche. Un insegnante preparato, specializzato, conoscitore delle caratteristiche fondamentali della disabilit� visiva, consapevole delle criticit� che insistono sull'allievo e capace di scegliere percorsi coerenti volti a far superare le difficolt� poste dalla disabilit� visiva. Un insegnante attento all'ambiente, al "clima" inclusivo che si deve vivere all'interno del gruppo classe e della scuola nel suo insieme, a partire dai colleghi (definizione impropria) "curricolari" in modo tale che il progetto educativo sia condiviso da tutti i docenti. Abbattendo l'idea dell'insegnante di sostegno come unico referente dell'allievo disabile. Un docente capace, proprio perch� provvisto di conoscenze tiflologiche - tematiche, linguaggi e competenze tecnico-operative - apprese in un buon percorso formativo (definito di specializzazione), di rapportarsi con il tiflologo, tiflopedagogista, di essere un suo alleato. Ecco l'altra figura professionale su cui riflettiamo. Il tiflologo - figura da definire sul piano normativo e, conseguentemente da circoscrivere su quello formativo - un professionista (provvisto di specializzazione "specifica", peculiare, mirata...) con il quale la scuola pu� interloquire. Un alleato degli insegnanti, uno specialista che parla (conosce) il linguaggio della scuola. Il tiflologo � un esperto delle tematiche educative, pedagogiche e didattiche (tiflodidattiche) necessarie per consentire a un bambino/ragazzo disabile visivo, cieco o ipovedente, di stare a scuola, di starci bene e di apprendere, di evolvere consapevolmente verso la conoscenza. � accanto agli insegnanti (tutti), � s� nella scuola per l'allievo disabile ma per costruire un percorso insieme agli insegnanti in un contesto integrato. Se noi riflettiamo, ognuno con la propria sensibilit�, uno dei significati che ha l'educazione � che apre al mondo, fa stare nel mondo e apre mondi. La conoscenza, l'esperienza, l'incontro con il sapere, l'incontro con l'altro non diventano inaccessibili per il solo fatto che un allievo non vede, sia esso bambino, alunno o studente, come recita la pi� recente normativa. Il tiflologo porta saperi tiflopedagogici, corredati da imprescindibili e ben fondate radici nelle scienze dell'educazione; ragiona con gli insegnanti sul curricolo, sull'apprendimento e su come favorirlo, sulla programmazione, sui percorsi da stabilire per il disabile visivo nel contesto di tutti. Con lo scopo, grazie ai diversi apparati assistivi (tiflodidattici, tifloinformatici) e tiflotecnici (facilitatori dell'operativit�), di far stare quell'allievo a scuola alla pari degli altri nella fruizione delle opportunit� formative. Il tiflopedagogista � conoscitore delle fasi della crescita cognitiva, relazionale, psicomotoria; � un esperto del processo immaginativo-motorio, aptico-cinestesico, dell'educazione sensoriale, ossia delle capacit� sensoriali compensative, in mancanza della vista, che il bambino cieco o ipovedente deve sviluppare tra i primi itinerari di autonomia, via via sempre pi� articolati. L'alunno disabile visivo, non � esclusivamente portatore di problemi per la scuola. La storia, bella, della tiflopedagogia italiana ha costruito ieri e sviluppato oggi, attraverso le diverse istituzioni di cui facciamo parte, un apparato di sostegno, di appoggio, di servizi che richiedono, per non essere - come sono oggi - frammentari, episodici o presenti in maniera disomogenea, una futura organizzazione, immaginata in rete, su tutto il territorio nazionale. Qui interviene la considerazione fatta, in diversi contesti, che il tiflologo non �, e non pu� essere, un professionista solitario. Perch�? Perch� necessita di un apparato sussidiario che contempli tutte le diverse competenze necessarie, sempre ad alto livello, come ad esempio l'ambito tifloinformatico (che richiede, a sua volta, un tiflologo informatico per la conoscenza e l'uso di sofisticati software didattici), i materiali didattici per le diverse discipline scolastiche nei diversi ordini di scuola, i testi a redazione tiflodidattica (Braille e caratteri ingranditi) oltre alle strumentazioni assistive e operative. Tutto ci� pu� essere garantito solo da chi opera nel settore da anni ed � fornito di strutture e apparati consolidati: le istituzioni di cui si diceva. Un esperto, il tiflologo, che sa proporre metodologie e strategie tiflodidattiche che permettano di far acquisire mete, conquiste, risultati comuni con strumenti diversi. Un esperto, il tiflologo, che "svela" - almeno alla scuola - e "tranquillizza" l'insegnante sul fatto che il non funzionamento degli occhi non comporta il non funzionamento di tutto il resto, per usare un termine caro al linguaggio clinico-amministrativo. Imparare � un verbo, cos� come apprendere, che non sta mai da solo, si accompagna alla parola desiderio, desiderio di imparare. Facciamo capire alla scuola che anche i nostri ragazzi hanno il diritto di vivere, di provare il desiderio di imparare come qualunque altro ragazzo/ragazza. Ecco, il tiflologo come referente, non unico certo, sul territorio. Una presenza per� "quasi" unica sul piano della questione scolastica e formativa (affiancato dall'operatore tiflologico/assistente alla comunicazione che qui non trattiamo) costituendo, soprattutto per i primi anni di vita del bambino, un preciso riferimento anche nei confronti della famiglia. Una figura che ha la competenza per sostenere e indirizzare la famiglia nel processo di crescita del figlio insieme, quando sono necessarie, ad ulteriori figure di supporto. Il tiflologo, unitamente all'apparato che lo accompagna non lascia sola la famiglia di fronte alla domanda: "cosa faccio col mio bambino cieco"? Perch� gi� in quel "cosa faccio" il tiflologo pu� essere, anche qui, un vero alleato della famiglia, con i primi suggerimenti, consigli pratici, aiuti concreti. Un professionista attento, proprio grazie alla sua competenza, a non "idiotizzare" il sapere specialistico. Una figura che "prende in carico", grazie al Centro Risorse di appartenenza, (Centri di Consulenza, Istituti, Servizi UICI messi in atto, ecc.) e che si prende cura del bambino/ragazzo disabile visivo. Attento, insieme alla scuola e alla famiglia, a non parcellizzare, segmentare l'unit� individuale del bambino/ragazzo disabile visivo. Un professionista che si prende cura della costruzione dell'identit�, cosciente di non associare il danno sensoriale alle capacit� del bambino/ragazzo che lo esprime. Un esperto che tiene conto, come punto da cui partire, del bambino/ragazzo come individuo nella sua globalit�. Un educatore che pur nella imprescindibile consapevolezza oggettiva dei limiti imposti dalla disabilit� visiva, grazie ai valori dell'educazione sa "guardare oltre". Una "nuova" figura professionale che, supportata e sostenuta dal NIS: - Conferma il valore dell'inclusione - Conferma l'imprescindibilit� della specificit� tiflologica - Trasferisce questa specificit� esclusiva nella scuola di tutti. Giancarlo Abba (consulente scientifico, Istituto dei Ciechi di Milano) DIDATTICA La didattica della geografia in riferimento allo sviluppo dell'immaginazione, di Orfeo Ferri (pagg. 87-103) (Si tratta di una parte dell'intervento dell'autore al primo Corso residenziale di aggiornamento per gli insegnanti delle Scuole Elementari per i ciechi, Rocca di Papa (RM), 22-31 marzo 1963. Tratto da: Luce con luce. Rivista trimestrale dell'Istituto Statale "A. Romagnoli" di specializzazione per gli educatori dei minorati della vista, a. 7 (1963), n. 2, pp. 182-197.) - L'insegnamento della geografia risulta di fondamentale importanza nello sviluppo cognitivo ed immaginativo del bambino non vedente. - Nella scuola primaria dei ciechi lo studio della geografia � senza meno conseguente al graduale e tempestivo studio fatto soprattutto di esperienze personali della topografia, e neppure pu� in alcun modo prescinderne. La geografia quale vera e propria disciplina scolastica non pu� infatti costituire oggetto di conoscenza, di formazione, di cultura di base per la personalit� del fanciullo che non vede, se egli, prima di tutto, non abbia raggiunto un certo apprezzabile livello di maturit� motoria nell'orientamento ossia nel moto della propria persona nello spazio, nell'ambiente dove vive, nelle aule, nei luoghi di ricreazione. Tutto ci� � bene chiarire con esemplificazioni soprattutto pratiche per non cadere in grossolani errori di impostazione. (E. Romagnoli Coletta, L'insegnamento della geografia nelle classi elementari dei ciechi, "Luce con Luce" n. 1, anno III, pag. 8; E. Romagnoli Coletta, L'orientamento nella educazione dei ciechi, "Luce con Luce" n. 2, anno III, pag. 5.) Fin dall'ingresso del fanciullo cieco in Istituto si deve iniziare il piccino di 4/5 anni allo studio o meglio alla pratica della topografia; una topografia consistente naturalmente in semplici tentativi di autosufficienza motoria, in progressive ricerche guidate di punti di riferimento significativi per riconoscere un luogo dall'altro, una direzione errata da quella giusta. Il gioco come vita di movimento sia nell'aula soggiorno della scuola materna e soprattutto all'aperto � il mezzo pi� idoneo per interessare veramente il bambino che non vede allo sforzo personale onde raggiungere una deambulazione che ben presto diventi spontanea, un correre e rincorrere che diventino graditi sussidi di esplorazione e localizzazione dello spazio. Il bambino con ogni sforzo deve riuscire a superare il timore del moto ed � necessario che egli raggiunga con mezzi propri e per sua iniziativa spontanea, ci� almeno in un secondo tempo, la conoscenza topografica dell'ambiente dove vive per la maggior parte dei mesi dell'anno. E allora, l'esercizio o il gioco o il lavoro di riprodurre sul casellario, sulla tabellina dei cubaritmi o sul piano del banco con qualunque materiale adatto, una embrionale pianta topografica con l'indicazione dei punti principali (porte, finestre, mobili pi� importanti e noti), � operazione sommamente utile e da attuarsi molto spesso onde poter avere una riprova sicura e concreta che il bambino nella sua mente, nella propria immaginazione si configura l'ambiente in cui vive effettivamente in schemi non astratti e verbali, ma il pi� possibile vicini alla realt�. Una tale concretezza della visione interna, mentale, immaginativa dell'ambiente, del resto, si raggiunge ancora pi� efficacemente quando questi punti fondamentali di reperimento, di ubicazione, di orientamento di una stanza o di un luogo sono indicati dagli alunni: essi stessi costituiscono punti sonori e parlanti di una topografia animata e interessante. Ogni scolaro occupa il posto di una finestra, di una porta, di un mobile, della cattedra della maestra, mentre un compagno � intento all'ascolto dei determinati punti sonori nelle differenti direzioni e al riconoscimento di ciascun punto animato dalla voce di Lucia, o di Giovanni o di Carlo ecc. Soltanto prestando attenzione alla voce dell'uno o dell'altro compagno il bambino deve riconoscere la posizione declinandone ove occorra le caratteristiche che la distinguono. Questa ricostruzione topografica o piuttosto topica di stanze e luoghi noti nei punti e linee essenziali, fatta nelle condizioni pi� varie, in aula o all'aperto, in un angolo del cortile o in un interno poco noto dell'Istituto, giova moltissimo allo sviluppo dell'immaginazione del bambino che non vede giacch� essa nello sforzo di dimensionare, adattare, informare lo schema mentale agli ambienti pi� diversi, accresce ognora pi� le sue peculiari capacit�: capacit� di assimilazione, di sintesi, e quella pi� importante, di integrazione. Qualit� quest'ultima tanto necessaria e preziosa per la immaginazione non soltanto dei bimbi ciechi assoluti, ma anche, e direi in egual misura, dei semivedenti. Questo studio elementare ed indispensabile della topografia, in seguito, gradualmente e pi� sistematicamente con ausilio di cartine semplici ma fedeli e precise, si estende prima a tutti gli ambienti dell'istituto e poi ai dintorni dell'istituto stesso e quindi alla citt� che si abita. Onestamente dobbiamo riconoscere che non sempre, purtroppo, per varie ragioni di carattere organizzativo e cio� pi� precisamente per difficolt� di personale ovvero di assistenti provetti, si arriva a educare gli alunni a un siffatto livello di orientamento tanto importante e necessario per lo sviluppo integrale, normale dell'immaginazione del bambino cieco. Di pari passo, contemporaneamente a questo tipo di orientamento (orientamento pratico, fatto di moto e di animazione personale, di esemplificazioni grafiche elementari o piuttosto topiche), si fa acquisire, in maniera continua, interessante, collegata con ogni tipo di conoscenza, con ogni disciplina, quell'orientamento diciamo cos� spicciolo ma pur tanto essenziale, orientamento che non ci fa mai perdere "la bussola" ossia la coscienza della situazione presente in cui ci si trova e cio� la conoscenza di dove siamo. Di vitale importanza per chi non vede � possedere l'orientamento personale motorio mediante il quale si pu� dire sempre esattamente dove si �. Tale particolare orientamento che si acquista faticosamente con molto esercizio e cura e osservazioni personali presuppone la conoscenza e quindi l'aver sempre presente ovunque ci si trovi l'ubicazione dei punti cardinali (Nord, Sud, Est, Ovest) punti cardinali posseduti per dir cos� nella propria mente e nella propria immaginazione, nel proprio movimento spontaneo e riflesso come cognizione pratica e topologica nel senso che nel proprio ambiente dove si vive, nella propria citt� si sa dire e indicare la direzione, il punto dove nasce e dove cala il sole, dove batte il sole nelle ore pi� calde, luminose e centrali del giorno (sud, mezzogiorno), e dove c'� sempre ombra, umido, freddo, muschio nell'inverno e frescura in estate (nord, mezzanotte). I punti cardinali, in pi� momenti della stessa giornata, specie nella scuola materna e nel primo ciclo, messi in rilievo, ricordati, esperimentati, e riferiti all'insieme topografico di tutto lo stabile dove siamo e abitiamo e delle differenti parti che ne compongono i vari servizi pi� importanti e gli spazi liberi all'aperto, riservati alle ricreazioni, debbono essere a ogni fanciullo cieco praticamente molto famigliari e non possono in alcun modo costituire vuote nozioni astratte prive di concreto contenuto immaginativo. Ora, dunque, sempre, anche a costo di sembrare esagerati e pedanti, come molti anni fa nella mia fanciullezza mi pareva di poter giudicare della mia eccezionale maestra di seconda classe elementare, � oltremodo necessario sollecitare con arte e amore lo sviluppo immaginativo del fanciullo nel senso di un tale orientamento individuale e di gruppo riferito all'ambiente circostante, all'edificio e agli edifici vicini, alle strade viciniori ecc. L'arte personale e individuale di orientare il proprio corpo, i movimenti di deambulazione e di spostamento da un luogo all'altro, va approfondita sempre maggiormente da parte del bambino che non vede fino a raggiungere uno stato personale di sicurezza che si identifichi con una sempre pi� compiuta coscienza e consapevolezza immaginativa, con l'abitudine quasi spontanea a estendere l'idea di spazio rappresentato dal proprio corpo a tutto l'ambiente: oggetti, animali, alberi, edifici, tutte cose troppo grandi per essere toccate, da situare e quindi da immaginare concretamente e secondo certe determinate proporzioni e rispettivamente a un unico piano, il suolo, la terra sulla quale poggiamo i piedi e camminiamo e viviamo. Certo, affiancare questa progressiva presa di coscienza da parte del bambino della realt� che egli come corpo, come essere vivente, come persona ha relativamente al mondo degli oggetti, allo spazio intorno a s�, vicino e lontano, � compito particolarmente delicato che domanda e richiede al maestro dei ciechi delle qualit� non comuni. Occorre suscitare in chi non vede un interesse aperto verso questa concreta forma di studio dell'ambiente e della propria motricit�; se in tale particolare campo di attivit� si vogliano raggiungere risultati apprezzabili non si possono ammettere stanchezze e bisogna credere a quello che si vuole conquistare. Tuttavia, per�, non � da sottovalutare lo sforzo che il bimbo compie in questa presa di coscienza; e quindi, bene considerando, soltanto il giuoco, lo spirito di iniziativa, la ripristinata e rinnovata fiducia in s� che il maestro sapr� senza dubbio infondere, potranno alleviare il grande e certo dispendio di energie fisiche e psicologiche dei centri superiori, atte a convertire i dati sensoriali, uditivi, anemestesici, termici in utili indicazioni per una condotta o comportamento motorio intelligente e di livello superiore, personale, umano, sociale. Senza questo studio o meglio senza questo tempestivo orientamento preventivo fatto giorno per giorno nella vita pratica, nel gioco, nel tempo libero, nella ricreazione, nel moto spontaneo, nella corsa, nelle passeggiate in citt�, nella conoscenza piacevole e graduale delle cartine topografiche conosciute tra i banchi della scuola, senza dunque aver fatto acquisire in pratica un orientamento che induca il fanciullo cieco a muoversi e a orientarsi spontaneamente, � perfettamente assurdo voler iniziare l'insegnamento della geografia: il maestro non troverebbe l'immaginazione del cieco pronta a usare, a comprendere un linguaggio concreto geometrico costituito di elementi spaziali vivi col quale poter valutare immaginativamente i differenti piani, i grandi spazi visivi in cui sono compresi edifici, vie, la citt�, la regione, il paese o nazione, il continente, i continenti. L'immaginazione del fanciullo cieco deve aver acquisito un notevole livello di maturit� e di concretezza di rappresentazioni e di conoscenze esperimentate per poter comprendere realmente e a fondo i valori dello spazio geografico, dei rilievi orografici, delle unit� chilometriche dei fiumi, ecc.; valori significativi in numeri, in chilometri, ovvero in simboli tattili o di colore. Se negli anni della scuola materna e del primo ciclo della scuola elementare non si � riusciti a dare al fanciullo una idea aperta, reale, concreta, esperimentata dello spazio, una esperienza sensibile dell'orizzonte, il quale si estende molto pi� in l� di quello sonoro del suo udito - spazio e orizzonte di cui le distanze sono difficilmente apprezzabili e rappresentabili se non percorse, per analogia almeno, a piedi, passo dopo passo - allora, invano noi cercheremo di iniziare e indirizzare, di entusiasmare il fanciullo allo studio proficuo e cio� non astratto e puramente verbale della geografia. Il bambino cieco che non sappia misurare il suo passo, moderandolo a volont�, facendolo lungo o breve, lento o rapido, rigido o morbido, che non sappia e non possa servirsi di esso come piccolo, valido e analogico strumento di misurazione, che non sappia approssimativamente calcolare il tempo per percorrere un chilometro e poi ancora una certa qual distanza fatta naturalmente di pi� chilometri, non potr� interessarsi concretamente a uno studio intelligente, vivo, efficace, attivo della geografia, perch� per lui sar� sicuramente e certamente astratta la rappresentazione di qualunque distanza, non avendo egli di questa la bench� minima e apprezzabile esperienza sensibile, il bench� minimo ricordo muscolare e quindi, la pi� pallida immagine nella sua mente. Si � cos� stabilito dunque sia pure per accenni sommari come premessa fondamentale che il bambino cieco non possa accedere allo studio della geografia nello studio elementare senza prima aver raggiunto assai per tempo un tal grado di orientamento da permettergli un facile e consueto abito immaginativo di concretezza motoria onde aver sempre presente nella mente o meglio nella immaginazione con rappresentazioni cos� chiare da potersi schematizzare topologicamente e graficamente, quei tali fondamentali necessari punti di reperimento ai quali il fanciullo cieco si possa sempre, in ogni istante riportare, per dire dove egli �, dove si trova, dove muoversi per andare qui o l�. Chiarito e fissato questo punto base, ci si pu� e ci si deve ora domandare quali sono gli elementi particolari che la geografia nella scuola primaria considera vero e proprio oggetto di studio e si potrebbe dire meglio di interesse. Citt�, fiumi, monti, sistemi montuosi, mari, laghi, strade di comunicazione, ferrovie, conformazioni caratteristiche del terreno, pianure, bacini, canali, ecc. ecc. sono tutti elementi che ricorrono spessissimo nella disciplina in questione costituendone per dire cos� il tessuto connettivo, la materia viva. Ora, come faremo noi coi nostri fanciulli ciechi a usare rappresentazioni pratiche, interessanti, concrete di questi elementi geografici che effettivamente formano in s� la struttura essenziale e obiettiva dell'insegnamento che qui stiamo trattando? Qualunque termine o elemento geografico su citato venga preso in esame, esso comporta di s� una rappresentazione ovvero una immagine veramente complessa, anche se precisa, definita, chiara, dai caratteri spaziali decisamente visivi. La complessit� di queste immagini, ancora sebbene considerata, non pu� costituire un ostacolo pedagogico e psicologico insormontabile, pur riflettendo alla particolare natura chiaramente, o forse meglio, immediatamente visiva dell'esperienza in genere che di esse possiamo avere. Infatti per chi vede, con la visione dei monti, di mari, di paesaggi offerte sia pure da un panorama fotografico anche non a colori, � facile astrarsi e incantarsi soltanto semplicemente voltando le pagine di un atlante o di una qualunque pubblicazione illustrata. Ci� rappresenta un vero diletto per l'occhio che guarda e per la fantasia che spazia lontano in un comprensibile slancio di evasione dalla realt� di tutti i giorni. L'esperienza di chi non vede, del fanciullo in particolare verso questi oggetti di conoscenza che sembrano cos� lontani dalle sue mani, da tutti i suoi sensi residui, � certamente, si pu� dire, stroncata in sul nascere, � indubbiamente in s� minimizzata e si presenta con delle notevoli limitazioni di contenuto immaginativo, proprio perch� con questi diversi e caratteristici aspetti della realt� il cieco non raffinato non pu� avere contatti diretti, globali, suggestivi con la natura. Tuttavia, la reale possibilit� di poter suscitare interessi vivi verso queste cose tanto impalpabili e lontane dalla vita di ogni giorno e dal chiuso di un'aula scolastica, sta appunto nell'educare per tempo all'abito dell'osservazione spontanea, al gusto della contemplazione della natura e cos� in seguito nell'avvezzare l'immaginazione di chi non vede a concretare esperienze spaziali precise anche se naturalmente limitate, giungendo dopo molto esercizio al calcolo il pi� possibile approssimativo di distanze, di quelle distanze accessibili all'orecchio, rese grafiche e sempre pi� chiare colla topografia, e sentite dal punto di vista motorio e muscolare mediante l'osservazione e la riflessione personale in una perfetta unit� immaginata dell'elemento spazio con l'elemento tempo. In altre parole, sempre, in ogni caso, � necessario, anzi indispensabile poter dare al ragazzo l'immagine della struttura, dell'idea d'insieme, della forma di tutto quanto il plastico geografico o la cartina presenta significato in simboli determinati; l'immagine geografica, per esprimerci brevemente, � da fare acquisire mediante ogni tipo di sensazioni, da quella tattile a quella uditiva, anemestesica, di ci� che si nomina. Cos�, ad esempio, non si pu� parlare o ritornare a parlare dell'elemento geografico ponte, senza aver fatto percorrere e rappresentare in plastica e disegno e prima ancora, si noti bene, in costruzioni, un ponte; senza aver dato di esso un'immagine approssimativa dapprima e poi pi� schematica e completa possibile col meccano, con ogni sorta di materiale improvvisato e preparato, colle sensazioni acustiche magari prodotte dall'aver percorso, navigato il fiume sotto le arcate del ponte, adagio adagio, in barca almeno per una volta sola (sono sensazioni che non si dimenticano pi�); dall'aver gettato un sasso dall'alto dei parapetti gi� nell'acqua del fiume; dall'aver ascoltato, come tante volte abbiamo fatto da bambini presso il Tevere, il fluire, l'urtare e il frangersi della corrente del fiume sui piloni del ponte in giornate nuvolose di vento. Questo � soltanto uno dei tantissimi esempi che si potrebbe offrire ai maestri della scuola dei ciechi come suggerimento di lezione di geografia veramente interessante. Cos�, non si pu� parlare di strada, senza aver almeno l'idea e l'immagine porta dall'esperienza sensoriale fatta su pi� di una strada, strada percorsa a piedi tra il frastuono dei veicoli, che pu� interessare moltissimo l'immaginazione del bambino, strada o autostrada percorsa in automobile, colla quale pi� facilmente se ne pu� osservare e scoprire il tracciato, le curve, i dislivelli, il fondo stradale pi� o meno ben fatto. Cos� ancora, i monti e le valli, i bacini e i canali possono in certa guisa essere compresi pi� che concretamente immaginati nelle loro strutture e misure reali, toccando plastici come quelli usati dalle scuole di agraria e poi anche tentandone un rifacimento in creta o con materiale di occasione come sabbia, terra, mattoni, ecc. Non � male favorire la libera costruzione in piccolo di canali, di rapide, di cascate realizzate per gioco anche superando il giustificato complesso dei grembiuli puliti, degli abiti netti e perfettamente in ordine! Queste attivit� per il bambino che non vede rimangono in fondo pur sempre, bisogna riconoscerlo, degli espedienti poveri di concreto contenuto immaginativo, servono per lo pi� a baloccare la fantasia senza dare un cibo utile all'immaginazione. Molto meglio, quando si pu� accostarci, fare accostare il fanciullo alla natura, alle sue originarie e perenni sorgenti di bellezza, che parlano anche al cuore fanciullo, ai giovani intelletti, ai sensi umani divisi dal senso della vista. Le passeggiate sul greto del fiume, nelle incantevoli ville patrizie ricche di acque e fontane e scoscendimenti, delle quali ancora ne restano fortunatamente alcune, potrebbero essere particolarmente indicate per arricchire l'immaginazione del bimbo cieco. Come parlargli di mare e di monti, senza avergli dato l'occasione ripetuta, una reale possibilit� di godere di tutte quelle sensazioni talvolta incomunicabili che si provano dinnanzi alla distesa del mare, senza avergli fatto gustare la gioia di escursioni fatte in montagna? Rimane certamente ignoto il senso arcano di pace delle pinete delle nostre belle Alpi, se non si sono mai fatte passeggiate nei boschi alpini. Nella scuola in genere, nella scuola primaria dei ciechi, in particolare, quanto allo studio teorico, elementare della geografia, per tutto quello che concerne cartine, e un poco meno, i plastici, siamo sufficientemente attrezzati e aggiornati; manchiamo invece dei mezzi necessari per poter curare effettivamente e adeguatamente il lato direi pi� importante e formativo di questo insegnamento e cio� lo sviluppo armonico, umano, integrale, globale della immaginazione nel senso di un suo costante e concreto, vivo, totale, spontaneo arricchimento mediante sensazioni e quindi immagini apprese, colte direttamente dalla natura. Ci� implica � vero moltissime difficolt� tra le quali prime quelle di carattere specificamente economico. Tutti noi che siamo nella scuola operante, partecipanti personalmente all'azione educativa del bimbo cieco la quale necessariamente deve prolungarsi al di l� delle ore scolastiche, siamo ben consapevoli delle esigenze educative e sociali implicite nel problema dello sviluppo della immaginazione del fanciullo che non vede. Educare, alimentare, sviluppare l'immaginazione analogamente e parallelamente al senso di orientamento e cio� di una motilit� cosciente che renda dinamica e valida ogni idea, ogni atto conoscitivo, ogni esperienza, come gi� ho avuto modo di dire pi� avanti, significa fornire i mezzi primi ed essenziali per uno studio proficuo della geografia dove naturalmente verr� impiegato lo stesso linguaggio geometrico che usiamo per l'orientamento e la topografia. Cos�, individuata la posizione della propria casa nel paese d'origine, dell'Istituto nella citt� che l'ospita, si pu� passare allora alla regione da situarsi nell'idea d'insieme di nazione o patria. Il primo studio della geografia molto agevolmente si pu� effettuare sui plastici dai rilievi ben pronunciati, riprodotti piuttosto secondo le necessit� e le leggi del tatto e dello spazio hattig, che secondo precisi criteri scalari e cartografici. Senza dubbio i plastici realizzati con intendimenti didattici siffatti sono molto pi� indicati in principio e all'inizio delle esplorazioni tattili di quanto non lo siano le cartine. I plastici facilitano l'acquisizione dell'idea d'insieme proprio per il rilievo riprodotto ben nitido e alto, sensibile ai polpastrelli; la forma complessiva infatti nel suo insieme si staglia facilmente alla mano la quale anche in questo caso deve saper toccare non vagabondando qua e l� ma orientata secondo un piano intelligente tattile, e quindi secondo una forma unitaria resa pi� comprensibile e chiara nella mente e nella immaginazione del bambino mediante analogie riferite a forme geometriche. L'orientamento ovvero la lettura del plastico dunque deve necessariamente svilupparsi secondo un piano preventivo intelligente tattile e tenendo sempre conto dei punti cardinali acquisiti, come si � gi� cercato di chiarire ampiamente, in modo concreto e pratico. L'uso frequente, impreciso e scorretto dei termini "basso, alto, destra, sinistra, qua, l�, quaggi�, ecc." indica spesso senza meno il disorientamento dell'alunno che cos� mostra, d� prova della sua impreparazione a leggere, interpretare, intuire la forma che il plastico rappresenta. Sovente sul plastico si tocca e si lascia toccare da parte del maestro con una mano sola e male; le braccia non arrivano ad afferrare la lunghezza intiera dello stivale e il maestro non ha l'avvertenza di sollecitare l'alunno a spostarsi, a muoversi con tutta la persona per toccar bene, per toccar tutto. Il bambino dal canto suo per pigrizia rimane passivamente seduto e contratto nelle spalle e nel busto, ottenendo come risultato finale una conoscenza insoddisfacente e inadeguata. Cade qui a proposito una osservazione importante che � bene non rimandare oltre. Pi� di qualche volta ho visto in dotazione di una classe elementare plastici o piuttosto cartine in plastica dal rilievo appena accennato e insignificante e di forme ridottissime, centimetri quadrati 28�20 pressappoco. Come si possono agevolmente e chiaramente ubicare in un cos� angusto spazio, capoluoghi, regioni, fiumi, sistemi montuosi, ecc.? Tale errore pu� essere stato suggerito forse piuttosto dalla pigrizia e dalla inesperienza di accettare ci� che si trova comunemente in commercio esposto in negozio vicino all'atlante scolastico geografico del vedente. Ora invece bisogna ben riflettere che ridurre il plastico in proporzioni minime accessibili all'occhio cosicch� a mala pena ci si muovano le dita di una mano, significa sacrificare la chiarezza del plastico stesso e cio� delle sue linee, dei contorni geografici e la nitidezza dei rilievi. Il ragazzo che non vede che incomincia a orientarsi sul plastico dell'Italia ha bisogno di gesti ampi, di movimento delle mani e delle braccia che concretamente gli permettano di imprimere nella sua immaginazione i punti fondamentali di orientamento e in un secondo tempo l'unit� stessa della forma geografica. L'ormai antico esemplare del plastico dell'Italia costruito da Nicola Rossi, fu ideato appunto e proporzionato dal Romagnoli secondo questi fondamentali criteri didattici. Tuttavia da principio le differenti posizioni delle Alpi, dei mari, dell'Appennino, ecc. si scolpiranno nell'immaginazione del bambino quanto pi� precisi, schematici, isolati saranno stati i movimenti delle mani e delle braccia, movimenti di percezioni tattili dapprima staccate che la memoria muscolare o che piuttosto percezioni tattili pi� concatenate e diciamo cos� di maggiore frequenza riducono infine in un'unica immagine. Il tatto rispetto al senso della vista si pu� considerare grossolanamente miope: il tatto di chi non vede perci� per funzionare quale strumento di conoscenza efficace ha bisogno di ingrandire la forma trascurando naturalmente frastagliamenti e particolari inutili, per giungere soprattutto con immediatezza all'essenziale. In un primo stadio dell'insegnamento della geografia nella scuola primaria � necessario dunque assicurarsi che si tocchi bene, che si osservi con le due mani e con mobili dita e con gesto armonico delle braccia e di tutta quanta la persona del bambino, se occorre, tutto il contorno per avere l'idea d'insieme, l'immagine di una figura geografica completa e non frammentaria e illusoria nei confronti di un sapere, di una educazione e istruzione formativa. Una ricognizione tattile illusoria e frammentaria su un plastico geografico o cartina si pu� avere quando il nostro ragazzo, basandosi su una qualunque particolarit� accidentale, contingente (un monte magari scrostato, un pezzetto di fiume mancante, un capoluogo divelto) ci d� l'impressione di sapersi orientare e riconoscere tutto quanto gli si chiede, senza avere tuttavia l'esatta immagine del tutto, della forma geografica completa, di un'unica e chiara idea di insieme. E ci� pu� accadere facilmente. Del plastico e quindi di cartine diverse e di differenti tipi si dovrebbe fare uso costante. � necessario familiarizzare dapprima col plastico dell'Italia nelle dimensioni e misure utili a chi comincia a orientarsi in geografia, onde su esso si possa agevolmente ritrovare mari, la corona delle Alpi, la lunga spina montuosa dell'Appennino. Nella scuola primaria, come gi� ho detto sopra, se si esagerano i rilievi non si commettono errori dal punto di vista didattico. Infatti la mano del bambino che non vede ha bisogno specialmente di distinguere, di differenziare bene i rilievi e cio� il mare dalla costa, i fiumi dalla terra e tutti quei simboli tattili che si assumono quali segni necessari. Sul plastico le mani del bambino fin da principio devono abituarsi a movimenti fatti si pu� dire in economia e cio� a quei movimenti essenziali di esplorazione per stabilire e fissare nella propria immaginazione i punti cardinali rispetto al quadro geografico che si tocca per cogliere e fermare nella mente e nella memoria la forma geografica nella sua unit�, nel suo tutto. Baster� quindi subito soltanto l'individuazione con ampio gesto sobrio e armonico delle mani, comprensivo dello spazio determinato dell'Italia Nord, dell'Italia centro, dell'Italia sud e delle isole e dei mari pi� importanti (est, ovest). In seguito poi le mani del bimbo impareranno a sfiorare plastici e carte e a non pi� indugiare inutilmente su particolari rilevando con agilit� capoluoghi, i confini delle varie regioni, i fiumi e i loro affluenti. Tutto si capisce per gradi, senza fretta, non isolando mai la geografia dalle altre attivit� di classe, specie da quelle di carattere squisitamente sensoriale: saper tacere e quindi ascoltare la natura, saper valutare con l'orecchio distanze, ecc. ecc. Il maestro in ogni caso si deve curare di accrescere concretezza nella immaginazione del fanciullo, concretezza nel suo orientamento manuale sulla carta per la conoscenza geografica riguardante soprattutto la forma dell'Italia, delle regioni e in modo particolare la posizione vista e toccata sotto ogni latitudine e direzione di capoluoghi, province e citt� importanti. Quest'ultimo punto si potr� senz'altro approfondire con grande profitto di tutti gli alunni senza eccezione, mediante esercizi e giuochi interessanti che si possono effettuare in gruppo di pi� alunni, e se � necessario, di pi� classi. Col concorso dei bambini, dunque, si forma un'Italia parlante - � preferibile avere gli alunni in silenzio mentre si compone il giuoco - un'Italia viva dove ogni bambino occuper� il posto di un capoluogo di regione. A turno gli scolari meno bravi e pi� bisognosi di educare la loro immaginazione alla concretezza e di colmare le loro lacune geografiche di conoscenza del plastico, il loro senso di orientamento, o anche tutti quanti, se ve n'� il tempo, viaggeranno esercitandosi contemporaneamente anche alla percezione degli ostacoli, per recarsi da una citt� all'altra, da un mare all'altro. Esempio da Genova a Trieste, da Trieste a Palermo (magari via mare, o via terra, per Roma, oppure facendo scegliere al ragazzo il percorso o domandandogli la strada pi� breve o pi� lunga, la strada per ferrovia o seguendo le linee statali con una velocissima automobile immaginaria). Questo giuoco si pu� riprodurre ogni qual volta si voglia ravvivare, rendere pi� concrete delle nozioni che poi la mano o meglio le mani sono capaci di rilevare e pi� facilmente ritrovano sulla carta. Questo piacevole esercizio da farsi molto pi� spesso nelle scuole elementari nostre senza dubbio amplia l'operazione mentale e le possibilit� immaginative del fanciullo che non vede. L'impiego della memoria muscolare, l'orientamento su punti di riferimento notevolmente allargati, ingranditi in paragone a quelli verificati col tatto sul plastico, richiede un'attivit� utilissima di memoria immaginativa, integrativa e di sintesi spaziali, di composizione su grande scala, in termini piuttosto visivi e quindi immediati che l'orecchio con fatica riesce anche a rilevare. La mente cos� si esercita a operare nell'ambito strettamente psicologico, dinamico e motorio agendo su elementi spaziali che visti anche su scala evidentemente maggiore non alterano l'idea o piuttosto l'immagine d'insieme, nella sua unit�, quando il giuoco sia condotto con arte. Studiato a tavolino il plastico geografico, esso si ricompone naturalmente cos� molto pi� ingrandito, all'aperto in una operazione mentale, in una operazione della immagine e della fantasia che non pu� dare al pensiero del fanciullo cieco altro che concretezza. Dall'idea d'insieme dell'Italia si pu� passare con una certa gradualit� allo studio delle singole regioni e anche qui mai affidandosi al puro copiato tattile; i confini, le posizioni delle citt� principali debbono essere percepiti, assimilati nella immaginazione specialmente col giuoco geografico su accennato, con una partecipazione viva del ragazzo mediante il suo personale livello di orientamento, con tutta la sua possibile attivit� dei sensi che suppliscono la vista. Il disegno e ogni altra forma di partecipazione diretta del senso tattile per la rilevazione di figure geografiche (italietta a stacchi, Europa a stacchi) sono sussidi importanti per imprimere la figura geografica nella immaginazione nel suo insieme. Il disegno fatto a memoria, dopo aver esplorato sufficientemente e secondo un piano intelligente il plastico, sar� il risultato migliore perch� la configurazione dei contorni della nazione, della regione singola possa risultare chiara, schematica, essenziale e concreta, quale puro sforzo della immaginazione in grado di ricordare e concepire mentalmente la forma geografica nella sua intierezza e unit�, senza bisogno di ricorrere ogni momento al modello. Il disegno geografico fatto a memoria e avente per caratteristiche l'essenziale deve approssimarsi a uno schema geometrico di una forma sia pure non bene definita, non perfetta, ma tuttavia comprensibile nelle sue linee fondamentali (Italia=stivale, penisola iberica=quadrilatero, penisola scandinava=quasi cane, lepre che corre). Lo sforzo immaginativo di raggiungere tale approssimazione geometrica o di forma nella figura geografica ci pu� essere felicemente offerto dall'Europa fatta da alunni ciechi di una V classe elementare, ritagliando in carta con forbici o tagliacarte, l'idea d'insieme, in diverso modo, con maggiore o minore fedelt�, con pi� o meno chiarezza realizzata. Solamente la frequente dimestichezza con plastici geografici e cartine potr� rendere possibile il disegno geografico realizzato senza dover ricorrere in ogni istante alla matrice e nelle sue linee essenziali, pur quando si � di fronte a paesi dalle numerose e complicate insenature. La rientranza della costa, il golfo, la baia, lo stretto, l'istmo, vanno significati e riprodotti quando effettivamente hanno importanza geografica ovvero commerciale, strategica, economica, ecc. Il copiato nell'ambito del disegno geografico o del tentativo di riprodurre sia pure molto schematicamente un plastico di una regione o di una nazione non � mai consigliabile, giacch� in siffatta operazione si minimizza lo sforzo della immaginazione. La sistemazione ovvero l'identificazione di citt�, fiumi e affluenti, con l'indicazione di laghi, monti, confini, ferrovie, ecc. si far� gradualmente ricorrendo molto spesso alle configurazioni di carte e plastici semoventi e parlanti mediante il giuoco all'aperto su esposto e al continuo ausilio e schematizzazione della geometria la quale pu� offrire chiarezza e facilitazione di orientamento all'immaginazione del bimbo cieco con gli angoli e le figure geometriche fondamentali (quadrato, rettangolo, triangolo, ecc.) per comprendere sempre meglio e quindi ricordare i rapporti di distanza, di spazio e di posizioni tra citt� e citt�, citt� e fiumi. (Vercelli, Novara, Biella grosso modo formano un triangolo scaleno; Torino, Cuneo, Alessandria, Vercelli un quadrilatero tendente al rombo; Belluno, Treviso, Trento, Verona, un trapezio di cui il lato obliquo � Belluno, Treviso, ecc.). (Per facilitare l'orientamento sul plastico o sulle cartine rendendolo autonomo nel senso di non aver bisogno di un occhio gentile che tutte le volte riguardi le posizioni e i nomi di citt�, fiumi, ecc., si possono costruire agevolmente delle legende da applicarsi nel retro delle cartine munite di indici illustrativi.) In conclusione, l'insegnamento della geografia nella scuola primaria dei ciechi va posto in stretta relazione collo sviluppo della immaginazione del fanciullo se non vogliamo che esso rimanga una pura esercitazione mnemonica, verbale, astratta, di nomi e di cifre e di nozioni. Soltanto la ricchezza della immaginazione e una fantasia che non si allontani troppo dal concreto di quanto i bambini che non vedono possono osservare, gustare con i sensi residui (udito, tatto, ecc.) danno allo studio della geografia un fondamento di sapere e un vero carattere formativo. Inoltre se non educhiamo il fanciullo a saper tacere e quindi a poter ascoltare se stesso nello spazio e la natura nel silenzio e nella quiete, la natura in tutti i suoi fenomeni e nella sua grande variet�, mai sar� possibile raggiungere e ottenere un insegnamento proficuo che giovi allo sviluppo di una personalit� armonica e completa, umana normale. La parte obiettiva e scientifica della geografia il fanciullo risolve, affronta e supera con successo se per tempo egli avr� acquisito un livello di orientamento che lo faccia sempre essere presente a s� stesso e ai luoghi dove � e onde si muove. Questa parte fantastica, narrativa, diciamo pure estetica di contemplazione e gusto della natura in tutte le sue voci, invece, il fanciullo pu� studiare e vivere in s� solo a condizione che egli sia stato educato alla osservazione, al silenzio, alla quiete interna delle molte distrazioni che gli offre spontaneamente il frequente fantasticare a vuoto. Disciplinando, interiorizzando il bambino, lo si prepara senza dubbio a questa particolare conoscenza dei caratteri del bello e del fantastico geografico, caratteri tanto necessari per la fantasia ma ancora pi� necessari e importanti per l'immaginazione del cieco. Perci� non mai isolare la geografia impostandola come insegnamento a s� stante, come unica e sola attivit� praticata su plastici, cartine, cifre e nomi! Inseriamo questo studio che � tanto interessante e vario nel contesto vivo delle attivit� dell'alunno, negli interessi che la vita gli offre e saremo certi di secondare la sua crescita anche nel campo della cultura vera e dello spirito. Orfeo Ferri LEGISLAZIONE Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto sull'inclusione, di Gianluca Rapisarda (pagg. 104-111) - Viene analizzato in dettaglio il nuovo decreto sull'inclusione scolastica, evidenziandone peculiarit� e limiti. - Il Consiglio dei Ministri ha licenziato il testo finale della Delega sull'inclusione della Buona Scuola lo scorso 13 Aprile, ma la pubblicazione in Gazzetta ufficiale del tanto atteso D.Lgs. n. 66/17 � avvenuta solo il 16 Maggio scorso. Il Decreto entra definitivamente in vigore il 31 Maggio 2017. Innanzitutto, estremamente positivo ed apprezzabile � stato lo sforzo dell'Esecutivo nell'accogliere taluni suggerimenti provenienti dalle organizzazioni di persone con disabilit� e delle loro famiglie, quali l'inserimento dell'associazionismo di riferimento tra gli interlocutori dei processi di inclusione scolastica insieme alle famiglie, o anche quello dell'Osservatorio per l'Inclusione Scolastica tra i soggetti che esprimeranno un parere sulla valutazione della qualit� dei servizi delle istituzioni scolastiche; e bene anche il recepimento della Classificazione ICF. Infatti, con il D.Lgs. n. 66/17 pubblicato in GU qualche giorno fa, la famiglia partecipa a tutte le fasi: dalla formulazione del profilo di funzionamento dell'alunno (che sostituisce la valutazione diagnostica funzionale, come chiesto dalle associazioni), alla quantificazione delle risorse da assegnare. Su richiesta delle famiglie, poi, il Piano Educativo Individualizzato (PEI) entra a far parte del profilo di funzionamento. Se la prima bozza introduceva la valutazione diagnostico-funzionale (che andava a sostituire gli attuali profilo dinamico funzionale e diagnosi funzionale), adesso il testo finale pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale parla di un "profilo di funzionamento secondo i criteri del succitato modello bio-psico-sociale dell'ICF, ai fini della formulazione del progetto individuale (di cui all'articolo 14 della legge 8 Novembre 2000 n. 328), nonch� per la definizione del Piano Educativo Individualizzato (PEI)". In verit�, c'� un po' di confusione, poich� nel PEI non paiono esserci cenni al sostegno didattico (art. 7), mentre i sostegni - incluso quello didattico - sembrano dover essere contenuti nel profilo di funzionamento: quindi a determinare e quantificare le ore di sostegno sar� pare l'unit� di valutazione multidisciplinare, oggi s� arricchita di componenti rispetto alla bozza iniziale ma comunque non composta dalle persone che effettivamente conoscono il ragazzo e con un assetto prevalentemente medico. Una delle novit� pi� significative del testo finale pubblicato in Gazzetta, a parere dello scrivente, � il fatto che la valutazione dell'inclusione scolastica sia parte integrante della valutazione della scuola, tramite indicatori che l'Invalsi andr� a definire. Alla stesura di questi indicatori, grazie all'intervento delle principali Associazioni di e per disabili, parteciper�, come detto sopra, anche l'Osservatorio per l'inclusione scolastica istituito presso il MIUR (art. 15). Un discorso pi� approfondito richiede la "delicata" questione relativa alle nuove modalit� di formazione iniziale dei docenti per il sostegno della scuola dell'infanzia, di quella primaria e di quella secondaria di primo e secondo grado ed alle nuove procedure del loro reclutamento. Dopo la pubblicazione in GU dei Decreti attuativi della Buona Scuola, la materia � ora disciplinata dall'art. 12 del D.Lgs. n. 66/17 sulla promozione dell'inclusione scolastica (formazione iniziale dei docenti per il sostegno della scuola dell'infanzia e primaria) e dall'art. 10 del D.Lgs. n. 59/17 sulla formazione ed il reclutamento del personale docente (formazione iniziale degli insegnanti specializzati della secondaria di primo e secondo grado). La formazione iniziale universitaria specifica degli insegnanti per il sostegno della scuola dell'infanzia e primaria sar� caratterizzata da un aumento dei crediti formativi sulla Didattica inclusiva e sulla Pedagogia speciale dagli attuali 60 a 120 (art. 12 D.Lgs. n. 66 del 2017). In sostanza, i futuri docenti specializzati della scuola dell'infanzia e di quella primaria, durante il corso di laurea magistrale a ciclo unico in Scienze della formazione primaria, oltre ai 31 crediti formativi gi� previsti dal normale piano di studi, dovranno conseguire ulteriori 60 cfu sulle Didattiche dell'inclusione. Successivamente, potranno accedere ad un apposito Corso di specializzazione in Pedagogia speciale e Didattica dell'inclusione, con il rilascio di altri 60 cfu. Infine, il superamento di tale Corso, costituir� titolo abilitante per l'insegnamento sui posti di sostegno della scuola dell'infanzia e di quella primaria. Per la formazione iniziale degli insegnanti specializzati della secondaria di primo e di secondo grado, bisogna invece fare riferimento ad un altro Decreto attuativo della Buona Scuola, e precisamente all'art. 10 del D.Lgs. 59/17, quello relativo cio� alle nuove modalit� di reclutamento del personale docente. Oggi chi vuole diventare insegnante curricolare e per il sostegno della scuola secondaria deve abilitarsi, dopo la laurea, attraverso un tirocinio formativo (TFA). L'abilitazione d� accesso alle graduatorie di istituto per le sole supplenze. Per entrare in ruolo, infatti, bisogna attendere e superare un concorso. Dal 1999 il primo concorso bandito in tempi recenti � stato quello del 2012 seguito, poi, da quello del 2016. Con lunghi periodi di attesa e di vuoto, senza certezze per le e gli aspiranti docenti. Con la pubblicazione in Gazzetta ufficiale del nuovo decreto e la sua definitiva entrata in vigore, tutte le laureate e tutti i laureati potranno partecipare ai concorsi, a patto che abbiano conseguito 24 crediti universitari in settori formativi psico-antropo-pedagogici o nelle metodologie didattiche. I concorsi avranno cadenza biennale, il primo sar� nel 2018. Dunque, per diventare docente per il sostegno della scuola secondaria di primo e secondo grado, occorrer� superare un concorso ordinario. I requisiti per accedere al concorso sono i seguenti: - laurea magistrale o a ciclo unico, oppure diploma di II livello dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica, oppure titolo equipollente o equiparato, coerente con la classe di concorso; - certificazione del possesso di almeno 24 crediti formativi universitari o accademici, acquisiti in forma curricolare o extra curricolare, nelle discipline antropo-psico-pedagogiche e nelle metodologie e tecnologie didattiche, garantendo comunque il possesso di almeno sei crediti in almeno tre dei seguenti quattro ambiti disciplinari: pedagogia, pedagogia speciale e didattica dell'inclusione; psicologia; antropologia; metodologie e tecnologie didattiche; - attestazione delle competenze linguistiche, corrispondenti almeno al livello B2 del Quadro comune europeo, ai sensi dell'articolo 7, comma 1, del decreto ministeriale 22 ottobre 2004, n. 270, e delle competenze informatiche e telematiche. Il concorso prevede tre prove scritte ed un colloquio orale: - prima prova scritta: ha l'obiettivo di valutare il grado delle conoscenze del candidato sulla specifica disciplina, scelta dall'interessato tra quelle afferenti alla classe di concorso; il superamento della prima prova � condizione necessaria per accedere alla prova successiva; - seconda prova scritta: ha l'obiettivo di valutare il grado delle conoscenze del candidato sulle discipline antropo-psico-pedagogiche e sulle metodologie e tecnologie didattiche; il superamento della seconda prova � condizione necessaria per accedere alla prova successiva; - prova aggiuntiva: � scritta ed � sostenuta dopo la seconda prova scritta, al fine di valutare il grado delle conoscenze di base del candidato sulla pedagogia speciale, sulla didattica per l'inclusione scolastica e sulle relative metodologie; - prova orale: consiste in un colloquio che ha l'obiettivo di valutare il grado delle conoscenze del candidato in tutte le discipline facenti parte della classe di concorso, nonch� di accertare la conoscenza di una lingua straniera europea e il possesso di abilit� informatiche di base. Vinto il concorso, si potr� accedere al nuovo percorso triennale FIT (formazione, inserimento e tirocinio), che si concluder� con la stipula del contratto a tempo indeterminato. In pratica, il FIT manda definitivamente in soffitta il precedente TFA. Durante il primo anno, sar� necessario conseguire un diploma di specializzazione, dopo la frequenza di un corso in Didattica dell'inclusione e Pedagogia speciale, con il rilascio finale di 60 cfu. I futuri docenti specializzati della scuola superiore di I e di II grado potranno completare la loro formazione, nel corso del secondo anno del percorso FIT, attraverso tirocini diretti ed indiretti e supplenze presso istituzioni scolastiche del loro ambito territoriale di appartenenza, con l'acquisizione di ulteriori 40 crediti formativi e, nel terzo ed ultimo anno del FIT, tramite la graduale acquisizione di autonome funzioni di docente per il sostegno con supplenze su posti vacanti o disponibili in scuole dell'ambito scolastico di riferimento. Durante il periodo di formazione e di tirocinio, il contrattista percepir� uno stipendio di 600 Euro lorde, che aumenter� gradatamente fino all'arruolamento definitivo. Il superamento del percorso triennale di FIT e delle relative "prove intermedie" e della valutazione complessiva finale, determiner� la definitiva messa in ruolo del docente di sostegno della secondaria di primo e secondo grado. I docenti assunti a tempo indeterminato sui posti di sostegno possono chiedere il passaggio sui posti comuni dopo 5 anni (come gli attuali) di appartenenza nelle sezioni dei docenti per il sostegno didattico (art. 14 del D.Lgs. n. 66/17). Nel computo dei 10 anni si considera anche il servizio prestato sul posto di sostegno in epoca antecedente all'assunzione in ruolo a tempo indeterminato, purch� il predetto servizio sia stato svolto in costanza del possesso dello specifico titolo di specializzazione. Il decreto n. 59/17 prevede una fase transitoria che, in prosecuzione con il Piano di assunzioni della Buona Scuola, dovrebbe continuare ad offrire risposte al precariato storico. Saranno esaurite innanzitutto le graduatorie ad esaurimento e quelle dell'ultimo concorso del 2016. Ci saranno delle procedure concorsuali specifiche per chi sta gi� insegnando come supplente da tempo. Per le docenti e i docenti abilitati della seconda fascia delle graduatorie di istituto ci sar� un concorso nel 2018 con una prova orale seguita - quando si verificher� disponibilit� di posti - da un anno di servizio con una valutazione finale. I partecipanti entreranno in ruolo, dunque, dopo una ulteriore verifica in classe. Le iscritte e gli iscritti nelle terze fasce di istituto, quelli con 3 anni di servizio, potranno accedere a concorsi con uno scritto e un orale, se vincitori accederanno al percorso FIT facendo il primo e terzo anno. Come dire che per la piena entrata a regime del nuovo sistema ci vorranno diversi anni. D'altra parte, la possibilit� stabilita dall'art. 14 del D.Lgs. n. 66/17 attuativo della Buona Scuola di garantire la continuit� didattica dei docenti di sostegno, attraverso la possibilit� di confermare per pi� volte nel corso dell'anno scolastico successivo lo stesso docente con contratto determinato, non depone a favore dell'eliminazione di uno dei mali storici dell'inclusione scolastica italiana e cio� la "supplentite" e di certo non fa ben sperare in termini di qualit� del modello. A ci� si aggiunga che, a mio avviso, resta il "rebus" della mancata previsione della medesima formazione universitaria iniziale specifica per i docenti per il sostegno della scuola dell'infanzia e primaria e quelli della superiore di I e II grado. Su tale parte del decreto, ritengo che il MIUR debba necessariamente intervenire. In ogni caso, mi pare che si sia esagerato pi� sul "quanto" della formazione che sul "come", trascurandone la qualit� ed i contenuti specifici. Anche la formazione generalizzata di tutto il personale scolastico sulle singole disabilit� stabilita dall'art. 13 del decreto n. 66/17, mi pare un po' lacunosa, in quanto non prevede alcun obbligo di osservarla. A tal proposito, per ovviare a ci�, il recente "Piano Triennale di Formazione Obbligatorio" per i docenti curricolari e di sostegno in servizio potrebbe costituire un ottimo strumento e una preziosa opportunit� da cogliere da parte di tutte le Istituzioni scolastiche, facendo individuare dai loro Collegi docenti l'inclusione scolastica tra le loro "priorit�" tematiche. Un altro elemento deficitario dello schema iniziale del Decreto era che esso non stabiliva l'inderogabilit� del numero di 20 alunni per classe in presenza di disabili, prevedendo che ci� avvenisse soltanto in virt� della generica dicitura "di norma". Ebbene, il riferimento ai 20 alunni per classe non compare pi� nel testo del Decreto pubblicato in GU ed � ci� che ci d� la certezza che non sia stato modificato negli artt. 4 e 5 comma 2 il DPR n. 81/09. Circa la spinosa questione della continuit�, mentre la prima bozza di decreto prevedeva un vincolo decennale sul sostegno per gli insegnanti, ora nel testo pubblicato qualche giorno fa sulla GU, all'art. 14, il Governo ha deciso di mantenere l'attuale "vincolo quinquennale", nelle more di superarlo definitivamente, al momento dell'entrata a regime della nuova disciplina della formazione iniziale e del reclutamento degli insegnanti. Inoltre, come sopra accennato, i contratti a tempo determinato potranno poi essere reiterati "a docenti supplenti pi� volte nel corso dell'anno scolastico successivo", in caso di fruttuoso rapporto docente-alunno e con il consenso delle famiglie. Inoltre, all'articolo 14 dello Schema iniziale di Decreto 378 (continuit� didattica) si aggiunge oggi nel testo definitivo del Decreto n. 66/17 uscito in Gazzetta nei giorni scorsi che "al fine di garantire la continuit� didattica durante l'anno scolastico, si applica l'articolo 461 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 297 del 1994": almeno per tutto l'anno l'insegnante di sostegno dovrebbe rimanere lo stesso. A parere di chi scrive, sulla continuit� didattica, qualche ombra rimane, e cio� che il neonato Decreto non prevede nulla per contrastare il fatto che pi� del 40% degli attuali docenti per il sostegno sono supplenti e hanno incarichi precari "in deroga". Per ovviare, bisognerebbe rivedere i criteri degli organici dei docenti specializzati, che dovrebbero poter transitare dal presente organico di fatto a quello di diritto delle scuole e prevedere un serio e strutturale Piano di assunzione attraverso appositi concorsi. In merito alla continuit� "negata", ritengo che il MIUR si sia dimenticato inspiegabilmente della raccomandazione della medesima legge della Buona Scuola che indicava di "vincolare il docente di sostegno all'intero ciclo d'istruzione dell'alunno con disabilit�". Sull'altro tema "caldo" delle Deleghe, e cio� la valutazione degli alunni con disabilit� in sede di Esame di Stato, dopo la pubblicazione dei Decreti attuativi della Buona Scuola in Gazzetta, le mie considerazioni sono positive. Infatti, l'articolo 12 del D.Lgs. n. 62/17, sulla valutazione degli alunni con disabilit� e disturbi specifici dell'apprendimento, che aveva creato molte perplessit� nella sua bozza iniziale, viene ora stabilito: per gli alunni con disabilit� certificati il consiglio di classe o i docenti contitolari della classe, possono prevedere per lo svolgimento delle prove standardizzate misure compensative o dispensative, adattamenti della prova o l'esonero dalla prova. All'esame di Stato che conclude il primo ciclo di istruzione, il vecchio testo diceva che le prove differenziate - qui stava la preoccupazione - "se equipollenti a quelle ordinarie, hanno valore ai fini del superamento dell'esame e del conseguimento del diploma finale", mentre ora, secondo quanto pubblicato in Gazzetta ufficiale, "le prove differenziate hanno valore equivalente ai fini del superamento dell'esame e del conseguimento del diploma". Infine, il GIT � senz'altro l'elemento di maggiore novit� dell'intero decreto n. 66/17. Il GIT, formato da 4 Dirigenti (1 tecnico e tre scolastici o tutti e quattro dirigenti scolastici) e tre docenti distaccati, propone all'USR la quantificazione delle risorse da assegnare a ciascuna scuola dell'ambito di pertinenza sulla base dei profili di funzionamento degli alunni, del PEI, del Progetto individuale e del Piano dell'inclusione trasmessi dalle scuole. Dunque, il GIT far� richiesta delle ore di sostegno senza alcuna conoscenza diretta dell'alunno, senza confronto con i familiari e con gli insegnanti, ma sulla base di carte che molto verosimilmente entreranno ben presto nel novero dei nostri dozzinali adempimenti amministrativi, finendo per "burocratizzare" ulteriormente il processo di inclusione degli alunni/studenti con disabilit� del nostro Paese. Spero tanto che le diverse ambiguit� del Testo finale del Decreto vengano tutte chiarite dal MIUR con le Linee guida, da emanare entro i prossimi 180 giorni. In definitiva, per quanto finora esposto, questo testo definitivo della Delega sull'inclusione della Buona Scuola, pubblicato sulla GU in questi giorni, � da ritenersi "vecchio" dal punto di vista culturale e pedagogico. Esso, infatti, non fa esplicito riferimento all'articolo 24 (Educazione) della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilit� e considera ancora "staticamente" la didattica inclusiva come una prerogativa soltanto degli alunni/studenti con disabilit� e non come una preziosa risorsa al servizio dei bisogni educativi di tutti e di ciascuno. L'attenzione alle differenze individuali di ciascun alunno da parte di tutto il contesto e non solo del docente di sostegno per le necessit� degli allievi con disabilit�: ecco la vera discriminante pedagogica, lo spartiacque su cui non ha "colpevolmente" insistito il D.Lgs. n. 66/17 per transitare definitivamente dalla vecchia dimensione integrativa della scuola italiana alla nuova cultura dell'inclusione "per tutti" (for all). Gianluca Rapisarda (direttore scientifico I.Ri.Fo.R.) MUSICA Problemi d'intavolatura della notazione musicale Braille, di Costanzo Capirci (pagg. 112-119) (Tratto da: Luce con luce. Rivista trimestrale dell'Istituto Statale "A. Romagnoli" di specializzazione per gli educatori dei minorati della vista, a. 7 (1963), n. 4, pp. 118-125.) - Analizzare i differenti metodi di "intavolatura" significa interrogarsi sulle caratteristiche di apprendimento della musica Braille da parte del bambino non vedente. - Nell'articolo precedente di questa rubrica: La notazione musicale Braille, affermai che detta notazione � di uso pressoch� universale e che la trattazione di alcuni argomenti di didattica della musica potr� risultare al lettore pi� chiara, per via della preliminare conoscenza da parte sua dell'organizzazione specifica della notazione medesima. Il codice dei simboli alfabetici costituenti la notazione musicale Braille ha effettivamente valore universale, mentre profonde divergenze persistono in fatto d'intavolatura. Il termine di intavolatura � usato nella storia della musica nel periodo compreso fra i secoli XIV e XVIII e sta ad indicare sistemi d'impaginazione della notazione musicale evidenziata dall'ausilio di speciali simboli. In questo periodo si trovano numerosi tentativi d'intavolatura, cio� d'impaginazione pi� evidente possibile nella rappresentazionalit� grafica e quindi ottica della composizione musicale. La ricerca � stimolata dal rapido evolversi tecnico strutturale della polifonia vocale prima e strumentale poi ed � qui interessante notare come a queste ricerche grafiche ottico-rappresentazionali partecipa in modo determinante nel secolo XV il tedesco Conrad Paumann, organista e compositore cieco dalla nascita, con la sua opera: "Fundamentum organisandi". All'ultimo congresso internazionale di musicografia Braille (Parigi 1954) si � tentato con molto impegno di unificare il sistema d'intavolatura musicale, ma al termine di dieci giorni di intenso lavoro, constatato il mancato accordo fra le delegazioni presenti, si � deciso di codificare i diversi sistemi in uso. Sono personalmente convinto del fatto che all'unificazione non si � giunti per due motivi: il tradizionalismo ostinato e la non considerazione delle esigenze didattiche. Convinto oggi, ancor pi� di allora, che i problemi d'intavolatura della notazione musicale Braille vanno risolti per serie ragioni didattiche, non desidero con il presente scritto soltanto informare i lettori di questa rivista, ma ricercare i fondamenti pi� validi per un'appropriata intavolatura musicale, da porre anzitutto in ordine ai fattori psicologici ed a quelli fisici dello stato di cecit�. Da quanto detto sopra si deduce che nessuna intavolatura attualmente in uso corrisponde soddisfacentemente alle reali esigenze didattiche. Prima di esaminare queste ultime ritengo sia necessario passare in rassegna le singole intavolature codificate. Alle differenti intavolature musico-grafiche, attualmente in uso nei paesi europei ed americani, si attribuiscono in sede competente le denominazioni seguenti: a) "pentagramma per pentagramma"; b) "misura per misura"; c) "linea su linea"; d) "misura su misura". Ciascuna denominazione � ricavata dal criterio informatore del sistema d'intavolatura a cui si riferisce. L'intavolatura "pentagramma per pentagramma" � in uso in Italia da circa un quarantennio ed in Francia da un decennio. Il criterio informatore di questa intavolatura � determinato dalla opportunit� del riferimento al testo musicale dei vedenti in sede di trascrizione Braille. Il contenuto di un solo pentagramma del testo musicale dei vedenti determina la strutturazione quantitativa grafico-musicale da evidenziare sulla pagina Braille; da ci� si ha la denominazione della intavolatura "pentagramma per pentagramma". La configurazione grafica di questa intavolatura non appare simmetrica nella distribuzione dello spazio riservato alla trascrizione di ciascun pentagramma. Infatti il contenuto musicale di un pentagramma del testo dei vedenti, trascritto in notazione alfabetica, pu� estendersi a volte in una sola riga Braille (ad esempio nei momenti di stasi ritmica), come pu� richiedere l'impiego di numerose righe (ad esempio nel genere contrappuntistico od in quello caratterizzato da opulenza armonistica). Si danno questi particolari per meglio fissare i limiti all'eventuale intendimento di correlazione fra l'impaginazione del testo musicale dei vedenti e quella dell'intavolatura Braille "pentagramma per pentagramma". Il sistema denominato "misura per misura" � il pi� antico fra quelli ancora usati ed � attualmente adottato in Inghilterra. L'elemento grafico quantitativo considerato in questa intavolatura � quello di una misura del testo musicale. Anche fra questo sistema e l'impaginazione musicale di partitura dei vedenti si pu� ritrovare una correlazione intenzionale pi� che reale, per concetto e non per forma. Con l'avvento della partitura e quindi della coincidenza verticale, i vedenti possono dare e cogliere l'idea ottico-grafica della partecipazione di due o pi� parti diverse ad una medesima misura. Nell'intavolatura "misura per misura" detta coincidenza verticale si rappresenta mediante la consecutivit� lineare. Le singole parti cio� si trascrivono di seguito nella riga Braille e tra parte e parte della medesima misura si interpone uno speciale segno di congiunzione. La successione lineare avviene ad esempio per la musica pianistica cos�: una misura della mano destra, segno di congiunzione e medesima misura della mano sinistra; un casellino di spazio, quindi segue la nuova misura della mano destra e cos� via di seguito. La trascrizione si effettua linearmente, con impiego continuato e totale delle righe della pagina Braille, senza soluzione di continuit�. L'intavolatura denominata "linea su linea" � diffusa nell'America settentrionale. In questo sistema ciascuna riga Braille � destinata alla trascrizione di ciascun pentagramma della partitura dei vedenti. (Per partitura s'intende qui il verticalismo anche di due soli pentagrammi, come ad esempio avviene per la scrittura pianistica). Si deve per� considerare che in una sola riga Braille � pressoch� impossibile far rientrare il contenuto grafico di un pentagramma dei vedenti. Basti pensare che in una sola riga Braille di sovente non si riesce a trascrivere per intero una sola misura di un pentagramma. In questo caso infatti si rimanda il completamento di quella misura ad una riga Braille successiva che si ritrova per� nell'ordine di collocazione proprio della partitura che si sta trascrivendo; seguono la medesima sorte anche quelle parti pi� statiche che avrebbero richiesto uno spazio minore. L'intavolatura denominata "misura su misura" � ugualmente diffusa nell'America settentrionale e deriva strettamente dall'intavolatura "linea su linea". L'intavolatura "misura su misura" tende a riprodurre la coincidenza di suoni mediante la coincidenza verticale della grafia, per un numero di righe Braille pari al numero delle parti musicali. Si ha dunque una autentica riproduzione dell'impaginazione del testo musicale dei vedenti, effettuata in notazione Braille. Si deve purtroppo anche qui far notare la limitazione della riga Braille in confronto al pentagramma dei vedenti. Nel ricercare un'intavolatura musicografica Braille adeguata alle esigenze didattiche, bisogna anzitutto domandarsi quale uso fanno di un libro di musica i bambini vedenti e quale ne possono fare i bambini ciechi. Per ci� che riguarda i bambini vedenti ben si conosce come la lettura di un testo, in notazione normale s'intende, consente loro l'esecuzione vocale o strumentale, o l'una e l'altra contemporanea, pressoch� estemporanea; la estemporaneit� e la precisione di esecuzione di ci� che si legge dipendono dal grado di abilit� sempre perfettibile nel bambino vedente. La lettura a prima vista � prova d'esame per i vedenti nei Conservatori Musicali, inclusa nei programmi di ogni grado e disciplina. Si inizia con la lettura a prima vista nella disciplina di Teoria e Solfeggio, con la lettura ritmata ed anche cantata di musica monodica, stesa perci� sul pentagramma singolo. In altre discipline e gradi di studio, frequentati da allievi spesso ancora adolescenti, si deve leggere a prima vista un facile brano di letteratura pianistica, si deve trasportare all'impronta in esecuzione un brano fino ad un tono sopra o sotto a quello scritto, si deve leggere la partitura polifonica scritta in chiavi antiche a quattro voci e quindi stesa su quattro pentagrammi. Nei gradi superiori, infine, la lettura a prima vista viene esercitata sino agli estremi limiti d'utilizzazione del campo visivo e della manualit� alla tastiera del pianoforte. Tanto risultato sta a comprovare l'idoneit� per i vedenti della loro intavolatura per la musica vocale, strumentale e di partitura. Tale idoneit� � dovuta sia alla rappresentazionalit� grafica della composizione musicale che all'adeguamento di essa rappresentazionalit� all'uso dell'organo visivo. Tutti questi preziosi vantaggi sono vietati purtroppo a colui che si trova nello stato di cecit� e che segue lo studio musicale od esercita una professione di musicista. Mi rendo conto che questa constatazione non pu� risultare gradita ad alcuno che si trovi nelle medesime condizioni fisiche di chi questo ora scrive, ma la realt� � quella che �: un non vedente non pu� leggere a prima vista che una linea melodica di musica strumentale o vocale, ma senza testo poetico da cantare e questo, rispetto alla produzione musicale, � davvero un niente!... � bene per� precisare subito, se ancora ce ne fosse bisogno, che l'Arte dei Suoni � prima di tutto Arte dello Spirito e che quindi anche in questo campo tutto � relativo in fatto di paragone: vedente-non vedente. I preconcetti, sia di ostinato pessimismo che di facile ottimismo, non hanno senso. Con tutta tranquillit� posso affermare che non mi cambierei con molti ex condiscepoli di Conservatorio e colleghi di professione vedenti, mentre riconosco in altri doti superiori alle mie e credo che molti musicisti non vedenti possano dire di loro onestamente la medesima cosa. Alla lettura a prima vista del vedente il non vedente contrappone, quale autentica dote compensativa, la memorizzazione totale del suo scibile musicale. Gli assidui di questa rivista certamente avranno compreso che per "memorizzazione" qui si intende "il possesso mnemonico intellettivo della materia sonora di una composizione musicale". Nell'articolo precedente e gi� citato della presente rubrica, � stato dimostrato che il non vedente giunge al possesso mnemonico di una composizione tramite la memorizzazione di un elemento alla volta, dal primo all'ultimo del pezzo. La memorizzazione non rimane soltanto in sede mentale, ma viene fissata sin dall'inizio, elemento per elemento, anche in sede neuro-muscolare, che per lo studio strumentale a tastiera � quella manuale. � evidente che il lavoro di memorizzazione risulta tanto pi� efficace e perci� vantaggioso quanto pi� � logico e perci� ordinato. Per rimanere in sede didattica di ordine primario, ed � ci� che si desidera, non si pu� qui parlare di "logica" nel senso pi� squisitamente estetico, ma � necessario limitare il significato del termine all'aspetto formale e strutturale della musica. L'Arte dei Suoni, infatti, ha una sua logica costruttiva, si basa su architetture formali alimentate da strutture e stilemi che variano da composizione a composizione, da autore ad autore e da epoca ad epoca. Una nota, una combinazione accordale non sono altro che dei vocaboli del linguaggio sonoro. L'idea musicale, perci�, � anzitutto una risultanza oggettiva della logica coesione di quei singoli vocaboli. La "misura" (denominata nel linguaggio teorico-musicale anche "battuta") sta a significare la periodicit� ritmica della dinamica quantitativa ed accentuativa della composizione musicale. Questo aspetto, unicamente temporale, � messo in evidenza nella grafia musicale dei vedenti dalla stanghetta di divisione di misura; si tratta di una divisione mensurale di tempo che regola, fra l'altro, la compartecipazione di pi� linee sonore differenti al discorso musicale. La misura, sia come fatto di grafia che di logica, va intesa come una semplice intelaiatura ritmica, sulla quale il compositore fa scorrere la sua idea musicale, fatta di elementi costruttivi che hanno una loro quantit� temporale individuale e non strettamente periodica, come lo � quella della misura; non vi pu� essere quindi una coincidenza permanente fra la quantit� periodica della misura e la quantit� temporale variabile di ciascun elemento della costruzione logica musicale. Ugualmente non si pu� ritrovare, di regola, una giusta coincidenza fra il contenuto grafico musicale di un pentagramma ed un elemento della costruzione formale di una composizione. In conseguenza di quanto ora rilevato, si deve concludere che tutte le intavolature musicali Braille attualmente in uso, evidenziando una il contenuto grafico di un pentagramma e le altre in modo diverso la misura, non contribuiscono in alcun modo alla rappresentazione formale e quindi logica della composizione musicale. Il bambino non vedente, perci�, nell'intraprendere il lavoro di memorizzazione di un brano musicale, ha due diverse possibilit�: la prima consiste nell'affidarsi passivamente all'intavolatura musicale del libro adottato e nell'assimilazione successiva di quantit� puramente occasionali; la seconda consiste in una memorizzazione intellettiva, cio� nell'assimilazione successiva ed ordinata degli elementi logici formali. La prima condotta nel lavoro di memorizzazione, quella dipendente da una delle intavolature oggi in uso, pu� essere seguita da qualunque allievo, poich� non richiede una conoscenza dell'Arte dei Suoni, in grado superiore sia all'et� che al programma di studio, da parte dell'allievo medesimo, bambino o adolescente. Una simile condotta di memorizzazione si basa sul lavorio iniziale della sola ritentiva e non della memoria intelligente, che in questo caso potr� subentrare, negli allievi pi� dotati, soltanto in un secondo tempo, per coordinare logicamente quei frammenti sconnessi formalmente tra di loro e gi� assimilati dalla ritentiva. La memorizzazione intelligente, quella basata sull'assimilazione ordinata di elementi formali logici, pu� essere effettuata dall'allievo soltanto quando il medesimo giunge ad uno stato avanzato degli studi musicali, quando cio� egli � in grado di effettuare l'analisi formale di una composizione. Nei Conservatori Musicali lo studio dell'analisi � di regola compreso nella materia di Armonia complementare (biennio di studio complementare al corso medio delle varie discipline strumentali e cio� sesto e settimo anno). Negli anni di studio precedenti, perci�, l'allievo non vedente pu� seguire quella condotta sopra definita della memorizzazione intelligente in due modi: 1) mediante la dimostrazione analitica formale di ciascuna composizione fatta dall'insegnante all'allievo; 2) mediante un nuovo sistema d'intavolatura musicale Braille che metta automaticamente l'allievo in condizione di compiere la memorizzazione intelligente. Il primo dei due modi, quello della spiegazione analitica effettuata dall'insegnante, presenta l'inconveniente dell'impiego notevole di tempo che detta spiegazione richiede, tempo che verrebbe sottratto all'orario di lezione, con la conseguenza di inevitabili scompensi didattici; va considerato inoltre che la spiegazione dell'analisi formale di una composizione, in quanto svolta oralmente dall'insegnante, costringerebbe l'allievo ad uno sforzo mnemonico per ritenere uno schema analitico di una sintesi non ancora posseduta e quindi per lui astratta. Il secondo modo, infine, dovrebbe contenere in s� tutti i vantaggi didattici che un'intavolatura musicale Braille pu� offrire agli allievi non vedenti. La quantit� grafico-musicale da evidenziare sulla pagina Braille, mediante ritorni a capo riga ed inizi in dentro al terzo casello, non dovrebbe essere altro che un elemento formale della composizione musicale. Detto elemento dovrebbe essere un organismo quantitativo logico, da proporzionare alla presunta capacit� di ricezione mnemonica, capacit� che, a sua volta, dovrebbe essere determinata dal grado di studio musicale. - Fra gli organismi formali si hanno: l'inciso (una misura circa), la semifrase (due misure circa), la frase (quattro misure circa) ed il periodo (otto misure circa). Si danno queste quantit� a solo titolo indicativo molto generico, poich� la fraseologia musicale � assai pi� complicata per la variet�, elasticit� e quindi ampia possibilit� di modellamento di una idea in suoni. - � evidente che il sezionamento grafico degli elementi (organismi) di una composizione ai fini della memorizzazione, si deve basare su quelli minimi per i principianti: inciso, poi semifrase e successivamente sugli altri pi� complessi per gli allievi che frequentano corsi avanzati. Altro fattore da non trascurare quando si vuol considerare un'intavolatura musicale Braille, � quello dell'orientamento tattile-manuale. Ai fini della memorizzazione logica tutte le intavolature oggi in uso obbligano il musicista, anche se esperto, a spostamenti spesso notevoli della mano sulla pagina Braille per ritrovare il completamento di un elemento formale. La lettura perci� si svolge forzatamente in modo frammentario, non continuato, per quel correre della mano sulla pagina, a volte anche dieci righe pi� in basso se non addirittura alla pagina seguente, tutta protesa verso la frenetica ricerca del logico completamento di un elemento formale iniziato in precedenza. Un'intavolatura musicale Braille inoltre, come elemento di idoneit�, dovrebbe sempre conservare l'uso del riferimento ai pentagrammi della pagina del testo musicale dei vedenti che si trascrive, anche se questi riferimenti vengono dati in modo necessariamente diverso da quello ora in uso per l'intavolatura "pentagramma per pentagramma". La grande importanza dell'uso dei suddetti riferimenti � determinata da motivi di corrispondenza intercorrente fra musicista vedente e musicista non vedente ad ogni livello: discepolo, collega, docente. Si dovrebbe ancora entrare in merito a questioni particolari, di dettaglio, previste per la precisazione di situazioni fraseologiche musicali, ma forse non � questa la sede pi� adatta, anche perch� sarebbe necessario dimostrare con numerose ed ampie esemplificazioni le regole fissate per dette situazioni. � sperabile che sia stata data, almeno a sufficienza, l'idea informatrice di una intavolatura musicale Braille pi� adeguata delle precedenti alle esigenze didattiche, proprie dello stato di cecit� e che una simile intavolatura si possa finalmente adottare, superando anzitutto il non lieve ostacolo del tradizionalismo retrivo pi� che immobilista. Costanzo Capirci CLASSICI DELLA TIFLOLOGIA Nuovi orientamenti della scuola media unica per ciechi, di Enrico Ceppi (pagg. 120-128) (Tratto da: Luce con luce. Rivista trimestrale dell'Istituto Statale "A. Romagnoli" di specializzazione per gli educatori dei minorati della vista, a. 7 (1963), n. 4, pp. 31-38.) - L'analisi dei programmi della nuova Scuola media � occasione per riflettere sulle caratteristiche e le metodiche della integrazione scolastica degli alunni non vedenti. - Nonostante l'argomento sia stato autorevolmente trattato gi� su queste stesse pagine, in un'ampia ed esauriente panoramica di problemi e di indicazioni programmatiche, ritengo non del tutto superfluo riprendere in esame, in una visione pi� analitica, alcuni aspetti della nuova istituzione che possono effettivamente costituire nuovi orientamenti per la Scuola media organizzata nell'ambito degli istituti per ciechi. Se volessimo ad ogni costo ricercare una continuit� storica e pedagogica nello sviluppo della nostra Scuola differenziata, se volessimo rigorosamente confrontare le realizzazioni con i presupposti teorici dai quali si sono prese le mosse, dovremmo forse definire la scuola media di nuovo tipo, un regresso nei confronti dei principi di partenza che reggono la pedagogia speciale dei non vedenti. Ai cultori di quest'aspetto della pedagogia � infatti noto che la normalizzazione del fanciullo cieco pu� ritenersi conclusa al termine del primo ciclo della scuola elementare o quanto meno, a conclusione del primo triennio di tale scuola, triennio a suo tempo assunto dal Romagnoli con valore di ciclo e per la caratteristica dei programmi in esso svolti e pi� ancora per la collaborazione istituita tra le classi. Al termine del triennio il Romagnoli riteneva possibile un inserimento del fanciullo non vedente nelle scuole elementari comuni, per frequentarvi le ultime due classi della scuola primaria. Si constat� in pratica, e lo stesso Romagnoli dopo alcuni tentativi abbandon� la realizzazione del suo principio, che l'inserimento nella scuola comune accanto ai fanciulli vedenti, perseguito a quel livello, fosse per lo meno prematuro, per numerosi problemi che si trascinava appresso e soprattutto per difficolt� d'ordine psicologico che non sempre potevano essere superate. Problemi e difficolt� sussistevano anche nella struttura scolastica di oltre un trentennio fa nei confronti dell'inserimento dei fanciulli ciechi e allora eravamo in pieno clima della riforma Gentile e dei programmi ad essa conseguenti, clima che sotto certi punti di vista poteva anche favorire la presenza dei fanciulli non vedenti nelle comunit� scolastiche, essendovi bandito l'attivismo sotto ogni sua espressione, e favorendosi la tendenza ad una cultura nozionistica facilmente accessibile dal non vedente. Dove si manifestano le maggiori difficolt� di inserimento e dove maggiormente si avverte la necessit� di una scuola non diremo speciale, per l'insidia che porta in s� il termine, ma quanto meno particolare, � proprio nei confronti di un impegno d'educazione attiva, presupponendosi a tale forma educativa una individualizzazione rigorosa dell'insegnamento ed una differenziazione dei sussidi didattici e delle tecniche metodologiche. Ritengo che sia sufficientemente chiaro come sia difficile conciliare la dinamica del giuoco dei bambini vedenti con quella intrinseca al giuoco dei fanciulli ciechi, cos� dicasi di tutte le innumerevoli applicazioni che derivano direttamente da una vita di contatto con la natura e con l'ambiente, da un insegnamento prevalentemente fondato sull'osservazione e sull'elaborazione personale, soggettiva, dei dati dell'osservazione. Si ritenne opportuno abbandonare quindi l'idea di inserire i fanciulli ciechi nella scuola primaria comune, tanto pi� che col passare degli anni e col progredire delle tecniche d'indagine psicologica, si pot� accertare come il livello medio del rendimento scolastico di questi fanciulli non si conciliasse con la media di rendimento dei fanciulli vedenti frequentanti le classi parallele. La normalizzazione sollecitava tempi diversi nello sviluppo, sospingeva gli educandi verso acquisizioni pi� profonde, se non proprio pi� ampie. D'altro canto fu possibile rilevare che se per alcuni soggetti il primo triennio poteva ritenersi ampiamente sufficiente a coprire il periodo della normalizzazione, per altri, che forse costituivano la grande maggioranza, la normalizzazione si compiva solo nell'arco della scuola primaria e per alcuni occorreva attendere oltre prima di ritener conclusa la fase che chiamiamo di normalizzazione. Accettato il principio della scuola primaria come scuola di differenziazione didattica, sembrava essersi consolidato nella tradizione e suffragato da indubbi successi, il principio che la frequenza della scuola media dovesse essere realizzata presso le scuole pubbliche, inserendo finalmente i giovinetti ciechi nella comunit� dei vedenti. Per tanti anni, numerosi giovani ciechi iniziarono e compirono i loro studi partendo dalla prima ginnasio inferiore o dal primo anno dell'istituto magistrale inferiore, sedendo accanto a compagni vedenti, impegnati nello stesso programma, allora senza facilitazioni o mortificanti esoneri. Quante amicizie, consolidate in quegli anni si sono poi protratte nella vita, e quanta apertura di mente e di spirito! Nella classe dei vedenti, l'adolescente cieco sentiva di essere costantemente impegnato a vincere la propria battaglia, sentiva che gli altri avrebbero potuto accettare alla pari la sua presenza, soltanto a patto che egli fosse migliore, che tendesse con tutte le sue forze nel segreto della sua vita interiore, a superare se stesso, imponendosi sul piano dell'emulazione e dell'affermazione. Ma quanti riuscivano? Quanti invece rimanevano per via delusi e vinti? Mi si dir� che questa � la ferrea legge della vita, che non tutti possono giungere alla meta, una volta che si siano posti su una strada, ma a queste facili conclusioni a posteriori, a questa passiva accettazione della situazione, si potrebbe opporre altrettanto facilmente, come non sia accettabile per i non vedenti il principio del tentativo e del rischio; il fallimento di una strada potrebbe significar l'impossibilit� a riprendere il cammino in un'altra direzione, impossibilit�, intendiamoci, non sul piano teorico e su quello attitudinale, ma su quello psicologico: certe sconfitte accumulantisi alle prove della minorazione, finiscono per fare il fardello insopportabile. Amicizie precoci, contatti con la vita, impegno e tensione, a volte portate a punte eccelse, tutte esperienze positive, profondamente formatrici dell'umanit� dell'adolescente non vedente e che potevano senz'altro e possono ancora oggi costituire l'aspetto positivo dell'inserimento dei nostri fanciulli nella scuola di tutti: ma siamo veramente certi che l'impegno educativo finisca qui? Che certi insuccessi, che i troppi abbandoni non siano piuttosto derivati da un tipo di scuola inadeguato, da un metodo che non sollecitasse la personale adesione dell'alunno all'atto educativo e che non impegnasse quindi l'insegnante all'individualizzazione dell'insegnamento e il fanciullo ad attivizzare la propria presenza nella comunit� scolastica? I fanciulli ciechi avviati alle scuole pubbliche per veggenti, divenivano rapidamente, precocemente, troppo precocemente, dei razionalizzatori, tendevano a portare sul piano dell'intellettualismo tutto l'apprendimento, orientavano il loro sforzo verso un ampio ritenimento mnemonico e verso un solo tipo uniforme unilaterale di cultura. Astrattismo, intellettualismo, spesso soltanto erudizione erano le conseguenze pi� comuni e fatali. Un male comune si potrebbe dire, non solo alla scuola secondaria di primo grado, ma forse anche a studi superiori; resta tuttavia il fatto che per ovviare alla situazione si ritenne opportuno istituire la scuola di avviamento professionale per ciechi, scindendo cos� al termine della scuola primaria, gli alunni in due categorie: la prima costituita da quelli destinati a proseguire, nell'ambito dell'istituto, una specie di preparazione pre-professionale, la seconda, precocemente ritenuta come l'�lite, avviata alle scuole pubbliche per la carriera degli studi classici. Il pericolo della selezione al livello della scuola primaria � sufficientemente chiaro per richiedere una illustrazione a parte, tanto pi� che la selezione non sempre veniva effettuata in base a obiettivi criteri di valutazione delle attitudini e delle tendenze. Occorre considerare inoltre attentamente il fatto che non sempre � possibile stabilire il modo e i tempi di adattamento del fanciullo alla minorazione, e cos� � possibile riconoscere erroneamente a temporanee sfasature psicologiche un valore permanente nella valutazione della personalit� complessiva dell'alunno. La normalizzazione non si esaurisce con la fase dell'educazione sensoriale, ma si estende e si approfondisce nella ricerca personale e attiva di un idoneo comportamento di reazione alla minorazione stessa. Tale comportamento spesso si consolida e si cristallizza intorno a perniciose forme di rifiuto della minorazione, di negazione dei suoi effetti nel campo sociale, di ostilit� nei confronti della vita di tutti e dei comportamenti della normalit�. La scuola media unica sorge quindi per noi dall'esigenza di estendere a forme ed a periodi pi� ampi il processo di formazione del fanciullo non vedente, processo che si deve compiere in ambiente idoneo, a contatto con una didattica differenziata e nell'ambito di un insegnamento individualizzato. Il recente decreto presidenziale con il quale vengono regolamentati i programmi e gli orari della scuola media unica per ciechi indica con sufficiente chiarezza l'estensione e le modalit� della differenziazione didattica, ponendo in risalto in modo particolare alcuni aspetti che a nostro avviso meritano di essere attentamente analizzati. Anzitutto va rilevato come i nuovi programmi accettino in massima parte, e soprattutto per quanto attiene alla formazione culturale, i programmi ministeriali previsti per la scuola media di nuovo tipo destinata a fanciulli vedenti. Ci� non deve assolutamente far pensare a una rinuncia nella differenziazione didattica e nella affermazione del metodo speciale, poich� i programmi nella loro formulazione attuale hanno prevalentemente un valore indicativo, consentendo una applicazione la pi� varia e la pi� differenziata possibile. In secondo luogo, soltanto in una valutazione quantitativa la parte programmatica, accettata integralmente, copre l'impegno dell'insegnamento nella sua estensione oraria; infatti l'introduzione nei programmi delle applicazioni tecniche speciali e delle attivit� pratiche speciali, costituisce di per s� il fatto nuovo della scuola media unica per ciechi, determinando il costituirsi di un aspetto differenziato che colora l'intera attivit� educativa. Prima, tuttavia, di analizzare il valore e la portata delle discipline speciali, potr� essere utile ribadire alcuni principi relativi all'insegnamento che pu� considerarsi nel suo aspetto programmatico, privo di formulazioni e di tendenze differenzianti: l'insegnamento letterario, scientifico, artistico, cos� come viene presentato nelle sue grandi linee. L'affermazione di un insegnamento che sfugga ai criteri della differenziazione, che proceda svolgendo un programma stereotipo, lungo le direttrici tradizionali della lezione cattedratica, non potr� certamente realizzare lo spirito della nuova scuola media, poich� non terr� conto della realt� sostanziale dell'atto educativo, dimenticando nel compiersi di esso del fattore pi� importante e cio� della realt� dell'educando. Nessuno pu� disconoscere che una determinata poesia o una qualsiasi regola matematica, cos� come un fatto chimico o un fenomeno naturale, abbiano lo stesso valore e la stessa obiettiva realt�, sia che vengano presentati a fanciulli ciechi, sia che si offrano alla meditazione di fanciulli normali, ma la differenziazione non deve farsi coincidere con la scelta dei fatti e dei fenomeni, bens� soltanto come la determinazione del modo di presentazione. Vi sono poesie, prose, osservazioni il cui linguaggio � familiare al bambino vedente e determina per immediata reazione il succedersi nella sua mente di immagini vivaci, di ricordi attivi, di sentimenti reali: non altrettanto � sempre possibile affermare che avvenga per il fanciullo non vedente. L'immagine poetica, cos� come il fenomeno naturale o la figura geometrica, hanno quasi sempre bisogno di una presentazione particolare, che tenga conto non soltanto della presenza della cecit� che ha inibito e inibisce un vasto campo di esperienze percettive, ma anche della reazione comportamentale del fanciullo alla cecit� stessa: fenomeno questo che troppo spesso viene sottovalutato nella nostra scuola, ritenendo a torto che il comportamento nei confronti della cecit� debba essere analogo in tutti i fanciulli. L'esempio addotto, pur nella sua semplicit�, vale a giustificare il principio della individualizzazione che non dovr� mai sconfinare nell'individualismo, n� scolorirsi in una generica e astratta costruzione di modelli. Le discipline della nuova scuola media a prevalente contenuto culturale, costituiscono quindi il banco di prova per la realizzazione di un nuovo orientamento educativo, il quale uscendo dagli schemi tradizionali della lezione cattedratica, avvicini l'insegnante all'alunno, lo induca a proporsi la realt� di questi, a continuare nello sforzo di formazione che la scuola primaria aveva prodotto nella diversa estrinsecazione dei suoi due cicli. Ci� detto, occorre subito precisare che non � mia intenzione affermare, sia pure in sede polemica, una generica opposizione a un indirizzo umanistico da dare alla nostra scuola media, sempre che umanismo non voglia significare nozionismo o intellettualismo, ma sia soltanto e semplicemente accentuazione dei valori umani degli alunni, preparazione allo sviluppo di essi in una personalit� integrale e attiva. Non si pu� fare dell'umanismo senza tener conto che l'umanit� dei nostri alunni � formata anche dal patrimonio di sofferenza e di lotta che loro deriva dalla presenza in essi del fatto permanente della minorazione, non possiamo fare dell'umanismo senza aver prima stabilito un humus ricettivo di immagini e di sensazioni, tale da costituire il terreno pi� fecondo per la successiva elaborazione di concetti chiari e di giudizi fondati e consapevoli. Accanto alla parte culturale del programma, che come abbiamo detto deve - non solo pu� - costituire motivo e occasione per la differenziazione didattica, ne � prevista dai recenti programmi speciali una specifica, direttamente volta alla normalizzazione del fanciullo non vedente. Tale normalizzazione non avr� pi� l'indirizzo sensoriale, non dovr� cio� tendere a sviluppare e potenziare la percezione del mondo esterno, puntando sul sintetico riconoscimento delle forme e sull'analitica ricostruzione immaginativa delle parti, ma dovr� tendere prevalentemente a porre le forme in relazione all'ambiente, calandole in una rappresentazione ragionata e dinamica dell'economia ambientale. Con questo valore e in questo senso, le applicazioni tecniche speciali e le attivit� pratiche speciali differiscono dalle esercitazioni pratiche e dalle esercitazioni speciali previste nei precedenti programmi, in vigore sin dal 1941 nella scuola di avviamento professionale. Allora si intendeva dare alle esercitazioni pratiche l'esclusivo valore di avviamento al lavoro, di educazione professionale, al fine non solo di mettere in luce le attitudini dell'alunno ma soprattutto di avviarlo all'acquisizione di determinate tecniche lavorative, compresa la conoscenza tecnologica dei materiali di lavorazione e l'uso degli strumenti impiegati nelle lavorazioni stesse. Era predisposto per la realizzazione di tale scopo un programma preciso che si snodava analiticamente attraverso dettagliati momenti delle lavorazioni, che chiudeva, per cos� dire la fantasia e l'immaginazione dell'alunno entro schemi rigidi, convogliando la sua attivit� motoria verso la ripetizione stereotipa di atti e di gesti con l'intento di giungere all'optimum dell'esecuzione mediante il determinarsi meccanico di un'abitudine. Errore di principio, errore psicologico che trascinava con s� infinite conseguenze negative nel campo dell'apprendimento, poich� il non vedente costretto ad imparare per ripetizione di movimenti, impegnato nell'acquisizione meccanica di abitudini, finiva col rinunciare alla diretta partecipazione alla dinamica dell'oggetto, alla sua ragione formale e soprattutto a una personale e ampia possibilit� di inserire l'oggetto stesso nel suo rapporto con l'ambiente. Le esercitazioni pratiche, cos� come esse erano previste nei programmi della scuola di avviamento professionale, non potevano dar luogo ad una attivit� di lavoro fondata su principi educativi, non potevano in altri termini assurgere alla funzione di attivit� formatrice della personalit� speciale dell'alunno. Il lavoro sociale che pone direttamente l'oggetto in relazione all'ambiente naturale e alla vita della societ�, richiede, quale condizione fondamentale del suo realizzarsi, una capacit� di comprensione e di valutazione da parte dell'educando: comprensione dell'oggetto e dell'attivit�, rappresentazione dell'oggetto stesso nei rapporti di forma e di struttura posti in relazione alla forma e alla funzione delle cose. La monotona serie di incastri sempre pi� complessi prevista dai programmi della scuola di avviamento professionale, formalmente diretta a consolidare e a memorizzare gesti e movimenti, non poteva certamente avviare l'alunno non vedente verso la comprensione dinamica dell'oggetto, e favoriva invece, come tutti gli altri esercizi dello stesso genere, il ripiegarsi della sua personalit� su forme sempre pi� anguste di meccanismi motori abitudinari e di ristrette e povere immagini spaziali. All'alunno che vede possiamo anche chiedere di esercitare la sua mano e la sua pazienza per un periodo determinato nella ripetizione di un gesto che pu� divenire premessa al costituirsi di una particolare abilit� manuale; possiamo chiederglielo, poich� sappiamo che il suo impegno percettivo e immaginativo non si restringe al gesto ripetuto o alla meccanicizzazione dello stesso, ma spazia nell'esplorazione occasionale dell'ambiente, si nutre della continua e fluttuante variet� di stimoli che giungono dal mondo circostante. All'alunno che non vede non possiamo chiedere, prima di aver considerato un'attivit� dinamica dell'immaginazione, un'applicazione diretta soltanto ad affinare la sua abilit� manuale, dovendosi anzitutto curare in lui il costituirsi di un'efficace coordinazione immaginativa-motoria sostitutiva di quella visivo-motoria che presiede al gesto e al movimento utile in chi vede. Creare delle abitudini mediante la monotona e meccanica ripetizione dei gesti, pu� significare l'impoverimento non solo dell'immaginazione dell'alunno non vedente, ma anche del suo spirito: a mio avviso analogo errore � stato compiuto, quando si � ritenuto di applicare i non vedenti a lavori semplici, riducibili a pochi gesti, monotoni nella loro estrinsecazione, insufficienti a costituire occasioni di affermazione della personalit� umana dell'operaio. Le applicazioni tecniche speciali e le attivit� pratiche speciali previste nei nuovi programmi della scuola media unica per ciechi, costituiscono, da un punto di vista pedagogico, la grande novit� sul piano pi� strettamente programmatico, poich� esse introducono direttamente un nuovo concetto del lavoro quale fattore di educazione. Il termine attivit� � stato sostituito a quello di esercitazioni, con il preciso intento di dare a questa fase del programma un valore di maggiore impegno alla partecipazione dell'alunno: esercitare poteva significare soltanto applicazione meccanica a una qualsiasi forma di lavoro, poteva significare, e significava di fatto, un eseguire sotto la costante e troppo diretta guida dell'insegnante, mentre agire implica e significa una diretta partecipazione dell'alunno che coopera con l'insegnante, che realizza in base a contenuti reali della sua personalit� e della sua maturit�. Enrico Ceppi Tiflologia per l'Integrazione Brevi indicazioni per i collaboratori (pag. 86) Si offrono di seguito alcune indicazioni di massima a cui gli autori dei contributi dovrebbero possibilmente attenersi, per venire incontro al lavoro redazionale della segreteria ed alle esigenze tipografiche della rivista. La collaborazione a "Tiflologia per l'Integrazione" � libera. 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Si raccomanda inoltre particolare cura nei dati citazionali, dal momento che alla redazione non sempre � possibile verificarne la correttezza. La redazione si riserva comunque il diritto di intervenire sul testo per uniformarlo alle norme tipografiche. Si ringrazia per l'attenzione.