Luglio-Settembre 2016 n. 3 Anno 26 Tiflologia per l'integrazione Trimestrale edito dalla Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus con il contributo dell'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti e della Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi Fascicolo I Stampato in Braille a cura della Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus via G. Ferrari, 5/A 20900 Monza Gli articoli firmati esprimono l'opinione dell'autore, che non coincide necessariamente con la linea della redazione. 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Ferrari, 5/A 20900 Monza (MB) (indicando la causale del versamento) Indice Editoriale L'utilizzo dell'algoritmo per il piano di mobilit� straordinaria dei docenti, di Pietro Piscitelli (pagine in nero 130-131) Sviluppo cognitivo Blind Verbal Behavior: abilitare le competenze comunicative nelle persone con deficit visivo e disturbi dello spettro autistico, di Maria Luisa Gargiulo e Alba Arezzo (pagine in nero 132-147) Pedagogia Il rilancio della tiflologia: un obiettivo possibile, di Gianluca Rapisarda (pagine in nero 148-155) Classici della Tiflologia Dinamica dell'apprendimento e sviluppo dell'immaginazione nei fanciulli della scuola primaria, di Orfeo Ferri (pagine in ero 156-165) Classici della Tiflologia L'ambiente nell'educazione dei ciechi, di Elena Romagnoli Coletta (pagine in nero 166-177) Storia della Tiflologia La tiflologia come scienza, di Silvestro Banchetti (pagine in nero 178-192) Editoriale L'utilizzo dell'algoritmo per il piano di mobilit� straordinaria dei docenti, di Pietro Piscitelli (pagine in nero 130-131) Un inizio di anno scolastico certamente molto movimentato, se non addirittura controverso quello in abbrivio in questi giorni. Il piano di mobilit� straordinario messo in moto dal MIUR e che ha interessato oltre 207-mila insegnanti � stato da pi� parti contestato per l'applicazione che ne � risultata che ha condotto migliaia di docenti a trasferirsi in scuole lontane dalle destinazioni preferenziali e dai luoghi di appartenenza territoriale. Il Ministro Stefania Giannini, proprio in occasione dell'inizio del nuovo anno scolastico, ha respinto tutte le obiezioni affermando che "Nel sistema che ha assegnato la destinazione non ci sono stati bug, perch� altrimenti sarebbe saltato. Tra tutti i docenti trasferiti, il dato anomalo, che ha richiesto la procedura di conciliazione, ha riguardato il 2,5% del totale, oltre 3-mila persone". Del tutto diversa la posizione dei sindacati per i quali non si tratta di errori fisiologici ma di criticit� profonde che riguardano l'intero sistema adottato, rispetto al quale le successive decisioni assunte per cercare di rimediare alla serie di errori hanno prodotto ulteriori situazioni di vero disagio. Tra quanti hanno chiesto di trasferirsi dopo l'assegnazione su algoritmo ci sono quasi due docenti su dieci che hanno avuto in assegnazione una sede sbagliata. Nel frattempo molti docenti che chiedono tutela si stanno rivolgendo alla magistratura e, in questo contesto, sono state prodotte le prime pronunce cautelari di legittimit� della procedura di mobilit� territoriale avviata dalla legge sulla Buona Scuola. Tra tutte merita menzione l'ordinanza del Tribunale di Trani che ha accolto il ricorso di una docente pugliese trasferita ad Udine, nella quale il giudice del lavoro ha rilevato le gravi criticit� della procedura di mobilit� posta in essere dal MIUR. La ricorrente eccepiva che in esito alla procedura di mobilit� era stata assegnata in provincia di Udine, ambito territoriale che non trovava corrispondenza tra le preferenze espresse nella domanda di mobilit� e, sulla base di tanto, contestava il trasferimento disposto dal MIUR lamentando procedura illegittima ed errata. Il Giudice nell'accogliere la domanda di tutela urgente ha contestato in questa procedura una grave ed ingiustificabile disparit� di trattamento, in quanto il MIUR avrebbe violato il principio generale ed inderogabile dello scorrimento della graduatoria, fondato sul punteggio attribuito in fase di trasferimento, attribuendo sedi pi� vicine per converso a docenti con punteggio inferiore Sulla scorta di dette motivazioni, il Tribunale di Trani ha pertanto condannato il MIUR ad assegnare la docente presso una delle sedi disponibili tra quelle dalla stessa indicate in domanda. Il direttore responsabile prof. Pietro Piscitelli Sviluppo cognitivo Blind Verbal Behavior: abilitare le competenze comunicative nelle persone con deficit visivo e disturbi dello spettro autistico, di Maria Luisa Gargiulo e Alba Arezzo (pagine in nero 132-147) - Viene presentato il nuovo approccio metodologico denominato "Blind Verbal Behavior" (BVB), maturato in anni di esperienza lavorativa, per valutare e sviluppare le competenze comunicative di bambini con doppia diagnosi: deficit visivo e disturbi dello spettro autistico o della comunicazione sociale. - Il BVB si compone di tecniche cognitivo-comportamentali di provata efficacia, secondo i focus della linea guida 21/2011 dell'Istituto Superiore di Sanit�, abbinate a metodologie tiflologiche. Il metodo rispetta le necessit� percettive e le modalit� di conoscenza delle persone con deficit visivo, integrandole con le specifiche esigenze di apprendimento della comunicazione delle persone con disturbo dello spettro autistico. Introduzione. ASVI (Autism Spectrum and Visual Impairment): deficit visivo e disturbi dello spettro dell'autismo Il lavoro di valutazione e abilitazione che da molti anni conduciamo con bambini ipovedenti e non vedenti, ci ha portato sempre pi� frequentemente a confrontarci con problemi educativi, valutativi e metodologici molto complessi. Le persone con deficit visivo alla nascita hanno sovente quadri diagnostici caratterizzati dalla concomitanza di pi� di un deficit e questo rappresenta, ormai, pi� la regola che l'eccezione. La minorazione visiva complica la diagnosi di altri disturbi e rende necessaria una metodologia e approcci specifici. Raramente una grave anomalia dello sviluppo � da ritenersi semplice conseguenza secondaria al deficit visivo. A volte si tratta di un disturbo a s� stante (parallelo al disturbo visivo), ma spesso deficit visivo e disturbo dello sviluppo derivano da un'unica causa iniziale. In molti casi infatti le situazioni di doppia diagnosi sono causate da una singola patologia fisica. Anche deficit visivo e autismo insieme possono risultare da un'unica condizione patologica. Questa pu� trovare la sua ragione in una sindrome genetica, cio� un'alterazione del patrimonio ereditario che si manifesta attraverso una molteplicit� di anomalie di strutture e funzioni; oppure pu� essere determinata da un danno neurologico, variamente causato (come, ad esempio, gli esiti derivanti da alta prematurit� o da altri problemi alla nascita). Esiste una storia di sviluppo specifica determinata dall'associazione tra importanti problemi visivi e un disturbo dello spettro dell'autismo, condizione nella quale la persona presenta deficit strutturali a carico dell'interazione sociale, della comunicazione e del repertorio delle attivit�, soddisfacendo a pieno i criteri definiti dal manuale DSM V. In letteratura, l'unione di questi due disturbi � detta ASVI (acronimo di Autism Spectrum and Visual Impairment). Vi pu� essere o meno un deficit delle funzioni cognitive, oppure nessun ritardo mentale. Vi possono essere comportamenti ossessivi, difficolt� nella comprensione degli aspetti pragmatici della comunicazione, stereotipie motorie (soprattutto a carico delle mani) e deficit del pensiero immaginativo. L'associazione tra deficit visivo e disturbo dello spettro dell'autismo � molto pi� frequente di quanto si pensi. Il problema � sottovalutato perch� si tende a pensare alla persona cieca pluriminorata quale portatrice di ritardo mentale. Qualora, al contrario, si riscontri un buon funzionamento intellettivo, si tende erroneamente ad interpretare le problematiche come mera conseguenza della cecit�, come se il disturbo autistico debba essere automaticamente scartato quando si esclude il ritardo mentale. Invece i problemi caratterizzanti il disturbo dello spettro dell'autismo possono presentarsi anche in persone con un buon cognitivo. L'espressione "autismo ad alto funzionamento" indica proprio la presenza di difficolt� legate alla fissit� degli interessi e alla comunicazione, non associate per� a ritardo mentale. Non di rado, anzi, le persone autistiche ad alto funzionamento sono dotate di particolari talenti e abilit�. Non considerare adeguatamente le necessit� della mente autistica nei bambini ciechi o ipovedenti, significa mortificare le capacit� e i bisogni di queste persone, la loro voglia di comunicare, di relazionarsi e di apprendere. Problemi tipici in persone con deficit visivo e disturbi dello spettro dell'autismo Due grosse aree di difficolt� caratterizzano i bambini con ASVI, mentre non interessano il bambino con solo deficit visivo. Esse riguardano: 1. i disturbi di comunicazione ed interazione sociale, cio� il modo in cui la persona esprime e comprende il linguaggio; 2. l'iperfocalizzazione percettiva, cio� come la persona organizza, seleziona e focalizza gli stimoli ambientali. Per spiegare la natura del disturbo a carico della prima area, cio� quella del linguaggio e della comunicazione, dobbiamo fare riferimento al concetto di funzione linguistica e di operante verbale. Qualsiasi sia il mezzo attraverso cui la persona comunica (vocale, per segni, con oggetti, con gesti eccetera), si riscontra una tipica anomalia del linguaggio espressivo e ricettivo: la persona, pur avendo appreso un certo modo di esprimersi, non � in grado di utilizzarlo in modo adeguato alle differenti situazioni ed ai propri bisogni. � il caso, ad esempio, di quei bambini che, pur conoscendo il nome di un oggetto, non sono in grado di richiederlo o non sanno cosa dire per far smettere qualcosa che li infastidisce. � il caso di quelle persone che fanno fatica a comprendere adeguatamente un'istruzione, sebbene formulata con parole note e da loro usate in altri contesti. �, ancora, il caso di quanti non riescono ad apprendere autonomamente come si parli di s� in prima persona. In tutti i succitati esempi, come in molti altri sui quali potremmo dilungarci, il problema di comunicazione non deriva dall'impossibilit� fisica a pronunciare una certa parola, ma dalla difficolt� ad estendere l'utilizzo di uno stesso termine a tutte le possibili funzioni (di richiesta, di denominazione, di ricezione, di categorizzazione, di racconto narrativo, ecc.). Questo � un elemento che molte volte caratterizza lo sviluppo del linguaggio nel disturbo dello spettro dell'autismo. I bimbi con tale difficolt� necessitano modi specifici per apprendere come usare una parola nelle sue varie funzioni linguistiche cio� nei differenti operanti verbali. Prendiamo ora in esame i problemi a carico della seconda area, quella dell'iperfocalizzazione percettiva. Sono molte le differenze rispetto alle reazioni causate da sola deprivazione visiva, dove la persona, in assenza di stimoli esterni, autoproduce sensazioni attraverso movimenti stereotipati ("blindismi"). In questo caso, invece, si possono osservare bambini che centrano la propria attenzione in modo marcatamente selettivo su alcuni elementi, addirittura creando essi stessi una monotonia percettiva, perch� escludono o limitano fortemente l'interesse verso nuove esperienze. Dunque la ripetitivit� di gesti e la tendenza a focalizzarsi su di un particolare stimolo si manifesta anche quando il bambino avrebbe a disposizione esperienze extravisive significative. Pertanto, in questi casi, il comportamento stereotipato non � conseguente al deficit visivo, ma ad una iperfocalizzazione. Questa caratteristica � uno dei marcatori che ci pu� indurre ad ipotizzare la presenza di un disturbo dello sviluppo concomitante rispetto al deficit visivo. Nello specifico, i bambini con ASVI possono, dunque, presentare: - problemi di comunicazione ed interazione sociale (linguaggio verbale assente, povero o stereotipato; difficolt� nella comprensione di frasi complesse e nel prevedere il comportamento altrui quando non � parte di una routine); - comportamenti e interessi ristretti e stereotipati (bisogno di attuare precisi rituali quotidiani; movimenti, parole e preferenze per abitudini molto ripetitive; difficolt� ad accettare cibi, vestiti, odori ed esperienze nuovi; iperfocalizzazione percettiva e attentiva su temi e preoccupazioni ossessive); - eventuali comportamenti problema. I comportamenti problema sono adattamenti disfunzionali strettamente connessi al disturbo autistico. Compaiono dal secondo al quarto anno di vita e, se non ben identificati, si stabilizzano e si evolvono negativamente con il tempo. L'importanza dell'individuazione tempestiva di un problema comportamentale risiede nel fatto che esso deriva dall'interazione tra il deficit della persona e il comportamento di coloro che si relazionano con lui. Quindi, modificando le condizioni ambientali ed interpersonali, si pu� aiutare la persona a ridurre frequenza, intensit� o durata di un comportamento problematico. I comportamenti problema sono atti potenzialmente lesivi per se stesso o per l'ambiente, che interferiscono con l'apprendimento e la gestione della vita quotidiana e sociale. Si tratta di azioni con funzione di richiesta, fuga od evitamento del compito, che si manifestano come scatti di collera di varia entit�, autolesionismo, eteroaggressivit� (buttarsi per terra, lanciare oggetti, distruggere, sbattere la testa, mordere, tirare calci, ecc.). La letteratura scientifica ha ampiamente chiarito la stretta correlazione tra l'insorgere di comportamenti problema e alcuni deficit di specifiche funzioni comunicative: in particolare, la presenza di comportamenti problema � maggiore laddove minore � la capacit� di utilizzare il linguaggio con funzioni di richiesta. In termini tecnici essa � definita come operante verbale "Mand", cio� richiesta spontanea sotto spinta di motivazione e bisogno, ossia capacit� di chiedere, in modo autonomo e comprensibile agli altri, ci� di cui si ha necessit� o che si desidera. Le frasi di richiesta possono non essere utilizzate nella loro funzione corretta o essere riprodotte fuori contesto e spesso in modo non comprensibile agli altri. Il bambino imita le espressioni linguistiche, ricorrendo a stringhe di parole pronunciate sempre tutte assieme e nello stesso ordine, piuttosto che creare nuove frasi, secondo le regole grammaticali e morfologiche alla base della struttura linguistica. Cos�, sovente, per chiedere qualcosa ripeter� quello che gli adulti gli dicono per offrirgli questo qualcosa (ad esempio, se desidera esser preso in braccio, potr� dire "ti prendo in braccio?", "non dirmi che sei gi� stanco?") o tenter� di ricreare la medesima situazione che lo aveva condotto a ci� che desidera. Nel nostro esempio, quindi, se quando si � gettato a terra piangente, � stato frequentemente preso in braccio, non avendo nel suo repertorio comunicativo la richiesta funzionale adeguata per "in braccio", potr� utilizzare quel comportamento per sollecitare l'azione desiderata. Blind Verbal Behavior (BVB): l'idea alla base del nostro approccio Negli ultimi anni la comunit� scientifica internazionale ha acquisito informazioni attendibili sull'efficacia di alcuni approcci rispetto a problemi caratteristici del disturbo autistico, come la qualit� della comunicazione e i comportamenti problema. L'Istituto Superiore di Sanit� ha condotto un'analisi sistematica delle ricerche sull'efficacia dei vari trattamenti e ha redatto un documento dettagliato ad uso dei tecnici, nonch� una versione divulgativa per i genitori. Si tratta della Linea Guida numero 21 ("Il trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli adolescenti"), emanata nell'ottobre 2011. La guida si propone di produrre informazioni utili a indirizzare le decisioni degli operatori, clinici e non, verso una maggiore efficacia e appropriatezza di intervento. Contiene, dunque, raccomandazioni che possono orientare nella scelta di adottare (o meno) una certa terapia o attivit� abilitativa. L'approccio metodologico del Blind Verbal Behavior si muove in conformit� a quanto raccomandato dalla Linea Guida. L'idea del BVB nasce dalla comune esperienza di lavoro psico-educativo e tiflodidattico a contatto con bambini e adolescenti ASVI. Ci si rese conto infatti che non esistevano risposte gi� pronte per lo sviluppo delle competenze comunicative e il controllo dei comportamenti problema di persone in et� evolutiva con tale doppia diagnosi. Il problema che ne derivava era in realt� assai complesso: - l'educazione speciale classica per persone con solo deficit visivo non portava risultati soddisfacenti. - i metodi per persone con solo disturbo dello spettro dell'autismo erano inutilizzabili - le comuni tecniche tiflodidattiche si rivelavano spesso inadatte per i bimbi ASVI, in quanto inefficaci per i problemi derivanti dai disturbi della comunicazione sociale. Molti apprendimenti rimanevano per anni bloccati allo stadio dei prerequisiti, come quelli relativi alla letto-scrittura Braille o allo sviluppo del pensiero immaginativo per l'orientamento nello spazio o all'acquisizione delle autonomie personali. Un esempio per tutti pu� essere l'apprendimento del Braille. Gli strumenti ed ausili per l'insegnamento dei prerequisiti e della letto-scrittura, non funzionavano anche laddove il cognitivo fosse pi� alto. Non era possibile usare nel modo classico il casellario Romagnoli, o le carte dell'alfabetiere, o le sei palline all'interno di un contenitore che simulasse il casellino. Ci� dipende dal fatto che la lettera creata con tali materiali didattici � percettivamente molto diversa da una vera lettera Braille. Non � uguale ed � simile soltanto per le posizioni spaziali occupate. Perch� avvenga il passaggio conoscitivo dall'una all'altra in modo quasi automatico, occorre capacit� di astrazione e il poter riconoscere l'una come simbolo dell'altra. Ma la mente autistica funziona in modo differente: non riconosce il simile; il simile � del tutto diverso. Pertanto, insegnando con la consueta tecnica tiflodidattica, si espone il bambino ad una doppia fatica, in quanto lo si sottopone non ad un insegnamento che procede poi automaticamente in un altro, ma ad un doppio insegnamento il primo del quale, ad un certo punto del percorso, dovr� essere cancellato e sostituito dal secondo: quello del vero Braille. Bambini, che, dal punto di vista tiflologico, non avrebbero dovuto aver difficolt� a comunicare i propri bisogni, si trovavano ingabbiati in comportamenti problema utilizzati come richiesta, nuocendo gravemente alla qualit� della vita loro e delle famiglie e sottraendosi cos� alla possibilit� di una migliore vita sociale. Ragazzi con una certa passivit� diventavano ancor meno attenti e pi� estranei al contesto perch� non abilitati a decodificare cosa avvenisse loro intorno. Essi permanevano, sempre pi� a lungo, in comportamenti stereotipati e auto-stimolatori (dondolii, emissione di suoni, rumori con mani o con giochini sonori, sfarfallii). Il pi� delle volte, in questi casi il linguaggio si riduceva a stringhe verbali mnemoniche e non funzionali anche per la richiesta pi� elementare. Per converso, tutte le metodiche tradizionali per bambini autistici non potevano essere utilizzate, in quanto formulate per persone normovedenti e impostate sulla priorit� dello stimolo visivo per l'apprendimento. Ci� era drammaticamente vero anche per i bimbi con autismo ed ipovisione, che non rispondevano efficacemente alle metodiche classiche per l'autismo. Questo accadeva perch� i bambini ipovedenti non venivano rispettati nei propri bisogni e per le proprie personali caratteristiche visive. Una persona con ipovisione veniva approssimata erroneamente a chi a volte sembra vedere e altre pare fingere di non vedere. Spesso il comportamento dell'ipovedente in risposta a materiale visivo non opportunamente adattato �, infatti, incoerente e incomprensibile all'osservazione del riabilitatore: questi, in relazione alle competenze visive dell'utente, pu� sia ricevere un'illusoria rassicurazione di normovisione, sia precipitare nel pi� totale sconforto. Come � possibile, infatti, che, ad es., il colore di un'immagine riconosciuto poco prima risulti non percepibile pochi minuti dopo? Il deficit visivo si innestava sulle problematiche proprie del disturbo dello spettro dell'autismo e viceversa, creando una situazione oltremodo complessa che sembrava non avere soluzione. Da queste necessit� � nato il progetto BVB: creare metodologie e strumenti percettivamente fruibili per il deficit visivo, ma con criteri pensati per gestire le problematiche di apprendimento del linguaggio e quelle comportamentali del funzionamento autistico. Differenze metodologiche del Blind Verbal Behavior rispetto al "VB MAPP" usato per le persone autistiche normovedenti Chi lavora in campo educativo con l'autismo ha a disposizione, tra gli altri, uno strumento basilare per un'accurata analisi del comportamento verbale e per la costruzione di opportuni curricoli individualizzati: il VB MAPP di Mark Sundberg. Esso costituisce un programma di valutazione del linguaggio e delle abilit� sociali per bambini con autismo o altre disabilit� dello sviluppo. Indirizza verso un assessment delle competenze comunicative e consente una programmazione di interventi mirati. Analizza dettagliatamente le competenze nei differenti operanti verbali e propone un incremento per step del linguaggio funzionale, sia espressivo che ricettivo. La sua diffusione � agevolata, inoltre, dal fatto che � un manuale completo poich� offre strumenti di lavoro in ordine a: - operanti verbali - analisi delle barriere all'apprendimento, come l'incidenza dei comportamenti problema o assenza di mand o iperattivit� ecc. - transizioni cio� alla competenza del bambino nel gestire i passaggi da una condizione o da una situazione ad un'altra e che potrebbero ingenerare in lui difficolt�, resistenze e ostacolo. Questo strumento non � utilizzabile adeguatamente per persone ipovedenti e non vedenti perch� pensato per il lavoro con normovedenti. Si riportano di seguito alcuni esempi di tipiche difficolt� per valutare e insegnare alcuni operanti verbali alle persone con cecit� o ipovisione. - Operante verbale Mand (richiesta spontanea su operazione motivazionale interna). Tutti i mand del livello 1 prevedono che la richiesta avvenga in presenza dell'oggetto desiderato (rinforzatore) e che il solo vederlo, unitamente a opportune strategie di sollecitazione della motivazione, crei nel bambino il bisogno e la richiesta, con la conseguente possibilit� di insegnarla laddove essa manchi. Soltanto dal secondo livello si comincia a prevedere la valutazione del mand in assenza del rinforzatore. Per una persona ASVI, per�, tutto avviene in assenza dell'oggetto, perch� ci� che non � toccato, o ascoltato, ancorch� sia gi� decodificato, semplicemente non esiste. Come sollecitare dunque un mand, avendo l'assoluta certezza che non costituisca invece un tact, cio� un'etichetta denominativa segno di attenzione condivisa, evocata nel bambino dal contatto con quell'oggetto gi� conosciuto o dal suono emesso? Oltre all'operazione motivazionale, l'insegnamento mand degli ASVI dovrebbe infatti prevedere in molte occasioni il passaggio attraverso un atto percettivo, e poi il tact (che cosa � questo? cosa hai sentito?) e il ricettivo. Questi due operanti infatti stimolano nel bambino la consapevolezza di ci� che esiste e il vantaggio che potrebbe ricavare ad averlo. Quindi focalizzare l'attenzione su quel qualcosa, pone le basi per creare il bisogno e dunque la motivazione a chiedere. Si vede dunque come l'insegnamento di un operante verbale in situazione di cecit� debba essere modificato e condotto parallelamente ad un'esposizione extravisiva, opportunamente guidata, della realt�. - Operante verbale Tact (etichetta denominativa). La valutazione e l'insegnamento di questo operante verbale determina una problematica analoga alla precedente, se escludiamo tact di suoni o rumori o di sapori e attributi non attinenti alla sfera visiva. La procedura classica di insegnamento del VB MAPP prevede, oltre ad oggetti visibili nell'ambiente circostante, l'uso di fotografie, disegni, figurine, per sollecitare l'emissione di tact di oggetti, di persone familiari, di azioni e attivit� osservate nella vita di ogni giorno, in risposta alle domande: Che cos'�? Chi �? Che cosa fa? In presenza di deficit della vista cosa usare e come fare, dunque? La conoscenza passa per l'esplorazione tattile degli oggetti, atto conoscitivo che ha modalit� e tempi assolutamente diversi da quelli di elaborazione di uno stimolo visivo. Richiede la ricostruzione mentale della forma dell'oggetto nella sua interezza, perch� il tatto conosce per successive approssimazioni. La conoscenza di un'azione prevede il pi� delle volte l'averla esperita soggettivamente per potere poi dare ad essa un nome che non ricada nel "verbalismo". Del tutto differente � l'esposizione da parte di una persona normovedente, ad azioni o circostanze cui assiste. Ad esempio quando il bambino normovedente vede la foto della mamma che cucina, anche se non sa dare il nome a quell'azione, � gi� stato esposto in modo automatico a quei gesti e alle sue conseguenze (alla fine si mangia) e pu� dare un'unica etichetta ("Che cosa fa? Cucina") ad una somma di singole azioni che compongono quel gesto e al suo "significato" (lo fa, perch� dopo si mangia). Anche se tutto ci� non � presente a livello del linguaggio verbale, � presente a livello esperienziale. Se il bambino ASVI sente il rumore di una pentola, che cosa deve immaginare, se non ha fatto esperienza personale di ci� che accade quando la mamma cucina? L'unica risposta sensata che, altrimenti, potr� dare o che potremo insegnare �: "Fa rumore con una pentola". Infine, poi, � necessario sottolineare che in presenza di ASVI il tact delle azioni riveste un'importanza imprescindibile per la decodifica ambientale, per l'interazione proattiva nell'ambiente e per porre le basi dell'intraverbale e del linguaggio narrativo. - Imitazione sociale. Anche questa abilit�, non potendo passare attraverso il canale visivo, necessita di essere insegnata con modalit� peculiari e non serve da sprone all'ampliamento delle competenze gestuali e sociali come, invece, avviene per un normovedente. - Abilit� visuo-percettive e corrispondenza con uno stimolo campione. L'appaiamento e la nozione di uguale (che sono lo scopo di queste abilit�) non � automatico e non procede come per i vedenti. La decodifica tattile di due oggetti uguali non vien da s�. Perch� un bambino ASVI, per esempio, appai una forchetta con un'altra uguale e non con un cucchiaio, occorre che abbia particolari competenze esplorative e percettive e un cognitivo che consenta di decodificare il tutto sulla base della differenza di una singola parte dell'oggetto rispetto al tutto. Toccher� infatti due oggetti verosimilmente dello stesso materiale, dimensione, consistenza, temperatura e che producono lo stesso suono se picchiettati con le dita; entrambi avranno un manico; ma uno ha i denti e l'altro una parte concava. Le capacit� da insegnare al bambino ASVI per arrivare a questo apprendimento dovranno essere differenti rispetto a quelle necessarie ad un bimbo normovedente. Difatti per l'appaiamento visivo risulteranno intuitivamente caratterizzanti colore e forma e tutte le leggi visive della gestalt. Il tatto da solo senza un'ulteriore decodifica (passaggio cognitivo) pu� non essere sufficiente a determinare la relazione di uguaglianza. Sulla percezione tattile agiscono altre caratteristiche percettive pi� pregnanti della percezione della forma; cos� due oggetti, apparentemente identici alla vista, potrebbero risultare diversi al tatto. Talora il processo di appaiamento per un ASVI non pu� far a meno di un precedente tact dell'oggetto e, a volte, anche della conoscenza della sua funzione. - Operante verbale Risposte dell'ascoltatore. Nel linguaggio ricettivo le risposte non verbali ad un'istruzione o domanda, a cominciare dalla semplice consegna di un oggetto fra due, prevedono modalit� operative, trasformate sulla base della conoscenza tattile, a cominciare dal tempo occorrente. - Generalizzazione. La competenza a generalizzare (cio� di estendere una caratteristica ad altri oggetti, persone, cose), per nulla scontata nel funzionamento autistico e fondamentale garanzia di reale apprendimento, richiede tempi pi� lunghi di lavoro, dovendo forzatamente riferirsi a cose e azioni che accadono nell'ambiente circostante, all'uopo costruite e percettivamente decodificabili e conoscibili al di fuori del canale visivo. Possiamo aggiungere infine che nel lavoro con una persona con concomitante deficit visivo, tutto � molto pi� contesto dipendente ed � un contesto totalmente diverso perch� � extravisivo. In assenza della dominanza che la percezione visiva ha sugli altri sensi, l'ambiente e le persone in esso acquisiscono una pregnanza molto pi� significativa e influente per le rimanenti percezioni sensoriali. Ad esempio non baster� indossare lo stesso abito o lo stesso profumo o usare i medesimi materiali e la medesima stanza per mantenere identico il setting: la pioggia piuttosto che il sole, un'ambulanza piuttosto che i lavori stradali, una leggera raucedine o soltanto un tono di voce poco diverso e tutto sar� un altro ambiente. BVB: elementi, interventi e vantaggi Il Blind Verbal Behavior si compone di: - Metodi comportamentali per le autonomie di base. - Analisi e gestione dei comportamenti-problema. - Valutazione e progressione delle competenze comunicative nel linguaggio espressivo in tutti gli operanti verbali. - Valutazione e progressione delle competenze del linguaggio ricettivo, in tutti gli operanti verbali. Le metodologie ed i contenuti del BVB costituiscono interventi abilitativi per bambini e ragazzi con deficit visivo e disturbo dello spettro dell'autismo o della comunicazione sociale, in quanto opportunamente adattate e significativamente modificate in ragione della disabilit� visiva della persona. Vediamone alcuni aspetti. - La complessit� degli apprendimenti impartiti � determinata dal livello funzionale dell'interazione sociale, dal tipo e dall'uso dell'eventuale residuo visivo, dal livello cognitivo (poich� ad una severit� del disturbo autistico non necessariamente corrisponde un deficit cognitivo importante), ed � modulata con gli accorgimenti necessari all'apprendimento extravisivo o intermodale. - Anche in ASVI si pu� avere mancanza di linguaggio vocale. Di per s� questo non � indice di ritardo mentale grave. Esistono opportuni sistemi alternativi alla parola, come la strumentalit� della comunicazione aumentativa ed alternativa ed il linguaggio dei segni. Essi per� sono stati creati per persone vedenti e dunque non utilizzabili nel nostro caso di concomitante deficit visivo. BVB ricorre ad accorgimenti specifici per utilizzare i linguaggi alternativi al vocale rispettando la necessit� dell'attenzione condivisa e delle regole della comunicazione extravisiva. - L'acquisizione delle competenze comunicative (sia nella persona vocale che non vocale) si basa su un training mirante a sviluppare le differenti funzioni verbali ricettive ed espressive. Si abilitano selettivamente le competenze, distinguendole in base alla loro funzione (richiesta, denominazione, ripetizione, selezione) e non alla forma. Ci� � opportuno giacch� il disturbo autistico ostacola la capacit� di trasferire autonomamente le competenze comunicative da una funzione all'altra (ad esempio la capacit� nel denominare un oggetto non � automaticamente generalizzata a quella di richiedere lo stesso). I metodi comportamentali e cognitivi di seconda e terza generazione si sono dimostrati pi� efficaci rispetto ad una generica educazione speciale per l'incremento delle capacit� comunicative. Le modificazioni del curricolo degli apprendimenti attuato nel Blind Verbal Behavior, si sono rese necessarie, come gi� accennato sopra, in quasi tutti gli operanti verbali a molti livelli di complessit�: per l'insegnamento dei tact, delle risposte dell'ascoltatore, della funzione di selezione e appaiamento, come pure per l'insegnamento della richiesta (mand) ecc.. - Per ci� che concerne le modalit� di apprendimento, la persona autistica cieca o ipovedente ha bisogno di specifiche condizioni per imparare. Nel BVB si coniuga il metodo pi� idoneo ad un insegnamento extravisivo con quelli che si sono scientificamente dimostrati pi� efficaci in relazione alla specificit� della mente autistica. Si privilegia dunque l'apprendimento senza errori (errorless learning) rispetto a quello per prove ed errori (Trial and error) che � fuorviante, in quanto il bambino tende a memorizzare l'errore. � importante un apprendimento pi� immediato e sicuro possibile, perch� il perseguimento di una buona qualit� della vita dipende eminentemente dallo sviluppo delle attivit� emergenti che debbono essere, prima possibile, tradotte in autonomia. - Per quanto riguarda le autonomie personali, si sa che esse sono meglio apprese se insegnate con tecniche basate sulla diminuzione dell'aiuto (fading, shaping). Per la persona ASVI i modi in cui si attua e si sfuma l'aiuto (prompt) sono modificati rispetto ai classici metodi comportamentali perch� la pregnanza percettiva delle differenti modalit� sensoriali determina una differente gerarchia di prompting e fading. - Le autonomie complesse sono meglio apprese se vengono usate metodologie di concatenamento e non per successive approssimazioni. Il concatenamento, tuttavia, deve essere insegnato in base alle specifiche necessit� di esplorazione e conoscenza della persona non vedente ed ipovedente e le differenti modalit� con cui riconosce gli oggetti e vi interagisce rispetto alle persone vedenti. Ad esempio vi sono specifiche funzioni psicomotorie che sostituiscono la coordinazione oculomanuale e che consentono ugualmente alla persona di agire e controllare l'ambiente. - Il BVB consente di operare sui comportamenti problema seguendo la logica extravisiva del bambino e le sue necessit� particolari. Come sappiamo dalla letteratura scientifica, i comportamenti problema possono essere oggetto di analisi per determinarne la funzione precisa (analisi comportamentale). Questo pu� condurre ad un piano sistematico duraturo finalizzato alla loro diminuzione per frequenza, intensit� e durata. In molti casi si pu� giungere fino all'estinzione completa di alcuni di essi, ancorch� inizialmente molto disturbanti, attraverso la modificazione del contesto ambientale. In questo senso sono determinanti l'analisi delle barriere percettive e la creazione di facilitatori ambientali e relazionali di tipo extravisivo. - Le ricerche, esposte nella linea guida, dimostrano che il maggior incremento della qualit� della vita � dato dagli interventi di parent training, cio� consulenze specifiche per insegnare ai genitori modi efficaci ed adeguati per comportarsi con i propri figli. Non si tratta qui di iniziative di condivisione emotiva dei vissuti dei genitori, ma di veri e propri corsi, di gruppo o personalizzati, costituiti da sessioni periodiche (generalmente quindicinali), nelle quali i genitori affinano continuamente i loro atteggiamenti per attuare le metodologie pi� appropriate. Il parent training rappresenta un elemento essenziale per il BVB. Durante questo momento, i genitori delle persone che seguono il Blind Verbal Behavior apprendono la forma pi� efficace per utilizzare le parole in modo che siano comprensibili anche a chi non vede o vede male, in mancanza di riferimenti visivi sufficienti; apprendono a descrivere, a connotare e a non avere una forma ambigua di comunicazione, la quale deve essere implementata in ragione delle differenze non verbali. Inoltre essi imparano a disseminare l'ambiente di opportuni facilitatori ambientali extra visivi e a utilizzare uno stile comunicativo comprensibile anche dal punto di vista pragmatico. Conclusioni L'obiettivo che si persegue con il BVB � che la persona con deficit visivo e disturbo dello spettro autistico apprenda, nelle sessioni educative, il linguaggio funzionale secondo le corrette tappe di sviluppo e che eviti l'acquisizione di competenze comunicative disfunzionali che ne accrescerebbero le difficolt� relazionali e i comportamenti problema. I genitori sono coinvolti attivamente nel percorso di sviluppo e sostenuti costantemente nella loro azione educativa e gli educatori ricevono un supporto per la generalizzazione delle competenze e lo sviluppo delle autonomie e degli apprendimenti durante il tempo scuola e le attivit� extrascolastiche, attraverso consulenze periodiche e contatto costante. Bibliografia American Psychiatric Association, (2015). DSM V Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali quinta edizione, trad. it. Milano: Raffaello Cortina. Benedetti F., (2011). Il cervello del paziente - le neuroscienze della relazione medico-paziente. Roma: Giovanni Fioriti Editore. Blundo C. [et al.] (2015). Neuroscienze cliniche del comportamento. Basi neurobiologiche e neuropsicologiche. Elsevier. Dale N., Sonksen P. (2002). "Developmental outcome, including setback, in young children with severe visual impairment". In: Developmental Medicine & Child Neurology, 44: pp. 613-622 Ek U., Fernell E., Jacobson L., Gillberg C. (1998). "Relation between blindness due to retinopathy of prematurity and autistic spectrum disorders: a population-based study". Developmental Medicine & Child Neurology, 40: pp. 297-301 Fazzi E., Rossi M., Signorini S., Rossi G., Bianchi P.E., Lanzi G. (2007). "Leber's congenital amaurosis: is there an autistic component?". Developmental Medicine & Child Neurology, 49: pp. 503-507 Gargiulo M.L. (2005). Il bambino con deficit visivo. Milano: Franco Angeli. Gargiulo, M.L. (2008). "Il bambino con deficit visivo e i genitori. Un approccio cognitivo-evoluzionista". In: Psicobiettivo, 28(3), pp. 117-129. Gargiulo M.L., Dadone, V. (2009). Crescere toccando. Milano: Franco Angeli. Gargiulo M.L., (2011). "Psicologia e disabilit� visiva". In: Tiflologia per l'integrazione, 21(2), pp. 84-97. Gargiulo M.L. (2012). "La valutazione di efficacia nei trattamenti". In: Il bollettino Angsa, ONLUS, XXIII(1), pp. 17-21. Gargiulo M.L. (2015). "Bambini con deficit visivo e disturbi dello spettro autistico". In: Tiflologia per l'integrazione, 25(2), pp. 79-87. Gargiulo M.L. (2015). "Nuovi approcci per bambini con deficit visivo e disturbi dello spettro autistico". In: "Persone con minorazioni aggiuntive. Testimonianze - azioni - prospettive", atti delle giornate seminariali 2014-2015, a cura dell'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti Onlus, p. 77-82. Gense M., Gense D.J, (2005). Autism Spectrum and visual Impairment. New York: AFB Press. Istituto Superiore di Sanit� (2011). Il trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli adolescenti. Linea guida n 21. Howlin P., Baron-Cohen S., Hadwin J. (1999). Teoria della mente e autismo - insegnare a comprendere gli stati psichici dell'altro. Trento: Erickson. Parr J.R., Dale N.J., Shaffer L.M., Salt A.T. (2010). "Social communication difficulties and autism spectrum disorder in young children with optic nerve hypoplasia and/or septo-optic dysplasia". Developmental Medicine & Child Neurology, 52: pp. 917-921. Sundberg M.L., (2012). VB Mapp Manuale, edizione Italiana a cura di Moderato P., Copelli C. Vannini Editoria Scientifica. Sundberg M.L., (2012). VB Mapp Protocollo, edizione Italiana a cura di Moderato P., Copelli C. Vannini Editoria Scientifica. Maria Luisa Gargiulo (psicologa e psicoterapeuta) Alba Arezzo (assistente alla comunicazione tiflodidattica) Pedagogia Il rilancio della tiflologia: un obiettivo possibile, di Gianluca Rapisarda (pagine in nero 148-155) - Rilanciare oggi le discipline tiflologiche significa migliorare la qualit� dell'integrazione scolastica degli alunni con disabilit� visiva. - In Italia la condizione dei ciechi nel passato non era differente da quella del resto d'Europa. Nel 1818, sulle orme che Valentin Ha�y tracci� in Francia, nasceva a Napoli l'ospizio per ciechi per opera di Giuseppe e Lucia Santi, nel quale venne accolto a scopo educativo un primo nucleo di ragazzi e ragazze privi della vista. L'enorme successo raggiunto dall'opera di Valentin Ha�y in Francia e in Europa stimolava in senso positivo l'immaginazione ed il sentimento dei filantropi illuminati, cos� anche in Italia si cominci� a prospettare l'assistenza ai ciechi come fenomeno di protezione sociale. Nel 1838 sorgeva a Padova il Configliachi, il secondo istituto per ciechi in Italia e nel 1840 l'iniziativa di un gruppo di filantropi guidati da mons. Luigi Vitali dava origine a Milano a un grande istituto che accoglieva fanciulli ciechi della Lombardia e del Veneto e che divenne ben presto il pi� cospicuo grazie alla larga munificenza cittadina. Da allora in poi, un po' ovunque in Italia si diffusero istituzioni pro ciechi, il cui carattere e le cui finalit� rimanevano vincolati a un impegno prettamente assistenziale; la minorazione visiva veniva considerata come un impedimento insuperabile verso l'acquisizione di concrete forme di cultura e di conoscenze adeguate della realt� circostante. Il privo della vista veniva rappresentato, non solo dall'immaginazione popolare, ma anche e soprattutto dalle autorevoli voci di qualificate correnti psicologiche e fisiologiche, come un essere ai margini della normalit�, confinato in un mondo privo di forme e di dimensioni. L'educazione che vigeva nei primi istituti era improntata pi� ad un senso di pietosa assistenza che alla consapevolezza di preparare uomini da inserire tra gli altri uomini. La didattica non poteva che essere impostata su un insegnamento nozionistico di poche e frammentarie informazioni selezionate tra quelle che avrebbero potuto facilmente essere affidate alla memoria, senza dover ricorrere alla faticosa sperimentazione, alla ricerca, all'osservazione. Quando Louis Braille perfezion� la scrittura tattile e, conseguentemente, la lettura fondata sullo stesso metodo, le scuole andavano gradualmente verso l'adozione di quel metodo di scrittura e di lettura; nonostante ci� non si riusc� ad oltrepassare il puro e semplice insegnamento nozionistico forse anche perch� i tempi non erano maturi per una profonda rivoluzione pedagogica. La scuola in generale era ferma su quei principi e i fermenti proposti dal pensiero e dall'opera di grandi pedagogisti, come la Montessori, le sorelle Agazzi, Decroly e Piaget restavano soltanto motivi di discussione teorica o di realizzazioni singole in centri particolarmente fortunati. A ci� si aggiunga che il Codice Civile dello Stato Italiano del 1865 aveva sancito l'inabilit� dei ciechi a provvedere alle proprie cose, fatta eccezione per chi fosse dichiarato abile in tal senso da una testimonianza in giudizio da parte dei propri familiari. Una svolta a questa situazione si ebbe quando la capacit� organizzativa dei ciechi port� il 26 Ottobre del 1920 alla fondazione dell'Unione Italiana Ciechi a Genova ad opera di Aurelio Nicolodi. Il Novecento pu� dunque essere ritenuto il periodo del passaggio dall'assistenza dei ciechi alla loro istruzione. Nel 1923, con la riforma Gentile, furono emanati provvedimenti e norme per l'istruzione elementare obbligatoria: il RD 2841/1923 decretava il passaggio da ospizi per ciechi a istituti scolastici, da soggetti di assistenza a soggetti di educazione; con il RD 3126/23 l'istruzione per i fanciulli ciechi diveniva obbligatoria. Il passaggio dal concetto di istituto come ricovero assistenziale a quello di ente di istruzione era avviato. Molto significativo era l'art. 1 dell'O.M. del 27 giugno del 1924, dove si leggeva: "L'obbligo si assolve nelle scuole private o paterne, negli istituti dei ciechi all'uopo designati e presso le pubbliche scuole elementari dove gli alunni ciechi debbono essere ammessi dalla quarta elementare". Qui si ritrova il primo e fondamentale incunabolo dell'integrazione scolastica dei ragazzi ciechi nella scuola di tutti. Nel 1925, con il RD 2483, a Roma veniva fondato l'Istituto "Romagnoli". Esso costituiva la prima "scuola di metodo" per gli educatori dei ciechi del nostro paese. Tale "lungimirante" ed innovativa istituzione avr� come suo primo direttore ovviamente Augusto Romagnoli e ricoprir� per diversi decenni in Italia un ruolo centrale nella consulenza tiflodidattica e nell'orientamento professionale degli educatori dei privi della vista. Il contributo di Romagnoli al progresso dell'istruzione dei ciechi appare indubbiamente fondamentale e ancora oggi tale da farlo considerare il fondatore della tiflologia in Italia e tale da promuovere su di lui nuovi studi e ricerche. Si tratta di un contributo concreto, concentrato a focalizzare l'attenzione sociale sull'educabilit� dei privi della vista e ad invitare i non vedenti stessi a partire dalle proprie responsabilit�. Romagnoli, inoltre, pensava che "l'ideale sarebbe che i ragazzi ciechi venissero educati coi loro compagni vedenti". Tuttavia, tali embrionali esperienze d'integrazione sarebbero ben presto tramontate. Infatti, con il varo della legge 1463 del 26 ottobre 1952, che ai sensi dell'art. 1 prevede, per i fanciulli ciechi, l'obbligo di frequentare la scuola speciale, nacquero appunto le cosiddette "scuole speciali". Tale norma, bench� si ispiri ad una verit� pedagogica che anche la Corte Costituzionale ha riconosciuto come ineccepibile, applicata alla lettera, ha invece favorito, di l� dalle intenzioni del legislatore, il dilatarsi dei mali interni agli Istituti, provocandone l'appiattimento e l'involuzione. Augusto Romagnoli, in "Ragazzi ciechi", aveva auspicato, fin dal 1924, che maturassero i tempi per l'integrazione dei fanciulli ciechi nella scuola ordinaria. Gli istituti, invece, si mossero fuori da questo spirito e dopo l'istituzione della scuola media dell'obbligo con la legge 1859 del 31 dicembre 1962, pur rimanendo importanti "baluardi" per l'accesso alla cultura e l'inserimento professionale dei non vedenti (grazie allo svolgimento di attivit� manuali, all'insegnamento del Braille, della musica, di tecniche di mobilit� ed orientamento e di educazione motoria), dilatarono ulteriormente l'internato. Accadde cos� che nel 1968 qualcuno pot� accusarli di essere "ghetti" o "gabbie dorate". La tempesta sessantottina s'abbatt� sulle scuole speciali, accusandole di rappresentare un sistema chiuso, un libro uguale per tutti. I docenti spesso erano ciechi, i direttori erano ciechi: un mondo autosufficiente che dava una risposta ai bisogni solo dei ciechi. Naturale e scontata conseguenza di questa "ventata" rivoluzionaria fu la chiusura delle scuole speciali per ciechi, disposta con la legge 360 dell'11 maggio del 1976, cui segu� l'anno dopo la legge 517 che introdusse in Italia il principio dell'integrazione scolastica degli alunni portatori d'handicap nella scuola "normale". La 517 del '77 inoltre prevedeva per gli studenti disabili l'assoluta e "storica" novit� della presenza dell'insegnante di sostegno nella scuola di tutti che ancora oggi, seppure con enormi difficolt�, continua a rappresentare una conquista di civilt� ed una svolta storica della moderna pedagogia italiana. Ma, come sopra accennato, a quasi quarant'anni dalla 517, il sistema del sostegno degli alunni minorati della vista presenta ancora delle forti criticit� ed � ben lungi dall'assicurare e garantire ai nostri ragazzi una piena ed effettiva inclusione scolastica. Ci� dipende dalle ambiguit� e precariet� che caratterizzano il ruolo, la funzione e la formazione degli insegnanti di sostegno, dall'inadeguata e scadente preparazione degli assistenti all'educazione e comunicazione (di cui all'art. 13 della legge 104 del 1992), ma soprattutto dalla grande confusione che riguarda la figura del Tiflologo. A proposito della non idonea e modesta preparazione dei docenti di sostegno sulla disabilit� visiva, grazie alla pressoch� maggioritaria presenza nella scuola normale di disabili con ritardi di apprendimento, negli ultimi decenni, si � andata affermando una formazione, centrata senz'altro sulle tematiche relative alla disabilit�, ma con una impostazione sempre pi� "generalista" e sempre meno attenta ai bisogni specifici derivanti dalle diverse tipologie di disabilit�. Troppo spesso, ormai, capita di imbattersi desolatamente in insegnanti di sostegno di alunni ciechi che poco o nulla sanno di tiflopedagogia e tiflodidattica e che, cosa ancora pi� disdicevole, non conoscono neppure il Braille e la tifloinformatica. Di recente, per ovviare e scongiurare tali deficienze del "sistema", la FAND e la FISH hanno presentato una proposta di legge mirante all'istituzione di un ruolo "ordinario" del sostegno, con una formazione universitaria "specifica" sulle singole disabilit�. Il considerare i tiflologi dei veri e propri "Carneadi" e la "dispersione" delle loro competenze tiflopedagogiche e tiflodidattiche sono invece da ricercarsi nel fatto che l'Istituto Romagnoli di Roma, senza pi� il suo fondatore, Augusto Romagnoli, prematuramente scomparso nel 1948, � diventato sempre meno autorevole, incapace di continuare ad essere il punto di riferimento ed il "presidio" dell'indagine scientifica, della sperimentazione didattica e metodologica e della ricerca tiflologica a favore dei non vedenti ed ipovedenti, non esercitando pi� nessun "appeal" sull'intelligentia e sul mondo universitario ed iniziando una crisi lenta ma inesorabile, fino alla sua chiusura definitiva negli anni novanta. Porsi il problema relativo alle funzioni del "tiflologo" nella spinosa tematica concernente l'istruzione dei ragazzi minorati della vista, oggi, a molti potrebbe sembrare, se non un "problema inventato", certamente una questione oziosa, quasi un gioco di pedagogisti sfaccendati o, comunque, collocati fuori della realt� storica. Io ritengo invece che la tiflologia non costituisca una scienza di pochi eletti, di un circoscritto numero di iniziati, ma si prospetta come un capitolo della pi� vasta pedagogia. I problemi relativi all'inclusione degli allievi disabili visivi, quindi, sono oggi questioni che non appartengono pi�, come in un triste passato non troppo remoto, esclusivamente a chi non vede ed alla sua famiglia ma richiedono interventi oculati ed accorti di tutta la collettivit�. Per tutti questi motivi, abbiamo assoluto bisogno di una ripresa e di un rilancio della tiflologia. A mio modesto avviso, sotto il profilo pedagogico, la sua possibilit� di esistere ancora e le prospettive di un suo rinverdimento e di un suo rinvigorimento, sussistono per almeno due ordini di riflessioni: in primo luogo, perch� dalla didattica differenziata, da quella speciale, e nella fattispecie della cecit�, dalla tiflopedagogia e dalla tiflodidattica non si pu� prescindere neppure quando l'educazione dei ragazzi ciechi si svolge nella scuola ordinaria. Un imperdonabile errore che si commette nel nostro tempo consiste nel contrapporre l'inclusione all'educazione specializzata che, invece, si integrano, non si elidono l'una con l'altra. In secondo luogo perch� le istituzioni pro ciechi, rinnovandosi, possono costituirsi come "centri di risorse", deputati all'erogazione di quei servizi tiflopedagogici che gli enti locali, le Regioni, ma spesso anche lo Stato, non sono in grado di fornire per mancanza di preparazione specifica. Di fronte a tali carenze del sistema nazionale d'istruzione, l'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ed i suoi Enti collegati non sono stati a guardare e si sono invece adoperati con tutte le loro energie e le risorse economiche disponibili per dar vita a "centri di servizio" a supporto della scuola "comune". Trattasi dei cosiddetti "Centri di Consulenza Tiflodidattica" (CCT), istituiti dalla Federazione Nazionale delle Istituzioni Pro Ciechi e dalla Biblioteca italiana per i ciechi "Regina Margherita" ai sensi della legge 284 del 1997. I nostri CCT sono 17, distribuiti su tutto il territorio nazionale, e si prefiggono il compito di fornire consulenza tiflodidattica e di far conoscere gli strumenti ed i materiali tiflodidattici agli insegnanti di sostegno, agli operatori scolastici, ai genitori ed agli alunni della scuola di ogni ordine e grado. Dunque, il vero problema del sostegno degli allievi disabili visivi in Italia non sta nella mancanza di "centri di supporto" alla scuola, che ci sono e sono anche parecchi, quanto piuttosto nella totale assenza di una loro "visione d'insieme", di un loro fattivo e sinergico collegamento, elementi che sarebbero al contrario indispensabili per un proficuo processo di inclusione dei nostri ragazzi nella scuola "normale". Al riguardo, su proposta del Presidente Nazionale dell'UICI Mario Barbuto, nella consapevolezza di dover fugare a tutti i costi tentativi maldestri di anacronistici e pericolosi ritorni a "fantomatiche" scuole speciali per alunni ciechi e che l'attuale sistema del sostegno scolastico ha impellente necessit� di un supporto, la Federazione Nazionale delle Istituzioni Pro Ciechi ha recentemente deliberato di costituire un "coordinamento" tra tutti i nostri centri di consulenza tiflodidattica, gli Istituti per ciechi pi� rappresentativi in Italia (Genova, Milano, Trieste, Bologna, Assisi e Roma), le sedi provinciali dell'I.Ri.Fo.R., nonch� le Facolt� di Scienze della Formazione ed i CTD ed i CTS territoriali eventualmente interessati, per dare vita ad una vera e propria "authority dell'inclusione". Con la "messa in rete" delle strutture di cui sopra e con la costituzione della sopracitata "Authority dell'inclusione", la Federazione intende porre fine alla "scolleganza" tra gli Enti dell'UICI, provvedendo ad un pi� equo e razionale utilizzo delle nostre risorse sul territorio, fornendo finalmente una pi� adeguata ed idonea formazione a tutti gli operatori che, a vario titolo, si occupano di sostegno e, soprattutto, garantendo una migliore e pi� efficace inclusione scolastica ai ragazzi minorati della vista. In effetti, ancora oggi, i tiflologi costituiscono i veri e propri "convitati di pietra" dell'inclusione degli alunni privi della vista, mancando di un loro albo e profilo professionale, in quanto tale "figura" � obiettivamente difficile da definire, trattandosi di esperti con competenze psicologiche, ma anche pedagogiche, educative e sociologiche. I "famosi" AEC, istituiti dalla legge 104, invece, non si sono ancora radicati come "figure" del sostegno su tutto il territorio nazionale e comunque, laddove operano gi�, pagano lo scotto di una preparazione fin troppo lacunosa ed improvvisata. L'"Authority dell'inclusione" dovr� essere guidata da un "board" molto snello, composto da un rappresentante dell'UICI, da uno della Federazione, da uno della BIC, da uno dell'I.Ri.Fo.R., da esperti tiflologi e da alcuni docenti universitari di Pedagogia speciale. Il suo principale compito sar� quello di definire e predisporre il percorso formativo ed il profilo professionale delle figure del "Tiflologo" e dell'Assistente all'educazione ed alla comunicazione. Da questo punto di vista, il percorso pi� "virtuoso" e corretto mi pare essere quello gi� avviato e voluto fortemente dal nostro Presidente Barbuto, con l'organizzazione di un master universitario in Typhlology Skilled Educator (esperto in scienze tiflologiche), avente il patrocinio dell'I.Ri.Fo.R. e che, da esperienza "pilota" nel Molise, va generalizzato ed esteso in tutta Italia. Il nostro ambizioso obiettivo � di stipulare una Convenzione con il MIUR entro la fine dell'estate, perch� il nuovo organismo dell'"authority dell'inclusione" venga accreditato e riconosciuto ufficialmente dal Ministero e possa godere dunque di una sua "autorevolezza" anche nel mondo scientifico ed universitario e nel sistema educativo e formativo. Solo cos� potremo "imporre" alle Regioni, cui compete l'assistenza scolastica e/o postscolastica domiciliare, di "obbligare" le cooperative e gli Enti che erogano tale servizio ad avvalersi dei sopramenzionati "esperti in scienze tiflologiche" come operatori del sostegno, aventi tra l'altro una formazione finalmente adeguata ed una "specializzazione" sulla minorazione visiva. Infatti, il Typhlology Skilled Educator potrebbe trovare impiego nei nostri "centri di consulenza tiflodidattica", nei CTS come responsabile degli "sportelli tiflologici" (la cui apertura l'"Authority" dovr� pretendere) e nelle scuole come "figura" di supporto al consiglio di classe per promuovere un autentico processo inclusivo degli studenti minorati della vista. Gianluca Rapisarda (direttore I.Ri.Fo.R') Classici della Tiflologia Dinamica dell'apprendimento e sviluppo dell'immaginazione nei fanciulli della scuola primaria, di Orfeo Ferri (Tratto da: Luce con luce. Rivista trimestrale dell'Istituto statale "Augusto Romagnoli" di specializzazione per gli educatori dei minorati della vista, a. 9 (1965), n. 2, pp. 24-33) (pagine in ero 156-165) - L'autore illustra alcuni errori frequenti nelle metodologie didattiche rivolte ad alunni con disabilit� visiva. - Dopo decenni di sforzi onde attuare una continua, vigile, consapevole, costruttiva riforma di una metodologia e di una didattica sempre pi� aderenti alle necessit� spirituali e fisiche per uno sviluppo armonico della personalit� del bambino, ancora oggi, talvolta, si ha occasione di dover constatare anche presso maestri specializzati e dotati di buone qualit� professionali, l'errore di una scuola intimamente statica e quindi non del tutto efficiente, di una scuola teoricamente aggiornata circa il contenuto delle discipline impartite, ma in pratica non strumentalmente provveduta e perci� inidonea a rendere spontaneo, agevole, efficace, assai vicino alla mente del bambino tutto quanto in classe costituisce materia d'insegnamento. La durata delle singole lezioni, l'ordine con il quale esse si succedono, il costante, vivo, spontaneo riferimento al dato concreto, specie nel primo ciclo e laddove si siano accertate lacune della sfera immaginativa, sono tutti elementi che condizionano un reale progresso del processo conoscitivo del fanciullo, configurandosi essi non tanto come strutturazioni temporali pure e semplici, quanto invece come concatenamento delle differenti materie scolastiche e delle giornate che compongono il lavoro e lo sforzo di una settimana, di un mese, di un trimestre, di un periodo completo di attivit�. L'apprendimento, specie per alunni della scuola primaria, si configura come un unico atto conoscitivo e ci�, da una parte, a causa della natura medesima del sapere in genere, dell'istruzione, della scienza, della conoscenza umana, e dall'altra, per la necessit� manifesta che presenta in s� il bambino di essere aiutato e sostenuto, guidato ed educato a compiere le complesse operazioni mentali del conoscere essenzialmente come un atto unitario, come una sintesi della intelligenza, e non come povera e infeconda addizione di isolati dati della propria esperienza. Ricucire insieme, alla buona, gli svariati elementi della conoscenza rilevati qua e l� dal ragazzo in classe, porre tali reperti insaccati nella mente dello scolaretto senza ricordarsi che egli � l'interessato principale, il protagonista del lavoro intellettuale che l'insegnante suscita e promuove; valicare magari le frontiere dell'ora regolamentare di lezione proprio perch� l'argomento � assai denso e ricco di sapere, non tenendo conto della capacit� di resistenza fisica e mentale, delle reali e individuali possibilit� di ogni alunno; tutto ci� significa assoggettare paurosamente e con grande danno la scuola a delle marce forzate che effettivamente finiscono con l'uccidere, dopo averla mortificata, la personalit� dei ragazzi. Pertanto, la memoria, la consueta distanza che pu� esistere tra fanciullo e maestro, gli automatismi fisici, psichici, intellettuali facilmente riescono a tradire e ad alterare il livello d'intelligibilit� e di profitto di ciascuno scolaro, ingannando docente, e quel che � pi� grave, discente. Nel caso di intelligenze normali, � un errore credere che una prolungata ripetizione verbale e uno svolgimento assai particolareggiato e analitico della materia trattata possano risultare pi� efficaci di una lezione fatta essenzialmente di intuizioni fondamentali, ravvivate e assimilate mediante la variet� delle esperienze e di riferimenti pratici ad altre discipline, il tutto attuato con la partecipazione diretta del fanciullo. Il particolare, quando in s�, intrinsecamente, non abbia la funzione specifica di dare una determinata e precisa caratteristica all'insieme, disturba effettivamente alla mente che apprende, come, del resto, impedirebbe all'occhio di chi guarda o alla mano di chi tocca di cogliere la visione d'insieme, la sintesi tattile di una immagine, di un luogo, di una scena. La sintesi che rimane pur sempre a fondamento di ogni operazione intellettuale nel processo conoscitivo � da attendersi e da prevedere come finalit� ultima anche a livello della sincresi. Soltanto una tale prospettiva pu� dare validit� ai contenuti o elementi del sapere che vengono comunicati via via al bambino con una gradualit� nella nostra scuola spesso astratta, fondata su schemi costruiti dall'adulto secondo la propria mentalit�, i propri interessi, pregi e difetti. Il maestro mai pu� illudersi di poter trascurare la personalit� di ogni singolo alunno, foggiando per suo uso e consumo un tipo, non sempre ideale, al quale ricorrere ogni qual volta i conti non tornano! N� d'altro canto pu� illudersi di poter senza danno prolungare nel tempo l'attenzione, la buona disposizione, la freschezza, la spontaneit�, l'interesse del fanciullo stesso. Alcune esemplificazioni che non debbono suonare minimamente di offesa per nessun uomo di scuola serviranno molto bene a chiarire il pensiero qui esposto. 1. Nella prima ora vengono corretti i compiti di aritmetica. Nella ultima ora di lezione si fa ancora aritmetica e geometria. 2. Tema in classe; correzione del tema e ultima bella stesura del tema. Quattro ore piene piene, completamente dedite a una unica e sola attivit� intellettuale per eccellenza, il comporre, attivit� astratta nel senso migliore del termine, quieta, sedentaria. Forse che il tema, quel tema, dato il giorno dopo, o magari qualche tempo dopo, non sarebbe stato un pi� genuino e immediato prodotto della intelligenza del ragazzo? Forse che nella scuola primaria dei ciechi un pizzico di una disciplina diciamo pure pratica (disegno, moto in cortile o fuori delle mura della scuola, orientamento non soltanto sulla cartina, il toccare un modello non mai conosciuto etc.) avrebbe poi guastato l'innegabile monotonia di un'intera mattinata spesa tutta quanta sulla grave solennit� di un tema storico certo un poco lontano dal tempo e dalla mentalit� irrequieta e giovanile dell'alunno? 3. Prima e seconda ora dettatura e spiegazione di appunti su monumenti e luoghi interessanti della citt� capoluogo, svuotando con un cos� manifesto errore psicologico e di didattica un argomento tanto suggestivo e importante anche per i fanciulli ciechi. Nozionismo turistico con scarsa finalit� educativa. Terza ora di scuola: esercitazione analitica, troppo particolareggiata, per lo pi� non riferita a esperienza diretta, sulla carta topografica del capoluogo. Gli alunni sulla pianta della citt� si orizzontano ottimamente pure non avendo, per�, percorse le molte strade che individuano e nominano giusto. Inoltre, � necessario essere obiettivi, qualcuno degli alunni non � ancora padrone dei luoghi della sua scuola dove vive da anni. 4. Prima ora, si dettano appunti di grammatica (siamo nella scuola elementare); seconda ora, si fanno applicazioni pratiche delle note scritte precedentemente. 5. Terza ora, geografia. Quarta ora, esercitazioni di topografia su cartina. Ora, questi esempi presi a caso tra tutti quelli che ricorrono pi� vivi e pi� di frequente nella mia passata esperienza di scuola, sono la dimostrazione pratica degli errori d'impostazione denunciati sopra; errori che debbono mettere in guardia specialmente maestri ed educatori della scuola dei ciechi, affinch� non s'indulga in situazioni statiche di apprendimento che aumenterebbero considerevolmente il peso, le difficolt� della cecit� e le lacune psicologiche in campo immaginativo e ideativo che ne conseguono. Anche il fanciullo pi� normale, quando sia minorato della vista, se non bene educato a superare consapevolmente la tendenza pericolosa all'astrazione, all'immobilit� fisica e immaginativa, alla parola, discorso, pensiero, giudizio espressi soltanto nell'intelletto senza il concorso della immaginazione e della fantasia, soccombe, dopo aver mortificato irreparabilmente, pure senza volerlo, la sua personalit� imprigionata, indebolita in atti di conoscenza manchi, non completi, non efficienti. Ciascuno di noi, fanciullo o maturo negli anni, non vede praticamente al di l� della propria mente, dei propri sentimenti, della propria coscienza se non � spronato da motivi che favorevolmente lo muovano, sollecitino a uscir ogni momento fuori di se stesso. Questo moto interiore verso l'esterno, nel fanciullo che non vede, va piuttosto esagerato con la variet� di argomenti nell'ambito di una stessa materia scolastica, va fecondato con esperienze dirette che veramente parlino un linguaggio vivo e palpitante alla immaginazione (immaginazione creatrice, fantasia costruttrice, atto dello spirito, processo conoscitivo del soggetto), pi� che alla memoria, la quale facilmente nel non vedente prende il sopravvento, come altrettanto facilmente nel bimbo comune prende piede l'immagine visiva. Questa ultima infatti agevolmente, spontaneamente, naturalmente si compone in un tutto ed esplica, diciamo cos�, il suo compito di nutrire in qualche modo la mente, ridestandone volta a volta i centri d'interesse, senza richiedere troppo o sforzi eccessivi al ragazzo. Non � cos� invece per il cieco, lo sappiamo bene! In lui l'osmosi di particelle vitali e d'intelligenza destinate a trasformarsi in cultura personale, � assai pi� laboriosa e complessa, molto pi� delicata e soggetta a non sempre ponderabili modificazioni: basta il non richiamare spesso alla mente lo schema tattile rappresentato graficamente di quell'oggetto o l'insieme di un luogo o di una figura geometrica, per produrre il vuoto nella mente e dover cos� ricominciare da capo, nella migliore delle ipotesi. Infatti il maestro ha coscienza di queste lacune solo quando egli riesce a mantenersi sempre vigile e aperto, sincero con se stesso e disposto a riconoscere umilmente le sue possibili limitazioni in uno o in un altro campo. Ci� porr� il docente in condizione di studiare, di aggiornarsi, e anche aggiungerei, di essere aiutato da qualche altro collega. Il pericolo d'infruttuose dispersioni delle migliori energie degli alunni, causato da un'incauta e poco equilibrata distribuzione didattica del lavoro di classe al mattino - durata e successione delle differenti lezioni - � in stretta relazione metodologica sia alla intrinseca povert� del dato conoscitivo visto isolatamente, sia alla frequente mancata esperienza diretta del fanciullo stesso circa concetti, princ�pi, criteri spesso ricorrenti, i quali nella scuola comune dei vedenti sono di continuo ravvivati e resi concreti e operanti nel processo dell'apprendimento mediante schematizzazioni ed esemplificazioni grafiche o su lavagna o rilevate semplicemente dalle numerosissime illustrazioni del libro di testo, da filmine, tavole murarie etc.. Idoleggiare il particolarismo del sapere nei singoli dati conoscitivi che ne formano il sustrato umano e obiettivo, significa soffermarsi troppo o troppo poco su un argomento di lezione. Si rifletta agli esempi seguenti che non debbono essere considerati puri termini statistici di una inchiesta didattica n� tanto meno una classificazione esauriente e completa degli errori metodologici che si possono riscontrare, senza colpa e cattiva volont� di alcun maestro, nella scuola operante e viva di tutti i giorni. 1. Geografia - Sono occorsi due trimestri per uno studio particolareggiato, minuzioso delle Alpi d'Italia, studio sia pure mai effettuato mnemonicamente, ma per lo pi� su plastici, cartine geografiche, arricchito di giochi di movimento all'aperto e di schematizzazioni le pi� disparate e atte a tener viva l'immaginazione. 2. Lingua italiana e grammatica - Distinzioni, classificazioni delle parti del discorso, coniugazioni per esteso di verbi regolari: il tutto a non finire, quando gi� si � sufficientemente accertato che gli alunni sono ormai in grado di poter agevolmente cogliere e discriminare le differenze grammaticali tra parola e parola. Siffatto stillicidio che ruba tempo prezioso alla lettura espressiva, alla recitazione, al dettato ortografico, al copiato, talvolta assai utile per rompere il ghiaccio di certi reiterati errori dello scriver bene, non giova evidentemente alle menti povere di immaginazione quali quelle dei fanciulli ciechi. 3. Storia - Studio e ripetizione mnemonica di tale o talaltro episodio. Tutti i fatti comprendenti un intero periodo storico sono visti, ritenuti e riferiti dal ragazzo come racconti o episodi staccati. Cos� pure i personaggi sono pensati e fantasticati nel ristretto ambito della loro azione personale e delle gesta eroiche individuali. 4. Educazione della mano - Nel riconoscimento delle forme, attivit� da intensificarsi seriamente e senza limitazioni di nessun genere nella maggior parte delle scuole elementari dei ciechi, ancora oggi non ci si adopera con ogni cura onde porre e far porre in evidenza soprattutto l'essenziale e quindi l'idea d'insieme, lasciando di conseguenza che l'alunno riconosca un oggetto soltanto dalla struttura limitata di un particolare. Cos� pure, sempre in ossequio a questo falso principio psicologico e didattico, nella copiatura anche troppo fedele di contorni geografici o di motivi ornamentali l'alunno non ritrova mai la strada giusta e il momento propizio per staccarsi dal modello e procedere secondo il proprio schietto livello intellettuale e immaginativo, senza dover ingannare s� e gli altri. Ovviamente, da parte del maestro, la scarsa pazienza del saper attendere, una mano poco discreta nel rispetto scrupoloso della personalit� e delle effettive capacit� degli alunni meno dotati e lenti, contribuiscono notevolmente ad aggravare lo stato d'insufficienza del ragazzo cieco in campo pratico e nel precipuo dominio della immaginazione. Ora, dunque, se i rari esperimenti di scienze non sono posti in intima relazione con la generale visione del reale, partendo dal filo d'erba dimenticato, che cresce calpestato ai margini della strada, fino a giungere alla mirabile concezione e vista dell'universo con le sue innumeri galassie e stelle; se gli episodi particolari di tutto un periodo storico non vengono collegati da un'idea unica e unitaria, che magari pu� pure consistere in quella generica della propria umanit� proiettata nel tempo, idea unitaria sia pure appena accennata e sviluppata, ma richiamata discretamente, spesso, in forma piana, accessibile al bambino; se le parti grammaticali e sintattiche del discorso e del periodo non sono spontaneamente assimilate e diciamo cos� obliate nella bellezza di un brano poetico o di una bella prosa; se la mano del fanciullo non � bene educata molto per tempo a cogliere, sia pure dopo molti tentativi, l'idea d'insieme e a saper osservare con ordine, liberamente, con intelligenza forme conosciute e nuove cos� da riprodurne alla svelta senza modello lo schema vivo nella sua immaginazione; se il maestro, infine, non attua sinceramente e con arte tutti questi presupposti strettamente connessi a criteri di pedagogia e psicologia generale oltre che speciale, egli non sar� mai in condizioni di raggiungere risultati che effettivamente giovino a formare nel bambino una personalit� ricca e armonica. Come ho gi� detto, facilmente la memoria e quindi una ripetizione puramente verbale e pedissequa ben presto rivelerebbero l'infondatezza, l'inefficienza di una metodologia e di una didattica che operano distaccate dai problemi vitali e dalle reali difficolt� che in ogni momento attraversano il bambino che non vede. Gli automatismi che di solito funzionano da valvole di sicurezza di fronte all'eccessivo affaticamento del fanciullo normale, possono tradursi talvolta in paludamenti ingannevoli della personalit� dello scolaro, proprio quando con amore e grande rispetto verso un'umanit� depauperata di un senso tanto importante come quello della vista, cerchiamo di scoprire le lacune dove si richiede veramente l'opera dell'educatore provetto. Il particolarismo del dato conoscitivo, in qualunque ramo o materia d'insegnamento sussista, dev'essere evitato e combattuto, specialmente nella scuola primaria nella quale l'opera di ogni maestro � essenzialmente formativa e perci� stesso educativa. Pertanto, il lasciarsi prender la mano da un eccessivo amore per il particolare nell'ambito precipuo della istruzione primaria dei ciechi, � ancora pi� grave, giacch� tale statica ed errata posizione metodologica d� di gran lunga maggiore risalto, accentua ognora di pi� e favorisce i difetti o tendenze all'astratto, alla analisi, alla fissazione dell'attenzione da parte del fanciullo sul particolare, piuttosto che sull'idea e visione d'insieme. In un tale clima pedagogico a poco a poco si affievolisce e addirittura pu� scomparire la curiosit� o il desiderio di ricerca del nuovo, attuato e appagato in esperienze dirette e personali che costano senza dubbio sforzo e fatica e che soddisfano lo spirito d'iniziativa, la vivacit�, l'intuito di intelligenze normali fra fanciulli vedenti, ed eccezionali, o per dir meglio, bene dotate tra soggetti non vedenti. � necessario perci� alimentare di continuo l'immaginazione del privo della vista con una saggia, equilibrata educazione, dove ogni eventualit� per proiettarsi all'esterno deve divenire una preziosa occasione onde far assimilare senza salti immagini, favorendo cos� il processo di apprendimento su un terreno pratico, attivo e concreto. Gli esempi di errori causati da una frequente, mancata esperienza diretta del fanciullo cieco sono moltissimi ed essi si potrebbero rilevare semplicemente anche in qualsiasi momento delle abituali attivit� della scolaresca. 1. Aritmetica e geometria - Quante volte per economia di tempo il maestro non riesce a trovare il modo per accertarsi obiettivamente se quel determinato elemento di geometria a ciascun alunno risulti tanto chiaro da poter essere reso rapidamente in un disegno o magari in una precisa indicazione estemporanea realizzata con il moto dell'indice sulla superficie del proprio banco! Si nomina e si rammenta di frequente, durante tutto l'anno scolastico, l'apotema oppure il numero fisso relativamente a questo o quel poligono, il 3,14 relativamente al cerchio, il rombo, il romboide etc. etc. � in grado ciascun alunno della classe di richiamare concretamente alla sua immaginazione e quindi di rappresentare mediante il disegno o un gesto preciso quanto viene enunciato verbalmente? Non possiamo dimenticare che le classi sono sempre esigue e che in ogni caso il numero degli alunni non pu� mai esser superiore a 15. Un tale argomento rende inclini a pensare che � materialmente impossibile non curare a parte ogni fanciullo. 2. Scienze - I numerosi princ�pi e criteri cui si accenna per sommi capi nelle scienze fisiche e naturali raramente sono suffragati, illustrati da esperienze dirette fatte in classe: tali esperimentazioni, anzi, sono da considerarsi nella scuola ancora veri e propri avvenimenti solenni, tappe memorabili del consueto iter scolastico. L'accenno e lo studio delle pi� elementari e fondamentali funzioni dei principali organi del corpo umano, la rapida rassegna di qualche capitolo delle scienze naturali solo eccezionalmente vengono associati alla conoscenza diretta, tattile, di modelli, di campioni ad esempio di rocce, minerali, fossili, alla visita di fabbriche, stabilimenti, officine etc. etc. e alla ricerca effettuata dal ragazzo stesso. Talora si tralascia persino un'indispensabile schematizzazione resa possibile con materiale di fortuna alla portata di chiunque. Si d� cos� modo alla memoria puramente verbale di esercitare un incontrastato dominio nella mente povera di immagini e perci� stesso angusta. 3. Storia e geografia - Soprattutto i popoli antichi (Fenici, Egiziani, Assiro-Babilonesi, Ebrei, popoli italici del tempo dell'antica Roma) spessissimo per il fanciullo cieco finiscono col non avere una patria sulla cartina geografica o storico-politica, perch� raramente il maestro si studia di precisare geograficamente (usando di molta pazienza) confini, citt�, fiumi, laghi, nomi di battaglie famose: il tutto viene sbrigativamente e candidamente mandato a memoria perch� forse non si ritiene utile fare esercitazioni pratiche su plastici o magari su cartine improvvisate e costruite dagli stessi alunni. Gli antichi sono troppo lontani per poter giustificare una seria applicazione dei ragazzi di oggi? A parte la celia. Tale maniera astratta di procedere, oltre che favorire pericolosamente nel ragazzo una conoscenza superficiale, puramente mnemonica e verbosa, vuota, inadatta a formare una profonda cultura, non gli potr� fornire in avvenire lo schema di un metodo di ricerca tanto necessario nel processo di apprendimento anche del fanciullo. Infatti tale processo di apprendimento, dopo la scuola primaria, nella media e nella scuola di grado superiore, progressivamente diverr� metodo personale di studio e di conoscenza, metodo di ricerca. 4. Esercitazioni sensoriali - Ancora non viene dato sufficientemente credito a questo particolare tipo di attivit�, cosicch� i dati che al bambino cieco potrebbero venire da un esercizio sistematico, intelligente, quotidiano, esercizio del tatto, udito, percezioni degli ostacoli etc. sono raccolti invece senza un piano preordinato, senza una finalit� chiara e cosciente, essendo tali dati utilizzati soltanto praticamente e limitatamente per azioni necessarie comprese nell'ambito del bisogno e rese ormai abitudinarie e automatizzate al punto che la partecipazione cosciente, l'attenzione, la concentrazione del fanciullo in siffatti atti sono fattori psicologici di entit� assai trascurabile. Tuttavia si pu� facilmente intuire come una migliore e maggiore utilizzazione personale da parte del cieco di dati offertigli dai sensi potrebbe considerevolmente rendere pi� ricca ed efficiente la sua intelligenza, dopo aver fecondato immaginazione e fantasia con elementi nuovi, imponderabili sia pure scarsamente riferibili a rapporti di spazio e di movimento. Ora, la classe � segnatamente la sede pi� adatta perch� le esercitazioni sensoriali possano assumere il carattere di spontaneit� del gioco, pure non venendo meno a un piano preordinato di attivit� particolarmente atto a nutrire e tener desta l'immaginazione di chi non vede. In conclusione, tutti gli errori via via accennati in questo breve scritto che vuole esser una nota di scuola viva, convergono in un unico medesimo punto, il quale in certa guisa, per chi ha cuore e mente, funziona idealmente da comune correttore e guida: � il fanciullo il comune, spirituale centro d'interesse e di cultura degli uomini di scuola. Il fanciullo rimane pur sempre al vertice di ogni nostra riflessione e pensiero, configurandosi per ogni educatore come la misura, l'oggetto verace, il premio stesso dell'atto educativo speso sinceramente a pro degli uomini del domani. Se specchiamo modestamente le nostre anime in quella dei fanciulli a noi affidati, anche il dubbio e l'analisi dell'errore didattico ci parranno meno acerbi, riuscendo a raggiungere in noi quel certo distacco da noi stessi che ci rende lieve e accettevole la correzione. Questo potrebbe in fondo essere il senso pi� intimo della disponibilit� del maestro di ciechi, disponibilit� che ci pu� realmente rendere sinceri educatori. Orfeo Ferri Classici della Tiflologia L'ambiente nell'educazione dei ciechi, di Elena Romagnoli Coletta (Tratto da Luce con luce. Rivista trimestrale della Scuola di Metodo "Augusto Romagnoli" per gli educatori dei ciechi, a. 2 (1958), n. 1, pp. 28-38) (pagine in nero 166-177) - L'ambiente ha una importanza fondamentale nella educazione dei bambini con disabilit� visiva, per la loro formazione completa e armonica. - Nella psicologia concreta del fanciullo l'intuizione del tutto � anteriore alla ricognizione analitica delle parti; cos� la scuola ha il compito di agevolare questo processo naturale partendo dalle prime intuizioni globali per snodarle via via nelle articolazioni di un discorso riflesso. (Premessa ai programmi per le scuole elementari del 1955: II. La via da seguire). Ben diversa � la psicologia concreta del fanciullo cieco. In questo l'intuizione del mondo che lo circonda, anche quando una intuizione vi sia, si limita a una conoscenza analitica disorganica; e il suo discorso non � riflesso e non esprime una conoscenza concreta, ma spesso si riduce a elementari bisogni della vita vegetativa, corrispondenti pi� all'istinto che alla conoscenza reale e al bisogno di esprimere. Ci� avviene non perch� al fanciullo cieco manchi la possibilit� del conoscere e del formulare concetti, ma per la mancanza di stimoli esteriori che gli rendano intuitiva la conoscenza. Se l'ambiente ha per i fanciulli normali l'importanza che gli viene attribuita dai nuovi programmi - e ben a ragione, perch� fa parte della personalit� del fanciullo - molto maggiore importanza acquista nella educazione dei ciechi. Il volume Ragazzi ciechi di Augusto Romagnoli, nel primo capitolo - Le persone che trovai - dice: Vi era qualche cosa di profondamente dolce in quella triste docilit�: ogni bambina era affidata a una grande, la quale ne aveva cura come sorella maggiore, ponendovi tutto l'affetto del suo cuore e traendone cagione d'immensa gioia per ogni progresso, o di accoramento per ogni mancanza. Sorelle minori e maggiori erano poi tutte governate da una suora, loro compagna di ogni momento, quando l'et� e il livello di cultura e di spirito le facevano dimenticare la superiorit� dell'abito e della vista... (Ragazzi ciechi, Zanichelli, 1924, pag. 6) La pi� piccina, Anita, che era la pi� ciarliera, si attentava anche di spiegare il vantaggio della privazione della vista, per essere meno esposti ai pericoli del mondo e per meritare un posto pi� eccellente in Paradiso. (Ragazzi ciechi, pag. 8)). Leggiamo poi nello stesso volume - al capitolo Inizio dell'educazione fisica. Condizioni favorevolissime della villa e delle sue adiacenze-: Pare entrare in quel recinto l'animazione del moto, delle cure e delle ansie comuni, mi sembrava quasi una profanazione, come scoperchiare una tomba. Questo senso di piet� non mi abbandon� mai interamente, e mi fu di remora a non fare danni con la soverchia fretta di svecchiare, per non urtare suscettibilit� spesso eccessive e non mettere a repentaglio fragilit� degne soltanto di riverenza, che l'urto o il biasimo avrebbe offeso, senz'altro frutto. Limitai dunque alle cinque bambine il mio interessamento diretto, e con queste anche trattai come convalescenti di una lunghissima malattia. Bisogna anzitutto appassionarle al moto e al giuoco; il luogo non potrebbe essere pi� propizio... (Ivi, pag. 14). Bisognerebbe riportare tutto il capitolo per vedere come dalla descrizione di un ambiente - diciamo cos� - topografico, nasce la necessit� di studiare per i ciechi l'ambiente in tutte le forme e nella massima estensione della parola. Per ci� che riguarda l'ambiente umano familiare e sociale, nel primo capitolo gi� citato Augusto Romagnoli mostra di annettervi grande importanza. L'interpretazione data all'ambiente dai nuovi programmi era gi� sentita come urgente necessit� nella educazione dei ciechi, appunto perch� la minorazione psicologica conseguente alla minorazione visiva non poteva essere riparata se non con una raffinata e completa intelligenza delle esigenze educative generali. Sicch� i nuovi programmi, con le necessarie circostanziate differenziazioni, trovano per quanto riguarda i princip� entusiastica applicazione nelle scuole dei ciechi, perch� danno all'educatore coscienzioso e pensoso del proprio delicato compito la possibilit� di ricerche e di adattamento ai casi individuali. Vi � - come si pu� immaginare - una differenza tra l'ambiente quale va considerato per i fanciulli normali e quale va considerato per i ciechi. I fanciulli normali vengono alla scuola con un certo patrimonio ambientale che in parte � eredit�, predisposizione, in parte � conoscenza intuitiva, globale. Nel fanciullo cieco, mentre esiste la prima parte - che spesso, per molte ragioni, � negativa o da raddrizzare - manca la ricchezza della conoscenza globale e dello spirito di osservazione conseguente alla curiosit� cos� tipicamente e provvidenzialmente infantile. La pedagogia dei ciechi ha preso un nuovo indirizzo da quando Augusto Romagnoli spinse la sua teoria sulla via della ricerca della conoscenza oggettiva organizzata, come base della formazione della cultura e della personalit� del cieco. Abbiamo nella didattica dei ciechi una forma di educazione, una disciplina - per intenderci - che risponde appunto alle necessit� di abituare il cieco a conoscere e possedere il proprio ambiente: � l'orientamento. Generalmente, la parola orientamento che tanto spesso ricorre negli scritti di Augusto Romagnoli viene presa soltanto nel senso di orientamento nello spazio; ci� non � esatto, sebbene anche l'orientamento nello spazio richieda ai ciechi un lavoro mentale che impegna tutta la loro psiche. La parola orientamento ha per il Romagnoli un significato pi� vasto, cio� di presa di possesso del mondo esterno, come primo contatto e come preparazione all'inserimento del cieco nella vita di tutti, ossia presa di possesso del mondo sociale. L'ambiente nella educazione dei ciechi � da considerarsi soffermandoci su tre punti principali: - conoscenza dell'ambiente di provenienza - ambiente topografico rispondente alle varie necessit� educative - ambiente umano atto a favorire i contatti sociali. Questi tre punti corrispondono a tre elementi importantissimi che dovrebbero realizzarsi negli istituti dei ciechi: - studio dei precedenti familiari - adatti locali, vita all'aperto, materiale didattico - ben preparati educatori. Ho gi� accennato alla differenza tra il patrimonio intuitivo, globale dell'ambiente nel fanciullo vedente e quello del fanciullo cieco. L'acquisizione di conoscenze, di elementi formativi di una personalit� in evoluzione � resa ben difficile al fanciullo cieco, non solo per la mancanza del senso visivo, ma anche - e forse per la maggior parte - per le condizioni materiali e per lo stato psicologico delle famiglie. Mio padre fu il mio primo educatore; era operaio, non aveva la scienza ma nemmeno i pregiudizi degli educatori di professione i quali spesso fanno di un fuscello un vascello. Mi amava e mi faceva partecipare della vita sua: in bottega sapevo usare la sega, la pialla, il compasso; ci� che non poteva farmi toccare me lo descriveva in poche parole. In campagna m'insegnava a camminare da solo vicino a lui e a notare con l'udito la vicinanza di un muro, di una siepe, di un albero, di un fossato; nel fiume m'insegnava a nuotare, quando facevamo il bagno insieme. Se c'era una piazza da attraversare in fretta, mi faceva far la diagonale, dicendomi che la diagonale � la via pi� breve. Il mio secondo educatore fu un compagno, di qualche anno maggiore; giocavamo, correvamo, ruzzolavamo; io mi sforzavo di fare ci� che faceva lui; suo padre non voleva che andasse coi monelli della strada; qualche volta per� ci andavamo insieme. (Pagine vissute, pag. 212). Ho sempre pensato che in questa prima educazione debba ricercarsi la radice di quella eccezionalit� di apertura spirituale e materiale di Augusto Romagnoli di fronte al mondo di tutti. Da una indagine superficiale che ho potuto compiere nei vari istituti di ciechi italiani e da una pi� approfondita compi�ta nella scuola che io dirigo, risulterebbe che gli educandi ciechi provengono per lo pi� da famiglie di condizioni modeste, nelle quali i genitori per necessit� di lavoro sono distolti dalla cura dei figliuoli, sicch� i bambini ciechi o sono lasciati alla cura di altri fratelli piccoli o abbandonati a se stessi con solo un minimo di garanzia di fronte ai pericoli pi� gravi del farsi male. Quando poi i familiari adulti possono occuparsi dei loro bambini ciechi, interviene un fattore psicologico complesso che paralizza ogni effetto educativo: spesso nei genitori si osserva un senso di colpa di fronte al figliuolo minorato; e tale stato d'animo si risolve in una incapacit� a provvedere senza falsa indulgenza ai mezzi per la loro educazione, la quale invece ha bisogno di benevola energia e di capacit� di superamento da parte dell'educatore - pi� ancora che dell'educando - del timore di fronte agli ostacoli materiali. Cos� i fanciulli ciechi vengono viziati per ci� che riguarda la vita vegetativa, mentre restano costretti e imprigionati per quanto si riferisce al bisogno di moto, di attivit�, di aprire l'occhio dell'anima quanto pi� l'occhio corporeo � chiuso alla luce del sole. Ne risulta l'assopimento graduale della iniziale energia fino all'intorpidimento totale; e cos� il bambino � veramente cieco, chiuso alla vita del mondo e a ogni sia pur minima relazione sociale; mentre la relazione genitori-figlio d� a quest'ultimo un primo senso di aver sub�to una ingiustizia e di aver diritto alla piet� per tutta la vita. Questo stato di cose, da noi notato nelle famiglie dei piccoli centri e delle campagne, diviene pi� tragico nelle famiglie agiate e delle grandi citt�, per la ragione che queste sono - salvo lodevoli eccezioni - pi� soggette al rispetto umano e anche perch�, bene o male, nei piccoli centri il contatto con gli altri - con i paesani, con l'ambiente - � agevolato dall'abitudine che hanno tutti i bambini di vivere sulla strada le loro ore di libert�, mentre nelle grandi citt� la vita si riduce nei limiti di un appartamento o, molto spesso purtroppo, di una stanza. Vi sono inoltre spesso precedenti famigliari di natura fisica che aggiungono tare psichiche di maggiore o minore entit� alla minorazione visiva, rendendo pi� lenta e difficile una sana reazione all'ambiente. Si pensi che in questi ultimi anni - parlo sempre di un'esperienza della Scuola di Metodo Augusto Romagnoli - � aumentato il numero degli alunni che hanno pi� di un cieco in famiglia: per l'anno in corso sono 24 su 89, e di questi ve ne sono con due o tre fratelli nelle stesse condizioni, o con genitori, nonni e altri parenti senza la vista. Queste cifre hanno una grande importanza nella considerazione dello stato psicologico della famiglia in seno alla quale si svolge la prima educazione del bambino cieco e dimostrano ampiamente la necessit� che l'educazione dei ciechi si compia almeno durante le classi elementari in convitti bene organizzati. Un'altra indagine che ha il suo peso per la composizione dell'ambiente come risultante dei vari elementi nel nostro istituto della Scuola di Metodo � quella della percentuale dei diversi mestieri o professioni famigliari, da cui provengono gli alunni, portando quel poco di abitudini e di conoscenze che sono state loro consentite dalla maggiore o minore intelligenza delle persone di famiglia. Nel nostro istituto, per l'anno in corso ci troviamo con questa situazione: Contadini (sul proprio o a mezzadria o come braccianti): 46 Braccianti e manovali: 13 Mestieri vari (falegname, muratore, spazzino, operaio gas ecc.): 16 Commercianti (venditore ambulante, oste, fruttivendolo): 4 Piccoli impieghi: 4 Maestri elementari: 1 � evidente l'importanza che l'istituto venga considerato nel suo complesso, non solo come scuola, ma come convitto e scuola insieme, in cui le componenti positive e negative che ogni fanciullo vi porta hanno, nell'intrecciarsi e nell'interferire intelligentemente tra scuola e vita convittuale, la possibilit� di suscitarsi e correggersi vicendevolmente. E veniamo a parlare dell'ambiente esterno, topografico. S'intende che l'ambiente, anche per il fanciullo cieco, non deve essere qualche cosa di artificiale, come si potrebbe pensare dall'accuratezza con cui Augusto Romagnoli descrive "la villa e le sue adiacenze", ma dev'essere predisposto e adattato alle esigenze particolari, che non sono di appianamento di difficolt�, ma se mai di graduazione di difficolt�. Entrando nell'istituto, il bambino cieco spesso inizia solo allora una vita cosciente, e la conquista del mondo esterno deve essere da parte sua preceduta da stimoli analitici che lo muovano all'interesse per una pi� ampia ricerca. Di questa prima predisposizione all'analisi dobbiamo valerci, ma non approfondirla: � come in musica il suonare una nota di passaggio per cadere sulla tonalit� principale. Il fermarsi sull'analisi � un pericolo per una sana educazione. Augusto Romagnoli insiste moltissimo sulla variet� degli stimoli e sull'ampiezza massima da dare all'ambiente, col cambiamento di disposizione di oggetti, di arredi, con i diversi punti di osservazione, ecc.. Non bisogna mai soffermarsi a lungo in uno studio analitico. Se le conoscenze dei fanciulli normali debbono essere molteplici ed estese, molta maggiore estensione deve darsi a quelle dei ciechi per invogliarli alla esplorazione, per far s� che le scoperte di nessi tra le diverse manifestazioni del mondo materiale li portino alla concretezza di immagini e di idee; concretezza che - come ho avuto occasione di dire altra volta - indica una formazione completa e armonica, mentale e sociale. A chi osserva lo svolgersi della vita in un istituto di ciechi in cui chi ne ha la responsabilit� abbia ben compreso l'importanza fondamentale del suo compito, non pu� sfuggire come ogni sistematicit� eccessiva, ogni divisione per materie dell'insegnamento non solo non ha ragione di essere, ma scava un solco profondo tra una educazione veramente umana e una meccanicit� dannosissima quando si tratta di questi minorati, perch� meccanicit� equivale a limitatezza di orizzonti. Pu� sembrare che vi sia poco ordine, poca organizzazione, ma in realt� se l'ordine � nella mente dell'educatore - dove arte e scienza dell'educare sono una sola cosa - per il fanciullo il sistema si rivela alla fine della educazione, perch� l'ordine si compie nello sviluppo della sua personalit�, nel globalismo con cui ha conquistato i diversi elementi del suo ambiente, elaborandoli in profondit� mediante ricchezza di confronti e gradualit� di conoscenze analitiche. Riassumendo: mentre nel fanciullo vedente si passa dalla concezione sintetica alla analitica, nel fanciullo cieco abbiamo un movimento ternario, che parte da una prima rudimentale analisi, per passare alla sintesi e ritornare con maggiore intelligenza ad approfondire l'analisi. Intuitiva � la necessit� della predisposizione di un locale adatto dove la ricchezza d'incontri col mondo esterno susciti l'interesse e risponda alla ricerca del fanciullo oramai aperto alla vita. Un istituto di ciechi non pu� pensarsi senza un parco o un ampio giardino che permetta lo svolgersi della vita all'aperto. Non sar� sempre possibile avere le classi all'aperto: l'ingombrante materiale didattico - a cominciare dai libri - che richiede larghi e comodi tavolini favorisce l'insegnamento sistematico delle principali materie entro la classe. Ma quale ricchezza di elementi si pu� accumulare nelle ore dei giuochi, nelle distensive ore di riposo passate all'aperto! Conoscenze dirette della vita vegetale, intimit� di silenzi popolati da impercettibili suggestive voci che la natura parla a chi sa ascoltare raccontando la potenza e l'amorosa provvidenza divina. All'aperto, nei giuochi, si vince il timore dell'ignoto, nella corsa si percepiscono le cose che stanno d'attorno, si misura inconsciamente lo spazio in cui si vive. Le insegnanti della Scuola di Metodo hanno l'abitudine di chiedere di tanto in tanto alcuni minuti di silenzio e di attento ascolto: � come chiedere ai fanciulli vedenti alcuni minuti di osservazione dell'ambiente circostante; e ci� per misurarne la capacit� di attenzione. La variet� che offre la vita all'aperto sviluppa lo spirito di osservazione e stimola quello d'iniziativa. Osserviamo una di queste ore nelle prime classi. Il Giardino d'infanzia e la prima elementare passano quasi tutta la giornata all'aperto: quindici o venti piccini con le loro educatrici... � il giorno della festa degli alberi. Non hanno alberelli giovani da piantare... Che importa? pianteremo i semi: tre semini in un buccinino dice la maestra (anzi, siccome � una romagnola, dice: tre scemini) e i bambini, ripetendo con un sorriso sornione tre scemini, si disimpegnano a prender dal vasetto i tre semi, compiendo un inizio di calcolo, e poi tante piccole operazioni concrete che daranno il loro frutto, come i semi da loro piantati... Viene l'ansia del risultato, si va ogni giorno a vedere che cosa � nato, e... oh! gioja quando il piccolo pignolo mette fuori la sua cima, una verde fragile conocchia. Sono in tutte le ore l� ad annaffiare, ripulire i loro orticelli, e intanto si avvezzano a sapere attendere, a saper osservare, a essere costanti. � un episodio fra i tanti, il pi� poetico e patetico, perch� sono bambini di tre, quattro, cinque anni che si svegliano davvero alla vita. Ma quale ricchezza di incentivi, di richiami, ha un giardino anche per i pi� grandi, purch� sia davvero a loro disposizione! Il giardino non pu� essere considerato un elemento di lusso, di bellezza, sebbene anche questa abbia una importanza che va oltre il significato ornamentale; circondare i ciechi di cose belle serve ad attirare simpatia e interesse da parte dei vedenti pi� raffinati, perch� la sofferenza non si presenta in una forma squallida e brutta, ma prende l'aspetto - il suo vero aspetto - di elemento propulsore di forza morale. E come il giardino, tutta la casa, tutti i locali debbono essere veramente a disposizione dei fanciulli ciechi. Non vogliamo cadere nella esagerazione di fare dei fanciulli i tiranni, i padroni, cos� da predisporre i locali solo a loro uso; ma dobbiamo anche impedire che i locali migliori siano riservati a gli adulti escludendone i ragazzi; altrimenti, in questo secondo caso i fanciulli si abituano al poco rispetto per i luoghi in cui vivono abitualmente, sapendo che i locali riservati sono quelli di rappresentanza dove per troppo rispetto non si pu� entrare. Il contatto che si stabilisce allora tra il fanciullo cieco e l'istituto � quello di ogni fanciullo nella propria casa, dove non mancano le diversit� degli usi dei diversi locali. In tal modo il fanciullo si abitua ad amare, a rispettare, a comprendere la voce famigliare del proprio istituto. I ragazzi debbono avere la cura di aiutare il meccanico, l'elettricista, il falegname nelle piccole riparazioni. Che importanza educativa assume allora il lavoro manuale! perde tutto quanto pu� apparire fittizio, senza uno scopo; e intanto i ragazzi imparano e acquistano abilit� e conoscenze. Le fanciulle hanno la cura della pulizia, dell'ornamento: tutte quelle mille piccole cure che si raggruppano, troppo artificiosamente spesso, sotto la voce economia domestica e sono tanto pi� importanti e gradite perch� non hanno orario e non obbligano a esami. Bisogna rammentare quale importanza assume il lavoro in una scuola di ciechi. Sotto la parola lavoro si raggruppano attivit� diversissime che hanno in comune una sola qualit�: d'impegnare cio� contemporaneamente all'attivit� mentale un'attivit� pratica. E facciamo bene attenzione: il lavoro in questo senso � prettamente educativo e investe l'attivit� conoscitiva, la volitiva e la manuale: tutte e tre con finalit� di formazione alla concretezza. Questa finalit� educativa si protrae a parer mio oltre le classi elementari nel periodo immediatamente post-elementare. In via normale, soltanto dopo tre anni di scuola di avviamento professionale, o comunque postelementare, il giovinetto cieco pu� con sicurezza scegliere la propria attivit� professionale. Queste considerazioni determinano nella scuola elementare e di avviamento professionale la multiforme interpretazione data alle materie pratiche e alle materie tiflologiche; sentendosi la necessit� di assumersi la responsabilit� di un indirizzo educativo aperto all'evoluzione del pensiero pedagogico. Nella nostra scuola abbiamo avuto pi� volte occasione di constatare l'amore reciproco che � tra i nostri ragazzi: credo debba ascriversi all'abitudine di considerare l'istituto davvero come la propria casa. E viene acconcio ora parlare della parte che � forse la pi� interessante: l'ambiente umano, sociale di un istituto di ciechi. La legge che stabiliva l'obbligo dell'istruzione per i ciechi, stabiliva pure che il direttore dell'istituto fosse anche direttore della scuola elementare, nonch� ispettore per la propria scuola; e che all'assistenza dei fanciulli dell'educandato fossero preposti educatori specializzati, ossia maestri col diploma della Scuola di Metodo. Questa disposizione dimostra come il legislatore consideri un tutto bene unito il fatto educativo del fanciullo cieco, per il quale non pu� assolutamente considerarsi scissa l'educazione dall'istruzione, in quanto anche le conoscenze intellettuali e pratiche egli deve conquistare in un rapporto stretto con l'ambiente in cui si inizia il suo contatto cosciente col mondo. � intuitiva, dopo quanto si � detto, l'importanza che nella organizzazione della vita - scolastica ed estrascolastica - di tali educandi ha la personalit� del direttore, e, in secondo piano, quella dell'assistente. Il contatto del direttore col fanciullo cieco deve essere improntato a cordialit� di rapporti e deve dare al direttore la possibilit� di sovvenire sia alle necessit� pratiche che a quelle intellettuali dei suoi discepoli, cos� da acquistarne la fiducia e nello stesso tempo il rispetto. Il direttore deve poter predisporre la vita estrascolastica con quegli elementi di variet� e di larghezza che daranno poi al maestro nella classe lo spunto per organizzare in cultura le varie conoscenze che dall'ambiente il fanciullo cieco pu� cogliere. Come si pu� notare, � tutto un complesso di attivit�, di cure, di studi, di ricerche, che il direttore deve poter compiere e nelle quali il contatto con le famiglie, gli alunni e gli altri educatori non pu� avere soluzioni di continuit�. In questo compito non troppo facile il direttore ha come collaboratori i maestri assistenti e deve tenersi in continuo contatto e affiatamento con gli insegnanti. Nello studio della legge di statizzazione dei direttori delle scuole dei ciechi, dopo che le scuole stesse hanno avuto maestri di stato, questi concetti hanno trovato una certa difficolt� a farsi strada per una pratica applicazione che consiste nell'affidare a un solo direttore la direzione unica convitto-scuola; eppure da ormai trentaquattro anni non solo tale concetto � inculcato attraverso l'opera pedagogica di Augusto Romagnoli, ma � praticamente applicato, poich� una buona educazione del cieco non si fa solo nella classe, ma al di fuori di essa e in tutta la vita estrascolastica, famigliare o convittuale che sia. Data questa premessa, emerge un'altra evidenza: come ogni convitto, e quindi ogni scuola elementare, debba avere una propria fisionomia ambientale e che la specializzazione che si acquista nella Scuola di Metodo Augusto Romagnoli deve essere particolarmente duttile e aperta alle varie necessit�. Tale condizione di cose giustifica la preoccupazione degli amministratori dei vari convitti di poter intervenire in qualche modo nella scelta del direttore che - trattandosi di scuole statali - deve essere di Stato, ma deve avere anche requisiti tali da rispondere alle necessit� e caratteristiche diverse da istituto a istituto. Si intende che in questo caso, e trattandosi di uno o due istituti per volta, il ruolo nazionale unico, che � la via normale, non darebbe il risultato richiesto. Ma bisogna rammentare che nella educazione dei minorati in genere molte volte � meglio allontanarsi dalla via comune. Ad ogni modo, qualunque sia la legge riguardo ai direttori e qualunque sia l'organizzazione dei diversi istituti, ritornando all'argomento che in questo articolo si sta trattando, � bene insistere sulla importanza che i rapporti fra il personale, e del personale con i fanciulli, siano improntati alla massima serenit� e apertura. Bisogna che i fanciulli possano accedere sempre al direttore, che abbiano confidenza con i loro assistenti e con gl'insegnanti, e che trovino in tutto l'insieme una coerenza di pensiero e d'interessi nei loro riguardi, cos� da poter discutere i piccoli grandi problemi del loro spirito e del loro avvenire, e iniziare per tempo lo svolgersi di una vita sociale le cui abitudini di lealt�, di capacit� di osservazione, di riflessione e di sintesi porteranno nella vita. Intanto un elemento grandemente educativo � il mandare gli alunni in vacanza durante il periodo estivo. Lo dico perch� risponde a un esperimento che abbiamo avuto nella Scuola di Metodo. I fanciulli, dopo qualche anno di dimestichezza con l'ambiente dell'istituto, ritornano in famiglia non pi� con l'atteggiamento di vittime o di piccoli tiranni che vogliono essere viziati, ma cominciano a fare i primi confronti, le prime critiche costruttive nei riguardi dell'ambiente famigliare; critiche costruttive in quanto tendono a modificarlo secondo la loro migliorata cultura; e a inserirvisi come piccoli cooperatori di ordine e di lavoro. Nel ritorno all'istituto si nota che questi fanciulli hanno finalmente dell'ambiente famigliare una conoscenza molto simile a quella dei vedenti, e della loro esperienza arricchiscono anche l'ambiente dell'istituto. In questa reciproca compenetrazione dell'ambiente famigliare con l'ambiente dell'istituto, si hanno le migliori premesse per la formazione della personalit� del fanciullo e della possibilit� del suo inserimento, quando sia fatto uomo, nella vita sociale, con la ricchezza che pu� dare uno spirito coltivato e cosciente. Questo pensiero della globalit�, nel senso pi� ampio, della educazione dei ciechi, per la quale Augusto Romagnoli ha lottato fin dal 1912, trova i migliori incoraggiamenti nella forma chiara e completa con la quale viene inculcata l'aderenza dell'educazione all'ambiente nei nuovi programmi e d� una spinta maggiore ad approfondire questa relazione in quegli istituti dove il chiudersi in ischemi prestabiliti pu� rendere meno operanti il senso di libert� e di variet� necessarie a una buona educazione dei ciechi. Elena Romagnoli Coletta Storia della Tiflologia La tiflologia come scienza, di Silvestro Banchetti (Tratto da: I problemi della pedagogia, a. 39 (1993), n. 3) (pagine in nero 178-192) - Ripercorrere le matrici storiche della tiflologia vuole essere non solo ricostruzione in divenire di problemi e soluzioni, ma anche proposta per il rinnovamento dell'educazione dei ciechi. - La fede nel singolo, nella ragione e nel progresso, che costitu� il tratto fondamentale dell'Et� moderna ai suoi albori, confluendo nell'Illuminismo, giov� al sorgere della tiflologia come scienza. Ne fu pioniere Valentin Ha�y, ma i presupposti vanno individuati nella "Lettre sur les aveugles" del Diderot e nel "Trait� sur les sensations" di Fran�ois Condillac. Lo spettacolo penoso dei ciechi questuanti e strimpellatori davanti alla Chiesa di Saint Germain aveva profondamente turbato lo spirito filantropico di questo ineccepibile funzionario del Ministero degli Esteri. Il contrasto con questo sentimento sgradevole doveva generarsi quando, tredici anni dopo, ebbe l'occasione di ascoltare la musica e di ammirare l'eleganza e la disinvoltura di Maria Teresa Von Paradis. Questa circostanza, insieme con gli episodi che lo convinsero sulla validit� dell'educazione dei sensi vicarianti, lo indusse alla creazione della prima scuola per fanciulli non vedenti. I sentimenti di Valentin Ha�y, tuttavia, di l� dalla generosit� incomparabile del nobile filantropo, costituiscono soltanto la causa occasionale e, comunque, uno solo degli elementi capaci di spiegare la nascita e la fioritura della tiflologia come scienza. La cecit� ha da sempre afflitto l'umana creatura che, consciamente o inconsciamente, sempre la teme come il male pi� grave e come la sventura pi� insopportabile. La scienza della cecit�, invece, cio� la tiflologia, nasce soltanto alla fine del XVIII secolo, in un'atmosfera culturale e sociale particolarmente ricca di fermenti. Alquanto profondo, quindi, ne � l'humus, che giova a spiegare come anch'essa, a somiglianza di quanto accade ad ogni umana forma di sapere, non sia un fiore del deserto, ma si nutra di vitali linfe sotterranee. La tiflologia �, innanzi tutto, un capitolo fondamentale della pedagogia contemporanea, per cui si pu� intendere tutto il suo alto significato scientifico solo se se ne individuano gli elementi costitutivi. V'�, in primo luogo, il Razionalismo cartesiano che, definendo la ragione come "sostanza universale identica in tutti gli individui" e segnando il passaggio dalla metafisica dell'essere a quella del pensiero, getta le premesse per l'educabilit� di tutti gli uomini e per il conseguente diritto all'istruzione. V'� il contemporaneo e concomitante influsso del grande Empirismo inglese, ricco di quel senso realistico che doveva recare all'educazione un profondo motivo di concretezza. Non si pu� trascurare altres� la vasta eco che, nel mondo della pedagogia, aveva provocato l'opera del Comenio, soprattutto l� dove il pedagogista moravo aveva affermato che "chiunque venga a questo mondo, vi viene non come spettatore, ma come attore". Tutti questi fattori, trapassando nella feconda temperie dell'Illuminismo, condurranno alla proclamazione di quei principi di eguaglianza che contempleranno anche il diritto di ciascuno all'istruzione. V'� poi la seconda formulazione kantiana dell'imperativo categorico che, traducendo in termini di razionalit� il primigenio amore predicato dal Vangelo, impone il rispetto dell'umanit� come fine e non come mezzo. E il rispetto, per Kant, � un sentimento razionale. Anche l'Idealismo soggettivo ed etico del Fichte, nell'atto in cui intende la libert� non quale solitaria autocoscienza kantiana, ma come impegno alla redenzione di s� e degli altri, costituisce un elemento culturale di non poco rilievo. V'� l'influsso di dottrine religiose quali il pietismo del Franke e quello dello Spener, che sottolinearono in modo peculiare il sentimento interiore ed il rigore etico nella condotta verso il prossimo. Di non lieve momento fu l'influsso del "Filantropismo" del Basedow, per l'attenzione che sollecit� verso il mondo dei pi� derelitti. Si tratta di un elemento che si inserisce nella rivoluzionaria visione del Rousseau che, di l� dalla scienza, proclama il significato della coscienza ed insegna a vedere l'umanit� anche nel volto delle creature pi� reiette. Non � casuale che le prime scuole per i ciechi nascano nello stesso torno di tempo in cui l'abate Charles Michel L'�p�e d� vita alle iniziative per l'educazione dei fanciulli sordomuti ed Enrico Pestalozzi si prodiga nell'apostolato dell'istruzione popolare, scrivendo una delle pagine pi� esaltanti e stupende nel martirologio della pedagogia e della scuola di ogni tempo. L'educazione e l'istruzione dei ciechi, quindi, si inseriscono, ai loro albori, nel pi� vasto panorama di quelle popolari, da cui non dovrebbero mai dissociarsi. E, similmente, non � casuale che, mentre i primi pionieri, se pur fra mille ingenuit�, ponevano in essere, con entusiasmo superiore alla perizia, le prime forme d'istruzione per i ciechi, la Soci�t� philanthropique di Raymond Reniers, quasi volendo dar concretezza al sogno che Campanella aveva espresso nella "Citt� del Sole", studiava le vie affinch� ogni persona non vedente avesse un lavoro. Sotto il segno dell'istruzione e del lavoro, quindi, si chiude l'Et� moderna. L'Et� contemporanea si apre con un avvenimento che sar� destinato, se pur fra diffidenze ed ostilit� di ogni sorta, a provocare la pi� radicale rivoluzione nella vita e nella sorte dei ciechi. Nel 1825, un grande cieco, Louis Braille, ide� il sistema di lettura e di scrittura tattili. Si tratta del sistema che porta il suo nome e che, ancora oggi, viene considerato dai pi� come quello che, meglio di ogni altro, rende possibile a chi non vede un reale contatto con la cultura. Se � vero che, come afferma Mauro Laeng, "la scrittura ha consentito all'uomo di passare dalla preistoria alla storia", � agevole intendere quale significato umano, morale e sociale abbia assunto e conservi per noi ciechi l'ideazione di questo nostro apostolo. "Ogni erba si conosce per lo seme", canta Dante. � vero per� anche che ogni seme si conosce per la rigogliosa infiorescenza e per la ricca infruttescenza di cui, nella sua fecondit�, � capace. Qui si racchiude il senso vero dell'originalit�, cio� della fecondit�, del sistema Braille. In virt� di esso, non pi� singole individualit� appartenenti a famiglie benestanti, ma tutti i ciechi, anche i pi� poveri, hanno la possibilit� di accedere al mondo della cultura e del lavoro, portando a compimento il sogno dei primi pionieri della tiflologia e facendo s� che questa, superando le astrattezze, le illusioni e le ingenuit� del razionalismo illuministico, diventi veramente una scienza umana. Si tratta tuttavia di un processo lento, paziente e travaglioso. Valentin Ha�y deve considerarsi un combattente per la libert� dello spirito; a lui si deve il primo istituto per ciechi, ma soprattutto a lui si deve l'avvio della liberazione di essi dal servaggio sociale e morale. Egli fu indubbiamente tradito dal suo stesso entusiasmo, che spesso gli fece smarrire il senso esatto della realt� di una minorazione la quale, per il suo recupero, esige anche quei sussidi didattici e tecnici, di cui egli sottovalut� l'importanza. Anche per quanto concerne l'educazione professionale, si deve affermare che Valentin Ha�y manc� di realismo e confuse quelli che erano i suoi generosi desideri con le effettive possibilit� dei ciechi in quel tempo. Nonostante questi limiti, la sua opera filantropica si rivel� ben presto feconda. Nello scorcio dello stesso secolo XVIII, in Inghilterra, sorsero ben quattro istituti professionali; anche qui ci si pose il problema relativo all'istruzione dei fanciulli non vedenti. Interessante � notare che, per la prima volta, in Inghilterra si tent� anche l'istituzione di una scuola senza internato, bench� l'esperimento riscotesse poco successo. Maggior fortuna rispetto a Valentin Ha�y ebbe il pedagogista austriaco Wilhelm Klein, che fu il fondatore del grande e celebre Istituto di Vienna. Egli visse tra il 1765 ed il 1848. A Vienna era stato tentato un inserimento di fanciulli ciechi nella scuola dei sordomuti, ma con esito scarso come � facile intuire. Il Klein si rese conto che occorreva, come per i sordomuti, anche per i ciechi una scuola adeguata e che ogni altra via sarebbe stata un sentiero secondario, dalla meta imprecisa ed incognita. Nella giovinezza, sotto l'evidente influsso delle esperienze pestalozziane, si era occupato dell'educazione dei fanciulli poveri. Nel 1804 aveva intrapreso l'istruzione di un fanciullo cieco, che nel 1805 sostenne con successo e con meraviglia di tutti gli esami nella scuola pubblica. Da quel momento, il Klein si fece convinto assertore dell'educabilit� dei ciechi e, oltre che fondatore e primo direttore dell'Istituto viennese, divenne anche fecondo scrittore e propagandista delle idee tiflologiche. A differenza di quanto aveva fatto Valentin Ha�y, egli, dedicandosi a questa nuova attivit�, sent� il bisogno di approfondire gli studi pedagogici ed ebbe la singolare fortuna d'imbattersi in maestri di alto valore. Comprese quindi il carattere indispensabile di quella didattica speciale, che Valentin Ha�y sempre aveva ignorato. Sul Klein influirono positivamente anche i corsi per insegnanti a domicilio, che egli aveva frequentato presso l'Istituto Superiore Sant'Anna di Vienna. Per primo condusse ed approfond� l'indagine relativa all'influsso della minorazione visiva sull'immaginazione. Si rese conto anche dell'importanza che assume la ginnastica nella formazione del fanciullo cieco e volle che, nella sua scuola, tutto il tempo libero dagli studi venisse dedicato all'educazione fisica ed al moto. Anche in questa intuizione, il Klein colse uno degli aspetti pi� caratteristici dell'educazione dei fanciulli ciechi, come la pi� robusta tiflologia successiva doveva dimostrare. Meno ingenuo di Valentin Ha�y, avvert� quanto la societ� dei vedenti sia ostile ad accogliere i ciechi, ancorch� istruiti ed educati. � la mentalit� di tutti, perci�, che deve cambiare per una vera accoglienza nel contesto sociale. Pi� volte, nel corso della sua lunga opera, lo colsero momenti di sconforto e la sensazione di un inesorabile fallimento della sua fede originaria. Un altro passo innanzi, nel travagliato cammino della scienza tiflologica, si compie per opera di August Zeune (1768-1853) che, per diretta sollecitazione di Valentin Ha�y, fond�, nel 1806, l'Istituto di Berlino. La sua iniziativa non riscosse, al principio, il plauso generale; fu anzi accolta anche con disprezzo e con derisione, come sovente accade alle opere pi� nobili dell'umanit�. Pi� ancora di quanto non fosse accaduto al Klein, egli fu in vivo e costante rapporto con il fermento pedagogico dell'et� romantica e specialmente con il Pestalozzi, con cui s'incontr�, nel 1820, a Yverdun. Si pu� anzi affermare che lo Zeune tentasse l'applicazione alla tiflologia del metodo intuitivo del grande Zurighese operando, naturalmente, gli opportuni ed inevitabili adattamenti. La sua scuola si segnal� all'attenzione dei tiflologi in quanto egli, di l� dall'educazione professionale a cui riserv� sempre grande spazio, cerc� di dar vita ad una vera educazione musicale e di cominciare anche forme diverse di educazione intellettuale. � indubbia l'eco pestalozziana della "forza del cuore, dell'intelletto e dell'arte" come elementi costitutivi della personalit�. Con lo Zeune, quindi, la tiflologia s'inserisce definitivamente nel contesto della pedagogia comune, diventandone un aspetto particolare. Si pu� anzi affermare che, come l'educazione delle personalit� eccezionali fra i ciechi provenienti da famiglie benestanti aveva tradotto in termini concreti l'ideale educativo del Rousseau, l'istruzione scolastica di tutti i fanciulli ciechi s'ispira sia all'ideale della scuola popolare, sia allo spirito di apostolato, sia anche al metodo intuitivo del Pestalozzi. La tiflologia, perci�, non nasce come scienza segregata, avulsa da ogni contesto culturale, ma come momento peculiare di una generale problematica pedagogica. Mi pare lecito giudicare che, per quanto attiene ai fanciulli ciechi e per quel che concerne i fanciulli sordomuti, l'opera dei grandi pionieri abbia avuto un merito essenziale, il quale consiste nell'aver realizzato, almeno in certe parti dell'Europa, l'educazione dei minorati ancor prima che non si fosse realizzata quella popolare, le cui esigenze saranno espresse dal Pestalozzi, ma il cui concretamento tarder� a verificarsi. Dalle esperienze del Klein e dello Zeune, inoltre, si evince che, nella coscienza dei primi tiflologi, l'educazione dei minorati non costituisce un problema accessorio, che si pu� o non si pu� indifferentemente aggiungere alla problematica dell'educazione comune, ma implica modi propri e forme peculiari. Il suo sorgere, il suo fiorire, il suo allignare ed il suo affermarsi non sono fatti accidentali, ma s'inseriscono nelle vive istanze culturali che, per vie diverse, sentirono sia l'et� dell'Illuminismo, sia quella del Romanticismo, a mano a mano che venivano affiorando nuove esigenze sociali. Non si dimentichi il contributo che il Pietismo rec� in questa direzione quando, gi� nel secolo XVIII, aveva insistito sulla necessit� di un'educazione che interessasse tutto il popolo. In questo fermento, che va da Valentin Ha�y a Charles Michel L'�p�e, dal Klein allo Zeune ed al Pestalozzi, si attua finalmente quello che era stato il sublime ideale cristiano dell'educazione affermato nel Vangelo, ma che si era smarrito durante i secoli del ritornante intellettualismo classico nell'Et� di mezzo. Come il Pestalozzi, anche i primi tiflologi, spesso non meno di lui scevri d'ingenuit�, soffersero il travaglio del passaggio delle loro idealit� dalla sfera della teoria a quella dura della pratica, dove la diffidenza ed anche le lotte politiche sovente scoraggiano anche i cuori pi� indomiti. I primi tiflologi, per�, idealisti e ad un tempo realisti, sentirono d'interpretare le ansie di una nuova epoca, nella quale, se pur faticosamente, anche i minorati dovevano trovare uno spazio sociale. Anch'essi, infatti, sono uomini e, come tali, secondo l'alto insegnamento dell'imperativo categorico di Kant, sono spiritualit�. � qui la radice per il superamento della pura beneficenza, che soddisfa soltanto il benefattore, ma non recupera positivamente il soggetto beneficato. Una nuova etica si viene affacciando, nel cui spirito assume senso l'opera dei grandi apostoli degli esclusi. Kant, nella Critica della Ragion pratica, aveva affermato vigorosamente il principio dell'autonomia morale. Tradotta in termini di scuola, l'istanza kantiana significa che anche il minorato ha diritto di esser posto nella condizione di attuare la propria autonomia razionale, sviluppandosi integralmente e superando la passivit� che, per secoli, lo aveva segnato. Le istanze kantiane, quelle fichtiane e in genere quelle romantiche, per�, non debbono intendersi obliando le esigenze sociopedagogiche, presenti nella prospettiva illuministica. In questo complesso fervore di pensiero e di operativit�, si comprende come possa proporsi una nuova visione del cieco e dei suoi problemi, che non si risolvono in un'istruzione fine a se stessa, ma esigono una scuola che prepari anche alla professione. Il Klein e lo Zeune, ispirandosi se pur per vie diverse all'ideale pestalozziano, hanno ben presenti le istanze sociali che l'educazione del non vedente implica, come del resto, rifacendosi alle prospettive illuministiche, queste erano state presenti a Valentin Ha�y. La scuola deve porre ciascun uomo nella condizione di raggiungere qui, su questa terra, la massima soddisfazione possibile. Questo convincimento, in anime profondamente ispirate ad un sentire religioso quali furono i primi apostoli romantici degli esclusi, non contrasta affatto con l'esigenza metafisica di una vita ultramondana, ma intende superare le vaghezze della letteratura puramente edificatoria e di consolazione. "Aiutare giovando" � il monito della nuova educazione. E si aiutano i ciechi giovando loro, non semplicemente assistendoli nelle quotidiane necessit�, ma istruendoli. Il pestalozzismo trapassa cos� nella tiflologia. Valentin Ha�y, Wilhelm Klein, August Zeune, come gli altri che, in parti diverse dell'Europa, presero a cuore il problema dei ciechi, non erano n� avventurieri della scuola, n� culturalmente sprovveduti, ma erano uomini dalla grande fede e sensibili ai nuovi ideali etici e sociali. Venivano da esperienze culturali serie e ricche di fermenti innovatori. Tuttavia, le nuove prospettive pedagogiche, nel loro concretarsi, oltre che incontrare l'ostilit� ottusa del mondo esterno, non tardarono a manifestare le venature di vaporosit� acritica, da cui non furono esenti e che ereditavano dalla matrice illuministica e da quella romantica. Un ostacolo si present� immediatamente, quando ci si rese conto che, per l'istruzione di tutti i fanciulli ciechi, gli istituti non erano sufficienti. Fu lo stesso Klein che, allora, sugger� e tent� di attuare l'inserimento nelle scuole comuni. L'esito dell'esperienza fu disastroso, in quanto rivel� le astrattezze dottrinali che vi erano sottese e provoc� addirittura un accresciuto rifiuto da parte della societ� comune, favorendo ulteriormente il consolidarsi delle scuole separate. Il Klein visse allora uno dei momenti di maggiore sconforto, che lo port� non gi�, come sarebbe dovuto accadere, ad intensificare la lotta contro i pregiudizi ed a sottoporre ad un esame critico la propria pedagogia, al fine di liberarla da quanto ancora in essa permaneva d'ingenuo e di acritico, bens� a giudicare che un cieco, ancorch� istruito, non potr� mai inserirsi compi�tamente nel mondo dei vedenti. La mentalit� razionalistica dell'Illuminismo e quella sentimentale del Romanticismo avevano favorito il costituirsi di certi errori nelle premesse, che solo la fioritura degli studi psicologici giover� a dissipare. Era ingenuo, infatti, il convincimento che si potesse applicare all'educazione dei ciechi la pedagogia comune, senza il ricorso a didattiche particolari, a sussidi speciali ed a personale altamente qualificato. Acritico era il facile ed orecchiabile parallelismo fra il cieco e il vedente. Non si riflett� abbastanza sulla grave carenza, per i ciechi, di una scrittura adeguata e ci si illuse, come aveva fatto lo Ha�y e ripetuto il Klein, che si dovesse loro adattare la scrittura comune. Al pessimismo ingiusto dei secoli passati, era subentrato un ottimismo infondato, brumoso, qual era stato quello del primo Pestalozzi. Secondo questa visione, ai ciechi sarebbe stato possibile fare quel che fanno i vedenti, giacch� la cecit� sarebbe una minorazione corporea isolata, tale da non incidere sulla vita psichica. Si credeva che il palpare potesse eguagliare in tutto il vedere. Sarebbe ingiusto, tuttavia, sorridere oggi di questo ottimismo spontaneo, anche perch�, nonostante gli indubitati progressi della psicologia e della tiflologia, non � scomparso, anzi tende a riaffiorare viepi� invigorito oggi, ma soprattutto perch� fu proprio per il prevalere di questa prospettiva ottimistica che si poterono avere personalit� quali i primi apostoli del riscatto dei ciechi. Non v'� dubbio che l'ottimismo ingenuo ostacol� il pieno inserimento nel mondo dei vedenti, anche di quei ciechi che, per personali doti e per impegno nell'istruzione, sarebbero risultati particolarmente preparati. Accadde cos� che, scomparsi i primi entusiasti della nuova educazione, affievolitosi lo spirito romantico e attenuatasi, alla luce del realismo, l'etica idealistica, si torn� ad insistere sull'opportunit� di creare ospizi, dove i ciechi potessero serenamente vivere al riparo dalle tempeste che la vita a tutti apparecchia. Si riaffacci� il concetto della protezione e dell'assistenza, quasi smarrendosi il senso dell'opera dei primi pionieri. L'assistenzialismo prevalse sulla pedagogia e si pubblicarono opere che, come quella di Mathias Pablasek, succeduto al Klein nella direzione dell'Istituto di Vienna, portavano il titolo molto emblematico: "L'assistenza ai ciechi dalla culla alla tomba". Non tardarono a manifestarsi anche considerazioni economiche, le quali contribuirono a far preferire l'ospizio alla scuola, l'assistenza all'educazione. Tutte queste infelici circostanze fecero s� che anche la prima scuola dei ciechi, quella di Valentin Ha�y, degenerasse rapidamente, tanto da provocare le legittime proteste degli uomini pi� sensibili e pi� intelligenti, come Alphonse De Lamartine, il creatore della tenera figura di Graziella. Nonostante lodevoli voci, per�, l'assistenza rest� preminente sull'educazione per tutto il secolo scorso e per gran parte del nostro. Gli istituti, del resto, si erano diffusi, ma, dopo il primo slancio, erano stati traditi dal prevalere, nei dirigenti, di principi non ispirati alla pedagogia, bens� fatti di diffidenza e di desiderio di primeggiare. Fra di loro era mancata ogni forma di collaborazione, ch�, anzi, ognuno di essi si chiudeva gelosamente in se stesso, sempre timoroso che altre analoghe istituzioni lo imitassero. Il dramma continua tutt'oggi. Dopo l'energico avvio dei primi apostoli, i dirigenti parvero rassegnarsi alla convinzione che si fosse raggiunto il massimo delle possibilit� educative e non si sentirono pi� impegnati alla ricerca e all'approfondimento metodologico. Ne derivarono un inevitabile isolamento ed un grave appiattimento, che molto negativamente influirono non solo sull'istruzione primaria, ma anche sulla ricerca di attivit� professionali per i ciechi. Queste, proprio nel momento in cui la civilt� viveva la grande trasformazione industriale, restauravano passivamente quelle individuate da Valentin Ha�y e dal Klein. I ciechi, in tal modo, non riuscirono ad affrontare l'impari lotta e la competizione con un mondo che peraltro, non si presentava certo ricco di scrupoli morali. L'esorbitanza di manodopera fra i vedenti, l'utilizzazione indiscriminata e indisciplinata del lavoro femminile e di quello minorile contribuirono ad emarginarli ulteriormente. Anche queste disgraziate vicissitudini favorirono il riaffiorare del prevalente motivo della beneficenza su quello del recupero. La reazione tuttavia vi fu. Soprattutto per opera dell'americano Simon Howe, il celebre educatore di Laura Bridgman, furono ovviamente messi sotto accusa gli istituti e fu sottolineata la loro pericolosit� nel senso di ogni possibile devianza. Tre furono i principi che il pensatore americano afferm�: 1. che ogni fanciullo cieco venga considerato come realt� individuale e che possa svilupparsi compi�tamente nelle comunit� in cui � venuto al mondo; 2. che la sua educazione sia quanto pi� possibile eguale a quella dei vedenti; 3. che ogni cieco sia portato ad esser capace di occupare posti, anche di rilievo, nel suo ambiente. D'altra parte, negli Stati Uniti d'America, mentre si fondavano istituti, non erano mai stati trascurati i tentativi di inserimento nella scuola ordinaria. Gi� fin dal secolo scorso, i ciechi americani poterono fruire d'intelligenti alternative, le quali hanno favorito rispetto alla vecchia Europa, l'esito positivo dell'integrazione scolastica. Nel contesto di questa problematica, che venne ripresa anche in Europa alla luce dei progressi della metodologia speciale e della psicologia, mi par doveroso ricordare, ancora una volta, la lungimiranza del Klein che, per primo, aveva ritenuto che la scuola elementare comune dovesse trasformarsi e rendersi capace di accogliere i fanciulli ciechi i quali, per la scarsa popolazione scolastica degli istituti, non potevano qui ricevere un'educazione sufficiente. Il Klein, anzi, era giunto a proporre l'istituto come scuola modello di perfezionamento, ma aveva ritenuto che la prima educazione non dovesse allontanare il bambino dalla comunit� primaria. L'ammissione alla scuola comune venne sancita per i ciechi, in Austria, nel 1846. In Austria ed in Prussia, nella seconda met� del secolo scorso, l'iter scolastico dei fanciulli non vedenti spesso si svolse secondo tre gradi: famiglia, scuola comune, istituto come scuola di completamento e di perfezionamento professionale. Ancora per� i tempi non erano maturi e di nuovo si assistette a reazioni negative. Non pochi lamentarono gli scarsi risultati, soprattutto in riferimento a fanciulli ciechi provenienti da famiglie povere ed impreparate, spesso anche sotto il profilo morale. Dal complesso di questi non sempre sereni dibattiti, emerse un fatto positivo, che doveva pi� tardi porsi come problema agli educatori: mi riferisco alla necessit� dell'educazione prescolastica per i fanciulli ciechi. Sorsero cos� parecchie istituzioni prescolastiche, fra cui si segnal� quella di Dresda, dove venivano curati l'educazione fisica, la stimolazione della fantasia ed il canto. Non si debbono dimenticare i "Centra", fondati in Inghilterra dall'Armitage nel 1886. Qui i bambini ciechi, che di norma frequentavano le istituzioni comuni, ricevevano, due volte alla settimana, le diverse forme d'istruzione sociale. Con queste nuove istituzioni, si tentava di ovviare agli inconvenienti degli istituti chiusi, senza che il bambino dovesse affrontare strutture scolastiche comuni non adeguatamente preparate, quindi, tali da metterne in forse la preparazione generale e professionale. Si tratt� d'istituzioni aperte e non gelose, come era invece accaduto dei primi istituti. Su appositi Fogli ed in apposite conferenze, si cominci� a dibattere pi� scientificamente la problematica metodologica relativa all'educazione dei ciechi, con evidente influsso dello Herbartismo, che molto spazio lasciava all'osservazione, e della nascente psicologia scientifica. Dall'incontro degli aspetti pi� validi dello Herbartismo e di quelli pi� positivi della psicologia nacque il problema relativo alla didattica e, naturalmente, si riaffacci� ancora una volta il problema connesso all'istruzione nella famiglia o negli istituti appositi. Gli istituti che sorsero in questo periodo, come quello di Boston, si presentarono come istituzioni aperte, sollecite non solo dell'istruzione dei fanciulli ciechi, ma anche di avviare una nuova sensibilit� tiflologica per le famiglie e per la pubblica opinione. La rifioritura del Froebelismo favor� anche l'iniziativa di annettere alle nuove istituzioni i Giardini d'infanzia e, presso taluni, addirittura Nidi per l'infanzia, dando avvio concreto e scientifico alla fondamentale esigenza di un'educazione prescolastica. Non mancavano certo carenze. Nell'intendimento di colmare le insufficienze sensoriali connesse alla minorazione visiva, molti bambini ciechi venivano trattenuti nella fase prescolastica anche fino a dieci anni. Nonostante i possibili limiti, tuttavia, si deve riconoscere che, in questo fervore di studi e di iniziative, parve rinverdire lo spirito dei primi apostoli e di nuovo l'educazione prevalse sull'assistenza. Si tratt� di un'educazione che si proponeva l'inserimento del bambino cieco nella vita comune. Lo Herbartismo aveva svolto una funzione positiva, ma ora faceva avvertire anche i propri limiti. Se, infatti, l'educazione � soltanto "istruzione educativa" e si realizza esclusivamente mediante il meccanico aggregarsi di rappresentazioni in un'anima che rimane passiva, il cieco rester� ineluttabilmente sempre inferiore rispetto a chi vede, giacch� minori sono le fonti attraverso cui pu� procurarsi le rappresentazioni. Intanto, per�, fiorivano nuove dottrine filosofiche, dall'Intuizionismo del Bergson al Contingentismo del Boutroux, alla Filosofia dell'Azione di Blondel, fino all'Idealismo pedagogico italiano di Benedetto Croce, Giovanni Gentile e Giuseppe Lombardo Radice. In tutte queste correnti di reazione al Positivismo venivano affermati i valori della coscienza e dello spirito, che non sono legati all'esperienza sensoriale e consentono anche a chi non vede piena eguaglianza con i vedenti, quando non ne segnano addirittura la superiorit�. Si comprende ora quanto fosse inadeguata la convinzione del Diderot, secondo cui la vista del cieco sta nella punta delle sue dita; l'intelligenza e l'intuizione trovano posto nell'atto educativo, aprendo ai ciechi nuovi luminosi orizzonti scolastici. L'affermazione relativa al "primato della ragione", soprattutto nella dimensione morale, presente nel Neokantismo e la conseguente fioritura della Filosofia dei Valori erano motivi di speculazione teoretica e pratica, che non potevano non incidere sulle nuove prospettive pedagogiche, anche in riferimento ai ciechi. La loro ascesa, comunque, alla fine del secolo scorso, era ancora molto lenta e la meta assai lontana. Si pu� dire anzi che, nonostante le indubitabili conquiste del nostro secolo, il traguardo della pienezza non sia ancora totalmente raggiunto. Anche la Pedagogia del Lavoro, di cui, in forme diverse, furono maestri il Kerschensteiner e il Dewey, ha recato un prezioso contributo all'emancipazione sociale di chi non vede, per l'applicazione che alcuni intelligenti uomini delle scuole speciali ne hanno saputo trarre nel settore specifico. Intuibile � altres� l'apporto delle dottrine psicopedagogiche, soprattutto di quella di Maria Montessori che, in pi� occasioni, si mostr� interessata alle esperienze scolastiche e alle scelte metodologiche operate in Italia grazie all'attivit� di Augusto Romagnoli. Per il concorso di tutte queste dottrine, viene superata la prospettiva herbartiana, che manteneva il soggetto educando nella passivit�, e si esalta la capacit� elaborativa dell'intelligenza che apprende. I maggiori tiflologi del nostro secolo, da Augusto Romagnoli a Pierre Villey, partecipano ai dibattiti della psicologia e della pedagogia, portando alla discussione un inestimabile contributo, quale viene dalla personale e sofferta esperienza. Si pu� anzi affermare che le sparse idee positive, presenti in tutti i pi� autorevoli studiosi del passato, si compendino nelle sintesi tiflologiche di questi due insigni maestri i quali, accanto alla dottrina, offersero l'esempio illuminante della loro vita di non vedenti pienamente integrati nel mondo di tutti e addirittura di professori nella scuola comune e nell'Universit�. Con il loro esempio, si pu� dire che trova realizzazione il sogno di Valentin Ha�y, del Klein e dello Zeune: i ciechi si propongono, ove siano educati, come luce per i compagni di dolore e come faro per chi vede. Nella temperie innovatrice, tutti i tradizionali temi tiflologici vennero ripresi ed approfonditi, alla luce dell'apporto di scienze nuove quali la psicologia e l'antropologia. Ci si rese criticamente conto di quanto sia illusoria la trasposizione pedissequa, che ai nostri tempi rischia di diventare pedestre, delle comuni metodologie al complesso mondo di chi non vede e, di conseguenza, si approfond� ragionevolmente il tema della didattica specializzata; si predispose oculatamente il novero dei sussidi didattici particolari e si auspic� la formazione di personale adeguatamente preparato. Il monito del Clapar�de, relativo ad una "scuola su misura", implica che l'insegnamento si adegui alle possibilit� di apprendere, anche per quel che concerne i soggetti non vedenti. In Germania, gi� fin dal 1896, l'Unione della Promozione dell'Educazione dei Ciechi, una vitale associazione oggi pi� che mai operosa, organizzava la preparazione e la diffusione del materiale didattico. In questa encomiabile iniziativa, l'Associazione si riconduceva ancora una volta allo spirito del Klein, il quale era andato ben oltre le cure della lettura e della scrittura, quando aveva predisposto addirittura un mappamondo per i fanciulli ciechi. Il materiale didattico deve, innanzi tutto, rispondere all'esigenza della percezione tipica del cieco, che � percezione non ottica, ma aptica. Occorre quindi che sia adeguato e rapportato alla grandezza della mano e che offra al dito una rappresentazione chiara. Deve riflettere fedelmente la realt� che rappresenta ed esser costituito in modo tale da resistere anche al toccare maldestro dei principianti. In riferimento alle finalit� educative concernenti i ragazzi ciechi, il sussidio didattico potrebbe rivelarsi pi� efficace persino dell'oggetto reale, di cui � rappresentazione. � necessario che esso fornisca l'idea esatta della complessit� e che, quindi, oltre che manipolabile, sia anche smontabile. Ogni momento didattico, nella concreta realt� della scuola, non � fine a se stesso, ma si risolve nel pi� vasto momento educativo. Solo in tal modo e con l'intervento della pedagogia terapeutica, si eviter� che la minorazione divenga assoluta. Le devianze, infatti, si connettono ad errate impostazioni educative, che si affidano all'improvvisazione, eludendo l'apporto della pedagogia emendativa. Soprattutto negli Stati Uniti d'America, proprio per rispettare queste esigenze, s'insistette e s'insiste sull'opportunit� di creare organi di consulenza, che aiutino i genitori, in modo responsabile e competente, fin da quando nel loro figliolo insorge la minorazione visiva. Ancora oggi, come accade in Svezia, gli stessi istituti, trasformati in centri di consulenza, operano in questo senso, realizzando una positiva osmosi fra l'istituzione e la famiglia. In Italia, nonostante le reiterate sollecitazioni della Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi e dell'Unione Italiana Ciechi, le nostre istituzioni continuano a mostrarsi poco sensibili a questa esigenza. Nei Paesi scandinavi e negli Stati Uniti d'America accade che la famiglia possa liberamente e consapevolmente optare tra forme diverse d'istruzione, che vanno dall'istituto con convitto, alla scuola comune fornita di maestri di sostegno per l'educazione sensoriale o per l'apprendimento del sistema Braille. L'integrazione nelle scuole ordinarie, di l� da tutti i necessari accorgimenti tecnici e didattici, implica una realt� scolastica che, presente in rare aree europee e negli Stati Uniti d'America, tarda ad attuarsi da noi, dove non di rado l'integrazione si trasforma in vero e proprio randagismo tiflologico. Il recupero di un bambino non vedente, infatti, implica un tempo educativo, che investe tutta la giornata, come ha bene messo in evidenza Marietta Spencer. Non � sufficiente la presenza di personale specializzato, che per� risulta indispensabile, ma occorre che, anche nell'insegnante ordinario, sia formata una particolare sensibilit� per i problemi specifici della tiflologia, s� da evitare le varie possibili forme di rifiuto. Molto opportunamente, in America, si sono costituiti i Corsi di Braille che, inseriti nei comuni istituti dove si preparano gli insegnanti, contribuiscono ad avviare i giovani alla problematica dei ciechi. Alle multiformi possibilit� educative, presenti in America, fece riscontro, nella vecchia Europa, almeno fino al 1970, il potenziamento delle scuole speciali annesse agli istituti, che trov� e trova la sua massima concretezza nei Paesi dell'Est e nella Germania occidentale, rendendo difficile la sperimentazione di vie diverse e alternative. L'istituto, che unisce la scuola al convitto, fino ad oggi � prevalso, offrendo quasi sempre risultati che, almeno sotto il profilo dell'apprendimento anche se non della socializzazione da parte del soggetto non vedente, si possono e si debbono considerare eccellenti. Non di rado per� si � assistito ad un'ingiustificata dilatazione della scuola speciale. Oggi, per ragioni generali e specifiche, il tradizionale concetto di collegio � in crisi. Occorre per� che, qualunque sia la forma d'istruzione a cui si dia preferenza, non si trascuri che la tiflologia, ancorch� giovane d'anni e di conseguenza dai vanni non ancor sufficientemente robusti, � gi� una scienza ricca di problemi. Eluderli, abbandonandosi alla facile estemporaneit�, se pur pot� esser comprensibile in certi momenti del secolo scorso e, pi� ancora, alla fine del Settecento, sarebbe imperdonabile oggi, dopo i risultati della didattica e della psicologia. La prudenza e l'accortezza, quindi, diventano un dovere morale, se non si vuole che l'educazione dei ciechi continui ad oscillare fra il paternalismo e la demagogia. Ho attinto questi motivi di tiflopedagogia alla storia come "historia rerum gestarum", per offrirli alla riflessione di quanti, nella storia come "res gerenda" e come "res in fieri", si propongono oggi di operare un rinnovamento dell'educazione dei ciechi. Sappiano essi dedicarsi, con rispetto e con umilt�, al loro nobile compito, facendo prezioso tesoro dello spirito di abnegazione con cui i nostri Maggiori hanno affrontato un tanto delicato e spinoso problema, qual � quello relativo all'integrazione dei ciechi nel contesto scolastico ed in quello che Giambattista Vico avrebbe detto "Il mondo civile degli uomini". Silvestro Banchetti