Luglio-Settembre 2017 n. 3 Anno 27 Tiflologia per l'integrazione Trimestrale edito dalla Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus con il contributo dell'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti e della Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi a cura della Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" Onlus via G. Ferrari, 5/A 20900 Monza Gli articoli firmati esprimono l'opinione dell'autore, che non coincide necessariamente con la linea della redazione. 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Ferrari, 5/A 20900 Monza (MB) (indicando la causale del versamento) Indice EDITORIALE L'integrazione degli alunni con disabilit�: riflessioni su alcuni dati, di Pietro Piscitelli (pagg. 130-131) PEDAGOGIA Mediazione tiflologica e apprendimento, di Beatrice Ferrazzano e Annarita Gentile (pagg. 132-140) ESPERIENZE DIDATTICHE Guardare... con le mani. Un'esperienza di inclusione nella scuola dell'infanzia, di Brunella Aglietti (pagg. 141-153) INTEGRAZIONE SCOLASTICA 40 anni fa veniva approvata la legge 517, architrave dell'inclusione scolastica, di Gianluca Rapisarda (pagg. 54-156) CLASSICI DELLA TIFLOLOGIA Metodologia dell'educazione immaginativa, di Enrico Ceppi (pagg. 157-185) Segnalazioni bibliografiche (pag. 186) Le pubblicazioni della Biblioteca Italiana per i Ciechi (pagg. 187-192) EDITORIALE L'integrazione degli alunni con disabilit�: riflessioni su alcuni dati, di Pietro Piscitelli (pagg. 130-131) Nel dicembre 2016, l'ISTAT ha pubblicato l'indagine statistica dal titolo "L'integrazione degli alunni con disabilit� nelle scuole primarie e secondarie di primo grado", relativa all'anno scolastico 2015-2016. I dati prendono in esame tutti quegli studenti che, in base alla diagnosi funzionale redatta dalla ASL, hanno avuto la necessit� di un insegnante di sostegno. Gli studenti con disabilit� in Italia, nell'anno scolastico di riferimento, sono circa 156.000: di questi l'ISTAT calcola che nella scuola primaria e secondaria di primo grado i ciechi siano rispettivamente lo 0,6% e lo 0,7% e gli ipovedenti il 3,2% e il 3,4%. Tra i dati significativi, notiamo subito che il 45% degli studenti con disabilit� hanno pi� di una tipologia di problema (l'ISTAT delinea 12 aree di disabilit�, con alunni che possono rientrare in una o pi� aree): questo comporta la necessit� di operare efficacemente a livello di inclusione scolastica su tutto il settore della pluridisabilit�, settore che per la sua natura � certamente complesso e che presenta aspetti pedagogico-didattici peculiari. Venendo agli insegnanti di sostegno, l'indagine ci dice che ci troviamo in presenza di un aumento del loro numero rispetto allo scorso anno e che ci si attesta su 1 insegnante ogni due alunni con disabilit�. Tuttavia, l'inclusione scolastica soffre di una mancanza di continuit� del rapporto docente di sostegno-alunno con disabilit�: gli alunni della primaria e della secondaria che cambiano l'insegnante da un anno scolastico all'altro sono rispettivamente il 41,6% e il 35,9%. Gli insegnanti inoltre appaiono nel complesso sufficientemente formati nell'utilizzo delle apparecchiature tecnologiche e dei software didattici, anche se una certa percentuale di alunni disabili non ne utilizza. Interessante il dato sui rapporti scuola-famiglia: sono quasi l'80% i genitori che incontrano gli insegnanti curricolari al di fuori dei GLH d'Istituto una volta al mese o pi� raramente; tale percentuale si abbassa, ma solo di poco, nel caso di incontro con gli insegnanti di sostegno. Verrebbe da dire che forse tali incontri dovrebbero essere pi� frequenti, dal momento che le famiglie sono parte attiva e integrante del processo di inclusione scolastica e sociale. Inclusione che passa anche dalla partecipazione a momenti di socializzazione con i compagni di classe, socializzazione che si realizza nelle ore passate in classe e nelle uscite didattiche. L'alunno disabile, secondo l'ISTAT, passa la maggior parte del tempo nella classe e partecipa alle uscite didattiche brevi senza pernottamento. Minore � la partecipazione degli alunni alle uscite con pernottamento, soprattutto nella scuola secondaria di primo grado. I dati di questo studio, se forse non mettono in rilievo la qualit� del processo di inclusione scolastica, tuttavia ci indicano alcuni aspetti meritevoli di attenzione, verso i quali pertanto indirizzare maggiori sforzi conoscitivi. Si tratta, ad esempio, dell'area dell'inclusione degli studenti con disabilit� multiple, del rapporto scuola-famiglia, della continuit� didattica. Sono problematiche che potremmo definire, forse con parola non molto appropriata, "tradizionali" della realt� scolastica italiana, dal momento che queste statistiche non si discostano molto dai valori registrati, per il precedente anno scolastico, dalla analoga indagine ISTAT. E proprio nel raffronto delle serie storiche dei dati occorre individuare alcune aree di intervento per il miglioramento della inclusione scolastica. Il direttore responsabile prof. Pietro Piscitelli PEDAGOGIA Mediazione tiflologica e apprendimento, di Beatrice Ferrazzano e Annarita Gentile (pagg. 132-140) - La mediazione tiflologica consiste nel creare un ponte tra il bambino non vedente e l'esperienza, per sviluppare tutte quelle abilit� e competenze per una compiuta integrazione. - La bibliografia tiflologica nazionale e internazionale dal XVIII secolo fino ad oggi ha affrontato ed approfondito a 360 gradi temi quali le caratteristiche della percezione aptica e le sue modalit� di funzionamento rispetto alla vista, i sussidi e gli ausili tiflologici necessari per lo studio delle varie discipline, gli aspetti metodologici e didattici caratterizzanti, numerosi pure sono gli studi di psicologia cognitiva della cecit� precoce, eppure oggi si registrano ancora negli alunni ciechi notevoli discrepanze formative rispetto agli alunni/studenti che un tempo frequentavano le scuole speciali. Perch�? Forse che le generazioni passate per una qualche congiuntura astrale siano state premiate con un maggiore patrimonio intellettivo? Forse! O invece si � creata una sorta di miopia didattica tra la letteratura pur ricca ed esaustiva e la sua applicazione pratica? Ci sembra che tra la teoria e la pratica oggi si ignori un concetto di fondamentale importanza: la mediazione tiflologica! Questa espressione lungi dal far riferimento esclusivamente ad aspetti didattici e metodologici in realt� � trasversale al ruolo del genitore, dell'educatore, dell'insegnante e di chiunque si occupi del bambino minorato della vista. L'educazione tiflologica � un processo maieutico che si esplica mediando al bambino la realt�, qualunque sia il contesto, il luogo, la circostanza, le strategie e le tecniche specifiche, laddove la minorazione visiva ostacoli la sua partecipazione attiva all'ambiente. Per mediare tiflologicamente � necessario comunicare attraverso il canale percettivo tattile che � il pi� congeniale al cieco, non trascurando comunque neppure gli altri. L'esito di questo processo produce la formazione del concetto nel ricevente, che si deve tradurre in una conoscenza, competenza, capacit� di generalizzazione in contesti diversi. L'educatore dovrebbe, secondo l'etimo stesso del suo nome, "trarre fuori" dal bambino cieco o ipovedente tutte le abilit�, le capacit�, le competenze che gli permettano di "fare da s�", di essere attivo e propositivo, di partecipare e di contribuire alla vita della collettivit�. Nel rapporto educativo � fondamentale il modo di relazionarsi al bambino e di proporgli l'attivit�, senza anticiparlo nelle sue conquiste intellettive e pratiche. Essere dei mediatori significa che tra il bambino cieco e l'esperienza/il concetto vi � l'adulto di riferimento, il cui compito � quello di creare un ponte tra questi due estremi e metterli in relazione. Per mediare correttamente non � sufficiente far toccare, anzi, paradossalmente alcune volte potrebbe anche non essere necessario. Mediare non significa far toccare qualcosa, non � il toccare in s� che implica il concetto, ma il come ti accompagno in quell'esperienza, quali stimoli ti propongo, quali strategie metto in atto, con quali domande ti conduco al ragionamento, come attivo le funzioni cognitive indispensabili per comprendere quel concetto. La mediazione non � un'esperienza finita in s�, richiede tentativi, prove, ricerche che scaturiscono dalla verifica del risultato. Stiamo creando un ponte, poi dobbiamo controllare se questo ponte regge. Passarci sopra e vedere se vi sono dei cedimenti. Non � un processo di sola andata, ma prevede un ritorno. La mediazione non � un addestramento, una trasmissione di procedure, di sequenze rigide e trasferibili dall'adulto al bambino, ma piuttosto l'incontro di due individui ciascuno con un proprio sentire e un proprio vissuto che insieme scoprono la via migliore per arrivare alla meta. Ci� non significa in alcun modo che all'educatore sia sufficiente un "cuore buono" o che possa fare a meno di competenze specifiche e di una solida preparazione. Un'adeguata educazione tiflologica, prevede che oltre ad insegnare l'utilizzo della strumentazione adatta, si debbano mediare al bambino le attivit� educative per permettergli di rappresentarsi mentalmente quel quid identificativo del concetto; la sistemazione concettuale dei contenuti appresi non deve esaurire l'attivit� educativa in s� stessa, ma deve piuttosto rappresentare l'orizzonte verso cui tendere tutto il processo educativo; una meta che spetta al bambino raggiungere, mentre l'educatore ha il compito non di travasare nozioni o istruzioni da una mente all'altra, ma di sostenere il bambino con la mediazione, catturando l'attenzione su stimoli, dettagli, particolari da offrirgli strategicamente perch� sia lui ad elaborarli, confrontarli, metterli in relazione, appropriarsene per capire il mondo che lo circonda ed attivarsi rispetto ad esso. Spesso si incontrano alunni ciechi che hanno difficolt� scolastiche perch� il loro bagaglio di conoscenze attive � incompleto, magari non solo perch� hanno fatto poche esperienze, ma perch� non � stato mediato loro l'aspetto significativo per farne tesoro, cio� per poter generalizzare quel vissuto rendendolo utile per la decodifica di altre esperienze analoghe. Non � avvenuta la mediazione che faciliti il passaggio dall'esperienza alla formazione del concetto. Cosa accade a scuola durante un'uscita didattica? L'alunno diviene "protagonista percettivo" capace di elaborare inferenze o semplicemente "discreto ascoltatore" e "abile ripetitore"? Partecipare alla visita didattica in un frantoio, ad esempio, a braccetto di un compagno di classe, non � sufficiente alla comprensione della produzione dell'olio; � necessario preparare l'esperienza prima di viverla, mediando i termini tecnici (olive, premere, pressa, frantoio, ecc.) eventualmente esplorando dei modellini e simulandone le operazioni di premitura. Occorre poi partecipare attivamente al processo, non toccando qua e l� come capita, ma costruendo una catena logica e sequenziale che abbia un senso e che consenta al ragazzo di elaborare successivamente una rappresentazione immaginativa dell'esperienza, di ricostruirla attraverso un ragionamento, non mnemonicamente quale scansione delle sequenze temporali ("sono andato al frantoio; si sono schiacciate le olive; � uscito l'olio"). Questa esperienza andrebbe mediata sia attraverso l'esplorazione guidata, focalizzando gli elementi rilevanti senza scollegare i vari passaggi (dove si trovano le olive, come vengono trasportate nella pressa, ecc.), ma anche attraverso le domande costruttive del come e del perch� e non del mero cosa e chi. Spesso accade che l'inadeguatezza del bambino/ragazzo minorato della vista nei diversi contesti di vita viene tollerata e ricondotta continuamente alla sua disabilit�, eludendo continuamente che non � anormale non saper scendere le scale, o non saper usare le posate, o lavarsi i denti, o prepararsi lo zaino, ecc. "perch� tanto lui � cieco poverino, lo faccio io!". Se alunno non sa ripetere la lezione, se non sa svolgere una banale addizione, allora s� � un problema, allora s� ci si allarma, perch� a scuola ci sono (dovrebbero esserci!!!) gli strumenti e quando ci sono i sussidi il resto avviene da s�. Se non avviene, dal punto di vista dell'insegnante l'alunno ha sicuramente un ritardo cognitivo, dal punto di vista del genitore la scuola non fa il suo dovere. Nessuno si interroga sulle proprie responsabilit�, se la didattica � sbagliata, se i propri pregiudizi non siano pi� grandi delle potenzialit� dell'alunno, se il proprio prendersi cura non si estenda oltre il confine dell'autonomia limitando autostima e autodeterminazione. Il bambino cieco normodotato che non comprende il paragrafo di storia che le sue dita stanno leggendo � probabilmente un bambino che presenta uno spaventoso verbalismo concettuale, cio� un uso di interi concetti (non solo singole parole), non rappresentati mentalmente da nulla, e questo difficilmente pu� essere recuperato durante la lezione a scuola, considerando i tempi ristretti e le necessit� della programmazione della classe. Pu� essere prevenuto se non ci si limita ad addestrare il bambino all'uso degli ausili, ma gli si offre un adeguato aggancio percettivo ai concetti che si intende fargli acquisire, interiorizzare e generalizzare, e cercando riscontri attraverso la verifica puntuale delle funzioni immaginative associate a quel concetto. Emblematico � l'esempio di F., una ragazzina cieca dalla nascita normodotata, che ripete pedissequamente la definizione matematica di frazione, senza capirla, perch� non collega l'idea di frazionare un numero intero al concetto di dividere, e ancora perch� per lei dividere significa solo eseguire una divisione in colonna, certo un'idea molto lontana dalla quotidiana esperienza di ridurre in pezzi qualcosa come spezzare una tavoletta di cioccolato o un panino. L'educazione rigida, troppo strutturata e addestrativa rischia di mortificare l'intelligenza, se non si interroga sui fini e non va oltre il corto orizzonte dell'immanente. Tanto pi� il bambino cieco sar� capace di muoversi, orientarsi, elaborare con finalit� e criterio le informazioni che sapr� reperire attraverso i canali sensoriali a sua disposizione, tanto pi� sar� integrato nella scuola, sar� in grado di seguire la programmazione della classe, utilizzando i propri sussidi, adottando le opportune strategie, interagendo da pari con i compagni. Questo bagaglio di competenze si costruisce vivendo da protagonisti la quotidianit�, frugando nel frigorifero di casa, giocando con l'acqua lavandosi le mani, portando la biancheria nel cesto dei panni sporchi, spingendo il carrello del supermercato, scivolando dallo scivolo del parco giochi, e chi pi� ne ha pi� ne metta! Questo repertorio personale costituisce il terreno su cui l'educatore edificher� insieme al bambino l'impalcatura concettuale su cui di volta in volta andranno a depositarsi i diversi contenuti e le conoscenze. Si impara a fare una cosa per poterla usare in modo finalizzato, quindi perch� sia utile a chi ha imparato. Troppe volte ci si confronta con bambini ciechi che hanno lavorato tanto con i sussidi per la discriminazione tattile, ma alla richiesta di elencare degli oggetti di cotone, piuttosto che di plastica o metallo restano in silenzio. Per loro il cotone � quel quadratino di stoffa che hanno tanto toccato quando hanno lavorato al tavolino. Cotone � un termine che nella loro vita quotidiana non ricopre alcuna utilit� perch� non � un concetto generalizzato, ma solo l'associazione di una parola ad un unico oggetto. Alla luce di queste considerazioni si evidenzia che la sessione di lavoro non pu� assolutamente essere improvvisata: va preparata curando con molta attenzione la terminologia, il materiale, la tipologia di esperienza, le modalit� di generalizzazione del concetto (il ponte), le modalit� di verifica. Dalla nostra esperienza operativa � scaturito il seguente algoritmo che abbiamo proposto ai nostri educatori per offrire loro una check-list utile per la pianificazione di una sessione di lavoro, al fine di evitare improvvisazioni: una sorta di bussola per non perdere la rotta! Fase di preparazione Individuare ed isolare il concetto: - Selezionare i termini chiave che si intendono usare come etichetta: Preparare gi� delle definizioni o frasi che si intendono utilizzare; - Selezionare il materiale utile alla mediazione del concetto; - Selezionare le esperienze utili alla mediazione del concetto: Selezionare i collegamenti con esperienze gi� vissute dal bambino. Esempio - Frazione aritmetica: - Frazione, numeratore, denominatore, dividere, parti uguali, intero, separare, considerare, raggruppare, frammentare, distribuire: Frazione di un paese, consideriamo tre delle 4 parti in cui � diviso; - Panino, tavoletta di cioccolato, cartoncino, tavola delle frazioni; - Dividere un panino, spezzare in parti uguali una tavoletta di cioccolato, piegare e strappare il cartoncino: Dividersi i compiti: tu sparecchi e io lavo i piatti. Fase di attivit� diretta L'educatore: - Si assicura la partecipazione da parte del bambino; - Si assicura che l'attenzione del bambino sia diretta allo stimolo/particolare selezionato; - Coinvolge il bambino attivamente con gesti, oggetti, richieste concrete di collaborazione, di attivit� propria; - Valuta l'appropriatezza delle domande, delle riflessioni del bambino: Se le risposte non sono quelle attese si interroga ed � pronto a cambiare il proprio piano. Fase di verifica Modalit� di verifica Dopo il mio intervento mi aspetto che il bambino sappia: - Produrre/operare autonomamente; - Fare degli esempi che non siano ricalcati su quelli proposti; - Ricorrere spontaneamente a esperienze analoghe; - Ripetere o mimare un'azione (far finta di...); - Esprimere verbalmente il concetto/fasi operative; - Dopo qualche ora/giorno, creata l'occasione, utilizzare correttamente quel concetto in un contesto diverso; Se questo non accade, la mediazione non � avvenuta. Bisogna riprogrammare l'intervento. Altri segnali generali dell'avvenuta mediazione: - Tendenza a seguire spontaneamente le istruzioni; - Consapevolezza di eventuali errori e imprecisioni nel proprio operato; - Correzione dei propri errori; - Diminuzione degli errori; - Aumento del bisogno di precisione; - Riduzione della dipendenza dall'educatore; - Incremento del tempo di attenzione; - Diminuzione dell'angoscia rispetto al nuovo; - Aumento della disponibilit� ad essere aiutato; Algoritmo della verifica Se il bambino non d� le risposte attese: - La motivazione non era abbastanza sostenuta: Non ha selezionato il rinforzo adatto; il bambino non si sente adeguato al compito; - Il materiale non era manipolabile da lui: Mancano i prerequisiti motori, ci lavoro; - L'attenzione non era catalizzata sullo stimolo: Rivedo le condizioni ambientali assicurandomi che siano favorevoli; - Non erano chiari e condivisi i termini usati: Chiedo di spiegare/mimare i termini per capire quale non va e su quello mi concentro; - Le esperienze proposte non erano significative per il bambino: Mi preoccupo di ripetere l'esperienza per renderla significativa o ne trovo altre. Bibliografia Ceppi, E. (1982). Minorazione della vista e apprendimento. Roma: Editrice Cosmodidattica di Marino Fabbri. Galati, D. (a cura di) (1996). Vedere con la mente. Milano: Franco Angeli. Perez-Pereira, M., Conti-Ramsden, G. (2002). Sviluppo del linguaggio e dell'interazione sociale nei bambini ciechi. Azzano S. Paolo (BG): Edizioni Junior. Gargiulo, M.L. (2005). Il bambino con deficit visivo. Milano: Franco Angeli. Caldin, R. (2006). Percorsi educativi nella disabilit� visiva. Trento: Erickson. Gargiulo, M.L., Dadone, W. (2009). Crescere Toccando. Milano: Franco Angeli. Hatwell, Y. (2010). Psicologia Cognitiva della cecit� precoce. Monza: Biblioteca Italiana per i Ciechi. Bonfigliuoli, C., Pinelli, M. (2010). Disabilit� visiva. Trento: Erickson. Coduri, L. (2010). Educare il bambino con disabilit�. Trento: Erickson. D'Alonzo, L. (2016). La differenziazione didattica per l'inclusione. Trento: Erickson Beatrice Ferrazzano (responsabile del Centro di Consulenza Tiflodidattica di Foggia) Annarita Gentile (Educatrice tiflologica) ESPERIENZE DIDATTICHE Guardare... con le mani. Un'esperienza di inclusione nella scuola dell'infanzia, di Brunella Aglietti (pagg. 141-153) - Una esperienza di educazione tattile nella scuola dell'infanzia si rivela un momento importante sia per l'affinamento della sensibilit� ai materiali sia per la crescita collettiva della classe. - Abbiamo incontrato Marco (pseudonimo), un bambino non vedente di cinque anni, a met� giugno 2016, durante uno dei momenti che la scuola dedica alla continuit� verticale ed all'accompagnamento, per inserirlo adeguatamente l'anno successivo. Crediamo che un atteggiamento di accoglienza e cura da parte dell'insegnante verso i bambini ed i loro familiari, di ascolto dei vissuti emotivi narrati dai piccoli e dai genitori durante i primi incontri di settembre, rappresenti l'inizio di un percorso di conoscenza reciproca. Osservare un bambino mentre agisce, ascoltare i genitori, incontrare le figure professionali per ricevere informazioni, rappresentano una risorsa fondamentale per prevedere e calibrare scelte organizzative, progettuali e metodologiche nell'ottica di un'accoglienza mirata a favorire e costruire un graduale passaggio dall'inserimento all'effettiva integrazione. Iscritto con due anni di ritardo alla scuola dell'infanzia � stato indispensabile individuare contesti e priorit� favorevoli all'inserimento, previsti ab origine dalla Dirigente scolastica: - Rispettare i bisogni di un bambino di cinque anni al primo anno di frequenza in un ambiente che potesse accoglierlo, sostenerlo, stimolarlo. - Formare una sezione omogenea costituita da coetanei; i bambini di cinque anni sono i "grandi" della scuola al terzo anno di frequenza e quindi autonomi nell'ambiente fisico ed autosufficienti nella gestione delle proprie necessit�, abituati a relazionarsi con i coetanei e con gli adulti di riferimento, capaci di organizzarsi negli spazi educativi rispettando alcune regole comportamentali. - Prevedere una composizione numerica della sezione tale da incrementare le relazioni tra pari, favorire un clima relazionale sereno e creare le condizioni per un progressivo "avvicinamento" dei coetanei. Marco � stato quindi inserito in una sezione omogenea per et�, formata da diciotto bambini di cinque anni. Il gruppo � composto da 14 bambini che hanno frequentato la scuola nei due anni scolastici precedenti, a cui si sono aggiunti tre nuovi iscritti: due bambini trasferiti da scuole dell'infanzia italiane, uno proveniente da altro stato europeo. La presenza di un bambino non vedente ha determinato la riorganizzazione dell'intera vita della sezione: la predisposizione degli spazi educativi, la sistemazione di mobili e arredi, l'organizzazione delle attivit� di routine necessarie per assicurare una continuit� nella scansione della giornata. Queste modalit�, che rappresentano la condizione indispensabile per un efficace apprendimento nella scuola dell'infanzia, insieme ad un'accurata progettazione dell'azione didattica, sembrano all'improvviso inadeguate perch� rappresentano un mondo a misura di vedente. L'impossibilit� di ricorrere al canale visivo, infatti, richiede un tipo di apprendimento sequenziale, graduale, ma soprattutto veicolato dagli altri canali sensoriali integri. La vista, oltre a facilitare la percezione dello spazio, consente ai vedenti l'apprendimento per imitazione e la discriminazione di una globalit� di stimoli provenienti simultaneamente dall'ambiente. La mancanza di questo canale costringe immediatamente l'insegnante a riprogettare ogni azione didattica, escludendo proposte riservate soltanto ai vedenti poich� la vista non pu� essere facilmente e spontaneamente vicariata da altre funzioni sensoriali. Se l'intento non � solo quello di accogliere per inserire in un nuovo ambiente, ma accogliere per integrare, tutti i soggetti facenti parte della nostra piccola comunit� - la sezione - devono interagire in maniera sinergica per la relazione reciproca. La qualit� della relazione all'interno della classe rappresenta il presupposto per un clima comunicativo adeguato. Questa � stata la nostra scommessa: crescere insieme. Gli adulti con i bambini. L'importanza dell'ambiente L'organizzazione della sezione � stata il punto di partenza: abbiamo ritenuto necessario rendere la nostra aula confortevole ed accogliente per tutti, consapevoli delle difficolt� di orientamento derivate dall'assenza della vista. Favorire la progressiva autonomia personale del bambino risulta importante per la costruzione della stima di s� ed allo stesso tempo per la futura consapevolezza di essere indipendenti. In primo luogo abbiamo inserito segnali tattili che gli consentissero di raggiungere alcuni spazi per incoraggiarlo a spostarsi autonomamente. Tali segnali conducono all'angolo dell'incontro dove si svolgono le routine ed a quello della manipolazione, molto gradita ai bambini della sezione, dove M. ha sempre potuto incontrare i coetanei al momento dell'ingresso, sedere vicino a loro, ascoltare le loro voci, utilizzare alcuni giochi o materiali. Per quanto riguarda gli altri spazi abbiamo deciso di renderli stabili con una disposizione fissa degli arredi allestiti con pochi giochi disposti in maniera accessibile cos� da facilitarne il riordino. Parallelamente abbiamo individuato strategie idonee per sensibilizzare i coetanei ad un corretto comportamento di convivenza civile, evidenziando l'importanza di alcune regole indispensabili per garantire la sicurezza, quali la raccolta immediata degli oggetti caduti accidentalmente, la posizione delle sedie, la posizione delle ceste dei giochi. Infine abbiamo regolamentato l'utilizzo degli spazi educativi limitando l'accesso numerico dei bambini per favorire le relazioni in piccolo gruppo. Le scelte educativo-didattiche Le scelte educativo-didattiche di scuola, elaborate, condivise ed attuate dal team docente, declinano in maniera consapevole ed intenzionale un progetto annuale di sezione, realmente attuabile ed allo stesso tempo flessibile per rispondere alle esigenze di ciascuno. La selezione delle tematiche e degli argomenti per le proposte didattiche sono state quindi motivate dalla volont� di proporre esperienze ed individuare attivit� tali da permettere un'effettiva integrazione. Pur prevedendo azioni personalizzate ed individualizzate, i docenti hanno optato per una scelta progettuale di sezione che fosse adeguata alle potenzialit� di M. - piuttosto che modificare continuamente ed in forma riduttiva i contenuti e le attivit� previste per il gruppo classe - differenziata per grado di approfondimento e per abilit� e conoscenze da sviluppare. Le proposte didattiche hanno privilegiato l'utilizzo dei sensi ma soprattutto della percezione tattile per favorire e potenziare nei bambini altri canali conoscitivi oltre quello visivo. Tale scelta � motivata anche da alcune considerazioni didattiche e organizzative: - Facilitare l'inserimento di alcuni bambini nuovi iscritti proponendo attivit� manipolative solitamente molto gradite. - Proporre esperienze tattili utili a colmare la carenza di stimolazioni talvolta presente nei bambini non vedenti. - Utilizzare materiali idonei e facilmente reperibili per una corretta educazione della mano. Sar� quindi possibile: - Potenziare la motricit� fine di tutti i bambini. - Rafforzare la capacit� di osservare, descrivere e rappresentare caratteristiche di oggetti e materiali. - Esprimersi utilizzando un lessico appropriato. La relazione con l'adulto ed i coetanei L'inserimento dei nuovi iscritti e la progettazione di azioni mirate a tal fine hanno rappresentato l'obiettivo prioritario del primo periodo di frequenza. L'azione facilitatrice del docente si rivela determinante e fondamentale per l'instaurarsi di un clima collaborativo e di accettazione reciproca della diversit�. Crediamo che un atteggiamento di ascolto disponibile faciliti l'adulto nel riconoscere e mediare i vissuti degli alunni, contribuendo positivamente alla tonalit� emotiva del gruppo. L'agire "sensato" del docente incoragger� nei bambini l'imitazione di strategie comportamentali che si trasformeranno in una condotta collaborativa, seppur realizzata attraverso piccoli gesti quotidiani, al fine di promuovere il senso di appartenenza al gruppo, l'interiorizzazione delle regole per il benessere comune, il riconoscimento delle proprie ed altrui emozioni. Il periodo dell'accoglienza si � focalizzato quindi sulla costruzione della relazione adulto/bambino. A settembre i docenti della sezione sono "estranei" per tutti i nuovi iscritti ed � fondamentale che l'adulto rappresenti la risposta ai loro bisogni di contenimento, protezione, sostegno attraverso piccoli gesti quotidiani di cura. Con M. abbiamo cercato, ognuno con le proprie caratteristiche personali e professionali, di rappresentare una guida sicura, un sostegno stabile per infondere quella tranquillit� necessaria a sperimentare situazioni sconosciute proposte da persone esterne alla sfera familiare. La vicinanza e la possibilit� del contatto fisico in una situazione ludica gioiosa, nel tempo, hanno determinato un'accettazione progressiva dei vari adulti della scuola. Oggi M. accetta volentieri di essere preso in collo, abbracciato e coccolato affettuosamente dagli insegnanti. Ed in questi momenti le sue manine cercano continuamente di carpire informazioni scoprendo elementi che caratterizzano ciascuno, scoprendo cos� che alcune insegnanti portano sempre una collana, altri orologi o braccialetti. Contemporaneamente, attraverso giochi ad occhi chiusi o bendati, gli altri bambini sono stati sensibilizzati alle problematiche relative alla mancanza del canale visivo per far sperimentare le difficolt� che si incontrano nello svolgere qualsiasi azione, acquisire comportamenti corretti durante le attivit� e i momenti di gioco libero, comprendere l'importanza dell'ordine e della posizione stabile degli arredi e del materiale didattico. L'adulto ha fornito esempi concreti circa le modalit� per porgere o chiedere oggetti, collaborare nell'esecuzione di un semplice gioco da tavolo per rafforzare la relazione e far acquisire le modalit� corrette per giocare insieme. Creare le condizioni per un'idonea relazione tra coetanei tramite l'acquisizione di comportamenti corretti da parte dei bambini poteva, infatti, favorire atteggiamenti di accettazione dell'altro da parte di M., i quali, anche se limitati nella durata e nella frequenza, potevano trasformarsi nel tempo in una maggiore disponibilit� ad essere avvicinato e toccato. Accettare il contatto dell'altro ha rappresentato il primo passo per le successive conquiste relazionali, affettive e cognitive. La composizione numerica ridotta della sezione, omogenea per et�, ha inciso fortemente su questo aspetto: bambini "grandi", autonomi, in grado di relazionarsi tra di loro e di fruire degli spazi educativi. Rileggendo le prime osservazioni, registrate quotidianamente durante le prime settimane di frequenza, notiamo come la diffidenza verso i coetanei sia scomparsa progressivamente. M. adesso si affida ai compagni che, tenendolo per le mani, lo accolgono appena arriva a scuola e lo accompagnano spontaneamente per giocare negli spazi educativi della manipolazione o della cucina. L'osservazione di atteggiamenti e strategie definite ed attuate dall'adulto - per facilitargli, ad esempio, gli spostamenti nell'aula o per raggiungere la seggiolina al momento del pranzo - ha stimolato nei bambini della sezione l'imitazione attuando, seppure in semplici contesti, forme di tutoring. I compagni sono stati incoraggiati dall'adulto a compiere azioni di aiuto evitando atteggiamenti di eccessiva protezione e di sostituzione. Al tempo stesso crediamo che la necessit� di anticipare verbalmente a M. ci� che sarebbe accaduto, sia stata molto stimolante per i bambini che, sollecitati dall'adulto, hanno provato a raccontare le loro azioni prima di agirle. L'importanza delle routine La giornata scolastica � regolata da routine: l'accoglienza, le attivit� per registrare le presenze a scuola, il pranzo, le attivit� igieniche personali, la preparazione per il ritorno a casa. Le routine sono state senza dubbio l'occasione per avvicinarlo gradualmente e con delicatezza ai compagni: ogni azione � stata trasformata perch� costituisse per il bambino un'occasione per toccare od essere toccato, interagire verbalmente con i compagni, affermare la presenza nel gruppo. Cos� abbiamo sostituito: - i cartoncini colorati che rappresentano i giorni della settimana con quadratini di diversi materiali (cartone ondulato, carta vetrata, carta vellutina...) ben riconoscibili al tatto; - la parola "presente" con "io sono qua"; - la conta dei presenti con un'occasione per sfiorare le guance ed accarezzarsi; - la pausa per lo spuntino come momento per abituare tutti a formulare domande e risposte concordate, ad esempio per ottenere o porgere un biscotto. I bambini "aiutanti" del giorno dovevano svolgere incarichi associando le azioni previste - ad esempio distribuire i bicchieri - a frasi adeguate, inizialmente proposte dall'insegnante per offrire un modello linguistico corretto ed in seguito utilizzate in maniera spontanea dai bambini; le stringhe linguistiche sono state differenziate in base alle situazioni (ad es.: salutare, chiedere, scegliere, ringraziare, ecc.), per favorire l'uso di strutture linguistiche corrette nei bambini con difficolt� e potenziarlo negli altri. La disponibilit� di M. a tenere per mano un compagno, anche se per poco tempo, ci ha incoraggiati a proporre semplici e tradizionali giochi a coppie, dapprima in posizione seduta e poi eretta, a cui sono seguiti brevi girotondi cantati e giochi al centro del cerchio. Queste attivit� motorie sono state fondamentali per contrastare la scarsa disponibilit� al movimento, rafforzare l'equilibrio ancora precario a causa della recente conquista della stazione eretta ed al tempo stesso avvicinarlo agli altri. Per facilitare il contatto e la vicinanza sono stati proposti giochi a coppie dove un bambino bendato, appoggiando le mani sulle spalle del compagno posto davanti a lui, doveva percorrere brevi tratti facendosi guidare nello spostamento. Tutti i bambini della sezione, compreso Marco, hanno effettuato il gioco alternandosi nei due ruoli - guidare ed essere guidato - sperimentando in questo modo una nuova dimensione. Marco ha gradualmente preso fiducia nei bambini ed ora riesce a spostarsi facendosi guidare dai suoi amici che si offrono di accompagnarlo "a fare un giretto" nella sezione utilizzando questa modalit�. Altri momenti delle routine sono stati invece valorizzati per favorire l'acquisizione della autonomia personale attraverso l'apprendimento graduale e sequenziale di azioni finalizzate alla memorizzazione delle procedure necessarie. L'intervento dell'adulto, che anticipava verbalmente ogni azione, � andato progressivamente diminuendo a mano a mano che il bambino riusciva a compiere in maniera autonoma quanto richiesto, mostrandosi pi� sicuro nell'esecuzione delle prassie dell'abbigliamento e dell'igiene delle mani. Particolare attenzione � stata dedicata alla conoscenza dell'ambiente bagno e del percorso motorio necessario per accedervi, favorendo la progressiva scoperta di punti di riferimento presenti durante il tragitto. Spesso, appena entrato in sezione, era sollecitato a raggiungere in maniera autonoma i compagni utilizzando le strisce di feltro incollate sul muro. Tale modalit� per entrare o uscire dall'aula � stata proposta a tutti i bambini durante il primo mese di frequenza per farne apprezzare l'importanza. La progettazione per tutti e per ciascuno Siamo fortemente convinti che la proposta inclusiva non possa limitarsi ad alcune ore della mattinata ma debba essere estesa all'intera giornata scolastica; l'azione educativo-didattica dei docenti � stata quindi articolata in tal senso, ottimizzando le risorse umane e la compresenza delle insegnanti. Nel redigere il piano annuale di sezione i docenti hanno strutturato un itinerario didattico finalizzato alla conquista dell'esplorazione aptica da parte del bambino non vedente ritenendola fondamentale anche per tutti i bambini della scuola dell'infanzia. L'esigenza di fornire esperienze legate alla realt�, per facilitare la costruzione dei nessi tra parola ed oggetto, ben si coniuga con i percorsi strutturati secondo i parametri dei Laboratori del Sapere Scientifico (azione di sistema promossa dalla Regione Toscana per la qualit� e l'innovazione dell'insegnamento scientifico e matematico): un approccio fenomenologico induttivo, esperienze significative inserite in percorsi, l'avvio alla concettualizzazione. La declinazione di tali parametri � evidente nella metodologia didattica formalizzata dal CIDI (Centro Iniziativa Democratica Insegnanti) di Firenze nelle proposte di percorsi curricolari, applicata dai docenti della sezione ormai da diversi anni. Il progetto annuale "Esploro e conosco con i sensi", strutturato rispettando tali parametri e metodologia, � articolato nei seguenti moduli didattici: - Guardare con... le mani - costituito da una serie di proposte manipolative graduali e sequenziali che prevedevano il progressivo utilizzo di materiali idonei, dai pi� morbidi e malleabili ai pi� duri, per incoraggiare la disposizione a toccare, e dare avvio a "quella che Romagnoli chiamava l'educazione della mano, importante al fine della formazione delle idee concrete e della loro rappresentazione mentale" (Zappaterra, 2010, p. 84); - Dal suono... alla parola - per favorire il potenziamento linguistico necessario alla strutturazione del linguaggio. Una gamma di proposte finalizzate alla memorizzazione di canzoni e filastrocche che scandiscono le routine, all'ascolto di brani e fiabe musicali, all'esplorazione di piccoli strumenti realizzati con il supporto di esperti del Laboratorio Musicale presente sul territorio; - Alla scoperta dei sapori e degli odori - per conoscere e descrivere sapori e odori di alcuni alimenti dello spuntino e del pranzo. Nel pomeriggio sono state previste situazioni ludiche dove l'educatrice specializzata proponeva a M. e ad un limitato gruppo di bambini giochi con i sussidi tiflologici (casellario, cubi sonori, domino tattile, tombola tattile). A cadenza settimanale sono state invece proposte brevi attivit� ludiche: - Ascolto di rumori dell'ambiente, suoni, fiabe musicali per favorire la discriminazione sonora. - Giochi nella stanza delle attivit� motorie per l'acquisizione graduale di alcuni schemi motori di base (camminare, saltare, lanciare), di diverse andature (lente/veloci), di alcune posture (in ginocchio, seduto, sdraiato). - Giochi per l'acquisizione di alcuni pre-requisiti per la scrittura e prime sperimentazioni per l'uso della tavoletta e del punteruolo. "Guardare... con le mani": un percorso inclusivo Le attivit� iniziali sono state proposte per dare avvio all'educazione della mano dopo aver constatato come in varie situazioni M. fosse disinteressato a toccare materiali nuovi e, di conseguenza, l'esplorazione risultasse spesso superficiale, non finalizzata alla conoscenza, il tono floscio, senza forza. Altre volte, invece, la mano era rigida e decisa ad allontanare persone ed oggetti. Il gradimento dimostrato dal bambino all'ascolto di canzoncine ha determinato la scelta di iniziare il percorso didattico proponendone alcune molto brevi, aventi per tema la mano o che ne prevedevano l'uso per mimare azioni. L'adulto, posto vicino a lui, lo aiutava nei movimenti necessari per la partecipazione al gioco, anticipando e semplificando verbalmente le proposte. M. si mostrava fiducioso e ci� ha permesso la progressiva accettazione di proposte manipolative differenziate, dapprima muovendo le mani insieme con quelle dell'adulto e poi, gradualmente, da solo. Le attivit� mirate sono iniziate con una serie di esperienze con acqua e sapone liquido per introdurre tutti quei movimenti di rotazione e sfregamento che facilmente possono essere ripetute ogni giorno. Il gioco del lavarsi le mani permette di esplorarne accuratamente le parti ed affinare i movimenti in un contesto piacevole. La scoperta della propria mano si � conclusa con un momento collettivo per condividere alcuni termini: unghie, polpastrelli, nocche, dita, pelle. Sono state proposte quindi una serie di attivit� di digito-pittura per stimolare l'uso dei polpastrelli utilizzando vari tipi di carta: liscia, ruvida, ondulata. La diversa granulosit� del materiale determina una diversa risposta pittorica permettendo di realizzare strisce ininterrotte quando le dita scivolano sulla carta liscia oppure strisce discontinue su quella ruvida. Manipolando la pasta di sale i bambini hanno scoperto che un materiale morbido si pu� premere, stringere e si pu� modificare facendo buchi con i polpastrelli o fessure con le unghie. La pressione del palmo, invece, � necessaria per schiacciare e scoprire la forma circolare. La ripetuta esecuzione di movimenti delle dita sul contorno del cerchio, cos� ottenuto, ha avvicinato il bambino non vedente all'acquisizione della rappresentazione mentale del cerchio, oggi riconosciuta spontaneamente in tanti oggetti di uso quotidiano. La manipolazione dei materiali - pasta di sale, pongo, das, carta di vario tipo, stoffa - si � sempre conclusa con la realizzazione di un manufatto da toccare e riconoscere. Nei momenti di rielaborazione collettiva, quando a turno ognuno pu� intervenire per raccontare, precisare, confrontare, condividere quanto sperimentato insieme, M. aveva sempre a disposizione i materiali e/o gli oggetti utilizzati durante l'attivit� per coinvolgerlo ed includerlo nella situazione, limitando le stereotipie che si manifestavano durante le conversazioni. Cos�, ad esempio, quando i bambini raccontavano del gioco con le formine per la sabbia, M. poteva sfiorare di nuovo la sabbia bagnata, toccare le formine e la paletta utilizzate in precedenza ma che, in quell'istante, erano l'oggetto della conversazione dei coetanei. Mentre gli altri raccontavano i vari passaggi dell'attivit�, M. esplorava nuovamente gli oggetti, ma pi� a lungo e con maggiore intenzionalit�, li riconosceva e denominava dando il suo contributo verbale alla conversazione collettiva. Tale modo di procedere ha stimolato e favorito anche i bambini della sezione con difficolt� di linguaggio. A conclusione di ogni attivit� i docenti hanno dedicato particolare cura nella documentazione del lavoro svolto avvalendosi di foto ed annotando le descrizioni delle azioni e dei comportamenti del bambino non vedente per lasciare una traccia delle esperienze proposte. Conclusioni Attraverso una variet� di esperienze tattili i bambini della sezione hanno scoperto come la mano permetta di apprezzare molte caratteristiche di oggetti e materiali: il tipo di superficie, la consistenza, la forma, la dimensione, il peso, il calore. Le molteplici esplorazioni di materiali diversi hanno invece permesso di affinare la capacit� di discriminazione facilitandone il riconoscimento e la descrizione verbale, rappresentando una conquista consapevole, "un appropriarsi del concetto". Sul piano relazionale la conoscenza reciproca si � trasformata in una crescita collettiva e questa � stata senza dubbio la conquista pi� rilevante. I bambini sono diventati consapevoli di quanto sia importante il canale visivo, senza il quale ogni attivit� risulta difficile, complessa, di non immediata fruizione, a volte addirittura impossibile senza la collaborazione e la disponibilit� dell'altro. Ringraziamenti Il progetto � stato attuato in collaborazione con i colleghi di sezione, Elisa Musto e Giulio Bartolozzi, e l'educatrice specializzata per non vedenti ed ipovedenti Elena Arrighini. Si ringrazia sentitamente la dottoressa Elisabetta Franchi del Centro di Consulenza Tiflodidattica di Firenze per le indicazioni ed i suggerimenti e per aver messo a disposizione testi e materiale di studio che hanno facilitato i docenti nella realizzazione del progetto educativo. Il percorso "Guardare con le mani" � consultabile sul sito dell'Istituto scolastico al seguente link: http://www.dd1solvay.gov.it/pvw/app/LIDD0024/pvw_img.php?sede_codice=LIDD0024&doc=2040765&inl=1 La documentazione � stata presentata ai seguenti seminari promossi dal CIDI Firenze: - 12� Seminario nazionale sul curricolo verticale per una educazione alla cittadinanza- Firenze, 7 maggio 2017; - Seminario "Inclusione e curricolo verticale. � possibile realizzare l'inclusione senza un curricolo verticale adeguato?" - Firenze, 7 settembre 2017. Bibliografia AA.VV. (2008), Il curricolo verticale, Rassegna, periodico dell'istituto pedagogico, n. 36. Abba, G., Bonanomi P., Faretta, E.Soldati, A.(2001). Le problematiche dell'integrazione del non vedente nella scuola. Guida per insegnanti. Monza: Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" ONLUS. A.I.O.M.A.P., Passo dopo passo. Verso l'autonomia e la mobilit� dei minorati della vista. Milano: International Inner Wheel, Club Milano Castello. Arioli, A. (2009). Comprendere le tonalit� emotive [versione on-line]. Bizzi, V.(2015). Considerazioni preliminari ad una didattica del Braille. In: Tiflologia per l'integrazione, a. 25 (2015), 1, pp. 14-22 [lezione dal corso online dal titolo "Indicazioni metodologiche e didattiche per l'integrazione educativa degli alunni minorati della vista", organizzato nel 2003 dalla Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi]. Bizzi, V.(2015). Dall'osservazione della realt�, alla modellatura e al disegno in rilievo. In: Tiflologia per l'Integrazione, a. 25 (2015), 1, pp. 68-72 [lezione dal corso online dal titolo "Indicazioni metodologiche e didattiche per l'integrazione educativa degli alunni minorati della vista", organizzato nel 2003 dalla Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi]. Boffo, V.(2012). L'insegnante come educatore: la dimensione della cura, in Insegnare nella scuola secondaria. Per una declinazione della professionalit� docente. Pisa: Edizioni ETS. Bonaccorso, A. De Vita, F. Natoli I. Sassi, L.(1986). I pre-requisiti per l'apprendimento della lettura e scrittura Braille. Roma: Sas Effelle. Collacchioni, L.(2013). Educare nel disagio nel rispetto e nell'amore. Roma: Aracne. Goussot, A. Zucchi, R.(2015). La pedagogia di Lev Vygotskij. Milano: Modadori Education. Mazzeo, M.(1988). Il bambino cieco: introduzione allo sviluppo cognitivo. Roma: Anicia. Lucerga Revuelta, R.(1999). Palmo a palmo. La motricit� fine e la condotta di adattamento agli oggetti nei bambini ciechi". Monza: Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita. Zappaterra, T.(2010). Special needs a scuola. Pisa: Edizioni ETS. Sitografia www.cidifirenze.it www.dd1solvay.gov.it www.miur.gov.it http://www311.regione.toscana.it Brunella Aglietti (insegnante scuola dell'infanzia, gruppo di sperimentazione scuola dell'infanzia C.I.D.I. Firenze) INTEGRAZIONE SCOLASTICA 40 anni fa veniva approvata la legge 517, architrave dell'inclusione scolastica, di Gianluca Rapisarda (pagg. 54-156) - partire dalla legge n. 517 del 1977, l'inclusione scolastica presenta ancora diverse problematiche e richiede azioni nel campo della formazione. - A 40 anni dalla sua emanazione, la legge n. 517 del 4 Agosto 1977, costituisce ancora la "pietra miliare", il caposaldo dell'attuale modello di inclusione scolastica del nostro Paese. Infatti, all'articolo 2 ed all'articolo 7 di quella norma, in riferimento all'inclusione nella scuola primaria ed in quella secondaria inferiore degli alunni disabili, si prevede l'introduzione di un "docente di sostegno" in possesso di un apposito titolo di specializzazione, con il compito di supportare il Consiglio di classe nella progettazione di una "didattica inclusiva". La figura del docente di sostegno, pertanto, diventa centrale ai fini dell'integrazione scolastica degli alunni/studenti con disabilit�, ma ancora soltanto all'interno della scuola elementare e media. Qualche anno dopo, e precisamente nel 1987, la sentenza n. 215 della Corte Costituzionale riconoscer� il pieno diritto allo studio degli allievi disabili, aprendo di fatto a tutti loro anche le porte della scuola secondaria superiore. E tuttavia, in quegli anni, abbiamo assistito soltanto ad un inserimento "selvaggio" degli alunni con disabilit� nella scuola "di tutti", senza lo sviluppo di una seria riflessione pedagogica e didattica sulle modalit� di una loro pi� adeguata ed efficace inclusione. Noi abbiamo accettato con grande gioia e con soddisfazione questo passaggio dalla scuola speciale alla scuola "comune", ma quando ci� � avvenuto, tale trasferimento � stato fatto con eccessiva disinvoltura, con la superficialit� che contraddistingue molte iniziative italiane e in particolare della scuola. Naturalmente non vorrei ingenerare equivoci, non sto tessendo le lodi del tempo dell'educazione "speciale", sto soltanto dicendo che abbiamo operato questo passaggio senza preoccuparci della necessit� di dare a questi ragazzi quei supporti necessari e specifici che conseguono alla loro disabilit�. Pertanto, � accaduto che, malgrado la legge 104 del 1992, e tutta la successiva normativa sull'autonomia scolastica, l'organizzazione della scuola � restata "incastrata" ed inchiodata in un contesto nel quale, a tutt'oggi, nella programmazione ordinaria destinata agli allievi con disabilit�, non trovano posto (o lo trovano solo saltuariamente) attivit� di orientamento ed autonomia personale, di avviamento allo sport, di orientamento professionale, di insegnamento del Braille e della LIS, dell'uso delle tecnologie "assistive" ecc. In pratica, il docente per il sostegno si � da sempre trovato a dover gestire da solo l'alunno/studente con disabilit�. A ci� si aggiunga che il 40% degli attuali docenti di sostegno sono precari privi di un'adeguata preparazione e che i nuovi "corsi polivalenti di specializzazione" degli anni 80 e 90 dei docenti di sostegno (fino agli odierni TFA) sono diventati ormai troppo "generalisti" e generici, con scarsissima attenzione alle specificit� delle singole disabilit�. Tale grave stato di cose ha causato la realizzazione di un modello di inclusione che, snaturando i suoi originali ed iniziali principi pedagogici e didattici, � divenuto sempre pi� "assistenziale" ed inefficiente, provocando gli attuali "punti deboli" del sistema e cio�: la carente ed insufficiente formazione specifica degli insegnanti specializzati, la totale impreparazione dei docenti curricolari, del personale ATA e di tutto il "contesto" scolastico nei confronti degli allievi disabili e, soprattutto, l'ormai consolidata delega al solo docente per il sostegno dell'alunno/studente con disabilit�, con la conseguente ed inevitabile emarginazione e "ghettizzazione" di quest'ultimo nelle famigerate "aule di sostegno". L'esperienza di questi quarant'anni ci ha insegnato che non serve assumere a contratto determinato un esercito di docenti specializzati "supplenti" ed "in deroga" (spesso poco preparati e competenti sulle singole disabilit�) ed aumentare il numero di ore di sostegno per garantire la qualit� del processo di inclusione dei nostri ragazzi con disabilit�. Per assicurare il pieno successo scolastico degli alunni/studenti con disabilit�, occorrerebbe invece promuovere finalmente un'adeguata e specifica azione formativa di tutto il personale scolastico, e non solo dei docenti specializzati, sulla Didattica inclusiva e sulla Pedagogia speciale ed una vera ed efficace continuit� didattica, che passi per� da un piano serio e strutturale di assunzione dei docenti di sostegno e dal loro definitivo transito nell'organico di diritto (disposizioni ancora colpevolmente non adottate neppure dalla recente Delega sull'inclusione entrata in vigore lo scorso 31 maggio). Ma soprattutto, � indispensabile realizzare contesti "flessibili", dotati di strumenti, ambienti e materiali "accessibili" e capaci di progettare ed attivare iniziative per classi "aperte e parallele", per gruppi omogenei ed eterogenei ed insegnamenti personalizzati ed individualizzati, attenti veramente alle "differenze individuali" ed ai bisogni educativi di tutti e di ciascun alunno. A parere di chi scrive, il pi� grande difetto del nostro sistema inclusivo � che, in Italia, abbiamo leggi innovative e tra le pi� avanzate nel mondo in questo settore, ma quasi mai si traducono in "buone prassi", non sortendo alcuna ricaduta concreta sul diritto allo studio degli alunni/studenti disabili. Non basta scrivere bellissime leggi, da tutti invidiate, da molti copiate e che ci fanno vincere prestigiosi riconoscimenti internazionali, se poi il nostro Ministero dell'istruzione � privo di una visione strategica, di una vera e propria "policy" sull'inclusione scolastica e non � in grado di programmare a medio e lungo termine. Adeguiamo ed applichiamo una volta per tutte la nostra normativa "inclusiva" alla luce dei moderni principi dell'approccio bio-psico-sociale alla disabilit� dell'ICF del 2000 e della nuova prospettiva culturale delineata dall'art' 24 della Convenzione ONU del 2006 che considera il diritto all'istruzione un diritto umano "insopprimibile" di ogni persona, a prescindere dalla sua limitazione funzionale. Solo cos�, riusciremo a rendere definitivamente la scuola italiana davvero inclusiva ed a modificare i presupposti dell'intera nostra organizzazione scolastica, ritrovando e riaffermando lo spirito originale dell'autentica cultura dell'inclusione sancito dalla legge 517/77. Gianluca Rapisarda (direttore scientifico I.Ri.Fo.R.) CLASSICI DELLA TIFLOLOGIA Metodologia dell'educazione immaginativa (Si tratta dell'intervento dell'autore al primo Corso residenziale di aggiornamento per gli insegnanti delle Scuole Elementari per i ciechi, Rocca di Papa (RM), 22-31 marzo 1963. Tratto da: Luce con luce. Rivista trimestrale dell'Istituto Statale "A. Romagnoli" di specializzazione per gli educatori dei minorati della vista, a. 7 (1963), n. 2, pp. 140-168), di Enrico Ceppi (pagg. 157-185) - Lo sviluppo dell'attivit� immaginativa, attraverso il suo necessario legame con la realt�, costituisce un aspetto fondamentale nell'educazione del bambino con disabilit� visiva. - Metodi e mezzi per lo sviluppo dell'immaginazione nei bambini della Scuola materna Il tema che ci siamo proposti di svolgere � indubbiamente quanto mai suggestivo e ricco di molteplici prospettazioni, giacch� in esso noi potremmo agevolmente far rientrare l'intera problematica concernente l'educazione del bambino cieco. Invero se noi consideriamo la cecit� non solo come un fattore di debilitazione della attivit� pratica dell'uomo, riducendo essa le sue effettive possibilit� di adattamento alle normali forme di vita e rendendo a volte impossibile uno spontaneo inserimento nelle manifestazioni sociali fondate sull'affermazione della personalit� autonoma, ma anche come elemento di debilitazione psicologica dell'individuo, concorrendo ad arrestare il normale processo evolutivo, potremmo ritenere che tale concorso negativo nell'alterazione psicologica sia soprattutto relativo a una progressiva mortificazione dell'attivit� immaginativa, conseguente alla naturale povert� percettiva. Le manifestazioni di involuzione nello sviluppo motorio del bambino non vedente, di alterazione dei suoi atteggiamenti affettivi, di ripiegamento del suo mondo istintivo e tendenziale verso forme sempre pi� spontanee, possono essere ricondotte a questa prima e fondamentale conseguenza definibile come povert� immaginativa, incapacit� a cogliere un insieme percettivo utile, da strutturare in forme e in schemi validi per la stimolazione di un normale processo di crescita biopsicologica. Senza ricorrere qui a una ricapitolazione delle tappe evolutive percorse dal bambino, possiamo tuttavia ricordare brevemente come sia indispensabile alla normale evoluzione un contatto efficace e costante con l'ambiente, sia esso nelle forme motorie o sia piuttosto nella forma pi� complessa della percezione. Il bambino ha la possibilit� di raggiungere determinate mete nella sua evoluzione anche se abbandonato a se stesso, anche se guidato soltanto dal proprio istinto e dalla natura: occorre per� che sia in possesso dell'assoluta normalit� biologica e quindi di un equilibrio fisiopsichico cos� come � previsto dalla natura stessa. L'educazione pu� volgere la crescita verso forme sempre pi� adeguate di attivit� sociale, pu� decisamente intervenire nel promuovere l'affermazione dei fini superiori dell'esistenza, ma il ritmo individuale di crescita viene spontaneamente raggiunto dal bambino stesso sotto la spinta dei propri bisogni naturali e delle proprie tendenze psicologiche. Assistiamo ad un continuo e costante sforzo di adattamento alla vita e al mondo esterno: adattamento che si svolge prevalentemente in due direzioni e cio� nel plasmare il proprio comportamento sulla realt� del mondo circostante e nel conformare la situazione esterna ai propri bisogni naturali e alle pi� elementari esigenze della vita. In questo senso si � svolto il cammino dell'intera civilt� umana, sempre protesa in una costante dinamica ad adattare l'uomo all'ambiente e, in uno sforzo di superamento, l'ambiente all'uomo. L'immane sforzo dell'umanit� di conquistare una modalit� di vita superiore, di dominare la natura, si � espresso anzitutto come attivit� creativa e quindi come realizzazione di un prodotto prima ancora che del pensiero, dell'immaginazione. L'individuo ricapitola in s� dalla nascita alla maturit�, il lungo cammino dell'uomo e l'evoluzione della storia, celebra in altre forme e nell'ambito della propria azione individuale il processo di evoluzione che anzitutto � volto alla conquista di una sempre pi� ampia autonomia nell'attivit� pratica e di una sempre pi� completa libert� nella attivit� spirituale. Le precedenti considerazioni, richiamate soltanto con valore introduttivo e non per affermare in modo completo princ�pi generali, giacch� una trattazione di princ�pi ci spingerebbe assai lontano dal tema prescelto, indicano il ruolo svolto dall'immaginazione nell'attivit� psicologica e spirituale dell'individuo e come da essa scaturiscano non solo le forme pi� valide della nostra esistenza, ma i contenuti pi� chiari per la elaborazione intellettiva. La minorazione della vista scindendo in gran parte il non vedente dal mondo circostante, togliendogli la possibilit� di una ricca percezione di forme, di dimensioni e di colori, isolandolo per cos� dire dai consueti modi di adattamento dell'uomo al mondo esterno, arresta anzitutto il processo formativo dell'immaginazione: e se immagini si formano esse sono estremamente labili, evanescenti, spesso prive di spazialit�, determinanti in modo prevalente un contenuto meccanico e mnemonico invece di quello creativo e costruttivo pi� tipicamente idoneo a sviluppare il pensiero. L'immaginazione povera non induce spontaneamente il fanciullo ad esplorare il mondo che lo circonda, non suscita una sana curiosit� di conoscere e se, naturalmente, il fanciullo non vedente � portato all'acquisizione di nuove nozioni, esse vengono raggiunte in modo generalizzato nella loro nominalistica assunzione, prive cio� di un contenuto immaginativo vero e proprio. L'immaginazione indubbiamente costituisce una facolt� psicologica propria della natura umana e quindi non pu� ritenersi legata a fatti esterni esclusivamente fondati sulla esperienza del soggetto: ma se ci� � vero, e noi riteniamo che lo sia, � altrettanto vero che la facolt� in s� e per s� senza un costante materiale di elaborazione finisce per essere una pura forma psicologica, inutile alla generale economia della vita e del pensiero. Noi non neghiamo al non vedente la facolt� dell'immaginazione, noi non contestiamo la possibilit� che egli possa immaginare e quindi strutturare delle immagini, noi affermiamo soltanto che il non vedente, naturalmente, � portato a rifuggire per scarsit� di interesse e di stimoli da un'attivit� immaginativa ampia e aderente alla realt� del mondo esterno. L'attivit� immaginativa del non vedente pur affermandosi in forza di una normalit� psicologica, si limita ad elaborazioni generiche e astratte, a riprodurre con costanza e monotonia la fondamentale e statica immagine derivante da una percettivit� globale dell'essere posto a contatto con l'ambiente esterno. Il primo atto sincretico della percezione che si traduce nella coscienza che l'uomo ha di s� nell'ambiente, atto generico confuso, primitivo, non pu� dar luogo ad una evoluzione costruttiva di immagini senza l'intervento di una distinzione tra forme e forme che si eleva progressivamente dall'aspetto sensoriale per raggiungere i valori del pensiero e dell'attivit� morale. Il bambino che non vede ha la coscienza di s� nell'ambiente, sa di esistere, di occupare un determinato posto nello spazio, coglie confusamente alcune relazioni propriocettive, svolge cio� nella sua coscienza un'attivit� immaginativa, tuttavia non riesce a strutturare secondo una linea di sviluppo normale in modo positivo, la propria conoscenza del mondo esterno. Egli sa di essere, di occupare un determinato posto, ha la coscienza della variazione dell'ambiente intorno a s�, ma a tale coscienza non giunge in base ad immagini differenziate, a comparazioni tra strutture percettive diverse, bens� soltanto in forza di una confusa consapevolezza di un mutamento di situazione. Sarebbe assurdo e contraddittorio con la realt� ritenere che il bambino non vedente passi indifferente da un ambiente all'altro, da una situazione all'altra, che per lui non abbiano significato gli aggettivi e gli avverbi grande e piccolo, vicino e lontano, prima e dopo. Il rapporto sostanziale che proporziona il mondo interiore con la realt� esterna si struttura anche nel fanciullo cieco e il proporzionamento � tale da far supporre che esiste un dinamismo psicologico normale, tuttavia tale proporzionamento deve essere direttamente rapportato alla situazione biologica e sensoriale indiscutibilmente anormale. La consapevolezza delle fondamentali relazioni spaziali si costituisce nel bambino minorato della vista in conseguenza della sua normalit� psicologica e in forza di operazioni prima percettive poi immaginative spontaneamente compiute non solo sotto la spinta dell'istinto, ma soprattutto per opera del dinamismo umano prevalentemente spirituale, che costantemente tende a superare gli ostacoli e i vincoli della materia. La lotta del bambino minorato della vista per sopravvivere con pieno significato accanto agli altri, per adattarsi pure in situazioni di estrema difficolt� alle condizioni di vita di tutti, assume spesso aspetti veramente drammatici e pu�, a buon diritto, definirsi come una delle pi� valide testimonianze del processo di liberazione celebrato dallo spirito nei confronti delle difficolt� della natura. Il bambino inizia per proprio conto la sua lotta di liberazione; non si adagia, non si prostra come un vinto prima della battaglia, senza aver prima tentato le sue vie: l'educazione pu� quindi contare sulla collaborazione del bambino non vedente, anche se le apparenze stanno spesso a dimostrare una passivit� preoccupante e una riluttanza spesso accanita, a porsi sulla via di una normale evoluzione psicologica. Il bambino lotta per suo conto per conquistare quella parte di nozioni su cui fondare la sua relazione col mondo esterno: lotta contro le cose che gli appaiono troppo grandi e spesso inaccessibili, delle quali deve accontentarsi di particolari spesso insignificanti ed esigui; lotta contro gli adulti che lo circondano, che lo fasciano di piet� e amore e che vorrebbero inibirgli anche quel poco di contatto con la realt� che la sua situazione fisica pur gli consentirebbe. In queste circostanze, nonostante premano dentro al bambino non vedente violente spinte per l'affermazione della sua autonomia e la celebrazione della sua libert�, nonostante egli sia proteso con la forza di un mondo psichico potenzialmente idoneo a ogni elaborazione conoscitiva e volitiva, il ripiegamento diviene un fatto ineluttabile e si manifesta nei modi e nelle forme pi� gravi. Tuttavia, pur nella necessit� di ripiegare su s� stesso, il bambino che non vede non rinuncia mai ad elaborare schemi di vita, a perseguire, battendo sentieri tortuosi poich� sono sbarrati gli accessi alle grandi vie, i superiori fini dell'esistenza e quindi il ripiegamento pu� significare allontanamento dalle comuni forme sociali di vita, difficolt� nell'adeguare il proprio ritmo con quello degli altri, con tutte le conseguenze nel campo pratico e in quello affettivo, ma non significher� mai abbandono degli schemi fondamentali dell'esistenza, caratteristici di energie psichiche oppresse, ma non compromesse. Ci� spiega in gran parte come sia stato possibile il sorgere dal buio di scuole e di istituti vincolati a un insegnamento pietistico e sommario, di esistenze luminose che hanno saputo gettare le basi della nuova educazione dei ciechi, affermarsi nel campo dell'arte e delle lettere, creare metodi educativi fondati su profondi princ�pi di vita e di pensiero. Se l'istinto e i bisogni che ne derivano costituiscono spontaneamente un utile ritmo per la vita biologica, se lo spirito trova le proprie strade pur nell'intrico della minorazione, ci� non vuol dire che all'educazione non sia riservato un compito determinante ai fini del raggiungimento di una autonomia adeguata alle innumerevoli esigenze della vita sociale e del progresso individuale. L'educazione interviene non solo per sorreggere il bambino che non vede nel suo sforzo di acquisizione e di evoluzione, ma soprattutto interviene promuovendo occasioni e situazioni particolari, perch� si ristabilisca il dialogo con il mondo esterno, perch� il mondo esterno assuma il significato che gli compete nella formazione del patrimonio conoscitivo, nella strutturazione della vita affettiva. Le immagini hanno nel processo educativo, quindi, un posto di assoluta preminenza, poich� soltanto una mente dotata in modo eccelso dalla Provvidenza sapr� elaborare schemi utili di pensiero fondandosi sulle immagini naturalmente acquisite senza la vista e senza l'aiuto di una educazione riparatrice: n� si pu� pretendere che tali circostanze eccezionali si verifichino ogni qualvolta ci si trovi di fronte a un individuo privo della vista. L'esperienza pedagogica e le ricerche psicologiche hanno dimostrato come anche nei non vedenti sussista una distribuzione nei confronti dei valori intellettivi, analoga a quella esistente tra gli individui dotati di una assoluta normalit� sensoriale; pertanto l'educazione deve fondare i propri metodi non sulle punte dei valori considerati eccezionali, ma sulla media che riassume in s� la quasi totalit� dei casi. Le considerazioni che abbiamo desiderato premettere a quello che pu� ritenersi il tema principale della nostra trattazione, valgono a chiarire la posizione dell'educatore nei confronti dell'educando non vedente, al livello della scuola materna: cio� proprio nel momento in cui si inizia la fase pi� delicata dell'intervento educativo, quando appare difficile poter scorgere nel piccolo cieco i presupposti per una evoluzione normale della sua psichicit� e per il costituirsi in lui di una personalit� completa e significativa ai fini della vita sociale. Gi� altre volte osservammo come alcune caratteristiche del bambino non vedente in et� prescolare pongano l'educatore seriamente nella perplessit� di scegliere il proprio atteggiamento nei confronti del piccolo educando: � lecito considerare quel bambino, che poco o nulla conosce del mondo esterno, che si muove con estrema difficolt� non adeguando il proprio movimento ai fini dell'azione, spesso ripiegato su se stesso per un eccessivo peso di piet� e di protezione, una entit� educativa normale? Come scorgere in lui le premesse dell'uomo che dovr� inserirsi nella vita produttiva con pensieri ed azioni adeguati alle esigenze di tutti? Il nostro bambino si muove a fatica, spesso non accetta il movimento se non in quelle forme indispensabili per il soddisfacimento dei propri bisogni, si limita ad osservare le cose e gli oggetti del mondo circostante soltanto ai fini del loro riconoscimento, diretto sempre a nutrire un generico stato di curiosit� pi� che un bisogno di reale conoscenza. Da queste constatazioni di fatto deve partire l'educatore per stimolare nel fanciullo l'ampliarsi in cerchi concentrici e crescenti di quella spirale psicologica in cui pu� essere simbolizzato il suo processo di autonomia e di conoscenza. Lo stadio precedente contiene sempre le premesse per l'evoluzione successiva, ma appare assolutamente necessario poter partire da uno stadio primario, da una voluta fondamentale, tanto per mantenerci nell'immagine della spirale, offerta direttamente dalla natura. La scuola materna non dovr� quindi demolire nel fanciullo tutto quanto � stato costituito nei primissimi anni di vita, dallo spontaneo rapporto con l'ambiente, anche se tale esperienza potr� apparire alla luce di una metodologia educativa, errata o male impostata. L'esperienza personale del bambino, anche se povera, anche se frammentaria e ricca di forme negative, ha pur sempre un valore insostituibile per l'inizio dell'attivit� educativa scolastica: costituisce l'humus in cui il seme gettato dall'educatore pu� germogliare e da cui la pianticella pu� trarre alimento per la sua crescita. Il primo intervento educativo sar� quindi diretto alla constatazione dell'esperienza acquisita dal bambino nei primissimi anni di vita; mirer� prevalentemente a scoprire non solo gli aspetti concreti e acquisiti di essa, ma le situazioni e le modalit� in cui si � compiuta. Tale azione potrebbe essere racchiusa efficacemente in due formule problematiche: che cosa conosce quel determinato bambino non vedente del mondo circostante? E inoltre quale interesse ha per il mondo che lo circonda? Dal secondo quesito potrebbe derivare il primo, poich� sarebbe lecito ritenere che l'interesse generi la conoscenza o per lo meno l'acquisizione di un patrimonio immaginativo; la distinzione tuttavia va conservata nell'ordine e nel senso stabiliti, perch� non � sempre detto che lo svolgimento proceda linearmente dall'interesse alla conoscenza, costituendosi spesso (e soprattutto nei bambini che non vedono) una inversione di situazione e cio� la conoscenza stimola l'interesse, non essendo accettabile nel nostro caso la riduzione del processo educativo alla sola categoria universale dell'interesse. Infatti essendo poveri gli stimoli direttamente provenienti dall'esterno e non trovando spesso soddisfazione l'interiore anelito dello spirito verso la conoscenza, l'interesse fondamentale dell'individuo, che in definitiva � quello per la realt� che lo circonda, si affievolisce e si spegne, non giungendo il bambino a cogliere la suggestione del nuovo che si schiude incessantemente a ogni esperienza, con una progressione e con un ritmo che hanno un immenso fascino sulla mente infantile. Se volessimo definire il primo periodo dell'educazione del bambino non vedente, il momento cio� in cui viene accolto nella scuola intesa questa come ambiente predisposto e differenziato, dovremmo indicarlo come il momento del ridestarsi degli interessi nel loro dinamismo psichico e biologico e nel loro significato spirituale. Il bambino non vedente era abituato ad ascoltare le mille voci provenienti dai diversi ambienti che lo circondavano: nell'angolo remoto della sua casa si era creato un mondo acustico a lui familiare e al quale aveva imparato a dare significati precisi ai fini di un embrionale rapporto con le persone che lo circondavano. Nell'angolo remoto della casa riconosceva tutto e tutti i rumori e i suoni, le voci e gli ambienti, tuttavia non sentiva in s� il desiderio di muovere verso quelle cose, di fissare un dinamismo d'immaginazione, di passare dal momento della ricezione a quello dell'azione. L'ambiente scuola invece si pone subito come ambiente differenziato e idoneo a suscitare una successione di stimoli selezionati, tali da agire sul bambino che non vede con una progressione costante e duratura. La prima fondamentale caratteristica dell'ambiente scolastico � infatti costituita dall'azione immediata che esso pu� esercitare sul bambino, tanto da stabilire immediatamente un dialogo diretto con lui, suscitando in lui spontaneamente il desiderio e l'interesse per la conoscenza di ci� che lo circonda. Tra l'interesse e l'azione prima e il pensiero e l'azione poi, si inserisce sempre pi� spontaneamente il movimento: cos� che l'educazione immaginativa si pone come stimolo e si costituisce in condizione per l'affermarsi di una educazione motoria. Il bambino esplora il mondo che lo circonda; tocca gli oggetti, le cose, stabilisce spontaneamente delle relazioni e avverte in modo sempre pi� consistente il bisogno di popolare con immagini reali lo spazio da cui si sente circondato. Il metodo interviene proprio in questo momento; fa s� che l'esplorazione della realt� avvenga con ordine, suggerisce al bambino il procedimento e soprattutto gli istilla il desiderio di fare. L'aula in cui si svolge la vita scolastica a questa et� deve essere ricca di stimoli provenienti dalle cose che la costituiscono, senza con ci� opprimere con un rinfuso accostamento di mobili e di oggetti insignificanti per il bambino, il nascente desiderio di conoscere. I piccoli oggetti debbono essere a portata di mano ed offrirsi quasi senza schemi premeditati al piccolo educando: in tal modo ogni suo gesto, ogni suo atteggiamento si proporzioner� alla realt� che lo circonda. A questo punto appare necessario parlare apertamente del materiale di sviluppo che tanta importanza ha assunto in questi ultimi tempi nelle scuole materne: occorre per� parlarne prendendo direttamente il discorso da quanto abbiamo precedentemente osservato sulla natura dell'atto educativo e sulle modalit� della sua applicazione presso i bambini che non vedono. Non potremo infatti conciliare la esigenza del nostro educando diretta a una stimolazione degli interessi per il mondo circostante con l'azione immediata diretta e spontanea di un materiale di sviluppo verso il quale il bambino si diriga con una propria scelta e in forza di una strutturazione sensoriale degli interessi. Il materiale di cui abbiamo precedentemente parlato non pu� definirsi come materiale di sviluppo per la educazione sensoriale scientificamente selezionato e pedagogicamente predisposto intorno al bambino; il nostro materiale � soltanto occasionale ed ambientale, poich� prima di educare il bambino alla scelta, prima di affidarlo all'affinamento delle sensazioni e allo sviluppo delle percezioni secondo una gradualit� rigorosa, � necessario costituire in lui le immagini spaziali che potremo considerare di base; � necessario sviluppare la conoscenza mediante l'osservazione ordinata di quella realt� che pi� direttamente viene a contatto con le sue esigenze e i suoi bisogni vitali. Il bambino conosce la sua seggiolina, il suo tavolino, il letto in cui dorme, le posate e il piatto, ma ancora non se ne rappresenta la forma: li riconosce soltanto per l'uso che ne fa e per il soddisfacimento dei bisogni naturali di riposo o di nutrimento. Non ha mai avuto l'occasione, se non sporadica, di avere di questi semplici oggetti una percezione sincretica e immediata: perci� conoscer� della seggiolina il sedile su cui si siede e la spalliera su cui poggia le manine, senza che tra i due elementi sappia costituire una relazione per giungere alla ricostruzione immaginativa dell'oggetto. Il materiale di sviluppo per il nostro bambino sar� quindi anzitutto costituito dagli oggetti familiari della sua vita quotidiana e lo sviluppo sar� nella direzione di una ricostruzione immaginativa degli oggetti stessi. Quando avremo la certezza che parlando del proprio tavolino il bambino spontaneamente ne richiamer� l'immagine corrispondente, quando osservandolo nel giuoco ci accorgeremo che manipolando dei mattoncini ne sovrappone uno grande a due piccoli affermando di aver costruito un tavolino, allora e soltanto allora avremo la certezza che la sua immaginazione ha ripreso nel senso e nella direzione della normalit� il proprio funzionamento e soltanto allora potremo parlare di materiale di sviluppo. Sar� un materiale prevalentemente fondato sulle caratteristiche tattili degli oggetti, sar� un materiale in grado di suscitare un interesse reale ed effettivo per ci� che avviene intorno al bambino. Le variazioni del materiale stesso potranno presentarsi in una studiata graduazione di difficolt� e in una selezione specifica di compiti: ma sempre si dovr� tenere conto del contenuto immaginativo di esso. Invero, prima di abituare il bambino a disporre una serie di sfere in ordine di grandezza, ad introdurre figure nei propri incastri impegnandolo nel riconoscimento e nel confronto delle forme, dovremo accertarci che quelle sfere e quelle figure rientrano nella sua possibilit� immaginativa, cio� sono acquisite direttamente come percezioni sincretiche e totalitarie, che hanno il loro corrispondente nel patrimonio immaginativo. In tal modo noi ci accorgeremo che, mentre il bambino ricerca l'incastro per la figurina, non procede per tentativi e non apprende per errori, ma compara intelligentemente le forme attualmente osservate con una forma immaginativa ben presente ed attiva. Quante volte i bambini che non vedono apprendono per puro addestramento, affidando la loro acquisizione soltanto a una memoria meccanica: sanno ad esempio che la figurina "A" corrisponde al terzo incastro e la inseriscono con esattezza senza per altro che sia la forma della figurina sia quella dell'incastro abbiano suscitato una immagine precisa. Se dopo il lungo esercizio si prova a scambiare il posto agli incastri, ci si accorger� immediatamente che il bambino deve ricominciare da principio a tentare, a sbagliare; senza che l'esperienza fatta abbia lasciato in lui un utile apprendimento. Quando invece all'oggetto corrisponde l'immagine e quando ci� avviene in modo sempre pi� spontaneo, anche la variazione dell'esercizio preso ad esempio non determina confusioni o arresti; il bambino procede con sicurezza aiutato non dalla memoria meccanica, bens� dalla propria immaginazione. A questo punto la scuola materna pu� ritenere di aver assolto il proprio compito, avendo posto il bambino a diretto contatto con l'ambiente che lo circonda, avendogli insegnato a muoversi in esso e a ricostruirlo ogni qualvolta ne senta il bisogno. Evoluzione delle immagini acustiche Lo scroscio sonoro di una fontana in una piazza deserta, lo stormire delle fronde nel bosco, il maestoso suono dell'organo sotto le volte di una solenne cattedrale, costituiscono immagini acustiche di grande potenza che si stabilizzano nel nostro ricordo e nella nostra coscienza con un valore spesso determinante nel corso dei nostri stessi sentimenti. Immagini acustiche, abbiamo detto: immagini cio� prevalentemente formate da suoni o dalla combinazione dei suoni, per le quali tuttavia non � possibile parlare di una pura acusticit� strutturata in una forma della nostra immaginazione. A comporre le immagini che si impongono al nostro pensiero e alla nostra emozione con tanta vivacit� e con tanta tenacia, concorrono un insieme di percezioni, di esperienze immaginative recenti e remote, di acquisizioni concettuali e di ricordi affettivi. L'immagine sonora costituita da uno scroscio di una grande fontana in una piazza solitaria che accompagni il nostro ricordo per molti anni, facendoci rivivere in una plastica rievocazione quel determinato momento di solitudine e di malinconia, di raccoglimento o di attesa, quell'immagine sonora che caratterizza un attimo della nostra esistenza proiettandone per cos� dire la misteriosa presenza su avvenimenti e fatti, su immagini e sentimenti, prende spicco da una serie di altre immagini che si stringono intorno ad essa e costituisce uno sfondo indispensabile al valore emotivo della immagine. L'emozione e il ricordo fissano l'immagine cos� come essa si presenta, senza scendere ad analisi degli elementi percettivi che vi concorrono, senza indugiare nella ricerca di quegli aspetti che abbiano potuto determinare il prevalere di uno piuttosto che di un altro degli elementi percettivi. L'immagine acustica non si presenta mai isolata, nel suo momento percettivo: l'uomo vive in una percettivit� totale e globale dalla quale emergono ora una percezione ora l'altra, ora si impongono gli aspetti visivi della realt� ora balzano alla nostra coscienza gli elementi uditivi. Il prevalere di una percezione piuttosto che di un'altra non annulla il potere di quelle non elevate a figura di primo piano; ci� che avviene per la percezione si verifica con analogo dinamismo per le immagini, giacch� l'immaginazione non � uno statico deposito di percezioni da cui meccanicamente si evidenzino, secondo una necessit� fissa e immutabile, i ricordi e le strutture delle percezioni, ma � strettamente connessa col dinamismo dello spirito che crea e modifica, che colora col proprio stato attuali immagini e ricordi del passato. Di uno stesso fatto o di un medesimo oggetto possiamo avere percezioni diverse a seconda del momento in cui noi li cogliamo, a seconda della realt� in cui si strutturano, a seconda dello stato d'animo e dell'atteggiamento razionale con cui ci poniamo ad osservarli. L'immagine per sua natura dovrebbe essere unica ed unitaria, poich� di quel determinato oggetto noi possiamo aver soltanto quella determinata immagine, tuttavia il valore che l'immagine assume nel contesto dei nostri pensieri e delle nostre emozioni varia da situazione a situazione; senza considerare il fatto che essa si modifica insensibilmente sotto la spinta delle esperienze successive e per l'elaborazione intellettiva che viene compiuta col progredire della nostra conoscenza. Torniamo, dopo questa breve digressione intesa a chiarire il valore umano delle immagini, a considerare lo strutturarsi dell'immagine acustica e aggiungiamo subito che, oltre a quanto precedentemente affermato relativamente all'inscindibilit� di essa da un contesto immaginativo, possiamo stabilire un altro carattere peculiare, strettamente connesso con il precedente fenomeno di inscindibilit� e cio� la mancanza di spazialit�. Le immagini acustiche, prese nella loro purezza, non potrebbero strutturarsi con elementi spaziali e quanto di spaziale in esse pur possiamo riscontrare � direttamente derivato da percezioni che si accompagnano a quelle acustiche quali le percezioni visive, le reazioni motorie, cinestetiche, tattili, ecc'. Il fatto che parlando di suoni noi si possa affermarne alcune definizioni tratte dalle relazioni spaziali (alto, basso, lungo, breve) non autorizza a ritenere che la spazialit� sia peculiare della percezione acustica, poich� tali percezioni possono acquisire il valore di spazialit� soltanto se inserite in esperienze complesse del soggetto. Un suono che mi giunge per la durata di pochi secondi pu� essere comparato ad analogo suono che impegni la mia percezione per una durata assai pi� rilevante: i due suoni costituiscono quindi unit� comparabili, delle quali posso dire breve la prima e lunga la seconda; tuttavia le due unit� sono comparabili in conseguenza del tempo di manifestazione del suono e alla mia coscienza permane ben chiara e distinta la temporalit� dei due fenomeni. Soltanto prendendo in prestito dalle immagini visive la caratteristica dell'estensione simultanea, abbiamo la possibilit� di rappresentare i due suoni l'uno con una linea breve e l'altro con una linea assai pi� lunga: ci� non esclude che da un punto di vista percettivo e immaginativo i due fatti restino ben distinti anche se logicamente si fondano per comodit� di rappresentazione. L'evoluzione delle immagini acustiche avrebbe quindi un significato assai modesto ai fini della conoscenza del mondo esterno del bambino non vedente, se non si accompagnasse strettamente all'evoluzione di altri tipi di immagini, prendendo da queste il proprio contenuto di spazialit�. Potremo anzi affermare che non sarebbe ammissibile una evoluzione delle immagini acustiche nel senso di un loro progressivo affermarsi come positiva esperienza del soggetto nei confronti della realt� esterna, senza il parallelo svolgersi dell'esperienza negli altri settori della percettivit�. Quanto affermiamo non pu� risultare nuovo o strano agli educatori dei bambini ciechi, i quali ben sanno come uno sfasamento nell'armonico evolversi della vita percettiva e immaginativa dei loro educandi comporti sempre manifestazioni anormali nella vita pratica e nelle strutture logiche del pensiero. Come giustificare altrimenti l'atteggiamento di bambini non vedenti vincolati ad una vita percettiva esclusivamente fondata sulle manifestazioni acustiche del mondo che li circonda, con paurosi squilibri tra il loro patrimonio di voci e di suoni e quello di immagini aderenti a forme e strutture degli oggetti? Tale squilibrio ha spesso indotto in chi non vede la errata convinzione che il mondo dei privi della vista sia un mondo senza forme e senza dimensioni, poich� il suono e i rumori, le voci e le risonanze, non hanno forma n� dimensione. Il primo ciclo metodologico, che scaturisce dalle considerazioni sin qui fatte, appare quindi fondato sulla necessit� di riportare direttamente l'esperienza acustica del bambino non vedente nell'ambito della sua esperienza totale del mondo esterno, facendo s� che proprio l'esperienza acustica si ponga come stimolo per la conquista di conoscenze sempre pi� ampie e pi� complesse e agisca come sintesi degli elementi colti mediante altre percezioni. Da un punto di vista metodologico l'educatore deve tener conto delle fasi di organizzazione spontanea attraverso le quali l'evoluzione delle immagini acustiche � passata, dal momento in cui si � iniziata la vita del bambino al momento in cui il bambino stesso viene accolto nella scuola per iniziare con metodo e in ambiente predeterminato un pi� significativo incontro con la realt� circostante. Consideriamo il caso pi� semplice tra gli innumerevoli che si possono presentare in una scuola per fanciulli ciechi, e cio� il caso determinato dalla cecit� congenita, dopo aver debitamente avvertito che le astrazioni da noi compiute come le esemplificazioni adottate non possono aver valore assoluto ma soltanto un significato di indicazione e di suggestione per gli educatori; possiamo notare che l'evoluzione delle immagini acustiche nel bambino cieco dalla nascita si svolge in tre momenti essenziali, riconoscibili l'uno dall'altro per il risalto di situazioni particolari, ma che non possono dirsi assolutamente successivi da un punto di vista cronologico e nettamente differenziabili in periodi precisi e determinati. I tre momenti comprendono l'intero periodo pre-scolare del bambino non vedente e caratterizzano per cos� dire il suo rapporto con il mondo esterno. Infatti il primo momento, che si estende per tutta la durata del primo anno di vita, pu� dirsi della assoluta centralit� percettiva del fanciullo: in questo momento � il mondo con le sue manifestazioni acustiche che va verso il bambino significandogli la presenza delle cose e degli oggetti, stimolando il suo interesse per quanto accade intorno a lui, suscitando una vita di relazione che pu� essere accolta come positiva nei confronti delle necessit� di crescita del fanciullo stesso. In questo periodo la vita del bambino nei confronti del mondo esterno � particolarmente statica; il bambino giace per lunghe ore nel proprio lettino, siede nella propria carrozzella o si appoggia alle braccia degli adulti; non partecipa cio� che in modo scarso al movimento che caratterizza il mondo che lo circonda. In questo atteggiamento il bambino si limita a cogliere quegli aspetti del mondo circostante che abbiano maggior significato per il soddisfacimento dei suoi bisogni e ci� vale pienamente anche per il bambino cieco, che impara a riconoscere gli oggetti dal loro suono, le persone dalle voci, gli ambienti dalle sonorit� e risonanze; reagendo in modo adeguato sotto lo stimolo delle percezioni acustiche alle situazioni diverse e quindi strutturando una vita affettiva assolutamente normale. In questo periodo possiamo dire che gli effetti della minorazione visiva ai fini pratici del comportamento del bambino cieco nei confronti col mondo esterno, sono di scarsa importanza, poich� le percezioni acustiche e le conseguenti immagini che si strutturano, hanno un potere pienamente vicariante delle percezioni visive. Il battere del cucchiaio sull'orlo della tazza avverte il bambino che non vede della presenza del cibo, cos� come il voc�o dei membri della famiglia lo assicura che non � solo; la voce della mamma poi costituisce per lui un mondo acustico complesso e profondo: un mondo in cui vi � la tenerezza, l'incoraggiamento, lo sconforto e il rimprovero. Attraverso quella voce si stabilisce il tramite pi� immediato con l'umanit� degli altri e per quel tramite l'affettivit� del bambino si struttura, si plasma e cresce. Sarebbe comunque non aderente alla realt� psicologica del bambino cieco nel primo anno di vita, non avvertire l'insorgere delle prime carenze conseguenti alla minorazione della vista: giacch� se le immagini acustiche assolvono egregiamente il loro compito di mantenere uno stretto contatto ai fini pratici tra il bambino e il mondo che lo circonda, esse non sono tuttavia sufficienti a stimolare in lui un comportamento imitativo che si traduce in ultima analisi nella plasmazione del movimento, nell'adeguazione dell'attivit� motoria alle esigenze nuove proposte dallo stesso processo di crescita. Le carenze si manifesteranno in modo sempre pi� evidente a mano a mano che il processo di crescita porter� il bambino verso un'attivit� motoria sempre pi� valida e soprattutto sempre pi� autonoma. Quando poi sopraggiunger� quel fatto rivoluzionario nell'esistenza dell'uomo che va sotto il nome di prima deambulazione, potremo dire che si inizia il secondo momento dell'evoluzione delle immagini acustiche, poich� esse dovrebbero a questo punto supplire le immagini visive nella guida del bambino verso il mondo esterno, verso la quotidiana scoperta di nuovi aspetti della realt� e, pi� ancora, verso l'acquisizione di quegli automatismi motori che consentono di adeguare il movimento alle cose e di acquisire esperienze della realt�. Le immagini acustiche a questo punto dimostrano chiaramente la loro insufficienza nel sorreggere il bambino verso la scoperta del mondo che lo circonda e si inizia per cos� dire una fase negativa della vita infantile del piccolo cieco poich�, trascinato dal contenuto aspaziale e aformale delle percezioni acustiche e delle immagini che ne derivano, egli finir� progressivamente per disinteressarsi delle cose e degli oggetti, per limitare la sua esistenza a un sempre pi� statico ascoltare che soddisfi la sete di conoscenza presente in ogni bambino. Questo secondo momento potrebbe protrarsi a lungo, potrebbe divenire anche l'atteggiamento caratteristico dell'esistenza intera, se la educazione non intervenisse per dare alle immagini acustiche un contenuto formale e plastico, un valore spaziale tale da ritenersi utilmente - ai fini della evoluzione psichica - sostitutivo delle percezioni e delle immagini visive. Ed eccoci quindi al terzo momento dell'evoluzione delle immagini acustiche: terzo momento connesso con la possibilit� del bambino di acquisire conoscenze di forme realmente corrispondenti agli oggetti e agli esseri che lo circondano. Nel secondo momento il canto dell'uccello aveva un solo significato per il bambino, quello cio� di una serie pi� o meno melodiosa di note che distraeva la monotonia della sua esistenza e che riempiva il vuoto di tante ore prive di attivit� e di esperienze: cos� come il canto dell'uccello anche le voci delle persone e i rumori delle cose assolvevano solo a questo compito particolare, senza attrarre il fanciullo verso superiori elaborazioni utili ai fini conoscitivi. Se invece per caso sar� capitato al piccolo non vedente di tenere in mano un uccello, di sentirlo palpitare vivo, di osservare il fremito delle alucce, la delicatezza delle penne e il rapido pulsare del piccolo cuore, se per caso avr� avuto la fortuna di cogliere il rapido frullo d'ali dell'uccellino che fugge dalla sua manina, il canto che giunge a rallegrare la sua solitudine porter� con s� immagini vive, ricordi caldi di emozione e stimoler� il desiderio di nuove conoscenze e di nuovi contatti con la vita che pulsa intorno. Evoluzioni delle immagini tattili Le percezioni acustiche offrono un mondo di conoscenze immediate, che scaturiscono direttamente dall'ambiente che circonda il piccolo non vedente, offrono per cos� dire costanti pretesti e continue sollecitazioni perch� il bambino non si senta solo e sia costantemente spronato ad avvertire al di l� del proprio corpo, del pulsare della propria vita biologica, l'esistere di altre forme di vita, di altre attivit� che s'intrecciano e si ripetono con ritmi che egli impara via via a conoscere. Tuttavia l'immediatezza delle percezioni acustiche � strettamente legata alla labilit� e alla inconsistenza, agli effetti della costituzione, di una rappresentazione organica ed efficace e quindi al costituirsi di concetti chiari e precisi che trovino corrispondenza nella realt�. Se il piccolo non vedente non possedesse unitamente al mondo dei suoni, la possibilit� di acquisire immagini tattili della realt� che lo circonda, se non avesse la possibilit� di compiere un'esperienza motoria dell'ambiente, di stabilire un continuo e progressivo dialogo tattile con le cose e con gli altri esseri, il patrimonio acustico non sarebbe sufficiente a promuovere la sua educazione psicologica, a costituire relazioni spaziali e a dare al bambino la dimensione della realt� in cui vive. Pensiamo, sorretti in questa nostra opinione da illustri esempi che riteniamo superfluo richiamare, come sia possibile acquisire esperienza del mondo circostante pur mancando i due fondamentali sensi della vista e dell'udito, ma non sarebbe assolutamente possibile giungere a un'esperienza utile e significativa se venisse meno il senso del tatto. Sul primo numero di "Luce con luce" del 1963 � apparso un interessante articolo in cui sono riportate le esperienze magistrali di un'ottima maestra che si occup� per lunghi anni dell'educazione di un bambino cieco-sordo (Si tratta di: M. Gulisano, Come ho parlato ad Angelo, in "Luce con luce", a. 7 (1963), n. 1, pp. 58-67 [ndr]). L'articolo, interessante in tutte le sue parti, riporta per� osservazioni che hanno per noi un enorme valore psicologico quando illustra i primi anni della vita del bambino cieco-sordo, mettendo in rilievo le sue attivit� motorie e come, nonostante la duplice minorazione, sia pervenuto all'acquisizione di un considerevole patrimonio di immagini tattili: patrimonio costituitosi spontaneamente attraverso il quotidiano contatto del bambino con l'ambiente. Nel caso in questione il patrimonio di immagini tattili, non essendo ancora corredato dalla immediatezza delle percezioni acustiche, non poteva giungere, senza l'intervento di un'educazione speciale, a costituire un utile dialogo tra il piccolo cieco e il mondo sociale, tuttavia una relazione con le cose appariva assai chiaramente prima ancora che la scuola intervenisse col proprio metodo. Si deve quindi ritenere che a maggior ragione presso i bambini ciechi si stabilisca spontaneamente un primo patrimonio di esperienze tattili, determinato dallo spontaneo contatto con l'ambiente: la consistenza e la validit� di tale patrimonio varia naturalmente, come abbiamo gi� osservato, da individuo a individuo, essendo strettamente connesso il suo costituirsi con alcune caratteristiche psicologiche individuali del bambino quali la curiosit�, la vivacit� motoria, la tendenza a una facile memorizzazione. Nel caso del piccolo cieco-sordo era forse la spinta del bisogno di rompere l'isolamento, di vincere l'inerzia e la solitudine, che aveva determinato il sorgere di un patrimonio immaginativo tattile tanto dinamico e consistente: resta tuttavia il fatto che pur in circostanze tanto particolari sia stato possibile giungere a momenti significativi nel processo conoscitivo. Il bambino cieco nei primissimi anni di vita � forse pi� portato a soddisfare il proprio bisogno di conoscenza mediante le percezioni acustiche, ci� nonostante non possiamo trascurare il fatto che anche a livelli molto modesti si stabiliscono pur sempre dei contatti necessari con il mondo esterno. Il bambino maneggia quotidianamente oggetti che costituiscono il corredo indispensabile per il soddisfacimento dei suoi bisogni, giunge spesso a costituire interessanti relazioni tra le cose ed a abbozzare giuochi con gli oggetti stessi. La sua tendenza sar� sempre diretta per� a trasportare l'attivit� ludica dalle relazioni spaziali e dalle combinazioni immaginative, nell'ambito pi� congeniale e meno impegnativo delle percezioni acustiche. Se diamo al bambino cieco di tre anni alcune assicelle con cui giuocare potr� succedere che, invece di sovrapporle, di combinarle, di porle a contatto con altri oggetti, egli preferisca batterle tra loro onde provocare rumori e vibrazioni. Sar� questo il suo giuoco preferito e vi si applicher� con l'accanimento proprio dei bambini, ponendovi attenzione e studio tanto che giunger� a trarre rumori diversi secondo un piano prescelto, indicativo della sua compartecipazione attiva all'esercizio motorio. Possiamo quindi affermare che le immagini tattili nei primissimi anni di vita del bambino hanno un valore prevalentemente riferito al soddisfacimento dei fondamentali bisogni naturali; appaiono statiche, sconnesse, incomplete e soprattutto inadeguate a strutturare nuovi campi immaginativi. L'educazione, al momento dell'ingresso del bambino nella scuola materna, dovr� anzitutto dare dinamicit� a queste immagini, stabilire tra esse sempre pi� strette correlazioni, sospingerle a divenire attive ai fini della strutturazione di nuovi contenuti immaginativi. Difficilmente potremo scorgere bambini ciechi in et� pre-scolare applicarsi ai cosiddetti giuochi di fantasia, a quei giuochi cio� che trasformano la realt� rompendo il confine tra l'immaginario e il reale. La scopa che si fa cavalluccio, le sedie accostate e sospinte che diventano treno, il pezzo di legno avvolto con un panno che assume la suggestione di una bambola o della compagna di giuoco: sono trasposizioni del reale nel fantastico che non ritroviamo spontaneamente presenti nel bambino cieco. Egli giuocher� al treno, ma soltanto ripetendone il rumore, se mai lo avr� conosciuto; giuocher� al cavalluccio se sar� trasportato da altri che imitino il caratteristico movimento del cavallo: da s� spontaneamente non si caler� in alcuna situazione nuova, proprio perch� gli mancheranno gli stimoli per farlo e cio� le immagini che richiamino situazioni diverse da amalgamare, da confondere, da trasporre. Alla scuola materna e alla scuola primaria spetta il grave compito di suscitare il dinamismo immaginativo, di suscitarlo al punto che il fanciullo sappia integrare immaginativamente quelle percezioni del mondo esterno che attraverso il tatto e l'udito giungono necessariamente a lui parziali e frammentarie. Non tutto pu� essere esplorato con la mano o ascoltato con l'udito, non tutto pu� essere colto anche con quella specie di sintesi percettiva che solitamente va sotto il nome di sensazione degli ostacoli: pertanto la scuola deve poter dare i mezzi al bambino per integrare immaginativamente con una costante attivit� di elaborazione, di comparazione, di trasposizione dei dati sensoriali che costituiscono il patrimonio fondamentale del fanciullo che non vede. Le immagini da ordinare e da integrare sono innumerevoli, potremo dire infinite. Possiamo pensare che esse possano essere educate nel senso precedentemente indicato soltanto attraverso lo spontaneo lavorio della psichicit� del fanciullo? A questo punto dobbiamo chiederci: ha senso parlare nelle nostre scuole di autoeducazione, intendendo con tale espressione riferirci al particolare metodo educativo secondo il quale � il fanciullo che educa se stesso nell'attivo e spontaneo contatto con la realt�? Crediamo di poter affermare che l'autoeducazione non � accettabile come metodo nelle nostre scuole proprio per il valore di normalizzazione che esse hanno nei confronti della facolt� immaginativa e dello sviluppo sensoriale. L'evoluzione delle immagini tattili pu� compiersi nel senso di un ordinato processo di riorganizzazione delle immagini stesse soltanto se la osservazione del mondo reale compiuta dal fanciullo verr� ordinata con rigore scientifico, guidata con precise tecniche didattiche, stimolata da materiale speciale e da ambienti precostituiti. Nella sua osservazione il bambino deve procedere dal piccolo al grande, dal semplice al complesso, tenendo sempre ferma la relazione fondamentale tra s� e gli oggetti: deve simultaneamente cogliere la forma e la posizione dell'oggetto in riferimento prima a se stesso e poi all'ambiente. Ci si potrebbe obbiettare che un siffatto procedimento � analogo all'osservazione nei bambini sensorialmente normali e che non vi sarebbe quindi nulla di speciale in un metodo che ordini l'osservazione dal piccolo al grande, dal semplice al complesso, che stimoli il riferimento degli oggetti a s� e successivamente all'ambiente. L'obbiezione avrebbe ragion d'essere se non si tenesse conto della fondamentale diversit� di modo in cui si compie l'esperienza nei due casi: per il bambino che vede la forma degli oggetti e la relazione tra gli stessi, cos� come il riferimento delle forme a s� e all'ambiente, vengono compiuti immediatamente nell'atto stesso della percezione, vengono realizzati anche se temporaneamente nell'atto percettivo, mentre per il bambino che non vede la ricostruzione formale dell'oggetto, la relazione tra le forme e il riferimento degli oggetti a s� e all'ambiente costituiscono operazioni psicologiche non simultanee alla percezione e quindi necessariamente trasferite nel campo dell'immaginazione. Il procedere dal semplice al complesso, dal piccolo al grande, l'osservazione della forma e la comparazione assumono quindi un valore assolutamente diverso nel caso del bambino non vedente, diverso soprattutto nei confronti del procedimento metodologico applicato alla loro evoluzione. Nel nostro caso procedere dal piccolo al grande ai fini dell'evoluzione delle immagini tattili significa soprattutto procedere da forme che possono essere colte sinteticamente in una globalit� percettiva a forme che impegnano invece l'esplorazione analitica procedente da particolari a particolari, da elemento a elemento, anche se il processo educativo dovr� fare in modo che l'analisi del grande non sia una giustapposizione di elementi ma una ricostruzione ordinata da un'immagine tipo che si costituisce come immagine guida. Il piccolo cieco che osservi un'automobile in dimensioni normali, o un cavallo a grandezza naturale, potr� utilmente giungere alla costruzione di un'immagine aderente all'oggetto osservato, se avr� avuto la possibilit� di aver precedentemente strutturato l'immagine tipo o guida, se in altri termini, la sua osservazione non sar� una scoperta originale di nuovi elementi che si presenteranno in una loro forma predominante non correlata con le forme particolari precedenti. L'immagine guida si costituisce nel bambino che non vede soltanto attraverso l'osservazione sintetica delle forme e ci� riteniamo debba costituire uno dei princ�pi della metodologia differenziata delle scuole per ciechi, sarebbe tuttavia errato ritenere che di tutti gli oggetti e di tutti gli esseri possano essere ricostruite immagini guida, anche se di tutto si pu� ottenere un'immagine tipo. Le immagini guida sono essenzialmente utili ai fini educativi e cio� nel momento in cui � necessario abituare il bambino a cogliere gli elementi essenziali in una simultaneit� percettiva e mediante una forma significativa. Quando tra la sua mano e la sua immaginazione si saranno costituite le relazioni necessarie fondamentali per il rapido trasformarsi della percezione tattile in immagine, quando il bambino toccher� con ordine e intelligenza, sapendo per dinamismo immaginativo la disposizione degli elementi che concorrono a formare l'oggetto, allora non ci sar� pi� necessit� dell'immagine guida, perch� il bambino avr� acquisito non solo un vasto patrimonio di immagini, ma soprattutto quel dinamismo dell'immaginazione per cui � possibile tradurre elementi da un'immagine all'altra per la composizione di nuove immagini. La funzione della forma geometrica nell'evoluzione dell'immaginazione L'immagine-guida di cui abbiamo visto l'insostituibile funzione per una ordinata ricostruzione delle immagini oggettive pu� essere ridotta nella sua schematicit� pi� elementare all'immagine di forme geometriche. Invero ogni forma pu� essere ricondotta, cos� come ogni figura, ad una struttura geometrica fondamentale mediante l'astrazione dei caratteri individualizzanti e specifici. Il procedimento, che potremmo definire geometrizzazione della forma, trova il suo fondamento nello stesso processo di creazione artistica, quando l'arte si applica alla produzione di forme, di figure e di volumi. I primi artisti nel campo della pittura partivano da una concezione del corpo umano schematizzata in un triangolo con la base verso l'alto, e lo schema geometrico pu� essere riscontrato anche in pittori della grande epoca del Rinascimento, per non parlare dell'astrattismo che ha scarnificato le forme e le figure sino a giungere a un simbolismo geometrico puramente razionale. Ci rendiamo perfettamente conto che la riduzione in forme geometriche pu� essere fatta essenzialmente di una rappresentazione razionale della realt�, essendo tale forma una conquista della maturit� intellettiva, del potere di analisi affidato alla ragione e non di una percezione globale ed immediata della realt�. Il fanciullo coglie la realt� cos� come essa gli si presenta, la coglie nell'immediatezza della forma, nella ricchezza dei particolari, la sente e la segue come un linguaggio concreto di cui avverte, prima ancora di comprendere, la grande suggestione. Tuttavia, se ci soffermiamo ad analizzare il disegno infantile - soprattutto quello che caratterizza l'et� prescolare - non ci sar� difficile rilevare come il bambino esprima con tentativi geometrici le proprie immagini degli oggetti e degli esseri. L'armonia della forma � conquista successiva alla prima infanzia, quando cio� � subentrata nel bambino la possibilit� di discriminare tra le forme, di individualizzarle, di cogliere e di riprodurne mediante l'espressione grafica o plastica la fisionomia. Il processo che noi riscontriamo nei tentativi di espressione grafica nei bambini in et� prescolare, processo cio� che va dalla schematicit� geometrica alla complessit� della forma individualizzata, pu� ritenersi dimostrazione dello sforzo espressivo e chiarificatore a cui spontaneamente si sottopone la mente infantile, e se, per corrispondere a questo tentativo di completamento dell'immagine, noi sospingessimo il bambino a indugiare sull'analisi della schematicit� geometrica delle immagini, rischieremmo di compromettere lo slancio positivo verso la evoluzione della sua conoscenza che tende a espressioni sempre pi� chiare e consapevoli. A questo principio si sono ispirati gli attuali metodi di insegnamento che, con diverse colorazioni e sfumature, partono tutti da un globalismo della percezione, riconoscendo a questa forma primitiva di conoscenza la pi� alta aderenza al reale processo psicologico del bambino. Nella scuola primaria quindi e soprattutto nel primo ciclo di essa la realt� viene fatta osservare al bambino nella sua interezza percettiva e formale; si pone ogni cura affinch� egli possa cogliere il maggior numero di elementi possibili nella pi� salda e pi� valida unit� percettiva. Nessun maestro penser� mai di indicare deliberatamente al bambino lo schema geometrico e quindi razionale da cui deriva naturalmente la forma propria di ogni oggetto, ma lascer� che il bambino la scopra da s� mediante il lento e normale evolversi della sua mente verso le superiori forme della razionalit�. A conferma di ci�, gli attuali programmi pongono soltanto negli ultimi due anni del secondo ciclo della scuola primaria, lo studio della geometria non solo come razionale conoscenza di leggi e di princ�pi, ma soprattutto come riconoscimento della presenza della forma geometrica della realt�. La minorazione visiva a nostro avviso determina la necessit� di anticipare il processo di astrazione della forma geometrica della realt�, pur senza con questo pretendere di anticipare i tempi dell'evoluzione psicologica del bambino. La metodologia di Augusto Romagnoli trova proprio nella rilevazione della forma geometrica degli oggetti uno dei suoi princ�pi fondamentali; ma sarebbe contraddittorio al pensiero pedagogico e a tutto lo spirito del metodo Romagnoli ritenere che la rilevazione della forma geometrica corrisponda all'astrazione dei princ�pi geometrici caratteristica di una mente pi� matura e di un potere razionale ancora sconosciuto al bambino della scuola materna e del primo ciclo della scuola primaria. La forma geometrica che il bambino cieco deve abituarsi a scoprire per ordinare la propria esplorazione tattile e acustica della realt�, non pu� che corrispondere a quel tipo di immagine che precedentemente abbiamo illustrato, che si costituisce come un indispensabile fondamento e guida perch� la naturale lentezza e analiticit� della esplorazione tattile possa concludersi con ricostruzioni formali complesse e complete. Il piccolo non vedente al quale si chiede di toccare il piano del proprio tavolo da studio o della cattedra dell'insegnante o il piano di qualsiasi altro oggetto analogo, impiega nella sua esplorazione un tempo determinato per poter scorrere le manine lungo il bordo del piano e intuirne la superficie compresa in esso; se non sar� abituato a ricordare la coordinazione dei vari elementi, se non avr� acquisito una forza immaginativa di organizzazione, di strutturazione degli elementi stessi tale da mantenere salda e operante l'unit� percettiva, correremo il rischio che egli non sappia e non possa mai giungere alla vera e propria rappresentazione della forma. Quando per� nei suoi giuochi, nelle sue attivit� di applicazione scolastiche nei vari contatti con gli oggetti e cose, egli sar� stato abituato a maneggiare forme geometriche (mattoncini, cubi, assicelle, forme per incastri, ecc'), si sar� costituita in lui una abitudine a determinate forme e soprattutto si saranno strutturate tali forme con evidenza e con piena corrispondenza alle esigenze conoscitive della sua mente. Sapr� che cos'� il triangolo non per definizione o per astrazione ma in conseguenza di un'esperienza pi� volte ripetuta, sapr� - sempre per esperienza sincreticamente acquisita - che il rettangolo ha i lati uguali a due a due e sapr� quindi attendersi, una volta che la sua manina sia giunta al termine di un lato lungo e di uno corto, il presentarsi di un altro lato lungo senza che con ci� sia stato necessario parlargli delle propriet� delle figure piane. Analogo processo avviene anche nel bambino che vede, il quale spontaneamente coglie le forme geometriche fondamentali e ne costituisce immagini guida: la differenza consiste soltanto nel fatto che il piccolo non vedente non giungerebbe mai da solo, senza la sollecitazione di un intervento educativo, alla rappresentazione della realt� nei termini e in forme geometriche. Il bambino che vede, se ripensa in classe alla propria cameretta, la rivede in forma geometrica, e se la maestra gli chiede di farne il disegno egli sapr� immediatamente tracciare un rettangolo pi� o meno esatto ma comunque sempre corrispondente ad una approssimativa figura geometrica. Quali immagini avr� il bambino che non vede dell'ambiente in cui vive: della sua camera, dell'aula scolastica, dei corridoi, ecc.? Lo spazio che deve esplorare esula dalla portata della sua mano, non pu� essere racchiuso in una immediata unit� percettiva, eppure egli immediatamente lo sente, perch� ci vive dentro con tutta la sua persona, perch� tutta la sua sensorialit� residua � sollecitata da elementi che provengono dall'ambiente stesso. A questo punto acquista maggior significato quanto precedentemente dicemmo circa la opportunit� di procedere nell'educazione dell'immaginazione dal piccolo al grande, dalla forma cio� immediatamente percepibile attraverso l'esplorazione tattile, a quella che invece pu� essere solo ricostruita mediatamente con l'intervento della rappresentazione immaginativa. L'aula, la camera, i corridoi possono essere ricondotti formalmente a figure geometriche, ma sarebbe errato limitare ad una informazione nozionistica e teorica la conoscenza di essi da parte del bambino. Possiamo rappresentargli simbolicamente il pavimento dell'aula con la forma del piano del suo tavolino, ma non essendo ancora il bambino abituato ai rapporti e quindi ad una razionale comparazione di misura, non potremo determinare dalla forma piccola l'immediato sorgere di quella grande: la presentazione della comparazione fatta in questi termini si concluderebbe esclusivamente in una pericolosa sovrapposizione di idee e pertanto le due immagini che avremmo voluto comparare, povere di contenuto sensoriale come sono, finirebbero per eludersi a vicenda. L'evoluzione delle immagini d'ambiente Dovremmo dunque concludere, di fronte alla perplessit� precedentemente espressa, che non sia possibile al non vedente giungere a strutturar delle immagini d'ambiente che superino la portata esplorativa immediata delle sue mani e delle sue braccia. A questo punto ci torna alla mente un aforisma di un filosofo associazionista dei primi dell'800, il quale asseriva che i ciechi avrebbero potuto benissimo avere la rappresentazione immaginativa anche dell'intero globo terracqueo purch� il loro organo sensorio di esplorazione e cio� le dita lo potessero esplorare immediatamente avendone una sensazione diretta e quindi un'esperienza concreta. Di fronte a tale perplessit�, se non esistessero soluzioni positive del problema, se non intervenisse una diversa impostazione filosofica dell'attivit� dello spirito umano, si dovrebbe concludere necessariamente che la mancanza della vista preclude la conoscenza delle forme e delle dimensioni con cui normalmente si presenta la realt� circostante. Sarebbe possibile, noi ci chiediamo, ammettere la normalit� di un pensiero cos� gravemente limitato? E pi� ancora: sarebbe ammissibile un'azione normale che derivi da un pensiero cos� limitato? A chi non vede non solo verrebbe contestata la possibilit� di pensare come gli altri, di uniformarsi al comune processo conoscitivo, di attingere al grande patrimonio scientifico e culturale dell'umanit�, ma anche quella di agire uniformando la propria azione nel grande sforzo produttivo della societ�. Dovremmo parlare a proposito di chi non vede di esclusi dalla cultura e dalla vita e ci� non solo contraddice all'esperienza che abbiamo del contributo dato da uomini non vedenti alla cultura e alla arte, ma anche e soprattutto ai principii su cui riteniamo si fondino la conoscenza umana e i dinamismi psicologici costituenti la personalit� dell'uomo. Riprendiamo il problema esattamente con la formulazione dubitativa precedentemente espressa: come � possibile procedere dall'immagine colta con un contenuto percettivo immediato, all'immagine che sfugge a tale immediatezza? L'immagine guida, e nel caso pi� comune di essa la forma geometrica, non essendo stato possibile procedere alla sua razionalizzazione proprio per la situazione evolutiva in cui si trova il bambino all'et� del primo ciclo della scuola primaria, non pu� essere tradotta e ampliata in altre situazioni percettive. Invero essa � sorta da un'esperienza sensoriale e ha continuato a svolgersi attraverso esperienze successive. Da qui la necessit� di postulare anche per immagini che esulino dall'unit� percettiva immediata, una provenienza percettiva, un fondamento in un'esperienza direttamente compiuta. Abbiamo gi� osservato come il bambino non vedente avverte l'ambiente in cui vive, distingue spontaneamente senza particolari interventi educativi se in quel determinato momento si trova in una stanza oppure all'aperto, avverte la differenza tra la piccola sua camera e una grande sala, coglie quindi un insieme confusamente strutturato che agisce sulla sua coscienza dandogli alcuni elementi primitivi di orientamento. L'analisi di questa percezione globale e confusa dell'ambiente, che pur tuttavia consente al bambino di discriminare ambiente da ambiente, di riconoscere quelli in cui vive abitualmente, � sempre stata tentata con particolari studi e quando non � stato possibile far luce sulla natura di siffatti elementi percettivi, si � parlato di facolt� misteriosa o di sesto senso. Noi crediamo che non sia necessario ricorrere a interpretazioni speciali e ad ipotesi di sfruttamento di sensi embrionali che verrebbero sviluppati per il principio di adattamento qualora venga meno la situazione normale di vita: noi pensiamo che a costituire la percezione confusa e globale degli ambienti concorrano le sensazioni acustiche in grado prevalente, quelle tattili in grado secondario e che entrambe siano strutturate in una unit� cosciente dall'esperienza motoria del soggetto. Per quanto sia limitata l'attivit� motoria del bambino non vedente, per quanto essa tenda ad una progressiva e costante involuzione, qualora non intervengano opportune stimolazioni educative, una esperienza di base egli ha pur sempre acquisito dell'ambiente in cui vive: si � mosso nella sua stanza, ha percorso pi� e pi� volte la distanza tra punti diversi traendo dalla durata dello sforzo la consapevolezza della distanza stessa. Anche quando si voglia considerare la povert� di un'attivit� motoria che si concretizza in uno sforzo muscolare oppresso e limitato dall'incertezza derivante dalla mancanza di un controllo e di una direzione precisa con cui regolare lo sforzo stesso, pur tuttavia anche entro questi limiti l'attivit� motoria giunge sempre a concretizzare un'esperienza, a dare significato ai termini spaziali vicino e lontano, lungo e breve. L'ambiente viene quindi avvertito e discriminato dal piccolo non vedente soprattutto da elementi di triplice natura percettiva: uditivi, tattili e cinestesici. Distinguere gli uni dagli altri nella costituita unit� percettiva � quanto mai arduo: equivarrebbe a voler stabilire in termini precisi il contributo dato dall'esperienza motoria al senso di distanza nel bambino che vede, rispetto a quello direttamente offerto dalla vista. L'educatore sa che il bambino ha coscienza dell'ambiente, ma � altrettanto certo che questa coscienza si limita a una sensazione confusa ed incerta, che non poggia direttamente su una rappresentazione immaginativa chiara, spazialmente distinta e all'occasione, graficamente rappresentabile. A questa certezza l'educatore giunge osservando come il bambino si muova e viva nel suo ambiente: come collochi immaginativamente gli elementi che costituiscono l'ambiente stesso. Nell'aula vi sono finestre e porta in una posizione precisa e determinata; vi sono mobili e suppellettili in posizione spesso variabile: il bambino che non vede sa dell'esistenza di questi elementi, ma come li colloca nella loro relazione spaziale e nella confusa immagine che ha dell'ambiente? Il fatto che egli riesca spesso senza un eccessivo numero di errori a ritrovare la porta dell'aula o della sua camera partendo dal posto in cui abitualmente si trova, non significa che egli agisca seguendo una chiara immagine dell'ambiente e sotto l'impressione delle tenui percezioni acustiche che gli provengono. La sua azione � spesso guidata soltanto da una sorta di memoria muscolare o meglio dalla rappresentazione soltanto di se stesso e dei propri movimenti estesa nel tempo. Per convincerci di ci� � sufficiente mutare pi� e pi� volte il punto di partenza dal quale il bambino deve orientare il proprio movimento per raggiungere la porta o la finestra. Ogni cambiamento di punto di partenza implica per lui un nuovo periodo di addestramento motorio, cio� il ricostituirsi di quella che abbiamo chiamato la memoria muscolare del percorso. Gli elementi acustici e tattili confusamente coordinati dall'esperienza motoria non sarebbero mai sufficienti da soli a far sorgere la immagine-guida dell'ambiente, se non intervenisse direttamente una rappresentazione immaginativa fondata su immagini guida precedentemente acquisite in un'attivit� percettiva immediata. Quando il bambino non vedente avr� preso coscienza dell'ambiente in cui vive mediante l'attivit� motoria, mediante una confusa esperienza acustica di esso, mediante quel senso di pressione che sulle parti scoperte del suo corpo esercita l'aria trattenuta dalle pareti, egli potr� anche raffrontare in modo concreto il piano della stanza e quello del suo tavolino, poich� il contenuto sensoriale caratteristico all'ambiente dar� alla nuova immagine gli appropriati elementi di estensione. Anche se il rapporto tra le due immagini, l'una conseguente all'altra non sar� cosciente, anche se il bambino non sapr� teoricamente quante volte il piano del tavolino � contenuto nell'aula, tuttavia la immagine-guida avr� svolto il suo compito, perch� egli sapr� anzitutto che il piano della sua aula ha la forma di quella del suo tavolino, sapr� che l'uno � assai pi� grande dell'altro, perch� sul piano egli si muove, cammina, corre incontrando altri tavolini ed altri oggetti. Nello schema geometrico fondamentale egli avr� la possibilit� di collocare in una disposizione chiara e precisa i vari elementi che concorrono a formare l'ambiente, cosicch� quando dovr� raggiungere uno di quegli elementi (porta, finestra o armadio), pur variando il punto di partenza, non sar� costretto a ricostruire faticosamente e pazientemente la memoria muscolare del percorso, ma gli baster� ritrovare se stesso nell'ambiente immaginativamente ricostruito: in tal modo proceder� come se vedesse con occhio interno (per usare l'espressione del Revesz) calcolando intuitivamente un continuo rapporto tra s� e le cose che lo circondano. Da questo principio metodologico possono scaturire suggestive applicazioni didattiche che giungono sino alle vette previste da Augusto Romagnoli quando tracciava la sua teoria dell'educazione estetica dei fanciulli ciechi. Il maestro dei fanciulli che non vedono deve avere coscienza della necessit� di saldare sempre pi� strettamente il fanciullo alla realt� che lo circonda poich�, nonostante egli cerchi di usare il linguaggio idoneo per un mondo fondato su esperienze diverse da quelle visive, non riuscir� mai a farsi comprendere dai suoi alunni se non potr� partire da un linguaggio comune e soprattutto da un analogo processo di rappresentazione della realt�. Il fanciullo che non vede, staccato dalla realt�, si limiter� a cogliere di quanto gli viene offerto dalla scuola la parte meno formativa e pi� astratta, prender� le nozioni cos� come esse possono essere raccolte senza essere assimilate, creder� di conoscere il mondo che lo circonda senza di fatto averne mai colto il volto o la voce, creder� di pensare come gli altri senza avere in comune un patrimonio di immagini da cui derivare conoscenza e sentimenti. L'educazione dell'immaginazione si estende quindi a settori sempre pi� ampi della formazione del fanciullo, poich� chi non vede pi� che qualsiasi altro dovr� affidare all'attivit� integrativa dell'immaginazione il proprio mondo conoscitivo e affettivo. La metodologia dell'immaginazione trova il suo compimento in un insegnamento attivo che faccia conto soprattutto dell'azione compiuta e voluta direttamente dal fanciullo che non vede, dall'azione intesa come celebrazione di uno spontaneo desiderio di fare, di una consapevole rappresentazione di ci� che � da farsi e di ci� che � stato fatto. Enrico Ceppi Segnalazioni bibliografiche, a cura del Centro di Documentazione Tiflologica (pag. 186) Questa sezione intende presentare brevemente ai lettori alcune pubblicazioni recenti riguardanti le materie tiflologiche. Quando non diversamente segnalato, le pubblicazioni possono essere reperite attraverso il normale circuito librario. Fernanda Fazio, Giancarlo Onger e Nicola Striano (a cura di), Storie di scuola. L'inclusione raccontata dagli insegnanti: esperienze e testimonianze. Trento: Erickson, 2016 (ISBN: 9788859012511). "Storie di scuola" sono storie di tutti coloro che operano nella e per la scuola (insegnanti in primo luogo, ma anche dirigenti, operatori e formatori) e che raccontano le loro esperienze con l'inclusione: i primi approcci, le difficolt�, ma anche le scoperte che questo mondo ha dischiuso ai loro occhi. Il volume si compone di diverse testimonianze, che non sono solo ricordi personali, ma anche un ripercorrere la storia dell'inclusione scolastica, un presentare metodologie di lavoro e condivisione dei saperi. L.R. Helfer, M.K. Land, R.L. Okediji, J.H. Reichman, The World Blind Union guide to the Marrakesh Treaty. Facilitating access to books for print-disabled. New York: Oxford University Press, 2017 (ISBN: 9780190679651). Adottato nell'ambito della Conferenza di Marrakesh nel 2013, il Trattato si propone di venire incontro alle persone con difficolt� di lettura, predisponendo delle opportune eccezioni al diritto d'autore per favorire lo scambio di opere in formato accessibile. La Guida illustra il Trattato in tutte le sue articolazioni, illustrando anche le diverse opzioni che possono presentarsi agli Stati che intendono ratificarlo. Dopo una introduzione di livello generale, che illustra i principi ispiratori del Trattato - tra i diritti umani sanciti a livello internazionale e i diritti d'autore - la Guida ne illustra e commenta i diversi articoli. Il volume � completato da un'appendice di documenti, tra cui il testo del Trattato, l'elenco degli Stati che lo hanno ratificato (al 31 ottobre 2016) ed il testo della Convenzione di Berna. La World Blind Union offre sul proprio sito una versione online del volume. Le pubblicazioni della Biblioteca Italiana per i Ciechi (pagg. 187-192) - Isabella Guerrieri Natoli, La scuola e l'alunno non vedente, Monza: Biblioteca Italiana per i Ciechi, 201.2, 106 p. (Euro 5,00). Con un linguaggio piano e scorrevole, l'autrice ci trasmette la passione e la creativit� della sua lunga esperienza di insegnante di bambini con disabilit� visiva. Il discorso didattico, articolato nelle diverse materie, si arricchisce delle profonde osservazioni e dei numerosi suggerimenti pratici, che fanno di questo libro solo all'apparenza un manuale operativo: in realt� un discorso articolato sull'apprendimento e sull'integrazione. - Yvette Hatwell, Psicologia cognitiva della cecit� precoce, Monza: Biblioteca Italiana per i Ciechi, 2010, 264 p. (tit. orig.: Psychologie cognitive de la c�cit� pr�coce, Paris: Dunod, 2003), Euro 12,00. Qual � la reale incidenza della cecit� sullo sviluppo percettivo e cognitivo del bambino e del giovane adulto? Quali ricadute ha sui processi educativi? Partendo da questi interrogativi, l'autrice illustra gli studi e le ricerche sperimentali sui processi cognitivi e percettivi in presenza di cecit� ed ipovisione degli ultimi quaranta anni. Un'opera che, nei suoi intenti, potr� essere d'aiuto non solo agli studiosi di psicologia cognitiva, ma anche agli educatori specializzati, insegnanti ed in genere a tutti coloro che affrontano le problematiche legate alla disabilit� visiva. - Immagini da toccare. Proposte metodologiche per la realizzazione e fruizione di illustrazioni tattili, a cura di Antonio Quatraro, Monza: Biblioteca Italiana per i Ciechi, 2004, 128 p. (Euro 10,00). La grafica tattile e le sue peculiarit� pedagogiche e didattiche, le caratteristiche realizzative e la descrizione delle buone prassi. Con un ricco corredo iconografico, questa guida mette a disposizione di insegnanti, assistenti scolastici, genitori ed operatori la migliore tradizione nel campo della progettazione e della realizzazione di plastici e tavole a rilievo. - Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita", L'alfabeto Braille come fondamento dell'emancipazione culturale e sociale dei ciechi, Atti del Convegno nazionale, Roma 16 ottobre 2002, 2002, 102 p. (Gratuito). Il bambino cieco o con residuo visivo minimo, privato del Braille, nell'illusione che possa mimetizzarsi fra i coetanei vedenti, � praticamente condannato all'analfabetismo strumentale; � costretto a rinunciare ad uno dei pi� efficaci fattori di autonomia personale e di integrazione scolastica, lavorativa e sociale. Fortunatamente vi sono anche molti genitori che, dopo qualche giustificata perplessit� iniziale, comprendono che il vero handicap consiste nel non essere capaci di risolvere i problemi e non negli strumenti o nel procedimento di cui ci si avvale per affrontarli. - Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita", Tecnologia e integrazione dei disabili visivi e dei pluriminorati. Guida per l'approccio all'informatica, a cura di Antonio Quatraro, 2001, VIII, 126 p. (Euro 5,00). Imparare a servirsi delle possibilit� offerte dalla tecnologia pu� essere un fatto meccanico e nozionistico, che poco giova alla maturazione del bambino, oppure pu� rivelarsi, come noi auspichiamo, un'opportunit� per affinare le capacit� immaginative e le abilit� di astrazione; per�, per perseguire questo secondo obiettivo, occorre il concorso di tutte le figure che si occupano dell'educazione del bambino, e innanzitutto la famiglia, e si richiede una flessibilit� nell'adottare le diverse soluzioni, quelle tradizionali e quelle tecnologicamente avanzate, con le opportune gradualit� e intercambiandole a seconda del livello di maturazione, degli obiettivi perseguiti di volta in volta e del livello di motivazione del ragazzo. - Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita", Crescere insieme. Guida per genitori, a cura di Antonio Quatraro, 2001, XII, 296 p. (Euro 5,00). Con questa guida ci rivolgiamo ai genitori di bambini e di ragazzi non vedenti, ipovedenti o non vedenti con pluriminorazione. Abbiamo voluto raccogliere l'esperienza di alcuni specialisti che da molti anni in vario modo si occupano del sostegno alla famiglia; abbiamo voluto raccogliere anche alcune tra le numerose testimonianze dei genitori, perch�, anche in una societ� come la nostra, tutta velocit�, tutta immagine, crediamo che la parola, il libro, possa ancora aiutarci a conoscere meglio cosa abbiamo dentro, ad esprimere meglio i nostri dubbi, i nostri sentimenti, le nostre aspirazioni. - Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita", Le problematiche dell'integrazione del non vedente nella scuola. Guida per insegnanti, testo redatto da Giancarlo Abba, Paola Bonanomi, Elisa Faretta e Anna Soldati dell'Istituto dei Ciechi di Milano, 2001, XIV, 78 p. (Euro 5,00). La presente "guida", dove il termine guida, senza voler essere un prontuario, indica la volont� di proporre un supporto concreto volto a suggerire consigli sulle modalit� di approccio al non vedente sul versante della comunicazione in ambiente formativo e scolastico, vuole definirsi soprattutto come strumento pratico di lavoro per gli insegnanti. La scelta che ci ha guidato � stata quella di porci le domande che gli insegnanti si pongono e alle quali abbiamo cercato di dare risposte concrete. La guida pratica vuole esprimere inoltre un valore orientativo che dia all'insegnante alcune coordinate pedagogiche, o meglio, tiflopedagogiche affinch� nel suo itinerario educativo possa affrontare la complessit� della problematica in modo pi� consapevole. - Jos� Enrique Fern�ndez del Campo, L'insegnamento della matematica ai ciechi (La ense�anza de la matematica a los ciegos), 2000, 354 p. (Euro 5,00). Ma quale matematica � possibile insegnare ai ciechi? Sar� forse necessario pensare ad una riduzione dei curricoli? La minorazione visiva pone dei limiti all'apprendimento di questa disciplina, gi� ritenuta tanto ostica per tutti? Dovremo forse tagliar via tutti quegli aspetti della matematica o della geometria cos� legati alla vista, nell'immaginario di tanti? (Quanto ci condizionano, ammettiamolo, la cara tradizionale lavagna o un grafico che vediamo svilupparsi sullo schermo di un computer!). Ed ecco che l'autore, anzich� rispondere a queste ovvie ed immediate domande, si pone pazientemente a ricostruire quali siano il senso e la natura di questa scienza, per poter arrivare a capire cosa significhi insegnarla. - M. Cay Holbrook (a cura di), Il bambino con disabilit� visiva. Guida per i genitori (Children with visual impairments. A parent's guide), 2000, XIV, 494 p. (Euro 5,00). La "Guida" si configura come un'opera di valore scientifico proprio perch� riesce a coniugare l'esigenza della chiarezza con quella, altrettanto fondamentale, dell'efficacia del messaggio; sotto questo ultimo aspetto le testimonianze dei genitori da un lato ed un intero capitolo affidato ad un genitore che � anche un professionista nel settore (il capitolo sesto), contribuiscono a renderla un'opera viva, da cui anche chi lavora in questo campo, pur senza essere n� genitore, n� famigliare del bambino con disabilit�, pu� certamente trarre insegnamento. - Pierre Henri, La vita e l'opera di Louis Braille (La vie et l'oeuvre de Louis Braille), 2000, 116 p. (Euro 5,00). Il volume di Pierre Henri si profila senza dubbio come un classico sia per quanto attiene alla struttura del sistema Braille, sia per quel che si riferisce alla figura del suo ideatore. Insieme con il breve ma succoso scritto di Jean Roblin, oggi di difficile reperibilit�, l'opera di Henri costituisce una lettura imprescindibile e prioritaria per chiunque, anche nel nostro tempo contraddistinto da tante felici innovazioni, voglia accostarsi al sistema di scrittura e di lettura tattile, al fine di approfondirne le vaste potenzialit�. - Consiglio Internazionale per l'Istruzione e l'Educazione delle Persone con Disabilit� Visiva (ICEVI), Atti della Conferenza Europea sull'Istruzione e l'Educazione dei Disabili Visivi. Scambio di informazioni e di idee (Proceedings. European Conference on Education of Visually Impaired. Mutual Information and Inspiration), Budapest, 4-8 July 1995, 2000, XIV, 265 p. (Gratuito). Il testo offre spunti di riflessione a quanti sono impegnati a qualsiasi titolo nel settore della disabilit� visiva e della pluriminorazione. Spunti che mettono in discussione lo stesso modo di leggere lo sviluppo del bambino cieco, spunti che ci indicano l'importanza di una presa in carico della famiglia, da parte del sistema dei servizi, sia di riabilitazione che di formazione in genere; una presa in carico che tende a valorizzare le risorse umane, aiutando la famiglia a riprendersi il ruolo che le spetta, nel processo formativo di qualunque fanciullo, specie se disabile visivo o con minorazione multipla. - Pierre Henri, La vita dei ciechi (La vie des aveugles), 2000, 97 p. (Euro 5,00). Pierre Henri, con molta naturalezza, ci parla delle prospettive di successo scolastico per i ciechi, la cui cecit� sia riconosciuta e alle esigenze formative dei quali siano date le risposte giuste. Egli ci parla di lavoro e della possibilit�, per i ciechi e per gli ipovedenti, di divenire economicamente autonomi, di essere utili a se stessi, alla loro famiglia ed alla societ�. Ci descrive la vita dei ciechi e degli ipovedenti nell'ambito della famiglia che si sono costruiti; ce li presenta come genitori che educano e curano i loro figli; come fruitori delle bellezze della natura e dell'arte; come turisti...; insomma, dopo aver letto le sue pagine, nessuno pu� pi� aver dubbi sul fatto che la vita dei ciechi e degli ipovedenti pu� essere varia, ricca di soddisfazioni e, in definitiva, degna di essere vissuta, come la vita di qualsiasi altro essere umano. - Rosa Lucerga Revuelta, Palmo a palmo. La motricit� fine e la condotta di adattamento agli oggetti nei bambini ciechi (Palmo a palmo. La motricidad fina y la conducta adaptativa a los objetos en los ni�os ciegos), 1999, 65 p. (Euro 5,00). La semplicit� e la chiarezza espositiva nascono da anni di consuetudine professionale e umana tra i bambini ciechi. Ma la forma e il contenuto dell'opera rivelano anche un'impostazione scientifica aperta e aggiornata: dalla scuola del Piaget, alle ricerche della Fraiberg, dagli studi sulla percezione, alla valenza dei quadri affettivo-relazionali sulla motivazione all'attenzione esterocettiva e alla conoscenza. L'autrice ha tratto le sue riflessioni dal ruolo di Coordinatrice del servizio di Assistenza Precoce ai bambini con gravi minorazioni visive di Madrid e in questo volume centra l'attenzione su "Lo sviluppo della motricit� fine e la condotta di adattamento agli oggetti nei bambini ciechi", nella fascia di et� compresa tra i tre e i cinque anni. - Paola Zaniboni, Il bambino non vedente: finalit� e metodi della scuola dell'obbligo, 1999, XI, 108 p. (Euro 5,00). L'autrice non si � proposta di scrivere un saggio di tiflologia. Con l'umilt�, con la sensibilit� di chi, da anni, opera nella scuola elementare e di chi ha vissuto per il recupero dei bambini privi della vista, ha inteso fornire le linee generali, le indicazioni essenziali per una didattica specializzata, dalla quale non si pu� prescindere quando l'atto educativo si rivolga ad un bambino cieco, comunque e da chiunque venga formato. - Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita", Codice Braille Italiano 1998, 1998, 32 p. (Euro 5,00). Ideato dal cieco francese Louis Braille, l'alfabeto che porta il suo nome � il sistema di scrittura e di lettura tattile per ciechi, in grado di codificare tutti gli alfabeti. - Costanzo Capirci, I segni della musica nel sistema Braille, 1997, VIII, 119 p. (Euro 5,00). Questo libro, � un manuale didattico basilare, un itinerario formativo che, attraverso l'educazione musicale, consente al ragazzo cieco di pervenire successivamente ad una consolidata acquisizione culturale della musica. I volumi possono essere richiesti a: Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita" - Onlus Via G. Ferrari, 5/A - 20900 Monza (Mb) - Tel.: 039.283271; Fax: 039.833264; E-mail: bic@bibciechi.it ?? ?? ?? ??