Aprile 2022 n. 4 Anno LII MINIMONDO Periodico mensile per i giovani Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi �Regina Margherita� Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registrazione 25-11 1971 n. 202 Dir. Resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Pietro Piscitelli Massimiliano Cattani Luigia Ricciardone Copia in omaggio Rivista realizzata anche grazie al contributo annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero della Cultura. Indice Quanti vaccini possiamo tollerare? Perch� ci piace l�horror Se non avessimo addomesticato il fuoco La Pajata, tutta la tradizione romana in un piatto Viaggio a Brunico: capoluogo storico e culturale della Val Pusteria Fuori gli atleti russi dallo sport: scelta giusta? Quanti vaccini possiamo tollerare? (di Margherita Fronte, �Focus� n. 353/22) - Di fronte al moltiplicarsi delle vaccinazioni e alla necessit� di nuove dosi per Covid-19, ci si chiede se il nostro corpo regga. Ecco perch� la risposta � s� - Prima dose, seconda dose, terza dose... E poi: il vaccino contro l'ultima variante, da fare magari assieme all'antinfuenzale. Senza dimenticare i richiami per tetano e difterite (ogni 10 anni) e tutta la serie di vaccinazioni somministrate ai bambini da zero a sei anni. Il calendario del ministero della Salute ne prevede ben 14, fra obbligatorie e facoltative, da fare in due o tre dosi e inoculate spesso in contemporanea. Gli adolescenti, poi, ne aggiungono altre sei. I medici ripetono spesso di non esagerare con i farmaci: perch� allora dovremmo farlo con i vaccini? Non rischiamo di sovraccaricare il sistema immunitario? La questione del �sovraccarico immunologico� non nasce con i vaccini contro Covid-19. Molto prima della pandemia, di fronte al moltiplicarsi delle possibilit� offerte in et� infantile, si era gi� fatta strada l'idea che il sistema immunitario, il cui ruolo � proprio quello di combattere gli agenti infettivi, potesse in qualche modo risentirne. Tuttavia, come ha osservato un recente articolo apparso sul British Medical Journal, �il concetto di �sovraccarico immunologico� non � ben definito neppure da chi lo propone. Solitamente, comunque, ci si riferisce al timore che pi� vaccini somministrati contemporaneamente risultino meno efficaci, oppure che il sistema immunitario, iperstimolato, non sia in grado di rispondere ad altre malattie, soprattutto nel periodo che segue la vaccinazione�. Entrambe le ipotesi sono state smentite. Per esempio, studi clinici ed epidemiologici hanno trovato che la trivalente (contro morbillo, parotite e rosolia) determina una buona risposta del sistema immunitario a tutte e tre le malattie, e che nei 90 giorni che seguono la somministrazione il rischio di sviluppare altre infezioni non aumenta. Inoltre, non � stata rilevata nessuna interferenza fra questo vaccino e altri somministrati in concomitanza, che restano efficaci esattamente come se fossero eseguiti a distanza di tempo. Una ricerca pubblicata sulla rivista medica Jama nel 2018, condotta su un migliaio di bambini, ha confermato che il rischio di contrarre infezioni gravi e non coperte dai vaccini non � influenzato dallo stato vaccinale. Il sistema immunitario, insomma, non sembra soffrire di questo presunto sovraccarico. �Del resto, fin dalla nascita � in grado di gestire naturalmente e senza problemi una quantit� esorbitante di stimolazioni�, spiega Maria Rescigno, capo dell'Unit� di immunologia delle mucose e microbiota all'Istituto Humanitas di Rozzano (Milano). �L'esposizione inizia gi� con la nascita, quando il bambino passa dall'ambiente sterile dell'utero al canale del parto, e incontra la miriade di batteri che formano il microbiota materno�. Nel 2002, uno studio che � ormai diventato un classico, pubblicato dalla rivista Pediatrics, provava con i numeri a rispondere ai dubbi dei genitori preoccupati. Calcolando la quantit� di linfociti nel sangue dei bambini, e valutandone l'attivit�, stimava che la somministrazione in contemporanea di ben 10.000 vaccini terrebbe occupato appena lo 0,1% del sistema immunitario. Nessuno, ovviamente, si sognerebbe mai di farlo (anche perch� non esistono 10.000 vaccini), ma la cifra ci mette di fronte un fatto: le vaccinazioni rappresentano una goccia nel mare delle stimolazioni che le nostre difese naturali gestiscono quotidianamente. La situazione non cambia crescendo. �Anche da adulti siamo continuamente esposti a moltissimi agenti esterni, e non � quindi un problema immunizzarsi in contemporanea contro pi� malattie�, riprende Rescigno. �Riguardo al Covid, anzi, l'idea che si fa strada � proprio quella di somministrare in un'unica seduta il vaccino contro la variante che sar� in circolazione e quello contro l'influenza stagionale. Sarebbe un risparmio di tempo e di costi e, a livello immunitario, la risposta all'antinfluenzale risulterebbe potenziata, per via degli adiuvanti contenuti nel vaccino anti-Covid (gli adiuvanti sono sostanze che aumentano l'efficacia, ndr)�. La contemporaneit� delle somministrazioni, peraltro, � stata prevista gi� quest'anno da una circolare congiunta emanata a ottobre dal ministero della Salute, dall'Aifa e dall'Istituto Superiore di Sanit�. A quanto pare, dunque, i dati suggeriscono di preparare il braccio. �E tuttavia�, prosegue Rescigno, �non sempre le dosi aggiuntive servono davvero�. Per capire quante e quando dovremo farne occorre ripassare qualche nozione di base. I vaccini fanno in modo che il sistema immunitario entri in contatto con un pezzetto dell'agente infettivo, chiamato antigene. Quelli tradizionali introducono l'antigene direttamente nel sangue; i pi� moderni (come i vaccini a mRNA) spingono le nostre cellule a produrlo. Le due vie portano allo stesso risultato. �La prima dose stimola una risposta iniziale e la sintesi di anticorpi�, spiega l'esperta; �la seconda aumenta la risposta, e il booster (il richiamo) la consolida, potenziando in particolare la produzione dei linfociti della memoria, le cellule che restano nell'organismo, pronte a entrare in azione se l'agente infettivo dovesse attaccare in futuro�. La terza dose, quindi, non � un'eccezione nelle vaccinazioni: � infatti necessaria per quasi tutte quelle gi� approvate. La situazione cambia per l'eventuale quarta dose. �Non sappiamo quanto dura l'immunit� al Covid dopo il booster. Se calasse, dovremo certamente rivaccinarci�, prosegue Rescigno. �Se viceversa il vaccino restasse efficace per anni, potrebbero doverlo ripetere soltanto le persone che hanno malattie che compromettono la funzionalit� del sistema immunitario�. C'� poi l'incognita delle varianti. Per prevenirne la formazione dovremmo immunizzare contemporaneamente tutto il mondo: un sogno, pi� che un'ipotesi realistica. Le nuove varianti quindi arriveranno, e potrebbero essere coperte dai vaccini precedenti oppure no. �In quest'ultimo caso dovremo aggiornarli�, conclude Rescigno. Per la variante omicron l'iter � in corso e gi� nei prossimi mesi avremo vaccini ad hoc. Infatti, anche se i preparati utilizzati nell'anno che � appena trascorso restano efficaci nel prevenire le forme gravi della malattia, da pi� parti si sollecita la formulazione di nuovi vaccini che siano pi� efficaci nel prevenire il contagio, debellando anche le forme �lievi�. Perch� ci piace l�horror (di Elena Meli, �Focus� n. 353/22) - I film �del terrore� ci aiutano a riconoscere i pericoli (ma senza correrli davvero). E per questo il nostro cervello ne � cos� attratto - �Il suo personaggio era cos� realistico che quando stavo con lui vedevo il cannibale. E lo lasciai�, cos� ha dichiarato poche settimane fa la conduttrice televisiva Martha Steward, che aveva una relazione con l'attore Anthony Hopkins proprio nel periodo delle riprese del thriller Il silenzio degli innocenti. Una delle migliori recensioni al film mai formulate, probabilmente. Del resto la pensava cos� anche Eli Roth, regista cult di horror, che si sent� molto gratificato per lo svenimento di uno spettatore durante la proiezione del suo The green Inferno, pellicola in cui raccontava con dovizia di particolari splatter le peripezie di un gruppo di ragazzi in mano a una trib� di cannibali. Va detto che nel 1973 nelle sale dove si proiettava L'esorcista c'era chi vomitava, e qualche anno fa in India un 65-enne pare sia morto (letteralmente) di paura per un attacco di cuore mentre guardava The Conjuring 2. Vedere un horror insomma pu� non essere una passeggiata, eppure gli amanti del brivido sono tanti. Viene da chiedersi se siano tutti masochisti o se ci sia qualche ragione per cui saltare sulla sedia dopo un colpo di scena ci attragga irresistibilmente. Anche i ricercatori se lo sono chiesto e dal 2010 esiste perfino una rivista scientifica, Horror Studies, che si occupa proprio di capire che cosa ci sia sotto questa apparentemente �insana� ma assai diffusa passione per la paura: stando a una ricerca di Mathias Clasen, direttore del Recreational Fear Lab dell'Universit� di Aarhus in Danimarca, oltre la met� delle persone ama il genere e nell'80 per cento dei casi vuole che il film faccia proprio accapponare la pelle e battere i denti dal terrore. Secondo Clasen, si tratta di una fascinazione evolutivamente utile perch� ha consentito ai nostri antenati di imparare a conoscere i pericoli restandone in realt� a distanza. L'horror soddisfa lo stesso istinto e il maestro indiscusso del genere, Stephen King, lo aveva intuito gi� all'et� di dieci anni, quando teneva un quaderno su Charles Starkweather, serial killer in azione durante l'infanzia dello scrittore: quando la madre gli chiese preoccupata perch� lo facesse, lui rispose che era per saper riconoscere un assassino, se lo avesse incontrato, e cos� tenersene alla larga o scappare a gambe levate. �I film horror ci permettono di esplorare situazioni inedite, potenzialmente pericolose, e monitorare la nostra risposta emotiva e comportamentale: in altri termini, ci preparano alla vita aumentando la capacit� di sopravvivenza�, commenta Emanuele Castano del Dipartimento di psicologia e scienze cognitive dell'Universit� di Trento. �Ovviamente non in senso letterale: � alquanto improbabile essere inseguiti da uno psicopatico con un'ascia, ma assaporare il terrore in un contesto protetto ci aiuta a capire questa emozione e quindi a gestirla. Ci� che non ci uccide, insomma, ci rinforza�. Per di pi� la visione dei film spesso avviene con amici o con la famiglia e condividere la fifa pu� rafforzare i legami di gruppo, ma anche aiutare ulteriormente a contenere l'angoscia, tanto che un po' a sorpresa proprio i pi� ansiosi potrebbero trarre particolare giovamento dagli horror. Lo ha suggerito di recente Coltan Scrivner dell'Universit� di Chicago (Usa), dimostrando che queste pellicole consentono a chi soffre di un disturbo d'ansia di sperimentare emozioni negative a �dosi� controllate, diventando cos� pi� resilienti e capaci. di affrontare gli stress della vita reale. Un vantaggio emerso anche durante la pandemia, stando a un'altra ricerca di Mathias Clasen, � che, a prescindere dalla presenza o meno di ansia, gli amanti dell'horror se la stanno cavando meglio e sono stati meno stressati, perfino nei periodi pi� bui di lockdown, perch� �hanno gi� visto il mondo in tumulto nei film sugli zombie e simili, ed � come se fossero pi� preparati alle crisi: si sono sentiti meno sopraffatti e hanno mostrato pi� capacit� di reazione rispetto a chi rifugge i film �di paura��, racconta Clasen. Peraltro, vivere il terrore sapendo che non � reale sembrerebbe utile pure a livello fisico, visto che secondo uno studio dell'Universit� di Coventry, nel Regno Unito, vedere un film horror attiva i globuli bianchi nel sangue migliorando la loro capacit� di risposta in caso di infezioni: il sistema immunitario entra in allerta per difenderci meglio. I vantaggi di queste pellicole solitamente bistrattate dalla critica non finiscono qui, perch�, come aggiunge Castano, �non ci si sente mai cos� vivi come quando guardiamo la morte in faccia: i film dell'orrore potrebbero perci� aiutarci a tenere a bada la nostra ansia esistenziale�. Castano ha studiato gli effetti del cinema sulla capacit� di rappresentare la mente altrui e ipotizzare quindi pensieri e sentimenti dell'altro, scoprendo che i film d'autore la facilitano mentre i blockbuster hollywoodiani no. E i film dell'orrore? �Di solito lasciano poco spazio all'immaginazione e questo non aiuta, ma � possibile che alcuni, specialmente i meno cruenti, possano allenarci a capire la mente altrui. E comprendere che cos sta pensando uno psicopatico, magari anticipandone l'azione, potrebbe rivelarsi utile�. Si torna insomma all'horror come palestra della paura, l'emozione che pi� aiuta alla sopravvivenza. Se il finale � ottimista, poi, pu� essere anche un mezzo per superare esperienze drammatiche come dimostra una ricerca di Morgan Podraza della Ohio State University (Usa) secondo cui vedere sullo schermo un personaggio che trionfa sul �mostro� � un modo per ritrovare speranza nella vita reale: in particolare le ragazze che hanno la meglio sul male (di solito dopo essersi cacciate nei guai per tutto il tempo, compiendo scelte contro ogni pi� basilare logica) sarebbero di grande aiuto a chi ha vissuto veri traumi, che tramite lo schermo si possono elaborare e quindi superare meglio. In generale, poi, il trionfo dell'eroe provoca emozioni positive che bilanciano il ribrezzo e il terrore provati fino a quel momento: dopo le scariche di adrenalina delle volte in cui si � balzati sulla sedia e l'attivazione intensa delle aree cerebrali per l'elaborazione delle emozioni, il cervello viene �inondato� di dopamina e serotonina, neurotrasmettitori connessi a sensazioni piacevoli e alla gratificazione. �Sembra che gli appassionati, poi, non provino emozioni negative vedendo un horror o almeno che le provino in contemporanea al piacere�, aggiunge Castano. �I novizi invece hanno soprattutto paura, a meno che durante la visione non si ricordi loro che si tratta di un contesto fittizio: ci� suggerisce che la passione per l'horror sia un gusto acquisito, per il quale serve una certa preparazione�. C'� per� chi proprio non vuole saperne e di fronte a un horror si tappa occhi e orecchie: gli amanti del brivido hanno in effetti caratteristiche peculiari ed � stato tracciato un loro identikit. Innanzitutto sono leggermente pi� spesso uomini, ma non sono solo ragazzini, sebbene l'�appetito� per l'horror abbia un picco durante l'adolescenza. �� il periodo in cui � massima la ricerca di sensazioni forti, che � un poco pi� preponderante negli uomini e dopo i 30 anni tende a diminuire: il carattere inusuale, sorprendente ed �estremo� degli horror li rende attraenti per queste persone�, conferma Castano. �Questi film poi interessano di pi� a chi ha maggiore apertura mentale verso la novit�, ma la correlazione potrebbe dipendere dalla presenza frequente di elementi paranormali o eventi insoliti nelle pellicole. Non ci sono prove, invece, che vederli serva per purificarci e liberarci da emozioni negative, n� sembra plausibile la lettura psicanalitica per cui i film dell'orrore permetterebbero di confrontarsi con istinti e bisogni repressi, perch� � improbabile che una larga fetta dell'umanit� voglia sventrare i suoi simili o vederli perseguitati dai fantasmi�. Siamo sicuri per� che l'unico effetto collaterale di Halloween e compagnia sia solo dormire con la luce accesa qualche volta, non sentirsi a proprio agio con i clown per colpa di It o al massimo abbandonare l'idea di un campeggio nei boschi dopo aver visto The Blair Witch Project, come � emerso da una ricerca di Joanne Cantor dell'Universit� del Wisconsin (Usa)? Non � che assistere sullo schermo a violenze di ogni tipo ci fa venir voglia di andare in ufficio con un'accetta in borsa per liberarci dell'odiato capo? �Essere esposti alla violenza desensibilizza, ovvero pu� aumentare la tolleranza alla violenza nella societ� o la probabilit� che diventi una nostra risposta in certe situazioni�, risponde Castano. �Tuttavia questo avviene di pi� se c'� un ruolo attivo e una identificazione, come pu� succedere in alcuni videogiochi: negli horror le situazioni sono cos� esagerate e surreali che identificarsi � difficile, non credo che uno spettatore possa trasformarsi in �mostro��. Se non avessimo addomesticato il fuoco (di Marco Ferrari, �Focus� n. 347/21) - Gli incendi estivi lo trasformano in una minaccia, ma senza di esso la nostra specie non si sarebbe nemmeno evoluta - Non scherziamo col fuoco. Il suo ruolo � stato centrale per l'evoluzione e la vita degli esseri umani. Per centinaia di migliaia di anni, le fiamme ci hanno accompagnato in giro per il mondo, e hanno persino plasmato il nostro corpo. Ma cosa sarebbe successo se i nostri antenati non avessero trovato il modo per addomesticare il fuoco? Certamente adesso saremmo molto diversi, molto meno numerosi e probabilmente anche molto differenti fisicamente. Tutta la storia umana infatti gira attorno al momento in cui � stato scoperto che il fuoco si poteva sfruttare, controllandone la potenza. I primi esempi di uso del fuoco risalgono almeno a un milione di anni fa, e sono stati ritrovati in una grotta sudafricana. �Ma sono �evidenze di fuoco� e non ancora focolari pi� strutturati dove si vede un uso continuo del fuoco per lunghi periodi di tempo�, dice Francesco Berna, archeologo all'Universit� Simon Fraser, a Burnaby, in Canada. Berna studia l'origine dell'uso del fuoco e ritiene che i primissimi esseri della linea umana che hanno imparato a usare il fuoco siano stati Homo erectus. �Il vero e proprio controllo del fuoco � un passo pi� complesso, dal punto di vista comportamentale e cognitivo. Ed � molto pi� difficile da dimostrare�, spiega Berna. In questa lunga storia, un punto cruciale � stato il momento in cui uno dei nostri antenati (forse Homo habilis) ha cominciato a cucinare il cibo, come afferma l'antropologo inglese Richard Wrangham. E questo ci ha dato un grandissimo vantaggio. Il cibo cotto infatti � pi� digeribile, e cos� le calorie risparmiate per digerire furono usate per ingrandire il cervello. Il tutto avvenne, ovviamente, nei tempi dell'evoluzione, nel giro di qualche centinaio di migliaia di anni. Anche se, per l'enorme salto evolutivo che ha condotto allo sviluppo di Homo sapiens, il fuoco non � pi� considerato l'unico fattore. Berna, ma anche altri paleontologi, fanno notare come molti siti archeologici non avessero resti di focolari. � dunque possibile che varie popolazioni di Homo abbiano occupato l'Europa e il resto del mondo senza il controllo sistematico del fuoco. Nel loro caso, le calorie necessarie a ingrandire il cervello furono ricavate dai tessuti animali come il midollo e il cervello delle prede: �Ci sono molti resti fossili di grossi erbivori, come elefanti o cavalli, con il cranio spaccato e le ossa lunghe spezzate in due, proprio per raggiungere il midollo e il cervello�. Ma se anche il fuoco fosse stato una concausa, e non la causa biologica che ha permesso al nostro cervello di crescere, il suo ruolo � stato determinante per il nostro sviluppo evolutivo: il fuoco serviva infatti a proteggerci, tenendo lontani i predatori durante la notte, e a scaldarci durante l'inverno. � proprio grazie al fuoco che la specie umana si � potuta diffondere in tutto il Pianeta, vivendo anche nelle regioni pi� fredde. L'uso del fuoco come fonte luminosa ha anche permesso di prolungare le attivit� umane dopo il tramonto del Sole. Il fuoco, poi, ha agito come collante sociale: quando � acceso � il luogo di raccolta delle trib�, dove i racconti e i miti sono passati di generazione in generazione. Infine, da quando gli Homo sapiens, e forse i Neanderthal, hanno imparato a usare il fuoco, il percorso della nostra specie ha accelerato. Siamo diventati pi� numerosi e abbiamo invaso e modificato il Pianeta nel giro di poche migliaia di anni. Senza fuoco, decisamente diversa sarebbe stata la struttura delle singole trib� e forse della societ� globale; il focolare � un elemento aggregante e aumenta le capacit� comunicative e di trasmissione delle informazioni nella trib�. Totalmente differente sarebbe stata poi l'ecologia del Pianeta. Dopo la preistoria, come spiega lo storico dell'ambiente Stephen Pyne nel suo libro del 2019 Fire: a brief history (Weyerhaeuser Environmental Books), il fuoco � stato fondamentale per la nostra specie anche in altri momenti come per l'invenzione dell'agricoltura e per le attivit� industriali. Ognuna di queste tappe ha portato a profondi cambiamenti nell'ambiente. Senza fuoco, non ci sarebbero stati gli immensi incendi che hanno cambiato il paesaggio e gli ecosistemi di molti continenti. Secondo Pyne, avere il fuoco implicava anche che le persone dovevano procurarsi il carburante necessario: �L'idea di agricoltura ha messo in moto un'enorme raccolta di combustibili�, dice. Gli agricoltori e i pastori potevano espandere il proprio territorio solo se le nuove terre erano pulite con le fiamme: un fuoco �controllato�, per�, che non invadesse case o capanne, appiccato anche per arricchire il terreno di nutrienti rilasciati dalle piante combuste. Ma l'utilizzo pi� importante fu quello delle industrie: il fuoco � servito a lavorare e modellare strumenti in pietra, per realizzare oggetti in argilla e ceramica, per creare materiali come leghe metalliche e vetro: un ruolo fondamentale, come evidenzia gi� l'antico mito di Prometeo, l'eroe greco che rub� il fuoco agli d�i per darlo all'umanit� consentendole di progredire. Insomma, la nostra specie non ha solo imparato ad accendere il fuoco ma anche a controllarlo, quasi fosse un animale domestico: �Deve essere fatto nascere, curato, addestrato�, sottolinea Pyne, �e costringe le persone a cambiare le proprie abitudini per adattarle al suo uso�. Lo studioso d� cos� tanta importanza al fuoco che chiama le industrie che lo utilizzano �pirotecnologie�, e arriva a dire che viviamo nel Pirocene, l'era del fuoco. Non solo la lavorazione, ma anche l'estrazione dei metalli necessitava di fiamme per illuminare le miniere, e di fuochi per frantumare le rocce ed estrarne i minerali. Inoltre, anche le costruzioni non potevano farne a meno. Dice ancora Pyne: �Il calcare doveva essere arrostito in calce adatta per cemento, la sabbia fusa per fare il vetro, l'argilla cotta in ceramica. Zolfo, mercurio e allume dipendevano tutti dal fuoco per strapparli alla ganga e purificarli�. La lavorazione di ferro, bronzo, rame, fino all'acciaio, ha bisogno di temperature elevate. Naturalmente, oltre agli aratri, anche le armi si fabbricano col fuoco. E lo utilizzano: Vannoccio Biringuccio conclude il suo trattato De la pirotechnica del 1640, con un elenco di strumenti che lanciano proiettili infuocati. Del resto, i passaggi dall'Et� del rame a quella del bronzo e poi a quella del ferro, a partire dal 5o millennio avanti Cristo, sono stati segnati dalla nascita di armi sempre pi� perfezionate e robuste, molto pi� efficaci in battaglia. E il cosiddetto �fuoco greco�, una miscela a base di petrolio e minerali, era una delle armi pi� temute negli assedi. Il controllo e l'uso del fuoco e delle alte temperature � quindi alla base di ogni civilt�: motori a combustione interna, centrali elettriche a combustibile, persino i fuochi della cucina o della caldaia domestica sono circoscritti e dosati. Nei laboratori scientifici la sottile fiamma del becco Bunsen � onnipresente, cos� come fiamme ben pi� potenti nelle acciaierie o negli impianti di raffinazione del petrolio. �Il fuoco pi� rivoluzionario � per� quello racchiuso nel metallo e usato per muovere pistoni�, conclude Pyne. Con il motore a vapore, il fuoco � diventato pi� di una fornace: visto che muove veicoli, compete direttamente con la forza del muscolo. Insomma, nella nostra e in altre civilt� anche lontane nel tempo, il fuoco � stato ed � assolutamente indispensabile per la vita. Privi di esso, saremmo forse confinati ancora nel continente africano, pochi e indifesi. Senza fuoco il nostro percorso nella storia del Pianeta sarebbe stato estremamente pi� lento e circospetto, e alcune zone fredde o aride non sarebbero probabilmente mai state raggiunte e colonizzate. Saremmo stati una specie pi� in equilibrio col Pianeta? Probabilmente s�, ma allo stato brado. La Pajata, tutta la tradizione romana in un piatto (Sfizioso.it) Oggi parliamo di pajata, l�ingrediente perfetto per chi ama i sapori forti e decisi. Quelli di una volta, della cucina tradizionale italiana. La pajata (in romanesco) o pagliata (in italiano) non evoca solamente la tradizione culinaria romana, ma tutta la cultura della citt� eterna. Dai volti, come quello di Alberto Sordi che ne parla nella celebre scena del Marchese del Grillo, ai luoghi tipici: vengono subito in mente i quartieri pi� �popolari� � Testaccio, Trastevere, Garbatella � quelli pieni di trattorie dove si respira la romanit� in tutti i sensi. Ma cos�� la pajata (o pagliata)? A Roma con il termine pajata si intende quella parte dell�intestino del bovino che normalmente viene chiamata duodeno e che contiene il chimo, una sostanza molto gustosa. Si tratta del latte presente in quel tratto di intestino. La pajata di vitello � pi� tenera di quella di manzo e si presta di pi� alla cottura alla griglia. Inoltre il grasso che si forma durante la cottura � ottimo per friggere e condire. Come taglio di carne, essendo una parte dell�intestino rientra nella categoria del quinto quarto, ovvero le frattaglie dell�animale. E come si prepara? La pajata � una specialit� che si pu� gustare in diversi modi, sia come primo che come secondo. La ricetta pi� famosa � probabilmente quella dei rigatoni con la pajata. In questo caso l�intestino viene tagliato a pezzettini che formano delle ciambelle o piccole salsicce che poi vengono cotte in padella con olio extravergine d�oliva, carote, cipolla, sedano, sale, aglio e peperoncino. Una volta rosolato tutto, si sfuma con del vino bianco. Poi si aggiunge la passata di pomodoro e si cuoce a fuoco per un paio d�ore. A parte si cuociono i rigatoni, che poi vanno ripassati in padella con un�aggiunta di pecorino romano. Un�altra maniera tradizionale di cucinare la pajata � cotta alla brace. Ma l�intestino di vitello si pu� preparare anche in umido, arrosto, al forno o con lo strutto. Anche in altre zone del centro Italia, come le Marche, si usa cucinare la pagliata arrostita alla brace: si tratta di una ricetta tradizionale conosciuta come Spuntature. Viaggio a Brunico: capoluogo storico e culturale della Val Pusteria (Viaggiart.com) Siamo in un territorio splendido, al confine tra l'Italia e i luoghi leggendari della cultura mitteleuropea, dove la natura non si risparmia per bellezza e colori in ogni stagione: un viaggio a Brunico � un'avventura che coniuga storia e paesaggio nel cuore della Val Pusteria, in Alto Adige. Brunico � una localit� per tutte le stagioni: d'estate come d'inverno, infatti, sono assicurate giornate di vacanza varie e divertenti, adatte sia per chi decide di organizzare il viaggio con la famiglia e i bambini al seguito, che per una scappatella romantica in coppia o anche da soli, per godere la pace e il relax di queste incantevoli valli. Il Plan de Corones, la montagna dei brunicensi, � senza dubbio la protagonista assoluta del territorio. Se in inverno grandi e piccoli battono le piste da sci fino a valle, con ben 116 Km di discese curate e attrezzate, d'estate il Plan de Corones si trasforma in un paradiso di verde, fiori e animali da osservare, luogo ideale per gli escursionisti e mountain biker, lungo una rete articolata di sentieri intorno alla vetta. La cittadina � il capoluogo storico e culturale della Val Pusteria e vanta numerose attrazioni legate all'anima tradizionale della valle, da non perdere assolutamente. Posta a 835 metri di altitudine, nel cuore di un'ampia conca valliva, la citt� mantiene ancora intatto un centro storico medievale che confina a nord con la Valle Aurina e i suoi ghiacciai, a sud con la Val Badia e le sue vette dolomitiche. La storia di Brunico risale al 1250, quando il vescovo e conte brissinese Bruno di Wullenst�tten e Kirchberg fece erigere un castello su questa collina, ponendo cos� la prima pietra della citt�, l'unica in Val Pusteria, documentata ufficialmente nel 1256. Oggi Brunico conta 16.000 abitanti e si estende su una superficie di 5000 ettari, includendo le frazioni di Riscone, San Giorgio, Stegona, Villa Santa Caterina, Teodone, Lunes e Ameto. Il centro storico si raggiunge attraverso le antiche porte della citt�. Arrivati nella graziosa Via Centrale della citt� vecchia, sar� un piacere fare un giro per i piccoli negozi che offrono prodotti di qualit� tipici altoatesini, bar e caffetterie accoglienti. Il periodo natalizio � l'occasione giusta per ammirare questo delizioso centro storico addobbato e animato dal tradizionale Mercatino di Natale lungo Via Bastioni. Chi desidera immergersi nel fascino storico e nel tempo perduto delle valli altoatesine, a Brunico pu� ammirare, ad esempio, il Museo Civico. Inaugurato nel 1995, in quelle che un tempo erano le stalle del servizio postale cittadino, oggi il museo ospita dalle cinque alle sette esposizioni all'anno, sempre incentrate sull'esibizione dell'arte regionale, nazionale e internazionale: grafica, pittura, scultura e fotografia si alternano di volta in volta. La collezione storica propone opere di quello che un tempo era il Museo Locale di Brunico: con mirabili esempi d'arte sacra, come il polittico tardogotico di Simon e Veit da Tesido, opere di Michael Pacher, Friedrich Pacher, Paul Troger e del Maestro di Villa Ottone. Rinomato a livello internazionale, il Messner Mountain Museum Ripa, sito nel Castello di Brunico all'ingresso della citt�: si tratta del sesto e ultimo museo del grande alpinista Reinhold Messner. Con le sue �dita�, questo edificio progettato dall'architetta Zaha Hadid offre uno sguardo affascinante sulle tre cime dell'Alto Adige che hanno segnato la carriera di Reinhold Messner. Non � finita qui per�: al Castello di Brunico il MMM Ripa invita tutti gli interessati ad un viaggio tra i popoli di montagna di tutto il mondo. Interessante anche il Museo Provinciale di Usi e Costumi di Teodone. Un viaggio a Brunico diventa anche occasione per scoprire la vivacit� e il folklore di una comunit� in grado di preservare le proprie tradizioni antiche e offrirle ai visitatori in chiave contemporanea e coinvolgente. Nonostante le sue dimensioni limitate, Brunico ospitava in centro due birrerie: la Kirchberger Br�uerei e la Br�uerei Stemberger, entrambe fabbriche di birra eccezionale. Questa importante tradizione � oggi portata avanti dalla Rienzbr�u, con la Birra di Brunico, che non solo riscuote grande successo in qualit� di specialit� locale, ma ha conquistato rinomati premi e riconoscimenti in occasione di concorsi internazionali. Ogni due anni, Brunico organizza una grande festa cittadina, durante la quale una strepitosa sfilata storica attraversa il centro con banda musicale, carri allegorici, �Schuhplattlern� (danzatori di un tipico ballo tirolese), �Goasslschnellern� (schioccatori di frusta), piatti e bevande tipici. Il Mercato di Stegona si tiene invece ogni anno, dal 26 al 28 ottobre. � questo il mercato pi� grande del Tirolo, nel quale imbattersi in venditori di caldarroste, stand gastronomici, venditori di bestiame, il tutto ravvivato dalle luci del luna park. Fuori gli atleti russi dallo sport: scelta giusta? (di Matteo Oneto, Today.it) Lo sport ha deciso: la Russia non pu� partecipare alle competizioni internazionali. Il messaggio del Comitato Olimpico Internazionale � stato recepito subito dal calcio che ha escluso la Nazionale dai Mondiali e i club russi dai tornei internazionali. Perch� � giusto escludere la Russia dallo sport� Una decisione che non � un unicum nella storia, anzi, basta tornare al 1992 quando la Jugoslavia fu esclusa dall�Europeo di calcio, dove partiva tra le favorite. L�invasione dell�Ucraina da parte della Russia ha costretto ancora una volta lo sport a fare una scelta e alla fine si � deciso per l�esclusione. Scelta giusta, oppure no? L�analisi non � semplice, il tema � complicato. A livello politico e diplomatico forse � davvero la cosa giusta da fare. Il mondo vuole cercare di essere il pi� compatto possibile nelle sanzioni e cos� lo sport non si � tirato indietro. Ammettere gli atleti russi poteva essere vista come una �falla�, o addirittura come un modo per girarsi dall�altra parte e far finta di nulla, errore che il mondo ha gi� fatto in passato con conseguenze drammatiche. La guerra per� non � solo diplomazia e politica, la guerra entra nella vita delle persone e ovviamente degli atleti. Escludere la Russia significa allontanare dai campi di tutto il pianeta dei ragazzi e delle ragazze che coltivano la propria passione, che lavorano duro per raggiungere i propri obiettivi e che oggi per scelte altrui devono fermarsi mettendo nel cassetto i propri sogni. Lo sport dovrebbe essere veicolo di pace, anche quando questa sembra lontana e difficile da raggiungere. Non � di certo un abbraccio sul podio delle Olimpiadi di Pechino tra un ucraino e un russo a fermare la guerra, ma � un segnale, una scelta di due ragazzi che nemici davvero non lo vogliono essere. E allora l�esclusione � una sanzione che colpisce lievemente la Russia, difficile pensare che nelle stanze dei bottoni qualcuno stia pensando allo sport in questo momento, ma diventa un macigno per gli sportivi che magari sono anche contrari alla guerra. � questa l'unica ragione per cui il Comitato Olimpico e gli altri organismi internazionali dello sport potevano scegliere un'altra strada, ma sarebbe stato davvero giusto? Probabilmente no, perch� se � vero che da una parte c�� chi � stato escluso, dall�altra ci sono quegli atleti che scendono in campo ben sapendo che i propri familiari e amici sono in fuga o ancora peggio sotto le bombe del nemico. La realt� � che in guerra perdono tutti e questa � solo l�ultima dimostrazione.