Ottobre-Dicembre 2022 n. 4 Anno 32 Tiflologia per l'integrazione Trimestrale edito dalla Biblioteca Italiana per i Ciechi �Regina Margherita� Onlus con il contributo dell'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti e della Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi Fascicolo I Stampato in Braille a cura della Biblioteca Italiana per i Ciechi �Regina Margherita� Onlus via G. Ferrari, 5/A 20900 Monza Rivista realizzata anche grazie al contributo annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero della Cultura. Gli articoli firmati esprimono l'opinione dell'autore, che non coincide necessariamente con la linea della redazione. Direttore Responsabile: Pietro Piscitelli Comitato di Redazione: Giancarlo Abba, Vincenzo Bizzi, Pietro Piscitelli, Stefano Salmeri Segreteria di Redazione: Daniela Apicerni, Francesco Giacanelli Direzione e Redazione: Biblioteca Italiana per i Ciechi �Regina Margherita� Onlus Centro di Documentazione Tiflologica Via della Fontanella di Borghese, 23 - 00186 Roma Tel. 06/68.21.98.20 Fax: 06/68.13.62.27 E-mail: cdtinfo@bibciechi.it Amministrazione: Biblioteca Italiana per i Ciechi �Regina Margherita� Onlus Via G. Ferrari, 5/A 20900 Monza (MB) Tel. 039/28.32.71 Impaginazione, grafica e stampa: Stilgrafica s.r.l. Via Ignazio Pettinengo 31/33 00159 Roma � Tel. 06/43.58.82.00 Reg. Trib. Roma n. 00667/90 del 14-11-1990 ISSN: 1825-1374 Abbonamento � 15,00 da versare sul c.c.p. n. 853200 intestato a: Biblioteca Italiana per i Ciechi �Regina Margherita� Onlus Via G. Ferrari, 5/A 20900 Monza (MB) (indicando la causale del versamento) Indice Editoriale L'indagine ISTAT sull'inclusione scolastica degli alunni con disabilit� (a.s. 2021-2022), di Pietro Piscitelli (pagg. 194-195) Pedagogia L'apprendimento del linguaggio per il bambino con disabilit� visiva, di Stefano Salmeri (pagg. 196-210) La specificit� della disabilit� sensoriale, di Pietro Piscitelli (pagg. 211-214) Integrazione scolastica Rapporto scuola-famiglia nel processo educativo dell'alunno disabile visivo, di Stefano Salmeri (pagg. 215-227) Matematica L'apprendimento della matematica per l'allievo con disabilit� visive, di Stefano Salmeri (pagg. 228-237) Musei Il museo accogliente nell'ottica di una autentica accessibilit� e fruibilit�, di Anna Buccheri (pagg. 238-247) Dai territori Azioni virtuose in ambito locale tra servizi, ricerca e informazione mirata: il CERVi della Sezione Territoriale UICI di Enna, di Anna Buccheri (pagg. 248-252) Indice 2022 Parte prima. Indice dei fascicoli Parte seconda. Indice degli autori EDITORIALE L'indagine ISTAT sull'inclusione scolastica degli alunni con disabilit� (a.s. 2021-2022), di Pietro Piscitelli (pagg. 194-195) � stata pubblicata il 2 dicembre scorso - in occasione della Giornata Internazionale delle persone con disabilit� - l'indagine ISTAT sull'inclusione degli studenti con disabilit� nell'anno scolastico 2021/2022. L'indagine rileva fin da subito la partecipazione degli studenti con disabilit� alle lezioni in presenza. Partecipazione che � aumentata fortunatamente, rispetto al periodo precedente della pandemia da Covid-19, con una percentuale di esclusi che si � attestata al 1,7% (nell'a.s. 2019-2020, la quota di esclusi era attestata al 23%). Questo indicatore, posto all'inizio del documento, esprime una preoccupazione importante, dal momento che la partecipazione in presenza � fondamentale per lo studente con disabilit�. Tuttavia, come rileva anche l'indagine, da sola la presenza non � sufficiente alla piena ed essenziale socializzazione: infatti solo un alunno su tre di coloro che hanno svolto le lezioni in presenza ha potuto interagire con i coetanei collegati da remoto: spesso la presenza � stata partecipazione con il solo insegnante di sostegno ed in isolamento dal gruppo classe. Migliora l'offerta di insegnanti di sostegno, in crescita come numero di circa l'8% rispetto all'anno scolastico precedente. Tuttavia anche in questo ambito vengono segnalati due aspetti negativi: molti di questi docenti non risultano avere una formazione specifica ed inoltre, ad inizio anno scolastico, non risultano assegnati percentuali di insegnanti di sostegno che variano dal 14% al 20%. Altro aspetto negativo che viene rilevato dall'indagine � il fatto che risulti ancora poco diffusa la formazione sulle tecnologie educative specifiche: si tratta di un aspetto essenziale nella formazione degli insegnanti, dal momento che la tecnologia offre ogni giorno strumenti didattici sempre nuovi e sempre pi� orientati alla corretta inclusione. Sono ancora molte le scuole che presentano barriere architettoniche: soltanto una scuola su tre risulta accessibile agli studenti con disabilit� motoria, mentre l'accessibilit� per gli studenti con disabilit� sensoriale � ancora minore: solo il 19% delle scuole ha effettuato nell'anno scolastico lavori per l'abbattimento delle barriere architettoniche mentre solo nell'1,5% delle scuole sono presenti ausili per l'accessibilit� per disabili visivi. L'indagine prende inoltre in esame la situazione degli alunni con bisogni educativi speciali e la redazione del Piano annuale per l'inclusivit� (PAI), rilevando come solo poco meno della met� delle scuole abbia elaborato un piano per l'inclusivit� a lungo termine (due anni scolastici). Possiamo dire che l'indagine ISTAT fotografa una situazione che non � fondamentalmente nuova: accanto a piccoli segnali positivi (una maggiore frequenza in presenza degli studenti con disabilit� ed un incremento degli insegnanti di sostegno), vengono rilevate criticit� pi� volte messe in evidenza negli anni passati e che riguardano la qualit� della formazione dei docenti e la qualit� del processo inclusivo. La semplice presenza in classe dello studente con disabilit� non significa necessariamente inclusione se non comporta interazione con gli altri compagni. Allo stesso tempo, il numero maggiore di insegnanti di sostegno, se non accompagnato da formazione adeguata, difficilmente potr� tradursi in una pi� efficace accoglienza dello studente con disabilit�. L'auspicio � che queste criticit� possano essere presto superate a vantaggio della qualit� del processo inclusivo. Il direttore responsabile, prof. Pietro Piscitelli PEDAGOGIA L'apprendimento del linguaggio per il bambino con disabilit� visiva, di Stefano Salmeri (pagg. 196-210) - Educazione linguistica � educare il bambino ad usare in modo socialmente corretto il linguaggio verbale ed extraverbale in modo che egli entri in contatto con la realt� e pervenga ad un uso consapevole del pensiero. - Introduzione L�educazione linguistica � una questione di cui si parla tanto, ma che non � sempre stata affrontata in modo completo, almeno in ambito pedagogico-didattico, specialmente in riferimento alla disabilit� visiva. Tale completezza manca anche a questa breve riflessione che comunque si propone di lanciare alcune provocazioni. Quando Dewey (1961) afferma che la lingua � lo strumento degli strumenti, modifica la prospettiva rispetto alla realt� che ritroviamo nell�antichit�. Per Aristotele, lo strumento degli strumenti era la mano e quindi il livello principale era ancora quello percettivo-concreto della realt� immediatamente tangibile rimanendo sostanzialmente separati il piano del pensiero e quello della conoscenza sensibile; non a caso Aristotele distingueva tra scienze teoretiche, scienze fisiche e scienze pratiche. Da Galilei e da Cartesio in poi il problema dell�interpretazione e della conoscenza della realt� si sposta sul piano del pensiero, che attraverso la matematica trova i criteri/paradigmi per descrivere e per organizzare la conoscenza. Il nucleo fondamentale di questo articolo � l�assunto che il linguaggio serve a controllare il pensiero superiore attraverso un processo di osmotica e biunivoca influenza, rendendo cos� possibile la concettualizzazione (Vygotskij 1974). Il pensiero superiore � quello che Piaget (1981a) chiama pensiero logico-formale, il pensiero cio� che ci consente di affrontare i problemi della matematica e, pi� in generale, tutte le questioni teorico-concettuali di carattere astratto, permettendo di attivare tutte le funzioni riconducibili alla metacognizione e ai processi di simbolizzazione, in altri termini: l�attivit� di monitorare la mente e la capacit� di apprendere ad apprendere. A tal proposito, � bene ricordare che mentre si dice spesso che il bambino con disabilit� visive incontra difficolt� con la matematica, Vygotskij (1986), studioso ed esperto di difettologia (oggi psicologia della disabilit�), sostiene che i ciechi non hanno alcuna difficolt� nell�elaborare il pensiero superiore, cio� nello strutturare e nello sviluppare il pensiero concettuale, e quindi l�attenzione selettiva, la memoria strategica, le capacit� di analisi e di sintesi, un linguaggio complesso e le capacit� di problem solving. Molti dei problemi della scienza infatti sono di carattere teorico, si pensi alla fisica nucleare o alla chimica: all�atomo, per esempio, che certamente non � osservabile empiricamente n� per una persona vedente n� per una con disabilit� visive, ma per entrambe pu� diventare oggetto di discussione. In Italia ci sono docenti di matematica anche universitari con disabilit� visive e la pedagogia insegna che, se � possibile in un caso raggiungere un obiettivo, tale obiettivo diventa da quel momento realizzabile per tutti senza dover postulare eccezionalit� o capacit� superiori perch� si tratta di un problema di formazione, che comunque comporta fatica e impegno sicuramente maggiori per un bambino/ragazzo con disabilit� visive. Da quasi due secoli la pedagogia aspira ad assumere un habitus epistemologico, ricercando nelle sue azioni teoriche e nelle sue prassi educative un rigore scientifico. In tale prospettiva uno psicologo e filosofo come Gaston Bachelard (1995) parla di rottura epistemologica facendo riferimento ai cambiamenti radicali e rivoluzionari che ogni nuova concezione comporta rispetto al precedente modo di interpretare e di descrivere la realt�. In pedagogia, il raggiungimento di un obiettivo da parte di un soggetto apre nuovi orizzonti per tutti e a tal proposito sono paradigmatici gli studi di Maria Montessori (1992, 2008) con i suoi bambini deficienti, per i quali non si propone un metodo totalmente differenziato e/o una pedagogia altra. Anche per Romagnoli (1990), del resto, non esiste una pedagogia dei ciechi e per i ciechi. Per educare i bambini/ragazzi con disabilit� visive sono necessari, al pi�, particolari accorgimenti che tengano adeguatamente conto della specificit� della disabilit�. Cos�, per Vygotskij (1986), una persona con disabilit� visive � in grado di occuparsi di problemi astratti e concettuali al di l� della disabilit�. Per un disabile visivo, su tali basi, non ci sono aprioristicamente e strutturalmente difficolt� ad affrontare i processi della realt� visiva da un punto di vista teorico e quindi, per esempio, nello studio in fisica dell�ottica. Sotto il profilo strettamente mentale, quindi, per un bambino/ragazzo con disabilit� visive non esistono barriere: dato non sempre cos� evidente o assodato stando almeno a quanto emerge dalle situazioni scolastiche di molti alunni con disabilit� visive che seguono programmi ridotti, con obiettivi minimi e/o addirittura personalizzati, anche in assenza di altre disabilit�. La bignamizzazione dei saperi � inconfutabilmente il segno di un pregiudizio che vorrebbe i bambini/ragazzi con disabilit� visive ontologicamente meno capaci e non idonei ad affrontare situazioni complesse e problematiche, anche per una presunta fragilit� psicologica, in base alla quale la riduzione dei compiti costituirebbe una scelta adeguata per intercettare e per prevenire le inevitabili frustrazioni dettate dal senso di inadeguatezza che una consegna troppo difficile determinerebbe. 1. Linguaggio, intelligenza e disabilit� visiva Il bambino/ragazzo con disabilit� visive invece a partire da altri modelli e da interventi strategicamente mirati, da quella che � appunto la pedagogia differenziata (mai differenziale o differenziante), riesce a raggiungere gli stessi obiettivi degli altri studenti sempre nel rispetto dei suoi tempi di apprendimento, del suo stile cognitivo, delle sue effettive potenzialit�. Oggi si procede seguendo tempi troppo veloci. Cos�, per Heiner M�ller, un commediografo tedesco morto nel 1995, soltanto il teatro rallenta il ritmo ossessivo della vita e in tal senso andrebbe operato un vero e proprio elogio della lentezza, anche perch� le pi� importanti attivit� umane (educazione, amore, dialogo, cultura in genere) non possono essere consumate obbedendo alle logiche frenetiche e violente del mondo globale, che ha come sistemi di riferimento e come valori fondanti il mercato, il denaro, una comunicazione onnipervasiva, la competizione, la prestazione ad ogni costo, senza se e senza ma. Soprattutto e prioritariamente all�educazione spetta il compito di svolgere questa funzione dando al bambino e offrendo in generale a chiunque si trovi nella condizione di apprendere la possibilit� di imparare a partire dalla propria situazione di partenza, riconoscendone il valore assoluto in quanto persona, rispettandone gli effettivi bisogni ed esaltandone la dignit� sempre e comunque. Non potendo qui ripercorrere le tappe evolutive descritte da Piaget (1981b), si pu� dire per� che, pur con differenti tempi di apprendimento in alcune aree e con diversi stili cognitivi, il bambino con disabilit� visive raggiunge gli stessi obiettivi dei normodotati, come dimostrano alcuni studiosi, tra cui Yvette Hatwell (2010). Il linguaggio viene appreso attraverso i tre tipi di condizionamento studiati in psicologia: il condizionamento classico di Pavlov (stimolo incondizionato/stimolo condizionato, esempio notissimo del cane); il condizionamento operante di Skinner (la situazione condiziona la risposta); il modeling di Bandura (l�imitazione) (Jaimes 1993). Per quanto riguarda l�imitazione va ricordato e sottolineato che questa � certamente pi� limitata nel bambino con disabilit� visive rispetto al bambino vedente che si trova ad imitare anche i gesti e quindi usa il linguaggio extraverbale, analogico, mentre il bambino con disabilit� visive riproduce soltanto i suoni, essendo privo del canale visivo. Si tratta di un aspetto importante perch� molto spesso il bambino con disabilit� visive mostra di possedere apparentemente un linguaggio evoluto, mentre in realt� si tratta soltanto di verbalismo. All�uso di una lingua esteriormente complessa non corrisponde cio� un controllo effettivo della realt� e il bambino usa le parole senza conoscerne esattamente il significato concreto (Salmeri 1993). Naturalmente non bisogna per questo inibire il bambino che anzi va incoraggiato e invitato ad esplorare il mondo e le cose che lo circondano. Le strutture linguistiche, come linguaggio interiore e cio� come forma logica, una volta apprese e coerentemente assimilate, serviranno infatti al bambino stesso, diventato adolescente e poi adulto, per pensare e controllare meglio la realt� attraverso il pensiero in modo del tutto simile ai normodotati. D�altra parte, al problema dell�acquisizione del linguaggio si riconducono le quattro aree dell�apprendimento (la grafo-lessicale, la logico-matematica, la ludico-relazionale, la prasso-gnosica), che coinvolgono la crescita globale dell�uomo e sono legate al linguaggio che � il perno dell�educazione, come la pedagogia contemporanea da Dewey (1990) in poi ha dimostrato. Il linguaggio, infatti, ha un valore non solo formale, ma anche sociale perch� � attraverso il linguaggio che noi interagiamo con la societ� e ne siamo o meno accettati. Dal punto di vista relazionale e socio-affettivo, una persona con disabilit� visive � pi� avvantaggiata rispetto ad un sordo, pi� isolato in genere, proprio perch� il disabile visivo pu� entrare in relazione con la societ� grazie all�uso della parola, che permette l�interazione e la comunicazione in forma pi� immediata della lingua dei segni (Sacks 1993). Fino ai tre anni e mezzo comunque il bambino � sostanzialmente passivo essendo dominante in questo stadio la fase dell�imitazione. Con un bambino con disabilit� visive, � necessario quindi che i genitori guidino concretamente l�apprendimento del linguaggio in forma non passiva, stimolandolo e facendogli fare quante pi� esperienze concrete possibile. Spesso infatti � riscontrabile nel bambino con disabilit� visive di tre-quattro anni una loquacit� molto spiccata, quasi una logorrea, che per� non � necessariamente segno di grande capacit�, anche se molte volte persino gli addetti ai lavori (insegnanti, educatori, assistenti sociali, ecc.) purtroppo se ne lasciano impressionare, nella misura in cui il linguaggio non trova un riscontro nella realt�. Anche il bambino normodotato, fino ai tre anni e mezzo, � sostanzialmente passivo, ma si trova in una dimensione esperienziale estremamente ampia derivandogli il 70% delle conoscenze dalla vista. Sono quindi per lui pi� facilmente realizzabili forme sostitutive, anche in un contesto di appartenenza non eccessivamente stimolante e ricco (soprattutto per l�azione educativa che si pu� mettere in pratica nella scuola dell�infanzia e nella scuola primaria), volte a creare un rapporto diretto con la realt�, contatto che conduce ad un uso consapevole del linguaggio. Come risulta evidente, del resto, dagli studi di psicologia dell�et� evolutiva e dalle teorie di Vygotskij (1990), � proprio tra i tre anni e mezzo e i cinque che si forma il linguaggio interiore, quel carattere sociale del linguaggio cio� che rielaborato e assimilato nella prima infanzia riemerge verso i tredici-quattordici anni come linguaggio consapevole e come base operativa e strutturale per il pensiero superiore. Dell�aspetto sociale del linguaggio si occupa anche Luria (Vygotskij e Luria 2004), neuropsichiatra russo, che studia alcune popolazioni primitive caucasiche che, di fronte alla serie sega-scure-pala-ciocco, associavano le prime tre, mentre il pensiero logico riconosce la sequenza sega-scure-ciocco, legata non ad un�azione empirico-concreta, ma ad un processo astrattivo-funzionale di carattere paradigmatico, frutto di una visione dinamica/trasformativa e non ripetitiva/riproduttiva della realt�, colta e descritta a partire dalle possibilit� di una sua eventuale trasformazione. Tale concezione dimostra che una societ� evoluta possiede anche un pensiero evoluto, cosa non del tutto scontata se, ancora all�inizio del Novecento, un pragmatista come James, filosofo e psicologo statunitense, lega il concetto di vedere a quello di intuire fondandosi sull�etimologia del verbo intueor che significa vedere, vedere dentro. Allo stesso modo in greco orao e oida, vedere e sapere, sono connessi alla radice verbale id. Tutto questo porta ad interpretare l�intelligenza in termini prevalentemente quantitativi, legandola ad un�immaginazione riferibile in buona sostanza esclusivamente alla vista e alle sue capacit� di controllo e di astrazione. Un riscontro, in tal senso, si trova in certa psicologia dell�inizio del secolo scorso e persino di oggi che teorizza la necessit� di precisare le cosiddette soglie percettive che esprimono la preoccupazione di stabilire quantitativamente il valore dell�intelligenza che invece ha un carattere inequivocabilmente qualitativo, come Vygotskij ha dimostrato. Il test d�intelligenza risulta peraltro anche socialmente pericoloso perch�, nell�uso che generalmente ne viene fatto, non rispetta i tempi di apprendimento, le singole situazioni, gli effettivi bisogni formativi e i peculiari stili cognitivi dell�allievo: infatti, ciascuno di noi in momenti diversi d� risposte differenti alle stesse stimolazioni. Il test tende a classificare e ad inglobare entro cornici e macrodescrittori utili per selezionare e per �scartare� proprio i soggetti pi� fragili. Sulla base di una verifica quantitativa dell�intelligenza ancora oggi qualcuno sostiene che la persona con disabilit� visive ha un�intelligenza inferiore. Il pensiero superiore e perci� l�intelligenza, invece, operano un salto rispetto alla dimensione percettiva anche nel disabile visivo che ha dei limiti oggettivi e anche soggettivi, al pari di tutti i normodotati, ma che attraverso un corretto intervento educativo pu� attivare strategie compensative che gli possono far raggiungere gli stessi livelli di conoscenza, di competenza e di capacit� dei normodotati. Per Freud, di fronte a due problemi affini, la soluzione del primo rende pi� semplice quella del secondo. Gli stessi problemi affrontati separatamente o in tempi diversi presenteranno maggiori difficolt� per chiunque, anche se normodotato. � quindi errato il tentativo di quantizzare a tutti i costi l�intelligenza con il QI. I giocatori di scacchi, per esempio, che in genere lo hanno altissimo in realt� hanno sviluppato una grande abilit� logico-formale e riescono a controllare moltissime mosse su una scacchiera servendosi soprattutto di una memoria strategica fortemente sviluppata e di altissimi livelli di attenzione, ma ci� non comporta di per s� una capacit� creativa o la strutturazione di abilit� complesse rispetto ad altri ambiti del sapere. La moderna neurolinguistica, del resto, ha dimostrato che il cervello � un sistema funzionale: � vero infatti che esistono a livello corticale delle zone, ma � altrettanto vero che � possibile una compensazione come succede nei soggetti colpiti da ictus, da aneurisma e da trauma violento o affetti da tumore (benigno o maligno che sia) (Salmeri 1996). Il nostro cervello quindi non � una macchina, ma un sistema reticolare complesso e, come tale, funziona rendendo possibile compensare e raggiungere certi obiettivi, qualunque sia la situazione di partenza. La mente, infatti, � in grado anche nel disabile visivo di attivare abilit�, competenze e funzioni cognitive al di l� di quelli che sono i semplici meccanismi di attivit� cerebrale stricto senso definiti. 2. Comunicazione e apprendimento in famiglia e a scuola La dimensione percettiva dipende naturalmente prevalentemente dall�occhio che coglie il punto focale, dato superato quando si tratta di problemi superiori (di matematica, di filosofia, di studio delle lingue classiche, di ricerche complesse in ogni settore della cultura e della ricerca in generale). L�Essere di Parmenide, per esempio, non � pi� l�acqua di Talete, n� l�apeiron di Anassimandro, n� l�aria di Anassimene, ma qualcosa di indefinito descrivibile linguisticamente, ma non specificabile concretamente. Da Parmenide ha infatti inizio la filosofia occidentale, avendo egli intuito per primo il principio di identit� e ponendo le basi per il pensiero astratto, pur non essendo ancora chiara la separazione tra piano dell�ontologia, della gnoseologia e della logica. Un discorso analogo � possibile per la matematica: il linguaggio algebrico � formalmente chiaro, ma privo di un contenuto specifico, avendo una struttura esclusivamente logico-razionale, cio� formale. Per il linguaggio dunque � opportuno parlare di ontogenesi, di sviluppo dell�individuo, che cresce attraverso l�apprendimento della lingua perch� � il linguaggio che rende pi� organico il rapporto con la societ� e fa sviluppare la dimensione socio-affettivo-relazionale del singolo soggetto all�interno della comunit�. Compito di un insegnante che opera con un bambino con disabilit� visive � prioritariamente quello di analizzare anche il modo di parlare e di relazionarsi del bambino, esaminando non solo il linguaggio verbale, ma anche quello analogico, extraverbale, e ponendo l�attenzione sui comportamenti non adeguati e non corretti, come le stereotipie motorie. Si coglie nella sua globalit� l�approccio con la realt� di un bambino con disabilit� visive anche dal modo in cui d� la mano (Salmeri 1992). Molto spesso purtroppo si tratta di una mano passiva, ipotonica dal punto di vista muscolare, non abituata ad esplorare e a conoscere, mentre la mano del disabile visivo svolge un ruolo fondamentale consentendo di compiere tre diversi tipi di operazione: manipolare, accarezzare con affetto, conoscere. Il conoscere con la mano � qualcosa di pi� e di diverso dal manipolare e dall�accarezzare ed � proprio solo della persona con disabilit� visive, perch� a partire dal tatto consapevole (aptica) il disabile visivo costruisce le immagini mentali e si rappresenta la realt�, cogliendone le inferenze sia prassiche sia teoriche. L�analisi del linguaggio verbale ed extraverbale �, dunque, necessaria. La parola, infatti, � veicolo di conoscenza e strumento di controllo della realt� perch� isola e, isolando, dialetticamente entra in relazione con tutta la frase. Essenziale � cogliere il rapporto tra ci� che la parola indica e la parola stessa, e quindi la funzione dell�oggetto indicato. Tutto il resto � dettaglio. Per il colore, per esempio, preoccupazione e quasi ossessione del normodotato in genere in presenza di un cieco si dimentica che: per una persona con disabilit� visive il colore � un concetto non verificabile empiricamente, come l�atomo e le strutture della materia lo sono in generale per tutti. Risulta importante dunque verificare il rapporto con il mondo esterno anche da un punto di vista del linguaggio analogico, perch� si rispetta effettivamente l�alterit� solo se si cerca di comprenderne l�oggettiva differenza, che non va n� enfatizzata/esasperata, n� negata/camuffata, ma va riconosciuta anche nell�interazione spaziale, corporea e concreta. Tre sono i tipi di rapporto con lo spazio: la confusione (il mescolamento, la folla), il confinamento (l�isolamento, il disconoscimento dell�alterit�), la prossimalit� (il contatto, la vicinanza). Queste tre variabili trovano riscontro secondo la pragmatica della comunicazione (Watzlawick, Beavin e Jackson 1971) nei tre atteggiamenti di: conferma, negazione e disconferma. La conferma � l�approvazione, il riconoscimento. La negazione � la disapprovazione o la mancata sottolineatura di un dato. La disconferma � il disconoscimento, cio� l�ignorare l�alterit�, considerandola inesistente: tamquam non esset. La conferma, per�, non � sempre positiva perch� se viene fornita indiscriminatamente (e in particolare ad un disabile se viene data solo in virt� del suo essere disabile in nome di una malcelata compassione) non comporta l�autocorrezione di eventuali mancanze, n� spinge a costruire una consapevolezza rispetto ai propri limiti, che indiscutibilmente ci sono, come in qualsiasi altro educando. Con l�alunno bisogna avere un rapporto di affetto e di cordialit� pi� che di amore generico e irrazionale, coinvolgente, ma con misura. In caso contrario, si rischia di danneggiare la crescita dell�alunno anche da un punto di vista evolutivo. I disabili hanno bisogno s� di empatia e di una relazione fondata su emozioni positive, ma per crescere in autonomia hanno bisogno soprattutto di professionalit� e di rispetto. Sono professionalit� e rispetto infatti che consentono di esaltarne e valorizzarne le risorse, di far loro sviluppare una chiara consapevolezza rispetto ai limiti, ma anche di coglierne e riconoscerne gli eventuali desideri. La negazione non � in s� n� negativa n� positiva. Se infatti, per esempio, ci si rivolge ad un disabile senza fargli pesare il suo deficit, gli si consente cos� di affermarsi vedendo riconosciuta la sua dignit� di persona autosufficiente in grado di autogestirsi e di diventare protagonista e attore del suo percorso di crescita. La disconferma � invece sempre negativa coincidendo con la dimensione spaziale dell�isolamento. Disconferma e isolamento inducono il bambino disabile ad adottare forme sostitutive, appagatorie, rappresentate, per il bambino con disabilit� visive, dai ciechismi o stereotipie motorie. Il bambino con disabilit� visive, sentendosi isolato, comincia a canticchiare o a parlare da solo, abbassa la testa, muove le mani, si stropiccia gli occhi, si tocca continuamente la faccia, gira intorno a s� stesso in uno spazio ristretto, si dondola, non ricerca l�interazione. Sono atteggiamenti che portano ad una chiusura, in tutto simile a quella autistica (per cui alcuni studiosi parlano di autismo sensoriale forse in modo inappropriato), e a relazionarsi in forma non positiva con gli altri. L�isolamento e la disconferma favoriscono lo sviluppo di un�immagine autosvalutativa di s� e producono vissuti di sofferenza. Il bambino con disabilit� visive va dunque impegnato continuamente, naturalmente non sovraccaricandolo di stimoli, ma coinvolgendolo quanto pi� possibile in attivit� gradevoli e gratificanti, rispettose della sua infanzia. Non a caso alla persona con disabilit� visive molto spesso mancano le piccole cose banali della vita quotidiana, perch� ci� che � scontato per un normodotato, a qualsiasi et�, pu� risultare inaccessibile ad un disabile. Se si viene deprivati di tutte le esperienze di routine che annoiano e stancano, la vita si svuota. Al contrario � proprio il routinario che riempie le giornate, ma questo ad una persona con disabilit� visive generalmente manca e, quindi, la sua vita viene scandita il pi� delle volte da un tempo non suo e da azioni decise da altri. Il bambino con disabilit� visive frequenta il corso di computer, di musica e di orientamento e mobilit�; va in piscina e in palestra; � impegnato in corsi di stimolazione basale, di idroterapia o di ippoterapia; poi per� gli mancano le esperienze del quotidiano proprie dell�infanzia, le esperienze della famiglia: il gioco, gli scherzi, le fiabe. Si dimentica cio� che il bambino con disabilit� visive � un bambino e ha bisogno di vivere da bambino come tutti i suoi coetanei. Un eccesso di stimoli comporta soltanto un abbassamento della qualit� delle risposte, non essendo il bambino padrone della sua infanzia, ma venendo ridotto ad un �oggetto� da sottoporre a questa o a quella attivit� indipendentemente dai suoi effettivi bisogni e soprattutto dai suoi interessi e/o desideri. Tutto questo vale anche per l�apprendimento linguistico che non ha carattere asettico; infatti il linguaggio si ha e si sviluppa sempre all�interno di un sistema di comunicazione che include messaggi sia negativi sia di altro genere, come il silenzio, in grado di esprimere, da una parte, assenso e, dall�altra, indifferenza. Il linguaggio dunque � sempre comunicativo e presuppone cinque elementi: trasmittente, ricevente, contenuto, codice, relazioni variabili (il contesto/la situazione concreta che comprende anche rumori di fondo e/o interferenze emozionali di tipo personale, quali stanchezza e fastidio, per esempio). La lingua pertanto � qualcosa di complesso, come ci hanno insegnato gli strutturalisti, una griglia al cui interno la modificazione di un singolo aspetto implica il mutamento di tutto il sistema e questo � valido anche per il bambino/ragazzo con disabilit� visive. Nel momento in cui entra in possesso di nuovi elementi linguistici a livello non solo fonologico e verbale, ma anche semantico, di significato, il bambino con disabilit� visive si impadronisce della realt�. In tal senso, quando alla scuola secondaria di secondo grado, per esempio, si studiano i radicali o le equazioni esponenziali o i logaritmi, questi elementi diventano strumenti per affrontare altre situazioni, pi� o meno complesse, perch� forniscono ulteriori dati per risolvere certi tipi di problemi. Allo stesso modo, quando apprendiamo un nuovo sistema o un nuovo concetto, questi modificano integralmente tutto il nostro modo di essere. Come il cervello anche la coscienza e il nostro Io sono sistemi funzionali e il nostro essere soggetti sociali dipende da questo sistema di relazioni. Tutto questo non � legato ad automatismi e/o a processi meccanicistici, ma dipende dall�educazione che ha un ruolo attivo: educare significa prioritariamente, nel caso del bambino con disabilit� visive, realizzare la compensazione, cio� attivare un processo di normalizzazione strumentale e un potenziamento dei sensi residui o vicarianti. Compensare significa usare i sensi vicarianti in modo ottimale, non solo singolarmente, ma anche in termini sinestesici: cosa auspicabile in generale per tutti, anche se per il vedente la funzione dominante � espletata dall�occhio. Il soggetto con disabilit� visive invece cerca di aprirsi una via d�accesso alla realt� prevalentemente attraverso: l�aptica, cio� l�uso consapevole della mano utilizzata come strumento per conoscere; l�udito; l�olfatto; il senso cinestesico; il senso anemestesico. Compensazione funzionale significa dunque usare al meglio i sensi residui. Normalizzazione strumentale vuol dire invece servirsi di tutti quegli strumenti sussidiari che risultano indispensabili per l�inclusione (dal punteruolo al computer, alla barra Braille, allo scanner, al bastone bianco, alle bilance parlanti, a tutti i sussidi tiflodidattici, tiflotecnici e tifloinformatici) e che permettono al bambino/ragazzo con disabilit� visive di operare alla pari del vedente in piena autonomia, facendolo diventare a scuola e nella societ� effettivamente protagonista del suo apprendimento e soggetto capace di autogestirsi. Dinanzi ad una tastiera di un computer il disabile visivo � equiparato al vedente. Mentre quest�ultimo infatti opera una memorizzazione di tipo visivo, una persona con disabilit� visive mette in atto una memorizzazione muscolare. L�obiettivo � raggiunto ugualmente anche se con tempi e modalit� diversi. Conclusioni Fino ai sette-otto anni il linguaggio del bambino, in generale, ha un valore per lo pi� concreto e serve a compiacere l�adulto, anche se questo � vero fino ad un certo punto, come diceva un pedagogista cattolico della prima met� del Novecento, Giovanni Cal� (1958). Capita infatti di poter osservare il bambino messo in un angolino a parlare apparentemente senza un senso logico. In realt� il bambino sta sperimentando l�uso della parola per giungere ad un linguaggio sociale. Il primo linguaggio del bambino sono le lallazioni, le ecolalie. Poi il linguaggio si evolve e diventa significativo, passando dal linguaggio olofrastico (la parola che significa tante cose) al linguaggio sempre pi� complesso. Dopo i sette-otto anni intervengono forme di aggiustamenti dovuti anche all�uso della sintassi, perfezionamento che avviene in parte attraverso l�autocorrezione. Gi� il bambino a quattro-cinque anni non usa pi� forme analogiche come aprito, salo e spengio, perch� impara a controllare la realt� e a comunicare imitando e ascoltando l�adulto e confrontandosi con lui. Certo la parola nel bambino pi� piccolo esprime soltanto una propriet� della cosa, inizialmente non servendo per comunicare pensiero, ma soltanto per rafforzare l�azione. Infatti il bambino cerca anche di avere una conferma di se stesso attraverso la parola. La situazione � diversa per il bambino con disabilit� visive che molto spesso usa la parola senza avere in mente un'azione o un'esperienza concreta a cui fare oggettivamente riferimento. Si pu� ricordare qui un fatto paradigmatico occorso ad un insegnante di sostegno che svolgeva il tirocinio diretto con un ragazzo ipovedente di tredici anni che parlava continuamente di pietanze a base di pesce mostrando di conoscerne diversi tipi. Su sollecitazione del suo docente di tiflopedagogia in un vecchio corso polivalente, l�insegnante ha voluto verificare in concreto se effettivamente dietro le competenze esibite ci fossero delle reali acquisizioni. Alla verifica il ragazzo mostr� di non sapere come fosse fatto un pesce, perch� la sua conoscenza era circoscritta a quello spinato e cotto che la madre gli presentava nel piatto come pietanza. Si trattava, quindi, di una competenza esclusivamente verbalistica. In una situazione del genere non bisogna procedere mortificando l�allievo rilevandone ed evidenziandone l�ignoranza, ma bisogna proporgli l�esperienza concreta di come sono fatti i diversi animali sino ad arrivare al pesce. In tal modo l�impatto con la realt� non sar� brusco, traumatico o mortificante e nello stesso tempo si perverr� ad una conquista della stessa realt� attraverso un�esplorazione autogestita, necessaria per sviluppare una vera consapevolezza. In generale, infatti, in campo educativo le conquiste guadagnate autonomamente o che comunque l�insegnante favorisce agendo quasi in sordina, come autentico facilitatore e vero intercettatore di intelligenze sempre vigile, sono quelle che effettivamente gratificano. In questo senso un ruolo fondamentale ha la famiglia (Bettelheim 1987) e qui va evitato il circolo vizioso famiglia/scuola. Ciascuno deve fare ci� che gli compete, senza interferenze disorientanti e/o sovrapposizioni. Purtroppo le famiglie vivono drammaticamente la loro situazione e non sempre trovano risposte immediate soprattutto nelle strutture pubbliche e dai cosiddetti esperti. E per risposte non si intendono soltanto quelle di natura economica. Ci si riferisce piuttosto all�assunzione di responsabilit� da parte di chi dovrebbe dire, per esempio, alle famiglie quando non � necessario fare certi viaggi alla ricerca di impossibili miracoli, inducendo a coltivare speranze che inevitabilmente andranno disattese. Sarebbe molto pi� opportuno aiutare i genitori ad affrontare in forma consapevole la disabilit� del figlio evidenziando le possibili risorse, ma anche gli inevitabili limiti. Se � vero che non siamo tutti uguali, in democrazia per� � fondamentale costruire pratiche per favorire le pari opportunit� e tutelare i soggetti pi� fragili, affinch� la disabilit� non diventi un limite invalicabile. A partire da false speranze, tante volte i bambini vengono condotti negli Stati Uniti o in altri Paesi con attese eccezionali e risultati assolutamente nulli. Queste speranze deluse hanno una ripercussione devastante sulla psiche del bambino che si sente mortificato, inferiore e persino colpevole per aver causato un�ulteriore ferita ai genitori e per non essere stato capace di offrire loro risposte rassicuranti e positive. Al contrario, a volte, queste scelte vengono purtroppo incoraggiate. Insomma, ben venga qualsiasi tentativo se c�� una effettiva possibilit� di recupero, ma, in caso contrario, si affronti la disabilit� del figlio perch� pi� tardi si interviene peggio �. La famiglia ha sicuramente un ruolo fondamentale nella prima fase dell�educazione, in quella che Parsons chiama socializzazione primaria, ma la scuola ha un ruolo altrettanto significativo in quella che Parsons chiama socializzazione secondaria, momento in cui si entra in relazione con il mondo e la scuola � il primo mondo esterno con cui il bambino comunica. A questo punto, per tentare di intercettare e di ridurre i margini di fraintendimento, va operata una distinzione tra la comunicazione di eventi, che dipende dalla percezione concreta e perci� � riconducibile alla vista e al toccare per quanto riguarda il bambino/ragazzo con disabilit� visive e la comunicazione di relazione propria della lingua e con carattere multimodale, come il pensiero, la logica, la metacognizione. La multimodalit� indica la capacit� e la possibilit� di mettere insieme tanti livelli di conoscenza e di pertinenza, sia empirica, sia mentale, operazione del tutto possibile per il bambino/ragazzo con disabilit� visive. Un'esperienza multimodale � offerta, per esempio, dall�osservazione di un tramonto in montagna o al mare con sensazioni miste ai suoni della natura. Una persona con disabilit� visive non vedr� il mutare dei colori, ma percepir� le variazioni termiche sulla pelle, sar� pi� attenta agli odori e ai suoni, entrer� in relazione con la natura sia con il corpo, sia con la mente, che costruir� immagini sinestesiche prive di visione, ma ugualmente complesse ed efficaci. La comunicazione di relazione, invece, � propria del pensiero e la persona con disabilit� visive non ha pregiudizialmente alcuna difficolt�. Infatti quando diciamo �se a � vero di b e b � vero di c allora a � vero di c�, cio� enunciamo la propriet� transitiva o il sillogismo aristotelico, il concetto presenta lo stesso coefficiente di difficolt� sia per un normodotato sia per un bambino/ragazzo con disabilit� visive perch� non richiede esperienze percettivo-concrete di tipo visivo, n� di altra natura empirica. Nei primi anni di vita, la parola dipende strettamente dall�azione, ne � prova il fatto che se cerchiamo di interrompere l�azione in svolgimento di un bambino, l�inibizione non scatter� come invece avviene se si interviene prima dell�inizio dell�azione stessa. Successivamente la parola assume un carattere sociale. Tutti i comportamenti (e quindi anche le stereotipie motorie, il verbalismo e il silenzio) sono comunicativi. A livello educativo, allora, � necessario intervenire preventivamente proprio sul linguaggio analogico del bambino con disabilit� visive attraverso un costante e significativo coinvolgimento, evitando cos� che insorgano i ciechismi (Salmeri 1992, 1993). In tal senso, bisogna tenere conto del livello di gravit� delle stereotipie: il ciechismo si combatte, pi� che con la correzione a posteriori, agendo in modo da prevenire la disfunzione che produce la situazione che lo determina. Tra l�altro, i ciechismi sono comportamenti che non aiutano il bambino neanche dal punto di vista sociale, perch� risultano poco attraenti per chi si trova a interagire con lui. Se il bambino con disabilit� visive invece viene coinvolto in esperienze di gruppo, culturali non in senso stretto, ma in senso lato in quanto esperienze di gioco ed effettivamente condivise, sar� motivato ad assumere posture e atteggiamenti corretti. Educazione linguistica, dunque, non � soltanto educazione di tipo sintattico-grammaticale, anzi � tutt�altro per un bambino con disabilit� visive e per chiunque in generale. Educazione linguistica � educare il bambino ad usare in modo socialmente corretto il linguaggio verbale ed extraverbale in modo che egli entri in contatto con la realt� e pervenga ad un uso consapevole del pensiero, uso che gli consenta di concettualizzare e di affrontare ogni tipo di problema. Riferimenti bibliografici Bachelard, G. (1995). La formazione dello spirito scientifico. Trad. it. Milano: Raffaello Cortina. Bettelheim, B. (1987). L�amore non basta. Trad. it. Milano: Feltrinelli. Cal�, G. (1958). Problemi attuali della pedagogia e della scuola. Bologna: Malipiero. Dewey, J. (1961). Come pensiamo. Trad. it. Firenze: La Nuova Italia. Dewey, J. (1990). Esperienza e educazione. Trad. it. Firenze: La Nuova Italia. Hatwell, Y. (2010). Psicologia cognitiva della cecit� precoce. Trad. it. 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I luoghi della libert�: linguaggio, pensiero, educazione. Catania: CUECM. Vygotskij, L.S. (1974). Storia dello sviluppo delle funzioni psichiche superiori e altri scritti. Trad. it. Firenze: Giunti Barbera. Vygotskij, L.S. (1986). Fondamenti di difettologia. Trad. it. Roma: Bulzoni. Vygotskij, L.S. (1990). Pensiero e linguaggio. Trad. it. Bari: Laterza. Vygotskij, L.S. e Lurja, A. (2004). Strumento e segno nello sviluppo del bambino. Trad. it. Bari: Laterza. Watzlawick, P., Beavin, J.H. e Jackson, D.D. (1971). Pragmatica della comunicazione umana. Trad. it. Roma: Astrolabio Ubaldini. Stefano Salmeri (Professore Ordinario di Pedagogia Generale e Sociale Universit� Kore, Enna) La specificit� della disabilit� sensoriale, di Pietro Piscitelli (Intervento al Convegno �Disabilit� visiva e inclusione scolastica e sociale�, Milano, Universit� Cattolica del Sacro Cuore, 3 dicembre 2022) (pagg. 211-214) - La specificit� del disabile sensoriale sta nel trovare modalit� e strumenti compensativi per ricevere e acquisire informazioni e comunicazioni, che non possono giungergli attraverso il senso mancante. - L'Organizzazione Mondiale della Sanit� ha stimato che l'uomo acquisisce oltre l'84% delle informazioni attraverso il senso della vista e non � questa la sede per dissertare su quella percentuale pi� o meno scientificamente dimostrata. La citiamo solo per introdurre la prima risposta al tema che mi � stato chiesto di trattare: cosa si pu� e cosa si deve fare perch� almeno una parte di quell'84% di informazioni possano essere fruite e acquisite anche da chi il bene della vista non ce l'ha? e come bisogna farlo? Un illuminato pedagogista cieco vissuto agli inizi del secolo scorso, Augusto Romagnoli, ci ha fornito tante indicazioni. In primo luogo ci ha detto che il normale metodo di insegnamento, la pedagogia, la didattica �comune� non bastano, occorrono metodi speciali e specifici perch� il bambino cieco pu� imparare attraverso il tatto. Ne � nata una scuola ancora oggi operativa: l'istituto Statale Augusto Romagnoli per la �specializzazione degli educatori dei minorati della vista� una scuola di metodo in cui si insegna ad insegnare. La primissima infanzia � fondamentale perch� � quella in cui si semina e germoglia il seme dello sviluppo educativo. Genitori preparati e supportati da personale specializzato - che � chiamato a colmare le loro carenze metodologiche e a fornire coerenti informazioni e costruttivi suggerimenti - sapranno e dovranno offrire al piccolo gli stimoli cognitivi pi� idonei, soddisfare le sue curiosit� allenandolo anche alla percezione aptica. Ecco il poter toccare tutto: oggetti, persone, luoghi, superfici, ogni cosa a portata delle sue mani � il piccolo grande segreto per superare alcune delle limitazioni imposte dalla minorazione visiva, l'arma importante che lo avvicina alla conoscenza, che gli permette di immagazzinare nella memoria immagini virtuali del mondo che lo circonda che poi, nel corso della vita, potr� richiamare ed associare alla sensazione percettiva avuta o al nome che ha dato all'oggetto. Ecco emergere anche la necessit� che il bambino sin da piccolo sia messo nella condizione di vivere una vita il pi� possibile �normale� senza negativi e controproducenti iperprotezionismi, senza limitazioni imposte dalle paure o dalle remore degli adulti; che i suoi momenti di socialit� con i grandi e con i coetanei siano continui e senza condizionamenti preventivi nel rispetto di un principio di assoluta �normalit�. Certo il bambino non vedente non potr� fare tutti i giochi dei suoi coetanei ma, aiutato dagli adulti ne potr� fare molti: potr� andare in bicicletta, nuotare, usare lo scivolo, rotolarsi su un prato, correre� Quanto appena detto per� ha reso evidente un'altra importante esigenza che tutti conoscono ma che fatica ad entrare nella cultura e nella quotidiana operativit� delle strutture e degli operatori (tiflologi ed educatori) che intervengono sul bambino: gli stimoli educativi devono coinvolgere e rendere protagonisti anche tutti gli adulti che fanno parte del suo nucleo familiare. Per esplicitare al meglio questo concetto citer� l'esempio della lingua dei segni. Se in un centro specializzato insegniamo a un bambino muto la lingua dei segni facciamo una cosa giusta e meritevole ma poi, quando lui rientrer� nel suo ambito familiare sar� nella situazione precedente, sar� cio� impossibilitato a comunicare con chi gli sta vicino perch� i suoi parenti non conoscono il linguaggio che lui ha appena imparato e con cui adesso si esprime. Dobbiamo insegnare la lingua dei segni a tutta la famiglia� solo cos� il bambino superer� l'isolamento comunicativo che � una delle barriere impostegli dalla sua condizione e l'intervento formativo avr� raggiunto lo scopo per cui � stato pensato e attuato. Come detto da molto tempo esiste una pedagogia e una didattica studiata e messa a punto per le esigenze educative dei non vedenti e per questo molti operatori del settore si domandano: �se c'� tutto, metodo di insegnamento e materiale speciale, perch� c'� chi dice che l'inclusione scolastica non � ancora un fatto acquisito?�. I problemi che, in via generale, ci impediscono di considerare soddisfacente il percorso scolastico degli alunni disabili visivi sono tanti e importanti e prover� sinteticamente ad illustrare il principale. La scuola oggi, quando deve ospitare un disabile visivo, vive, purtroppo, gli stessi problemi di una famiglia perch� � impreparata. L'impreparazione parte da lontano, dai corsi magistrali per insegnanti di sostegno che riservano alla pedagogia e didattica speciali per gli alunni ciechi solo pochissime del monte-ore di studio previsto (forse l'1%) preferendo concentrarsi su altro. Nei corsi di formazione a livello universitario scarsa attenzione viene riservata all'insegnamento del braille - ancora oggi l'unico sistema di letto-scrittura utile -, alla percezione aptica, ai materiali speciali, alle specificit� di insegnamento di particolari materie o concetti. Ne risultano insegnanti di sostegno senza gli strumenti professionali e senza le conoscenze necessarie per affrontare positivamente il loro ruolo ed essere di reale supporto agli insegnanti curriculari. � questo il motivo principe per cui anche nelle classi che ospitano alunni disabili visivi l'insegnamento � fatto applicando la didattica comune scritta e pensata per chi vede, utilizzando massivamente e quasi esclusivamente strumenti didattici visivi (i libri e i materiali integrativi, le lavagne, i video, LIM, ecc.) e, di fatto, scaricando su altri i compiti magistrali propri della Scuola. Per fortuna a colmare questi vuoti formativi intervengono spesso strutture ed organizzazioni esterne alla Scuola come, per esempio l�Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti sollecitate da insegnanti desiderosi di completare la loro formazione o dalle famiglie. Ma quando questo intervento non c�� o non � sufficiente, l�istruzione, l�educazione, la formazione, la crescita umana e sociale del disabile visivo e della sua famiglia ne escono compromesse. Nelle successive fasi della vita l�adolescente e l�adulto minorato della vista possono contare sull�importante aiuto della tecnologia che ha reso loro possibile la fruizione del personal computer e disponibili anche tanti applicativi per telefoni cellulari e tanti ausili che facilitano la lettura, l�autonomia personale e la deambulazione. Per contrasto per� anche l�arte della comunicazione si � rapidamente evoluta introducendo nuove modalit� e, purtroppo, nuove barriere di accessibilit� a contenuti anche importanti. Pensiamo per esempio alla tendenza a fornire servizi e prodotti esclusivamente online con siti non accessibili che limitano l�autonomia dei ciechi costringendoli a ricorrere all�aiuto di altri. La generazione dei millennials, i giovani - quelli che oggi frequentano la scuola secondaria di 2o grado o l�universit� - e gli adulti hanno a disposizione strumenti specifici o strumenti generici, computer, cellulari, ausili tiflotecnici, adattati alle loro particolari esigenze che aiutano a diminuire la distanza tra loro e i loro coetanei vedenti. Sono quindi agevolati nell'affrontare con condizioni un po� pi� favorevoli le difficolt� della vita quotidiana ma sono chiamati a partecipare, in condizioni di estrema difficolt�, e inferiorit�, la competitivit� selvaggia che la societ� di oggi richiede ed esalta per la conquista di un proprio spazio nel mondo del lavoro. Qualche tempo fa ai cittadini si chiedeva semplicemente di saper �scrivere e far di conto� oggi di conoscere le lingue straniere e l�informatica, di sapersi districare in un mondo convulso e contraddittorio capace di rendere oggi museale ci� che solo ieri era stata celebrata come una grande conquista dell�umanit�. Ecco, in sintesi estrema, il senso del mio intervento: la specificit� del disabile sensoriale sta nel dover trovare le modalit� e gli strumenti compensativi per ricevere e acquisire le informazioni e le comunicazioni che non gli arrivano attraverso il senso mancante. Per noi, per i privi di vista, questa ricerca � parzialmente possibile se, a partire dalla primissima infanzia, il contesto familiare e sociale che ci circonda ci fornisce competenze e strumenti tecnici e didattici idonei allo scopo, ci aiuta a conquistare la nostra autonomia e favorisce e sostiene la nostra crescita culturale, sociale e umana. Pietro Piscitelli (presidente della Biblioteca Italiana per i Ciechi �Regina Margherita�, Monza) INTEGRAZIONE SCOLASTICA Rapporto scuola-famiglia nel processo educativo dell'alunno disabile visivo, di Stefano Salmeri (pagg. 215-227) - Scuola e famiglia devono individuare codici di intesa comuni per realizzare appieno l'inclusione dell'alunno con disabilit� visiva. - Introduzione In questo articolo non si intende soffermarsi sul rapporto scuola-famiglia interpretato secondo il linguaggio apparentemente asettico del burocratese, non ci si propone cio� di condurre un�analisi sulle ben note procedure formali che, necessarie e insostituibili, consentono di inserire l�allievo con disabilit� in una classe, ma, attraverso alcune provocazioni, si punta l�attenzione sui linguaggi che scuola e famiglia devono ricercare e adottare per individuare codici chiari e condivisi, privi di ambiguit� e/o iperglicemica narrazione, e che non facciano cadere nel perverso doppio legame per cui la scuola si dichiara impotente perch� non supportata e sorretta dalla collaborazione della famiglia e la famiglia, dal canto suo, vive nell�attesa di risposte e di stimoli risolutivi e quasi miracolosi da parte della scuola. Sia la scuola sia la famiglia vorrebbero conseguire lo stesso obiettivo: la formazione, il recupero, l�educazione e la crescita nella massima autonomia possibile dell�allievo disabile in difficolt�. Si servono per� troppo spesso di codici linguistici diversi, non riescono a comprendersi e finiscono con il rimanere nell�immobilismo pi� totale in senso educativo e con l�attivare modelli di somiglianza, cercando delle conferme per se stesse e non per i ragazzi. � una situazione paradossale, pirandelliana: crediamo di intenderci, non ci intendiamo mai. Cos�, l�alunno con disabilit�, specialmente se sensoriale, � condannato ad una sorta di paralisi parziale, comunque inibente, che lo isola e lo estrania dal mondo circostante e dalla scuola in particolare mortificando e spesso annullando le sue potenzialit� di apprendimento e conducendo troppe volte alla disabilit� complessa anche i ragazzi con apprezzabili risorse a causa di interventi tardivi, mancati o errati (Canevaro 1999). L'assenza di stimolazioni, l�insufficiente partecipazione, la carente attivazione del senso di appartenenza, la mancata realizzazione cio� di un�autentica inclusione, infatti, determinano frustrazione, insorgenza di un forte senso di inadeguatezza e un conseguente vissuto di sofferenza, che spingono e condannano l�alunno con disabilit� visive a chiudersi in se stesso, non sviluppando quell�autonomia che dovrebbe portarlo a diventare protagonista del suo apprendimento e attore del suo percorso di crescita. Per Freinet (Caporale 2011) infatti l�educatore, il vero pedagogista, non � colui che applica modelli teorici e ottimali in situazioni controllate e sicure, ma chi, perfino in scuole stalla e in situazioni emergenziali, riesce a dare i giusti input per favorire la crescita globale del fanciullo, anche se marginale e/o differente. � una crescita che si realizza solo se gli stimoli sono conformi alle situazioni di partenza altrimenti insegnante e allievo non si comprendono in quanto parlano lingue diverse, eterogenee, non assimilabili tra loro, che incrementano il distanziamento invece di favorire processi di convergenza e di incontro. Per evitare l�incomunicabilit� scuola e famiglia devono ricercare codici comuni e quanto pi� possibile condivisi, in modo che l�alunno con disabilit� visive, ma anche quello con disabilit� complessa, sia in grado di attuare la frattura epistemologica in senso bachelardiano (Bachelard 1995) che produce quelle modificazioni pi� o meno profonde che sono gli apprendimenti, indispensabili perch� si possa parlare di effettivi percorsi di crescita nella conoscenza e nell�autonomia. Allora l�insegnante non si porr� come censore e/o giudice nei confronti della famiglia e far� sua la dimensione dell�ascolto, che non deve essere semplicemente attivo, ma soprattutto e prioritariamente produttivo, operando per meglio comprendere e studiare il linguaggio di chi gli sta di fronte, il genitore, che sicuramente vive con grande disagio e angoscia la situazione del figlio, avendo cura cos� di costruire itinerari di incontro e di convergenza in funzione di un vero sviluppo del bambino con disabilit�. Sono i genitori a comunicare, come dice Bettelheim (1988), con i loro atteggiamenti ansia o serenit� nel caso di un figlio con disabilit� visive e ancora di pi� con disabilit� complessa, non riuscendo che a vivere drammaticamente la loro situazione; allora il docente � investito dell�arduo compito di individuare gli strumenti per fare attivare le funzioni metabletiche, gli apprendimenti, per quanto apparentemente minimi, anche nel bambino con disabilit� complessa nel rispetto comunque degli stili cognitivi e degli specifici bisogni formativi dell�allievo. Per molti versi � proprio la mediazione educativo-formativa dell�insegnante a favorire e a garantire la trasmissione dei messaggi e dei principi portanti della cultura e del senso della cittadinanza: in riferimento al quotidiano e in quanto veicolo per l�attivazione delle funzioni logico-verbali, agendo in tutte le aree dell�apprendimento per stimolare l�autonomia e la crescita nella conoscenza tenendo conto in ogni caso dei limiti dettati dalla specificit� e dalla gravit� della disabilit�. A scuola perci� va ricordata sempre la distinzione tra conoscenze procedurali e conoscenze descrittive: le prime risultano prevalenti, essendo ancora dominante il modello trasmissivo del sapere e non quello problematizzante; le seconde anche per i normodotati vengono troppo spesso mortificate e trascurate, essendo il pensiero divergente pi� una questione da dibattito accademico e congressuale, una prescrizione formale del legislatore, piuttosto che una pratica reale della didattica nella quotidianit� scolastica. In forma paradigmatica, si pensi alle spiegazioni propedeutiche all�uso della squadra nelle applicazioni tecniche e nel disegno nella scuola secondaria di primo grado. Il docente, allora, assumer� a scuola un ruolo simile a quello che Ambrogio ricopr� nello stimolare alla lettura Agostino. Quando il Padre della Chiesa di Tagaste si imbatt� nel Vescovo di Milano, questi, senza scomporsi, continu� a leggere. Sulla base della forza dell'esempio Agostino comprese quanto importante fosse accostarsi al testo tramite la lettura di un volumen, cio� di un libro cartaceo (di papiro o pergamena che fosse) che rimane ancora oggi, al di l� di tutte le retoriche da neofiti cultori delle novit�, il principale veicolo, anche per i disabili visivi, per accedere al sapere. A dimostrazione del dato che il codice Braille non � superato, essendo ancora oggi, la via pi� naturale e immediata per crescere culturalmente sia nell�autonomia a scuola sia nella societ�, sviluppando un vero senso di cittadinanza attiva. Un solo punto Braille infatti � stato nella storia dei ciechi pi� importante di tutte le donazioni dei filantropi di tutte le epoche. 1. Comunicazione e interventi in rete scuola-famiglia In questo modo l�insegnante, attivando lo spirito di emulazione in senso positivo e non per sclerotizzare situazioni di tensione e di perversa competizione, mette in condizione anche il discente con disabilit� visive di sviluppare le quattro fondamentali abilit� dell�ascolto, della lettura, del parlare e dello scrivere, prerequisiti imprescindibili per favorire itinerari di emancipazione nello studio e nella conoscenza. Solamente se tenta di capire il contesto di appartenenza e il trauma dei genitori, ricercando l�incontro e l�ascolto e non assumendo atteggiamenti giudicanti e censori, l�insegnante � un vero educatore, un facilitatore della conoscenza, un intercettatore di intelligenze, capace di promuovere la crescita globale del bambino e i suoi obiettivi didattici non saranno n� pura astrazione codificata sui documenti, adatta per esibire competenze formali da veri burocrati dell�educazione, n�, per usare una metafora di Gaetano Salvemini, mera titolografia congressuale, buona per alimentare retorici dibattiti accademici. Si sviluppa cos� una concreta e dinamica relazione empatica, in grado di attivare un�interazione autenticamente partecipata e partecipante. L�empatia, non a caso, prevede: un ascolto attivo, che deve diventare produttivo; una capacit� di analisi delle dinamiche di gruppo; il mettersi in discussione, rivedendo le proprie certezze, non per costruire una didattica dell�insicurezza, ma perch� la conoscenza e la scienza nascono dal dubbio e dalla ricerca e non dalle verit� inconcusse, precostituite e/o aprioristicamente date (Cottini 2004). Usando una terminologia bernsteiniana, insomma, si potrebbe dire che scuola e famiglia utilizzano generalmente codici ristretti, non riuscendo a trovare un linguaggio condiviso per intendersi, anche perch� in troppi casi si hanno attese non chiare e, di conseguenza, subentra una confusione di ruoli. Le famiglie ritengono che la scuola sia accreditata per la soluzione di tutti i possibili problemi del figlio. La scuola, a sua volta, attribuisce tutte le carenze ai mancati interventi, a una certa approssimazione, alla scarsa collaborazione e ai fraintendimenti dei genitori, alla loro iperprotezione e alla loro incapacit� di gestire in modo adeguato la situazione (sottovalutando e non comprendendo affatto che cosa significa avere un figlio disabile e convivere quotidianamente con questa realt�). Si perpetua una concezione priva di aperture e non scevra da pregiudizi, che impedisce alla scuola di proiettarsi in una visione relazionale ed interattiva dell�educazione, effettivamente euristica e strategicamente ermeneutica, fondata su una sincera mutualit�, indispensabile per costruire un intervento in rete organicamente sistemico, che presuppone una professionalit� che metta in condizione di individuare e di precisare le reali risorse, ma anche gli oggettivi limiti dell�allievo con disabilit� visive. La narrazione eccessivamente ottimistica e un po� edulcorata per cui saremmo tutti uguali rischia infatti di falsare ogni cosa. Pi� che di formale uguaglianza sarebbe opportuno parlare di pari opportunit� e riconoscere la dignit� di ogni soggetto al di l� delle sue possibili difficolt� (Salmeri 2015). In questa prospettiva la pedagogia relazionale criticamente problematizzante ed emancipatrice, in quanto prassi ermeneutica e strategia per l�incontro e per il mutuo riconoscimento, � strumento operativo e metodologico indispensabile per favorire la crescita di ogni soggetto educando e ancora di pi� del bambino con disabilit� visive e specialmente con disabilit� complessa condannato ad una povert� esperienziale che solo una scuola che opera per progetti e secondo i criteri delle buone pratiche educative del sistema formativo integrato partendo da parametri effettivamente inclusivi pu� tentare di compensare guardando alla globalit� della persona con i suoi bisogni, ma anche con il suo vissuto fatto molte volte di mancati riconoscimenti e di profonda sofferenza. Compensazione sensoriale come potenziamento dei sensi vicarianti, nell�accezione del potenziamento compensativo di Augusto Romagnoli (1990), e normalizzazione strumentale come attivazione di tutte le risorse e di educazione all�uso di tutti gli strumenti che permettono concretamente di conseguire l�integrazione socio-culturale costituiscono le mete e gli obiettivi educativi di una scuola che non a parole, ma nei fatti intende rendere il bambino disabile visivo protagonista della sua crescita e del suo processo di integrazione e di inclusione nella societ� secondo i parametri della cittadinanza attiva, della critica emancipazione e del potenziamento del pensiero divergente, perch� gli occhi strabici della diversit� permettono di guardare molto pi� lontano degli occhi dritti del conformismo. Tale crescita, che coinvolge la globalit� della persona nella sua dimensione socio-affettivo-relazionale, impegna tutte le agenzie educative che operano con l�allievo con disabilit� visive (famiglia, scuola e contesto di appartenenza) secondo i criteri del sistema formativo integrato. Tra queste agenzie naturalmente non pu� esserci dissonanza, input contraddittori infatti provocano risposte non omogenee e disarticolate e risultano negativi per il fanciullo che si disorienter� nel suo approccio alla realt�. � il linguaggio a creare le condizioni per una armonia prestabilita in quanto comprendere e interpretare rendono possibile abbattere quei gap mentali, creati dai pregiudizi e/o dalle eccessive ansie nell�interazione con il disabile visivo, che spesso rallentano o addirittura annullano il dialogo tra scuola e famiglia. Diventa allora opportuno operare in sintonia e sinergicamente nella direzione di una concezione narratologica, non pi� semplicemente difettologica in senso vygotskiano (Vygotskij 1986), perch� anche l�Io del disabile si costruisce in rapporto al suo essere sociale come relazione condivisa e affinch� l�Io sia veramente forte � necessario offrirgli indicazioni chiare e sicure, frutto di un organico progetto educativo volto alla ricerca di una piena inclusione. Contrariamente a quanto teorizzato da Freud, l�Io non � semplicemente servitore di tre padroni (Es, Super-Io, Mondo esterno). Secondo Hartmann e Bettelheim infatti l�Io � molto pi� forte di quanto si immagini. Si pensi alle tragiche esperienze nei campi di concentramento nazista, dove si resisteva alle pi� vergognose mortificazioni dei corpi e alle pi� devastanti umiliazioni conservando integro il proprio Io. L�Io � il risultato e la combinazione funzionale della nostra interazione sociale, paragonabile ad una cipolla composta da un insieme di bucce concentriche (Bettelheim 1993). Compito di tutte le agenzie che operano con il bambino con disabilit� visive � aver cura che si formi il maggior numero di strati possibili e contestualmente che non basti un semplice e leggero soffio di vento a disperderli nell�etere infinito. L�Io del disabile visivo, quindi, ha bisogno di un�armatura solida, non pu� andare come un velite romano armato alla leggera, perch� continui sono gli attentati che subisce dal mondo esterno, ricordando perci� quanto sostiene Aldo Gargani (1992): non � l�identit� la guida, ma � ci� che facciamo attraverso il linguaggio a stabilire cos'� l�identit�. 2. Interpretare per costruire l'interazione scuola-famiglia Sin dalla prima infanzia, anzi pi� esattamente dalla fase prenatale, siamo immersi in un mondo di suoni e il bambino a quanto pare gi� dopo le prime ventiquattro ore comincia a percepire acusticamente in forma sempre pi� chiara e a entrare in relazione con il mondo circostante. Diceva giustamente K�hler, psicologo gestaltista, ribadendo che la vista � il senso dominante, che l�animale � schiavo del proprio campo visivo non essendo in grado di operare astrazioni, n� tanto meno di trasferire gli apprendimenti ad ambiti inferenziali diversi (Cippone De Filippis 1978). La questione della trasferibilit� degli apprendimenti si pone anche per il soggetto con disabilit� complessa rispetto al quale, nonostante l�indiscutibile criticit� della situazione, gli educatori interverranno in modo che egli attivi tutte le risorse, seppure limitate, potenzialmente presenti per quanto minime siano. Il fatto che con i soggetti con disabilit� grave gli interventi vanno reiterati e dilatati conferma quanto sosteneva Dewey (1990) in generale e cio� che l�abitudine modifica chi la fa e chi la subisce per preparare alle esperienze successive, cio�, e a maggior ragione con deficit gravi come la disabilit� visive, � necessario non accelerare eccessivamente i tempi, ma neanche reiterare senza motivo gli interventi per evitare che insorga il senso di inadeguatezza, fonte di autosvalutazione, di bassa autostima e quindi di mancata motivazione ad apprendere. Del resto, con Aebischer e Oberl� (1994), si potrebbe dire che il conformismo: facilita la socializzazione tra i singoli soggetti; d� risposte ai bisogni di riferimento e di sicurezza; permette di affermarsi; rafforza la coesione di gruppo; rende pi� attivi. Per tale ragione, soprattutto nel caso della disabilit� complessa, conformismo e abitudine costituiscono vie privilegiate in grado di favorire il recupero e la crescita del ragazzo e di realizzare una sorta di empatia tra le diverse agenzie educative per progettare un vero intervento in rete. Nell�ottica di un approccio sistemico, ermeneutico, euristico e relazionale in ambito educativo metaforicamente si potrebbe con Massimo Cacciari (1985) mettere a confronto con il Cubismo ed il Futurismo il termine empatia, intendendolo come una sorta di reticolo interiore. Tale confronto ci rimanda allo spazio asimbolico di Kandinsky, ad una pittura cio� che non � pi� puro in-s� in conformit� con le geometrie non euclidee, ma � il discorso di un s� con la realt�-mondo che dinamicamente e per molti versi caoticamente si sviluppa intorno a noi. Insomma l�insegnante non si porr� pi� come un vecchio maestro del Talmud che si trova dinanzi ad un�unica porta chiusa, ma kafkianamente avr� tutte le porte aperte verso l�infinito perch� sapr� ascoltare e comunicare nel tentativo di aprire orizzonti di senso e di significato per offrire, predisporre e progettare pratiche effettivamente inclusive per gli studenti con disabilit� visive (Salmeri 2018). L�educatore avr� ben chiare le strategie da utilizzare di volta in volta consapevole che le etichettature in educazione sono devastanti, in quanto ogni soggetto educando � una persona a s� stante ed � espressione di una pi� o meno complessa interazione sociale. � dall�interazione che scaturisce il nostro pensiero, coattivamente collegato alla lingua, ai processi di mediazione simbolica e pi� esattamente al linguaggio interiore che, per Vygotski, non � n� una struttura afona, n� una struttura a s� stante, n� una funzione del linguaggio esteriore. Il linguaggio interiore � una fase transitoria tra il progetto e il linguaggio esplicito, � l'impalcatura mentale che muove simultaneamente pensiero e linguaggio. Solo una convergenza sul piano dei linguaggi interiori e sul piano dei concetti mentali pu� far muovere in sintonia le diverse agenzie educative. Come per lo pi� accade, infatti, il linguaggio esplicito ha un effetto-eco rispetto a chi parla e in buona sostanza non modifica le situazioni e in tal senso ci si potr� intendere, impegnare e comprendere per tentare di elaborare interventi concreti, ma per elaborare un vero progetto di vita � necessario andare oltre, � indispensabile cio� un sincero coinvolgimento e sviluppare la fiducia nei confronti dell�allievo con disabilit� visive. Del resto, fraintendimento e mancanza di chiarezza sono sempre ampiamente presenti, tanto pi� che spesso il linguaggio denota senza connotare esprimendo qualcosa che in effetti non � interiorizzato dal parlante. A buona ragione allora per Frege, filosofo della logica ed epistemologo, si pu� ripetere bene anche nelle materie scientifiche senza aver capito niente. Il linguaggio ha struttura multiversa e carattere polisemico essendo variamente interpretabile, perci� tra trasmittente e ricevente insorgeranno momenti di fraintendimento, gravi equivoci e incomprensioni anche nell�azione educativa se inizialmente non sono chiari i codici di riferimento. Il testo letterario, quello narratologico, � il pi� complesso semioticamente per la sua natura orizzontale ed ermeneuticamente aperta (Eco 1988), ma la comunicazione, in qualsiasi ambito, richiede sempre e comunque margini pi� o meno complessi ed articolati di interpretazione per giungere ad una comprensione realmente condivisa. Anche la lingua banale del quotidiano � piena di ambiguit�, di insidie e di incertezze che impongono di andare oltre la superficie attraverso un�interpretazione che diventa canale indispensabile e strategico per una possibile comprensione. Dietro una semplice e quasi insignificante frase come oggi � una bella giornata si celano molteplici interpretazioni: ci si pu� riferire al tempo meteorologico; pu� esprimere infiniti stati d�animo legati ad inferenze diverse a seconda della persona che la pronuncia; pu� essere ironica volendo indicare che la scalogna ci perseguita. Non a caso, per la pragmatica della comunicazione (Watzlawick, Beavin e Jackson 1971), sono almeno tre le motivazioni che inducono il parlante all�enunciazione: la prima, pragmatica, indica un�azione specifica, concreta; la seconda, di carattere informativo, spinge ad acquisire nuove conoscenze; la terza, di natura emotiva, esprime stati d�animo, per esempio con un�imprecazione o una esclamazione o una preghiera. La comprensione di una parola o di una frase non ha come unico orizzonte di riferimento esclusivamente lo specifico contesto linguistico, essendo necessario spesso un confronto a pi� ampio livello che tenga conto anche delle innumerevoli implicazioni extraverbali. Allora scuola e famiglia, spogliandosi di qualsiasi ipertrofia residuale e di tutte le pregresse presunte certezze, canalizzeranno i loro modelli relazionali nell�orizzonte linguistico della trasparenza e della non ambiguit� e pirandellianamente il loro sar� un parlare aperto (Salmeri 1996a). 3. Apprendimento e disabilit� grave La consapevolezza del limite e il suo riconoscimento diventano la molla per andare oltre e in tale prospettiva, in quanto ente preposto istituzionalmente all�educazione, la scuola ha l�obbligo di assumersi in toto le sue responsabilit�, non lasciandosi allettare n� dalle capziosit� di certa didattica ipermoderna, tecnicistica e idolatra del nuovo che tende a protesizzare la disabilit�, n� da certa retorica che millanta successi a tutti i costi per nascondere e per intercettare ci� che risulta poco gradevole da vedere e/o da dire. Non si pu� normalizzare un disabile, perch� se ci� accadesse (e sarebbe bellissimo) si libererebbe del suo deficit. Noi dobbiamo essere noi stessi, come invita a fare Pindaro gi� dagli inizi del V secolo a.C.: possa tu, attraverso l�apprendimento, diventare ci� che sei. Sono la scuola e gli educatori a doversi fare carico di comprendere e di precisare i modelli e le modalit� di apprendimento del bambino per guidarlo e stimolarlo a crescere rispettandone i tempi e gli stili di conoscenza. Con la disabilit� complessa l�evoluzione e l�apprendimento del linguaggio seguono percorsi totalmente diversificati e differenti rispetto a quelli sia dei disabili visivi (senza deficit aggiuntivi) sia dei normodotati. Per il bambino, la parola dapprima � legata alla percezione: il cane per esempio � il suo Argo, il suo Fido. Solo dopo i 7 anni, il bambino � in grado di operare astrazioni attivando l�immaginazione e la fantasia. Allora il cane sar� definito un mammifero, un quadrupede, un animale, il migliore amico dell�uomo. Il soggetto con disabilit� grave in possesso di un linguaggio verbale segue altri criteri nell�associazione, confrontando ed assimilando le parole secondo inferenze apparentemente alogiche e incomprensibili per i normodotati: per somiglianza fonetica, mai per somiglianza semantica o ancora meno procedendo per astrazione. Per lo psicologo tedesco Stern, il pensiero del bambino ha un carattere trasduttivo, non essendo n� induttivo, n� deduttivo, e muove dal singolare al singolare: il bambino cio� non ha ben chiaro l�uso delle parole ausiliarie e della causalit� e cos�, per esempio, dir� che la barca galleggia perch� � bella, perch� � grande, perch� � piccola. Nel caso del bambino con disabilit� complessa l�associazione non � legata al fatto percettivo, ma esclusivamente ai riferimenti verbali, fonetici, e quindi lo iato tra lui e la realt� � ancora pi� ampio. Allora l�educatore deve operare in modo da stimolare il bambino, nei limiti e nel rispetto della peculiarit� della sua situazione, ad ampliare quanto pi� possibile l�orizzonte percettivo ed esperienziale, dal momento che le percezioni implicano la regolarit� e la governabilit�: la percezione dipende dall�esperienza del soggetto e dal linguaggio interiore (Luria 1979). In tal senso, sia la scuola che la famiglia non potranno deprivare di esperienze ludiche e relazionali fondamentali sin dalla prima infanzia un bambino gi� condannato alla povert� percettiva dalla mancanza della vista. Il gioco e il rapporto con lo spazio vanno curati, pi� che negli altri bambini, anche per rispetto dell�infanzia. Del resto non va educato il deficit, ma il bambino (Vygotskij 1986). I giochi semplici, come stare a cavalluccio, consentono al bambino cieco di esorcizzare il timore dello spazio. Ricordo ancora, a distanza di quasi trent�anni, con quale angoscia e rigidit� un ragazzino cieco di dieci anni con tratti autistici e una disabilit� intellettiva media si sia rifiutato di fare lo scarica-barile perch� terrorizzato dal dover staccare i piedi da terra. Per strutturare tali concetti e far passare certi messaggi, a volte elementari, sarebbero necessari una costante consulenza alle famiglie e un sistematico aggiornamento per gli insegnanti, specializzati e non, attraverso una formazione continua e studio e training sistematici nelle scuole in cui sono inseriti ragazzi con disabilit� visive e disabilit� complessa, ricordando che si tratta di situazioni-problema assolutamente differenti e che � pericolosissimo confonderli, perch� con approcci superficiali e approssimativi si rischia di condannare alla disabilit� complessa anche chi � �soltanto� cieco e/o ipovedente. Inoltre, � bene ricordare che fonte primaria per l�aggiornamento e la formazione dei docenti rimane il libro. Da una statistica piuttosto recente risulta che: il 70% degli insegnanti sono lettori abituali e leggono almeno tre libri l�anno, uno a quadrimestre; il 10% legge un libro l�anno; il rimanente 20% vive in uno stato abiblico, cio� non legge assolutamente niente. Il 70% di lettori abituali, per�, generalmente si trova in una condizione di silenzio mistico mancando di strumenti teorici e concreti. Non vengono colte in tal modo le differenze tra i diversi testi scolastici, differenze fondamentali per verificarne la fruibilit� da parte di un soggetto disabile visivo; molte volte improvvisando, magari spinti da buona volont� e con le migliori intenzioni, si attuano vere aberrazioni pedagogiche cercando di tradurre e non di adattare ci� che � visivo a ci� che � ineludibilmente tattile per chi non vede. Il testo scolastico si diversifica in senso verticale e in senso orizzontale. In senso verticale, si passa dalla plurivalenza del sussidiario della scuola primaria ad una sempre maggiore specificit�, quella del testo delle singole discipline nella scuola secondaria di primo e di secondo grado, per non parlare delle differenze di impostazione e di taglio culturale. L'insegnante deve impegnarsi per rendere fruibile per il bambino disabile visivo qualsiasi testo e ci� potr� farlo esclusivamente se ne sapr� cogliere le peculiarit� capendo che il testo ermeneuticamente � una globalit� di parti pi� o meno coerentemente irrelate tra loro e che non � sufficiente traslitterare le immagini visive in rappresentazioni tattili, avendo vista e tatto modalit� percettive inequivocabilmente diverse. Conclusioni Certamente ardui, quasi irrisolvibili, sono i compiti specifici della scuola. Tuttavia, se scuola e famiglia sapranno individuare codici di intesa comuni, l�inclusione dell�alunno con disabilit� visive sar� pi� facilmente realizzabile, perch� si potranno scongiurare sovrapposizioni, fraintendimenti e soprattutto input contraddittori. Se � vero che linguaggio, pensiero ed educazione sono i luoghi della libert� (Salmeri 1996b), soltanto coniugandoli e mettendo da parte qualsiasi discrasia, sar� possibile operare in modo da favorire una reale crescita verso l�autonomia del ragazzo con disabilit� visive. Una collaborazione sistematica tra scuola e famiglia � da auspicare augurandosi che tale interazione sia continua, totale e sistematica nell�interesse del soggetto educando. In conclusione, per portare a compimento una chiara e significativa collaborazione, scuola e famiglia devono comunicare non soltanto attraverso il linguaggio esplicito, ma anche a livello di quella che Noam Chomsky chiama struttura profonda o, se si vuole essere pi� precisi, di quello che gli psicologi russi liberi da tentazioni innatiste (Vygotski, Luria, Leontjev) hanno chiamato linguaggio interiore, presupposto indispensabile per il pensiero superiore, il solo capace di attivare la divergenza nella riflessione. In caso contrario si corre il rischio di parlarsi addosso, confermando ci� che dice l'interlocutore, ma continuando sulla propria strada, essendo innumerevoli i fattori di resistenza dinanzi alla cecit�. Non � sufficiente infatti avere chiaro soltanto il segno mentale, altrimenti ci si trover� nella condizione di Poincar� che, dopo anni di studi, avendo finalmente individuato un�importante legge fisica sulla struttura della materia, si mise a saltare gioiosamente sulla sedia davanti ai suoi collaboratori, ma poi si accasci� inaspettatamente ponendosi la pi� banale e scontata delle domande: e ora come glielo spiego? In altri termini, se in un concreto progetto educativo tra scuola e famiglia linguaggio e pensiero sinergicamente e coerentemente saranno condivisi, allora la collaborazione si costruir� attraverso un�autentica comunicazione avendo come unico tema quello dell�educazione del bambino con disabilit� visive o con disabilit� complessa in funzione della sua crescita e soprattutto della sua autonomia. Mettendo da parte tutte le presunte certezze, ascoltando, confrontando e problematizzando, famiglia e scuola opereranno in prospettiva, usando una terminologia cara a Makarenko (1977), per educare e rieducare il bambino con disabilit� visive facendogli superare tutte le difficolt� che la sua disabilit� e il suo essere in divenire implicano ed impongono nei limiti e nel rispetto dei suoi effettivi bisogni formativi, della sua identit� e del suo deficit. Prospetticamente e dialetticamente allora il bambino con disabilit� visive conquister� una sua dignit� e una sua concreta autonomia in tutte le aree dell�apprendimento per divenire a tutti gli effetti cittadino consapevole e protagonista all�interno del suo contesto di riferimento. Se tale autonomia non � pensabile tout court per il bambino con disabilit� complessa, rimane comunque compito della scuola e della famiglia quello di garantirgli una vita qualitativamente apprezzabile e quanto pi� dignitosa possibile e perch� ci� accada la collaborazione � veramente condicio sine qua non. Riferimenti bibliografici Aebischer, V. e Oberl�, D. (1994). Il gruppo in psicologia sociale. Trad. it. Roma: Borla. Bachelard, G. (1995). La formazione dello spirito scientifico. Trad. it. Milano: Raffaello Cortina. Bertin, G.M. (1968). Educazione alla ragione. Roma: Armando. Bettelheim, B. (1993). La fortezza vuota. Trad. it. Milano: Garzanti. Bettelheim, B. (1988). Il cuore vigile. Trad. it. Milano: Adelphi. Cacciari, M. (1985). Icone della legge. Milano: Adelphi. Canevaro, A. (1999). Pedagogia speciale. La riduzione dell�handicap. Milano: Bruno Mondadori. Caporale, V. (2011). Freinet. Dalle tecniche alla cooperazione. Bari: Cacucci Edizione. Cippone De Filippis, A. (1978). 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Stefano Salmeri (Professore Ordinario di Pedagogia Generale e Sociale Universit� Kore, Enna) MATEMATICA L'apprendimento della matematica per l'allievo con disabilit� visive, di Stefano Salmeri (pagg. 228-237) - Il linguaggio matematico pu� essere assimilato ed appreso dall'allievo con disabilit� visiva, la cui mente non presenta alcun limite nell'elaborazione del pensiero logico-formale. - Introduzione Uno dei tanti luoghi comuni che circolano sui disabili visivi vuole che sia loro preclusa la comprensione della matematica o, quanto meno, che la matematica, la geometria e tutte le altre discipline scientifiche vadano presentate in modo semplificato o addirittura in forma banale. Si dimentica che oggi esistono diversi programmi informatici a supporto dello studio della matematica (solo per fare due esempi: LAMBDA e EDICO) e che quelli meno giovani, che abbiamo frequentato gli istituti, la studiavamo senza particolari difficolt� ed eravamo in grado di spiegare anche le materie scientifiche ai nostri compagni di classe meno bravi o meno disposti ad impegnarsi con costanza nello studio. Non si sa bene per quale arcano motivo, per�, la disabilit� visiva impedirebbe lo studio e l�assimilazione dei concetti logico-matematici e della geometria, cio� inibirebbe l�accesso ai saperi simbolici e astratti. Se cos� veramente fosse, effettivamente si dovrebbe parlare di un�autentica problematicit� nello sviluppo cognitivo dei disabili visivi. � facile immaginare che per la geometria, legata alla rappresentazione grafica delle figure, l�impedimento consisterebbe nel suo carattere concreto, avendo i disabili visivi difficolt� nell�elaborazione e nell�assimilazione dei concetti spaziali. Il problema per� � superabile essendo generalmente possibile una trascrizione grafico-tattile delle figure geometriche. La matematica tuttavia non ha sic et simpliciter soltanto carattere percettivo-concreto e nella maggior parte dei casi viene insegnata male. Soltanto ultimamente si cominciano a sviluppare gli studi di didattica disciplinare in forma sistematica ed organica per le materie scientifiche. Indubbiamente la mancanza della vista compromette e limita la possibilit� di elaborare concettualmente la spazialit� e sicuramente in un primo momento lo studio della matematica, dovendo conformarsi ai modelli di apprendimento dell�allievo con disabilit� visive, dovrebbe fare riferimento al mondo percettivo-concreto. Si pensi ai primi problemi in cui generalmente la mamma di Pierino � in possesso di una certa somma di denaro nel borsellino e va a comprare, per esempio, le uova. Il quesito riguarda la quantit� di denaro rimastole. Tali questioni rischiano di essere dei veri misteri per il bambino con disabilit� visive che probabilmente non ha mai toccato un uovo, non sa come � fatto il borsellino della sua mamma e quindi figuriamoci quello della madre di Pierino che peraltro nemmeno conosce, che non ha idea di cosa siano o a che cosa servano questi benedetti soldi di cui tutti parlano. Peraltro si tratta di questioni che potrebbero fungere da rinforzo nel consolidare il senso di inadeguatezza che il bambino con disabilit� visive, sin dalla prima infanzia, giorno dopo giorno, sente crescere in s�. 1. Numeri ordinali e numeri cardinali, figure geometriche e studio della fisica per i disabili visivi Il problema della didattica della matematica riguarda tutto il mondo della scuola e non soltanto i bambini/ragazzi con disabilit� visive. Si pensi in quale impasse si trovano, a quale angoscia sono condannati molti bambini/ragazzi scolarizzati, quando posti di fronte ad un prodotto con il 20% di sconto cercano di precisarne e definirne la cifra anche solo approssimativamente. Si tratta di un vero esercizio insidioso per la mente dei pi�, allo stesso modo dell�inganno del venditore che fa leva sull�ottusit� di una popolazione a-numerica quando offre un prodotto vantaggioso a euro 99,00 e l�acquirente gongola nella sua sana insipienza per non aver speso una cifra ben pi� alta, cio� euro 100,00. Il mercato conosce perfettamente l�analfabetismo e l�ingenuit� delle sue vittime e quindi con estrema semplicit� elabora e individua le strategie per prenderle al laccio. Alla base del fenomeno vi sono grosse questioni metodologiche e didattiche. Infatti a scuola prima si presentano i simboli della matematica (questo � l�uno, questo � il due, questo � il tre) e poi si spiega a cosa servono, imponendo all�allievo modelli di apprendimento sempre pi� complessi per oscurit� e inaccessibilit�. Dapprima i numeri vengono cantilenati e poi scritti, mai si parla di numeri come di contenuti del nostro vivere quotidiano, essenziali per governare e per meglio comprendere il carattere del reale e per costruire con maggiore consapevolezza la nostra interazione con l�alterit� e con la natura nella sua globalit�. Eppure la maggior parte degli apprendimenti sono riconducibili al linguaggio e lingua e pensiero si coimplicano (Vygotskij 1990), hanno un carattere biunivoco, per usare una terminologia matematica. La lingua ha una struttura logica. Non a caso nella cultura ebraica ogni lettera simboleggia un numero. Inoltre, dai pitagorici in poi, e pi� precisamente da quando Filolao di Tebe scopre l�ottava agli inizi del IV secolo a.C., � chiaro che anche la musica ha una struttura numerica. L�uomo ha bisogno di descrivere e di organizzare razionalmente la realt� e la matematica, come Galilei insegna, ci mostra che la natura � fatta di triangoli, di cerchi e di altre figure geometriche, che le �sensate esperienze e le ragionate dimostrazioni� permettono di cogliere. In quanto modello razionale quello della matematica � un sistema simbolico convenzionale, come � dimostrato dal fatto che quello decimale non � l�unico possibile: i Persiani, per esempio, usavano il sistema sessagesimale. Sarebbe auspicabile quindi un uso linguistico e poi mentale della matematica che, invece, non diventa pensiero, non si trasforma per i pi� in linguaggio interiore in senso vygotskiano (Vygotskij 1986). Manca una lingua parlata per la matematica, cosa che la rende eterogenea e radicalmente diversa dagli altri contenuti di apprendimento, anche perch� generalmente chi la insegna la presenta come un sapere svincolato e separato dai vissuti della quotidianit�. Per il bambino con disabilit� visive, inoltre, si pongono problematiche e questioni di tipo diverso e pi� complesso: la povert� percettiva e la limitata esperienzialit� per forza di cose lo condizionano negativamente, allargando rispetto agli altri allievi la distanza tra il metalinguaggio numerico e il concreto percettivo. Con il bambino con disabilit� visive perci� sin dalla prima infanzia si dovrebbe lavorare sul concetto di quantit�, sul senso barico, sulla differenziazione delle forme degli oggetti e sul riconoscimento delle forme geometriche. Infatti la maggior parte degli insegnanti, per esempio, non riesce a spiegarsi come mai, nella scuola dell�infanzia, il bambino con disabilit� visive abbia difficolt� a distinguere il quadrato dal rettangolo e non capiscono che soltanto un lavoro serio sulla bimanualit� pu� eliminare la criticit�. Attraverso un potenziamento delle abilit� prasso-gnosiche e una stimolazione nell�area ludico-relazionale, e usando in modo adeguato tutti i sussidi tiflodidattici disponibili, gli insegnanti potrebbero lavorare per una compensazione cognitiva facendo sviluppare sia abilit� quantitative e spaziali sia il senso barico e accrescendo il campo delle esperienze aptiche. Da quanto risulta dall�esperienza nelle scuole anche i bambini con disabilit� visive apprendono la matematica attraverso la strategia della cantilena, venendo cos� mortificata la possibilit� di elaborare mentalmente il linguaggio matematico e rendendo il numero una specie di tautologia chiusa in se stessa, un guscio vuoto che non aggiunge niente alla conoscenza: un dato che � di per s� e che per essere non ha bisogno di altro. Cripticismo e capziosit� producono una realt� incomprensibile e poco interessante, subita, non veramente interiorizzata e ancora meno assimilata chiaramente. Gli insegnanti si preoccupano, inoltre, di presentare i numeri cardinali trascurando gli ordinali. Se � vero per� che il disabile visivo ha nella sfera percettivo-concreta i suoi pi� grandi limiti, perch� non fargli assimilare e comprendere sin dalla scuola dell�infanzia proprio quei numeri, gli ordinali, che meglio e pi� direttamente esprimono e rappresentano la realt� spaziale e che indicano la relazione tra gli enti collocati nel contesto di riferimento? Lo spazio � organizzato secondo la coesistenza, indicando l�ordine dei rapporti di prossimalit� e di distanza. A sua volta, il tempo � ordinato secondo la successione del prima e del dopo anche per la fisica classica che, nella sua descrizione del reale, fa riferimento alla geometria euclidea, la pi� vicina al modo di percepire e di rappresentare il mondo della mente umana. Nello spazio c�� un primo, un secondo, un terzo. Nel tempo ci sono un precedente, un conseguente ed un immediato. Una moderna didattica della matematica, allora, non negher� al bambino con disabilit� visive i pi� precisi e chiari riferimenti percettivo-concreti che gli consentano a partire da una lingua nota e assimilata di rielaborare interiormente gli apprendimenti spazio-temporali, geometrico-matematici, logico-astrattivi, formali-simbolici. Numeri cardinali e numeri ordinali vanno presentati insieme e devono essere appresi dopo aver verificato i prerequisiti, l�iter e il vissuto esperienziale del bambino. Compito dell�educatore � infatti entrare in sintonia con il mondo del discente, ponendo l�attenzione sulle situazioni di partenza, e non imporre o proporre modelli di presunta verit�. Il bambino con disabilit� visive pi� di chiunque altro ha bisogno di ordinare e di classificare lo spazio in forma chiara anche per non perdere i punti di riferimento. In questo senso l�interiorizzazione dei numeri ordinali assume carattere di rinforzo essendo collegati alla dimensione percettivo-concreta e consentendo sia di capire che la matematica � uno strumento operativo che favorisce l�accesso al mondo in cui viviamo, sia di approfondirne la conoscenza anche perch� garantisce un maggiore e pi� autonomo controllo. Il disabile visivo ha bisogno di elaborare mentalmente un suo ordine spaziale altrimenti vede continuamente messo in crisi il concetto di permanenza dell�oggetto secondo il quale ogni elemento del mondo concreto � reperibile solo se la mano che lo ha collocato e catalogato spazialmente nel momento in cui lo va a cercare lo pu� ritrovare senza difficolt�. Se invece gli oggetti sono collocati secondo rapporti esclusivamente visivi, non comprensibili e non interiorizzati dal disabile visivo, lo spazio gli sar� estraneo e quindi non pi� rappresentabile e descrivibile secondo criteri razionali in piena autonomia (Salmeri 1992, 1993). La matematica � una lingua, dal carattere non aperto, essendo un costrutto mentale, elaborato secondo criteri assolutamente razionali e come la fisica si serve di definizioni per tradursi didatticamente in prassi educativa e per precisare i suoi concetti elementari e/o complessi (Kuhn 1975, 2000). Tuttavia i suoi vocaboli e la sua terminologia, cio� il suo lessico, a seconda dei singoli soggetti educandi a cui ci si rivolge, risultano ora chiari, ora ambigui, ora confusi, ora evidenti. Cos�, per esempio, per definire la densit� di un corpo, in fisica, si parla di massa per volume o in certi casi di massa-volumica. � tutto chiaro se si sa cosa si intende per massa e per volume. Massa e volume sono grandezze elementari, mentre la densit� � una grandezza derivata. � molto facile stabilire, attraverso un semplice algoritmo, come si perviene alla definizione delle grandezze derivate, invece assai pi� difficile � non cadere in contraddizione quando si parla di grandezze prime. Agostino (1991), credendo di sapere cosa � il tempo, cerca di definirlo, ma finisce per cadere in argomentazioni capziose: ci� che per lui � tanto evidente, la lingua non � in grado di esprimerlo con altrettanta chiarezza, mancano le parole chiave per una definizione e/o una formula coerente e priva di ambiguit�. L�operativit� in fisica si ricollega al concetto di misura, il che fa cadere nella pi� evidente delle tautologie: per esempio, il tempo si misura per mezzo degli orologi e gli orologi servono a misurare il tempo; il peso si misura con le bilance e le bilance permettono di controllare il peso. Il fatto che, da un lato, abbiamo il singolare (peso, tempo) e, dall�altro, il plurale (bilance, orologi) fa capire che le definizioni per la scienza hanno un carattere plausibile e non indicano affatto verit� inconcusse in senso metafisico. Infatti il concetto di frattura cognitiva o di rottura epistemologica, formulato dalla psicologia e dalla filosofia della scienza, trova come contraltare teoretico in campo scientifico quello del falsificazionismo popperiano o della teoria dei paradigmi di Kuhn. Oggi con la fisica dei quanti � stata definitivamente messa da parte la metafisica newtoniana, nel cui ambito la massa era ancora un attributo della materia rimandando al concetto di essenza, alla quidditas medievale. Di conseguenza mettendo in discussione il quinto assioma della geometria euclidea (per un punto esterno ad una retta su un piano passa una ed una sola parallela), allora, si sono elaborate le geometrie non euclidee ed � stato possibile concepire in modo totalmente nuovo la matematica, ma anche lo spazio, non pi� necessariamente rettilineo. I testi scientifici appaiono allora come un mucchio di mattoni in un cantiere non ancora edificato, le definizioni vengono supportate da esercizi numerici e i numeri, queste entit� imperscrutabili, sono l�unico simulacro della realt�. Ed � per questo che nessuna persona sana di mente nel suo tempo libero legge un testo di matematica o di fisica. L�incisivit� della lingua si misura dalla sua capacit� di produrre significati: la ridondanza, l�orizzontalit� semantica e l�evocazione sono fattori indispensabili per suscitare interesse ed emozioni. Il linguaggio scientifico invece � poco significativo e scarsamente attraente, procede secondo uno schema rigido e non conforme alla lingua comune: da un lato, un unico verbo e, dall�altro, una serie quasi illimitata di sintagmi nominali. Tali scelte non eliminano l�ambiguit� e spesso anche tra autorevoli scienziati si creano gravi e profondi fraintendimenti. Il linguaggio scientifico pretende di non essere ambiguo ed equivoco, ma � errato pensare che l�orizzontalit� semantica non sia applicabile alle regole e ai principi della matematica. Per suo statuto ontico ed epistemico, la parola � struttura simbolica, aperta e soggetta ad interpretazione e inequivocabilmente ha carattere convenzionale, anche quando descrive e rappresenta concetti razionali ed oggettivi. Nietzschenianamente va ricordato infatti che anche in ambito scientifico non esistono fatti, ma solo interpretazioni di fatti. Con il suo approccio ermeneutico, peraltro, Gadamer (1983) dimostra che la vecchia distinzione tra scienze della natura e scienze dello spirito (operata soprattutto dallo Storicismo di Dilthey) non ha pi� senso, dato che l�essere che pu� essere compreso � proprio il linguaggio, che per suo statuto � esposto ad interpretazione, affinch� si possa avere comprensione. Conclusioni La matematica � un linguaggio e una struttura logico-razionale e il canale privilegiato che il docente deve attivare per comunicare con gli allievi � la parola, quindi dovr� entrare in relazione con loro parlando e non zavorrando la lavagna di formule che si succedono con frenetica e quasi ossessiva e compulsiva rapidit�. L'insegnante di matematica, come quello di fisica, si deve impegnare a rendere gradevoli le sue lezioni. La meta sar� raggiunta se il docente terr� presenti le situazioni, le potenzialit�, gli stili cognitivi e le capacit� di apprendimento del linguaggio matematico di coloro che gli stanno dinanzi. Insomma, si ottiene l�obiettivo se l�insegnante opera in modo da individuare continuamente nuove, piacevoli e facilmente fruibili regole di senso, specialmente per quegli studenti, che come i bambini/ragazzi con disabilit� visive, hanno un pi� precario rapporto con la realt� empirico-concreta. La matematica della scuola primaria spesso o sempre risulta contraddittoria rispetto alle inferenze mentali del bambino specie se con disabilit� visive. Il manuale e di conseguenza l�insegnante non educano a formulare domande, ma solo a fornire risposte laddove le eventuali domande che vengono stimolate sono strettamente controllate, codificate e quindi non libera e spontanea espressione degli interessi derivati dal patrimonio esperienziale del bambino. Le discipline scientifiche finiscono cos� con il mortificare la curiosit� tipica dell�infanzia. In campo pedagogico, peraltro, le domande di cui si conosce gi� la risposta sono scarsamente rilevanti, perch� non stimolano la riflessione; decisamente pi� importanti sono invece i quesiti di cui non � nota la soluzione perch� producono dubbi e incentivano la ricerca. Porre domande appropriate � di gran lunga pi� significativo che memorizzare supinamente regole sostanzialmente estranee al mondo di appartenenza dell�allievo. Perch� la matematica possa essere utilizzata anche dal bambino con disabilit� visive come sistema logico-formale, si deve trasformare in linguaggio interiore e in concetto mentalmente chiaro secondo l�accezione di Vygotskij (1990). Per Vygotskij, infatti, il linguaggio interiore non � n� una struttura afona, n� una struttura a s� stante, n� una funzione del linguaggio esplicito, ma � una fase transitoria tra il progetto e il linguaggio verbale manifesto. Anche il linguaggio matematico pu� essere assimilato se � appreso con chiarezza e non in forma equivoca dall�allievo con disabilit� visive, la cui mente pregiudizialmente e strutturalmente non presenta alcun limite nella elaborazione/costruzione del pensiero logico-formale e/o superiore. Insomma la mente del docente e quella dello studente insieme sinergicamente comunicheranno anche i codici della matematica, se effettivamente sapranno intrecciare una relazione condivisa secondo criteri di reale mutualit� in una prospettiva educativa concretamente partecipata e partecipante, promotrice di una pedagogia dell�incontro priva di artificiosi approcci dettati dal pregiudizio e non guidati da un sincero bisogno di emancipazione e di riscatto dello studente con disabilit� visive. La matematica infatti deve essere spiegata come un gioco o come un�esperienza concretamente vissuta, almeno inizialmente. Le risposte allora scaturiranno da domande opportune e significative. Del resto sono le domande a determinare la qualit� delle risposte. Il bambino con disabilit� visive quindi imparer� a convogliare e a canalizzare la sua curiosit� verbale anche verso il linguaggio matematico presentato tenendo conto delle sue possibilit� di apprendimento e nel rispetto dei suoi peculiari bisogni formativi e dei suoi stili cognitivi, e cio� non come un astratto verbalismo composto da termini (i numeri) esoterici e vuoti o come un sapere esclusivamente visivo-spaziale buono per l�occhio del normodotato, ma come lingua della prassi concreta e problematica, legata al suo vissuto reale, suscitatrice di interesse e motivata curiosit�. Il bambino con disabilit� visive che interiorizza tale linguaggio non avr� poi difficolt� a trasformarlo in linguaggio interiore intorno ai 12-14 anni facendolo diventare pensiero superiore, logico-formale, utile per dare vigore alle funzioni mentali (attenzione selettiva, memoria strategica, analisi e sintesi, linguaggio, capacit� di problem solving) indispensabili per attivare la metacognizione. Infatti il disabile visivo, pur se incontra difficolt� nell�elaborazione del pensiero percettivo-concreto, non ha invece problemi se � correttamente educato ad elaborare i processi propri del pensiero superiore, logico-formale, simbolico-astrattivo, riflessivo-concettuale. La matematica � una lingua appartenente ai codici semiotici del nostro mondo ed � stata elaborata dall�uomo, quindi non � collocabile in un asettico Eden della perfezione e dell�intangibilit�; va invece presentata e trasmessa secondo i canoni pi� conformi al nostro modo di essere e di interpretare/comprendere. Cos�, dal momento che viviamo immersi in un mondo di parole e di suoni, il docente deve comunicare, anche parlando, la matematica. Bateson (1976) e gli studiosi di Palo Alto (Watzlawick, Beavin e Jackson 1971) hanno studiato la questione dei messaggi contraddittori. Il paradosso infatti � il limite invalicabile contro cui si infrange la ragione umana, perch� il paradosso pu� essere superato solo se usciamo dalla situazione in cui siamo immersi. Se ne usciamo per� la situazione non sar� pi� la nostra, cesser� di essere il nostro vissuto e noi non saremo pi� noi stessi. Con Wittgenstein potremmo dire che per comprendere il mondo ne dovremmo uscire, ma, se ne uscissimo, questo cesserebbe di essere il nostro mondo. Per il bambino con disabilit� visive, quando � insegnata in maniera non corretta, la matematica assume un carattere occulto ed inaccessibile rischiando sia di rappresentare un input totalmente contraddittorio rispetto alle sue verit� e alle sue certezze, sia di negare e di mettere in crisi il suo mondo. Lo studio della matematica allora non deve costituire un ulteriore motivo di insorgenza di frustrazioni, ma deve offrire una nuova chiave di apertura e di accesso al mondo, ai suoi codici e ai suoi linguaggi che il bambino con disabilit� visive come gli altri bambini ha il diritto-dovere di comprendere e di interpretare. Riferimenti bibliografici Agostino, (1991). Confessioni. Trad. it. Milano: Garzanti. Bachelard, G. (1995). La formazione dello spirito scientifico. Trad. it. Milano: Raffaello Cortina. Bateson, G. (1976). Verso un�ecologia della mente. Trad. it. Milano: Adelphi. Bateson, G. (2008). Mente e natura. Un�unit� necessaria. Trad. it. Milano: Adelphi. Cottini, L. (2004). Didattica speciale e integrazione scolastica. Roma: Carocci. Gadamer, H.S. (1983). Verit� e metodo. Trad. it. Milano: Bompiani. Kuhn, Th.S. (1975). La struttura delle rivoluzioni scientifiche. Trad. it. Milano: Raffaello Cortina. Kuhn, Th.S. (2000). Dogma contro critica. Trad. it. Milano: Raffaello Cortina. Laporta, R. (2001). Avviamento alla pedagogia. Roma: Carocci. Piaget, J. (1981). L�equilibrazione delle strutture cognitive. Trad. it. Torino: Bollati Boringhieri. Romagnoli, A. (1990a). Pagine vissute di un educatore cieco. Firenze: Unione Italiana Ciechi. Romagnoli, A. (1990b). Ragazzi ciechi. Roma: Armando. Salmeri, S. (1992). La minorazione visiva. Consapevolezza della diversit� e approccio multimediale. Catania: CUECM. Salmeri, S. (1993). Il visibile dell�invisibile. La minorazione visiva in un mondo di apparenza. Catania: CUECM. Salmeri, S. (1996). I luoghi della libert�: linguaggio, pensiero, educazione. Catania: CUECM. Vygotskij, L.S. (1986). Fondamenti di difettologia. Trad. it. Roma: Bulzoni. Vygotskij, L.S. (1990). Pensiero e linguaggio. Trad. it. Bari: Laterza. Watzlawick, P., Beavin, J.H. e Jackson, D.D. (1971). Pragmatica della comunicazione umana. Trad. it. Roma: Astrolabio Ubaldini. Stefano Salmeri (Professore Ordinario di Pedagogia Generale e Sociale Universit� Kore, Enna) MUSEI Il museo accogliente nell'ottica di una autentica accessibilit� e fruibilit�, di Anna Buccheri (pagg. 238-247) - Il museo accogliente � quello che permette la libera fruizione delle sue opere realizzando pratiche di accessibilit� in un'ottica di partecipazione e di cittadinanza attiva. - Introduzione Accoglienza, attenzione alla comunicazione e cura della relazione sono elementi centrali per realizzare modelli organizzativi, gestionali e strutturali che possono rendere la cultura un�esperienza per tutti e di tutti. L�accesso alla cultura in tutte le espressioni, in tutti i luoghi e in tutte le discipline � uno dei diritti fondamentali della persona, offrendo la possibilit� di superare molti limiti e di accedere a nuovi orizzonti. In questa accezione, la cultura si pone come vero veicolo per l�integrazione. Abbattere le barriere culturali, ingombranti tanto quanto quelle architettoniche, � un altro passo da compiere per aprire realmente i luoghi d�arte a tutti. Infine va migliorata la conoscenza delle disabilit�, perch� quando si parla di disabilit� si tende a procedere per categorie e ad assimilare caratteristiche molto distanti tra loro e che richiedono invece approcci relazionali completamente differenti. Conoscere le diverse disabilit� e le rispettive esigenze � il primo passo per maturare la consapevolezza e per superare idee errate o pregiudizi. L�accessibilit� ai luoghi della cultura sembra riguardare solo le persone con una disabilit� che costringa all�uso della carrozzina, ma le barriere immateriali (indifferenza e ignoranza) sono le pi� difficili da abbattere, perch� di tipo psicologico e culturale. Le parole possono generare barriere e l�attenzione al loro uso � importante perch� veicolano il modello operativo a cui si fa riferimento e la visione culturale della disabilit� nelle varie epoche. In un'ottica di partecipazione e di cittadinanza attiva (Salmeri 2015), per dare la possibilit� a tutti di essere spettatori e produttori di cultura e per un turismo sostenibile, le istituzioni museali in particolare devono aprirsi alle esigenze specifiche di ogni tipo di pubblico al fine di diventare veramente inclusive e integrate. Il 24 agosto 2022 l�ICOM ha formulato la seguente definizione di museo che supera quella del 2007: �Il museo � un�istituzione permanente senza scopo di lucro e al servizio della societ�, che effettua ricerche, colleziona, conserva, interpreta ed espone il patrimonio materiale e immateriale. Aperti al pubblico, accessibili e inclusivi, i musei promuovono la diversit� e la sostenibilit�. Operano e comunicano eticamente e professionalmente e con la partecipazione delle comunit�, offrendo esperienze diversificate per l�educazione, il piacere, la riflessione e la condivisione di conoscenze� (Debono 2022). La definizione � coerente con il ruolo che i musei vanno assumendo nella societ� contemporanea e riconosce importanza all�inclusivit�, alla partecipazione alla comunit� e alla sostenibilit�. 1. Accessibiit� per tutti Le esposizioni permanenti e le mostre temporanee devono essere rese fisicamente e intellettualmente accessibili al pubblico. L�interazione con la comunit� e la promozione del suo patrimonio sono infatti parte della funzione educativa del museo. Secondo il principio della fruizione universale perci� il museo deve garantire l�accesso alle collezioni, aprendosi a tutti i pubblici possibili (Prete 2005). Il pubblico � composito e variegato, comprendendo tra l�altro persone con disabilit� permanenti o temporanee, anziani, bambini, donne in gravidanza. La multisensorialit� va quindi potenziata per rendere i musei accessibili fisicamente e fruibili intellettualmente. Perch� un percorso sia accessibile, il museo deve per prima cosa partire dalla propria collezione e dalle informazioni che intende comunicare operando una selezione sia delle opere sia delle informazioni. La selezione va effettuata preferibilmente sulla base dei seguenti criteri: - le opere scelte devono avere una centralit� rispetto alla collezione, veicolando informazioni significative che rimandano al patrimonio complessivo del museo; - le opere devono essere scelte in modo coerente e rappresentare un insieme strutturato; - le opere e le informazioni devono essere riconducibili all�esperienza diretta della persona (spesso infatti si scelgono figure umane o di animali); - le opere selezionate devono permettere un approccio quanto pi� percettivo e diretto possibile. Per rendere accessibili gli spazi museali in modo che il visitatore con disabilit� visive sia autonomo pu� essere valido un percorso semplice e lineare, integrato nell�itinerario di visita di tutto il pubblico e che permetta anche di sostare pi� a lungo, se necessario, oppure si possono allestire spazi dedicati e fruiti anche dai vedenti, sollecitati cos� ad avere un approccio sensoriale diverso. Potrebbero risultare efficaci inoltre strumenti che preparino alla conoscenza degli spazi e del museo, come una guida tattile e sonora (D�Andrea, Moroni Lanfredini 2020). L�accessibilit� deve infine creare non solo ambienti privi di barriere architettoniche, cognitive e sensoriali, ma anche le condizioni di comfort ambientale in termini di sicurezza e autonomia. L�accessibilit� ha quindi una natura qualitativa, dal momento che le barriere architettoniche non comprendono solo gli ostacoli fisici (gradini, scale, porte, passaggi stretti), ma elementi vari, causa di limitazione anche di natura percettiva o di disorientamento, affaticamento, disagio o pericolo. Alle condizioni preliminari di accessibilit� e di fruibilit� (raggiungibilit� del sito, parcheggi, superamento delle barriere architettoniche all�entrata e all�uscita e nei percorsi interni) e di accoglienza e didattica si aggiungono le questioni relative all�orientamento del visitatore, ad un�adeguata segnaletica sia interna che esterna, all�accessibilit� agli spazi espositivi e ad ogni attivit� svolta nel museo, alla corretta illuminazione e alla progettazione di spazi di riposo. L�Universal Design (Progettazione Universale per un�Utenza Ampliata) e il Design for all agiscono secondo una filosofia progettuale di ideazione di prodotti e di ambienti per la diversit�, l�inclusione sociale e l�uguaglianza avendo l�obiettivo di garantire pari opportunit� nella partecipazione in ogni ambito della societ�. L�approccio, di tipo olistico, guarda alla persona nel suo complesso considerandola un insieme aperto e cercando di realizzare un prodotto che possa essere usato da tutti (Gargiulo 2009). La comunicazione deve essere accessibile ancora prima dell�inizio della visita e in questo senso il sito web del museo diventa strumento importante e imprescindibile per l�organizzazione della visita, allo stesso modo delle mappe cognitive e tattili poste all�ingresso del museo con informazioni sull�organizzazione del percorso espositivo e sulle tematiche della visita. Fondamentale � evidenziare i punti di riferimento e di orientamento durante il percorso in modo che il visitatore, e non solo quello con disabilit� visive, possa individuare la propria posizione nell�ambiente e conoscere la collocazione dei servizi (Marconato, Sarti, Visentini 2019). 2. Come rendere il museo accessibile per i disabili visivi Un sistema integrato di comunicazione e accessibilit� � in grado di aprire le porte di qualsiasi istituzione museale ai diversi tipi di pubblico. Il cartellino dell�opera, il pannello informativo, la scheda di sala e la segnaletica interna sono supporti informativi tradizionali, favoriscono la comprensione dei contenuti museali e concorrono ad ampliare il pubblico dei visitatori, andando incontro anche alle esigenze delle persone con disabilit�. La comunicazione scritta nel museo deve rispondere a criteri di leggibilit�, intesa come comprensibilit�, scegliendo una scrittura semplice e chiara e curandone la forma visiva: dalle dimensioni del carattere e del testo alle caratteristiche del supporto, dalla posizione alla riconoscibilit� della sua funzione nella logica discorsiva del museo, dalla congruit� alla coerenza con il contesto. Il modello maieutico strutturato in domanda-risposta, in cui le domande fanno da titolo al testo informativo, oltre a rendere pi� agevoli la lettura e la comprensione del testo stesso, ne favorisce una strutturazione tipografica efficace, essendo lo scritto organizzato in blocchi informativi evidenti graficamente, che possono essere letti anche in modo indipendente, non presentano rimandi tra loro e hanno senso compiuto in ogni parte. Gli step per rendere fruibile una collezione museale dunque sono: - adeguamento delle competenze relazionali, di comunicazione e di accoglienza nel museo; - organizzazione di laboratori con il personale dei servizi educativi per preparare materiali facilitatori alla comprensione del museo da parte del pubblico con disabilit� visive; - sperimentazione dei materiali e dei percorsi; - verifica e valutazione. Il QR Code � implementabile ed � accessibile ai visitatori con disabilit� visive, avendo cura di usare un�applicazione di lettura che non entri in conflitto con il dispositivo VoiceOver di cui � dotato di solito lo smartphone e corredandolo di un apposito riquadro sopraelevato per consentirne l�individuazione tattile (Bruno 2019). Diversi musei sono dotati di: - Talking signs, un ricevitore simile ad un telecomando capta segnali a raggi infrarossi emanati da ripetitori posti in ogni sala e acquisisce le descrizioni degli ambienti e degli oggetti, descrizioni che possono essere ascoltate utilizzando cuffie o il vivavoce; - Walk assistant, un filo di rame a terra reagisce ad un campo magnetico e un bastone fornito al visitatore vibra in modi diversi lungo il percorso segnalando, ad esempio, quando fermarsi per toccare qualcosa o ascoltare spiegazioni; - audioguide, oggi migliorate, utilizzano una terminologia pi� attenta ai bisogni di chi ascolta e sono arricchite con contenuti di carattere storico-aneddotico; - mappe tattili, realizzate in rilievo con colori a forte contrasto per le persone ipovedenti, riportano informazioni che vanno dalla planimetria dell�ambiente all�eventuale percorso tattile a terra, a tutto ci� che � esposto nella sala visitata, sono riprodotte sia in Braille sia in nero e consentono al visitatore con disabilit� visive di sapere dove si trova e cosa c�� da sentire o da toccare; - cartelloni tattili, in Braille e in nero, descrivono le opere esposte e forniscono informazioni sui servizi offerti (Pugliese 2009). Anche il disegno a rilievo ha grandi potenzialit�, ma soltanto se � inserito in una comunicazione pi� complessa e comprensiva di un testo di illustrazione adeguato che: delimita l�ambito al quale l�immagine si riferisce, riducendo il campo delle interpretazioni possibili e orientando l�attenzione del lettore; nomina le singole parti del disegno in modo che le mani possano riconoscerle facilmente; ripropone un quadro di insieme basandosi sulle informazioni gi� date, integrate dagli elementi che l�immagine tattile ha offerto sulla forma e sulle dimensioni dell�oggetto in tutte le sue parti. Allo stesso modo modelli e bassorilievi hanno bisogno di una descrizione verbale e di una guida adeguata all�esplorazione tattile se se ne vogliono sfruttare le potenzialit� comunicative. La parola deve guidare l�esplorazione e l�interpretazione del rilievo, che a sua volta deve arricchire di contenuti percettivi un linguaggio verbale che altrimenti rischia di essere povero di riferimenti concreti. Per un accesso al mondo della conoscenza, e quindi anche a quello dell�arte da parte delle persone con disabilit� visive, vanno infatti considerati tre ambiti strettamente connessi: le condizioni che possono favorire un approccio fruttuoso; i metodi pi� adatti allo scopo; l�atteggiamento pi� giusto e utile da assumere. Il primo ambito riguarda l�educazione fin da bambini nei seguenti campi fondamentali: uso appropriato della parola; corretta manipolazione degli oggetti; utilizzo nei pi� diversi contesti di rappresentazioni in rilievo, dai modelli al disegno bidimensionale. La manipolazione e le rappresentazioni in rilievo garantiscono peraltro una base percettiva pi� solida al linguaggio. Inoltre una pi� adeguata conoscenza della realt� pu� favorire nei pi� piccoli uno sviluppo maggiore della fantasia. In relazione al secondo ambito, dovunque sia possibile va garantita alle persone con disabilit� visive un�informazione adeguata alle loro necessit� e alle loro particolarit� percettive, come avviene ad esempio attraverso le mappe visivo-tattili. Infine, per il terzo ambito, spesso i limiti nell�esperienza dettati dalle difficolt� percettive influenzano negativamente la possibilit� delle persone con disabilit� visive di conoscere e le parole rischiano di non veicolare contenuti concreti. Almeno in due casi � indispensabile fornire strumenti compensativi: la conoscenza del corpo umano come realt� viva e in continua trasformazione; la mancanza di un�idea precisa della forma che pu� assumere il corpo quando compie determinati movimenti. Inoltre le persone con disabilit� visive devono conoscere i modi di rappresentazione della terza dimensione e della profondit� degli oggetti: variazioni di scala, schiacciamento dei volumi, proiezioni ortogonali. La tecnica delle proiezioni ortogonali consente tre diverse visioni dello stesso oggetto (frontale, laterale, in pianta) e pu� essere facilmente spiegata attraverso esempi concreti adatti alla percezione delle dita. Indicazioni di metodo sono le seguenti: - i disegni in rilievo devono essere accompagnati da testi scritti o registrati per guidare l�esplorazione tattile e arricchire la rappresentazione grafica; - di un oggetto complesso possono essere utili pi� rappresentazioni grafiche secondo un ordine coerente perch� un singolo disegno, avendo segni in rilievo relativamente spessi, contiene un numero limitato di informazioni; - l�approccio ad un oggetto pu� avvenire attraverso modalit� e strumenti diversi, deve essere quindi ogni volta che sia possibile diretto per poi utilizzare strumenti vari, dai pi� vicini all�originale (modelli) ai pi� distanti e progressivamente sempre pi� astratti (bassorilievo, disegno, racconto verbale). Per un buon lavoro di �traduzione� delle informazioni non bisogna dimenticare che: - pi� si sa, pi� si pu� conoscere; - � importante la relazione tra le parti e il tutto, un buon lavoro di traduzione deve quindi compensare la difficolt� delle persone con disabilit� visive ad avere un riferimento globale in cui collocare gli aspetti particolari anticipando immagini di insieme adeguate; - la persona con disabilit� visiva deve cogliere il senso pi� profondo di quanto esamina perch� non bisogna rinunciare a sollecitare sensazioni profonde o a trasmettere idee di grande respiro (Levi 2013). 3. L'importanza dell'audioguida e di una guida preparata Ormai, con il termine generico di audioguida si fa riferimento ad un�ampia gamma di soluzioni che vanno da quelle tradizionali dotate di pulsantiera, agli MP3, ai podcast, ai materiali audiovisivi ai quali il visitatore pu� avere accesso scansionando un codice QR con lo smartphone. Soluzioni tecnologiche sempre pi� avanzate consentono di accrescere l�interazione tra collezione e pubblico attraverso installazioni e contributi multimediali, quali apparati audio, audio-video e stimolazioni olfattive. Le audioguide pi� recenti offrono al visitatore la possibilit� di selezionare il tipo di traccia pi� adatta alle sue esigenze. Alcune soluzioni riescono a combinare audiodescrizione ed esplorazione tattile in tempo reale. Strumenti molto sofisticati, come la stampa 3D, inoltre, non hanno pi� costi proibitivi. La soluzione messa a punto dalla start-up Tooteko consiste in un anello da mettere al dito come un ditale. Durante l�esplorazione tattile, lo strumento attiva sensori che fanno partire la descrizione verbale dell�elemento sfiorato, descrizione che viene ascoltata tramite un auricolare. L�audioguida deve anche suscitare nell�ascoltatore con disabilit� visive una reazione intellettuale ed estetica come avviene per il pubblico vedente. Per essere efficace, una descrizione deve usare parole chiare e precise, evitare espressioni ambigue e figurative, essere essenziale, esauriente e comprensibile anche per chi non ha specifiche competenze in materia. La descrizione inoltre non deve essere troppo enfatica, anche se aspetti dell�esposizione (quali la modulazione, il volume e il tono della voce, e la velocit� con cui si parla) sono importanti per mantenere viva l�attenzione e gestire la relazione con l�ascoltatore. Se c�� una guida, deve adattarsi a tempi e ad esigenze del pubblico. L�ascoltatore deve poter mettere insieme tutte le informazioni e formarsi cos� una propria opinione. L�obiettivo dell�accoglienza si realizza infatti non solo attraverso gli interventi di adeguamento delle strutture, ma anche e soprattutto grazie ad un atteggiamento di reale apertura del personale che entra in contatto con i visitatori. Prima di cominciare la visita con un gruppo di visitatori con disabilit� visive, per esempio, la guida pu� dare indicazioni sul punto di raccolta e chiedere ulteriori informazioni sul tipo di disabilit� visiva dei visitatori, in modo da fornire una spiegazione pi� adatta alle loro esigenze. Durante la visita, invece, la guida pu� descrivere brevemente gli spazi del museo lungo i quali si snoda il percorso e dove sono esposte le opere. Se nel gruppo ci sono visitatori sia vedenti sia con disabilit� visive, la guida pu� prima descrivere e poi commentare i dettagli e spiegare il significato di un�opera, in modo che tutto il gruppo si faccia un�idea generale per poi acquisire le informazioni successive. Un altro elemento fondamentale � il feedback in tempo reale per verificare che la descrizione risponda alle esigenze dei visitatori. Le audioguide possono infine essere una soluzione per coloro che vogliono visitare un museo in modo indipendente, da soli o con familiari o amici, senza una visita guidata o facendo parte di un gruppo (Pacinotti 2019). Conclusioni Il museo ha quindi il ruolo di interprete delle proprie opere e di educatore del pubblico per una maggiore informazione e un pi� profondo apprezzamento dell�arte in genere. In quanto istituzione sociale, il museo deve adeguarsi alle necessit� della complessa societ� contemporanea e trasformarsi in un servizio pubblico efficace e rispondente agli interessi culturali, educativi e ricreativi della societ�. Uno degli obiettivi della museologia infatti � l�abolizione delle frontiere sociali per offrire libero accesso al museo a tutti i membri della comunit� (Marini Clarelli 2014). Va ribadito per� che l�accessibilit� al museo non si garantisce soltanto sostituendo le scale con rampe a scivolo e che bisogna quindi prendere in considerazione le seguenti questioni: accesso al museo in termini di raggiungibilit� (mezzi pubblici, parcheggi per mezzi privati, segnaletica); mobilit� all�interno (segnaletica, pavimentazione differenziata, spostamento in verticale attraverso sia scale con gradini con bordature e con passamani prolungati anche ai pianerottoli sia ascensori, spostamento orizzontale favorito da spigoli arrotondati ed elementi sporgenti protetti o comunque segnalati); illuminazione (vanno evitati i riflessi su pavimento, scansie e vetrine, ideale sarebbe un�illuminazione a livello di pavimento utile anche per segnalare gli itinerari); servizi igienici (importanti la dislocazione e la segnalazione, inoltre � opportuno che siano unisex in modo da permettere alle persone con disabilit� visive di andare accompagnate); formazione del personale (dagli addetti alla pulizia al direttore); informazione specializzata (nelle tre versioni stampa, Braille e caratteri ingranditi sulle collezioni del museo e sulla collocazione spaziale delle opere; plastici in rilievo dell�esposizione; pannelli esplicativi ingranditi; scritte in Braille e a caratteri ingranditi lungo tutta l�esposizione; manifesti stampati in modo chiaro su una superficie senza riflessi e con colori leggibili; riproduzioni in rilievo delle opere rappresentative del museo; guide registrate). Infine la biblioteca del museo deve mettere in condizione il visitatore con disabilit� visive di consultare il materiale a disposizione. Per quanto riguarda gli ipovedenti si devono considerare le seguenti esigenze e prevedere i giusti accorgimenti: potersi accostare all�oggetto da osservare utilizzando lenti di ingrandimento se necessario; lasciare spazio sufficiente per allontanarsi dall�oggetto e poter usare binocoli se necessario; esporre gli oggetti ben in vista e in posizione centrale; l�illuminazione non deve creare forti ombre; vanno evitati i riflessi e gli effetti abbaglianti provocati da superfici troppo brillanti; proporre rappresentazioni ingrandite con colori a contrasto. Un museo accogliente e inclusivo deve promuovere l�integrazione di ogni tipo di pubblico con gli altri visitatori garantendo un accesso generalizzato e di carattere permanente alle persone con disabilit� visive (Garc�a Lucerga 1995, 1996). Riferimenti bibliografici Borgia, E. (2020). La formazione per l�accessibilit� al patrimonio culturale, un impegno condiviso. In: Aisthesis, n. 11, pp. 8-11. Bruno, I. (2019). Comunicazione e accessibilit� culturale. L�esperienza di Museo Facile. In: Il capitale culturale, n. 20, pp. 297-325. Cioppi, E., Casciarri, S., Ferretti, V., Lachi, C., Montali, E., Nardinocchi, E., Petti, R. e Saba, L. (2019). Welcome. Esperienze di inclusione sociale in un sistema coordinato di musei. In: Museologia Scientifica Memorie, n. 18, pp. 147-150. D�Andrea, M. e Moroni Lanfredini, A. (2020). L�accessibilit� culturale nei musei: uno sguardo alle buone prassi. In: Tiberti, V., Il museo sensoriale. L�accessibilit� culturale e l�educazione artistica ed estetica per le persone con minorazione visiva nei musei del comune di Roma. Roma: Sapienza Universit� Editrice, pp. 65-83. Debono, S. (2022). Che cos�� un museo? Pensieri sulla nuova definizione. In: Finestre sull�Arte, 5 settembre 2022, rivista online. Garc�a Lucerga, M.A. (1995). L�accesso dei minorati della vista al mondo dei Musei. Introduzione. In: Tiflologia per l�integrazione, n. 1, pp. 17-19. Garc�a Lucerga, M.A. (1995). L�accesso dei minorati della vista al mondo dei Musei. Parte prima. In: Tiflologia per l�integrazione, n. 2, pp. 17-19. Garc�a Lucerga, M.A. (1995). L�accesso dei minorati della vista al mondo dei Musei. Parte seconda. In: Tiflologia per l�integrazione, n. 3, pp. 12-15. Garc�a Lucerga, M.A. (1995). L�accesso dei minorati della vista al mondo dei Musei. Parte terza. In: Tiflologia per l�integrazione, n. 4, pp. 20-23. Garc�a Lucerga, M.A. (1996). L�accesso dei minorati della vista al mondo dei Musei. Parte quarta. In: Tiflologia per l�integrazione, n. 1, pp. 15-19. Garc�a Lucerga, M.A. (1996). L�accesso dei minorati della vista al mondo dei Musei. Parte quinta. In: Tiflologia per l�integrazione, n. 2, pp. 20-22. Gargiulo, M.G. (2009). Beni Culturali e accessibilit�. Per una cultura senza barriere. In: Quaderni Saad, n. 2, pp. 5-16. 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Anna Buccheri (Referente per la comunicazione e la diffusione dell'attivit� associativa, Sezione UICI di Enna) DAI TERRITORI Azioni virtuose in ambito locale tra servizi, ricerca e informazione mirata: il CERVi della Sezione Territoriale UICI di Enna, di Anna Buccheri (pagg. 248-252) - L'azione del CERVi della sezione di Enna dell'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti in favore della riabilitazione e della prevenzione delle malattie oculari. - Introduzione La Sezione Territoriale UICI di Enna svolge attivit� di riabilitazione e di prevenzione delle malattie oculari sul territorio ormai da anni con il suo ambulatorio e con screening nelle scuole. Il CERVi della Sezione ha inoltre aderito al progetto DARe in partenariato con IRIFOR, UICI e Istituti Chiossone di Genova, Sant�Alessio di Roma e Cavazza di Bologna che ha fornito i software e se ne � fatto promotore. La ricerca: il progetto DARe DARe � un acronimo che rimanda ai dati trasversali del Registro Dispositivi e Aids, il cui focus � la riabilitazione dell�ipovisione in Italia raccogliendo informazioni sugli ausili per ipovedenti di propriet� di disabili visivi italiani. Il progetto prevede un questionario anonimo da sottoporre agli adulti ipovedenti che hanno frequentato i servizi riabilitativi dal 2019 al luglio 2021 fornendo dati al DARe e raccogliendo le caratteristiche demografiche, l�uso autodichiarato di tecnologia e di ausili, le prestazioni visive (insorgenza e tipo di disabilit� e modo di affrontarla) e il punteggio dell�attivit� strumentale della vita quotidiana misurato attraverso la scala di valutazione dell�autonomia nelle attivit� strumentali IADL (Instrumental Activities Daily Living). La IADL prende in considerazione otto parametri: usare il telefono, fare acquisti, preparare il cibo, governare la casa, fare il bucato, prendere i mezzi di trasporto, assumere responsabilmente i farmaci, maneggiare il denaro. I dati raccolti sono periodicamente valutati e diffusi, essendo il progetto ancora in svolgimento. I risultati della ricerca sono argomento dell�articolo Low vision rehabilitation in Italy: Cross-selectional data from the Devices and Aids Registry (D.A.Re.) pubblicato il 4 aprile 2022 sulla rivista �EJO European Journal of Oftalmology� e firmato da Federico Bartolomei, Ilaria Biagini, Giovanni Sato, Elisabetta Falchini, Alessia Di Simone, Chiara Mastrantuono, Silvia Micarelli, Gianni Virgili. L�ordine degli autori � stato stabilito in relazione al numero dei casi inseriti nel registro DARe. Il nome della dott.ssa Alessia Di Simone (ortottista del CERVi della Sezione UICI di Enna) compare come referente e sperimentatore principale del registro. Al primo posto c�� l�Istituto Cavazza di Bologna, al secondo Neurofarba Universit� di Firenze, al terzo il Centro oculistico di Padova, al quarto il Centro per la riabilitazione visiva di Firenze, al quinto il CERVi della Sezione UICI di Enna, al sesto il Centro Officina dei Sensi di Ascoli Piceno, al settimo l�Istituto Sant�Alessio di Roma, all�ottavo il Centro della Salute Pubblica dell�Irlanda del Nord. Delle 720 persone con disabilit� visiva incluse nel DARe circa la met� � affetta da degenerazione maculare legata all�et�. Tra l�insorgenza della disabilit� visiva e l�accesso alla riabilitazione per ipovedenti sono passati in media pi� di due anni in quasi il 30% dei casi. I punteggi IADL pi� alti sono stati ottenuti dai giovani e da coloro che sono in possesso di una migliore acuit� visiva. I punteggi IADL migliori sono stati conseguiti comunque da coloro che hanno utilizzato ausili ottici e software specifici avendo conoscenze informatiche. Il progetto DARe � inserito nell�attivit� dell�INVAT (Istituto Nazionale di Valutazione di Ausili e Tecnologie). L�Istituto, costituito dall�UICI, � ente valutatore di tutte le tecnologie accessibili in grado di migliorare l�autonomia per le persone con disabilit�. Informare, sensibilizzare, prevenire Sensibilizzare cittadini e istituzioni sulle buone pratiche di prevenzione per proteggere la vista ad ogni et� e favorire il potenziamento dei servizi di cura, di abilitazione e di riabilitazione � un tema centrale che richiede impegno e costanza, ha carattere sociale e culturale, esige la capacit� di dare chiare e comprensibili informazioni e indicazioni di natura scientifica e applicativa nell�ambito quotidiano. In occasione del XLVI Congresso SOSi (Societ� Oftalmologica Siciliana), svoltosi a Catania dal 7 al 9 aprile 2022, la dott.ssa Alessia Di Simone ha illustrato le attivit� dell�ambulatorio oculistico della Sezione UICI di Enna e nella comunicazione Nuove frontiere della presa in carico del paziente ipovedente-cieco � stato menzionato il CERVi ennese come unico in Sicilia ad avere aderito al progetto DARe. All�interno del Convegno La scuola dell�inclusione: un successo formativo per tutti. In classe con le persone con disabilit� visiva, organizzato dalla Sezione UICI di Trapani, dal Consiglio Regionale UICI Sicilia e dall�Istituto di Istruzione Secondaria Superiore �Francesco D�Aguirre Salemi-Dante Alighieri Partanna� con la partecipazione dei Centri di Consulenza Tiflodidattica e svoltosi a Salemi, in provincia di Trapani, il 27 maggio 2022, la dott.ssa Alessia Di Simone ha tenuto una relazione su Conosciamo i nostri occhi per apprendere meglio. Partendo dal presupposto che circa l�80% delle informazioni derivanti dall�ambiente circostante viene elaborato dal canale visivo, l�apparato oculare deve essere controllato sin dalla nascita e nelle diverse fasi della crescita con visite oculistiche e ortottiche per prevenire eventuali patologie e intervenire precocemente laddove necessario. Il corretto processo di maturazione dell�apparato visivo infatti si completa nei primi sei mesi di vita, quindi una visita deve essere effettuata gi� alla nascita o entro i 6 mesi di vita soprattutto nei casi di prematurit� e di familiarit� per patologie oculari. A 5-6 anni va fatta comunque una visita per correggere difetti di vista e eventuali alterazioni motorie e sensoriali che possono ostacolare l�apprendimento. Sono campanelli d�allarme e segnalano la presenza di problematiche visive: posizioni anomale del capo, occhio deviato, chiusura di un occhio alla luce solare, scarso contatto visivo, fotofobia, lacrimazione, arrossamento oculare, ammiccamento frequente, mal di testa, visione doppia/annebbiata/confusa, difficolt� nella letto-scrittura. Le patologie che interferiscono sulla visione, sullo sviluppo, sull�apprendimento del bambino e con la vita quotidiana sono: i vizi di refrazione (miopia, astigmatismo e ipermetropia), lo strabismo, la cataratta, il cheratocono, la retinopatia del prematuro, il glaucoma, il nistagmo (disturbo della fissazione), la degenerazione maculare, la retinopatia diabetica. Si possono di conseguenza produrre le seguenti tre condizioni: ambliopia (occhio pigro, ridotto sviluppo della funzione visiva), in questo caso la terapia riabilitativa va iniziata il pi� precocemente possibile e il trattamento ortottico deve essere effettuato entro i 7-8 anni, durante il periodo plastico di sviluppo del sistema visivo; ipovisione, congenita o acquisita, da distinguere in funzione delle patologie responsabili in centrale, periferica o mista, per la compromissione di una o di entrambe le due principali capacit� percettive (acuit� visiva e campo visivo); vista fragile, da monitorare nel tempo perch� pu� essere degenerativa, con compromissione sia dell�acutezza visiva sia del campo visivo residui. L�ipovisione centrale con scotoma (difetto del campo visivo) assoluto comporta riduzione della visione centrale con difficolt� e ridotta velocit� nella lettura, lettura non accurata, perdita dell�inizio o della fine delle parole, salto delle righe o di parti del testo, difficolt� nella lettura di parole lunghe o con lettere simili, incapacit� nel riconoscere i lineamenti di un volto. L�ipovisione centrale con scotoma relativo determina riduzione dell�acuit� visiva centrale e della sensibilit� al contrasto, difficolt� nel riconoscere l�oggetto che si fissa, perdita della visione del dettaglio. L�ipovisione periferica � caratterizzata da ridotta percezione dello spazio circostante, difficolt� nell�orientamento e nella mobilit�, ridotta velocit� nella lettura, perdita dell�inizio o della fine delle parole, salto delle righe o di parti del testo, difficolt� nella lettura di parole lunghe. Una diagnosi precoce, un�attenta valutazione quantitativa e qualitativa della funzione visiva e un piano riabilitativo personalizzato mettono il soggetto in condizione di utilizzare e di conservare le potenzialit� visive, ottimizzandone l�uso per il mantenimento dell�autonomia e delle attivit� tipiche dell�et�. Stimolazioni e esercizi, ausili ottici e elettronici consentono di leggere e di svolgere in autonomia le attivit� quotidiane. Si tratta di: filtri medicali per ridurre l�abbagliamento, aumentare il contrasto e favorire un adattamento tempestivo alle condizioni di luce; sistemi di illuminazione adeguati a luce bianca calda o fredda, diretta sul testo senza abbagliare; sistemi posturali quali il leggio; tecniche di lettura come tenere il testo poggiandosi sui gomiti in modo da mantenere un�adeguata e costante distanza di lavoro cercando il punto di migliore nitidezza e una visione efficiente scorrendo il testo mantenendo la testa ferma. Per la scrittura si devono utilizzare: quaderni ad alta visibilit� con rigo o quadrato marcato o a rilievo e personalizzati in base alla classe frequentata; penne e matite a punta grossa o media; testi scolastici ingranditi personalizzati con caratteristiche tecniche specifiche quali dimensione, tipologia di carattere, interlinea, tipo di carta. Quaderni ad alta visibilit�, penne e matite a punta grossa o media, testi scolastici ingranditi costituiscono un corredo scolastico che con modalit� personalizzate pu� essere utilizzato anche nei casi di DSA (Disturbi Specifici dell�Apprendimento) in cui si riscontrano difficolt� visive non necessariamente responsabili, ma che possono diventare un ostacolo durante il percorso didattico determinando svogliatezza, lettura poco fluente, inversione o omissione di lettere, perdita del rigo, scarsa comprensione del testo. Anna Buccheri (Referente per la comunicazione e la diffusione dell'attivit� associativa, Sezione UICI di Enna) INDICE 2022 Parte prima. Indice dei fascicoli N. 1 (GENNAIO-MARZO) EDITORIALE Piscitelli Pietro, La Legge Delega sulla disabilit�, pp. 2-4 PEDAGOGIA Maugeri Salvatore, Per imparare si impara insieme, pp. 4-7 INTEGRAZIONE scolastica Banchetti Silvestro, Scuola ordinaria, scuola speciale, scuola diversa per l'integrazione dei fanciulli non vedenti nella comunit� scolastica, pp. 8-28 MOBILIT� Ceppi Enrico, Il processo dell'acquisizione della mobilit� per una autonomia del pluriminorato, pp. 29-35 CLASSICI della tiflologia Neusch�ler Alfonso, Oftalmologia e tiflologia, pp. 36-43 Grimandi Carlo, L'obbiettivo principale nel campo d'azione in pro dei ciechi, pp. 44-63 N. 2 (APRILE-GIUGNO) EDITORIALE Piscitelli Pietro, Le linee guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilit�, pp. 66-67 LIBRI tattili Piccardi Francesca, I libri tattili e le biblioteche inclusive, pp. 68-76 INTEGRAZIONE sociale Quatraro Antonio, Dimmi da dove parti e ti dir� se arrivi, pp. 77-81 MUSICA Quatraro Antonio, La musica non ci lascia mai soli, pp. 82-88 CLASSICI della tiflologia Ceppi Enrico, La scuola media per ciechi come continuit� di sviluppo della scuola primaria, pp. 89-95 Ceppi Enrico, Per una scuola media suscitatrice di interessi, pp. 96-102 Banchetti Silvestro, La funzione del libro e l'acquisizione della cultura da parte dei ciechi, pp. 103-119 Ferri Orfeo, Necessit� e criterio generale di selezione per la formazione di classi di appoggio, pp. 120-127 N. 3 (LUGLIO-SETTEMBRE) EDITORIALE Piscitelli Pietro, L'inizio del nuovo anno scolastico, pp. 130-131 PEDAGOGIA Salmeri Stefano, Formazione, educazione, istruzione al tempo del Covid 19 tra disabilit� visiva e pari opportunit�, pp. 132-155 Salmeri Stefano, Disabilit� complessa, educazione al bello e formazione permanente, pp. 156-164 ESTETICA Buccheri Eliana, Esperienza estetica e approccio tattile all'arte: i Musei Omero di Ancona, Anteros di Bologna, Borges di Catania, pp. 165-174 MUSICA Masiero Marina, Nuovi orizzonti inclusivi e metodologici con il Braille musicale, pp. 175-190 RECENSIONI, p. 191 N. 4 (OTTOBRE-DICEMBRE) EDITORIALE Piscitelli Pietro, L'indagine ISTAT sull'inclusione scolastica degli alunni con disabilit� (a.s.- 2021-2022), pp. 194-195 PEDAGOGIA Salmeri Stefano, L'apprendimento del linguaggio per il bambino con disabilit� visiva, pp. 196-210 Piscitelli Pietro, La specificit� della disabilit� sensoriale, pp. 211-214 INTEGRAZIONE scolastica Salmeri Stefano, Rapporto scuola-famiglia nel processo educativo dell'alunno disabile visivo, pp. 215-227 MATEMATICA Salmeri Stefano, L'apprendimento della matematica per l'allievo con disabilit� visive, pp. 228-237 MUSEI Buccheri Anna, Il museo accogliente nell'ottica di una autentica accessibilit� e fruibilit�, pp. 238-247 Dai territori Buccheri Anna, Azioni virtuose in ambito locale tra servizi, ricerca e informazione mirata: il CERVi della Sezione Territoriale UICI di Enna, pp. 248-252 Indice 2022, pp. 253-256 Parte seconda. Indice degli autori BANCHETTI Silvestro - Scuola ordinaria, scuola speciale, scuola diversa per l'integrazione dei fanciulli non vedenti nella comunit� scolastica, 2022, n. 1, pp. 8-28 - La funzione del libro e l'acquisizione della cultura da parte dei ciechi, 2022, n. 2, pp. 103-119 BUCCHERI Anna - Il museo accogliente nell'ottica di una autentica accessibilit� e fruibilit�, 2022, n. 4, pp. 238-247 - Azioni virtuose in ambito locale tra servizi, ricerca e informazione mirata: il CERVi della Sezione Territoriale UICI di Enna, 2022, n. 4, pp. 248-252 BUCCHERI Eliana, Esperienza estetica e approccio tattile all'arte: i Musei Omero di Ancona, Anteros di Bologna, Borges di Catania, 2022, n. 3, pp. 165-174 CEPPI Enrico - Il processo dell'acquisizione della mobilit� per una autonomia del pluriminorato, 2022, n. 1, pp. 29-35 - La scuola media per ciechi come continuit� di sviluppo della scuola primaria, 2022, n. 2, pp. 89-95 - Per una scuola media suscitatrice di interessi, 2022, n. 2, pp. 96-102 FERRI Orfeo, Necessit� e criterio generale di selezione per la formazione di classi di appoggio, 2022, n. 2, pp. 120-127 GRIMANDI Carlo, L'obbiettivo principale nel campo d'azione in pro dei ciechi, 2022, n. 1, pp. 44-63 MASIERO Marina, Nuovi orizzonti inclusivi e metodologici con il Braille musicale, 2022, n. 3, pp. 175-190 MAUGERI Salvatore, Per imparare si impara insieme, 2022, n. 1, pp. 4-7 NEUSCH�LER Alfonso, Oftalmologia e tiflologia, 2022, n. 1, pp. 36-43 PICCARDI Francesca, I libri tattili e le biblioteche inclusive, 2022, n. 2, pp. 68-76 PISCITELLI Pietro - La Legge Delega sulla disabilit�, 2022, n. 1, pp. 2-4 - Le linee guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilit�, 2022, n. 2, pp. 66-67 - L'inizio del nuovo anno scolastico, 2022, n. 3, pp. 130-131 - L'indagine ISTAT sull'inclusione scolastica degli alunni con disabilit� (a.s.- 2021-2022), 2022, 4, pp. 194-195 - La specificit� della disabilit� sensoriale, 2022, n. 4, pp. 211-214 QUATRARO Antonio - Dimmi da dove parti e ti dir� se arrivi, 2022, n. 2, pp. 77-81 - La musica non ci lascia mai soli, 2022, n. 2, pp. 82-88 SALMERI Stefano - Formazione, educazione, istruzione al tempo del Covid 19 tra disabilit� visiva e pari opportunit�, 2022, n. 3, pp. 132-155 - Disabilit� complessa, educazione al bello e formazione permanente, 2022, n. 3, pp. 156-164 - L'apprendimento del linguaggio per il bambino con disabilit� visiva, 2022, n. 4, pp. 196-210 - Rapporto scuola-famiglia nel processo educativo dell'alunno disabile visivo, 2022, n. 4, pp. 215-227 - L'apprendimento della matematica per l'allievo con disabilit� visive, 2022, n. 4, pp. 228-237