Gennaio 2023 n. 1 Anno LIII MINIMONDO Periodico mensile per i giovani Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi �Regina Margherita� Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registrazione 25-11-1971 n. 202 Dir. Resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Pietro Piscitelli Massimiliano Cattani Luigia Ricciardone Copia in omaggio Rivista realizzata anche grazie al contributo annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero della Cultura. Indice Nessuno ha pagato Colleghi, croci e delizie Su la maschera Dolci di Carnevale, non solo chiacchiere: ad ogni regione il suo L�Appennino che non ti aspetti Nino Frassica� in una nuova veste Nessuno ha pagato (di Simone Cosimelli, �Focus Storia� n. 190/22) - Nel secondo conflitto mondiale, nei territori occupati, l�Italia ha commesso crimini di guerra sui quali non � mai stata fatta luce - L�espressione �mancata Norimberga italiana� � adottata da alcuni studiosi per indicare una precisa circostanza storica: l'assenza di procedimenti giudiziari postbellici per i crimini di guerra commessi dall'Italia nei Paesi occupati prima e durante il secondo conflitto mondiale, dall'Etiopia alla Jugoslavia. Diversamente dalle altre nazioni dell'Asse (la Germania e il Giappone) l'Italia non ha infatti conosciuto processi in stile Norimberga per militari e civili coinvolti nella guerra fascista e una generale impunit� ha coperto episodi molto gravi. Ragioni politiche e interessi strategici hanno impedito l'accertamento dei fatti. Perch� � accaduto? E con quali conseguenze? A partire dagli Anni '30 il regime fascista, contraddistinto da forti ambizioni imperialiste, tenne il Paese in uno stato di crescente tensione e guerra permanente. Furono aggredite l'Etiopia, la Spagna, l'Albania e, dal 1940, la Francia, la Grecia, la Jugoslavia e l'Urss. Legata alla Germania e al Giappone dal Patto tripartito, meglio noto come Asse Roma-Berlino-Tokyo, l'Italia punt� al rovesciamento degli equilibri internazionali e dopo aver agito con estrema brutalit� nelle colonie africane us� il pugno di ferro anche in Europa per espandere i propri domini. Insuccessi e sconfitte, per�, portarono alla disfatta: nel 1943 gli angloamericani sbarcarono in Sicilia, Mussolini fu destituito, il regime croll� e il governo Badoglio, appoggiato dal re Vittorio Emanuele III, si arrese agli Alleati. L'armistizio corto (3 settembre, annunciato ai cittadini l'8) e l'armistizio lungo (29 settembre) condussero a un cambio di fronte che port� la nazione ad acquisire la condizione di cobelligerante nella lotta contro il nazifascismo. Seguirono mesi durissimi e l'Italia, da occupante, si ritrov� occupata. La Germania invase il Centro-nord della Penisola e dalle ceneri del fascismo nacque la Repubblica sociale italiana. Al contempo, l'esercito si riorganizz� attorno al re, i partiti antifascisti si ritagliarono uno spazio politico autonomo e migliaia di partigiani persero la vita combattendo. Nel 1945 furono poste le basi per la ricostruzione democratica grazie agli Alleati e alla Resistenza. Tuttavia, l'Italia dovette subito confrontarsi con un'eredit� ingombrante: il suo passato. Su iniziativa degli Alleati, un centinaio tra militari e militi fascisti furono condannati a pene detentive, e in alcuni a casi a morte, per le violenze compiute contro prigionieri di guerra angloamericani catturati tra il 1940 e il 1943. Una sorte diversa tocc� a un'altra categoria di italiani: militari e civili responsabili di crimini di guerra nei Paesi aggrediti dall'Italia. Nelle liste di criminali di guerra stilate dall'apposita commissione delle Nazioni Unite (United Nations War Crimes Commission) vennero inclusi pi� di 800 italiani. A questi se ne aggiunsero altri segnalati in modo indipendente, per un totale di oltre 1.000 nomi. Jugoslavia, Grecia, Francia, Albania, Etiopia e Unione Sovietica chiesero a pi� riprese l'estradizione per istruire regolari processi, sia all'apposita commissione Onu sia al governo di Roma. Eppure quasi nessuno fu chiamato a rispondere in prima persona, n� all'estero, n� in Italia. �Per �mancata Norimberga italiana� si intende proprio questo: il mancato giudizio nei confronti di militari e civili italiani che, nella guerra scatenata dall'Asse, si macchiarono di azioni particolarmente gravi�, spiega Filippo Focardi, docente di Storia contemporanea dell'Universit� di Padova. �Le forze armate e le milizie fasciste non attuarono stermini di massa, ma, specialmente in Jugoslavia, compirono fucilazioni, rastrellamenti, rappresaglie e deportazioni in campi di concentramento, contro partigiani ma anche contro la popolazione civile. Subito dopo l'8 settembre 1943 la rimozione a livello pubblico delle violenze commesse fuori dai confini nazionali e l'impunit� dei responsabili divennero una priorit� per gli apparati dello Stato. Il ministero della Guerra e quello degli Affari esteri, al cui interno era rimasto personale che sotto il fascismo aveva fatto carriera, agirono per evitare la consegna degli accusati di crimini di guerra alle nazioni che rivendicavano il diritto di processarli�. Lo scopo era quello di tutelare alcuni membri dell'esercito, non alimentare divisioni nel Paese e non pregiudicare lo status di cobelligeranza. Per mezzo del Sim, il servizio segreto militare, la prima mossa della difesa italiana fu quindi la raccolta di una �controdocumentazione� per provare a smontare le accuse ricevute e addirittura rivolgerle contro gli accusatori. Nelle ricostruzioni degli eventi in Jugoslavia, per esempio, gli italiani furono presentati come innocenti costretti ad esercitare la violenza, mentre il movimento di resistenza jugoslavo venne additato come il vero responsabile di atroci delitti. Destarono molta impressione, infatti, le stragi del settembre 1943 in Istria e del maggio 1945 nella Venezia Giulia, quando gli jugoslavi, sotto la guida di Tito, attuarono un'azione sistematica di repressione politica, sia come resa dei conti col fascismo sia come mezzo per instaurare un nuovo potere. Molti italiani vennero catturati e morirono imprigionati o anche fucilati. Secondo le stime pi� accreditate, ci furono tra le 3.000 e le 5.000 vittime. Per la difficolt� di seppellire i morti e la volont� di occultare i corpi, una parte dei cadaveri fu gettata nelle foibe: le fenditure tipiche dei terreni carsici, profonde anche decine di metri. �La controdocumentazione si appoggi� su alcuni fatti concreti, ma enfatizz� anche immagini della propaganda fascista, che raffigurava gli slavi come barbari e selvaggi. Questo materiale fu trasmesso agli Stati Uniti e al Regno Unito per ottenere sostegno diplomatico contro le richieste iugoslave di estradizione dei criminali di guerra e fu utilizzato per sostenere, in Italia, accese campagne di stampa. L'attenzione dell'opinione pubblica si concentr� sugli eccidi delle foibe. La violenza italiana fu taciuta o fortemente ridimensionata per mettere l'accento solo su quella altrui. Si oper� cos� un ribaltamento: da carnefici gli italiani divennero vittime�, afferma Focardi. Nacque cos� una rappresentazione fuorviante dei soldati italiani in guerra. Si enfatizzarono i caratteri positivi, come gli isolati gesti caritatevoli a favore delle popolazioni aggredite, e si minimizzarono quelli negativi. L'immagine del �bravo italiano�, risoluto ma in fondo pacifico, si rafforz� in contrasto a quella del �cattivo tedesco�, descritto come una fredda macchina di morte. Mettendo in evidenza le enormi colpe della Germania si cerc� di nascondere quelle proprie. Fu il punto focale di una strategia politico-diplomatica che voleva far dimenticare l'adesione al Patto tripartito, esaltando il ruolo dell'Italia dopo il 1943. Questa linea di azione fu perseguita per evitare una pace punitiva a fine conflitto e venne accettata da quasi tutti i partiti politici. L'ipotesi che l'Italia antifascista dovesse pagare per le colpe dell'Italia fascista era, infatti, un timore condiviso. Ma anche statunitensi e inglesi diedero un contributo determinante, non assecondando le richieste di estradizione. Con l'inizio della Guerra fredda l'Italia si trov� al confine tra Occidente e Oriente e Washington e Londra decisero di affidarsi agli apparati militari del nostro Paese in funzione anticomunista, accantonando una questione destabilizzante come i processi per crimini di guerra. Si svilupp� cos� il secondo fulcro della difesa italiana: la pretesa di giudicare in Italia gli accusati. �Secondo l'art. 29 dell'armistizio lungo, e poi l'art. 45 del trattato di pace, l'Italia era tenuta a consegnare i responsabili di crimini di guerra�, continua Focardi. �Con un'interpretazione unilaterale ispirata dai vertici militari, tuttavia, i governi italiani rivendicarono un diverso trattamento e rifiutarono le estradizioni. Dopo aver chiesto di far giustizia in casa propria, per�, le indagini interne a carico di un numero ristretto di individui furono rallentate e infine bloccate. L�istituzione nel 1946 di una commissione d'inchiesta con il compito di deferire alla magistratura militare gli accusati diede l'impressione che si stesse procedendo con convinzione. Eppure nel 1948, nonostante le istruttorie gi� pronte, i processi furono rinviati a data da destinarsi. Nel 1951, infine, la questione tra Italia e Jugoslavia venne definitivamente chiusa ricorrendo da parte italiana a un cavillo giuridico, cio� all'art. 165 del Codice penale militare, che prevedeva il vincolo della reciprocit�. In pratica, dal momento che la Jugoslavia non processava i responsabili delle violenze contro gli italiani (le foibe), l'Italia interruppe l'azione legale contro gli accusati di crimini di guerra in Jugoslavia. Risultato: nessun processo, nessun accertamento, nessuna discussione pubblica�. La mancata Norimberga italiana, che matur� in un contesto estremamente complesso, ha finito per distorcere la memoria collettiva sul periodo bellico che vide l'Italia di Mussolini affiancare la Germania di Hitler. E se la ferocia nazista super� quella fascista, � vero anche che la condotta italiana durante la guerra (e nel precedente periodo coloniale) non fu remissiva n� improntata alla salvaguardia dei civili. Amnistie e indulti nei confronti degli ex fascisti e l'assenza di processi hanno impedito un serio confronto con il passato. �Rispetto ad altri Paesi, l'Italia rimane un caso unico. Il non accertamento delle responsabilit� italiane ha favorito la costruzione e la diffusione di una narrazione autoassolutoria, reticente sulle pagine nere della guerra fascista�. Colleghi, croci e delizie (di Raffaella Procenzano, �Focus� n. 362/22) - Possono essere irritanti ma anche, al bisogno, veri e propri salvatori. Di certo, bisogna saperli prendere e imparare a conviverci. Ecco come, secondo gli studi - Non li abbiamo scelti, eppure passiamo con loro gran parte della nostra giornata: con i colleghi collaboriamo per la riuscita di qualcosa, ci passiamo informazioni, spesso pranziamo allo stesso tavolo. Possono essere una croce o diventare amici veri, da frequentare anche al di fuori dell'orario di lavoro. Certo, la rete di interazioni (pi� o meno piacevoli) che si crea in un ufficio, in una fabbrica e in tutti gli altri ambienti professionali � anche questione di fortuna perch� dipende dalla personalit� di chi incontriamo sulla nostra strada. Ma per coltivare relazioni piacevoli sul lavoro, secondo gli psicologi, molto di ci� che si pu� fare resta in mano nostra. La convivenza forzata con persone che, di fatto, sono degli estranei in effetti non � facile: i colleghi hanno et�, storie e soprattutto caratteri diversi. Lo scoglio pi� difficile da superare � andare al di l� dei tratti personali che riteniamo irritanti (lo scorbutico, il chiacchierone ecc.), ognuno di noi del resto ha comportamenti che non sopporta (negli altri). Risultato: il conflitto pi� o meno aperto con il collega molesto sar� inevitabile e la produttivit�, ovvero la �resa sul lavoro� di entrambi coler� a picco. Secondo gli psicologi bisognerebbe invece essere capaci di mettere a fuoco soltanto la relazione di lavoro e pensare soprattutto a quella, magari cercando di trovare i pregi della persona irritante (quasi tutti ne hanno: l'odiato vicino di scrivania potrebbe avere anche qualit� oppure, pur restando ci� che �, potrebbe essere molto capace sul lavoro). Perch�, come affermano Elwood Chapman e Barb Wingfield, esperti statunitensi di gestione delle risorse umane, coloro che permettono al carattere altrui di influire sul proprio atteggiamento sono destinati a soffrire. �Con le persone che si frequentano al di fuori del posto di lavoro le cose sono diverse�, fanno notare. �Di conseguenza, alcuni si aspettano che i rapporti tra colleghi seguano le stesse leggi della vita quotidiana, ma non � cos�. Presto si impara invece che essere inseriti in un team vuol dire adeguarsi a regole non scritte per quanto riguarda tutti gli aspetti del comportamento: il modo di vestire, di parlare, di scrivere, di muoversi e di socializzare. E bisogna gestire le proprie debolezze e idiosincrasie in un contesto in cui a volte forma e apparenze contano quanto, se non di pi�, della sostanza. Che fare, dunque? Il primo �segreto� per una buona convivenza � praticare la �reciproca gratitudine�. Sembra una cosa ovvia ma ringraziarsi vicendevolmente dopo aver raggiunto un buon risultato in team (non importa se gli altri membri del gruppo sono parigrado, sottoposti o superiori) fa la differenza. Di pi�: ringraziarsi � fondamentale perfino prima di cominciare un progetto di lavoro. Lo ha dimostrato una recente ricerca condotta all'Universit� della California a San Diego: a 200 studenti di marketing divisi in gruppi di lavoro � stato dato un compito impossibile e quindi molto stressante: dovevano ideare una bicicletta da commercializzare agli studenti del campus elaborando il relativo business plan, e tutto ci� in soli 6 minuti. I membri dei team che si erano reciprocamente ringraziati e stretti la mano prima di cominciare hanno avuto pi� idee, ma soprattutto, dato che indossavano alcuni dispositivi medicali, � stato possibile rilevare che la loro pressione sanguigna e il battito cardiaco avevano le caratteristiche di chi affronta una sfida e non quelle di chi invece ne � spaventato (cio� non mostravano vasocostrizione); mentre chi non si era ringraziato era - anche dal punto di vista fisiologico - meno disposto a mettersi in gioco. Insomma, il consiglio giusto � considerare i colleghi una risorsa anzich� un ostacolo, anche perch� osservare come si muovono gli altri, come affrontano le difficolt�, quanto sono propositivi e come gestiscono gli errori � una continua fonte di insegnamento, soprattutto se si tratta di colleghi esperti. E dopo averli osservati un po' si pu� decidere su chi investire dal punto di vista umano e chi invece va (se possibile) evitato. Possono perfino diventare provvidenziali: nei casi di emergenza, quelli in cui proprio non si riesce a portare a termine il compito assegnato, molti di noi hanno almeno un collega pronto a tirarci fuori dai guai. Gentilezza e disponibilit�, dunque. E sembrerebbero scontate, come abbiamo gi� detto, ma metterle in pratica non � affatto semplice (per verificarlo basta fare il test al termine di questo articolo). Gli esperti di psicologia del lavoro chiamano il sistema per diventare i colleghi ideali �Deep acting� (recitazione profonda). Si tratta di forzarsi ad assumere un atteggiamento positivo verso i compagni di lavoro �credendoci� davvero e finch� questo modo di fare non diventer� quello spontaneo. Non basta essere gentili, dunque, bisogna intervenire sul proprio stato d'animo per cambiarlo. Allison Gabriel, ricercatrice all'Universit� dell'Arizona, in una vasta ricerca condotta su 2.500 lavoratori ha dimostrato che chi riesce a mettere davvero in pratica il metodo � pi� felice e soddisfatto della propria vita professionale. Facile vero? Mica tanto: le controindicazioni non mancano. I ricercatori dell'Universit� della Georgia (Usa) hanno recentemente dimostrato che la gentilezza forzata ha un costo cognitivo alto che pu� portare chi la pratica a distrarsi di pi� sul lavoro, a causa della stanchezza mentale. Sar� gentile s�, ma andr� a casa esausto. Anche con tutti questi limiti, riassumendo, con i colleghi la ricetta ideale � essere positivi, mantenere aperta la comunicazione, cercare di non essere troppo sensibili alle differenze caratteriali, utilizzare spesso la gratificazione reciproca ed essere capaci, in caso di controversie, di fare il primo passo per riavvicinarsi, non importa se si � dalla parte del giusto. Per ripristinare i buoni rapporti Chapman e Wingfield suggeriscono di rivolgersi al collega con una frase tipo: �Per quanto mi riguarda il nostro rapporto � importante e vorrei sapere che cosa posso fare per riaggiustarlo e conservarlo nel tempo�. Insomma, occorre essere disponibili a dare di pi� di ci� che si riceve e soprattutto permettere all'altro di salvare la faccia (mai quindi umiliare qualcuno anche se ha torto marcio). Bisogna poi cercare di non reagire con rabbia ai piccoli contrattempi, perch� alla fine chi perde le staffe passa dalla parte del torto. Il suggerimento di Chapman e Wingfield � ripetere a se stessi che le persone in gamba passano oltre con eleganza in caso di episodi spiacevoli e non si lasciano trascinare in liti futili. Questo non significa soccombere o lasciarsi maltrattare da colleghi �tossici�, disposti a tutto pur di primeggiare. Innanzitutto i conflitti non vanno sepolti dentro, cercando di far finta di nulla: in un rapporto di lavoro pensare a se stessi come vittime comporta cattivo umore, risentimento, stress mentale e qualche volta esplosioni di rabbia. Con il collega che vuole pestarti i piedi e si attribuisce tutti i meriti meglio passare all'azione. Il metodo migliore � prenderlo da parte e fare un discorso che suoni pi� o meno cos�: �Per me il mio lavoro � importante quanto lo � per te il tuo. Io non amo la competizione ma ti dico anche che non sar� la tua vittima. Non prenderti mai pi� gioco di me�. Molto spesso funziona e il prepotente di turno cercher� qualcun altro su cui sfogarsi. Il rapporto di lavoro pi� importante � naturalmente quello con il capo che, se si incrina, va riaggiustato subito, ricordando che non tutti i capi sono a proprio agio con lo status di �superiore� e magari tendono senza volere a mostrarsi troppo severi o troppo amiconi, oppure - peggio - ambivalenti. Se provare a usare il metodo del ringraziamento reciproco oppure definire con fermezza qualche limite ovviamente dipende dalle situazioni, un ottimo modo per ingraziarsi un superiore � proprio avere eccellenti rapporti con i colleghi. La capacit� di lavorare bene in gruppo � sempre molto apprezzata dai capi che (anche giustamente, visto che di solito hanno altro da fare) non vogliono e non possono perdere tempo a dirimere controversie caratteriali tra colleghi. Attenzione poi all'orgoglio e alla sindrome da primi della classe: chi si d� pi� da fare e magari porta pi� risultati finisce per provare disagio guardando la bassa produttivit� altrui, se ne lamenta e cos� finisce per perdere il sostegno degli altri membri del gruppo, e alla fine l'intero team funziona male. In questi casi, di nuovo, occorre mettere in campo tecniche di risoluzione dei conflitti come la comprensione reciproca, la contrattazione o la collaborazione. Sembra una corsa a ostacoli, ma ne vale la pena: in un buon ambiente di lavoro non sembra nemmeno... di lavorare. Su la maschera (di Maria Leonarda Leone, �Focus� n. 353/22) - Anche quest�anno, riecco il Carnevale. Ma l�idea di celare il volto dietro un volto finto ha radici che affondano nei millenni - Tutti portiamo una maschera. Lo diceva il drammaturgo Luigi Pirandello, ben prima della recente pandemia e senza alcun riferimento al Carnevale, intendendo le maschere simboliche, dietro cui molti si nascondono ogni giorno, per insicurezza o per calcolo. La sua frase, per�, funziona bene anche per le maschere reali, quelle in pelle, legno, metallo, osso, stoffa, pietra e terracotta di cui, fin dalla preistoria, l'uomo si � dotato. Rituali e di culto, funerarie, teatrali o carnevalesche: quali erano le pi� antiche? Perch�, in passato, erano tanto importanti? E in che modo i loro lacci legano i riti orgiastici al teatro, la morte al Carnevale? �Da un punto di vista antropologico, la maschera � un simbolo importante, presente nella maggior parte delle culture e trasversale a tutte le epoche. Simbolo del viso, la parte principale della testa in cui si concentrava il potere, veniva e viene usata con scopi diversi, ma in generale potremmo definirla un mezzo per rappresentare qualcosa nascondendo qualcos'altro�, ci spiega l'antropologo Massimo Centini. Tra i primi a indossarne una, il pi� famoso � senz'altro lo sciamano dipinto 17-12-mila anni fa da mani paleolitiche su una parete della suggestiva grotta-santuario di Trois Fr�res (Francia). A lungo gli studiosi hanno ipotizzato che la sua maschera di cervo avesse una funzione simbolica nei riti legati alla caccia, ma oggi la tesi � messa in discussione. �Il mio parere � che si possa trattare di un pratico travestimento per avvicinarsi alle prede�, suggerisce Centini. �Una cosa comunque � certa: oggi come allora, mettere la maschera era una operazione rituale, compiuta da persone che ricoprivano un ruolo particolare nella comunit�, per creare una connessione tra il mondo visibile degli uomini e quello invisibile degli spiriti o degli d�i�. Il collegamento con l'ultraterreno era talmente forte che le maschere e la morte andavano spesso a braccetto. A volte opponendosi agli effetti deleteri della grande mietitrice, come le maschere micenee ed egizie: due fra tutte, quelle, famosissime, �di Agamennone� (1550 a.C. circa) e del faraone Tutankhamon (1323 a.C.). Entrambe in oro, caratterizzate da tratti realistici, rappresentavano il �viso eterno� degli illustri trapassati. �Era un modo di fermare il processo di decadimento del corpo�, nota l'antropologo. �Ma in diverse culture era anche un mezzo per conservare le fattezze del defunto. Come le nostre foto sulle tombe�. Nell'antica Roma, patria del culto dell'individualit�, il desiderio di conservare la fisionomia dei propri cari si trasform� nello ius imaginum, un privilegio concesso ai nobili, descritto anche da Polibio (II secolo a.C.): �Dopo la laudatio funebris, il morto si seppellisce con gli usuali riti funebri e la sua immagine, chiusa in un reliquiario di legno, viene portata nel luogo pi� visibile della casa�, scrive lo storico greco. L'immagine in questione era una maschera di cera, ricavata direttamente dal calco del volto del defunto. Proprio come fanno i nostri nonni con le vecchie fotografie, le maschere dei cari estinti venivano tirate fuori da quella specie di grande album di famiglia 3D solo nelle occasioni speciali, per essere indossate da persone di corporatura simile ai vecchi proprietari, che sfilavano durante i pubblici sacrifici o i funerali di prestigiosi parenti. �A chi mai non sarebbe di incitamento la vista delle immagini, per cos� dire vive e ispiranti, di uomini famosi per i loro meriti?�, si chiedeva Polibio, ammirato. Ma molte maschere non dovevano neppure essere indossate per riportare in vita gli spiriti. Etruschi, Greci e Romani erano soliti adornare le porte di palazzi e citt� con i volti di terrificanti guardiani soprannaturali: questi mascheroni avevano funzione apotropaica (dal greco apotr�pein, �allontanare�), servivano cio� a spaventare e tener lontani gli spiriti maligni. Durante le cerimonie rituali, invece, una maschera appesa a un palo bastava a garantire la presenza della divinit�. Gli storici ipotizzano fosse questa la funzione degli inquietanti ovali in pietra calcarea, simili alla celebre �maschera da hockey� di Jason del cult horror Venerd� 13, realizzati dagli uomini neolitici circa 7-mila anni fa. E di certo funzionavano cos� le maschere di Dioniso che i Greci collocavano tra le fronde durante gli sfrenati riti notturni in onore del dio dell'ebbrezza, che, attraverso coppe-maschere colme di vino, si impossessava dei suoi fedeli bevitori, trasformandoli in satiri e menadi. Dalle processioni sacre al palcoscenico, il passo fu breve. Anche perch� per gli antichi Greci le prime rappresentazioni teatrali, che ad Atene si svolgevano durante le feste per Dioniso, avevano valore religioso. Non sappiamo se fu davvero per questo che, verso la fine del VI secolo a.C., il mitico capostipite della grande famiglia dei tragediografi greci, Tespi, le fece indossare sulla scena ai suoi attori. Innegabili, per�, sono le ragioni tecniche di quella scelta. La maschera permetteva a un solo uomo di ricoprire pi� ruoli e sopperiva al divieto per le donne di salire sul palco. Inoltre l'apertura della bocca era fatta a forma di imbuto e amplificava la voce dell'attore come un megafono, mentre i suoi tratti potevano essere scorti anche dagli spettatori pi� lontani che, dalla forma del naso, dal colore dei capelli o dall'inclinazione di labbra e sopracciglia, riuscivano a identificare subito il personaggio e le sue emozioni. Ma c'� di pi�: come per gli ebbri seguaci di Dioniso, anche a teatro la maschera permetteva agli umili attori di cambiare �status� e di esprimersi in modo altrimenti ritenuto improprio. Vi ricorda qualcosa? Esatto: il Carnevale. �Il Carnevale, che ha nella maschera un elemento di riferimento fondamentale, � il momento in cui si ribaltano le regole e si pu� stravolgere la realt�, in un'inversione dei ruoli sociali che deriva dalla tradizione romana dei Saturnali. In queste antiche celebrazioni religiose, come nelle dionisiache greche, le divisioni e gli obblighi di classe scomparivano, lasciando il posto ai festeggiamenti�, prosegue Centini. Accadeva lo stesso nella scatenata Festa dei Folli, la rivisitazione medievale dei Saturnali, che prese piede soprattutto in Francia tra il XII e il XVII secolo: tre giorni di pazze e liberatorie celebrazioni, tra sacerdoti e chierici travestiti da donna e poveri ed emarginati nei panni di vescovi e papi. Un espediente che permetteva al popolo, camuffato e nascosto dietro a una maschera, di sfogarsi qualche giorno all'anno, per poi tornare docile alla normalit�. �La maschera, bollata dalla Chiesa come un diabolico strumento di inganno, visse nel Medioevo un fenomeno di desacralizzazione: in un processo che potremmo definire di laicizzazione, venne trasportata in un contesto folkloristico�, conclude l'esperto. Le corti e le strade diventarono il regno delle burle e delle mascherate dei giullari, come i mattaccini veneziani, che si divertivano a lanciare gusci d'uovo pieni d'acqua alle dame di passaggio. Erano le manifestazioni collaterali del Carnevale, riconosciuto ufficialmente dalla Serenissima alla fine del Duecento, ma gi� noto, in anticipo su tutti, in un documento del 1094, come l'insieme dei divertimenti che l'oligarchia veneziana concedeva al popolo. Tra le calli, la maschera divent� un amatissimo accessorio, impiegato da tutti, ogni giorno, nelle pi� disparate occasioni (non ultima, la frequentazione dei ridotti, dove i nobili passavano le nottate a giocare d'azzardo in incognito). Nel 1608, quando per motivi di ordine pubblico Venezia ne pun� l'uso al di fuori del Carnevale, le maschere avevano gi� conquistato anche il resto d'Italia, grazie alla diffusione della Commedia dell'Arte. Protagoniste di questo tipo di teatro popolare, si trasformarono in �tipi fissi�: personaggi dai dialetti e dai caratteri regionali diversi, che improvvisavano scene comiche sulla falsariga dei giullari medievali. Il vecchio e avaro veneziano Pantalone, la sua graziosa e bugiarda concittadina Colombina, i furbi servitori bergamaschi Brighella e Arlecchino e il loro corrispettivo partenopeo Pulcinella conquistarono il popolo. Al punto che, pi� tardi, quando volenti o nolenti dovettero abbandonare il palco, ebbero un posto d'onore nelle piazze carnevalesche. Dove, oggi come allora, celano e mostrano insieme il vero e il falso del nostro volto. Che storia le mascherine Anche le bistrattate mascherine sanitarie con cui siamo oramai abituati a convivere hanno una loro storia secolare. L'apripista del genere fu quella indossata, dal XIV secolo, dal cosiddetto �medico della peste�: la �maschera dello speziale�, aveva due aperture per gli occhi coperte da lenti di vetro e un grande becco ricurvo, riempito di erbe ed essenze che, cos� si pensava, proteggevano dal contagio chi la portava. Per la prima vera maschera medica, quella chirurgica, bisogna aspettare la fine dell'Ottocento: pare che il chirurgo francese Paul Berger sia stato il primo a operare, nel 1897, con una garza sul viso, per evitare di infettare i pazienti sul tavolo operatorio. Col tempo, quelle prime �garze� si fecero pi� elaborate: nel 1910-1911, per tenere sotto controllo i contagi durante un'epidemia di peste polmonare diffusasi in Manciuria, il medico cinese Wu Lien-teh mise a punto le antenate delle nostre Ffp2. Erano composte da vari strati di garza e cotone sovrapposti, con una forma a conchiglia che consentiva di aderire perfettamente al viso. Dolci di Carnevale, non solo chiacchiere: ad ogni regione il suo (Initalia.virgilio.it) - Dove sono nate le chiacchiere? A quale santo sono dedicati i tortelli milanesi? Ecco alcune curiosit� sui dolci di Carnevale pi� antichi e famosi - Tra i giorni pi� attesi dai golosi di tutta Italia, il marted� grasso, come sappiamo, segna la fine del Carnevale. La tradizione voleva che in questa giornata venissero consumati tutti i cibi pi� prelibati avanzati in casa. Era inoltre l�ultima in cui si potevano gustare i tipici dolci della festa pi� allegra dell�anno, prima del periodo di digiuno e penitenza. Fa eccezione Milano dove, secondo il rito ambrosiano, la Quaresima ha inizio la domenica seguente, per cui i festeggiamenti sono posticipati di quattro giorni. Oltre ad essere famoso per maschere e costumi, il Carnevale �, quindi, un�occasione per lasciarsi andare a qualche peccato di gola in pi�. Dai ricettari del Nord a quelli del Sud, il minimo comune denominatore dei dolci tipici di questa festa � che sono quasi tutti rigorosamente fritti. Che marted� grasso sarebbe, altrimenti? Tuttavia, ogni regione ha la sua golosit� carnevalesca: a volte cambiano solo il nome o qualche ingrediente, altre, invece, hanno una storia a s�. I tortelli del Carnevale ambrosiano - Cugini delle pi� famose castagnole, i tortelli sono golose specialit� tipiche milanesi. Denominati in origine �fars�e�, sono nati a Milano per festeggiare il 19 marzo, giorno di San Giuseppe, il quale era definito nella Bibbia �industriante in friggitoria�. Ben presto sono diventati anche un dolce tipico del Carnevale ambrosiano, il cui impasto ha una consistenza piuttosto fluida, per cui viene immerso nell�olio caldo a cucchiaiate. Durante la frittura, i tortelli di Carnevale aumentano di volume, rimanendo cavi all�interno. Per renderli ancora pi� golosi, si possono quindi farcire con crema pasticcera, al limone, chantilly o al cioccolato. Le chiacchiere: romane o napoletane? - Dolce simbolo del Carnevale di tutta Italia, le chiacchiere sono chiamate con nomi differenti a seconda delle regioni. La loro origine � per� controversa. Secondo alcuni studiosi, risalirebbe all�antica Roma, quando, per festeggiare i Saturnali, festivit� che corrisponde al nostro Carnevale, si preparavano dolci a base di uova e farina chiamati �frictilia�, perch� venivano fritti nello strutto. Tuttavia, c�� chi attribuisce la paternit� delle chiacchiere ad un cuoco napoletano, Raffaele Esposito. Costui le avrebbe preparate per la prima volta per la regina Margherita di Savoia, che durante un pomeriggio di �chiacchiere� ebbe voglia di qualcosa di dolce per s� ed i suoi ospiti. La schiacciata fiorentina - A Firenze non � Carnevale senza la schiacciata, chiamata anche �stiacciata unta�, per l�utilizzo dello strutto. L�antichissima ricetta di questa morbida specialit� toscana � il frutto di una cucina povera e semplice, che sfruttava i pochi ingredienti a disposizione per dar vita a pietanze gustose. La presenza dello strutto e talvolta persino dei ciccioli richiama alla mente la tipica usanza carnevalesca di preparare pietanze grasse in vista dell�inizio della Quaresima. Secondo la ricetta originale della schiacciata fiorentina, questa torta soffice, bassa e rettangolare, profumata all�arancia e allo zafferano, si decora generalmente con il simbolo della citt�: il giglio. Scroccafusi e ravioli di castagne marchigiani - Tipici della zona del Maceratese, gli scroccafusi � cos� chiamati perch� devono �scricchiolare� sotto i denti � sono palline di pasta lessate in acqua bollente e poi fritte, spolverate di zucchero e bagnate con alch�rmes. Le radici di questa ricetta marchigiana sono legate al mondo rurale e ancora oggi si preparano seguendo fedelmente l�antica procedura. Nel Piceno, non � Carnevale, invece, senza i ravioli di castagne. Ogni famiglia li prepara con diversi giorni di anticipo e anticamente era usanza, per le donne marchigiane, cucinare queste specialit� senza dosare gli ingredienti, ma regolandosi �ad occhio�. Il sanguinaccio lucano - Del maiale non si butta via nulla, nemmeno il sangue, ingrediente originario del famoso sanguinaccio dolce, da cui, appunto, il nome. In molte regioni d�Italia, nel 1992 � stata vietata la vendita del sangue di maiale, per cui � possibile il suo utilizzo, per la preparazione del sanguinaccio classico, solo in loco subito dopo la macellazione. Su richiesta della regione Basilicata, vi sono per� alcune eccezioni per il periodo di Carnevale, per cui il sanguinaccio mantiene ancora oggi la denominazione di Prodotto Agroalimentare Tipico (P.A.T.). Sulle montagne e colline lucane, il sangue del maiale macellato viene raccolto, rimescolato e filtrato per evitarne la coagulazione. Dopodich�, si versa nella caldaia di rame, aggiungendo cioccolato fondente, caff�, cacao, zucchero, cannella, chiodi di garofano, uva passa e sugna. L�Appennino che non ti aspetti (di Massimiliano Salvo, �Meridiani� n. 269/22) - L�Oltrep� ospita vette di tutto rispetto, dove gli appassionati di outdoor trovano semplici passeggiate, rifugi, piste da sci e sterrati per bici. E non manca l�osservatorio astronomico - Nell'immaginario � una terra di colline e vigneti, di campi coltivati. E invece l'oltrep� pavese nasconde anche un'anima montuosa, con tanto di sentieri per trekking e mountain bike, vette innevate, cieli bui e stellati, una seggiovia, addirittura delle piste da sci. Eccolo l'Appennino lombardo, spesso trascurato, con i 1.724 metri del Monte Lesima circondati da Emilia Romagna, Piemonte, Liguria e una vista superba che spazia dal mare alle Alpi. Nei giorni limpidi sembra tutto vicino, ma non � cos�: Milano dista anche due ore, Genova e Piacenza poco meno, per vie di strade tortuose, ferrovie mancanti e uscite autostradali remote. Ma � proprio per questo che la parte pi� meridionale dell'Oltrep� pavese sa stupire, con quella genuinit� fatta di borghi dalle case in pietra, agriturismi, boschi di noccioli, abeti, faggi, castagni e strade panoramiche che si inerpicano tra banchi di nebbia e prati fioriti. �Qui si fa vita di montagna, in estate come in inverno�, assicura Alessandro Custolari, 49-enne di Varzi che insieme alla moglie Alice Fossati gestisce la seggiovia di Pian del Poggio, impianto a due posti che da 1.330 metri di altezza sale in vetta al Monte Chiappo, a 1.699 metri. Durante la stagione fredda si pu� scegliere tra una pista da sci blu e due rosse, ciaspolate, freeride su neve fresca, sci alpinismo; in estate � il momento di trekking, passeggiate ed escursioni in bici. �Niente a che vedere con la Valle d'Aosta, sia chiaro�, scherza Alessandro, �ma anche qui la montagna ha i suoi pregi, a partire dai prezzi�. Sono soprattutto gli sportivi e le famiglie a rendere viva questa localit� sciistica nel comune di Santa Margherita di Staffora, nata negli anni 70 e diventata sempre meno battuta anche per via dell'aumento delle temperature che ha reso pi� rara la neve. Ma Pian del Poggio si avvicina a un futuro di innevamento programmato ed � pronta a inaugurare �un nuovo skilift da 250 metri, come impianto scuola�, annuncia Alessandro. Per non ricadere negli errori del passato, c'� una nuova parola d'ordine: destagionalizzare. La seggiovia ha quindi l'attacco per le biciclette che richiama gli appassionati di downhill, ovvero la discesa dai monti su sentieri sterrati. �Stiamo pulendo e tracciando sentieri anche per chi ama pedalare con altri tipi di bici, come le gravel: queste montagne devono vivere tutto l'anno�. Da Pian del Poggio ci sono infatti diversi itinerari ad anello per i biker, con versioni ridotte per camminatori, che sfruttano la possibilit� di prendere la seggiovia e sono ben raccontati sul sito seggioviapiandelpoggio.it. Con l'itinerario �Valle Staffora-Boreca� (23,9 chilometri di cui 9,5 di sterrato) in tre ore e mezza si va alla ricerca delle sorgenti del torrente Staffora: da Casale Staffora si sale a Negruzzo, quindi al Colle della Seppa, si passa da Monte Garav�, Monte Chiappo (nei cui pressi ci sono le sorgenti), si procede per Capanne di Cosola e il Passo del Giov�, per poi rientrare a Casale Staffora. � lungo invece 20 chilometri il percorso �Valle Corone�, quasi interamente sterrato, che da Bruggi attraverso il Colle della Seppa, il Monte Garav�, il Passo della Mula e Pian dell'Arm� arriva al Monte Chiappo e al Monte Prenardo, per poi toccare il Colle Bocche di Crenna, Capanne di Cosola, Pian dell'Arm� e quindi Bruggi. Un'altra possibilit� � il percorso �Val Borbera� (18,8 chilometri, di cui 14,6 di sterrato, tre ore di tempo) con partenza da Montaldo di Cosola e un itinerario che attraversa Zerba, le pendici del Monte Cavalmurone, il Monte Legn�, le pendici del Monte Porreio e infine la Fontana della Gallina e Montaldo di Cosola. Questi percorsi ricalcano gli antichi tracciati attraversati da carovanieri, pellegrini e briganti in viaggio lungo i sentieri dell'Appennino. Attraverso la Valle Staffora passava infatti una delle antiche �Vie del Sale� su cui oltre al sale transitavano olio, lana, pelli, cuoio, lino, canapa e vino. �L�importanza storica del territorio dell�Oltrep� gi� dall�et� romana � legata alle vie di valico che univano la costa ligure e i suoi porti all�area padana�, spiega lo storico Luigi Carlo Schiavi, che insegna all�Universit� di Pavia. �Questa importanza strategica � cresciuta notevolmente in et� longobarda, all�inizio del VII secolo, quando il monaco san Colombano fond� a Bobbio un monastero, che divenne uno dei pi� importanti centri del monachesimo irlandese in Europa continentale�. Proprio in direzione Bobbio (1.460 metri), che si raggiunge in poco pi� di sei ore e 18 chilometri di sentieri da Varzi. Sempre da Varzi parte un itinerario che in sette ore sale al Passo del Giov� (1.363 metri), al confine sud tra Lombardia ed Emilia, mentre sono pi� semplici i sentieri diretti alla riserva naturale del Monte Alpe (1.253 metri). Nino Frassica� in una nuova veste (di Paolo Fiorelli, �Tv sorrisi e canzoni� n. 47/22) - L�attore siciliano esordisce come romanziere con un libro esilarante - Tutti conosciamo Nino Frassica come comico inarrivabile. E in questi panni lo vediamo a �Che tempo che fa� e presto anche in �Lol 3�, lo show di Prime Video annunciato per il 2023. Ma � giunto il momento di scoprire Frassica anche nelle vesti di romanziere. Perch� l'artista siciliano ha appena dato alle stampe �Paola, una storia vera�. - Frassica, perch� un titolo cos� breve? Questa Paola non ha un cognome? �S�, il cognome � Prestigiacomoventuridi maioromolisanvitoreggianimadaudoferrettibottari. � un po' lunghetto ma se arrivate alla fine del libro scoprirete il perch�. - Il sottotitolo recita �Una storia vera�, ma ne � proprio sicuro? Perch� alcuni dettagli sembrano strani. Per esempio l'aeroporto da cui parte un volo solo il primo luned� dei mesi con la A e la D (cio� Aprile, Agosto e Dicembre)... �Mi sono sbagliato, intendevo una storia falsa. Falsa al 100 per cento�. - Ma allora � falso anche l'importantissimo personaggio di Sant'Orloto? �Mi sono documentato e ho scoperto che non c'era nessun protettore dei bambini che a scuola non condividono la merenda, e allora l'ho inventato. Sant'Orloto, tra l'altro, � conosciuto anche col soprannome �Sabbi uno e ni ramazzi dui�, espressione dialettale che significa �Salvi uno e ne ammazzi due�, per via di un suo miracolo andato un po' cos� cos�. Infatti salv� il contadino Giulianone dal morso di un serpente aspirando il veleno dalla ferita con la cannuccia, ma poi involontariamente lo sputazz� sul caff� e i biscottini della moglie e della figlioletta, uccidendole all'istante�. - Pu� almeno confermare quanto solennemente dichiarato, cio� che �nessun animale � stato maltrattato durante la scrittura di questo libro�? �Assolutamente s�, ho voluto farla finita con questa brutta abitudine di scrivere libri maltrattando gli animali�. - Come � nato questo romanzo? �Volevo scrivere una storia intera senza darmi nesuna regola. In tv ci son sempre limiti, anche solo di tempo, o imposti dal copiene: quando faccio il maresciallo Cecchini non posso �uscire dal personaggio�, giustamente. Qui invece ho scritto di getto, in una specie di delirio. Ho inventato Paola e l'ho messa nelle situazioni che mi divertivano di pi�. Ho inventato una citt� intera, Avona, e l'ho messa in provincia di Messina. Mi sentivo un dio!�. - Tra l'altro si parla molto di tv. Per esempio Tele Avona propone uno show molto innovativo chiamato �Scherzi a Paola�. �S�, � come �Scherzi a parte�, per� tutti gli scherzi li fanno sempre alla stessa persona, cio� Paola. � da quando aveva 6 anni che la perseguitano con gli scherzi. Purtroppo lo show ha dovuto chiudere dopo uno scherzo finito male (si chiamava �Cuccagna Piranha�)�. - Peccato. Per� Tele Avona ha vinto due Telegatti e c'� un personaggio il cui sogno � finire sulla copertina di �Sorrisi�. �Sorrisi � un giornale serio. Invece �Novella Bella�, di cui sono direttore, parla anche di cose brutte. Tra l'altro faccio notare che io sono anche vicedirettore, perch� furbescamente appena insediato mi sono assunto come vice e prendo due stipendi. Non capisco perch� non lo facciano anche gli altri direttori�. - Tra l'altro leggo che dal libro sar� tratto un film! �Le riprese inizieranno il 6, per� la produzione non ha ancora deciso di quale mese. Del resto nel libro parlo di tanti titoli importanti, dalla fiction tv �Il conte di Montecristo contro i bulli a colpi di funghi� a �Maciste contro il nero di seppia�, che sar� il prossimo capolavoro di Paolo Sorrentino�. - Su questo aspetterei la conferma del grande regista... Parlando di fiction, invece, ci dica: quando torner� sul set di �Don Matteo�? �A marzo. E poi via per nove mesi: � come un parto. E sono 14 stagioni! Mi manca Terence Hill, ma devo dire che Raoul Bova ha un carattere bellissimo e lavoriamo bene insieme. Poi sono affezionato al maresciallo Cecchini, anche se � un po' invadente. L'unica cosa che non mi piace di quel set sono le levatacce. Anche alle 6 di mattina!�. - Con Fabio Fazio, invece, �attacca� tardi. �Prima si parla di argomenti anche drammatici, poi arriva il �tavolo� ed � il momento delle chiacchiere tra amici. Vedi Fazio che si rilassa. Io mi diverto molto, finita una puntata comincio gi� a pensare alle battute per la successiva�. - E presto sar� anche in �Lol 3�, lo show condotto su Prime Video da Fedez e Frank Matano. Dovr� sfidare gente come Luca e Paolo e Marina Massironi... �Era dalla prima edizione che volevo partecipare, ma c'era sempre qualche impegno che me lo impediva. Adesso ce l'ho fatta. Mi sono molto divertito e sono nate nuove amicizie. Chiss� perch� mi vedono un po' come un solitario, invece a me piace molto collaborare con altri comici. Lo avevo gi� fatto con Lillo e Greg alla radio, per esempio�. - Abbiamo dimenticato niente? �Sono anche in �I racconti della domenica� di Giovanni Virgilio, appena uscito al cinema, stavolta in un ruolo serissimo. Sono il direttore di un collegio che diventer� un punto di riferimento per il piccolo protagonista�. - Tornando al libro: chi � la modella in copertina? Perch� ha un'aria cos� familiare... �Quella sono io! Un vero scrittore deve mettersi nei panni del personaggio, no?�. - Ma questa sua fantasia sfrenata da dove nasce? La allena? Ce l'aveva gi� da bambino? �� nata quand'ero ancora un ragazzino al bar di Galati Marina, il mio paese in provincia di Messina. L� mi sono accorto che gli altri prendevano tutto sul serio e io invece avevo sempre voglia di scherzare. Scherzare � gi� un'arte, ci vuole un mini copione. � recitazione. Cos� ho organizzato il primo spettacolino per la scuola... ed eccomi qua�.