Febbraio 2023 n. 1 Anno LIII MINIMONDO Periodico mensile per i giovani Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi �Regina Margherita� Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.itM web: www.bibliotecaciechi.it Registrazione 25-11-1971 n. 202 Dir. Resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Pietro Piscitelli Massimiliano Cattani Luigia Ricciardone Copia in omaggio Rivista realizzata anche grazie al contributo annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero della Cultura. Indice Minore et� maggiore ansia Se non ci fossero le montagne Le mamme di Diabolik L�ultimo volo Lili Marlen: il suono romantico degli anni di guerra Ananas: la storia, le propriet� Nel paese degli arcobaleni Minore et� maggiore ansia (di Elena Meli, �Focus� n. 364/23) - Un malessere degli adulti adesso ha contagiato i giovani. E, anche se coinvolge la �generazione Covid�, ha radici pi� lontane della pandemia. Come districarsi tra cause e rimedi - C�� chi pian piano ha iniziato a isolarsi dagli amici perch� non si sente a suo agio in mezzo agli altri, chi non tollera pi� l'idea di essere interrogato o non riesce a presentarsi a scuola quando c'� il compito in classe. C'� chi fatica a uscire all'aperto, tanto da non essere pi� uscito dalla sua cameretta, dopo le restrizioni imposte dalla pandemia e la scuola a distanza. L'ansia oggi � una compagna costante della vita di tanti adolescenti, uno dei tratti pi� diffusi di quella che gli esperti hanno ribattezzato la �generazione Covid�. Eppure, tutto era iniziato gi� prima dell'arrivo del virus che ha cambiato il mondo. Secondo un rapporto dei Centers for Disease Control statunitensi, gi� nel 2019 il 14% dei ragazzini dai 12 ai 17 anni soffriva o aveva sofferto di un disturbo d'ansia; dati confermati anche da stime europee secondo cui da almeno un decennio la salute mentale dei giovanissimi si stava lentamente deteriorando. I motivi del malessere erano gi� tanti, anche prima del virus: secondo un documento dell'American Academy of Pediatrics, nell'ultimo decennio vari fattori hanno contribuito all'aumento dell'ansia, fra cui le alte aspettative e la pressione per avere successo, assai maggiori rispetto al passato. Un'indagine condotta ogni anno su un campione di matricole di college dall'Higher Education Research Institute dell'Universit� di Los Angeles, per esempio, ha rivelato che nel 2016 il 41% dei diciottenni ha ammesso di sentirsi sopraffatto dalle aspettative e dalla quantit� di impegni; nel 1985 accadeva solo al 18%. A questo si aggiungono, secondo gli esperti statunitensi, la sensazione sempre pi� diffusa che il mondo sia un posto insicuro e minaccioso ma soprattutto l'uso dei social. I teenager sono esposti quotidianamente a smartphone e computer per una media di otto ore e mezzo, parecchie delle quali passate a sbirciare post e video di coetanei che ostentano vite sfavillanti, che li fanno sentire inadeguati e sbagliati. Cos�, gi� alle soglie del 2020, i ragazzi con l'ansia da prestazione, l'ansia da paura del mondo o quella di esporsi agli altri erano tantissimi. Il Covid, poi, � stato un enorme detonatore di disagio: Nicole Racine, psicologa dell'Universit� di Calgary, in Canada, ha analizzato i dati di oltre 80.000 adolescenti durante la pandemia e osservato che oggi il 20% ha sintomi d'ansia, contro una percentuale che negli anni precedenti era in media di circa il 10%. Una recente indagine di Laboratorio Adolescenza, su un campione di oltre 5.000 adolescenti italiani, conferma il quadro poco confortante. Stando ai risultati, la maggior parte dei ragazzi si sente spesso triste senza ragione, soffre di sbalzi d'umore e oltre il 40% ammette di sentirsi di frequente ansiosa o impaurita al punto da avere la sensazione di non riuscire a respirare (il femminile non � un caso: fra le ragazze i disagi psicologici sfiorano l'80%). Una vera e propria angoscia, insomma, ben diversa dall'ansia �buona� e fisiologica, quella che prende prima di un compito o un'interrogazione e agita, ma non impedisce di uscire di casa e misurarsi col mondo. �L'ansia diventa un disturbo quando non consente di vivere normalmente, compromettendo le giornate�, spiega Stefano Vicari, responsabile della Neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza dell'Irccs Ospedale Pediatrico Bambino Ges� di Roma. �L'ansia esiste in tante forme, ma tutte hanno un impatto negativo sulla qualit� di vita: c'� chi ha una fobia specifica e quindi, per esempio, non riesce a guidare o stare negli spazi aperti o affollati; c'� l'ansia di separazione di chi, specialmente i pi� piccoli, non vuole lasciare la famiglia; c'� la fobia sociale dei ragazzi che non escono pi� di casa ed evitano tutti i contatti col mondo. La pandemia ha aggiunto poi la paura di ammalarsi o far ammalare i familiari e tolto mezzi di difesa come il rapporto con gli amici. Gli adolescenti che hanno superato meglio i vari lockdown, senza sviluppare disturbi d'ansia, sono quelli che hanno potuto avere una frequenza scolastica regolare e mantenere in qualche forma i rapporti coi coetanei. Anche avere fratelli o sorelle � risultato protettivo, cos� come vivere in una casa con spazi esterni e in una famiglia in cui si � privilegiata la lettura e il dialogo rispetto all'uso di strumenti elettronici�. Questo anche perch� telefonini e social non aiutano, anzi. Come sottolinea Giuseppe Ducci, della Societ� Italiana di Psichiatria: �L'iperconnessione digitale porta a una disconnessione dalle emozioni: interagire con gli altri senza vederli e ascoltarli in presenza, mettendo solo like, non aiuta i processi di costruzione della personalit� necessari in adolescenza, che invece richiedono un confronto diretto coi coetanei. Questo, associato alla mancanza della scuola - che � il contesto principale in cui gli adolescenti imparano ad autoregolare le proprie emozioni -, ha provocato un'impennata di disagio di cui l'ansia � solo il fenomeno pi� appariscente e, spesso, un sintomo sentinella che nasconde altri problemi�. Sono insomma le relazioni con gli amici e con i familiari che salvano i ragazzi dall'ansia, ma occorre coltivarle fin dall'infanzia perch� possano davvero prevenire il disagio. �La funzione dei genitori � fondamentale�, precisa Vicari. �Adolescenti non ansiosi si �costruiscono� fin da piccoli, per esempio incoraggiando all'autonomia, non acconsentendo a qualsiasi richiesta perch� imparino a gestire la frustrazione, aiutandoli a regolare le emozioni positive e negative per non farsene sopraffare, imparando ad ascoltarli e rispettarli ma senza voler essere loro amici: proprio durante l'adolescenza dovranno differenziarsi dai genitori per trovare se stessi, e avere accanto mamme e pap� che si comportano da ragazzini non aiuta a trovare la propria strada e pu� far emergere un disagio emotivo e affettivo�. Quali sono i segnali da non sottovalutare, per capire se l'ansia sta superando i livelli di guardia? Le alterazioni del sonno e dell'alimentazione: se i ragazzi dormono poco, troppo oppure senza orari, se mangiano male o quando capita � bene drizzare le antenne. Anche la stanchezza o, al contrario, l'irrequietezza possono essere segni a cui fare attenzione, cos� come la mancanza di concentrazione o esprimere troppo spesso preoccupazioni eccessive. Che fare per� se un adolescente sembra precipitare nel gorgo dell'ansia? Sicuramente, mantenere la calma: uno studio del Centre for Adolescent Health del Murdoch Children's Research Institute di Parkville, in Australia, condotto su quasi duemila ragazzi, ha dimostrato che in met� dei casi i disturbi d'ansia non si ripresenteranno pi� dopo i vent'anni, soprattutto se i disagi sono durati meno di sei mesi. �Spesso basta essere vigili, parlare con i figli, ascoltarli e osservarli, senza preoccuparsi di dare subito una risposta terapeutica: occorre tener presente, per esempio, che esistono temperamenti ansiosi, ovvero persone che per costituzione hanno una risposta d'ansia maggiore in situazioni che non impensieriscono altri�, osserva Ducci. �Si pu� aspettare quindi, ma ovviamente se l'ansia compromette la vita quotidiana occorre chiedere una valutazione a uno psicologo, uno psichiatra o un neuropsichiatra: un passaggio necessario perch� bisogna capire se l'ansia sia la punta di un iceberg, il sintomo di qualcos'altro. In questi casi dare gli ansiolitici per limitarla sarebbe un grosso errore, perci� serve il parere di un esperto�. Aggiunge Vicari: �Il primo consiglio � non vergognarsi di chiedere aiuto: un genitore non proverebbe imbarazzo ad avere un figlio con il diabete, n� penserebbe di averne la colpa. Nel caso del disagio mentale invece troppo spesso vince la paura di esporsi. Inoltre, mamme e pap� tendono a ritenersi responsabili di quanto accade ai figli con un disturbo d'ansia. Invece non � cos� e per di pi� negli adolescenti la probabilit� di guarire � alta, se si interviene nel modo e al momento giusti�. Si tratta quasi sempre di terapie cognitivo-comportamentali sull'adolescente, che aiutino a riconoscere e disinnescare i pensieri e le situazioni ansiogene, associate a un supporto ai genitori, perch� sappiano come comportarsi con i figli per aiutarli a stare meglio. Non � il caso di pensare subito alle pillole insomma, tutt'altro: nel nostro Paese non c'� ancora la consuetudine di prescrivere con facilit� psicofarmaci ai giovanissimi. Questo invece accade negli Stati Uniti, dove dal 2006 al 2015 le prescrizioni di questi medicinali sono cresciute dal 26 al 41% in bambini e ragazzi, esponendoli a vari effetti collaterali (anche perch� moltissimi medicinali non sono neppure approvati per l'uso negli under 18). Dagli Stati Uniti importiamo spesso tendenze e comportamenti, c'� da sperare che non accada anche con l'ansiolitico facile agli adolescenti. Se non ci fossero le montagne (di Massimo Manzo, �Focus� n. 362/22) - Provate a immaginare un mondo piatto (o quasi), dove infuriano venti e tempeste, mentre tutti i popoli si mischiano. Ecco la Terra, senza i suoi rilievi - Alcuni le scalano per professione, altri vi si recano in villeggiatura e in molti ci vivono, godendo dei vantaggi offerti dall'aria pulita e dalla natura incontaminata. Ma � normale, perch� da sempre le montagne hanno ispirato sentimenti contrastanti, dal terrore per la loro imponenza alla voglia di sfidarle o di �elevarsi� spiritualmente toccandone le cime. La loro importanza non � per� solo simbolica: da milioni di anni, la presenza delle catene montuose influisce infatti sul clima e sugli equilibri ecologici globali, oltre a determinare il confine naturale di intere nazioni. Ma cosa succederebbe se questi silenziosi giganti scomparissero all'improvviso? Di certo, gli effetti sarebbero in grado di stravolgere notevolmente la nostra vita. Sulla Terra esistono oltre un milione di montagne, e nel complesso pi� della met� della superficie del Pianeta � occupata da rilievi montuosi, con profili diversi a seconda dell'effetto erosivo degli agenti atmosferici e dell'epoca di formazione (le montagne pi� antiche sono meno alte di quelle �recenti�). Ad accomunare ogni montagna, peraltro, � l'esser nata dallo scontro tra placche tettoniche, ovvero parti della crosta terrestre. Nel dettaglio, una montagna, per essere definita tale, oltre a essersi formata almeno 2,6 milioni di anni fa deve avere un'altezza superiore a seicento metri sul livello del mare. �Proprio a causa della loro altezza, le montagne sono paragonabili a �sentinelle� in grado di avvertirci in anticipo su molti fenomeni meteorologici�, afferma Piero Di Carlo, professore di Fisica dell'atmosfera e Climatologia all'Universit� di Chieti-Pescara. �La loro presenza ha influenzato la stessa conformazione del paesaggio terrestre�. Dal punto di vista climatico, infatti, le montagne hanno sempre influito sulla regolazione delle temperature e se sparissero di colpo dovremmo fare i conti con un'autentica catastrofe ecologica. �Catene montuose come le Alpi o gli Appennini sono in grado, nello scontro con le masse d'aria cariche di vapore acqueo, di favorire le precipitazioni contribuendo a ridurre l'effetto serra e limitando la quantit� di vapore nell'atmosfera�, spiega Di Carlo. �Lo stesso avviene con la CO2, che tende a essere �sottratta� attraverso la folta vegetazione presente in montagna, che svolge cos� un ruolo �stabilizzatore��. In breve, se fossimo privati dei monti avremmo un'accelerazione degli effetti negativi del cambiamento climatico a cui gi� assistiamo oggi, con un forte innalzamento delle temperature e dei livelli di umidit� che complicherebbero la vita di moltissime comunit�, animali e umane. Ma le montagne fungono anche da formidabili barriere naturali contro fenomeni atmosferici potenzialmente pericolosi. Inondazioni, tempeste e uragani diventerebbero talmente frequenti da rendere impossibile qualsiasi attivit� agricola. Per non parlare delle risorse idriche, che diminuirebbero in modo drammatico. �Le nevi e i ghiacciai montani possono conservare grandi quantit� di acqua per molto tempo e oggi custodiscono la maggior parte delle fonti di acqua dolce�, precisa l'esperto. �Venendo meno le riserve montane, dovremmo ricorrere in maniera pesante a costosi sistemi artificiali di depurazione�. Ci sarebbero i fiumi, ma solo quelli nati da sorgenti sotterranee. Insieme alle difficolt� idriche, l'assenza delle montagne causerebbe una reazione a catena sul piano ecologico: oltre alla diminuzione delle riserve di legname e dei pascoli per il bestiame, perderemmo un numero incredibile di specie animali e vegetali con patrimoni genetici unici, in grado di produrre beni alimentari e sottoprodotti pregiati, come la lana cashmere, proveniente dall'omonima regione montuosa incastonata tra India e Pakistan (il Kashmir). Le capre stanziate su quelle montagne sono capaci di sviluppare una fibra pi� resistente proprio a causa delle temperature rigidissime diffuse a quelle altitudini. �I rilievi montuosi sono caratterizzati da una biodiversit� animale e vegetale unica, che andrebbe inevitabilmente perduta, dato che la flora montana e numerose specie di piante riescono a crescere solo a determinate altitudini, spesso superiori ai mille-duemila metri, e non possono sopravvivere in pianura o in collina�, chiosa Di Carlo. Stambecchi, camosci, caprioli, lupi e orsi, insieme a migliaia di specie di uccelli, sarebbero costretti a spostarsi pi� in basso, perdendo le proprie abitudini e rischiando l'estinzione. Anche la salute dell'uomo peggiorerebbe: in montagna la rarit� di pollini e spore rende l'aria pi� salubre, un vero toccasana per chi soffre di asma o altre patologie respiratorie come allergie o problemi polmonari (non a caso, in passato i medici consigliavano lunghe villeggiature montane). Le ripercussioni politiche di un mondo �piatto� sarebbero altrettanto importanti. In millenni di storia, infatti, le catene montuose hanno separato le diverse comunit� umane, difendendole da conquiste e invasioni e determinando la nascita e lo sviluppo di variegate culture. Perdere i monti significherebbe eliminare i confini naturali di molti Stati, per esempio quello tra Italia e Svizzera o tra Francia e Spagna, segnati rispettivamente dalle Alpi e dai Pirenei. Gli spostamenti via terra, d'altro canto, diventerebbero molto pi� semplici e veloci e in un territorio pianeggiante non ci sarebbe bisogno di trafori, tunnel o altre grandi opere ingegneristiche pensate per superare gli ostacoli montani. Non bastasse, i cambiamenti riguarderebbero il comparto economico e le abitudini sociali, dato che la montagna garantisce una parte consistente della ricchezza di varie nazioni, poich� � sfruttata per l'estrazione mineraria e del legname o per la produzione di energia elettrica. Per non parlare dell'indotto turistico e sportivo: addio alla villeggiatura in montagna e a sport come sci, snowboard, arrampicata e rafting, tanto per citare i pi� celebri. Molte altre discipline sarebbero poi meno appassionanti: come sarebbe il giro d'Italia se i ciclisti non si cimentassero nelle epiche tappe montane? Per tutti questi motivi, la tutela delle montagne e del loro immenso patrimonio materiale e immateriale � diventata una necessit� riconosciuta dalle pi� importanti organizzazioni internazionali. �Purtroppo, l'eccessiva antropizzazione e l'inquinamento a cui sono soggette le zone montane sta gi� oggi sconvolgendo la loro biodiversit�, determinando per esempio la migrazione di varie specie animali verso la pianura�, precisa Di Carlo. Per riconoscere la loro importanza, nel 2003 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha proclamato la Giornata Internazionale della Montagna (11 dicembre). A conferma del fatto che un mondo senza montagne, in fondo, sarebbe sempre pi� brutto e pi� povero, in tutti i sensi. Le mamme di Diabolik (di Maria Leonarda Leone, �Focus Storia� n. 193/23) - A inventare Diabolik, 60 anni fa, furono le sorelle Giussani, due signore della Milano bene con la passione per il crimine - La normalit� a volte stanca. Anche quella viziata, vissuta nella bambagia di una famiglia benestante della media borghesia milanese. E chi la vive spesso sogna di evaderne. Non si pu� spiegare altrimenti la doppia anima, borghese e ribelle, delle sorelle Giussani: Angela, classe 1922, e Luciana, 6 anni pi� giovane, ragazze della Milano bene ma legate per la vita a un criminale incallito, ladro e assassino senza pentimento. Le potremmo quasi definire vittime della sindrome di Stoccolma, innamorate com�erano del loro sequestratore: quel celebre re del terrore a fumetti che era anche la loro creatura, quel Diabolik che le port� via con s�, in un mondo � criminale agli occhi dei benpensanti � che era un ufficetto di 15 metri quadrati, invaso da fumo, fogli e macchine da scrivere, ma impregnato dell�odore inebriante della libert�. Chiss� se a 20 anni, sdraiate sulle spiagge di Cervia in salvo dai bombardamenti inglesi che distruggevano Milano o 10 anni dopo, ingioiellate e sofisticate agli eventi del jet set milanese, sognavano davvero che arrivasse un Diabolik a prenderle. Un affascinante, cattivissimo eroe che le portasse lontano da tutta quella routine borghese, ma soprattutto da quella compostezza bigotta dell'Italia fascista e postbellica pronta a disapprovare le donne che, come Angela, fumavano, si mostravano disinvolte e intraprendenti, avevano la patente - usata per guidare una sprintosa Mini Rover beige - e persino un brevetto di volo. Anticonvenzionale Angela lo era gi� da bambina. Crescendo non miglior�: i genitori, che la volevano maestra, furono costretti a vederla nelle pubblicit� in cui posava come fotomodella e poi al lavoro nella casa editrice Astoria del marito Gino Sansoni, sposato nel 1946. Fu a lui che Angela, nel 1962, rivolse queste parole: �Io mi faccio un fumettino per conto mio�. Non una domanda, un'affermazione. Da poco pi� di un anno aveva inaugurato l'Astorina, la sua piccola casa editrice, costola di quella del marito: fino ad allora le cose non erano andate troppo bene, ma qualcosa stava cambiando. Vuole la leggenda che ad agosto, durante un viaggio in treno, Angela avesse avuto un'illuminazione trovando sul sedile di fronte un romanzo di Fantomas, personaggio letterario del primo Novecento, criminale protagonista di pi� di quaranta romanzi made in France. Ogni giorno, sotto le finestre del suo ufficio in piazza Cadorna, vedeva passare centinaia di pendolari e si chiedeva: �Che cosa potrebbe distrarli dalla noia del viaggio?�. Ora aveva la risposta: qualcosa di emozionante e di non troppo impegnativo da leggere, abbastanza piccolo e comodo da poter essere riposto in tasca o in borsa. In una parola: Diabolik. Il lavoro aument� vertiginosamente e Angela decise di farsi affiancare dalla sorella, anche lei bella come una diva, ma impiegata in una societ� di elettrodomestici e avvilita da un amore non corrisposto. Stava per chiudersi, per le due donne, l'epoca delle serate mondane, dei balli con i vestiti e le pettinature alla Grace Kelly: la loro creatura le assorb� completamente per il resto dei loro giorni. �C'era sempre una macchina da scrivere Lettera 22 in giro. Comunque e dovunque� racconta Claudia Sozzani, la loro nipote. �Ricordo anche le montagne di numeri di Vogue, dalle quali venivano copiati i vestiti, le pettinature, i trucchi. Mi capitava di sentirmi dire: �Ma i capelli adesso come si portano? Cos� o cos�?�. Loro non erano pi� alla moda, non avevano tempo da perdere: una volta indossati un paio di pantaloni che non stringessero in vita e una camicia comoda era tutto a posto�. L'inizio non fu facile: quel bellimbusto con la tuta nera, primo eroe negativo dei fumetti noir italiani, stentava a tirarsi in piedi e a camminare sulle proprie gambe. �Ricordo perfettamente un pomeriggio di dicembre del 1963, quando due ragazzi si affacciarono alla soglia della redazione chiedendoci: �Ma quando esce il seguito?�. Angela e io ci guardammo in faccia e capimmo che ce l'avevamo fatta. Ci sarebbero voluti mesi prima di verificare il successo in base ai dati di vendita, ma quello fu un momento magico che non dimenticher� mai�, raccontava Luciana in una vecchia intervista. Tra tutti, fu il 1968 l'anno della svolta, sotto molti punti di vista: per l'Astorina, che si distacc� anche fisicamente da mamma Astoria, ormai surclassata; per Angela, che di l� a poco decise di separarsi; per Diabolik, che da allora cominci� a incarnare quei valori da �ribelle� urlati per le strade dai movimenti di protesta: dal rifiuto della guerra e dei regimi autoritari, all'insofferenza per l'autorit� e la classe borghese, fino all'appoggio alla legge sul divorzio. Una scelta logica per lui che, all'epoca, gi� conviveva con la sua Eva, dormendo rigorosamente in letti separati �non per loro scelta, ma per colpa di un pretore di Lodi�, come ci teneva a precisare Angela. �Mentre Angela trasferiva sul suo personaggio rivendicazioni personali e un'aspirazione all'autonomia anarcoide e provocatrice, Luciana lo viveva come un mito lontano, intangibile, di cui al pi� poteva essere biografa ma senza identificarsi. Semplificando: per me Angela era Diabolik, Luciana Eva Kant�, racconta Mario Gomboli, attuale direttore editoriale di Astorina, che con le sorelle Giussani lavor� fin dal 1967. L'11 febbraio 1987 Angela mor�. Per Luciana la tentazione di mollare tutto fu forte. Ma poi riprese a scrivere e non smise di farlo fino all'ultimo. Cos� quando il 31 marzo del 2001 Diabolik rimase definitivamente orfano, i cassetti dell'Astorina erano gi� pieni di storie pronte per essere pubblicate: le ultime avventure di quelle due sorelle �bene�, diabolikamente anticonformiste. L�ultimo volo (di Luigi Grassia, �Focus Storia� n. 195/23) - Nel 1937 Amelia Earhart, la pi� celebre pioniera dell'aviazione, scomparve nel Pacifico mentre tentava il giro del mondo. Ma cosa le sia successo � ancora un mistero - A scorrere le cronache, i nomi e le azioni delle donne nell'epoca eroica del volo spuntano ovunque. E questo testimonia la loro passione, ma anche la simpatia con cui furono accolte all'inizio dal mondo maschile dell'aviazione. Eppure, molto presto il contributo delle pioniere � stato oscurato, e le loro nipoti hanno dovuto partire da zero per riconquistarsi il diritto di pilotare aerei civili e militari. Fra tutte, si � guadagnata un posto speciale l'americana Amelia Earhart (1897-1937), per una combinazione vincente di successi aviatori, fascino personale e - purtroppo - morte precoce e misteriosa. Perch� morire giovani, si sa, cristallizza il mito di una persona nel momento del suo massimo fulgore, e il mistero fa s� che se ne torni a parlare in eterno. La sorte di Amelia Earhart, la donna che per prima trasvol� l'Atlantico e poi scomparve nel Pacifico, � tuttora un �cold case�, nonostante una controversa perizia medica del 2018, su ossa che poi (a loro volta, e perversamente) sono scomparse. Secondo Gregory Alegi, docente di Storia dell'aeronautica all'Accademia militare, il destino di Amelia Earhart � un mistero longseller, sul quale non mancano le rivelazioni pi� o meno frequenti. E non c'� una soluzione ufficiale. Abbondano infatti le teorie pi� varie, incluse quelle secondo cui Amelia si � salvata su qualche isoletta, magari per finire prigioniera dei giapponesi (stava per scoppiare la Seconda guerra mondiale). E il ritrovamento di alcune ossa non ha aiutato pi� di tanto. A dimostrazione di quante donne operassero agli albori dell'aviazione c'� il fatto che a insegnare a volare a Amelia Earhart, nel 1920, cio� pochi anni dopo il primo volo dei fratelli Wright, fu proprio una donna, un'istruttrice professionale di nome Neta Stook, che di Amelia disse in seguito: �Non mi ha dato molto da fare. Si alzava da terra e volava. Tutto qui�. Un talento naturale. Casomai, se Amelia aveva un difetto come pilota, era di essere fin troppo sicura di s�: �Era famosa per la sua guida disinvolta e i suoi atterraggi al limite dell'incidente�, racconta la sua biografa Cristina De Stefano. �Le piaceva fare lo slalom con l'aereo fra gli alberi, passare bassa sotto i fili del telefono. E usava la radio quasi solo per ascoltare la musica�. Spesso trascurava di comunicare la sua posizione, e questo, in un'epoca pre-radar, ebbe forse un peso nella scomparsa in mezzo al Pacifico. Per quanto dotate, le donne negli Anni '20 e '30 urtavano contro un tetto di cristallo quando desideravano volare, perch� non erano ammesse all'addestramento militare, che forniva agli uomini l'accesso diretto agli aerei pi� aggiornati. Alle ragazze toccava pagarsi da s� la pratica sui piccoli velivoli degli aeroclub. Cos� Amelia si arrangi� a fare soldi iniziando mille mestieri (segretaria, fotografa, assistente sociale), ma quando si spinse fino a lavorare come camionista sua madre intervenne con decisione e invest� un'eredit� nell'acquisto di un piccolo aereo. Fu la svolta: Amelia lo dipinse di giallo canarino e cominci� a guadagnarsi da vivere con spericolate esibizioni di volo, a quell'epoca molto popolari. La Earhart era bella, oltre che brava, e questi due elementi ne fecero la beniamina di stampa e cinegiornali. Risultato? Nel 1928 un pilota che stava organizzando una trasvolata dell'Atlantico, sulla rotta di Charles Lindbergh (che aveva compiuto l'impresa un anno prima), le propose di aggregarsi alla spedizione. Amelia partecip�, ebbe successo, fu ancora pi� osannata, ma poi volle riaffrontare da sola l'Atlantico nel 1932. Ci riusc�, e quella fu la sua apoteosi, ma lei non si ferm�: and� a caccia di nuove imprese e nuovi record aviatori e ne collezion� parecchi. Incontr� un solo insuccesso, ma fatale. Nel 1937 Amelia intraprese un giro del mondo di 47-mila chilometri. Ne aveva percorsi 35-mila e mancavano solo gli ultimi balzi attraverso il Pacifico quando avvenne la tragedia. Il 2 luglio decoll� da Lae, in Nuova Guinea, diretta a un atollo chiamato Howland, dove non arriv� mai. In prossimit� dell'ora prevista di atterraggio Amelia comunic� di essere a corto di carburante e di non riuscire a vedere la nave militare che avrebbe dovuto servirle da riferimento. Le comunicazioni successive furono frammentarie, ma diedero l'idea che fosse fuori rotta. Sull'aereo non era sola, aveva un navigatore, per� n� lui n� lei avevano dimestichezza con una nuova apparecchiatura di rilevamento montata sul velivolo: ci furono difficolt� di taratura prima del decollo e pare che un'antenna fosse stata accorciata per un problema tecnico. Oggi questo suona come improvvisazione e incoscienza. Ma per l'epoca era un modo di fare ordinario, ci si arrangiava. Nelle imprese estreme, gli aerei subivano frequenti guasti in volo, o addirittura perdevano pezzi (erano accadute entrambe le cose nelle due trasvolate di Amelia sull'Atlantico), ma si proseguiva lo stesso. Durante le ricerche, dopo la scomparsa della Earhart nel Pacifico, si scopr� addirittura che le mappe di quella zona erano sbagliate: un'isola aveva forma diversa rispetto a quanto disegnato, e questo avrebbe ingannato chi l'avesse cercata dall'alto come riferimento. Soprattutto, all'epoca non esistevano i radar: quando Amelia smise di trasmettere alla radio spar� dal mondo. Qualche crepit�o radio fu percepito nei giorni successivi, accendendo la speranza che l'aviatrice e il suo navigatore avessero compiuto un atterraggio di fortuna su qualche atollo, ma un'enorme campagna di ricerca con 9 navi e 66 aerei non diede esito. Addio, Amelia... Eppure il sipario non cal�: da 85 anni si cerca di dipanare il mistero. L'attenzione si concentr� sull'atollo disabitato di Gardner, oggi Nikumaroro, nello Stato di Kiribati. Qui furono trovate, nel 1940, alcune ossa, attribuite poi a un uomo. Nel 2018 una nuova perizia le attribu� a una donna della corporatura di Amelia, ma la contro-perizia fu possibile solo sulla carta, perch� le ossa nel frattempo erano scomparse e diversi medici legali contestarono la validit� delle conclusioni. Il ritrovamento di un altro osso nel 2010 non serv� nemmeno a stabilire se si trattasse di un reperto umano o di tartaruga. Ma l'aereo, che fine avr� fatto l'aereo? Quello avrebbe dovuto lasciarsi dietro un grosso relitto (a meno che non sia scomparso negli abissi, ovviamente). Ogni tanto in quella zona del Pacifico si trovano una carlinga o un'ala (grande clamore fece un presunto ritrovamento nel 2012), ma nulla � mai stato collegato in modo definitivo con Amelia Earhart. Sono fiorite quindi le teorie complottistiche. C'� chi dice che lei sia andata fuori rotta di proposito, nell'ambito di una missione americana di spionaggio, per sorvolare e fotografare basi militari giapponesi, che effettivamente esistevano. Dagli archivi di Washington non � mai emersa alcuna conferma. Certo, se anche Amelia non fosse stata una spia, potrebbe essere stata ritenuta tale dai giapponesi: se fosse caduta nelle loro mani, dopo averla interrogata o forse torturata si saranno forse resi conto che lasciarla andare sarebbe stato imbarazzante, a maggior ragione se innocente. Sulla sua eventuale prigionia e uccisione per mano giapponese ci sono presunte testimonianze oculari, ma nessuna prova. Resta da segnalare un presagio di morte della stessa Amelia, poco prima del viaggio fatale: �Quando me ne andr�, disse, �vorrei che fosse sul mio aereo. E in fretta�. E ancora: �Ho sempre avuto una sola ossessione, un piccolo e molto femminile orrore di diventare vecchia. Quindi non mi sentir� del tutto defraudata se non torno�. A quarant'anni era ancora forte e bella, ma sentiva vicino il viale del tramonto. Chiss� che un senso inconscio di fine non l'abbia portata a commettere - come insegna la psicoanalisi - qualche inconsapevole errore. Ipotesi indimostrata e indimostrabile, come tutte le altre. Le altre� In mongolfiera - Le donne sono state pioniere del volo fin da prima che esistessero gli aerei. In Francia i fratelli Montgolfier avevano appena sollevato il loro primo pallone (5 giugno 1783) e gi� un anno dopo, il 4 giugno 1784 a Lione, una signora ascendeva in mongolfiera: l'onore tocc� alla cantante d'opera Elisabeth Thible, che durante il volo cant� duetti con il pilota. Tre donne l'avevano preceduta a Parigi il 20 maggio, per� su un pallone frenato. Le signore furono dapprima passeggere, poi pilote, e il 12 ottobre 1799 Jeanne Genevi�ve Labrosse si esib� in una spettacolare operazione: a 900 metri di quota sgonfi� il pallone, apr� sopra la gondola della mongolfiera un paracadute (inventato da suo marito, Andr�-Jacques Garnerin) e plan� delicatamente a terra. Un'altra pioniera del volo, Sophie Blanchard, fu invece la prima donna a sorvolare le Alpi nel 1817, ma anche la prima a morire in un incidente aereo, nel 1819. Gli albori dell'aviazione - Nei primissimi anni dopo il successo dei fratelli Wright (1903), la francese Th�r�se Peltier fu la prima donna a pilotare un velivolo: la rivista L'illustrazione italiana rifer� il 27 settembre 1908 che Peltier sulla Piazza d'Armi di Torino aveva volato per 200 metri, all'altezza di 2 o 3 metri da terra (il massimo che si potesse fare a quell'epoca). Dettaglio curioso: i Wright si misero a costruire aerei dopo aver fatto pratica di meccanica montando biciclette, e una pioniera belga del volo, H�l�ne Dutrieu, fece un percorso parallelo, ma da atleta e da pilota. H�l�ne era una campionessa di ciclismo quando le proposero di cimentarsi con gli aerei e stabil� vari record, fra cui il primo volo non-stop da Ostenda a Bruges (1910). Nel 1911 sconfisse 14 piloti maschi vincendo la Coppa del Re a Firenze. E nel 1912 fu la prima donna a pilotare un idrovolante. In Italia la prima a prendere il brevetto da pilota (nel 1913) fu Rosina Ferrario (1888-1957). Gli anni Venti e Trenta - Nel periodo fra le due guerre in Francia si misero in luce MarieLouise Basti� (1898-1952), che da giovane sarta si pag� il brevetto da pilota e poi conquist� diversi record di velocit�, altitudine e durata, e la sua amica Maryse Hilsz (1901-1946), che vol� da Parigi all'Indocina (1930), al Madagascar (1931) e al Giappone (1933) e partecip� alla Seconda guerra mondiale come pilota ausiliaria. In Germania si distinse Hanna Reitsch (1912-1979), campionessa sugli alianti e brillante collaudatrice. L'inglese Jean Batten (1909-1982) vol� da Londra alla Nuova Zelanda nel 1936. L'italiana Carina Massone Negrone (1911-1991) detiene tuttora il primato mondiale di altitudine con velivoli a elica, stabilito il 20 giugno 1935 a 12.043 metri: ci riusc� a bordo di un biplano Caproni Ca 113 e con il solo ausilio di un giaccone (temperatura 35 gradi sotto zero) e di una bombola di ossigeno. Oltre il muro del suono - Amica e collaboratrice di Amelia Earhart, l'americana Jacqueline �Jackie� Cochran (1906-1980) fece persino pi� di lei per promuovere le donne nell'aviazione. Negli Anni '30 conquist� numerosi record di velocit� e altitudine. Con Amelia Earhart fu co-fondatrice (e in seguito presidente) dell'associazione mondiale delle donne pilota. Durante la Seconda guerra mondiale convinse il presidente Roosevelt ad arruolare un corpo di pilote da impiegare in attivit� ausiliarie (ma avrebbe voluto combattere). Diresse l'addestramento di centinaia di aviatrici in America e nel Regno Unito e fu la prima donna ad attraversare l'Atlantico ai comandi di un bombardiere e a decollare da una portaerei. Dopo la guerra, nel 1953 fu la prima a rompere il muro del suono, ai comandi di un caccia F-86. E anche se in vita non pot� vedere realizzato questo sogno, lott� per consentire alle americane di andare nello spazio come astronaute. Lili Marlen: il suono romantico degli anni di guerra (di Cosimo Enrico Marseglia, Corrieresalentino.it) - Storia e segreti di una canzone romantica capace di fermare le battaglie - Ricordo ancora le parole di mio nonno materno, che era stato prima Tenente, poi Capitano di Fanteria di Linea durante la Seconda Guerra Mondiale: �Quando la sera trasmettevano quella canzone, i combattimenti si fermavano�� Il brano in questione era Lili Marlen, trasmesso come sigla ogni sera, poco prima delle 22,00, dall�emittente per i soldati tedesca Soldatensender, installata a Belgrado e con due altre sedi dislocate in Grecia, tanto potenti da raggiungere i combattenti a grande distanza, non solo quelli del Terzo Reich ma anche i nemici sui vari fronti, dalle sabbie del Sahara al gelo della Russia, a Parigi, a Londra, ec.. Cos�, quasi per incanto, ogni sera alla stessa ora le armi tacevano ovunque, per lasciare spazio alle note del brano ed alla sottile nostalgia che le sue liriche risvegliavano nella mente e nel cuore dei militi degli opposti schieramenti: �Vor der Kaserne. Vor dem gro�en Tor� � Davanti alla caserma. Davanti al grande cancello��. Ma quale storia si cela dietro quella canzone? Quale nostalgico ricordo? Il testo del brano venne scritto in realt� nel 1915, durante il Primo Conflitto Mondiale, da un ragazzo poeta di Amburgo: Hans Leip, in procinto di partire per il fronte russo. Si trattava in origine di una poesia dal titolo Lied eines Jungen Wachtpostens che in italiano significa Canzone di una Giovane Sentinella, dedicata a dire il vero a due fanciulle in una: la sua fidanzata Lilli, che soleva attenderlo fuori dalla caserma sotto un lampione, ed un�infermiera di nome Marleen, che aveva accudito un suo caro amico che alla fine si era innamorato di lei. Dall�unione dei due nomi nasceva il personaggio di Lili Marlen, che l�autore si augurava di ritrovare alla fine del conflitto: �Wie einst Lili Marleen � Come una volta Lili Marlen�. Dunque un testo tutt�altro che guerresco e piuttosto pacifista. Per la cronaca, Hans Leip riusc� a sopravvivere alla guerra ed a tornare, anche se non sappiamo se rivide la bella �Lilli dai bei capelli d�or�. La poesia venne ripubblicata nel 1937, insieme alla raccolta di cui faceva parte, ed una cantante tedesca, Lieselotte Helene Berta Bunnenberg, in arte Lale Andersen, colpita dalle parole del testo, dopo un primo tentativo con scarso successo di farla musicare dal compositore suo amico Rudolf Zink, si rivolse ad un altro musicista, tra l�altro suo ex: Norbert Schultze, i cui lavori riscuotevano i favori del regime. Ne venne fuori un motivo un po� militaresco il cui titolo divenne Lili Marlen ma che agli inizi stent� ad incontrare i favori del pubblico, almeno sino all�agosto del 1941, quando il mondo era ormai in guerra da quasi due anni. Una mattina di quel mese il caporedattore della radio: Karl Heinz Reintgen, ricevette un plico da parte, nientedimeno che, del Feldmaresciallo Erwin Rommel, la Volpe del Deserto, all�interno del quale c�era il disco della canzone, con la raccomandazione di trasmetterlo ogni sera giacch� risultava essere di gradimento a lui ed alle sue truppe. L�idea per� non piaceva al ministro della propaganda nazista Joseph Goebbels che, negli accenni nostalgici e, a suo avviso, scarsamente militari del brano, ravvisava nel suo ascolto una pericolosa tendenza nei soldati a trascurare l�impegno e gli obiettivi militari, per lasciarsi andare a melensi ricordi romantici. Tuttavia quella volta la spunt� Rommel, considerata la grande popolarit� di cui godeva tra il popolo e fra i soldati, e Lili Marlen venne trasmessa come sigla di chiusura dei programmi raggiungendo anche le schiere avverse. Fra militari e civili, fossero essi tedeschi, alleati o nemici, ben cinque milioni di persone attendevano ogni sera, alla stessa ora, la diffusione di quelle note e di quelle liriche, grazie anche alle altre emittenti radiofoniche straniere che captavano il segnale, ritrasmettendolo. Ben presto cominciarono a circolare nuove versioni della canzone, tradotta nelle pi� svariate lingue: francese, inglese, italiano, spagnolo, olandese, portoghese, svedese, russo, turco, arabo, lingue africane e via dicendo, sino addirittura ad annoverare una versione in latino. Alla fine della guerra, tuttavia, un alone di sospetto cominci� ad aleggiare intorno a Lili Marlen, poich� ricordava comunque l�epoca dei combattimenti, delle bombe e del fuoco delle armi portatili o delle artiglierie, delle incursioni aeree, delle sfide navali a colpi di siluro. Ingiustamente il brano fu etichettato come tedesco e dunque di un regime che aveva scatenato il conflitto. A rimettere le cose a posto ci pens� un�altra cantante e attrice tedesca, che guarda caso aveva lo stesso nome del personaggio: Marlene Dietrich, nota anche come L�Angelo Azzurro, dal titolo di un film del 1930 da lei interpretato. La Dietrich, nonostante non avesse mai rinnegato la sua Patria di origine, aveva scelto di stabilirsi negli Stati Uniti perch� contraria al Nazismo. Rientrata in Germania dopo la liberazione, una sera d�estate del 1945 cant� la canzone in inglese per i soldati americani che, simultaneamente, intonarono all�unisono il motivo: fu come un�ovazione, sancendone cos� il ritrovato successo. Nel corso degli anni Lili Marlen ha ispirato diversi film, uno in particolare che porta lo stesso nome della canzone risalente al 1981, diretto da Rainer Werner Fassbinder e ispirato al romanzo autobiografico della cantante Lale Andersen: Il cielo ha molti colori, con Hanna Schygulla e Giancarlo Giannini come protagonisti, ma ha ispirato anche opere teatrali oltre ad essere stata interpretata da grandi cantanti di fama mondiale. In Italia pregevole resta l�interpretazione fatta da Milva in lingua originale. Oggi, in un clima di crisi che riporta alla memoria sgradevoli immagini passate, chi scrive, avendo vestito e vestendo ancora a volte l�uniforme militare in qualit� di ufficiale, si augura che mai pi� ritorni lo spettro del conflitto e spariscano tutti gli attuali focolai di guerra, in modo che tutte le sentinelle del mondo stiano sempre con la loro Lili, come una volta� Wie einst� Ananas: la storia, le propriet� (Taccuinigastrosofici.it) L�ananas proviene dalla famiglia delle Bromeliaceae e si suppone che sia originario dell�America del Sud, in luoghi come Brasile e Paraguay, dove fu scoperto da Cristoforo Colombo nel 1493. Da qui deriva l�etimologia del nome, gli indios chiamavano questo frutto �anana� ovvero �profumo�, mentre i conquistadores ritenevano che fosse una sorta di �pi�a� tropicale, anzi indiana ed anche in Europa si prese a chiamarla �pigna reale�, visto il suo costo. Difatti solo i reali se ne potevano cibare. Dalle nostre aree continentali si diffuse verso l�Inghilterra nel XVII secolo, ma non riscosse da subito grande successo, quindi si diresse verso est dove fu molto apprezzato dagli asiatici. Infine l�ananas giunse alle Hawaii dove ne progredirono le culture, grazie anche al fatto che all�epoca si conoscevano gi� le sue propriet�: i conquistadores difatti lo mangiavano per prevenire lo scorbuto poich� questo frutto � ricco di vitamina C. Il nome ananas, potrebbe derivarsi invece, non tanto dall�originaria etimologia, ma da due parole arabe �ain-anas�, ossia �occhio umano� per via della forma delle scaglie. Non si sa bene a tutt�oggi a chi spetti la paternit� del nome. La pianta dell�ananas non � difficile da riconoscere: ha foglie lunghe, dure, a forma di lancia e seghettate, raggruppate come a formare una rosa. Dal centro emerge il fiore, ciascuno ha un proprio sepalo che matura e si trasforma in frutto con sulla sommit� delle brattee. Ogni pianta impiega un anno e sei mesi per produrre un singolo frutto. Questo frutto, si sa, ha un cuore giallo fresco e gustoso ed all�esterno ha una scorza dura dal cui colore si comprende il grado di maturazione del fusto. L�ananas si adatta bene ai terreni misti di sabbia e terra ed alle alte temperature. Due note di curiosit�: anticamente si credeva che l�ananas fosse un simbolo di ospitalit�, mentre in alcuni rituali tribali simboleggia la forza ed il successo; gli atzechi ne scrivevano il nome che aveva anche il significato di �colei-che-�-bella-anche-quando-fuori-piove�. La maggior parte dei benefici che si traggono dal consumo dell�ananas, o dei rimedi naturali estratti dal gambo, ruota attorno alla bromelina, il noto super principio attivo che conferisce le caratteristiche propriet� a questo frutto. Come scegliere l�ananas: la maggior parte dei frutti, dopo essere stati raccolti seguitano a maturare, ma l�ananas no. Per scoprire se � stato raccolto maturo occorre osservare la buccia, se � troppo verde o troppo marrone: � poco maturo nel primo caso e troppo maturo nel secondo. Per essere maturo al punto giusto dev�essere di una buona sfumatura color arancio ed avere un gradevole profumo. Per sfruttare a pieno le propriet� della bromelina, l�ananas non va cotto ma consumato crudo: la cottura ma anche la sciroppatura fanno perdere a questo frutto quasi tutte le sue propriet� benefiche. Nel paese degli arcobaleni (di Massimiliano Salvo, �Meridiani� n. 268/22) - Anche se spesso il tempo in Bretagna gioca brutti scherzi, non lo fa mai troppo a lungo. E allora non bisogna scoraggiarsi e, soprattutto, mai rinunciare a immergersi, ruote comprese, in paesaggi dal fascino unico - � bene essere onesti: la pioggia non manca, nemmeno in estate. Il freddo, il vento e i capelli fradici sono compagni di viaggio. E cos� pure le corse in chiesa per ripararsi dal temporale, il ticchettio delle gocce durante la notte, e lo smarrimento quando la mattina bisogna mettersi in sella sotto la pioggerellina. Ma una cosa � certa: ne vale la pena. Perch� in Bretagna basta mezz'ora e il cielo si spalanca, il blu sopra la testa appare e il sole illumina un paesaggio brillante. Piove quasi tutti i giorni: ma anche per questo � indimenticabile. Perch� in Bretagna gli arcobaleni si ripetono, sempre diversi, sempre pi� grandi, sempre pi� vicini, mentre l'orizzonte regala lo spettacolo di temporali in lontananza e raggi del sole che bucano le nubi. La natura domina, gli umani scarseggiano, ma non si � mai soli. Su prati fioriti e spiagge sconfinate, campagne sperdute e scogliere a strapiombo sull'oceano, oltre al fischio del vento ci sono sempre loro: le biciclette. Da Nantes a Carnac - Dieci giorni, 700 chilometri: da Nantes a Le Conquet, sulla punta estrema della Bretagna, dove la Manica incontra l'Oceano Atlantico. La citt� di Nantes � nella regione della Loira, ma � il punto pi� comodo per raggiungere questa parte di Francia in treno o in aereo. Se si decide di pedalare, subito bisogna puntare verso ovest e seguire per una sessantina di chilometri il corso del fiume sino all'Oceano Atlantico, nel lato pi� a nord, altrimenti non resta che scavalcare il ponte strallato che collega Saint-Brevin-les-Pins con Saint-Nazaire. Dopo la palude del Parc naturel r�gional de Bri�re - un labirinto di canali, canne, praterie, fango, barche, pontili, capanne - si entra nella regione amministrativa della Bretagna. Il litorale tra il Golfo di Morbihan e la Baia di Quiberon � ricco di isole e insenature, con casupole dall'intonaco bianco e il tetto grigio che arrivano fin sulla spiaggia. La costa � frastagliata, ma non � necessario seguirne l'andamento, poich� di frequente ci sono battelli che collegano lembi di terra separati da un piccolo braccio di mare, come tra Port Navalo e Point de Kerpenhir. In pochi chilometri si arriva cos� a Carnac, paese con le campagne disseminate da uno dei complessi megalitici pi� estesi al mondo. Da Lorient a Brest - Dopo Lorient � piacevole fare un bagno a Larmore-Plage e poi tirare dritto per una cinquantina di chilometri lungo una strada circondata da cespugli e lambita dall'oceano. A Concarneau � d'obbligo visitare la cittadina fortificata, una delle destinazioni pi� frequentate di tutta la Bretagna. Vale la pena di passare qui la notte, per assistere all'arrivo delle barche cariche di pesci dopo le 22 e alla loro vendita al mercato dell'alba. A questo punto bisogna puntare verso Quimper, capitale della Cornovaglia francese, con i vicoli della citt� vecchia, case a graticcio e chiese dalle guglie gotiche. La meta successiva � la Pointe du Raz, il promontorio a 70 metri d'altezza all'estremit� di Cap Sizun, scolpito dai venti e battuto dalle onde: � questo il punto pi� a occidente della Francia continentale. Pointe du Raz era un nome temuto dai marinai, mentre oggi richiama visitatori per lo strapiombo delle falesie e la vista del faro quadrato sull'Ile-de-Sein, acceso a fine Ottocento e sino al 1995 abitato da guardiani che sfidavano condizioni climatiche proibitive. Trentacinque chilometri e si arriva a Douarnenez, nel XIX secolo fulcro della pesca della sardina, tanto che i suoi abitanti venivano chiamati penn sardin, ovvero �testa di sardina�. �Qui un tempo la vita di tutti girava intorno alla pesca, la lavorazione e l'inscatolamento dei pescetti�, raccontano Gilbert e Vincent Lebert, due fratelli che gestiscono uno dei tanti ristorantini all'aperto nati dentro le antiche botteghe e piccole case dei pescatori. �Ma ancora oggi la tradizione marinara � forte: basta sentire l'odore dell'aria, odora di pesce�. Se si continua lungo la costa, si attraversa il Parco regionale dell'Armorica, con i suoi 500 chilometri di circuiti da visitare in bici, a piedi, a cavallo. La penisola di Crozon, gigantesca croce nel mare d'Iroise, � un concentrato di Bretagna con spiagge, calette, lande di brughiera, porticcioli, acque turchesi e scogliere. Verso nord c'� la valle dell'Aulne marittima, oasi di serenit� con boschi e villaggi che costeggiano l'omonimo fiume: Le Faou � un paesino con abitazioni cinquecentesche in pietra, la chiesa a Rumengol sorge sui resti di un altare druidico. In un'estrema propaggine della rada di Brest si incontra la cittadina di Landerneau, con il suo ponte cinquecentesco ancora abitato che affonda gli archi di pietra dove la marea termina la sua corsa. Se si preferisce risparmiare tempo (e fatica) basta prendere un traghetto a Le Fret e in mezz'ora si passa dalla penisola di Crozon a Brest, citt� portuale a ridosso dell'Atlantico e della pi� grande rada d'Europa. Centoquarantamila abitanti, pesantemente bombardata durante la Seconda guerra mondiale, Brest � un crocevia di attivit� portuali, industriali e militari che le donano il carattere di avamposto sull'oceano spazzato dal vento. Piste ciclabili e strade verdi - La cavalcata tra Nantes e Brest � agevole in una decina di giorni ed � solo uno dei possibili itinerari in bicicletta in Bretagna: nella regione sono infatti 8 i grandi percorsi di piste ciclabili e �strade verdi�, ovvero strade riservate a chi cammina, va in bici o a cavallo. Quasi 2.000 i chilometri segnalati tra strade asfaltate, stradine e sentieri in terra battuta. Il percorso EVI V�lodyss�e � la parte francese dell'Euro Velo 1 che da Capo Nord arriva al Portogallo lungo l'Atlantico; in Bretagna si percorre per 400 chilometri da Roscoff, nella costa nord, sino a Nantes. Un secondo percorso da 200 chilometri porta dalla Manica alla zona atlantica, da Saint-Malo a Redon, lungo il canale d'Ille-et-Rance e della Vilaine e attraversando le citt� di Dinan e Rennes. Un terzo percorso da 200 chilometri imbocca la stessa strada sino a Evran sul canale d'Ille-et-Rance, per poi costeggiare la foresta di Broc�liande sino a Questember. Il quarto percorso � la V�lomaritime, lungo l'EV4 che dalla Francia porta nell'Est Europa: segue la costa nord per 430 chilometri da Mont-Saint-Michel a Roscoff, attraversando Saint-Malo, Dinard, Cap Fr�hel, la Baia di SaintBrieuc, la Costa di granito rosa e la Baia di Morlaix. Il percorso 5 (in via di realizzazione) collega Roscoff con Nantes passando per la costa, ispirandosi al GR34 - Sentiero dei doganieri. Un sesto itinerario attraversa per 120 chilometri da ovest a est l'interno della Bretagna, da Carhaix a Saint-M�en-le-Grand. Il settimo percorso da 150 chilometri passa dalla Manica all'Atlantico, da Roscoff a Concarneu, attraverso le campagne del Finist�re. L'ottavo percorso si addentra invece per 200 chilometri dalla Manica all'Atlantico, con piccole strade lungo boschi e colline dalla baia di Saint-Brieuc sino a Lorient. Qualunque itinerario si scelga, ci si rende presto conto che tra campi di pomodori, nebbioline e soli accecanti, pascoli, balle di fieno, villaggi, chiese diroccate, brughiere di erica e ginestra, ogni singolo chilometro � diverso. �La Bretagna � piccola, ma a percorrerla in bicicletta � molto varia�, conferma Leonardo Corradini, cicloviaggiatore professionista di 42 anni che ha creato il sito lifeintravel.it, un'istituzione nel mondo di chi viaggia pedalando. Da una ventina d'anni Leonardo gira i cinque continenti in sella, dalla Patagonia all'Indonesia, sino al Sudafrica: e, ovviamente, non si � fatto sfuggire la Bretagna. �Basta pedalare 50 o 100 chilometri al giorno e si salta dal mare all'entroterra, sino ai paesini sperduti in mezzo alle campagne. Il paesaggio cambia sempre, ma con la bici non si attraversa soltanto: si vive e si conosce tutto quello che offre. Comprese le intemperie�. Pioggia e vento sono infatti piuttosto frequenti, ma pure il bel tempo. Le ore annuali di sole sono pi� di 2.000 a Carnac, che si trova in una delle zone pi� soleggiate e meno piovose della Bretagna. Indicativamente, l'entroterra � pi� secco, mentre le coste sono pi� ventose e piovose, in particolare a nord-ovest nella zona di Brest. Dove la Bretagna finisce - Ma anche con il cielo grigio e tempestoso � affascinante percorrere la ventina di chilometri che separano Brest da Le Conquet, paese famoso per la pesca di aragoste e granchi sulla punta estrema della regione. Secondo la leggenda, � qui che, trasportando il corpo dell'apostolo Matteo, alcuni mercanti furono miracolosamente salvati dal naufragio. Per ospitare le sue reliquie nel VI secolo venne cos� fondato un monastero di cui oggi rimangono la facciata romanica e le arcate della navata. Ed � proprio in questo punto, come nel giardino dell'abbazia de Finist�re, di fronte al faro bianco e rosso del Pointe Saint-Mathieu o sulla punta di Kermorvan, che la Bretagna finisce. E, posate le biciclette, finalmente si pu� dire: �Siamo arrivati�.