Dicembre 2022 n. 12 Anno LII MINIMONDO Periodico mensile per i giovani Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi �Regina Margherita� Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registrazione #;?aa#1971 n. 202 Dir. Resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Pietro Piscitelli Massimiliano Cattani Luigia Ricciardone Copia in omaggio Rivista realizzata anche grazie al contributo annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero della Cultura. Indice Chiusura per ferie Il decalogo della sostenibilit� digitale C�� un regalo per te Il bambino ritrovato Emilio Salgari: il capitano di carta Lasagne, l'eterna sfida tra Bologna e Napoli Alla scoperta di Stoccolma: un cuore medievale in veste ecosostenibile Maria Grazia Cucinotta non si ferma mai Chiusura per ferie Informiamo i nostri gentili lettori che la Biblioteca rimarr� chiusa per le festivit� natalizie e di fine anno nei giorni dal 27 al 30 dicembre 2022 e riaprir� il 2 gennaio 2023. Con l�occasione auguriamo a tutti buone Feste. Il decalogo della sostenibilit� digitale (di Marco Consoli, �Focus� n. 352/22) - La rivoluzione informatica e digitale impatta sull'ambiente? S�, ma evita anche inquinamenti maggiori. E soprattutto rende il mondo pi� sostenibile, basta usarla nel modo giusto - Gli studi che misurano o stimano le emissioni prodotte dal settore digitale (Internet, smartphone, tv e telecomunicazioni in generale) sono eccezionalmente pochi e i loro risultati sono molto variabili e spesso anche controversi. D'altronde ogni tentativo di calcolare le emissioni prodotte da un settore si basa su stime che possono essere anche molto diverse e non sempre corrette. Lo studio pi� citato dai media sulla questione � stato realizzato dal centro studi francese The Shift Project e stima le emissioni provocate dal settore digitale nel 2020 al 4% delle emissioni totali. � tanto o poco? Ma soprattutto le tecnologie digitali sono sostenibili dal punto di vista ambientale? Ne abbiamo parlato con Stefano Epifani, presidente della Fondazione per la sostenibilit� digitale che da anni si occupa di spiegare come la tecnologia non solo non debba essere demonizzata, ma sia un alleato imprescindibile nel salvaguardare il Pianeta, produrre ricchezza e stimolare un impatto positivo sulla societ�. �In realt� non si pu� dire a priori se una tecnologia sia sostenibile o meno se non guardando all'intero ecosistema tecnologico nel quale essa viene adottata�, spiega Epifani. In altre parole, �le tecnologie possono essere pi� o meno energivore, ma ci� che conta � usarle a supporto del perseguimento di obiettivi di sostenibilit� ambientale, sociale ed economica�. - Le ricerche del vostro istituto dicono che gli italiani sono piuttosto arretrati quanto a conoscenza e impegno per la sostenibilit� digitale. �Vero. Ad esempio in tema di mobilit� sostenibile, il 62 per cento delle persone intervistate dice di conoscere le app di car sharing o car pooling e il relativo valore di sostenibilit�, ma solo il 20 per cento afferma di usarle. Evidenze simili si trovano riguardo all'uso di strumenti digitali per consumare meno energia o ridurre gli sprechi alimentari�. - A proposito di consumi energetici e relative emissioni di CO2, non sar� che ognuno di noi ha troppi device? �Se � indubitabile che avere uno smartphone e uno smartwatch impatti pi� che avere un solo congegno, la domanda � quale sia il risparmio complessivo nei nostri processi ottenuto con essi. Bisognerebbe semmai riflettere sul fatto che le aziende spingono per farli cambiare con nuovi modelli. Di sicuro si pu� prolungare la vita dei vecchi, e pretendere che vengano introdotte norme per spingere i produttori a introdurne nuovi pensati secondo modelli di economia circolare, ad esempio attraverso la standardizzazione di componenti come i caricabatterie o i jack. Tuttavia la soluzione al problema � pi� complessa di cos�. - In che senso? �Bisogna bilanciare lo sviluppo tecnologico che produce device che impattano sempre meno con la capacit� degli stessi di durare sempre pi�, perch� a un certo punto prolungarne la vita potrebbe essere meno sostenibile che usare modelli nuovi meno impattanti�. - Tra i modi per usare la tecnologia in maniera pi� sostenibile, il vostro istituto pone l'accento sul corretto uso del cloud. �S�, perch� ogni cosa archiviata nel cloud ha un impatto energetico, quindi dobbiamo riflettere sulla quantit� di informazioni e sulle dimensioni dei file da conservare o su attivit� come lo streaming. Allo stesso tempo le aziende dovrebbero avvertire gli utenti quando vogliono inviare file troppo grandi e ci� non � necessario, come per esempio quando si manda una foto con un software di messaggistica�. - Lei � contrario all'uso voluttuario di Internet, ad esempio per guardare video o immagini su alcuni social network? �In realt� no, perch� limitarlo rischia di allontanare le persone dalla tecnologia ancor pi� e quindi di ridurre i benefici che derivano da altre applicazioni della stessa. Semmai bisognerebbe preoccuparsi della sostenibilit� sociale di queste piattaforme basate sull'utilizzo pubblicitario dei dati degli utenti�. - Quali sono le applicazioni virtuose in tema di sostenibilit� digitale? �Alcune sono a portata di smartphone, come quelle per telecontrollare il riscaldamento in casa e risparmiare denaro ed emissioni. Ma ci sono anche strumenti per scegliere rotte di traffico a impatto pi� basso. Il problema � utilizzarle. Quanto a quelle per sprecare meno cibo bisogna evitare che se ne faccia un uso distorto, aspettando l'ultimo minuto per comprare a un prezzo migliore il cibo eccedente dei supermercati, favorendo cos� lo spreco che si vorrebbe combattere�. - La gig economy, ovvero l'economia dei lavoretti, quel settore che si basa su nuove tecnologie e una manodopera che lavora in maniera saltuaria e flessibile, � sostenibile? �La tecnologia digitale ha reso pi� organizzato qualcosa che esisteva anche prima: arrotondare tagliando l'erba al vicino. Il problema di sostenibilit� non � tanto nell'economia dei lavoretti in s�, ma nel fatto che questa venga vista non come uno strumento per arrotondare ma per risolvere il problema della mancanza di occupazione, con l'applicazione a essa delle stesse dinamiche dell'economia del lavoro. La gig economy dimostra che la tecnologia digitale abilita nuove forme di lavoro ma evidenzia anche che queste ultime non sempre rispondono a criteri di sostenibilit� sociale ed economica�. - L'innovazione tecnologica pi� recente � quella della blockchain, una tecnologia che sfrutta le caratteristiche di una rete informatica di nodi e consente di gestire e aggiornare, in modo univoco e sicuro, un registro contenente dati e informazioni (per esempio transazioni) in maniera aperta, condivisa e distribuita senza la necessit� di un�entit� centrale di controllo e verifica. Porter� benefici o meno? �Se ne parla solo associandola ai Bitcoin e all'enorme dispendio energetico per produrli, ma ne esistono anche altri tipi pensati per supportare processi di sostenibilit�. Il costo economico e quello sociale del riciclo della plastica ad esempio sono pagati da produttore e consumatore, mentre con la blockchain si pu� parcellizzarlo attraverso tutta la catena del prodotto, e premiare con un vero guadagno chi si comporta in maniera virtuosa e viceversa. Cos� una tecnologia che magari richiede l'emissione di una tonnellata di CO2, pu� diventare utile perch� permette di risparmiarne 10. E il bilancio diventa sostenibile�. C�� un regalo per te (di Massimo Manzo, �Focus� n. 351/22) - L�usanza di scambiarsi doni � vecchia quanto l�uomo. Ma nel corso dei secoli ha mutato il proprio significato - Compleanni, anniversari, feste comandate e celebrazioni d'ogni sorta: nel mondo contemporaneo tutte le occasioni sono buone per regalare qualcosa, da costosi gioielli a economici souvenir, passando per capi d'abbigliamento e manufatti di qualsiasi foggia e prezzo. Ma quando � nata l'abitudine di scambiarsi dei doni? E quali sono stati, nelle epoche passate, i regali pi� ambiti e le occasioni di scambio pi� frequenti? L'usanza del dono ha origini antichissime ed era conosciuta persino dai nostri antenati preistorici, che solevano offrire ai capitrib� rudimentali �souvenir� come denti di animali, cortecce e pietre, adatti a essere intagliati per costruire armi o adornare collane o gioielli. �Nelle popolazioni dedite alla caccia e alla raccolta, per loro natura egalitarie, il concetto di dono era tuttavia limitato, ma tutto cambi� con la diffusione dell'agricoltura e dell'allevamento, intorno al X secolo a.C., quando le societ� diventarono pi� complesse e opulente introducendo importanti differenze di classe di cui i regali divennero il simbolo tangibile�, spiega Davide Torsello, professore di antropologia alla Central European University di Vienna. L'antico Egitto fu una delle prime civilt� che vide una grande diffusione del dono. Nel giorno della loro incoronazione, considerata come una sorta di rinascita, i faraoni ricevevano, tra le altre cose, raffinati monili, vesti, oro, armi e parti del raccolto. Oltre a offerte votive agli d�i, i regali accompagnavano inoltre i defunti nel loro viaggio verso l'aldil�, rendendo pi� confortevole la loro vita ultraterrena: accanto ad amuleti benauguranti, cibi e suppellettili, i morti erano spesso accompagnati dai cosiddetti ushabti, statuette dalla forma umana che avrebbero �servito� il defunto come fedeli domestici anche nel mondo dei morti. Lo scambio di doni continu� a essere comune sia nell'antica Grecia sia a Roma, dove le occasioni per farsi regali non mancavano. �I matrimoni sono stati, fin dall'antichit�, una circostanza in cui le famiglie si scambiavano doni che suggellavano un nuovo legame sociale e di parentela�, precisa l'esperto. �Nelle societ� guerriere, tra i beni pi� ambiti c'erano le armi, il cui scambio tra i combattenti assumeva la valenza di rituale, come testimoniato da episodi raccontati nell'Iliade e nell'Odissea di Omero (VIII secolo a�C�)�. Il tipo di regali era spesso legato al sesso del ricevente: gli oggetti �durevoli� come armi e manufatti metallici erano riservati agli uomini, mentre per le donne si preferivano stoffe, tessuti, gioielli e unguenti. Tra i Greci, una delle usanze pi� osservate era quella di onorare il viandante concedendogli vitto, alloggio e regalandogli cibi e provviste utili a continuare il viaggio, nella convinzione che sotto le vesti del pellegrino potessero celarsi divinit� sotto mentite spoglie che era meglio non offendere. Incredibilmente simili alle abitudini natalizie moderne furono poi le festivit� romane dei Saturnali, che si tenevano dal 17 al 23 dicembre di ogni anno in onore del dio Saturno. In quei giorni, tra eventi pubblici, abbondanti banchetti e chiassose riunioni familiari, i Romani dimenticavano le differenze sociali regalandosi un'ampia variet� di doni. Da alcuni epigrammi di Marziale scopriamo che in queste occasioni si scambiavano regali economici come dadi, candele di cera colorata, abiti, libri, una moneta, piccoli animali domestici. Per la gioia dei pi� piccini c'erano variegati giocattoli di terracotta. Tra gli adulti, a spopolare erano invece i cosiddetti sigilla, statuette di ogni foggia e prezzo raffiguranti spesso divinit� (dai pi� economici di creta o coccio a quelli di bronzo o oro) scambiate in segno di buon augurio e vendute nelle affollate baracche del Campo Marzio. �L'elemento scaramantico presente nella cultura romana � rimasto in molte usanze popolari, tanto che certi oggetti, se donati, acquisiscono un potere simbolico molto forte sia in negativo sia in positivo�, chiosa Torsello. �Un esempio � quello dei fazzoletti di stoffa, che secondo la tradizione popolare italiana sarebbero forieri di lacrime, ma che in Paesi lontani da noi, come il Giappone, sono al contrario dei regali molto graditi�. Nel Medioevo e nel Rinascimento la cultura del dono divenne centrale in molti aspetti della vita sociale, stimolata dall'esempio del cristianesimo, che incoraggiava a elargire gratuitamente ai poveri denaro, cibo e vestiti per alleviare le loro sofferenze. Negli ambienti aristocratici, invece, i regali divennero sempre pi� raffinati, rimanendo un mezzo per assicurarsi il favore personale del re o del signore o per dimostrare la propria ricchezza di fronte ai propri pari rango: dalle monete ai metalli preziosi, nel novero degli omaggi pi� ambiti dalla nobilt� rientravano raffinate armature o cavalli e cani di razza da utilizzare a caccia o in guerra. A ci� si aggiunse un nuovo manufatto costosissimo: il libro. Bibbie e preziosi manoscritti intarsiati erano all'epoca delle autentiche opere d'arte di cui gli aristocratici amavano fare sfoggio. Eventi come fidanzamenti, matrimoni o nascite rimasero invece le principali occasioni in cui le dame ricevevano regali decorati con temi che celebravano un'unione fertile ed esaltavano qualit� come la purezza e la fedelt� coniugale, tra i quali spiccavano oggetti da toeletta, cofanetti e specchi intarsiati o cassoni dipinti in cui riporre il corredo nuziale. Non mancavano peraltro sfarzosi omaggi diplomatici pensati per instaurare proficue relazioni tra Stati o sovrani. �� interessante notare come nelle culture dove il dono � pi� importante, spesso si manifestino anche regalie non proprio legali e i fenomeni di corruttela siano pi� diffusi�, precisa Torsello. Alcuni doni rinascimentali sono rimasti celebri, come quello scelto nel 1514 da re Manuele I del Portogallo per papa Leone X in occasione della sua incoronazione. Si trattava di un elefante bianco, trasportato dalla penisola iberica a Roma e a cui fu dato il nome di Annone (dall'omonimo generale cartaginese), diventato presto l'emblema della ricca corte papalina agli occhi del popolo romano. Stravaganze a parte, con l'avvento della moderna rivoluzione industriale e lo sviluppo della societ� consumistica l'usanza del dono ha perso la �solennit� dei secoli passati diventando un business diffuso in tutti gli strati sociali. A inaugurarlo fu la nascita dello shopping, stimolata a partire dalla met� del XIX secolo dalla costruzione dei primi grandi magazzini e, in seguito, dei centri commerciali, immense aree colme di merci pronte a essere comprate da una borghesia sempre pi� benestante. Per stimolare l'acquisto dei propri prodotti, le grandi aziende hanno cos� trasformato festivit� tradizionali come Natale o San Valentino in celebrazioni incentrate sullo scambio di regali, trasformandoli in parte integrante della nostra quotidianit�. �In molti casi le aziende hanno preso spunto da racconti o personaggi folcloristici tradizionali rendendoli testimonial d'eccezione per i loro prodotti, com�� avvenuto a Santa Claus (Babbo Natale), gi� conosciuto nelle saghe popolari ma reso un'icona dalla Coca-Cola a partire dagli anni '30�, spiega l'esperto. �La forza che hanno acquisito tali simboli consumistici non � stata tanto merito dei ricchi quanto della classe media, destinataria principale delle moderne campagne pubblicitarie e di marketing�. Le cose non sono cambiate con l'avvento del nuovo millennio, caratterizzato dallo shopping online e dalle sempre pi� pervasive piattaforme di e-commerce, dove per regalare qualcosa basta un semplice click. Grazie alla tecnologia, un'usanza vecchia di millenni � pi� viva che mai. Un regalo colossale Per commemorare la propria amicizia con il popolo americano e celebrare il primo centenario dalla Dichiarazione di indipendenza, nel 1876 la Francia decise di donare agli Stati Uniti una statua colossale divenuta in seguito il simbolo stesso della nazione statunitense e che ancora oggi svetta maestosa sull'isolotto di Liberty Island, nella baia di New York. Parliamo della �Libert� che illumina il mondo�, meglio nota come �statua della Libert�, capolavoro di arte e ingegneria realizzato dallo scultore francese Fr�d�ric Auguste Bartholdi con la collaborazione dell'ingegnere Gustave Eiffel, lo stesso dell'omonima torre. Con un peso di 156 tonnellate e un'altezza di 46 metri (a cui si aggiungono altri 47 metri di basamento, costruito dagli americani), il gigantesco regalo fu inaugurato nel 1886 e raffigura in stile neoclassico la dea della Ragione, che ha in testa una corona a sette punte (simbolo dei sette mari) e impugna in una mano una fiaccola (emblema della libert�) e nell'altra una tavola su cui � scritta la data dell'indipendenza: 4 luglio 1776. Il bambino ritrovato (di Riccardo Michelucci, �Focus Storia� n. 191/22) - Entr� ad Auschwitz a 11 anni, ne usc� vivo grazie a un medico ebreo, raccont� tutto e poi spar�. Fino ad oggi. � la storia di Luigi Ferri - �Non ricordo in quanti del nostro convoglio entrarono nel lager. Io feci di tutto per rimanere con la nonna. Le Ss ci ordinarono di disporci in fila per cinque e ci scortarono lungo una strada che dalla rampa di arrivo si inoltrava in un bosco. C'erano dei reticolati che, in seguito, seppi essere elettrificati ad alta tensione. Dopo un percorso che allora mi sembr� lungo, perch� eravamo sfiniti dalla fame e dalla sete, arrivammo a un grande caseggiato destinato alla disinfezione dei prigionieri�. Luigi Ferri � stato uno dei pochi bambini sopravvissuti ad Auschwitz. Venne internato ad appena 11 anni a Birkenau, il campo di lavoro con annesso il centro di sterminio dove vennero assassinati nelle camere a gas almeno 860-mila ebrei provenienti da tutta Europa. Insieme a Primo Levi fu anche tra i pochissimi prigionieri italiani presenti all'interno del campo il giorno della liberazione, il 27 gennaio 1945. �Non riuscivo ancora a credere di essere libero e vivo. A volte provavo la stessa sensazione di terrore dei giorni prima della liberazione�, racconta. Pochi mesi dopo il ritorno in libert�, Ferri ebbe il coraggio di descrivere a una giuria polacca i crimini cui aveva assistito durante la sua prigionia. Parl� dell'esistenza delle camere a gas in una deposizione ufficiale di fronte alla Commissione d'inchiesta polacca di Cracovia. Ma subito dopo fece perdere le sue tracce, relegando nell'oblio l'esperienza che aveva segnato per sempre la sua vita. Prov� a scordarsi di avere il numero B7525 tatuato sul braccio sinistro e rimase in silenzio, per cercare di allontanare quel trauma indicibile e costruirsi un'esistenza normale. Col tempo Luigi Ferri � diventato quello che lo storico Bruno Maida, autore di approfondite ricerche sui minori vittime dei nazisti, ha definito �il bambino scomparso di Auschwitz�, ovvero l'unico dei 25 italiani sopravvissuti di et� inferiore ai 14 anni di cui non si era saputo pi� niente. Nelle pubblicazioni ufficiali del Museo di Auschwitz � l'italiano pi� citato dopo Primo Levi, ma per decenni gli storici, gli studiosi e i centri di ricerca hanno setacciato invano gli archivi per trovarlo e raccogliere la sua testimonianza, che � una delle poche mancanti anche nel monumentale archivio del Centro di documentazione ebraica contemporanea, a Milano. Oggi, alla soglia dei novant'anni, Ferri ha accettato di parlare del bambino che fu con Frediano Sessi, uno dei pi� autorevoli studiosi italiani della Shoah, che l'ha raccontata in un libro uscito da poco: Il bambino scomparso. Una storia di Auschwitz (Marsilio). Sessi ci ha spiegato di essere arrivato a Luigi Ferri quasi per caso, avvicinandolo in punta di piedi. �Frequento gli archivi di Auschwitz ormai da pi� di trent'anni e tempo fa stavo cercando testimonianze scritte e orali di ex deportati italiani che, dopo la liberazione del campo, erano rimasti nei padiglioni attrezzati a infermeria per recuperare le forze e rimettersi in salute�, racconta lo studioso. �Anche Ferri rimase a vivere per un periodo tra i blocchi infermeria del campo base e nell'archivio mi sono ritrovato per le mani il materiale inedito che lo citava. Gli ho scritto una lettera per chiedergli se acconsentisse a raccontare ulteriori particolari sulla sua vicenda ad Auschwitz. Lui ha accettato a patto che parlassimo soltanto di quel bambino che ha confinato in un angolo buio della sua mente, non dell'adulto che � diventato dopo�. Sessi si � trovato di fronte un uomo molto anziano con una memoria del tutto intatta, che ha raccontato la storia di quel bambino come se fosse un'altra persona: �Per non impazzire, e per cercare di ricostruirsi una vita normale, ha dovuto quasi sdoppiarsi nascondendo la sua tragedia. Il tempo non ha lenito le sue ferite. Ripensare a quei giorni � tuttora un'esperienza cos� sconvolgente che poi necessita di qualche giorno per fargli confinare nuovamente quei ricordi nel buio in cui li ha lasciati�. Figlio di una donna cattolica originaria di Fiume e di Julio Frisch, ebreo di lingua tedesca, Luigi Ferri fu catalogato come �ariano�. Ma il 1o giugno del 1944 sal� volontariamente sul treno per Auschwitz per non allontanarsi dalla nonna ebrea, che venne arrestata in una retata nazifascista a Trieste. Un ufficiale gli disse chiaramente che poteva restare a casa ma lui la segu�, costringendo i carcerieri a portarlo al binario: la nonna era il suo unico punto di riferimento e lui non voleva in alcun modo separarsi da lei. �Qualcuno ha scritto di me che ebbi il coraggio di non abbandonare la nonna, come se da cos� piccolo avessi gi� la consapevolezza di quello che accadeva agli ebrei deportati e il mio fosse un gesto emblematico di grande amore. Ma non fu cos�. Luigi era un bambino sveglio, che sapeva come cavarsela ed era gi� bilingue, perch� conosceva molto bene il tedesco. Fu senz'altro favorito dalla padronanza della lingua dei carcerieri, perch� nel lager si poteva morire anche soltanto per non aver capito un ordine. Quando arriv� ad Auschwitz, i primi di luglio del 1944, nel lager regnava il caos assoluto. I nazisti stavano sterminando gli ebrei ungheresi a un ritmo forsennato, circa 25-mila al giorno. Lui si salv� perch� ebbe la fortuna di imbattersi nel dottor Otto Wolken, un detenuto ebreo austriaco che nella quarantena maschile di Birkenau sostituiva il medico delle Ss e godeva di una certa libert� di movimento. Senza di lui il piccolo Luigi non sarebbe mai uscito vivo dal campo. Wolken divenne il suo angelo custode: gli spieg� le regole essenziali per cercare di sopravvivere, si preoccup� di rifornirlo di cibo e di acqua, and� a trovarlo spesso per rincuorarlo. �Mi ripeteva di non farmi illusioni�, racconta Ferri, �e mi diceva: la dote che devi sviluppare di pi� � l'attenzione a ogni pericolo incombente, che non sempre potrai allontanare da te�. Tra i due nacque un affetto profondo che prosegu� dopo la liberazione, anche perch� Ferri era rimasto orfano e il medico austriaco divenne per lui un secondo padre. In realt� Otto Wolken rappresent� un'ancora di salvezza per molti deportati ed � il vero eroe di questa storia. Un uomo con un profondo senso della giustizia che aggiornava di nascosto un registro dei fatti terribili che accadevano nella quarantena maschile: gli arrivi e i trasferimenti, le malattie, le fucilazioni e le selezioni per la camera a gas, oltre al vero motivo dei decessi dei deportati. Quando si sapeva ancora ben poco sul sistema concentrazionario di Auschwitz, svel� ai giudici del processo di Cracovia molti dettagli sull'organizzazione e la vita dei prigionieri, indic� con precisione i nomi dei responsabili e infine lasci� documenti preziosi negli archivi dell'ex campo di concentramento. Wolken era stato incaricato di compilare rapporti scritti per i medici delle Ss ed era quindi autorizzato a scrivere. Di notte riponeva i documenti clandestini sotto i materassi dell'infermeria e quando aveva sentore di qualche rischio scavava per nasconderli sotto terra. In calce al libro di Sessi � riportata la raccapricciante cronaca inedita dal campo di Birkenau, compilata da Wolken proprio sulla base di quegli appunti. Nel 1967 il medico torn� ad Auschwitz insieme a Ferri per l'inaugurazione del monumento internazionale alle vittime del campo, alla quale presenziarono circa 200-mila persone, tra cui molti ex deportati. �Il bambino scomparso� aveva allora 34 anni e quel ritorno fu per lui un'esperienza assai traumatica. �Ho pianto da morire, mi ha sconvolto solo il fatto di essere di nuovo l�, ricorda. All'epoca accett� di rilasciare un'intervista a un settimanale tedesco, si fece fotografare all'interno di una baracca di legno della quarantena maschile e accanto alle rovine del crematorio ma poi spar� di nuovo, facendo perdere le sue tracce per altri cinquant'anni. Gi� autore di numerose biografie di vittime della Shoah, nonch� curatore dell'edizione italiana del Diario di Anne Frank (Einaudi), Sessi spiega che a differenza dei molti sopravvissuti che non hanno mai raccontato niente e dei pochi che invece ne hanno scritto, magari in tarda et�, Luigi Ferri ha deliberatamente cancellato ogni traccia di s� scegliendo di dimenticare Auschwitz per salvarsi dalla �sindrome del sopravvissuto�. Ma allora perch� insistere nel cercare di conoscere la testimonianza anche del bambino che fu? �Non per aggiungere la sua voce a quella dei testimoni che hanno gi� parlato, ma per riflettere su quel lungo silenzio. Soltanto ricostruendo la sua storia e quella di chi non ha mai raccontato quell'esperienza possiamo comprendere quanto � stato profondo il trauma per le singole vittime e per l'intera umanit�, conclude Sessi. Emilio Salgari: il capitano di carta (di Paola Panigas, �Focus Storia� n. 191/22) - Lo scrittore sognava una vita da esploratore, ma mentre i suoi eroi veleggiavano verso i Tropici, lui si ammazzava di lavoro, tormentato dai debiti - �Tigre della magnesia, cos� era soprannominato Emilio Salgari dai suoi contemporanei�, racconta strappando un sorriso ai suoi lettori Felice Pozzo, considerato un decano degli studi salgariani, nella biografia intitolata La vera storia di Emilio Salgari (Odoya), da poco pubblicata in occasione dei 160 anni dalla nascita dello scrittore. Le mille avventure che l'antieroe della letteratura italiana ci ha raccontato nei suoi 89 romanzi e oltre 400 racconti, tradotti in quasi tutto il mondo, infatti, non erano autobiografici, bens� frutto della sua fervida fantasia e di accurati e pedantissimi studi in biblioteca. I Paesi esotici, Salgari, li aveva solo immaginati dal divano di casa. Non aveva viaggiato molto, a parte qualche comoda trasferta in treno, aveva conosciuto solo le acque del natio Adige e dell'Adriatico, dove aveva navigato per tre mesi a bordo dell'Italia Una, uno scassatissimo mercantile che faceva la spola tra Venezia e Dubrovnik. L�autore de Le tigri di Mompracem di animali esotici in carne e ossa non ne vide mai. Tantomeno visse in prima persona il sangue, le torture, i tradimenti, le passioni ardenti e la sete di vendetta, veri protagonisti dei suoi romanzi. A parte un controverso episodio di giovent�, su cui ricam� parecchio la cronaca locale, quando sfid� a duello (era un campione nella sciabola) un collega giornalista dell'Adige, che aveva osato mettere in dubbio il suo curriculum nautico, condusse una vita appartata e un po' triste. Per la verit� l'unico sangue che deve aver visto scorrere a fiotti fu il suo. Prima, quando tent� il suicidio nel 1909, gettandosi su una spada e salvato all'ultimo dalla figlia Fathima. E infine quando si squarci� ventre e gola con un rasoio il 25 aprile del 1911. Mentre Torino festeggiava i cinquant'anni dell'Unit� d'Italia, lui che di anni ne aveva appena 49, si tolse la vita in modo talmente cruento da ricordare le feroci morti dei suoi avventurosi personaggi. Unica gioia, l'amatissima moglie Ida Peruzzi, soprannominata Aida (come l'eroina verdiana) da Salgari. Un'attrice di teatro sposata nel 1892, che lo scrittore fu costretto suo malgrado a far ricoverare in manicomio, a soli 42 anni, dopo avergli dato quattro figli: Fathima, Nadir, Romero e Omar. Gi� dai nomi dei bambini s'intuisce quanto fascino esercitasse su Salgari l'Oriente. Aveva alimentato la sua passione per le terre lontane, �nutrendosi� fin da ragazzo dei grandi romanzi scritti da mostri sacri come Jules Verne, Alexandre Dumas (padre) e Edgar Allan Poe, divorando atlanti e dizionari, e senza farsi mai mancare le sue riviste predilette: Il Giornale Illustrato dei Viaggi (pubblicato da Sonzogno) e La Valigia (edito da Galbini). Grazie all'ispirazione dei suoi idoli letterari riusc� a raccontare in modo sempre originale le avventure di pirati, corsari, fanciulle dall'incarnato di perla e bestie feroci, pur senza mai prendere il mare. Le sue ambizioni di capitano, infatti, vennero stroncate sul nascere: con suo grande rammarico, non riusc� mai a conseguire il diploma all'Istituto di marina mercantile di Venezia. Lo scrittore fond� il suo esordio su una menzogna, anzi due: il 9 luglio 1883, proponendo al settimanale La Valigia un racconto intitolato I selvaggi della Papuasia, scrisse di essere �un antico cadetto della marina mercantile� che aveva �viaggiato il mondo, assai studiato, assai provato�. Queste innocenti bugie, che oggi fanno sorridere e fin troppo facili da smascherare, diventarono un vezzo che si port� dietro tutta la vita. La verit� era che Salgari non si era mai allontanato troppo dalle terre natie, se non da Verona, dove nacque nel 1862, fino a Venezia, dove avrebbe dovuto conseguire il diploma, affidato a una zia materna che lo accud� come un bamboccione. L'altro grande spostamento della sua vita, si fa per dire, fu il trasferimento in Piemonte con la famiglia per pubblicare i suoi romanzi con l'editore Speirani. Ma la sua pi� grande frustrazione, e qui veniamo all'altra piccola-grande bugia, era non essere riuscito a conseguire un titolo di studio n� al Regio istituto tecnico, n� a quello della marina mercantile: pur avendo 9 in italiano, veniva sempre rimandato a ottobre nelle materie scientifiche, senza riuscire poi a essere ammesso agli anni successivi. Il fallimento venne in parte ammesso nel 1905, quando scrisse: �A 12 anni nelle scuole, con non molto piacere dei miei maestri, invece di studiare scrivevo lavori. Giacch� gli studi non andavano avanti, si figuri che mi chiamavano il vecchione e la pietra angolare degli studenti perch� mi soffermavo sovente qualche tre annetti nell'istessa classe�. �La vita � come un pendolo� � il famoso incipit del primo di tre articoli anonimi, attribuiti a Salgari, dedicati al suicidio, a soli 35 anni, del capitano Giacomo Beve, un esploratore che aveva molto ammirato. E la vita dello scrittore fu proprio cos�: un alternarsi di grandi soddisfazioni e cocenti delusioni. Capitano mancato, ripieg� sul giornalismo prima per La Nuova Arena poi per L'Arena (il pi� importante quotidiano di Verona), firmando articoli con lo pseudonimo l�Ammiragliador, sia come cronista locale sia critico musicale e teatrale. Negli stessi anni esord� come scrittore d'avventure: nel 1883 usc� La tigre della Malesia, primo romanzo del ciclo di Sandokan, pubblicato a puntate sul quotidiano di Verona, ma retribuito solo con una torta e una bottiglia di vino. Salgari, scrittore indefesso, non si perse d'animo, come spiega Pozzo: �L'anno 1887 non poteva iniziare nel modo migliore per Salgari, che si sentiva sempre pi� romanziere e sempre meno giornalista. Il quotidiano di Livorno, Il Telefono, inizi� infatti a pubblicare le 77 puntate de Gli strangolatori del Gange. Anche l'anno 1888 port� al Salgari scrittore una soddisfazione non da poco. La Casa Editrice Guigoni pubblic� infatti Duemila leghe sotto l'America, romanzo di evidente ispirazione verniana (Viaggio al centro della Terra e Ventimila leghe sotto i mari)�. � vero che Salgari amava scrivere, ma � altrettanto vero che nella neonata Italia, una nazione povera, dove il tasso di analfabetismo nel 1861 era in media al 73%, in decrescita fino al 48,5% del 1901, l'editoria non era ancora regolamentata. E persino ai best seller salgariani non era riconosciuto un compenso per i diritti d'autore, come si deduce da questa lettera del 1928: �Il Sig. Prof. Salgari cede al Sig. Donath la propriet� esclusiva e perenne per l'Italia del romanzo originale italiano I misteri della jungla nera, gi� pubblicato in appendice nel giornale La Provincia di Vicenza col titolo L'amore di un selvaggio, riservandosi il diritto per la pubblicazione fatta all'estero o in Italia dello stesso romanzo in lingua diversa dalla italiana, e obbligandosi naturalmente a non farne ulteriore cessione ad altro giornale. Il Sig. Donath corrisponder� in pagamento al Sig. Prof. Salgari la somma di lire 300 pagabili in tre rate�. La paga da fame costrinse �il pap� di Sandokan� a diventare un �forzato della penna�, come si defin� lui stesso. Per mantenere la famiglia doveva pubblicare almeno tre libri all'anno, usando pseudonimi per aggirare i contratti di esclusiva che lo legavano a un editore. �A fine Ottocento furono parecchi ad arricchirsi sul suo lavoro�, spiega Pozzo, �come scrisse Salgari il 22 aprile 1911, indirizzando una lucida e terribile lettera di accusa agli editori, ossia, Bemporad di Firenze, Donath edizioni di Genova, Paravia di Torino, Fratelli Treves di Milano, G. Cogliati di Milano, Salvatore Biondo di Palermo e Belforte di Livorno. Giulio Speirani e Figli non furono nominati. Il rapporto con quegli editori era stato infatti soddisfacente e i contatti sarebbero proseguiti nel tempo, ossia anche dopo il 1897, anno in cui Salgari stipul� un contratto in esclusiva con l'editore Donath di Genova e fu costretto a lasciarli�. Salgari fu lo scrittore peggio pagato della sua epoca, costretto a un superlavoro. Si sfogava in una lettera del 1909 a Giuseppe Garuti, alias Pipein Gamba, storico illustratore del Corsaro Nero: �Sono inchiodato al mio tavolo per molte ore al giorno ed alcune della notte, e quando riposo sono in biblioteca per documentarmi. Debbo scrivere a tutto vapore cartelle su cartelle e subito spedire agli editori senza aver avuto il tempo di rileggere e correggere�. Per sostenere questi ritmi micidiali fumava un centinaio di sigarette al giorno, buttando gi� litri di Marsala: lui lo considerava un tonico per il suo fisico, che era stato di sportivo, appassionato di scherma, nuoto e ciclismo, ma che ormai non lo sosteneva pi�. Lo stress si tradusse in crisi depressive che nel 1909 culminarono nel primo tentativo di suicidio. Il colpo di grazia arriv� quando fu costretto a internare la moglie in manicomio, non avendo la disponibilit� economica per pagare una clinica. La mancanza di mezzi, insieme ad altre frustrazioni, come lo scontro con gli editori che non gli pagavano i diritti d'autore e lo smacco di non essere considerato nei circoli letterari, furono alcune delle cause che lo portarono all'estremo gesto. Ma non senza aver lanciato prima un pesante j'accuse ai suoi editori: �A voi che vi siete arricchiti con la mia pelle mantenendo me e la mia famiglia in una continua semimiseria o anche di pi�, chiedo solo che per compenso dei guadagni che vi ho dati pensiate ai miei funerali. Vi saluto, spezzando la penna�. Lasagne, l'eterna sfida tra Bologna e Napoli (di Massimo Lanari, Lacucinaitaliana.it) - Dall'antico piatto romano a quello odierno a strati, le due citt� si contendono i natali di questo piatto, le cui ricette per� presentano importanti differenze. Ma ogni regione, in realt�, ha la sua versione - Il pranzo a casa di mamma, le feste, la domenica. Immagini che fanno venire in mente subito lei: la lasagna. Uno dei simboli stessi dell'italianit�, in grado di coniugare radici antiche a numerose varianti regionali. Le lasagne, infatti, le conoscevano gi� i Romani, e non solo a Bologna e Napoli: con il termine �laganon� e �laganum� indicavano infatti una sfoglia sottile ricavata da un impasto a base di farina di grano, che veniva cotto al forno o direttamente sul fuoco. Apicio, in particolare, parla esplicitamente di una �lagana� formata da sottili sfoglie di pasta farcite con carne e cotte in forno. Ma somigliava solo vagamente alla lasagna attuale: si trattava semplicemente di un pasticcio di pasta e carne alla rinfusa. Nel Medioevo queste lasagne erano talmente diffuse che furono numerosi i poeti che le citarono nei loro lavori: in Umbria Jacopone da Todi, secondo il quale spesso �granel di pepe vince per virt� la lasagna�. In Toscana, Cecco Angiolieri: �Chi de l�altrui farina fa lasagne, il su� castello non ha ne muro ne fosso�. Mentre fra� Salimbene da Parma cos� descriveva un monaco: �Non vidi mai nessuno che come lui si abbuffasse tanto volentieri di lasagne con formaggio�. E l'Emilia? Ci arriviamo con l'avvento della pasta all'uovo nel Nord Italia, in epoca rinascimentale. E con l'avvento di una ricetta, risalente al XIV secolo (contenuta nel Libro di cucina del secolo XIV, stampato nel 1863 da Francesco Zambrini), che prevedeva l'alternarsi di strati di pasta e di formaggio. � probabilmente dall'unione di questa pietanza con le vecchie lasagne romane che, nel '600, nacquero in Emilia le odierne lasagne, completate un secolo pi� tardi dall'arrivo della salsa di pomodoro da Napoli. Ma � proprio qui che la tradizione della lasagna emiliana si incontra e scontra con quella, parallela, messa in campo dalla cucina napoletana. E qui lo scontro campanilistico si accende. Perch� se � pacifico che la prima ricetta delle lasagne al pomodoro � del 1881, contenuta nel Principe dei cuochi o la vera cucina napolitana di Francesco Palma, � ormai accertato che pure gli antenati della lasagna odierna sono assai pi� partenopei che emiliani. Nel Liber de coquina, di epoca angioina (siamo all'inizio del XIV secolo), si parla infatti di lasagne lessate e poi condite, strato dopo strato, con formaggio e spezie. Nel 1634 Giovanni Battista Crisci pubblica a Napoli il libro La lucerna de corteggiani, che contiene la ricetta delle �lasagne di monache stufate, mozzarella e cacio�, la prima in cui le lasagne vengano farcite con un latticino a pasta filata e quindi passate al forno. Mentre il re borbone Ferdinando II era chiamato anche �re lasagna� per la sua smodata passione per questo piatto. Qual � la verit�? Con ogni probabilit�, dopo l'Unit� d'Italia, potrebbe essere stata la spinta propulsiva napoletana ad aver fatto rinascere questo piatto, che non a caso verr� trascurato dal romagnolo Pellegrino Artusi nella sua Scienza in cucina (1891). E verr� invece lestamente codificato da alcuni ristoratori bolognesi all'inizio del '900. Prima della definitiva affermazione su scala nazionale grazie a Paolo Monelli e al suo Ghiottone errante (1935). Significativo, poi, il fatto che l'Accademia italiana della cucina abbia depositato presso la Camera di commercio felsinea (2003) la ricetta delle lasagne verdi alla bolognese, e non di quelle �bianche�. Queste si preparano con rag� classico bolognese, Parmigiano Reggiano, besciamella, burro e sfoglia verde preparata con spinaci. Mentre le lasagne napoletane, piatto tipico di Carnevale, si preparano con rag� napoletano, polpettine, ricotta vaccina, provola, pecorino, olio extravergine d'oliva e sfoglia, rigorosamente �bianca�. Ogni regione, poi, ci ha messo del suo per elaborare le sue varianti: nelle zone di montagna, ad esempio, spesso il rag� viene sostituito dai funghi. In Liguria, dal pesto; e in Veneto dal radicchio rosso di Treviso. In Umbria e nelle Marche esiste una particolare versione, i vincisgrassi, in cui il rag� � arricchito con rigaglie di pollo o carne di maiale; nelle zone appenniniche invece il rag� � sostituito da un ripieno di funghi porcini, tartufo e pecorino. In Sicilia c'� poi la versione �alla Norma�, con melanzane grattugiate. Senza contare, poi, le ottime lasagne sarde fatte con pane carasau. Alla scoperta di Stoccolma: un cuore medievale in veste ecosostenibile (Sostravel.com) - La capitale svedese offre un meraviglioso esempio di conciliazione di vita cittadina e attenzione alla natura - Stoccolma � una citt� che si estende su 14 isole immerse in una grande variet� di natura, che dal lago M�laren si estendono verso il Mar Baltico; � inoltre una citt� composta da sette riserve naturali, un parco nazionale, il ponte pi� importante del mar Baltico ed � il cuore finanziario del nord Europa. L�itinerario per la visita di Stoccolma non pu� che partire dal centro storico chiamato Gamla Stan ovvero il cuore medievale della citt�. Il Gamla Stan � uno dei centri storici pi� curati in Europa, composto da strette strade ciottolate, che contengono al loro interno bellissime chiese barocche e numerosi edifici storici. Tra questi, si trova il Palazzo Reale, strutturato in antichit� come un castello riadattato oggi nelle vesti di residenza reale. Il riadattamento � opera dell�architetto Nicodemus Tessin detto il Giovane, commissionato dal re Carlo XI che soddisf� il suo desiderio di trasformare il vecchio castello in una residenza dall�aspetto prettamente imperiale. Altro punto di interesse presente all�interno di questo caratteristico centro storico � la Cattedrale chiamata Storkyrkan, caratterizzata da un mix stilistico di barocco e gotico con una predominanza del primo. Questa Cattedrale con la sua immensa storia alle spalle detiene il primato di essere la chiesa pi� antica della citt� e quella in cui part� la conversione alla dottrina luterana. Tra gli altri edifici storici ammirabili all�interno di Gamla Stan si trova il B�rshuset, il palazzo della Borsa. Tutti gli edifici descritti fino ad ora hanno contribuito a dare vita alla storia di Stoccolma dal 1252 ad oggi. Stoccolma � inoltre una citt� con un�elevatissima qualit� della vita, tanto da custodire il titolo di European Green Capital del 2010. Grazie agli spazi verdi presenti in citt�, alle numerose piste ciclabili, ai taxi alimentati a carburanti ecologici o biogas, le sue spiagge con acque cristalline e balneabili del lago M�laren, Stoccolma ha adottato uno stile di vita ecosostenibile. In questa citt� quindi, la natura diventa la protagonista assoluta. � proprio qui che nacque il Royal National City Park, primo parco nazionale urbano del mondo. Una vera e propria oasi di pace e relax in cui poter passeggiare liberamente tra boschi e giardini oppure dedicarsi alle attivit� pi� diffuse quali kayak, escursioni e visite guidate in bici. Tra le altre attivit� da aggiungere al vostro itinerario si possono citare le visite agli oltre 70 musei presenti in citt� e appartenenti a diverse aree tematiche; la pi� importante � l�area della fisica. Stoccolma � infatti definita la culla di numerosi premi Nobel per la fisica, la chimica, la fisiologia e la medicina. Per andare alla scoperta di tutto ci� � possibile visitare il Nobelmuseet in cui sono custoditi i ritratti di ogni singolo vincitore. Un altro che merita di essere visitato � lo Skansen, un museo all�aria aperta in cui viene raccontata l�intera mutazione delle condizioni sociali in Svezia dal XVI secolo fino alla prima met� del XX. Si presenta quindi, come una testimonianza di tutto ci� che la modernit� ha spazzato via, una citt� in miniatura che rappresenta usi e costumi dell�intera popolazione svedese, racchiusa in 150 abitazioni rurali arredate e dotate di soli utensili domestici ritenuti necessari in quell�epoca; in un�atmosfera caratterizzata da sole candele per trasmettere la sua essenza minimale e far vivere il turista, per un paio di ore, lontano dalla tecnologia che ormai caratterizza a pieno la vita di tutti noi. Il tutto � circondato da un giardino zoologico abitato da alci, renne, lupi e altre specie animali appartenenti al Nord Europa. Maria Grazia Cucinotta non si ferma mai (di Tiziana Lupi, �Tv sorrisi e canzoni� n. 47/22) - Ho imparato a cucinare con mia mamma e il suo rag� - La prima a sorriderne � proprio lei: �Quando mi proposero di condurre �L'ingrediente perfetto�, pensai: �Ma una con un cognome come il mio pu� fare un programma in cui si cucina?�. Subito dopo mi risposi: �Certo, chi se ne importa di come mi chiamo!��. Dal 2021, dopo aver elaborato questa risposta, Maria Grazia Cucinotta intrattiene il pubblico della domenica mattina su La7 con ricette e piatti gustosi. - Maria Grazia, quando e com'� nata la passione per la cucina? �Tutto quello che so l'ho imparato quando ero una bambina. Per far stare buone me e le mie sorelle mia mamma, mentre cucinava, dava qualcosa da fare anche a noi, come girare ogni tanto il rag� della domenica che cuoceva per ore o passare gli gnocchi sulla forchetta per fare venire le caratteristiche righe�. - E lei ora insegna quello che ha imparato ai telespettatori... �Amo spiegare ogni ricetta passo passo perch� non sopporto tutti quelli che danno le cose per scontate. Io mi definisco una �cuoca casalinga�, tant'� vero che se qualcosa non viene bene, faccio come di solito si fa a casa: prendo un po' di carta e pulisco, non � che mi metto a rifarla da zero. Penso che sia questo il motivo per cui �L'ingrediente perfetto� ha tanto successo. Lo guardano anche all'estero tramite il web: molti ci scrivono che, grazie al programma, hanno imparato non solo a cucinare ma anche a parlare italiano. Per questo c'� la possibilit�, in futuro, di andare a farlo anche fuori dal nostro Paese�. - Prima di pensare al futuro, deve pensare al presente che, per lei, � davvero pieno di impegni. �� vero, � un periodo molto intenso. Proprio pochi giorni fa abbiamo ripreso la tourn�e teatrale di �Figlie di Eva�, la commedia diretta da Massimiliano Vado che interpreto con Vittoria Belvedere e Michela Andreozzi. � proprio Michela che devo ringraziare perch� io non avevo mai fatto teatro prima d'ora ed � stata lei a chiamarmi. Ormai abbiamo superato le 200 repliche, ma i primi tempi per me sono stati difficilissimi: mi vergognavo e ogni sera, prima di andare in scena, volevo scappare. Ora, invece, ho imparato a gestire sia la timidezza sia il pubblico. Inoltre, grazie a questa commedia, Vittoria, Michela e io siamo anche diventate amiche e ogni volta non vediamo l'ora di lasciare le famiglie e partire come tre ragazzine in gita (ride)�. - Lei � impegnata anche al cinema. �Un film appena uscito, uno finito di girare e uno di cui sono appena iniziate le riprese. Il primo si intitola �Questa notte parlami dell'Africa�, � diretto da Carolina Boco e Luca La Vopa ed � un film meraviglioso tratto da un libro altrettanto meraviglioso. Si parla di diversit� e del tempo che non dedichiamo a chi amiamo a causa del lavoro. Da poco, invece, ho finito di girare �Il meglio di te� di Fabrizio Maria Cortese. Emotivamente parlando � uno dei film pi� belli a cui abbia mai preso parte ed � estremamente attuale visto che parla di amore, del ritrovarsi, del perdonarsi e del non vivere di rabbia. Arriver� nelle sale il prossimo anno. Infine c'� �Gli agnelli possono pascolare in pace� che abbiamo appena iniziato a girare con la regia di Beppe Cino. � un'altra storia meravigliosa, piena di poesia. Io interpreto Fofina, una bidella che ama Pasolini�. - Ha parlato del tempo che non dedichiamo a chi amiamo a causa del lavoro. Cosa dicono in famiglia di tutti i suoi impegni? �Un po' si sono abituati, un po', dopo avermi visto stare a casa per tanto tempo, hanno capito che � meglio che ogni tanto me ne vada, cos� non devono nemmeno mettere a posto (ride). In cucina, poi, se la cavano bene sia mio marito sia mia figlia: Giulio (Violati, imprenditore, ndr) � talmente bravo a cucinare che ha appena aperto un ristorante e Giulia, che a 21 anni mi chiede ancora di prepararle la valigia, quando � sola � del tutto autosufficiente�. - Torniamo per un momento al cinema: lei ha interpretato decine di film ma il suo nome continua a essere inevitabilmente legato a �Il postino�, l'ultimo interpretato da Massimo Troisi che mor� poco dopo la fine delle riprese. �Sono passati quasi 30 anni ma ogni giorno, a volte anche pi� volte al giorno, qualcuno mi chiede di Massimo e mi fa piacere perch� � un modo per ricordare quell'artista straordinario che era, e per ringraziarlo. Lui volle talmente tanto quel film che considero un piccolo miracolo il fatto che continui a emozionare ancora oggi�.