Marzo 2023 n. 3 Anno LIII MINIMONDO Periodico mensile per i giovani Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi �Regina Margherita� Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registrazione 25-11-1971 n. 202 Dir. Resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Pietro Piscitelli Massimiliano Cattani Luigia Ricciardone Copia in omaggio Rivista realizzata anche grazie al contributo annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero della Cultura. Indice Spazio annunci Influenza, il virus con il calendario L�oppio dei popoli Caravaggio: una morte avvolta nel mistero Perch� la torta diplomatica si chiama cos�? Un giro a Firenze e nel Chianti classico Orietta Berti: emiliana doc! Spazio annunci Salve a tutti, sono Enea. Cerco un vecchio libro di Vera Graiba ed Oreste Gasperini, intitolato Spigolando. Chi ne fosse in possesso pu� mandarmi una mail a: galettienea@gmail.com Per la spedizione del libro ci metteremo d�accordo via email. Grazie. Influenza, il virus con il calendario (di Margherita Fronte, �Focus� n. 365/23) - Il clima, i fattori biologici e i nostri comportamenti fanno s� che tanti malanni spariscano in primavera e tornino puntuali in autunno - Come ogni anno la primavera si lascia alle spalle la febbre e i malesseri dell'influenza. Ma se per la maggior parte di noi se ne riparler� a novembre, altrettanto non si pu� dire per chi, per lavoro, si occupa di prevenire la malattia e di decidere quali strategie adottare nella prossima stagione, quando il virus torner� a colpire nel nostro emisfero. Proprio in queste settimane, infatti, gli esperti dell'Organizzazione Mondiale della Sanit� si riuniscono per decidere la formulazione del vaccino antinfluenzale che sar� in farmacia a partire dall'autunno. E la scelta non � di poco conto, se si considera che ogni anno nel mondo si registrano da 3 a 5 milioni di casi gravi di influenza, con 250.000-500.000 decessi. In Italia, la malattia colpisce dal quattro all'11% della popolazione, con un rischio di complicanze gravi soprattutto fra gli over 65, i bambini fra i 6 mesi e i 5 anni e le donne in gravidanza (categorie per le quali, non a caso, il vaccino � fortemente raccomandato). La decisione su come formulare il vaccino si basa sui dati e sui campioni raccolti da 148 laboratori di riferimento nazionali distribuiti in 124 Paesi, che fanno parte del sistema di sorveglianza Gisrs (Global Influenza Surveillance and Response System), istituito in seno all'Oms nel 1952. Ogni anno questi centri monitorano gli aspetti epidemiologici della malattia (ovvero, il numero dei contagi e le caratteristiche) e quelli relativi alle varianti virali in circolazione e alla loro evoluzione. Infatti, come tanti altri virus, anche quelli dell'influenza mutano e si modificano di mese in mese. Cos�, affinch� il vaccino sia efficace, � necessario aggiornarlo. In Italia, il monitoraggio � affidato al sistema di sorveglianza Influnet, che fa capo all'Istituto Superiore di Sanit�. �Da met� novembre a fine aprile i laboratori caratterizzano i virus in circolazione e tutti questi dati sono condivisi con il ministero della Salute e con gli organismi di riferimento internazionali. In questo modo � possibile seguire l'evoluzione degli agenti infettivi e individuare tempestivamente eventuali nuove varianti caratterizzate da mutazioni che possono alterare l'efficacia dei vaccini�, spiega Simona Puzelli, responsabile della sorveglianza virologica di Influnet. �Sulla base dei dati e dei ceppi virali raccolti in tutto il mondo dalla rete Gisrs, si stabilisce quali sono le varianti dominanti e si aggiorna la composizione del vaccino. La decisione viene presa alla fine di febbraio, per dar tempo alle aziende di produrre il farmaco. Durante l'estate i virus influenzali circolano in genere a bassi livelli alle nostre latitudini, ed � quindi molto improbabile che si verifichino mutazioni che rendano inefficaci i vaccini�. Gi�, ma che fine fanno i virus influenzali durante la bella stagione? Perch� improvvisamente spariscono per tornare a colpire in autunno, come se tenessero d'occhio il calendario? Il fenomeno � noto fin dall'antichit� e fu descritto dal medico greco Ippocrate gi� nel VI secolo a.C., nel Libro delle epidemie. La scienza tuttavia lo studia ancora, avendo scoperto molto ma non ancora tutto ci� che c'� da sapere. L'influenza, peraltro, non � la sola malattia a sparire in estate. Molti virus respiratori seguono lo stesso andamento, mentre altri hanno il comportamento opposto: colpiscono di pi� quando fa caldo (a volte, purtroppo, rovinando le vacanze) e tornano a dormire durante l'inverno. Non guardano invece il calendario i virus pandemici, come SARS-CoV-2. Infatti, tutti i fattori che contribuiscono a frenare la diffusione dei malanni stagionali - e che vedremo nei prossimi paragrafi - non riescono a contrastare la forza propulsiva di malattie nuove, che contagiano una popolazione il cui sistema immunitario � totalmente impreparato ad affrontarle, non avendole mai incontrate in precedenza. La stagionalit� delle malattie riguarda per lo pi� quelle determinate da virus respiratori e dipende essenzialmente da tre insiemi di fattori: i nostri comportamenti, la biologia degli agenti infettivi e quella del sistema immunitario, che ha il compito di difenderci dagli attacchi esterni. L'importanza dei primi � emersa in modo lampante durante la pandemia, quando mascherine, distanziamento e igiene delle mani non hanno fermato il Covid, ma hanno messo ko l'influenza, che nella stagione 2021-2022 non ha quasi circolato. Negli anni �normali�, tuttavia, i nostri comportamenti sono molto diversi. Senza curarci di distanziamento e assembramenti, e senza mascherine sul viso, in inverno trascorriamo nei luoghi chiusi circa il 90% del tempo, spesso in compagnia di conoscenti o di sconosciuti. Studi epidemiologici dimostrano che le scuole e i luoghi di lavoro sono i principali fulcri del contagio. Per questo, pur non volendo applicare le norme anti Covid ogni inverno, restano valide e non costano nulla alcune delle raccomandazioni che tante volte abbiamo sentito durante la pandemia, come quella di lavarsi spesso le mani e aprire le finestre per favorire il ricambio d'aria. In primavera le abitudini cambiano e si inizia a stare di pi� all'aperto. Tuttavia, in questi mesi, a determinare la scomparsa di molti virus respiratori sono principalmente le condizioni ambientali, come spiega un articolo molto dettagliato, pubblicato su Annual Review of Virology da un gruppo di esperti capitanati da Akiko Iwasaki, immunologa dell'Universit� di Yale (Usa). �Molti studi documentano l'effetto dei fattori ambientali sulla vitalit� e la trasmissibilit� dei virus respiratori�, scrivono i ricercatori. I due elementi chiave sono la temperatura e l'umidit� dell'aria. � infatti ben documentato che i virus influenzali sono pi� stabili quando la temperatura e l'umidit� sono basse. Sotto i 5�C e con un tasso di umidit� fra il 10 e il 40% (condizioni tipiche dei nostri inverni) l'influenza � pi� che mai vigorosa e si trasmette per via aerea con grande facilit�. In primavera, quando la colonnina di mercurio sale e anche l'aria diventa meno secca, la maggior parte dei virus respiratori rallenta la sua corsa. Tutti questi agenti infettivi, infine, sono estremamente vivaci anche in condizioni di temperatura e umidit� molto elevate, che nelle regioni tropicali si registrano tutto l'anno. Attenzione quindi ai viaggi verso destinazioni esotiche... Il clima caldo e umido di queste zone fa s� che qui l'influenza non segua un andamento stagionale, ma sia presente sempre, nell'arco di tutti i 12 mesi. Esistono tuttavia virus che hanno un andamento opposto a quello dell'influenza, essendo pi� attivi in estate e meno frequenti in inverno. Quando in agosto pensiamo di esserci presi l'influenza, quasi certamente abbiano invece contratto un virus parainfluenzale, che d� sintomi simili, ma un po' meno intensi, e si cura e si previene allo stesso modo (ma non esistono vaccini). L'alternarsi fra influenza e parainfluenze � legato al fenomeno dell'interferenza virale, che impedisce a certi patogeni di infettare una cellula se questa � gi� infettata da altri. Il fenomeno � pi� frequente quando gli agenti infettivi sono simili: per esempio, se due virus penetrano nelle cellule utilizzando le stesse �porte di ingresso� (ovvero, le stesse proteine sulla superficie esterna della cellula), la presenza di uno impedisce l'ingresso all'altro. In modo simile, se una volta penetrati nella cellula, due agenti infettivi sfruttano per replicarsi gli stessi meccanismi, la presenza di uno impedir� all'altro di moltiplicarsi e diffondersi. Ma anche la reazione dell'organismo invaso pu� avere un ruolo nel fermare l'avanzata a nuovi virus. L'infezione, infatti, stimola la produzione di interferone (una sostanza con attivit� antivirale) e di anticorpi contro l'ospite indesiderato. L'interferone non � efficace contro tutti i virus, ma pu� tenerne alla larga alcuni. Gli anticorpi invece, sebbene siano specifici contro il patogeno che ha colpito per primo, possono a volte ostacolare l'avanzata anche di virus che gli assomigliano. Ci sono poi altri aspetti della nostra risposta alle infezioni che contribuiscono a determinare la stagionalit� di certi malanni. In anni recenti, infatti, un numero sempre maggiore di studi sta confermando la validit� di un adagio delle nonne, che la medicina ha snobbato fino a non molto tempo fa. La raccomandazione �non prendere freddo che poi ti ammali� nasconde infatti pi� di una sorprendente verit�. L'ultima � stata svelata alla fine del 2022 e pubblicata su Journal of Allergy and Clinical Immunology dal gruppo di ricercatori coordinati da Benjamin Bleier, dell'Universit� di Harvard (Usa). Alcuni anni fa, questi stessi studiosi avevano scoperto che le cellule delle mucose nasali producono microscopiche vescicole che distruggono i virus prima che questi attacchino le cellule. Analizzando il comportamento di campioni di tessuti in diverse condizioni di umidit� e temperatura, Bleier e colleghi hanno ora osservato che, quando si passa da un ambiente caldo a una temperatura inferiore ai 5�C, la produzione di queste vescicole si riduce del 42%, e anche gli enzimi presenti al loro interno, che normalmente distruggono i virus, risultano alterati. Quando fa freddo, insomma, la nostra primissima linea di difesa appare un po' compromessa, e questo si verifica anche per una serie di altri fenomeni identificati negli anni. Per esempio, � stato dimostrato che l'aria secca rende pi� sottile lo strato di muco che ricopre le pareti delle vie respiratorie superiori. Questo rende pi� difficile il compito delle cellule superficiali che, con il movimento dei loro prolungamenti, dovrebbero creare un flusso di muco rivolto verso l'esterno e capace di cacciare fuori gli agenti infettivi. Studi su animali suggeriscono inoltre che, in generale, il sistema immunitario funzioni meno bene quando le ore di luce sono ridotte: cio�, in inverno. Pi� in generale, �le variazioni stagionali di temperatura e umidit� influenzano i primi meccanismi di difesa delle vie aeree in molti modi�, sottolinea Akiko Iwasaki; �le condizioni ambientali hanno un effetto rilevantissimo su molti meccanismi che le vie respiratorie mettono in atto per reagire alla presenza di patogeni, contribuendo cos� alla stagionalit� delle malattie virali�. L�oppio dei popoli (di Claudia Giammatteo, �Focus Storia� n. 192/22) - Per parlare con gli d�i, vincere il dolore, darsi coraggio e tranquillizzare le masse. Viaggio alla scoperta delle droghe naturali pi� diffuse nel passato - Nell'Odissea Omero racconta che Elena, regina di Sparta, per placare la disperazione di Telemaco - giunto in cerca di notizie del padre Ulisse - scioglie nel vino un farmaco, il nepente, �contrario al pianto e all'ira�. Una pozione simile a quella che, sull'isola di Eea, la maga Circe versa nelle coppe di Ulisse e dei suoi compagni per ottenere �l'oblio della madrepatria�. L'ingrediente magico di quei �possenti succhi� arrivati dall'Egitto non � un segreto: si trattava dell'oppio. Cio� di quelle �lacrime del papavero nero� che, gi� nel 1552 a.C. il Papiro Ebers, di argomento medico, prescriveva ai neogenitori: �Mescolate i grani con escrementi di mosca [...] setacciate e somministrate per quattro giorni: le grida dei bambini cesseranno subito�. La scoperta umana delle droghe naturali, per�, risale ancora pi� indietro, agli inizi della civilt�. Spiega lo storico della medicina Gilberto Corbellini: �Fin dal Paleolitico i nostri avi hanno tratto beneficio dalle sostanze neurotossiche prodotte in natura a difesa da parassiti e predatori�. In che misura ne fecero uso dipendeva dalla disponibilit� in natura e dal contesto. Reperti e fossili dimostrano che gi� l'uomo di Cro-Magnon, vissuto 30-mila anni fa, conosceva il papavero da oppio. Inebriarsene era il modo con cui sciamani e stregoni si mettevano in contatto con gli spiriti. Alcuni bassorilievi sumeri risalenti alla Mesopotamia (attuale Iraq) del 3400 a.C. ritraggono il fiore tra le mani di sacerdoti; e tavolette di argilla cuneiforme emerse nella citt� di Uruk, tra le pi� antiche del mondo, definiscono il papavero Hul Gil, �la pianta della gioia�. N� mancano prove di altri �sballi�: durante i riti segreti di iniziazione ai misteri eleusini, celebrati ogni anno a Eleusi (Grecia) in onore della dea Demetra, gli adepti bevevano una pozione sacramentale (detta kyke�n) a base di estratto di un fungo allucinogeno, l'ergot, precursore dell'Lsd (sostanza psicotropa sintetizzata nel 1943). Non era infine un segreto l'usanza orientale di consumare la Cannabis sativa. Nel IV libro delle sue Storie Erodoto (V secolo a.C.) descrive il rito di purificazione dei cavalieri nomadi sciti del Mar Nero: �Gli Scythi prendevano i semi della canapa e li gettavano su pietre roventi, dove essi bruciavano. Poi aspiravano il fumo che si sprigionava e per l'eccitazione ululavano di gioia�. �Nel mondo greco-romano nessuna droga ebbe popolarit� paragonabile a quella dell'oppio�, ha scritto il filosofo Antonio Escohotado (1941-2021) nel libro Piccola storia delle droghe. Dall'antichit� ai giorni nostri (Donzelli): �Fu Ippocrate di Coo, il padre della medicina vissuto nel IV secolo a.C., a coniare il termine �oppio� (da op�s mekonos, �succo di papavero�) e a prescriverlo come antidolorifico. E se l'illustre botanico Dioscoride Pedanio, vissuto nella Roma del I secolo, insegn� a estrarlo (�Taglia leggermente con un coltello la parte superiore della pianta [...]. Quando il liquido fuoriesce, strofinalo con un dito su un cucchiaio�), l'ancora pi� famoso Galeno di Pergamo, medico di corte dell'imperatore Marco Aurelio - dipendente dall'oppiacea �triaca� (theriaka) per problemi di insonnia - distingueva in chiave terapeutica l'Opium Thebiacum, egiziano, e l'Opium Cyrenaicum, giunto dalla Libia�. Persino nell'antica Roma esisteva gi� un fiorente traffico internazionale di droga, per giunta legale, come ha ricostruito Escohotado: �In et� imperiale l'oppio fu un bene a prezzo controllato: nell'anno 301 un editto di Diocleziano fiss� il modius castrensis (un vaso da 17,5 litri) in 150 denari, mentre un chilo di cannabis, a prezzo libero, costava 80 denari. Il giro d'affari costituiva il 15% delle entrate dell'impero�. L'assenza di scrupoli morali dell'Impero romano in fatto di uso di stupefacenti si dissolse come neve al sole con l'avvento dei valori del cristianesimo. Malattia e dolore erano diventati segni della volont� di Dio e contrastarli equivaleva a bestemmiare. Secondo un editto del re franco Childerico (circa 436-481) l'uso di �piante diaboliche� era un tradimento alla fede cristiana, mentre un'ordinanza di Carlo Magno (742-814) defin� l'oppio �opera di Satana�. Visto che persino i cavalieri crociati rimasero colpiti dall'efficacia della medicina araba, generosa dispensatrice di erbe psicoattive, le autorit� imposero un doppio standard: �no� agli usi superstiziosi, �s� a quelli medici. Fu cos� che sotto forma di oli, pomate o spugne �soporifere� (nate per usi chirurgici ma spesso usate per derubare i pellegrini), oppio e piante solanacee furono prescritte contro ogni malattia, sifilide e peste incluse. Finch� l'Inquisizione, sospettandone le propriet� sataniche, ne associ� l'uso alle streghe: �Ungono un bastone e lo cavalcano fino al luogo designato�, scrisse il teologo Jordanes de Bergamo nel 1470, vietando queste erbe, con minacce di tortura e pena capitale. Testimonial nell'Oriente musulmano del consumo voluttuario di hashish (�erba� in arabo), forse collegato al divieto religioso al consumo di alcol, fu la setta ismailita dei Nizariti o haschaschin, (�consumatori di hashish�, da cui deriva la parola �assassino�) fondata nel 1090, i cui adepti si stordivano di oppiacei prima delle loro missioni omicide. Secoli dopo, nel corso della Campagna d'Egitto (1798-1801) Napoleone tent� - invano - di proibire ai soldati �le bevande o fumo di quella sostanza che alcuni musulmani preparano e che fa perdere la ragione�. Sostanza che, ovviamente, sbarc� in Francia insieme alle sue truppe. Tre secoli prima la scoperta dell'America fece conoscere agli europei le propriet� euforizzanti di altre sostanze, quelle del Nuovo Mondo, usate per millenni dalle civilt� precolombiane. I tre esempi pi� famosi sono il fungo messicano teonanacatl (�dio fungo� in lingua Nahuatl), il cactus sacro peyote (�pane degli d�i�) e la pianta hoja de coca, che gli spagnoli distribuivano agli indios nelle miniere d'argento del Per� visto che, not� il missionario spagnolo Tommaso Ortiz, masticandola, gli indigeni �resistevano alla fatica e alla fame per giorni�. Dopo l'uso medico, religioso e magico del passato, fu paradossalmente l'Et� moderna a vedere affermarsi gli stupefacenti di massa. �Colpa di un �effetto domino��, spiega Corbellini. �Mentre nelle societ� antiche l'assunzione di droghe era regolata da contesti che prevenivano abusi su larga scala, nei secoli successivi alcuni cambiamenti facilitarono gli eccessi�. La prova? Il �boom� del laudano, medicina a base di vino e oppio inventata nel 1541 dall'alchimista svizzero Paracelso. Grazie al passaparola, in due secoli pass� da farmaco quotidiano delle famiglia reali a tranquillante per operai. Ogni sabato pile di bottigliette attendevano nelle farmacie di essere vendute ai lavoratori usciti dalle fabbriche. �Il consumo di massa fu una conseguenza indiretta della Rivoluzione Industriale�, precisa Corbellini. �Molte persone vivevano in condizioni di disagio e l'offerta di prodotti che facevano sentire bene trov� terreno fertile�. Spesso con esiti drammatici. �Nelle aree industriali la mortalit� infantile da oppio era pi� alta perch� le famiglie lo davano ai bambini. Le due preparazioni pediatriche pi� micidiali dell'epoca vittoriana si chiamavano Dalby's Carminative e Godfrey's Cordial, detto �l'Amico della Mamma��. La spirale che segu� fu inarrestabile. �Nel XIX secolo cominciarono a scomparire i confini tra l'uso terapeutico dell'oppio e quello per procurarsi una sensazione di benessere�, ha scritto il chimico Matthias Seefelder (1920-2001) nel libro Oppio. Storia di una droga dagli egizi ad oggi (Garzanti). La pubblicazione delle Confessioni di un mangiatore d'oppio (1821) dello scrittore Thomas De Quincey, laudano-dipendente (con dosi fino a 10-mila gocce al giorno), risuon� come un inno alla droga: �La felicit� si pu� comprare con pochi soldi e portarla nel taschino del panciotto�. Paradossalmente, la spinta all'escalation arriv� da due conquiste del progresso: l'invenzione della siringa ipodermica di Petite Pravaz, nel 1835, e l'isolamento dei principi attivi vegetali che port� alla sintesi di morfina (1805), cocaina (1860), eroina (1883) e mescalina (1896), fino a dieci volte pi� potenti delle versioni naturali. Inizi� cos� a serpeggiare il timore del pericolo sociale rappresentato dalla tossicodipendenza. Scriveva l'antropologo Cesare Lombroso nel suo libro L'uomo delinquente (1876): �I morfinomani hanno una perdita del senso morale quanto maggiore � la dose [...]. Uno taglia il capo di un compagno credendo di ferire un porco�. Cos�, per fermare l'emergenza droga, l'Italia fascista var� la prima legislazione repressiva (legge n. 395 del 1923), condannando venditori abituali di cocaina, morfina, derivati e �sostanze velenose che in piccole dosi hanno azione stupefacente� alla reclusione �da due a sei mesi� e alla multa �da mille a quattro mila lire�. Ma era gi� troppo tardi. Caravaggio: una morte avvolta nel mistero (di Marco Ventura, �Focus Storia� n. 193/22) - In queste pagine, la cronaca di quello che potrebbe essere successo - Il nero caravaggesco � la tinta che meglio descrive la morte misteriosa di Michelangelo Merisi da Caravaggio, artista star della sua epoca, morto a trentotto anni, �ufficialmente� il 18 luglio 1610, in luogo sconosciuto. Forse una spiaggia tra Palo (oggi Ladispoli, nel Lazio) e Porto Ercole (Toscana). Anche la data � incerta. A fissarla non � un documento ufficiale, ma la commossa epigrafe del poeta e amico Marzio Milesi, che lo definisce �cavaliere di Gerusalemme�. Ma Caravaggio, cavaliere, non lo era gi� pi�. Il 14 luglio 1606 era scappato da Roma dopo la condanna alla decapitazione per l'uccisione di Ranuccio Tomassoni, piccolo boss al soldo delle famiglie papaline. Dal 1607 a Malta, aveva ottenuto l'investitura come �cavaliere di Grazia� di San Giovanni (non �di Giustizia�, non avendo i quarti di nobilt� richiesti). La testa matta, il sangue caldo e i vizi passionali lo avevano per� scaraventato nuovamente dalle stelle alle stalle: gli fu tolto il titolo. Caravaggio, che quanto a caratteraccio non lo batteva nessuno, sembra si fosse inimicato il Gran Maestro in persona, Alof de Wignacourt. Fu processato e condannato, ma ai primi d'ottobre del 1608 riusc� a evadere dalla guva, la putrida fossa scavata nella roccia del Forte Sant'Angelo che domina Malta. Riusc� a scalare la buca, calarsi dal castello e prendere il largo verso Palermo e Siracusa, probabilmente grazie alle protezioni di cui godeva: da Costanza Colonna, marchesa di Caravaggio, al ventitreenne cardinale Ferdinando Gonzaga, sceso a Roma per acquistare capolavori caravaggeschi con l'appoggio del nipote del papa Paolo V, cardinale Scipione Borghese. Tutto bene, quindi? Niente affatto. Troppe minacce si erano ormai addensate sul capo del Maestro. Il fratello di Ranuccio Tomassoni lo inseguiva per vendicarsi e lo Stato Pontificio offriva una taglia per la sua cattura. Sentendosi in trappola, Caravaggio stesso dava corpo e colore ai propri incubi raffigurando teste mozzate che gli assomigliavano. Quanto all'indicibile colpa di cui si era macchiato a Malta, non compariva in alcun documento ufficiale: doveva essere un atto talmente ignominioso da minare il prestigio del Gran Maestro o di altri cavalieri (la sodomia con un paggio?). Di fronte ai tentativi di �giustizia� privata, pi� difficilmente gli estimatori del pittore avrebbero potuto continuare a �oliare� la giustizia papalina. Il nostro era braccato due volte: per il delitto Tomassoni e per quello, oscuro, di Malta. Era protetto dai Colonna, ma fino a quando? Qualcuno aveva ordinato di ucciderlo. Nel mezzo, una zona grigia di interessi legati alle sue opere, ricercatissime dalle corti italiane. Ma veniamo ai fatti, per ci� che ne sappiamo. Scrive Giovanni Baglione, uno dei suoi biografi, che per sottrarsi alla persecuzione maltese il nostro giunse a Napoli e cadde in un agguato. �Quivi fu nel viso cos� fattamente ferito, che per li colpi quasi pi� non si riconosceva�. I dettagli li fornisce un altro biografo, Giovan Pietro Bellori. �Cercando di placare il Gran Maestro�, Caravaggio aveva mandato in dono a de Wignacourt �una mezza figura di Erodiade con la testa di san Giovanni nel bacino�. Inutilmente, se �su la porta dell'osteria del Ciriglio, preso in mezzo da alcuni con l'armi, fu da essi mal trattato e ferito nel viso�. L'osteria in questione, propriet� del monastero di Santa Chiara e gestita da un tedesco, era famigerata e... affollata. Certo non il luogo adatto per un omicidio. Caravaggio, abile di spada, riusc� a salvare la pelle. La Erodiade cui Bellori accenna era in realt� una Salom�, tra i cinque dipinti definitivi che nei primi mesi del 1610 il Maestro produsse a Napoli, con un ritrovato entusiasmo, che forse dipendeva dall'aspettativa della grazia per cui stava intercedendo a Roma il cardinal Gonzaga tramite Scipione Borghese, da sempre grande protettore dell'artista. L'ultimo dei cinque dipinti, il Martirio di sant'Orsola, commissionato da Marcantonio Doria, lo sped� a Genova Lanfranco Massa, che rifer� lo �stupore� dei critici davanti alla bellezza del quadro: nel volto della santa era trasfigurata la meraviglia del momento in cui lei capisce che la freccia dell'Unno la uccider�. Quella dell'agente dei Doria, l'11 maggio, � l'ultima testimonianza su Caravaggio in vita. Le ricostruzioni successive - di Baglione, Bellori e del medico Giulio Mancini - concordano su una versione incongrua e priva di fonti, la morte per febbre su qualche spiaggia toscana. La prima notizia � contenuta in due �avvisi� anonimi attribuiti al cardinale Francesco Maria Borbone del Monte e ricevuti dai Della Rovere a Urbino circa il �pittore famoso et eccellentissimo [...] morto a seguito di suo male in Port'Ercole�. Tre giorni dopo, la fonte precisa che l'artista si era messo in viaggio da Napoli per ricevere �la gratia da Sua Santit� fattali del bando capitale che haveva�. Ma dove l'avrebbe ricevuta? Non c'� traccia di come l'atto di clemenza gli sarebbe stato recapitato. Qualcuno potrebbe avergli teso una trappola. Il nunzio pontificio nel Regno di Napoli, Deodato Gentile, dal canto suo informava il cardinal Borghese che Caravaggio era salpato su una feluca e a Palo era stato arrestato dal capo della guarnigione pontificia. Liberato grazie a uno �sborso grosso di denari�, a piedi avrebbe poi attraversato le paludi a caccia dei suoi quadri, contropartita per la grazia ottenuta dal cardinal Gonzaga tramite Scipione Borghese. Ammalatosi, sarebbe morto a Porto Ercole. La feluca intanto era rientrata a Napoli e i dipinti erano nelle mani della marchesa di Caravaggio: Gentile scrive a Borghese che ne avrebbe chiesto la consegna. Il problema � che Porto Ercole � una tappa insensata lungo il tragitto, essendo a nord di Roma. Gentile precisava che dopo l'arresto �la felluca in quel romore tiratasi in alto mare se ne ritorn� a Napoli�. Si chiede Peter Robb, autore del libro L'enigma Caravaggio (Mondadori), cosa ci facesse l'artista a Palo. I porti di sbarco erano Civitavecchia o Porto Ercole, impossibile da raggiungere illesi attraversando oltre 100 chilometri di mefitiche paludi �infestate di briganti e pirati�. L'ipotesi � che a Caravaggio fosse stata spacciata una grazia che non c'era, e che lui avesse accettato di consegnarsi a Palo, dove il delitto fu compiuto da sicari con la protezione della guarnigione e, addirittura, la complicit� della marchesa Colonna. Costanza, infatti, aveva interesse a ingraziarsi l'Inquisizione pontificia per tutelare il figlio, Francesco Sforza, cavaliere di San Giovanni e capo della marina maltese, condannato e minacciato pure lui di arresto a Roma. Un tradimento improvviso e inaspettato, dopo anni di tutela e protezione. Prova indiretta della connivenza dei Colonna sarebbe il fatto che i dipinti furono restituiti a Costanza mentre Scipione Borghese e il conte di Lemos, il vicer� spagnolo, ancora brancolavano nel buio. A pretendere dalla marchesa la restituzione dei quadri fu Vincenzo Carafa, ambasciatore dei cavalieri di San Giovanni a Napoli, che evidentemente sapeva com'erano andate le cose. I dipinti - due San Giovanni e il Martirio di sant'Orsola, ritrovato poi in Argentina - alla fine vennero spartiti tra Roma, Malta e Madrid. Mai, invece, � riapparso il cadavere di Caravaggio. Di recente se ne sono ricercate le spoglie a Palo, qualcuno ha azzardato come causa della morte un'infezione o un'intossicazione dovuta ai colori usati dai pittori dell'epoca. La verit� probabilmente non si sapr� mai, ma tutto fa pensare che Caravaggio sia stato ucciso a Palo e fatto sparire, forse gettato in mare, da killer dei cavalieri di San Giovanni che lo braccavano da Malta con l'avallo dell'amministrazione pontificia e il via libera dei Colonna. E questa � anche la tesi del film L'ombra di Caravaggio, diretto da Michele Placido. Perch� la torta diplomatica si chiama cos�? (Dolcidee.it) - Origini e varianti di un caposaldo della pasticceria italiana - La diplomatica � un dolce diffuso in tutta Italia, cos� amato da essere disponibile in tutte le pasticcerie del Paese, sia sotto forma di torta che di pasticcini mignon, i cosiddetti diplomatici. Ma perch� si chiama cos�? Sono i siciliani e i campani a contendersi la paternit� della ricetta della torta diplomatica, ma le sue vere origini non sono chiare. Probabilmente fu ideata per la prima volta nel Quattrocento dal cuoco del Duca di Parma, come regalo a Francesco Sforza. Storicamente i diplomatici facevano parte di una classe aristocratica particolarmente agiata, conoscevano le lingue, vivevano in ambienti internazionali e avevano fatto studi prestigiosi. L�idea condivisa era che chi rappresentava il proprio paese all�estero dovesse essere una persona con particolari doti morali per gestire situazioni spesso non facili, quindi un �diplomatico�. Il nome del dolce si rif� anche alla crema diplomatica usata come farcitura della torta stessa, che unisce un mix di crema pasticcera e crema chantilly, solitamente in parti uguali. Il diplomatico, quando � monoporzione, si presenta in forma rettangolare, ma ne esistono anche versioni rotonde e multistrato: la pasta sfoglia � intervallata da strati di Pan di Spagna e da crema diplomatica, mentre la superficie viene spolverata con generoso zucchero a velo. Oltre alla versione classica della torta diplomatica si possono trovare varianti a seconda delle localit� e della fantasia di chi la realizza. Per esempio, in Sicilia al posto della crema diplomatica si usa la crema di ricotta, un ingrediente cardine della cucina siciliana usato anche per tanti altri dolci regionali come i cannoli o la cassata. A Napoli si aggiungono al centro le amarene sciroppate come ulteriore farcitura. Per la bagna del Pan di Spagna, si pu� scegliere se bagnarlo nell'alchermes, nel liquore all'amaretto o nel rum. E non mancano altre golose versioni: alle fragole, al caff�, al cioccolato, alle mandorle e tutto quello che la fantasia e l�originalit� di chi vi si cimenta gli suggeriscono. Un giro a Firenze e nel Chianti classico (di Massimiliano Rella, �In cucina� n. 2/23) La vista pi� bella sulla citt� di Dante e della potente famiglia de' Medici � da piazzale Michelangelo, uno sguardo che abbraccia lo splendore di Firenze e di tanti suoi gioielli: il Ponte Vecchio, la cattedrale, il campanile di Santa Maria del Fiore, i Lungarni che costeggiano il fiume. Da questa terrazza dove campeggia una copia in bronzo del David di Michelangelo scendiamo alla scoperta del capoluogo toscano, delle sue piazze, dei suoi palazzi, dei giardini e dei musei; un'offerta culturale tanto ricca che rischia di disorientarci, obbligandoci a selezionare. Ma la citt� � anche un punto di partenza per esplorare altri gioielli del suo territorio: il Chianti Classico, terra di borghi medievali, di castelli e di sapori: tra vini rossi, formaggi, olio extravergine d'oliva e ottima carne, a partire dall'abbondante taglio di bistecca Fiorentina. La Cattedrale di Santa Maria del Fiore fu costruita in stile gotico sul sito della chiesa di Santa Reparata, i cui resti sono visibili nella cripta. Il progetto fu iniziato a fine XIII secolo da Arnolfo di Cambio, ma la maestosa cupola di Filippo Brunelleschi venne aggiunta 200 anni dopo. La cattedrale � rivestita esternamente di marmi rosa, bianchi e verdi, dentro � invece pi� sobria ma non priva di capolavori. Tra questi, un orologio del 1443 affrescato da Paolo Uccello con le effigi dei quattro profeti; i dipinti di Giorgio Vasari, che lavor� a uno straordinario Giudizio Universale poi terminato dall'allievo Federico Zuccari; e tre affreschi sul lato sinistro della navata, ovvero Dante davanti alla citt� di Firenze di Domenico di Michelino (1465), il Monumento funerario a Sir John Hawkwood ancora di Paolo Uccello (1436) e il Monumento equestre di Niccol� da Tolentino di Andrea del Castagno (1456). La Galleria degli Uffizi ospita uno dei musei pi� importanti al mondo, una ricchissima collezione d'arte, tra pale d'altare di Duccio, Giotto e Cimabue, dipinti del Botticelli, come la Nascita di Venere e Allegoria della Primavera, e opere di Piero della Francesca, Paolo Uccello e del Masaccio. Il palazzo fu costruito per la potente famiglia de' Medici a partire dal 1560 su progetto dell'architetto Giorgio Vasari, che concep� la Galleria come una geniale macchina prospettica tesa a esaltare la torre di Palazzo Vecchio. Sorto vicino a un attraversamento romano, fin dall'inizio del XIII secolo il Ponte Vecchio era l'unica struttura che a Firenze �sorvolava� il fiume Arno. La veste attuale risale al 1345, quando fu ricostruito in seguito a un'alluvione che distrusse la struttura preesistente. Venne commissionato dai Medici per potersi spostare in sicurezza da Palazzo Vecchio a Palazzo Pitti. In alto � sormontato dal corridoio del Vasari, un percorso sopraelevato sui negozi di orafi che occupano le sponde del ponte. Durante la Seconda guerra mondiale il Ponte Vecchio fu graziato dai tedeschi e nel 1966 sopport� l'ondata dell'Arno in piena. Dal 1901 ospita un busto del celebre orafo Benvenuto Cellini. Piazza della Signoria � il salotto di Firenze, uno strepitoso �palcoscenico� di sculture e palazzi, il pi� importante dei quali � Palazzo Vecchio, simbolo del potere politico della citt�, costruito nel 1299 su progetto di Arnolfo di Cambio per ospitare il Consiglio della Repubblica. Tra le sculture spiccano il David di Michelangelo (l'originale � nella Galleria dell'Accademia), la statua equestre del duca Cosimo I del Giambologna (1595), Ercole e Caco del Bandinelli (1534) e la splendida fontana del Nettuno. Il Chianti Classico � un territorio collinare tra Firenze e Siena. Il castello di Brolio, della famiglia Ricasoli, � un maniero immerso in una tenuta tra vigne, boschi e ulivi, e che vanta importanti legami con la storia d'Italia grazie a Bettino Ricasoli, due volte Primo ministro del Paese appena unificato. La visita ai giardini e al museo del castello � un ripasso di storia: la collezione dell'armeria dei Ricasoli, la stanza che ospit� re Vittorio Emanuele II, i ritratti di Bettino, le onorificenze e le lettere. Nella tenuta troviamo anche una collezione di bici con esemplari dal 1875 al 1952, omaggio all'�Eroica�, il pittoresco evento cicloturistico con mezzi e abbigliamento d'epoca che fa tappa proprio a Madonna di Brolio. Il tour si completa con un assaggio di vini Chianti Classico del Castello di Brolio. Il castello di Verrazzano, a Greve in Chianti, � circondato da una tenuta che ha conservato intatti da mille anni i suoi confini, per secoli propriet� della famiglia dell'esploratore Giovanni da Verrazzano, il quale nel 1524 scopr� la baia dove ora sorge New York e a cui � dedicato il ponte �The Verrazzano�, che unisce Brooklyn a Staten Island. Oggi alla famiglia Castellini appartiene anche una nota cantina di vini Chianti Classico, con tanto di osteria. Tra le colline di Castelnuovo Berardenga sorge invece il castello di Bossi, un borgo medievale concepito come struttura difensiva, oggi al centro di un'azienda vitivinicola, con casali per l'accoglienza turistica. Sembra che il nome della localit�, Bossi, derivi dal forziere che l'esercito romano portava nei suoi accampamenti per pagare i soldati; il termine si riferisce probabilmente al legno di bosso da cui era ricavata la cassapanca. La chiesetta romanica di Santa Maria al Prato sorge accanto a un ex convento francescano del XVIII secolo, nel punto in cui fu rinvenuta un'immagine sacra della Madonna, poi acquisita dai baroni Ricasoli. L'opera pi� importante � una pala d'altare di Neri di Bicci del 1474. Ancora a Radda in Chianti visitiamo la chiesa di San Nicol�, di met� '200, rimaneggiata dopo la Seconda guerra mondiale. La facciata fu rifatta negli anni '20 dall'architetto Adolfo Copped�, autore anche della fontana sottostante e del restauro della piazza. Nella navata unica si ammira un organo a canne di met� '800 e, tra le opere principali, una Madonna del Rosario attribuita ad Alessandro Allori (1535-1607). Infine a Gaiole in Chianti visitiamo la chiesetta neogotica di San Sigismondo con facciata rivestita di pietra locale che anticipa nella forma tripartita le tre navate interne. La prima tappa a Firenze � alla Casa Museo di Dante, percorso interattivo e multimediale sulla vita, le opere e la storia del Sommo Poeta, costretto all'esilio nel 1301 per la sua attivit� politica tra i Guelfi Bianchi quando salirono al potere i Neri, simpatizzanti di papa Bonifacio VIII. Gli amanti del verde potranno fare delle tappe nelle �Ville e Giardini medicei� della Toscana, siti protetti dall'Unesco. Eredit� della famiglia de' Medici del XV-XVII secolo, sono eleganti complessi di riposo e villeggiatura, di festa e battute di caccia e modelli di residenza principesca in armonia con l'ambiente. Del �circuito� fa parte il Giardino di Boboli, nel complesso di Palazzo Pitti, considerato un museo all'aperto per la presenza di statue, grotte, vasche monumentali e scenografiche, punto d'osservazione privilegiata sulla citt�. Un'ulteriore attrazione sono le case-torri. Nel Medioevo Firenze era una �citt� turrita� con oltre 160 strutture alte fino a 70 metri, nate principalmente per motivi militari e come segno di status delle ricche famiglie. Sorte gi� nel XII secolo, ebbero grande sviluppo nel successivo durante il conflitto tra Guelfi e Ghibellini; i primi erano sostenitori del Papato, i secondi seguaci dell'impero. Quando una fazione prevaleva sull'altra, le torri dei vinti venivano distrutte o capitozzate, cio� troncate in cima. Nel Trecento tante case-torri andarono in abbandono, altre furono distrutte durante la Seconda guerra mondiale; oggi se ne contano una cinquantina, le pi� interessanti le troviamo su via dei Cerchi, nell'area di Porta Santa Maria e di borgo San Jacopo (Oltrarno). Un altro percorso interessante � quello dei �Cenacoli di Firenze�, itinerario tra arte e spiritualit� alla scoperta dei luoghi conventuali decorati con il tema dell'Ultima Cena, opere di grandi artisti in ambienti unici, spesso fuori dalle rotte del turismo di massa. Infine, anche il Barocco ha degni testimoni: dal complesso di Santa Firenze, vicino piazza della Signoria, alla cappella dei Principi, dalla chiesa della Santissima Annunziata fino agli affreschi di Pietro da Cortona nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti. A Gaiole in Chianti ci accoglie un curioso �Gallo Nero� in ferro battuto alto 3,20 metri: � il simbolo di un prodotto del territorio, il vino Chianti Classico, e si ispira a una leggenda medievale. In quell'epoca, infatti, tra le Repubbliche di Firenze e Siena non correva buon sangue e si narra che, per stabilire i rispettivi confini nelle terre intermedie del Chianti, fu concordata una singolare sfida: due cavalieri - uno di Siena l'altro di Firenze - sarebbero partiti verso la citt� nemica, mettendosi in marcia al canto di un gallo. Nel punto in cui si sarebbero incontrati avrebbero tracciato il confine. Accadde per� che, mentre il gallo bianco dei senesi cant� regolarmente all'alba, il gallo nero dei fiorentini, innervosito da un lungo digiuno, si mise a cantare ben prima che sorgesse il sole. Con uno stratagemma il cavaliere fiorentino riusc� cos� a guadagnare un bel po' di terreno... Oggi il Gallo Nero � il simbolo del Chianti Classico Docg, un vino rosso prodotto nell'area �classica� delimitata fin dal 1716 da Cosimo III de' Medici. Nella cintura esterna rispetto a questi confini viene prodotto invece il Chianti geografico. Il Chianti Classico � fatto esclusivamente nel territorio compreso tra Firenze e Siena e risponde a tre requisiti: almeno l'80% di uve sangiovese, un 20% massimo di altri vitigni autoctoni o variet� internazionali e tre tipologie d'affinamento. Queste sono l'Annata, con 12 mesi d'invecchiamento in legno e tre d'affinamento in bottiglia; la Riserva, che invecchia 24 mesi e affina per tre mesi nel vetro; e la Gran Selezione, 30 mesi d'invecchiamento in legno e tre in bottiglia. Tra le cantine meritano una visita, oltre ai castelli di Brolio, di Verrazzano e di Bossi, anche le aziende Antinori nel Chianti Classico e la cantina Rocca delle Mac�e. Altra specialit� gastronomica � la carne di Chianina, una razza originaria della Val di Chiana un tempo usata come �forza motrice� e oggi allevata per la produzione alimentare. � un bovino grande, dal mantello bianco porcellana con qualche pigmentazione e - nei maschi - una sfumatura grigia all'altezza del collo. Poco adatta agli allevamenti intensivi, cresce generalmente allo stato brado e fornisce una carne magra, nei soggetti pi� grandi con un po' di grasso di marezzatura. La possiamo assaggiare in due autentici templi della Chianina. Uno � a Panzano in Chianti nell'Antica Macelleria Cecchini, locale caratteristico e meta di pellegrinaggio dei buongustai anche per la simpatia dell'istrionico macellaio Dario Cecchini, un'autorit� in materia di �ciccia�. Collegati alla sua macelleria con cucina ci attendono un bistrot al piano superiore e un ristorante, a due passi. L'altro tempio della carne � l'Antica Macelleria Falorni, dal 1806 sotto i portici della piazza centrale di Greve in Chianti, frequentatissima soprattutto dopo l'apertura di un bistrot: grandi carni, salumi, formaggi toscani. A gestirla i fratelli Stefano e Lorenzo Bencist� Falorni e figli. Una piccola curiosit� � l'allevamento di capre Chianti Cashmere, sostenibile e certificato, dove trascorrere una mezza giornata tra gli animali partecipando all'iniziativa �Pastori per un giorno�. Vi si possono acquistare capi d'abbigliamento fatti con cashmere di qualit�. Orietta Berti: emiliana doc! (di Marta Santacatterina, �In cucina� n. 2/23) - Tutto � cominciato da un accenno a delle misteriose ricette afrodisiache... oggi Orietta Berti, gi� star della canzone e della tv, ha svelato la sua passione per il cibo e per i fornelli! Il suo nuovo libro raccoglie ricette e ricordi di una vita da autentica emiliana - Orietta Berti non ha certo bisogno di presentazioni. Amatissima cantante e volto televisivo popolare, fin da giovanissima ha dedicato la sua vita alla musica. Da qualche settimana � anche autrice di un libro di ricette, Nella mia cucina, edito da Gribaudo: tra le pagine, ricche di fotografie, fanno capolino le pietanze che la star di Reggio Emilia ama cucinare, quelle che le ricordano le tradizioni emiliane, quelle che ha scoperto viaggiando in tutte le regioni d'Italia, per finire con una carrellata di dessert. I lettori possono cos� lasciarsi accompagnare dalla travolgente simpatia e gentilezza di Orietta tra i sapori di una terra, l'Emilia Romagna, dove si producono cibi sublimi. E l'invito � di riunirsi attorno alla tavola con i propri cari per mangiare, ma soprattutto per stare insieme e volersi bene. - Orietta, come mai ha deciso di pubblicare questo volume che svela un suo lato molto �casalingo�? �Come mai mi sono affacciata nel mondo della cucina? � stato per caso: un giorno sono stata chiamata da una responsabile della casa editrice, incuriosita dalle mie ricette afrodisiache di cui avevo parlato in alcune trasmissioni televisive. In effetti negli anni ho raccolto, sia da amici sia da chef importanti, delle ricettine che mi hanno garantito essere afrodisiache... in effetti mettono energia e allegria, sono stuzzichini che di solito preparo dopo un concerto o prima di affrontare un viaggio. Questi antipasti o piccole �merendine� sono perfette anche per accompagnare un brindisi con gli amici dopo una serata a teatro o al cinema. Si preparano in 5 minuti e si fa bella figura, poi mettono quel brio che ci vuole, soprattutto durante una serata romantica come quella di San Valentino...�. - E a proposito del giorno degli innamorati, quale ricetta consiglierebbe? �Consiglio di preparare un antipasto a base di tocchetti di Grana con miele e polvere di caff�, perch� � energetico e tiene svegli�! - Nel volume ampio spazio � dedicato alle tradizioni emiliane: quanto contano per lei? �Moltissimo! Noi emiliani siamo fortemente legati alle nostre tradizioni in cucina. Ad esempio per le feste il menu � fisso, da sempre: non possono mai mancare i cappelletti in un brodo di carne molto speciale, e di conseguenza � gi� pronto anche il secondo, cio� il bollito di carne. Basta accompagnare quest'ultimo con la giardiniera di Piacenza oppure con la salsa verde, che alcuni preparano con l'uovo, altri con l'acciuga. Io preferisco quella con l'uovo perch� non mi piacciono molto le acciughe�. - Quali sono i ricordi pi� lontani che conserva a proposito del cibo? E a quale pietanza non sapeva proprio resistere quand'era bambina? �Il sottotitolo del libro recita �Le ricette di una vita� perch� sono legate proprio ai miei ricordi, quelli evocati anche dalle fotografie in bianco e nero che fanno capolino tra le pagine. Il ricordo pi� lontano � legato al 25 aprile, quando mia nonna preparava le tagliatelle di tre colori: faceva bollire in una pentola degli spinaci e in un'altra della rapa rossa; la terza pentola invece conteneva solo acqua salata. Lessava quindi le tagliatelle, rigorosamente fatte a mano, nelle tre diverse acque in modo che, una volta scolate, si presentassero di tre colori diversi, cio� quelli della bandiera italiana. Bisogna infatti ricordare che il Tricolore � nato a Reggio Emilia. Ricordo molto bene anche quando si faceva la sfoglia: la casa si riempiva di polvere, ma era la farina che volava dappertutto! Quando si preparavano i tortelli e i cappelletti mi facevano invece salire su uno sgabellino e mi affidavano il compito di chiuderli� � pi� facile con i tortelli, mentre i cappelletti vanno ripiegati e chiusi molto bene perch� non si devono assolutamente aprire nel piatto�! - Una delle sezioni del libro � poi dedicata alle ricette di tutta Italia, perfette per la condivisione, giusto? �S�, viaggiando molto ho assaggiato le cucine di tutta Italia e in particolare io adoro quella della Calabria perch� l� preparano degli antipasti con la 'nduja o con del salame pepato che sono molto sfiziosi; inoltre mi piacciono molto le loro verdure sott'olio. Ma in Italia si mangia bene dappertutto�. - E oggi? C'� un cibo particolare a cui non potrebbe mai rinunciare? �Potrei dire l'erbazzone, una delle delizie del Reggiano. Al mattino, quando devo prendere il treno Alta Velocit� per partecipare a una trasmissione, faccio colazione con un caff� e una fetta di erbazzone. Sono speciali anche le chizze: il ripieno � simile, a base di erbette e formaggio, ma poi lo si racchiude in un guscio di pasta, la stessa che si usa per il gnocco fritto (rigorosamente �il� gnocco fritto, come dicono i Reggiani, ndr), e poi si friggono. Nelle nebbiose giornate invernali cucino invece i casagai, una polenta farcita che ci invidiano anche gli altoatesini! All'ultimo bollore, quando � ormai pronta, si aggiungono dei ciccioli sminuzzati o della salsiccia a pezzettini o un po' di strolghino, oltre a dei pezzetti di grana. A parte si prepara un sugo a base di borlotti... Si ottiene una meraviglia profumatissima e colorata, ideale per le giornate gelide�. - Cosa non pu� mancare nella dispensa o nel frigorifero di Orietta Berti? �Ho sempre delle prugne secche e della pancetta. Uso questi ingredienti per una ricetta afrodisiaca: talvolta le farcisco con una mandorla al posto del nocciolo, poi le avvolgo con della pancetta tagliata sottile e le metto in forno. La stessa ricetta si pu� fare con i datteri. A casa nostra non mancano mai i salumi, il Parmigiano Reggiano, e ho sempre anche dei pecorini... i formaggi sono fantastici, se arriva qualcuno all'improvviso consentono di preparare uno spuntino saporito in un attimo�. - Quanto � importante per lei sedersi a tavola con le persone pi� care? �Per noi emiliani sedersi a tavola con gli amici e la famiglia � meglio che andare a teatro! � la cosa pi� bella che ci sia e io cerco di condividerla anche con i miei collaboratori. Si chiacchiera del presente e del passato, si rievocano i ricordi, si pensa al futuro, ci si ricorda delle persone care e anche degli animali domestici che ci hanno lasciati: � sempre un momento emozionante. Tra l'altro quando lavoro io devo sempre mangiare in fretta, sul set si fanno solo degli spuntini con i cestini, si mangia in piedi e solo per nutrirsi.. quindi per me il pi� bell'invito � quello a cena�. - Non deve per� essere facile trovare il tempo di cucinare: come concilia i suoi impegni e i suoi viaggi con l'attivit� ai fornelli? �Quando sono in tourn�e purtroppo non riesco a dedicarmi alla cucina: passo da casa, faccio il cambio degli abiti e io e mio marito andiamo a mangiare fuori perch� il poco tempo a disposizione preferisco passarlo con lui. Qualche volta per� riesco a preparare un buon minestrone di verdure, oppure degli spaghetti: di solito scelgo delle preparazioni veloci perch� spesso arrivo tardi. Quando sono a casa, invece, siccome dormo poco, dopo aver fatto un giro di telefonate notturne ai miei amici in America perch� l� sono svegli, tiro fuori quel che c'� dal frigo e comincio a fare dei sughi e dei rag� che poi regalo a mia nuora, agli amici, ai collaboratori�. - C'� qualche episodio divertente che ricorda, legato al cibo? �Tanti, ma uno in particolare: quando ero giovane venivano a trovarmi da Milano tantissimi colleghi dello spettacolo e spesso si fermavano a casa mia a mangiare. Mio figlio era piccolino e in un tema scrisse: �La mia mamma � una bugiarda perch� quando riceve gli ospiti le fanno tanti complimenti per il cibo e dice che ha fatto tutto lei, ma non � vero! Compra tutto da Angelo che � un nostro amico e ha un negozio di pasta fresca. Lei si limita solo a cuocerla e a condirla con il Parmigiano e il burro!�. Per fortuna i miei amici non hanno letto il tema, ma la maestra mi ha telefonato dicendomi che in classe avevano riso tanto! Del resto nelle nostre zone ci sono cos� tanti artigiani che fanno dell'ottima pasta fresca e ripiena che di solito preferisco comprarla da loro, anche perch� farla in casa richiede molto tempo e bisogna essere in due: uno deve tirare la sfoglia e l'altro inserire il ripieno e chiuderla, altrimenti diventa secca�. - Infine, a chi dedica questo libro? �A tutti quelli che cucinano con amore per le persone che amano! Quando si prepara un piatto bisogna pensare alla persona a cui andr� offerto il cibo, che va �condito� con tanta cura e tanto amore�!