Ottobre 2023 n. 10 Anno LIII MINIMONDO Periodico mensile per i giovani Direzione redazione amministrazione e stampa Biblioteca Italiana per i Ciechi �Regina Margherita� Onlus via G. Ferrari, 5/a 20900 Monza Casella postale 285 c.c.p. 853200 tel. 039/28.32.71 fax 039/83.32.64 e-mail: bic@bibciechi.it web: www.bibliotecaciechi.it Registrazione 25-11-1971 n. 202 Dir. resp. Pietro Piscitelli Comitato di redazione: Pietro Piscitelli Massimiliano Cattani Luigia Ricciardone Copia in omaggio Rivista realizzata anche grazie al contributo annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero della Cultura. Indice E l�uomo cre� la bomba Parlare da soli Il rombo di un mito Bitto, il tesoro della Valtellina Sport (nei climi) estremi Storia e leggende di Cortina d�Ampezzo �Questo piccolo grande amore�: una canzone che ha fatto la storia E l�uomo cre� la bomba (di Elisa Venco, �Focus Storia� n. 202/23) - Fra entusiasmo scientifico e dubbi etici, Robert Oppenheimer � passato alla Storia come �padre della bomba atomica� - La copertina del primo numero di Physics Today, tra i periodici pi� importanti al mondo per la fisica dal 1948 a oggi, presentava una foto del cappello di J. Robert Oppenheimer appoggiato su un ciclotrone (una macchina usata per accelerare fasci di particelle). Il fisico americano era cos� famoso che non aveva bisogno di mostrare la sua faccia per essere �riconosciuto�. Eppure la sua enorme fama non gli evit� di essere ostracizzato e (temporaneamente) disonorato, a dispetto della solidariet� della comunit� scientifica. Colui che era noto come il �padre della bomba atomica�, dopo la fine della Seconda guerra mondiale divenne uno scienziato perseguitato, come Galileo (non a caso Bertolt Brecht si ispir� alla sua vicenda per riscrivere il suo testo teatrale Vita di Galileo). Anzi, pi� precisamente, secondo Kai Bird e Martin Sherwin, vincitori del premio Pulitzer per il saggio American Prometheus: The Triumph and Tragedy of J. Robert Oppenheimer, su cui � basato il film di Christopher Nolan e tradotto in Italia da Garzanti, Oppenheimer fu un novello Prometeo: qualcuno cio� che, come l'eroe della mitologia greca, punito per aver donato agli uomini il fuoco, pag� il fatto di aver consegnato all'umanit� un'invenzione che avrebbe cambiato il corso della Storia. Nato nell'aprile del 1904 a New York da una famiglia tedesca di origine ebraica, sin da bambino Robert spiccava per intelligenza e interessi, dalla scienza alla poesia, dalle lingue straniere (ne impar� sei, incluso il sanscrito) alla mineralogia, di cui divenne cos� esperto che fu ammesso al Mineralogical Club di New York all�et� di 12 anni. Nel 1925 consegu� una laurea in fisica ad Harvard, seguita da un dottorato a Gottinga (Germania) nel 1927. Rientrato negli Usa nel 1929, dopo aver assistito all'ascesa di Hitler in Europa - ma anche alla rovina portata agli americani dalla Grande depressione - fece amicizia con alcuni membri attivi del Partito comunista, come Katherine �Kitty� Puening, studentessa radicale di Berkeley che nel 1940 sarebbe diventata sua moglie (ma la vita amorosa dello scienziato fu sempre piuttosto vivace). Prima delle nozze, nel laboratorio di fisica di Berkeley, Oppenheimer collabor� con Ernest Lawrence, l'inventore del ciclotrone, premio Nobel nel 1939. In quello stesso anno, il giorno in cui Hitler invadeva la Polonia dando inizio alla Seconda guerra mondiale, Oppenheimer e il collega Hartland Snyder pubblicarono quello che il fisico e storico della scienza Jeremy Bernstein definir� �uno dei pi� grandi articoli della fisica del ventesimo secolo�. In esso i due autori si chiedevano cosa sarebbe successo a una stella massiccia che avesse iniziato a consumarsi, avendo esaurito il suo carburante: basandosi sulla teoria della relativit� generale di Einstein, sostenevano che essa sarebbe stata schiacciata da una tale �singolarit� che nemmeno le onde luminose sarebbero state in grado di sfuggire all'attrazione della sua gravit�. Lo studio poneva le basi per la teoria dei buchi neri, che tuttavia fu compiutamente formulata solo trent'anni pi� tardi. Va detto, per�, che gli articoli scritti da Oppenheimer erano difficili da comprendere anche per gli esperti: usava formule matematiche complesse per dimostrare i principi fisici, ma a volte commetteva errori, probabilmente per la fretta. �La sua fisica era buona�, comment� una volta il suo coautore Snyder, �ma la sua aritmetica era terribile�. Dopo l'invasione della Polonia, Albert Einstein, Le� Szil�rd e altri fisici emigrati negli Stati Uniti scrissero una lettera al presidente Roosevelt per avvertirlo che la Germania avrebbe potuto sviluppare bombe atomiche, e suggerivano che gli Stati Uniti avrebbero dovuto precederli. Oppenheimer fu scelto dal generale Leslie R. Groves per guidare il tentativo di bruciare i nemici sul tempo. Era il cosiddetto Progetto Manhattan, dal luogo dove erano ubicati gli uffici del Manhattan Engineer District, creato nel 1942. In qualit� di direttore scientifico del laboratorio, la prima missione di �Oppie� fu il reclutamento delle menti pi� brillanti del Paese: il pi� noto, Enrico Fermi. Il secondo obiettivo era realizzare una bomba atomica. In base agli studi condotti fino ad allora, sembravano esserci due possibili vie da percorrere: utilizzare l'uranio o il plutonio. Il team del Progetto Manhattan realizz� prototipi dei due tipi di bombe, che porteranno alla costruzione di �Little Boy�, un ordigno all'uranio fatto poi esplodere su Hiroshima, e di �Fat Man�, una bomba al plutonio con metodo a implosione, che fu sganciata sopra Nagasaki. Poich� questo tipo di arma non aveva precedenti, Oppenheimer ritenne necessario sperimentarla. Perci� il 16 luglio 1945, nel deserto di Alamogordo, vicino a Los Alamos, nel New Mexico, fu effettuato il cosiddetto Trinity Test, con una bomba al plutonio (�The Gadget�). Lo scoppio rilasci� l'energia di 21-mila tonnellate di tritolo e il suo calore risult� cos� intenso che sciolse la sabbia nell'area circostante, creando un tipo di vetro verde leggermente radioattivo chiamato �trinitite�. Secondo varie testimonianze, dopo avere assistito all'esplosione Oppenheimer cit� un testo sacro indiano, con queste parole: �Ora sono diventato Morte, il distruttore di mondi�. Alcuni degli scienziati che assistettero alla detonazione, incluso lui, si espressero in favore di un'esplosione dimostrativa della potenza della bomba che inducesse il nemico ad arrendersi, senza utilizzarla su civili. Non furono ascoltati, ma dopo il doppio bombardamento atomico sul Giappone (circa 200-mila morti subito, molti altri in seguito, per le radiazioni), si adoperarono perch� non venissero pi� impiegate armi cos� devastanti. Nel 1945, sulla Saturday Review of Literature, Oppie scrisse che le armi nucleari erano strumenti �di aggressione, di sorpresa e di terrore� e l'atomica espressione dell'�inumanit� e della cattiveria della guerra moderna�. La corsa alle armi atomiche tuttavia era appena cominciata. Da qualche tempo, infatti, il fisico di origine ungherese Edward Teller lavorava a un'arma ancora pi� devastante: la bomba a idrogeno. Oppenheimer fu invitato a unirsi al progetto, ma rifiut�. Dal 1947 al 1952 il fisico guid� il Comitato generale di consulenza della Commissione per l'energia atomica degli Stati Uniti, spendendosi perch� si arrivasse a un'intesa internazionale per la non proliferazione degli armamenti nucleari: �Se le armi atomiche entreranno a far parte degli arsenali delle nazioni, verr� un tempo che l'umanit� maledir� i nomi di Los Alamos e di Hiroshima. I popoli del mondo dovranno unirsi o periranno tutti�, dichiar�. Questa attivit� �pacifista� lo mise nel mirino del senatore Joseph McCarthy, ideatore di una caccia alle streghe finalizzata a epurare gli Stati Uniti dallo spettro del comunismo. Basandosi su vecchie carte dell'Fbi che documentavano le simpatie del fisico per gli ambienti antifascisti, sul suo rifiuto di collaborare alla realizzazione della bomba a idrogeno e sulla testimonianza sfavorevole di Teller, la commissione di indagine accus� lo scienziato di essere comunista e di aver passato segreti sulla bomba ai sovietici. Dal canto suo, Oppenheimer non resse bene gli interrogatori: nell'ottobre 1945 si comport� in modo cos� pietoso nell'ufficio del presidente Harry Truman da esserne definito �lo scienziato piagnucolone�. In realt� vere prove non ne esistevano. Come spiega Kai Bird, �gran parte delle prove negli archivi dell'Fbi erano contraddittorie. Se alcuni degli informatori affermavano che Oppenheimer era un comunista, altri lo negavano�. In ogni caso, nel 1954 al fisico fu vietato l'accesso alla Atomic Energy Commission �per ragioni di sicurezza nazionale�. La comunit� scientifica allora insorse, riuscendo, nel giro di pochi mesi, a farlo confermare nell'incarico di direttore dell'Institute for Advanced Studies di Princeton, che mantenne fino alla morte, avvenuta nel 1967 a causa di un tumore alla gola. Pochi anni prima, nel 1963, il presidente Lyndon Johnson gli aveva assegnato il premio Enrico Fermi per sancire una �riabilitazione� ufficiale. Ma solo 55 anni dopo la morte di Oppie, ossia nel dicembre 2022, la segretaria del dipartimento per l'Energia del governo Biden, Jennifer Granholm, ha dichiarato che la decisione del 1954 fu il risultato di un processo �che aveva dei difetti: con il passare degli anni sono emerse prove sui �preconcetti� e sulla �scorrettezza� dell'inchiesta su Oppenheimer, mentre al tempo stesso sono state ulteriormente rafforzate �le prove della sua lealt� e del suo amore� per gli Stati Uniti�. Il calvario di Oppenheimer dimostrava agli scienziati, come ha scritto il sociologo Daniel Bell, �che non potevano pi� dissentire dalla politica del governo. Da allora � prevalsa una visione limitata di come gli scienziati devono servire il loro Paese�. Eppure, a chi nei suoi ultimi anni chiedeva a Oppenheimer se volesse cambiare qualcosa del suo passato, il fisico rispondeva: �Ho fatto il mio dovere, che era di svolgere il lavoro che dovevo fare. A Los Alamos non ero nella posizione di prendere decisioni politiche. Avrei fatto qualunque cosa mi avessero chiesto di fare, perfino una bomba in una forma diversa, se avessi pensato che fosse stato tecnicamente possibile�. Parlare da soli (di Raffaella Procenzano, �Focus� n. 365/23) - A chi non capita di confabulare tra s� e s� o di sorprendere qualcuno a farlo? Si tratta di un fenomeno normale dovuto alla struttura del cervello, che pensa (quasi sempre) a parole - Alcuni lo fanno per convincere se stessi di qualcosa, altri semplicemente per ripassare un discorso difficile che dovranno prima o poi fare a qualcuno, altri ancora per memorizzare meglio un'informazione. Almeno qualche volta, a tutti � capitato di sorprendersi a parlare da soli a voce alta, magari in un momento di stress. Non c'� nulla di strano: il soliloquio non � altro che l'emergere all'esterno del cosiddetto �discorso interiore�, la modalit� pi� comune in cui prendono forma i nostri pensieri, che spesso si esprimono appunto a parole. Nella nostra testa, il chiacchierio � continuo: �Devo fare questo o quello?�, �Tra poco esco, prendo l'ombrello�, �Oggi vedr� Carlo, gli porter� quella relazione di lavoro� ecc... Gi� da questi esempi si capisce a che cosa serva di solito parlare tra s� e s�: a darsi istruzioni e a ricordare meglio qualcosa. E non c'� da stupirsi se questo discorso di tanto in tanto affiora alle labbra involontariamente e diventa udibile anche dagli altri: vuol dire soltanto che il meccanismo cerebrale che in questi casi inibisce l'articolazione delle parole non si attiva (o si attiva solo in parte). Osservando con la risonanza magnetica un cervello che pensa, infatti, diversi gruppi di ricerca hanno visto �accendersi� le aree connesse al movimento dei muscoli che ci permettono di parlare anche se poi l'individuo che sta pensando resta silenzioso, visto che altre zone del cervello di fatto bloccano il movimento. Ma ci sono casi in cui (nei momenti di stress, appunto) questo meccanismo non funziona al meglio e i pensieri �escono allo scoperto� in un discorso vero e proprio. Un fenomeno in cui le differenze individuali sono molto spiccate: c'� chi molto raramente si trova a parlare da solo e chi lo fa praticamente ogni giorno, senza che questo dimostri nulla di anomalo (con qualche eccezione). Lo studio del discorso interiore, del resto, coinvolge da molti anni diversi scienziati perch� tocca temi affascinanti e in parte ancora misteriosi come la nascita dei pensieri, il senso del s� e la natura della coscienza. Lo psicologo Lev Vygotsky, quasi un secolo fa, fu il primo a osservare che il dialogo interiore si sviluppa insieme al linguaggio vero e proprio: verso i 2 o 3 anni, i bambini iniziano a parlare da soli mentre giocano e poi gradualmente smettono di farlo ad alta voce, ma ovviamente continuano per tutta la vita a dirsi le cose tra s� e s�. Durante questi discorsi, i piccoli, come gli adulti del resto, si danno istruzioni e si autoincoraggiano, magari ripetendo frasi che hanno sentito dire dai genitori o dalle maestre. Ma il linguaggio interiore, perlomeno negli adulti, non � sempre deliberato. In alcuni esperimenti di imaging cerebrale, condotti da Charles Fernyhough della Durham University (Regno Unito) su un gruppo di volontari a cui � stato chiesto in modo casuale a che cosa stessero pensando mentre si trovavano all'interno di un apparecchio per la risonanza magnetica, si � visto che in alcuni casi ad �accendersi� insieme ai pensieri erano le regioni dell'emisfero sinistro (tra cui l'area di Broca e il lobulo parietale inferiore) normalmente connesse all'emissione del linguaggio, ma in altri si attivavano di pi� regioni cerebrali di solito connesse con le percezioni uditive. Nel primo caso i volontari hanno dichiarato che stavano deliberatamente pensando qualcosa, nel secondo caso che stavano pi� che altro �ascoltando� i loro pensieri mentre la mente vagava libera (situazione che si verifica soprattutto a riposo e che coinvolge reti neurali diverse da quelle del discorso interiore intenzionale). Il meccanismo con cui si esprime la nostra voce interna � dunque pi� complesso di come aveva ipotizzato Vygotsky. Inoltre, le ricerche di Gary Oppenheim e Gary Dell, dell'Universit� dell'Illinois, hanno evidenziato che a volte il discorso interiore � molto simile a una serie di parole silenziose, mentre altre volte � molto pi� astratto e non ha tutte le caratteristiche del linguaggio vero e proprio (ne perde il ritmo, per esempio). Tra l'altro, gli studi di Fernyhough hanno dimostrato che almeno il 60% delle persone riferisce che il proprio discorso interiore � pi� che altro un dialogo tra se stessi e un'altra �voce�, e non pu� essere definito un monologo. Questo perch�, oltre ad avere un ruolo importante nella regolazione del comportamento (� fondamentale per esempio nell'autocontrollo, come � stato dimostrato da alcuni ricercatori dell'Universit� di Toronto), il discorso interiore serve anche a motivarsi quando si deve fare qualcosa. Basta pensare agli atleti che spesso vengono sorpresi dalle telecamere mentre parlano tra s� per incoraggiarsi e ripassare mentalmente i movimenti necessari alla prestazione. In questi casi si ascolta la �voce� di qualcuno che ci sta vicino (si ripensa ai consigli di un allenatore, per esempio). Inoltre, in qualunque forma si presenti (dialogo o monologo), la nostra voce interna sembra avere grande importanza nel renderci consapevoli di chi siamo come individui: �Il discorso interiore ci consente di analizzare verbalmente le nostre emozioni, motivazioni, i nostri impulsi e modelli comportamentali, portando alla coscienza ci� che resterebbe sommerso nel subconscio�, sostiene lo psicologo Alain Morin, della Mount Royal University di Calgary (Canada), uno dei pi� importanti studiosi della ruminazione interna. Del resto tutti (o quasi), parlano tra s� e s� a bassa e, spesso, ad alta voce: persone sorde sono state osservate fare lunghi soliloqui utilizzando il linguaggio dei segni. Secondo Ethan Kross, neurologo sperimentale e fondatore del laboratorio sulle emozioni e sull'autocontrollo dell'Universit� del Michigan, il discorso interiore � proprio il meccanismo che sta alla base di pratiche millenarie come la preghiera silenziosa e la meditazione. La funzione pi� importante del discorso interiore, per�, resta quella di rendere pi� efficiente la memoria di lavoro, quella che ci permette di fare tutte le piccole cose quotidiane. L'antropologo inglese Andrew Irving ha origliato nelle menti di oltre 100 newyorkesi per ben 14 mesi. Chiedeva all'improvviso, a persone incontrate casualmente per strada, di incidere su un registratore che cosa stessero pensando in quel momento: ha cos� scoperto che molti ripassavano le cose da fare nell'immediato, ma molti altri riflettevano su avvenimenti del passato per poter dire a se stessi che cosa avrebbero fatto nel futuro (consolare un'amica che aveva ricevuto una brutta notizia, per esempio). Andare mentalmente su e gi� nel tempo � dunque un altro degli scopi del nostro discorso interno. Che quando � intenzionale, e in questi casi non � raro che affiori alle labbra, ha un ruolo fondamentale anche nell'aumentare l'attenzione, e dunque favorisce la concentrazione nello studio e in qualsiasi altro compito complesso. Le ricerche di Michael Emerson all'Universit� del Colorado hanno in effetti dimostrato che la voce interna � decisiva quando si deve passare da un compito mentale all'altro: in un'operazione matematica, per esempio, � lei che dicendoci �aggiungi� quando c'� un segno �pi�� o �sottrai� quando c'� un �meno� consente al cervello di cambiare modalit� di calcolo e quindi, in definitiva, di fare i conti pi� in fretta. E aiuta anche nella risoluzione di problemi cognitivi che coinvolgono le capacit� visuo-spaziali e quelle in cui si tratta di dividere le cose in categorie: secondo gli studi dello psicologo evoluzionista statunitense Bernard Baars, ci� accade sia che si tratti di discorso interiore deliberato sia del vagabondaggio involontario dei pensieri. La voce interiore funziona grazie a quello che viene chiamato loop fonologico, ovvero una sorta di �orecchio interno� che ci consente di memorizzare ci� che viene detto intorno a noi, e che � dotato di una voce (sempre interna) che ce lo fa ripetere mentalmente. Un meccanismo velocissimo: si calcola che questo genere di pensiero proceda al ritmo di 4.000 parole al minuto (per fare un paragone, gli speaker sportivi pi� bravi arrivano a 3-400). Il loop si sviluppa durante l'infanzia, quando si parla ad alta voce con se stessi. Ecco perch� le ricerche dimostrano che ci� che dice la voce interna � di solito in sintonia con l'educazione ricevuta. Non solo: il discorso interiore monitora ci� che stiamo facendo per raggiungere gli obiettivi che ci siamo fissati, ovvero se stiamo studiando abbastanza per quell'esame, o se lavoriamo abbastanza per meritare una promozione ecc. Questo monitoraggio si presenta con pensieri improvvisi, che emergono quando meno ce l'aspettiamo e che ci ricordano come comportarci. Una sorta di �grillo parlante�, che pu� perfino trasformarsi in un nemico se non riusciamo a tenerlo a bada. Per esempio, secondo Kross, la voce interiore interferisce con i movimenti automatici appresi e a volte porta gli atleti a fallire un obiettivo proprio perch� riflettono su ci� che stanno facendo invece di farlo e basta. Il nostro �chiacchierone interno�, insomma, va gestito: anche perch�, come hanno scoperto Christopher Heavey e Russell Hurlburt dell'Universit� del Nevada, passiamo a parlare con noi stessi circa un quarto del nostro tempo da svegli. Allora, tanto vale fare come Barak Obama, che ha scritto: �Metto sempre a confronto le mie azioni con la mia voce interiore che, almeno per me, � udibile, attiva, e mi dice sempre se sto muovendomi nei binari di ci� che � giusto o se sto deragliando�. E chiss� se anche lui, qualche volta, ha pronunciato questi discorsi a se stesso ad alta voce. Il rombo di un mito (di Luigi Grassia, �Focus Storia� n. 201/23) - A cavallo della sua Harley-Davidson Sonny Barger fond� gli Hell�s Angels, un pezzo di storia a stelle e strisce. Fra bevute, risse e libri, divenne una leggenda - �Ho messo assieme dei ragazzi che non volevano n� mogli n� figli n� lavori da sfigati, e invece si divertivano a correre in moto, a sfidarsi per le strade e a fare il diavolo a quattro. Abitavamo nei garage degli aprici e tutto quello che avevamo erano i giubbotti coi colori degli Hell's Angels e le moto che cavalcavamo�. Sono parole di Sonny Barger (1938-2022), fondatore e presidente della pi� famosa fra le gang americane di motociclisti: gli Hell's Angels (�Angeli dell'inferno�). Negli Stati Uniti ne esistono a decine: Bandidos, Mongols, Outlaws, Pagans eccetera, ma i loro nomi sono quasi sconosciuti al pubblico. Quello che differenzia gli Angels da tutte le altre bande � proprio l'avere avuto come capo Sonny Barger, che � stato un geniale manipolatore dell'opinione pubblica a ogni livello: giornali, tv, cinema e libri. Lui stesso ha scritto saggi e romanzi, pubblicati anche in Italia. Fuorilegge con una marcia in pi�, regolarmente intervistato dai mass media, conteso dal movimento della controcultura hippy e dalla destra reazionaria, Barger fu allo stesso tempo indagato dall'Fbi e dalla Dea (cio� l'antidroga) per crimine organizzato, ed elogiato dal Pentagono come esempio di patriottismo. Rievocare la sua improbabile vita serve anche a capire come funziona la nostra societ� della comunicazione. Barger nacque in California da padre tedesco e madre italiana, ma lei scapp� con un altro quando il bambino aveva appena quattro mesi. A scuola non fu un tipo facile da inquadrare: il suo rendimento era zero, per� leggeva molti romanzi (�ti fanno scoprire mondi che non avresti neanche immaginato�). Attacc� con una mazza da baseball un professore (�avevo problemi con l'autorit�, ammise) eppure sbalord� tutti arruolandosi nell'esercito a 16 anni. Ma lo fece violando le regole: l'et� minima era 18 anni, lui dichiar� il falso e fu creduto. Rimase sotto le armi per un anno, ma quando si accorsero che aveva barato lo congedarono all'istante. Ebbe comunque il tempo di conoscere persone interessanti. �I reduci dalla Guerra di Corea�, scriver� in seguito, �prendevano le cose come venivano. Erano irrequieti. Alcuni di loro giravano in motocicletta, esibivano tatuaggi. Gli era rimasto qualcosa sul gozzo. Era gente che suscitava in me un'impressione profonda�. Li prese a modello. Quando nel 1957 Sonny Barger fond� il suo motorclub a Oakland (nella baia di San Francisco), lo fece imponendo regole ispirate all'esercito; e a questa specie di anarchia irreggimentata diede il nome di Hell's Angels. I pignoli diranno che esistevano gi� prima del '57 gruppi di motociclisti chiamati Hell's Angels: � vero, ma a creare il movimento nazionale fu lui. Che cosa facevano, nella vita di tutti i giorni, gli Hell's Angels? �Noi non cerchiamo guai e non abbiamo intenzione di provocarne�, diceva Barger, �ma perdio, sembra che i guai cerchino noi�. Per citare un esempio concreto: �Un altro club motociclistico afferm� pubblicamente che l'unica ragione per cui gli Angels non andavano mai a Sturgis (South Dakota, ndr) era perch� ci andavano loro. Io lo venni a sapere, e la mia reazione immediata fu: �Al diavolo! Adesso vado a Sturgis��. Per�, se le attivit� si fossero limitate a raid sulle Harley-Davidson e a scazzottate clamorose, probabilmente gli Angels sarebbero rimasti una delle tante gang semi-sconosciute, come i Bandidos e i Pagans. Ma Sonny Barger ebbe una prima, grande idea di marketing: si accord� con un giovane giornalista rampante, un certo Hunter Thompson, per spalancargli le porte del suo motorclub e dargli materiale per un grande reportage. Nel 1967 ne usc� un libro dal clamoroso successo, non solo americano ma addirittura mondiale, che proiett� gli Hell's Angels (e Thompson) in un'altra dimensione. Poi Sonny Barger prese gusto a cercare altri giornalisti-scrittori che seguissero le sue gesta, e altri ancora che lo aiutassero a pubblicare libri con la sua firma. Nel 1967 e nel 1969 sugli Angels vennero girati a Hollywood due film, e la ciliegina sulla torta arriv� con la frequentazione di stelle del rock. Quella per� fu anche l'origine di una tragedia: il 6 dicembre 1969 la gang di Barger forniva il servizio d'ordine per un concerto dei Rolling Stones a Altamont (California), quando un giovane nero brand� una pistola davanti al palco, fu affrontato dagli Hell's Angels, ne fer� uno sparando, poi venne accoltellato a morte. Tutto si svolse davanti alle telecamere. L'Hell's Angel omicida fu assolto per legittima difesa, ma l'episodio cambi� il modo in cui il mondo percepiva la gang. Criminali? N�. Quando Hunter Thompson scrisse il suo libro, gli Hell's Angels non gli apparvero come una vera e propria associazione criminale: erano brutali e imprevedibili (il volume si conclude bruscamente con Thompson pestato a sangue, senza motivo, da un paio di loro), ma non erano organizzati per delinquere. Individualmente, quasi tutti (incluso Sonny Barger) cumulavano arresti e condanne per risse, armi illegali, spaccio di droga o peggio, cos� nel 1979 le autorit� ci provarono: in una grande retata, molto televisiva, Barger e decine di altri capi degli Angels furono arrestati e mandati a processo in base alla legge Rico sul crimine organizzato. Ma fu un buco nell'acqua: orchestrato dal boss stesso, si cre� un movimento nazionale �Liberate Sonny Barger�, e nel 1980 il capobanda e la maggior parte dei suoi vennero assolti. Fu una grande vittoria legale, dalla vastissima eco. Barger stesso la esalt� sui giornali e sulle tv, vantandosi di aver stroncato �il progetto del governo di incarcerare gruppi impopolari e di impedire alle persone di riunirsi�, e numerosi politici e avvocati di grido gli diedero ragione. A proposito di diritti civili, negli Anni '60 e '70 molti ragazzi manifestavano contro la guerra in Vietnam, e alcuni Hell's Angels (a dimostrazione che fra loro c'era di tutto) parteciparono al movimento. Nacque dunque la speranza che tutta la gang facesse propria la causa della controcultura hippy. Invece Barger conquist� per l'ennesima volta le prime pagine annunciando che �gli Angels sono un gruppo di veri patrioti americani�, e addirittura propose che manipoli di Hell's Angels fossero �paracadutati dietro alle linee vietnamite� per fare strage con i loro metodi. Il Pentagono ringrazi�, ma declin� la strampalata offerta. Riguardo alla fedina penale di Barger, va detto che nel 1988 lui e alcuni altri subirono (finalmente) una condanna per associazione a delinquere, ma il grande capo se la cav� con tre anni e mezzo di carcere, e la sua carriera da boss degli Hell's Angels non ne soffr�. Anzi, la mitezza della pena equivalse a un'ulteriore vittoria. Col passare dei decenni Sonny Barger � passato da ragazzino problematico a motociclista con baffoni e lunga chioma nera, e infine a vecchio calvo con lo sguardo truce, la pelle di cuoio ricoperta di tatuaggi. � rimasto sempre un leader e col tempo ha accumulato soldi e fama pubblicando racconti e romanzi sul mondo dei motociclisti. Ha scontato in totale sette o otto anni di carcere, ma in sostanza ha concluso da impunito la sua lotta contro il �Grande Sbirro�, cio� il sistema, riuscendo pure a farsi applaudire dai mass media. Forse l'unica figura della storia americana a cui pu� essere accostato � il bandito Jessie James, un altro manipolatore sopraffino dell'opinione pubblica, che prima di svaligiare una banca o assaltare un treno avvertiva i suoi giornalisti di fiducia, in modo che si trovassero l� e fornissero poi una versione lusinghiera (per lui) degli eventi. Con la sostanziale differenza che il leggendario Jessie James mor� ammazzato a 35 anni, mentre Sonny Barger ha esalato l'ultimo respiro nel suo letto a ben 84, ricco e felice. Bitto, il tesoro della Valtellina (Assolatte.it) - Scopriamo questo particolare formaggio e i suoi impieghi per la preparazione di gustose ricette - Tra i formaggi italiani d�eccellenza e a Denominazione di Origine Protetta, vi � il Bitto, un prodotto d�alpeggio con lunga stagionatura che si distingue per il suo sapore unico e la lavorazione che prevede tecniche molto antiche. Caratteristico di una zona precisa della Valtellina, la Valle del Bitto, tra le province di Sondrio, Bergamo e Lecco, questo formaggio � disciplinato da ferree regole riguardo la produzione e la successiva lavorazione. Si tratta di un formaggio storico, le cui tracce risalgono al XVI secolo quando viene citato negli scritti di Ortensio Lando sulle �cose che si mangiano e bevono in Italia�. Da allora, le citazioni riguardo a questo formaggio sono state frequenti, a testimonianza del periodo d�oro di cui il Bitto ha beneficiato nei secoli passati fino ai giorni nostri, quando, nel 1996, ottiene la denominazione DOP. Il nome del formaggio � molto evocativo: viene infatti da �Bitu�, che in celtico significa perenne, in riferimento ai tempi molto lunghi di stagionatura che si possono protrarre fino a 10 anni. Secondo il disciplinare DOP, il Bitto deve essere prodotto esclusivamente con il latte vaccino proveniente da mucche di razza bruna alpina, che vengono allevate a un�altezza minima di 1400 m, e con una percentuale minima di latte di capra Orobica della Valgerola (10.20%). Lo si produce durante i mesi estivi, ovvero dal primo giugno a fine settembre, quando le mucche pascolano ad alta quota nei tipici pascoli valtellinesi. Sulla produzione del formaggio vigila anche il Consorzio Salvaguardia Bitto Storico che, pi� rigidamente rispetto al disciplinare che permette delle minime integrazioni, sta attento a che le mucche seguano un�alimentazione assolutamente naturale esclusivamente a base di erbe di alta montagna. Sia per questa differenza che per altre regole pi� rigide imposte dal Consorzio, distinguiamo tra Bitto DOP e Bitto Storico. Il Bitto viene prodotto e lavorato nei �cal�c�, i locali in muratura per il ricovero del bestiame in alta montagna. Il latte crudo, dopo la mungitura, viene inoculato con fermenti lattici autoctoni e fatto coagulare con caglio di vitello. La cagliata, quindi, viene tagliata fino alle dimensioni di un chicco di riso e cotta su fuoco a legna alla temperatura di circa 50�. Infine, la cagliata viene estratta e pressata nelle fascere. Una volta realizzate le forme, il Bitto viene trasferito per la salatura a secco nelle casere, ovvero i tipici locali in muratura ubicati nei pascoli della Valtellina, e poi, per la stagionatura, in magazzini predisposti con temperatura costante di circa 15� e un alto tasso di umidit� che si attesta intorno all�80-90%. La stagionatura varia dai 2 ai 6 mesi, per il Bitto da tavola, e da 1 a 2 anni per il Bitto da grattugiare. Il Bitto si presenta con una forma cilindrica, con uno scalzo concavo dagli 8 ai 12 cm e pu� pesare dagli 8 ai 25 kg. Il formaggio giovane ha pasta semidura dal colore bianco tendente al paglierino, compatta, con occhiatura diffusa e puntini bianchi. Ha una crosta sottile e gialla e un gusto delicato e dolce. Il Bitto stagionato ha pasta dura e friabile dal colore paglierino tendente al giallo. Inoltre, ha un gusto intenso e via via pi� piccante in base al periodo di stagionatura. Rispetto ai formaggi di media e lunga stagionatura, come parmigiano, Belpaese ed Emmenthal, ha un apporto calorico minore, pur mantenendo un buon apporto di proteine e grassi. Proprio per questo, pu� essere consumato regolarmente: i lipidi del formaggio, infatti, hanno il potere di ridurre il rischio di sviluppare iperglicemia, ipertensione e obesit� addominale. Il Bitto, dal sapore unico e inconfondibile, si abbina con vini rossi e corposi che ne esaltano aroma e intensit�. A seconda della stagionatura, nel tagliere di formaggi, il Bitto giovane occuper� un posto a circa met� del percorso di degustazione, mentre quello stagionato si trover� a fine percorso, tagliato a scaglie e abbinato a miele o marmellata. Grazie alla sua capacit� di sciogliersi, il Bitto � ideale per la realizzazione di cremosi ripieni per fagottini di pasta, torte salate e souffl�. � utilizzato anche per insaporire la polenta, tipico piatto lombardo, e per mantecare i risotti. Il Bitto stagionato pi� di un anno, invece, � ideale per essere degustato a scaglie e per condire insalate. Nella cucina locale in Valtellina, il Bitto � molto utilizzato per la sua capacit� di insaporire e amalgamare gli ingredienti. � fondamentale nella ricetta degli �sciatt� (frittelle ripiene di formaggio fuso) e dei tipici pizzoccheri, tagliatelle di grano saraceno, cotti al forno con verdure, formaggio, cipolle, burro fritto e parmigiano. Sport (nei climi) estremi (di Elena Meli, �Focus� n.363/23) - Come reagisce il corpo di un atleta alle temperature record? - Allo stadio Al Bayt, nei pressi di Doha, durante la partita di apertura degli ultimi Mondiali di calcio si sono fatti prendere la mano: l'aria condizionata � stata abbassata al punto che alcuni tifosi dell'Ecuador, che giocava contro i padroni di casa del Qatar, si sono lamentati per il troppo freddo. Forse un eccesso di zelo, ma l'idea di installare un impianto di refrigerazione in sette degli otto stadi che hanno ospitato le gare (l'unico privo di microclima controllato � stato scelto per le partite in notturna) non era cos� balzana: nell'emirato a dicembre si possono toccare i 30�C, una temperatura che non facilita prestazioni atletiche al top. Anche se la macchina-corpo si adatta al caldo intenso, al gran freddo e all'altitudine, queste condizioni estreme richiedono sforzi supplementari ai muscoli, al metabolismo, perfino al cervello. La temperatura � proprio uno degli elementi esterni che pi� incidono sulla performance, specialmente quella di resistenza come la classica maratona. �Le prestazioni di velocit� e potenza, per esempio la corsa sui 100 metri, dipendono molto dalla temperatura muscolare e meno da quella esterna: possono rimanere buone al freddo, se ci si copre bene e si fa un adeguato riscaldamento, e sono meno intaccate dal gran caldo perch� lo sforzo � breve e quindi la produzione di calore da parte dei muscoli meno prolungata, c'� meno necessit� di adattare la termoregolazione�, spiega Samuele Maria Marcora, docente di fisiologia dello sport dell'Universit� di Bologna. Negli sport di resistenza, invece, i muscoli al lavoro per lungo tempo fanno salire parecchio la temperatura interna e quindi scende quella esterna a cui si percepisce comfort termico: se da fermi 20�C ci sembrano perfetti, �correndo per 42 chilometri la temperatura ideale scende fra i 10 e i 15�C�, specifica Marcora. �Anche per questo la maratona dove si stabiliscono i record � quella di Berlino, con un terreno piatto, poche curve e soprattutto una temperatura, a fine settembre, ideale per lo sforzo di resistenza. Il caldo comporta uno stress termico rilevante, come dimostra un test che abbiamo condotto su persone che in bici dovevano pedalare il pi� possibile, mantenendosi al 70 per cento del carico massimo di esercizio: a 11�C arrivavano a 94 minuti, a 21�C �duravano� 81 minuti ma a 31�C erano esausti dopo 52 minuti soltanto. Con un'attivit� di lunga durata i muscoli si scaldano tanto, occorre sudare per ridurre la temperatura interna e questo comporta una disidratazione che riduce la capacit� del cuore di pompare bene. In pi�, la dilatazione dei vasi della pelle, essenziale per dissipare calore, �ruba� sangue ai muscoli e come se non bastasse l'aumento della temperatura interna diminuisce l'abilit� del cervello di �reclutarli� per il movimento�. Morale, al caldo si fa parecchia pi� fatica negli sport di resistenza o anche in quelli a sforzo intermittente come il calcio. La soglia non � uguale per tutti e chi � pi� allenato mantiene meglio la prestazione, anche perch� gli atleti professionisti oggi utilizzano metodi sempre pi� complessi per adattarsi alle condizioni ambientali della gara: Oliver Gibson, fisiologo dello sport della Brunel University di Londra, ha dimostrato per esempio l'efficacia della cosiddetta ipertermia controllata, nella quale attraverso mezz'ora di allenamento gli atleti raggiungono la temperatura interna di 38,5�C, mantenendola poi fino a un'altra ora stando in una sauna o facendo esercizi pi� blandi. Queste sessioni nell'arco di cinque, dieci giorni favoriscono l'adattamento alle alte temperature aumentando il tasso di sudorazione, riducendo la frequenza cardiaca e migliorando la tolleranza allo sforzo nel caldo; adottarle � decisivo soprattutto al femminile perch�, come ha osservato una ricerca dell'universit� inglese di Birmingham su atlete di sport di resistenza, alle donne serve in media pi� tempo per acclimatarsi al caldo, almeno nove giorni rispetto ai quattro dei colleghi uomini, forse a causa della maggiore massa grassa, che potrebbe fare da isolante. La risposta del corpo a condizioni ambientali estreme peraltro � un percorso in quattro tappe, come sottolinea Luca Paolo Ardig�, fisiologo del NLA University College di Oslo, in Norvegia: �La risposta acuta � immediata, quando si arriva in un luogo ad alta quota oppure molto freddo o molto caldo: nell'arco di una, due ore l'organismo reagisce alle nuove condizioni esterne (frequenza respiratoria e cardiaca aumentano, si suda nel caso del caldo, si risparmia calore con la vasocostrizione al freddo e cos� via, ndr). Quindi ci sono l'acclimatazione, che per essere perfetta pu� durare settimane, ed � quella ricercata in molto meno tempo dagli atleti prima delle gare, e l'adattamento, che � la risposta del corpo dopo una vita passata in condizioni ambientali specifiche; il quarto passo � l'adattamento generazionale, che in decine di migliaia di anni modifica la fisiologia al punto da rendere difficile tornare indietro. In altri termini ci� che poteva essere inizialmente estremo diventa la situazione ottimale e spiega le prestazioni di alcune popolazioni: i kenioti, che corrono da sempre in condizioni �difficili� con temperature elevate e relativamente in quota, a livello del mare e in un clima temperato hanno performance ancora migliori, ma nelle maratone in climi freddi invece vincono un poco di meno�. La provenienza geografica degli atleti quindi pu� fare la differenza in classifica, anche se tutti i professionisti prestano molta attenzione alla fase di acclimatazione prima delle gare. Quella al caldo � cruciale per gli effetti della temperatura sulla prestazione, quella al freddo pu� essere aiutata un po' di pi� dagli indumenti e da un riscaldamento muscolare adeguato (�Ma oltre una certa soglia non si compete, a meno 20�C le gare di sci di fondo per esempio non si disputano�, ricorda Ardig�); anche acclimatarsi all'altitudine � fondamentale, perch� in quota cambiano molti parametri che incidono sulle risposte del fisico. �L'irraggiamento ultravioletto, l'aria pi� secca e la temperatura rigida possono influenzare le prestazioni, ma � soprattutto la bassa pressione dell'aria a modificarle�, interviene Gianfranco Parati, direttore scientifico dell'IRCSS, Istituto Auxologico di Milano, che da anni studia gli effetti dell'alta quota sull'organismo durante spedizioni sull'Himalaya e sulle Ande. �Al contrario di quello che tutti credono, in quota non c'� meno ossigeno ma scende la pressione di questo gas, che quindi non viene pi� �spinto� bene nei polmoni per gli scambi gassosi come succede sul livello del mare. Il respiro accelera ma � pi� superficiale, i polmoni si espandono di meno; cos� si espira tanta anidride carbonica e il sangue diventa meno acido, provocando i sintomi del mal di montagna come nausea, mal di testa, vertigini. Nel giro di 6-8 ore dall'arrivo in quota aumenta la pressione, anche a causa della vasocostrizione indotta dal freddo, e sale la frequenza cardiaca, per far circolare pi� globuli rossi e compensare cos� la carenza di ossigeno ai tessuti; per lo stesso motivo cresce la sintesi di eritropoietina, l'ormone che stimola la produzione di globuli rossi. Molti atleti si allenano in montagna per poi gareggiare sul livello del mare proprio perch� in pianura il loro sangue trasporter� pi� ossigeno, consentendo performance migliori. Per acclimatarsi all'alta quota serve qualche giorno; atleti a parte, chi ha qualche acciacco o non � pi� un ventenne dovrebbe sottoporsi a test per valutare le condizioni cardiovascolari come la prova da sforzo e la misura della pressione, prima di salire in montagna per fare alpinismo o un'altra attivit� fisica. In quota serve una minor quantit� di esercizio per veder salire la pressione, la viscosit� del sangue aumenta. Tutto questo � fisiologico per chi � sano, ma per chi ha gi� problemi cardiovascolari i rischi per la salute crescono: in questi casi, con l'aiuto del medico, occorre stabilire prima quanto in alto si possa salire, a che velocit�, quanto sforzo si possa fare e a che quota si possa dormire�. Quando si fa movimento in condizioni estreme di altitudine o temperatura per� non cambiano solo le prestazioni fisiche, pure il cervello ne risente. � vero in quota e al freddo, come specifica Parati: �I test cognitivi condotti sull'Everest dimostrano per esempio che il tempo di reazione agli stimoli si allunga, contribuendo a una maggiore incertezza nei movimenti e nel cammino; le donne in questo caso ne risentono meno, ma sono pi� esposte all'ansia che compare spesso durante le spedizioni in alta quota e che deriva dal trovarsi in un ambiente impegnativo. Tutto questo va saputo gestire perch� pu� essere causa di incidenti, specialmente durante la discesa�. Pure le temperature estreme chiedono pegno al cervello, affaticandolo e riducendo la prestazione, specialmente se � di resistenza: lo ha dimostrato di recente Samuele Marcora in un esperimento su atleti che hanno pedalato in un ambiente a 20�C con o senza un �cuscinetto� caldo sul collo, dove si trovano un gran numero di recettori cutanei per la temperatura. Con questo trucco, anche se tutti hanno fatto esercizio senza che la temperatura interna fosse differente, chi aveva il �collare� bollente provava una sensazione di disagio termico ed era costretto a fermarsi prima visto che, come spiega Marcora, �basta questa componente psicologica a ridurre la prestazione, perch� si percepisce uno sforzo maggiore e quindi ci si affatica di pi� e in minor tempo. Nella fase di acclimatazione spesso si trascura l'adattamento psicologico che invece conta almeno quanto quello fisiologico, soprattutto quando si fa sport al caldo�. Che sia questo il motivo della clamorosa sconfitta dell'Argentina di Messi contro l'Arabia Saudita di calciatori sconosciuti, ma pi� abituati al clima del Qatar? Storia e leggende di Cortina d�Ampezzo (di Francesco Munari, Postiepasti.com) - Alla scoperta di una citt� caratteristica ma, nello stesso tempo, internazionale Bellunese de iure, ladina de facto e internazionale per vocazione. Questa � Cortina, una localit� turistica cos� famosa e di charme da venir sognata da molti sia d�inverno che d�estate. Questo luogo vanta infatti una posizione unica al centro della conca d�Ampezzo lungo la valle del Boite. Ma ci� che incanta il mondo intero sono le sue montagne chiamate Dolomiti (perch� composte da una rara roccia chiamata dolomia) e dichiarate patrimonio UNESCO nel 2009. Tuttavia, qui non ci soffermeremo sui numerosi impianti sciistici o sulla moda cittadina, bens� presenteremo dei luoghi storici meno conosciuti della zona, unendo anche alcune leggende che raccontano i misteri e le bellezze di questa area sospesa tra la terra e il cielo. Cortina e le sue montagne sono state teatro di numerose battaglie violente nella Prima Guerra Mondiale tra l�esercito italiano e quello austro-ungarico. Il 23 maggio 1915 il Regno d�Italia dichiara guerra all�impero Austro-Ungarico e occupa subito Cortina, difficilmente difendibile e situata non molto distante dal confine dell�epoca. Le truppe nemiche si ritirano quindi sulle montagne del Lagazuoi per proteggere le valli vicine e sbarrare il passaggio alle truppe italiane. Da quel momento le montagne dell�area diventano teatro di una guerra combattuta ad alta quota, ricca di trincee e sortite ma povera di mezzi e di strade, dove il freddo causava spesso pi� morti dei combattimenti tra fazioni. Oggi, grazie alla collaborazione con gli ex-avversari, sono state restaurate le vecchie postazioni di ambo i fronti e sono nati dei veri e propri musei all�aperto della Grande Guerra nell�area del Lagazuoi, delle 5 Torri, del Sasso della Stria e del Forte Tre Sassi creando un polo museale che si estende per oltre 5 chilometri. A memoria di questi tragici eventi sono stati eretti numerosi ossari e sacrari in Italia. Uno di questi si trova proprio a Cortina. Si tratta del Sacrario Militare di Pocol, progettato in epoca fascista dall�ingegnere Raimondi e completato nel 1935. Situato a 1535 metri di quota e ben visibile dal paese, si accede al complesso passando per un giardino e scendendo con una lunga rampa nello spiazzo dove si trova l�edificio. Si entra quindi all�interno di questa torre rossa, austera ed elegante allo stesso tempo � in linea con lo stile razionalista dell�epoca � dove sono conservate le spoglie di circa 10.000 soldati. Al centro della sala principale si trova il sepolcro del generale Antonio Cantore e del tenente Francesco Barbieri, entrambi medaglia d�oro al valore militare. Se non bastasse la motivazione storica per visitare il complesso, si consideri che il panorama visibile dalla torre � spettacolare sia d�inverno che d�estate. Come gi� accennato in precedenza, Cortina si trova in una posizione unica e storicamente isolata. Forse per questo motivo la popolazione che nei secoli ha abitato la valle ha creato numerose leggende per cercare di spiegare o raccontare le realt� circostanti. Esistono favole che raccontano la nascita delle stelle alpine, simbolo per eccellenza delle Alpi e quindi anche delle Dolomiti, cos� come fiabe che spiegano il colore caratteristico di queste montagne, capaci di cambiare durante l�alba e il tramonto diventando rosa-arancione. Tale fenomeno � dovuto alla particolare composizione rocciosa ed � chiamato �Enrosadira�. Sul sito web cittadino si pu� trovare la storia che spiega tale evento. La leggenda narra di un magico regno dei nani governato dal re Laurino che aveva un magnifico giardino di rose sul Catinaccio. Il re aveva anche una bellissima figlia chiamata Ladina che venne rapita dal principe di Latemar. Quest�ultimo, infatti, incuriosito dalla presenza di quelle rose stupende in un luogo tanto aspro, si era inoltrato nel regno dei nani e alla vista della principessa non aveva esitato nel rapirla per sposarla. Laurino, disperato, aveva perci� maledetto i fiori che gli avevano fatto perdere la figlia e avevano rivelato la posizione del suo regno e ordin� loro di non fiorire pi� n� di giorno n� di notte, dimenticandosi per� dell�alba e del tramonto. Da quel momento in poi, fu possibile ammirare le rose fiorite sulle Dolomiti soltanto al sorgere e al calare del sole. Un�altra bella leggenda da scoprire � quella legata alla nascita del lago Misurina. La leggenda narra la storia di Misurina, figlia unica e viziata del re della zona Sorapiss. Il re viveva per la figlia, essendo rimasto vedovo e giustificava qualsiasi comportamento della principessa a causa della prematura morte della madre. A un certo punto Misurina venne a conoscenza dell�esistenza di una fata che viveva nel vicino Monte Cristallo e che possedeva uno specchio magico. Misurina preg� a lungo il padre affinch� ottenesse lo specchio e alla fine il re cedette e and� dalla fata con la figlia. La fata oppose resistenza di fronte a questa bambina capricciosa ma alla fine acconsent� davanti alle lacrime del re ponendo una condizione. La fata aveva infatti un bellissimo giardino sul Monte Cristallo che era perennemente minacciato dal calore del sole. Cos� la fata chiese al re in cambio dello specchio di accettare di trasformarsi in montagna per proteggere con la sua ombra il giardino. Il re acconsent� e quando Misurina ricevette lo specchio, Sorapiss cominci� a trasformarsi. Misurina si accorse improvvisamente di trovarsi in cima alla montagna che era suo padre e guardando in basso fu colta da un capogiro e precipit� nel vuoto. Il re Sorapiss, nei suoi ultimi istanti di coscienza, assistette impotente alla morte della figlia e dagli occhi ancora aperti sgorgarono cos� tante lacrime da formare un lago che prese il nome della figlia. E lo specchio? Esso cadde con Misurina e si infranse tra le rocce. Tuttavia, i frammenti furono trascinati dalle lacrime nel lago e da allora creano dei riflessi cos� magici da rendere questo luogo incantato e amato da tutti. In conclusione, visitare oggi Cortina rappresenta ben pi� di una vacanza chic potendo contare su una forte identit� locale che si � arricchita nel corso dei secoli senza perdere la sua bellezza. Oggi la sfida pi� grande per questo luogo � proprio mantenere un connubio tra la vocazione internazionale � visto anche il futuro appuntamento con le Olimpiadi nel 2026 � e la custodia dei valori locali e delle bellezze naturali. Un esempio di questa dualit� � che il visitatore potr� scegliere tra passeggiare lungo il famoso corso Italia, vedendo i locali, i negozi e gli hotel pi� esclusivi delle Dolomiti oppure sciare e fermarsi poi a mangiare in una baita in mezzo alle montagne o scendere in una malga e trovarsi in un ambiente semplice ma caratteristico. �Questo piccolo grande amore�: una canzone che ha fatto la storia (di Francesca Brioschi, Stonemusic.it) - Consacrata come canzone d'amore del secolo dal pubblico italiano, la hit per eccellenza di Claudio Baglioni continua a incantare giovani innamorati e non. Ma qual � la storia di questo ritratto romantico? - �Questo piccolo grande amore� non � solo una delle pi� celebri canzoni d'amore italiane mai scritte, ma � anche il ritratto storico e sociale di un'epoca. Quel 1968 che, come ricorda Claudio Baglioni, ha rappresentato l'ultimo sogno collettivo. Un frangente storico dettato dall'amore per la libert�, la cultura e il sesso, guidato da ventenni con tanta voglia di cambiamento. E poi c'� quel sentimento, romantico, universale, intergenerazionale, scritto nell'acronimo Q.P.G.A. su un muro lungo il Tevere, e destinato a far sognare in eterno i giovani innamorati. Ma quando Baglioni diede vita al suo ritratto d'amore in musica, non sapeva quale sarebbe stata la portata ereditaria della sua opera. Una testimonianza scritta nell'omonimo album, �Questo piccolo grande amore�, il terzo dell'artista, pubblicato nell'autunno 1972. Con una collezione di 15 brani e una durata inedita di pi� di 50 minuti, l'album svetta in breve le classifiche, permanendo stabile al primo posto per diverse settimane. Ma � la title track a divorare il successo del disco e lo dimostra al 35esimo Festival Di Sanremo del 1985, quando viene premiata Canzone D'Amore Del Secolo. Ma il brano � parte di una narrazione pi� ampia, che costituisce il primo concept album della storia musicale italiana. Cos� il racconto del primo amore di due adolescenti inizia nei primi anni Settanta, in quella Piazza del Popolo affacciata su una Roma brulicante di manifestanti contrapposti alla polizia. Poi arriva la chiamata della leva militare obbligatoria, la separazione di due amanti appena fioriti e la chiusura di una parentesi romantica tanto labile quanto eterna. Quella che Lui, a distanza di anni, ricorda con indelebile nostalgia, mentre rivede Lei, nella sua pi� pura giovent�, dileguarsi nello scorrere del tempo. E Baglioni vuole proprio rievocare la magia delle prime volte, con un timido, ma bramoso avvicinamento al sesso, tale da dover censurare in pubblicazione �quella paura e voglia di essere nudi�. Il suo omaggio va a Paola Massari, sua fidanzata all'epoca divenuta moglie nel 1973, fino al 2008. Una storia maturata ed esplorata dalle trame giovanili fino alla consapevolezza adulta, ma immortale nella cornice dei primi incontri. Questa viene rappresentata sul grande schermo nel 2009, con una pellicola di Riccardo Donna, rievocativa del concept album di Baglioni. Cos� sono stati scelti due giovani attori esordienti, Emanuele Bosi e Maria Petruolo, tali da rappresentare una comune coppia di amanti. Una delle tante che affiora nelle poliedriche forme del tempo, con una forza emotiva sfaccettata, ma sempre simile nelle sue modalit� di espressione. Per questi motivi, �Questo piccolo grande amore� � la canzone pi� venduta della storia italiana, pubblicata in un 45 giri della RCA pochi giorni prima del disco. A distanza di 50 anni, l'impatto estetico ed emotivo del brano � pi� forte che mai, e detta l'inconfondibile firma del suo interprete.